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PARTE III PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE

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PARTE III

PREVENZIONE E TRATTAMENTO

DELLE COMPLICANZE

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TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE

M.Valle, A.Garofalo, F.Cavaliere

INTRAOPERATORIE

Sanguinamenti : Sanguinamenti importanti

intraoperatori sono rari anche rispetto ad altri interventi

effettuati per carcinosi, anche perchè i tumori che si

estrinsecano con carcinosi peritoneale sono spesso

facilmente sanguinanti e l’asportazione totale della

neoplasia su piani liberi, asportazione quindi del peritoneo

parietale extrafasciale, diminuisce notevolemente il

sanguinamento. Sanguinamenti intraoperatori possono

presentarsi comunque come sanguinamenti a nappo dalle

superfici cruentate o come sanguinamenti da lesioni

vascolari. I primi vengono facilmente dominati con l’uso

di elettrobisturi con elettrodo a sfera o con elettrobisturi ad

argon. I sanguinamenti vascolari anche se provenienti da

piccoli vasi vanno trattati con legature in seta 3/0. Le

lesioni intraoperatorie più temibili sono le lesioni dei vasi

venosi iliaci, della cava e delle sovraepatiche; in tutti i casi

tali lesioni vanno trattate con sutura vascolare continua

con filo 5/0 di prolene. I danni vascolari sopra descritti

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non avvengono mai per lesione diretta da parte del

chirurgo ma più spesso nel tentativo di asportare residui di

tessuto neoplastico. Possono risultare di difficile

riparazione se dovuti a lacerazione; in questi casi è

preferibile effettuare una emostasi temporanea digitale ed

una riparazione con sutura vascolare non riassorbibile. Il

tentativo di clampaggio vascolare non solo è molto

difficile da attuare ma può essere causa di ulteriori lesioni

a monte.

Perforazioni vescicali e lesioni ureterali :

Durante la dissezione del peritoneo prevescicale nella sua

parte superiore è possibile, qualora sia particolarmente

adeso alla vescica o siano presenti noduli di carcinosi

infiltranti la muscolare, provocare lesioni della parete

vescicale che possono essere suturate direttamente senza

alcun problema con suture riassorbibili a lungo termine.

Nella dissezione dello scavo, a ridosso della parete

anteriore della vagina nella donna o del retto nel maschio,

sono possibili, anche se rare, lesioni in sede trigonale che

debbono essere anch’esse suturate ma, per una maggiore

sicurezza sulla tenuta, associate al posizionamento o di

cateteri ureterali fatti fuoriuscire direttamente da due

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piccole brecce vescicali o da stent tipo mono J trans

uretrali che permettano la detersione del trigono evitando

la raccolta di urine in vescica. Il posizionameno di un

catetere vescicale a permanenza, in questi casi non

assicura una completa detersione vescicale, anzi, la

presenza del pallone potrebbe provocare, decubitando,

una mancata cicatrizzazione del trigono.

In caso di lesioni ureterali, durante la dissezione dello

scavo pelvico o all’incrocio con i vasi iliaci , queste

debbono essere riparate mediante sutura a punti staccati

4/0 extramucosa con filo non riassorbibile posizionando

uno stent doppio J che ne assicuri la tenuta. Per evitare

lesioni iatrogene dell’uretere, nei casi in cui la TC abbia

dimostrato compressione ureterale senza idronefrosi di

notevole entità riteniamo utile il posizionamento, prima

dell’intervento, di cateteri ureterali tipo Pollack che

possono essere rimossi a fine intervento. Nei casi di

compressione o depiazzamento ureterale con idronefrosi

mono o bilaterale preferiamo posizionare prima

dell’intervento stent ureterali doppio J.

Perforazioni diaframmatiche

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La dissezione del peritoneo diaframmatico, quando

quest’ultimo non presenta una carcinosi “a tappeto” può

risultare disagevole per l’esiguo spessore peritoneale e

sono possibili perforazioni diaframmatiche iatrogene.

