PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Sezione III civile; udienza 9 dicembre 1932;...
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Sezione III civile; udienza 9 dicembre 1932; Pres. Padiglione P., Est. Lener, P. M. Dattino (concl.conf.); Rizzato e altri (Avv. Marconi, Crescente) c. Chinaglia (Avv. Ronchey, Gallo)Author(s): S. L.Source: Il Foro Italiano, Vol. 58, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1933), pp. 349/350-353/354Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23134055 .
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849 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 8B0
Orbene, tutto questo si può avverare quante volte il
donante trasferisca al donatario brevi manu o un oggetto
mobile, suscettivo di tradizione, ovvero una cambiale, emessa da altri in bianco e di cui il donante sia in pos
sesso, giacché col solo fatto della tradizione dell'oggetto e col semplice passaggio del documento creditorio dalle
mani del donante in quelle del donatario, quegli si spoglia del suo diritto sulla cosa e lo trasferisce all'altro. In tale
caso (considerava questo Supremo Collegio in altra sua
sentenza) il credito personale si compenetra e si immede
sima nel documento cui si informa, da costituire una vera
res suscettiva di tradizione reale giuridicamente perfetta. Nel caso in esame invece, avendo il donante conse
gnato alla donataria un effetto cambiario che non era nem
meno in bianco (circoatanza questa affermata dalla Corte
di merito con giudizio insindacabile), col quale si dichia
rava debitore della nipote della corrispondente valuta, è
chiaro che, nel momento in cui avveniva la tradizione del
documento, egli non si spogliava attualmente di nulla, ma
prometteva soltanto di pagare alla donataria alla scadenza
indicata nell'effetto cambiario la somma portata nella cam
biale stessa. Sicché, mancando i requisiti essenziali del
l'attuale spoglio da parte del donante della cosa donata,
era manifesta la inidoneità della sola tradizione del do
cumento creditorio a costituire oggetto di donazione ma
nuale.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione I civile ; udienza 9 gennaio 1933 ; Pres. Mon
talenti P., Est. Vellutini, P. M. Assisi (conol.
conf.) ; Esattoria Buocalbergo (Avv. De Angelis,
Gkaziani) c. Scrocco (Avv. Tedeschi).
(Sent, denunciata : App. Napoli 19 giugno 1931)
Cassazione in materia civile — Esattore delle Impo
st* decaduto dalla carica — Ricorso per cassa
zione — Deposito per mnlta — Esenzione —
Estremi — Applicazione specifica (L. t. U. 17 ot
tobre 1922 n. 1401, sulla esazione delle imposte, ar
ticoli 70, 71, 102 ; Cod. proo. civ., art. 521).
L'esattore delle imposte, anche dopo scaduto il contratto
di esattoria, può proporre ricorso in Cassazione, in
carta libera e senza il deposito per multa, se il giu
dizio relativo sia stato iniziato nel periodo di tempo
in cui la legge conserva i privilegi fiscali agli esattori
scaduti, ancorché il ricorso sia stato proposto dopo
decorso il termine suddetto. (1)
Tale esenzione compete all'esattore anche nel giudizio per
risarcimento di danni promosso contro di lui dal
contribuente dopo esaurita la esecuzione fiscale. (2)
(1-2) Consulta, in generale, quanto all'esenzione dell'esat
tore dal deposito per multa nei giudizi di Cassazione quando è
ancora in corso il contratto di esattoria, in conformità alla
sentenza che pubblichiamo, Casa. Eegno 6 maggio 1930 (Foro
it., Eep. 19P0, voce Cassazione civ., n. 108) ; Cass. Eegno 81 gen naio 1928 (id., Eep. 1928, voce cit., n. 123).
In questo senso era anche la giurisprudenza costante an
teriormente al vigente testo unico sulla riscossione delle im
poste ; vedi, infatti, Cass. Eoma 30 marzo 1917 (id., 1917, I, 887
oon nota di richiami).
La Corte, ecc. (Omissis) — Osserva che, per effetto
del decreto 27 dicembre 1927 n. 2563, agli esattori del
decennio 1913-1922 (tra i quali era compreso il Leone) veniva prorogato fino al 31 dicembre 1928 l'esercizio dei
privilegi fiscali, che, per l'art. 71 della legge sulla ri
scossione delle imposte del 17 ottobre 1922, cessano dopo due anni dalla scadenza del contratto di esattoria.