Nei casi in cui le lesioni avvengano in tessuto “sano” o

siano di piccole dimensioni da 5mm a massimo 1 cm,

possono essere suturate direttamente. Quando la lesione

diaframmatica iatrogena:

a- Sia di dimensioni maggiori di un centimetro

b- Si presupponga che dalla breccia vi sia stato

passaggio di liquido peritoneale o sangue con

contaminazione della cavità toracica

c- Sia stata provocata in una zona ricca di carcinosi

la breccia diaframmatica deve essere lasciata aperta

durante la per fusione, affinché il chemioterapico

raggiunga anche la cavità toracica onde evitare l’impianto

di cellule neoplastiche in cavità pleurica con comparsa di

recidiva di malattia intratoracica.

Ischemie degli organi cavi

Può accadere che durante la dissezione di neoformazioni

neoplastiche a ridosso del mesentere o della piccola curva

gastrica vengano accidentalmente o per necessità sezionati

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dei vasi. E’ fondamentale in questi casi, dopo aver

effettuato il tempo di perfusione, attuare un controllo

meticoloso degli organi cavi; sarebbe infatti imperdonabile

lasciare in sede tratti di tenue, colon o stomaco in preda a

lesioni ischemiche che evolverebbero sicuramente nel

postoperatorio in perforazioni. L’osservazione, e la

revisione della cavità deve necessariamente, in questi casi,

essere fatta dopo la perfusione, poiché l’insulto del

chemioterapico a carico di organi parzialmente

ischemizzati risulta essere maggiore, e lesioni ischemiche

non visibili prima della perfusione possono risultare

evidenti dopo di essa.

Nei casi di sofferenza vascolare evidente di un organo

cavo sarà quindi necessario effettuare una resezione con

conseguente aumento del rischio di morbilità

postoperatoria per la presenza di una o più anastomosi.

COMPLICANZE POSTOPERATORIE

Le complicanze postoperatorie dopo intervento di

peritonectomia totale raggiungono in alcune statistiche il

30% e si distinguono in Sistemiche e Locali.

Le sistemiche originano dalla combinazione di diversi

fattori legati alla risposta del paziente al trauma chirurgico

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e chemioterapico che vanno a sovrapporsi a deficit

preesistenti dovuti spesso a precedenti chemioterapie.

Le complicanze locali sono invece il diretto portato del

trattamento chirurgico, in alcuni casi imperfetto, e

dell’effetto tossico della chemioipertermia su strutture

anatomiche già traumatizzate dall’intervento.

Complicanze sistemiche:

La chemioterapia accentua i fenomeni normalmente

attivati dal trattamento chirurgico che si associano a

tossicità specifiche dei farmaci usati e sono:

a- Accentuata risposta infiammatoria

b- Catabolismo accentuato

c- Immunodepressione

d- Danno epatico, renale,della membrana alveolo

capillare e midollare

Si potranno osservare quindi nel postoperatorio una

sequela di complicanze sistemiche che normalmente

vengono evidenziate dopo interventi di chirurgia maggiore

ma che in questi pazienti si presentano con maggiore

frequenza e aggressività.

Polmonari

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Il versamento pleurico, dopo peritonectomia estesa ai

diaframmi seguita da perfusione ipertermico antiblastica, è

la regola. Per questo motivo a fine intervento vengono

sempre posizionati due drenaggi pleurici subito sopra ai

diaframmi che serviranno nel postoperatorio

all’evacuazione del versamento reattivo. La causa della

non infrequente osservazione di processi

broncopneumonici è dovuta a diversi fattori che

predispongono il paziente ad infezioni del tratto

respiratorio che sono:

1) La lunga ospedalizzazione con sovrapposizione di

infezioni nosocomiali.

2) La degenza postoperatoria in terapia intensiva

soprattuttto nei casi in cui il paziente venga

estubato oltre le 12h postoperatorie

3) La mancata attuazione di una precoce terapia

riabilitativa della dinamica respiratoria

Il trattamento di queste complicanze non può prescindere

dall’uso di antibiotico terapia che però da sola spesso non

riesce a risolvere la problematica in tempi brevi. Sarà utile

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nei casi a risoluzione lenta effettuare un esame

broncoscopico con broncoaspirazione che permette:

1) Una disostruzione anche reiterata dell’albero

bronchiale con riespansione delle zone

atelectasiche

2) Tipizzazione, attraverso coltura ed antibiogramma

del secreto bronchiale dei germi responsabili

dell’infezione

3) Attuazione di una terapia antibiotica specifica e

mirata.

La FKT respiratoria precoce andrebbe attuata in tutti i

pazienti, non solo per prevenire patologie polmonari, ma

anche per facilitarne la risoluzione quando già in atto; va

ricordato, infatti che in questi casi, i processi infettivi

riguardano nella quasi totalità le basi polmonari, poiché la

peritonectomia diaframmatica ne provoca la ipomobilità .

Dopo la rimozione dei drenaggi toracici, è possibile

talvolta osservare un versamento pleurico tardivo o

recidivante spesso discrasico; tali versamenti vanno

evacuati solo se incidono negativamente sulla dinamica

respiratoria e sono di cospicua entità ( maggiori di 500cc).

Preferiamo effettuare sempre una toracentesi ecoguidata

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che permette la completa evacuazione del versamento

portando quasi a zero il rischio di PNX dovuto alla

procedura. Un PNX in questi pazienti obbligherebbe al

posizionamento di un nuovo drenaggio pleurico con

aumento del rischio di infezioni e peggioramento della

mobilità del paziente.

Embolie

Tutti i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia

maggiore vengono ormai trattati con profilassi

antitrombotica che ha diminuito notevolmente l’incidenza

di questa complicanza; è infatti sempre più raro osservare

embolie polmonari massive. Va ricordato però che questi

pazienti, spesso sottoposti anche a splenectomia, possono

presentare nel postoperatorio una piastrinosi.

L’osservazione nel postoperatorio di dispnea acuta, con o

senza modificazioni dell’ECG ed innalzamento del dimer

test, deve comunque sempre far pensare ad una embolia

polmonare. In tutti i casi è indispensabile escludere tale

complicanza con scintigrafia polmonare perfusionale

eventualmente associata a scintigrafia ventilatoria. E’

infatti possibile osservare microembolie polmonari, anche

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in assenza di foci emboligeni quali trombosi dei vasi

venosi degli arti o trombosi cavale, che vanno comunque

esclusi mediante un esame ecocolordoppler. Quando ci si

trova di fronte ad un paziente con microembolia

polmonare postoperatoria precoce, la scelta terapeutica è

quanto mai difficile poiché l’utilizzazione di eparina

sodica e.v. è a rischio di ulteriori complicanze

emorragiche soprattutto in questi pazienti che spesso,

come vedremo, presentano deficit dei fattori della

coagulazione. Fortunatamente, è oggi possibile attuare, nei

casi di microembolia nell’immediato postoperatorio, una

terapia di supporto basata sulla somministrazione di O2

attraverso venti mask, raddoppiando i dosaggi dell’

eparina a basso peso molecolare e mantenendo il paziente

“asciutto”, associando eventualmente furosemide per

evitare la sovrapposizione di un polmone umido. Nelle

embolie polmonari di più grave entità, dimostrate alla

scintigrafia e confermate alla TC multistrato, riteniamo

utile una angiografia selettiva con posizionamento di

catetere a permanenza ed infusione di urochinasi

locoregionale.