E' certo, altresì, che per l'art. 70 di detta legge « tutte le tasse e i diritti degli atti giudiziari che gli esattori compiono in occasione del procedimento esecu
tivo per tasse erariali vanno ridotti a metà e prenotati a
debito» e per l'art. 102 «tutti gli atti di esecuzione mo
b liare ed immobiliare, che gli esattori compiono, si fanno
su carta libera e, quando occorrono atti giudiziali, da
farsi secondo il codice di procedura civile, valgono le
norme dell'art. 70 ».
Ed allora, essendo l'attuale giudizio sorto nel 1927,
quando, cioè,-perduravano i privilegi fiscali a favore del
l'ex esattore Leone, sebbene fosse decorso il biennio, di
cui al cennato art. 71, legalmente costui ha proposto l'odierno ricorso in carta libera e senza farlo precedere dal prescritto deposito.
Nè giova alla parte resistente opporre che nella specie si trattava di un giudizio promosso da lei, quale contri
buente, contro l'esattore personalmente, giacché tale giu dizio era, però, sorto in conseguenza dell'atto di esecu
zione mobiliare compiuto dall'esattore contro la opponente e per una imposta erariale, donde l'applicabilità manife
sta dei cennati articoli 70 e 102, in forza dei quali i
privilegi fiscali vengono, come si è detto, concessi per tutti gli atti giudiziali che occorrano all'esattore in oc
casione del procedimento esecutivo.
La resistente continua a sostenere che, comunque, il
giudizio di cassazione non possa considerarsi continua
zione del giudizio di merito ; ma ha torto anche in que
sto assunto, sia per le ragioni addotte or ora, sia perchè, ai fini dei privilegi fiscali, la legge di riscossione del 1922, nel menzionato art. 102, parlando di atti giudiziali in ge
nere da farsi secondo il codice di rito oivile, ha inteso
logicamente riferirsi agli atti occorrenti nell'intero giudi
zio, ond'è che, potendo questo percorrere tutti i gradi di
giurisdizione, i privilegi si intendono estesi anche al giu dizio di cassazione, con la conseguente dispensa dell'esat
tore dall'uso della carta bollata e dall'obbligo di deposito.
(Omissis) Per questi motivi, dichiara ammissibile il ricorso, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione III civile; udienza 9 dicembre 1932; Pres. Pa
diglione P., Est. Lener, P. M. Dattino (conci,
conf.) ; Rizzato e altri (Avv. Marconi, Crescente) c.
Chinaglia (Avv. Ronchey, Gallo).
(Sent, denunciatat App. Venezia 5 febbraio 1932)
Intervento In causa — Intervento principale — Am
misNlbilitA (Cod. proc. civ., art. 201).
Procedimento civile — Giudizio Instaurato da nn non
legittimato — Intervento in causa del titolare del
diritto — Validità (Cod. proc. civ., art. 36, 37,
201, 491).
L'intervento volontario è ammesso nel nostro diritto an
che nelVipotesi che l'interesse dell'interveniente non
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35 i parte prima »52
sia accessorio o eguale a quello di una delle parti
in causa ma ad esso prevalente (intervento princi
pale). (1) Il giudizio promosso da chi non era titolare del diritto
controverso non è nullo, sebbene la domanda debba
esser respinta per difetto di legittimazione ad agire;
intervenuto poi il terzo, titolare del diritto, esso può
validamente proseguire nei di lui confronti, sia che
l'attore contrasti a tale intervento, sia che riconosca
le ragioni dell'intervenuto e vi aderisca. (2)
(1-2) Con questa sentenza, che segue da presso l'altra della
stessa Corte del 16 luglio 19i'2(retro, col. 123) in materia d'inter vento adesivo, la dottrina dell'intervento volontario in tutte le
sue forme (intervento accessorio o adesivo, intervento o. d. liti sconsortile e intervento principale) ha avuto il riconoscimento della Suprema magistratura del Regno.
La parte più interessante, però, della decisione che pubbli chiamo non è tanto quella in cui l'intervento principale è rico nosciuto sic et simpliciter membro legittimo della famiglia d'isti tuti del nostro processo civile, sibbene l'altra ove si precisano gli effetti di tale intervento in un giudizio che, per difetto di
legittimazione ad agire nella persona dell'attore, non poteva chiudersi con sentenza d'accoglimento. L'affermazione che il
rapporto processuale, nonostante questa mancanza, debba ri tenersi pur sempre valido e tale da permettere la trasforma zione soggettiva determinata dall'intervento in causa del tito lare del diritto conteso, può parere un audace colpo di timone
rispetto alla rotta che in altre decisioni la Corte Regolatrice ha mostrato di voler seguire, negando quasi costantemente l'am missibilità della negotiorum gestio processuale (a) ed escludendo che l'intervento in causa del titolare del diritto possa valida mente far proseguire il giudizio nullamente instaurato dal ne
gotiorum gestor (6). Ben vero che, come nella motivazione di sif fatte massime non fa punto tenuto presente l'istituto dell'in tervento principale, cosi la specifica situazione di fatto esami nata dalla sentenza che sù riferiamo nulla ha a che vedere con la negotiorum gestio processuale. Qui l'attore, infatti, chiede a nome proprio la condanna del convenuto senza neppur menzio nare il terzo titolare del diritto, ed è solo dopo l'eccezione del convenuto e l'intervento di costui, che ne riconosce le ragioni. In tali condizioni, innegabile era l'ammissibilità dell'inter vento principale e quindi l'efficacia del giudizio in cui si veri ficava (e).
Pure, approfondendo l'analisi sulle altre fattispecie, la di versità dei presupposti di fatto si attenua fino alla irrilevanza: anche quelle situazioni processuali cui la Cassazione ha negato efficacia in conseguenza della inammissibilità della negotiorum gestio nel processo hanno a che vedere con questo istituto, più o meno quanto quella or ora esaminata. Si tratta pur semi>re, sotto il rispetto sostanziale, di rapporti giuridici complessi, in
terdipendenti, non bene oggettivamente e soggettivamente de terminati; e, sotto quello processuale, di proposizione di azioni in condizione d'incertezza sulla sua titolarità, seguita poi dal l'intervento in causa di colui che dal dibattito sulla eccezione di difetto di legittimazione, risulti essere il titolare del diritto controverso. La ragione per negare o affermare la validità del processo preesistente e dell'intervento non può essere ricercala, pertanto, nell'ammissibilità o meno di una negotiorum gestio processuale ; nè giova, di conseguenza, elencare apprezzabili per quanto facili argomenti contro tale istituto (d). È la so stanza delle situazioni, che gotto il falso nome di esso tendono a un riconoscimento, che bisogna analizzare minutamente, raggruppandole, se possibile, in categorie e coordinandole se condo un principio che tutte le governi. È nella zona grigia che sta tra la rappresentanza processuale e la legittimazione ad agire (in proprio) che bisogna penetrare, zona spesso tra
(a-ft) Consulta Cass. Regno 7 aprile 1980 (Foro it., IMO, 1, 1118) e i numerosi precedenti ivi citati e successivamente 11 luglio 193*2 in que sto stesso volume (retro, ool. 808). Nel senso dell'ammissibilità della negotiorum gestio processuale e dell'intervento del dominus negotii, in relazione a una speoie molto interessante, Cass. Regno 81 marzo 1926 (Foro it., 1925, I, 689) Vedi pure Cass. Regno 29 luglio 1980 in Riv. dir. proc. et v., 1981, II, 100, oon nota di Invrea.
(c) Chiovknda, Principi, pag. 1105. (d) Lipari, Sulla « negotiorum gestio » processuale, in Studi in on. di Q.
Chiovenda.
La Corte, eco. — La impugnata sentenza ritenne che
all'ammissibilità dell'intervento volontario occorra, con
l'interesse dell'interveniente, anche un rapporto >li dipen
denza e di accessorietà tra la domanda di quest'ultimo e
quella dell'attore ; onde i Rizzato e Pauro, attuali ricor
renti, non potevano pretendere, contro la volontà del con
venuto Consorzio, di proporre « una loro domanda prin
cipale del tutto indipendente da quella degli attori » ogni
domanda dovendo spiegarsi con citazione.
Soggiunse, in subordine, che ove volesse considerarsi
la domanda degli iuterventori come accessoria della prin
cipale, questa venuta meno (per il riconoscimento degli
attori del diritto degli interventori) anche l'altra cadeva
nel nulla.
Contro entrambe le tesi insorgono i ricorrenti, lamen
tando violazioni della legge processuale e vizi di attività.
Ed il ricorso appare fondato.
Condizione unica e necessaria per l'ammissibilità del
l'intervento volontario è l'interesse da ricercarsi nel mo
mento, in cui esso si propone (art. 202 cod. proc. ci v.); e
poiché la legge non prescrive altri limiti, non può disco
noscersi la facoltà del terzo, sussistendo il di lui inte
resse, d'intervenire in un giudizio tra altri vertente, ri
corra o non ricorra un rapporto di dipendenza e di ac
cessorietà tra la pretesa del terzo e quella già fatta valere
dall'attore.