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Disturbi coagulativi

Dopo perfusione ipertermico antiblastica è facile osservare

disturbi coagulativi probabilmente causati dall’azione

della perfusione e dall’assorbimento del chemioterapico

dalle superfici cruentate con aumento dell’INR,

diminuzione dell’ATIII e aumento del fibrinogeno. La

coagulazione in questi pazienti non deve essere alterata

pena complicanze addominali quali le emorragie a carico

delle superfici cruentate durante l’intervento con

formazione di raccolte ematiche endoaddominali. A tale

scopo riteniamo indispensabile il controllo giornaliero,

almeno nella prima decade postoperatoria, del panel della

coagulazione facendo maggior attenzione ai valori

dell’ATIII e dell’ INR. La somministrazione di ATIII e.v.

associata ad infusioni di plasma a dosaggio terapeutico

(1200cc per un paziente di 70 kg), con eventuale aggiunta

di Vitamina K fino a normalizzazione stabilizzata dei

valori. Dopo splenectomia si assiste spesso ad un effetto

paradosso dove i suddetti deficit coagulativi si associano a

piastrinosi. Riteniamo quindi utile proseguire sempre la

terapia con eparine a basso peso molecolare, reintegrando

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di volta in volta i fattori della coagulazione deficitari ed

associando nei casi più eclatanti antiaggreganti piastrinici.

COAGULAZIONE INTRAVASALE DISSEMINATA

(CID)

La CID si presenta, in questi pazienti più spesso nel

postoperatorio precoce ed è stata già trattata nel capitolo

relativo alla terapia intensiva postoperatoria.

Crediamo sia utile rimarcare in questa sede come i

pazienti sottoposti ad intervento di peritonectomia siano

particolarmente esposti alla CID poiché i processi

infiammatori postoperatori e soprattutto

postchemioterapici inducono una risposta particolarmente

importante delle citochine e soprattutto del TNF (Tumor

Necrosis Factor).

Gli effetti sistemici del TNF sono:

• agendo sulle regioni regolatorie dell'omeostasi

termica nell'ipotalamo induce la sintesi di

prostaglandine che provocano un innalzamento del

set-point ipotalamico, e quindi ipertermia. (

Pirogeno endogeno)

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• Stimola i fagociti mononucleati a produrre IL-1 e

IL-6. (Cascata di Citochine indotta da TNF).

• Stimola gli epatociti a produrre le Proteine di Fase

Acuta

• Attiva la Coagulazione

• Inibisce la replicazione delle cellule staminali del

midollo osseo

Dobbiamo poi evidenziare come la presenza di una

infezione da gram negativi che producono LPS peggiori

notevolmente la situazione poiché l’LPS attiva a cascata il

TNF che a sua volta attiva l’IL1 e l’ IL6 ( interleuchina 1 e

6).

La risposta a questi fattori in alte dosi provoca:

• Riduzione della Perfusione Tissutale in seguito a:

- Depressione della contrattilità miocardia

- Riduzione della Pressione Arteriosa

- Rilascio del tono della muscolatura liscia vasale, sia direttamente che indirettamente, stimolando la produzione da parte dell'endotelio di sostanze vasodilatatrici come l'ossido nitrico (NO).

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• Trombosi intravascolare e CID

• Causa gravi disturbi metabolici, quali

abbassamento della glicemia fino a valori

incompatibili con la vita

La prevenzione di questa temibile complicanza si basa sul

rilevamento giornaliero dei valori della coagulazione ed in

particolare dell’Antitrombina III . La ricerca meticolosa di

infezioni, soprattutto da gram negativi, al minimo sospetto

con monitoraggio batteriologico delle secrezioni corporee

(sangue, urine, drenaggi) ed al loro trattamento con

antibiotico terapia mirata.

COMPLICANZE LOCALI

Emorragie

Le complicanze emorragiche possono presentarsi nel

postoperatorio precoce come emorragie acute o nel

postoperatorio tardivo come anemizzazioni croniche, le

prime, fortunatamente molto rare, sono emorragie

cataclismatiche e vengono evidenziate dalla presenza di

sangue rosso vivo in uno o più drenaggi addominali.

Queste necessitano di un intervento immediato d’urgenza

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teso all’arresto dell’emorragia. Le cause più frequenti

delle emorragie acute sono dovute alla mancata tenuta

delle legature dei peduncoli vascolari dopo la resezione

di organi addominali quali il colon, la milza e lo stomaco.