L'affermazione che l'intervento sia mezzo d'integra zione di un rapporto processuale, già esistente, e non di
costituzione di nuovo rapporto, per il quale è richiesta a
norma dell'art. 37 cod. proc. civ. la citazione, può essere
esatta nella prima parte, se riferita all'intervento coatto
ed adesivo, ma erronea nella seconda. Perchè non è esclusa
la possibilità che in un preesistente rapporto processuale se ne inserisca un altro, il quale, per successivi atteggia menti della lite (come in caso di estromissione dell'origi nario attore), assuma l'aspetto di un rapporto processuale
nuovo, autonomo ed indipendente dall'originario, senza
che a ciò faccia ostacolo l'art. 37 cod. proc. civ., che nella
espressione ampia «salvo che la legge stabilisca un'altra
torma» comprende anche la ipotesi prevista dall'art. 202
cod. proc. civile.
Con la opinione, seguita dalla Corte d'appello e sor
retta dal controricorso, si mostra di disconoscere che
l'intervento volontario si distingua in principale ed adesivo
o, per essere più precisi, in principale, litisconsortile ed
adesivo a seconda della natura dell'interesse del terzo
all'altrui giudizio. Se A rivendica contro B il fondo tuscu
lano, che invece appartiene a C, l'intervento di costui, diretto ad infringendum iura utriusque competitoris è
principale. Se un condomino agisce contro un terzo in
negatoria servitutis, l'intervento ad adiuvandum di un
altro condomino è litisconsortile, mette cioè l'intervenuto
nella stessa condizione processuale e sostanziale, in cui
scurata, mai esplorata a fondo, in coi una sola oasi è cono sciuta (con approssimazione e non pacificamente, del resto): la sostituzione processuale. Non è questa la sede nè per una
esplorazione in grande stile e forse neppure per una semplice presa di posizione: altrove, spero di poter presto portare il modestissimo mio contributo d'indagini. Per ora mi è sufficiente aver indicato il problema all'attenzione degli studiosi e, se non
presumo, allo stesso Supremo Collegio la cui disparità d'inse
gnamento, per la gravità delle pratiche ripercussioni, deve es sere senz'altro superata. A ciò ben mira, probabilmente, la stessa sentenza annotata, le cui conclusioni integralmente con dividiamo.
S. L. S. L.
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353 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 354
è l'attore. Se infine il fideiussore interviene ad aiutare il
debitore che è in lite col suo creditore, il di lui intervento
è semplicemente adesivo ed è discutibile se l'intervenuto
sia parte. Ora, presupponendo l'intervento principale un
giudizio iniziato da un non legittimato, nel caso di specie,
(in cui gli interventori erano appunto titolari del diritto
al risarcimento dei danni, contestato dal convenuto Con
sorzio verso Rizzato Bertolo e Pauro Alessio che non
avevano veste per agire) si riscontravano gli elementi
dell'intervento principale ammesso dalla legge, al di
fuori ed oltre la eventuale relazione di dipendenza della
domanda spiegata dagli attori.
Che se poi con relazione di dipendenza si fosse inteso
di manifestare il concetto di comunanza del fatto, dal
quale la lite trasse origine o dell'effetto derivante dal
l'accertamento del rapporto giuridico in lite, non meno
ammissibile sarebbe stato l'intervento, identico essendo
il fatto posto a fondamento della domanda dagli attori e
dagli intervenienti, ed identico l'effetto sperato dagli uni
e dagli altri.
La seconda tesi è altrettanto errata in diritto. Altra
cosa sono i presupposti processuali ed altra le condizioni
dell'azione. I primi devono esistere perohè si abbia una
qualsiasi sentenza, vale a dire perchè esista il rapporto
processuale con l'obbligo fondamentale del giudice di pro nunziare. Le seconde, ove sussistano, portano ad una
sentenza di accoglimento. I primi devono esistere al mo
mento della domanda giudiziale ; per le seconde si am
mette, in omaggio al principio della economia dei giudizi, che basti, per l'accoglimento della domanda, che esse
esistano al momento della spedizione della causa (c. d.
ius superveniens).
Quando non concorrano le condizioni dell'azione, ma
sussistano invece i presupposti processuali, il rapporto
processuale è validamente costituito con pienezza di ef
fetti processuali e quindi anche con la possibilità per i
terzi di partecipare legittimamente al giudizio ; sebbene
questo non sarà per conchiudersi che con una sentenza di
rigetto. La legittimazione ad agire (legitimatio ad causam) è
per insegnamento quasi concorde della dottrina e della
giurisprudenza una condizione dell'azione. D'altronde è
la legge stessa che condanna l'avviso contrario. L'istituto
della laudatio auctoris infatti dimostra chiaramente che
un giudizio, male iniziato contro il non legittimato, può validamente proseguire nei confronti del vero legittimato
(<auctor), previa estromissione del laudator.
Ed allora applicando siffatti principi alla situazione
processuale della causa, de qua, è innegabile : 1° che, essendo stato validamente costituito il rapporto proces
suale, per difetto di qualsiasi contestazione dei presuppo
sti, tra gli attori Rizzato Bertolo e Pauro Alessio ed il
convenuto Consorzio, i terzi, attuali ricorrenti, ben pote vano intervenirvi; 2° che rigettata la domanda degli at
tori, per non essere essi titolari del diritto fatto valere
(mancanza di legittimazione), l'intervento dei terzi, ri
tualmente attuatosi con comparsa, non poteva risentirne
pregiudizio processuale, ma doveva avere il suo pieno
svolgimento di merito. E nessun pregio ha il rilievo che
la Corte d'appello abbia parlato d'improcedibilità della
domanda degli attori, anziché di rigetto, come corretta
mente aveva detto il Tribunale. L'espressione, non pre
cisa, lascia inalterata la sostanza del provvedimento, che
era di rigetto della domanda per difetto di legittimazione I
attiva, e non d'improcedibilità. '
Sussistendo quindi i denunziati errori di diritto, deve
accogliersi il ricorso con le conseguenze di legge, senza
bisogno di occuparsi dell'ulteriore doglianza di difetto di
motivazione, la quale resta assorbita.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione III civile ; udienza 9 dicembre 1932 ; Pres. Pa
diglione P., Est. Parrella, P. M. Terra Àbrami
(conci, conf.) ; Mancini (Avv. Mancini) c. Mancini
(Avv. Oascianelli, Stella).
(Sent, denunciata : Pret. Borbotta 20 marzo 1931)
Esecuzione immobiliare — Licenza per finita loca
zione — («indizio di convalida — Opposizione del
convenuto manifestamente Infondata — Facoltà
nel giudice di convalida di respingerla diretta
mente — AppellahllltA del pronunciato (L. 24 di
cembre 1896 n. 547, sul rilascio di immobili, art. 4).
Il giudice investito del giudizio di convalida di licenza
per finita locazione, se i motivi d'opposizione addotti
dal convenuto, pur involgendo questioni di diritto,
appariscano manifestamente infondati, può conoscere
della opposizione e respingerla, senza attenersi rigo rosamente alle regole sulla competenza per materia
e valore ; ma in tal caso il suo pronunciato è pie namente appellabile. (\)
La Corte, ecc. — Lamenta col primo mezzo il ricor
rente che il Pretore abbia dichiarato erroneamente appel labile un provvedimento di convalida della licenza in cui
non era stata presa alcuna decisione di merito, men
tre l'appellabilità per legge era limitata al solo caso di
nullità della citazione.
Lamenta col secondo mezzo che il Pretore abbia er
roneamente ammesso in un giudizio di convalida di li
cenza per finita locazione l'intervento in sede di appello di un terzo reclamante la proprietà dell' immobile locato
che non avrebbe potuto risentire alcun pregiudizio dal
l'esito di detto giudizio. Lamenta col terzo mezzo che il Pretore abbia erro
neamente motivato nel respingere l'apprezzamento del
Conciliatore relativo al carattere pretestuoso e dilatorio
dell'opposizione dell'intimato.
11 primo mezzo del ricorso è privo di fondamento.
La legge sulla convalida della licenza per finita loca
zione contiene una eccezione alla regola del doppio grado
per i soli casi in cui o l'intimato non comparisca o, com
parendo, accetti la licenza e contiene ancora una eccezione
all'eccezione per il caso di nullità della citazione non sa
nata dalla comparizione del citato.
Nell'altro caso in cui l'intimato comparisca e si op
ponga alla convalida, la legge stessa richiama le regole
(1) In conformità per la facoltà del giudice di convalida di re
spingere senz'altro l'opposizione manifestamente infondata, ve dasi Oass. Regno 2 aprile 1927 (Foro it., 1927, I, 906) con nota di precedenti e successivamente Cass. Regno 11 marzo 1929 (id., Rep. 1929, voce Locazione di cote, n. 221) ; 22 gennaio 1929 (ibid., voce cit., nn. 219 e 223) ; 13 marzo 1929 (ibid., voce cit., n. 217) ; 26 maggio 1930 (id., Rep. 1930, voce Esecuz. immobiliare, n. 74) ; 27 febbraio, 14, 17 e 24 marzo 1931 (id., Rep. 1931, voce cit., nn. 103, 96, 102, 97).
Il Foro Italiano — Anno LVUI — Parte 7-24.
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