La causa della mancata tenuta delle legature vascolari è

spesso da ascriversi all’effetto della chemioipertermia sul

laccio stesso. Preferiamo infatti effettuare legaure critiche

( art.gastrica sin, mesenterica, splenica ) con lacci in seta

3/0 o 2/0 che non vengono alterati nè dal calore nè dal

chemioterapico vista la struttura del filo che tende, se

sottoposto all’azione di un liquido ad imbibirsi, ad

aumentare di volume e stringere sul nodo.

Meno drammatiche sono le emorragie dovute al

sanguinamento tardivo delle superfici cruentate, più

frequenti tra tutte quelle in sede sottodiaframmatica e

pelvica. Queste emorragie si presentano con

anemizzazione progressiva del paziente che deve essere

prontamente trattata con emotrasfusioni. Le concause di

questa complicanza sono da ricercarsi in disturbi aspecifici

della coagulazione relativi a deficit di antitrombina III

dovuta alla chemioipertermia. L’infusione di plasma

fresco e AT III il più spesso risolve tali problemi

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emorragici. In alcuni casi è possibile che l’emorragia a

nappo dei diaframmi o dello scavo pelvico evolva nella

formazione di una raccolta di coaguli in tale sede. In corso

di una anemizzazione lenta ma progressiva è utile

effettuare un esame TC multistrato dell’addome per la

ricerca di raccolte ematiche. L’indicazione al trattamento

chirurgico di tali raccolte è legato a due fattori : la

mancata risposta al trattamento medico

dell’anemizzazione o la presenza di febbre associata con

una evidenza tc di raccolte ematiche organizzate.

E’ indispensabile per diminuire l’incidenza delle

complicanze emorragiche, quando si utilizza la tecnica

open di perfusione sec. Sugarbaker, effettuare un

meticoloso controllo post perfusione di tutto l’addome

tamponando le logge addominali con pezze laparotomiche

che debbono essere rimosse una alla volta perfezionando

l’emostasi settore per settore. L’uso di colla di fibrina per

il trattamento di emorragie a nappo non è indicato dopo

peritonectomia con perfusione, poiché la colla di fibrina

tende ad intrappolare eventuali cellule neoplastiche libere

in peritoneo e vitali che potrebbero essere causa di

recidiva locale.

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Fistole

Le fistole entero cutanee, come le perforazioni in cavità

sono dovute all’effetto necrotizzante della

chemioipertermia su i noduli neoplastici

intraoperatoriamente trattati con elettrofolgorazione. Le

Fistole possono presentarsi come una modica perdita di

materiale enterico al livello dell’incisione mediana, da un

drenaggio addominale o come vere e proprie fistole

enteriche ad alta portata. Riteniamo che debbano essere

trattate con reintervento chirurgico solo le fistole ad alta

portata con ripercusssione sulle condizioni generali del

paziente, febbre e perdite idroelettrolitiche tali da non

poter essere tranquillamente gestite con reinfusione di

liquidi e sali. Utilizziamo in tutti i casi di fistola enterica

senza indicazione a reintervento il mantenimento della

NPT con aggiunta di somatostatina al dosaggio di 6

mg/24h in pompa infusionale. L’eventuale reintervento

deve tendere alla risoluzione della fistola evitando

enastomosi enteriche: preferiamo quindi, nelle fistole del

tenue distale sempre il confezionamento di una ileostomia,

negli altri casi, in presenza di tessuto vitale con

perforazione di piccole dimensioni, l’affondamento della

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perforazione e solo nei restanti casi la resezione-

anastomosi dell’ansa sede di fistola . Tutti i reinterventi

per fistola dovrebbero essere effettuati se possibile su

fistole stabilizzate e quindi dopo almeno 7 gg di terapia

medica semprechè queste non siano, come già detto, ad

alta portata o con diffusione di materiale enterico in cavità

( più drenaggi secernenti in più logge addominali).

Perforazioni

Le perforazioni del tubo digerente dopo peritonectomia

con chemioipertermia sono dovute a due cause principali:

problemi di vascolarizzazione e perforazione per effetto

necrotizzante del chemioterapico su noduli neoplastici

trattati intraoperatoriamente con elettrofolgorazione.

Le perforazioni gastriche e duodenali sono causate, nella

maggior parte dei casi, da disturbi vascolari dovuti alla

“pulizia” della regione periduodenale, del peduncolo

epatico, della grande e della piccola curva gastrica e della

retrocavità degli epiplon; infatti durante la dissezione della

neoplasia in questi settori anatomici è spesso necessario

sacrificare alcuni peduncoli vascolari quali

a.gastroduodenale, a. gastroepiploica e/o a.gastrica dx.

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Quindi dopo tali dissezioni, lo stomaco ed il duodeno

restano vascolarizzati esclusivamente dall’A.gastrica

sinistra e dall’A.pancreaticoduodenale. Una valutazione

accurata dell’organo dopo dissezione e dopo

chemioipertermia permette di escludere con una bassa

percentuale di errore le condizioni dello stomaco e del

duodeno. Nel caso in cui a fine procedura lo stomaco o il

duodeno superiore presentino scarsa vascolarizzazione è

indicata l’associazione di una gastroresezione pur sapendo

che tale procedura incide sulla morbilità totale.In caso di

perforazione acuta gastrica o duodenale l’intervento deve

essere effettuato d’urgenza; la scelta del tipo di

trattamento chirurgico è legata esclusivamente alle

condizioni locali del viscere: affondamento della lesione

perforativa in caso perforazioni recentabili o difficoltà di

mobilizzazione per sindrome aderenziale precoce,

resezione solo nei casi in cui l’organo sia facilmente

mobilizzabile e si preveda una buona tenuta delle

anastomosi. Il posizionamento del sondino nasogastrico a

scopo decompressivo è fondamentale per la tenuta

dell’affondamento o delle anastomosi.

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Le perforazioni del tenue sono invece dovute nella quasi

totalità dei casi all’effetto necrotizzante della

chemioterapia su noduli neoplastici elettrofolgorati

all’intervento e seguono i criteri di trattamento descritti

per le fistole.

Occlusioni

Le cause di occlusione postoperatoria dopo peritonectomia

sono dovute a tre cause principali che sono:

1) Mancata citoriduzione CC0 con residui noduli

neoplastici sul tenue o sul suo meso che aderendo tra loro

provocano lo strozzamento dell’ansa, o a causa di

progressione precoce di malattia tendono a stenotizzare

l’ansa stessa.

2)Volvoli

3) Sindrome aderenziale postoperatoria con aderenze

viscero viscerali o incarceramento di anse sulle superfici

cruentate dello scavo pelvico o della parete addominale.

Prima di definire un paziente sottoposto a peritonectomia

“occluso”, è necessario valutare bene la situazione clinica

poiché a causa del lungo e traumatizzante intervento

subito, nonché a causa della chemioipertermia è comune

osservare anche un notevole ritardo della canalizzazione..

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E’ frequente confondere un ileo paralitico, prolungato in

questi pazienti, da un ileo meccanico. In alcuni casi l’ileo

può prolungarsi anche per più di una settimana rimanendo

nella normalità. Clinicamente si parla di ileo meccanico

solo in presenza della sintomatologia classica : dolore,

ristagno e peristalsi vivace almeno in un quadrante

addominale. Crediamo che questa complicanza debba

essere prevista in tutti i casi di citoriduzione incompleta

del tenue e paradossalmente nei casi in cui per ottenere

una buona citoriduzione sia stato necessario trattare con

elettrovaporizzazione ampie aree del margine libero del

tenue o del suo meso. Prima di procedere a reintervento,

crediamo debbano essere messi in atto tutti i presidi

medici del caso siano essi farmacologici che meccanici,

uso di procinetici, prostigmina, clisteri per via naturale o

attraverso le stomie, uso di catartici preferibilmente oleosi

per os. In caso di mancata risoluzione della sindrome

occlusiva dopo tali terapie, sarà necessario procedere al

reintervento avendo, attraverso un esame radiologico con

contrasto (clisma attraverso la stomia o seriato del tenue)

quando possibile localizzato la sede dell’ostruzione per un

miglior approccio chirurgico. In tutti i casi di reintervento

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si tenderà ad evitare nuove anastomosi procedendo ad una

attenta viscerolisi e confezionando, se l’ostruzione è a

carico del tenue distale, una ileostomia dopo aver resecato

il tratto stenotico. Qualora ci si trovi costretti al

confezionamento di una anastomosi, questa deve essere

fatta in tessuto sicuramente sano, controllando eventuali

substenosi a monte e a valle.

Pancreatiti

Le pancreatiti dopo intervento di peritonectomia sono

sempre in agguato, e spesso, anche in un postoperatorio

ideale, si osservano aumenti delle amilasi e delle lipasi

sieriche. Fortunatamente solo in rari casi ci si trova di

fronte a vere pancreatiti postoperatorie. La causa

scatenante della pancreatite postoperatoria in questi

pazienti è da ricercarsi nell’insulto dovuto alla

chemioipertermia, soprattutto se il drenaggio di inflow è

stato posizionato in sede sovramesocolica o a ridosso del

pancreas o a lesioni anche minime e superficiali della

capsula pancreatica durante l’intervento chirurgico.

Appare chiaro come sia indispensabile controllare il buon

posizionamento dell’inflow durante la perfusione.

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Soprattutto con la tecnica aperta, durante le manovre di

rimescolamento del perfusato, è possibile la dislocazione

del dranaggio che deve essere sempre controllato e

riposizionato a congrua distanza dal pancreas.

Per quanto riguarda le pancreatiti a bassi valori di

amilasemia e lipasemia, crediamo si tratti esclusivamente

di modificazioni sieriche relative alla metodica che non

debbono essere trattate farmacologicamente.

In caso di valori di amilasemia almeno 3 volte maggiori

del normale riteniamo utile inserire in terapia il “gabesato

mesilato“ al dosaggio di 9 fiale die (900 mg) in infusione

continua nelle 24h in pompa.Le pancreatiti post

peritonectomia necessitano di intervento chirurgico solo

nei casi in cui sia presente una raccolta addominale infetta

e mal drenata, o nei casi di pancreatite emorragica. Il

reintervento deve tendere, se presenti raccolte infette, alla

loro rimozione con posizionamento di drenaggi multipli

che permettano una irrigazione lavaggio della loggia

pancreatica. Le lesioni chirurgiche della capsula

pancreatica possono evolvere in fistole pancreatiche a

bassa portata che si risolvono in genere lasciando in sede il

drenaggio posizionato all’intervento o effettuando un

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drenaggio per cutaneo in presenza di raccolte tardive,

dopo la rimozione dei drenaggi operatori. Il tempo medio

di guarigione di queste fistole è di 3 settimane.

Deiscenze anastomotiche

La perfusione aperta con il metodo di Sugerbaker prevede

il confezionamento delle anastomosi a fine procedura

(motivazioni esposte nel capitolo tecnica di perfusione),

quindi su anse intestinali, esofago distale, monconi colici

etc edematosi ed imbibiti; nella perfusione chiusa, di

contro, le strutture anatomiche anastomizzate si

edemizzano dopo la perfusione. In entrambi i casi si tratta

di anastomosi a rischio poiché se l’anastomosi viene

confezionata dopo la perfusione, su tessuto edematoso, la

sutura può traumatizzarlo tanto da incidere sulla sua

vascolarizzazione e una volta ridotto l’edema i punti

posizionati possono risultare “ lenti”. Nel caso di

perfusione chiusa, l’edema postperfusione crea una

tensione sulla sutura stessa con possibilità di sofferenza

ischemica. Da quanto sopra si evince che tutte le suture

confezionate in corso di peritonectomia sono a rischio di

deiscenza. Unica indicazione, che possiamo dare è di

effettuare solo le suture indispensabili, non eccedere nelle

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resezioni intestinali e confezionare suture con suturatici

meccaniche che permettono una buona adeguatezza,

ripetibilità dell’atto chirurgico e standardizzazione. Se

l’anastomosi gastrodigiunale dopo gastrectomia deve

essere effettuata, in un paziente al quale abbiamo praticato

una colectomia totale e una resezione di un tratto di

tenue,è preferibile effettuare una ileostomia terminale

affondando il moncone rettale. Una volta chiarita la

problematica intraoperatoria possiamo rivolgerci al

trattamento delle deiscenze vere e proprie. Crediamo che

la spia di una deiscenza siano i drenaggi e la diagnosi sia

simile a quanto abbiamo esposto per le fistole e le

perforazioni. In presenza di una deiscenza anastomotica

del tenue distale, ribadiamo come trattamento principe

l’ileostomia. Ben complesso è il trattamento chirurgico

delle deiscenze gastrodigiunali che vanno trattate con

totalizzazione gastrica poiché sempre causate da scarsa

vascolarizzazione dell’organo. Le deiscenze esofago

digiunali sono sicuramente le più gravi e necessitano

anch’esse del riconfezionamento dell’anastomosi in

tessuto sicuramente sano. Il posizionamento di nuovi

drenaggi è spesso necessario.

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Un trattamento separato meritano le deiscenze del

moncone duodenale affondato; in questi casi è necessario

provvedere al riaffondamento del duodeno associato a

digiunostomia di decompressione o nei casi in cui non sia

possibile, riaffondare il confezionamento di una

duodenostomia. E’ chiaro che il reintervento dovrà essere

effettuato solo nei casi di fistole ad alta portata, non

completamente drenate, in pazienti settici e comunque

messi in atto tutti i presidi medici che possano risolvere la

deiscenza: NPT, antisecretivi,digiuno,drenaggio in

aspirazione etc. Le deiscenze duodenali ed esofago

digiunali vedono la più alta mortalità postoperatoria tra

tutte le complicanze della peritonectomia.

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PROBLEMATICHE DI TERAPIA INTENSIVA

POSTOPERATORIA

I. Tesei, G. Gristina, S. Savignano

INTRODUZIONE La chirurgia oncologica, con l’adozione di tecnche combinate di citoriduzione chirurgica e chemioterapia ipertermica intra e perioperatorie in pazienti con neoplasie intraperitoneali estese,oltre a dare una speranza di sopravvivenza ad un numero maggiore di persone , ci porta ad affrontare una serie di problematiche in parte nuove e sempre più complesse in rapporto alla demolitività delle tecniche, alla durata degli interventi ed alla tossicità dei farmaci impiegati Una delle conseguenza della complessità è che questi pazienti sono candidati, dopo l’intervento chirurgico, ad un soggiorno più o meno prolungato in Rianimazione, anche in considerazione delle condizioni cliniche legate all’avanzamento della malattia neoplastica ed alle patologie comitanti.

Vari specialisti ( chirurgo, oncologo, anestesisti, rianimatori, cardiologo, pneumologo) devono formulare una attenta valutazione multidisciplinare del rischio operatorio e porre una corretta indicazione chirurgica che porti all’ammissione a questi protocolli terapeutici così invasivi, solo pazienti con realistiche possibilità di sopravvivenza e che non abbiano, già in partenza, condizioni che possano rendere oltremodo problematico l’affrancamento dai supporti intensivi .

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Ciò premesso occorre comunque essere consci del fatto che nella maggior parte dei casi ci si verrà a trovare di fronte a pazienti ad altissimo rischio e difficili da gestire e, seppure le condizioni cliniche pre operatorie fossero ottimali, l'invasività dell'intervento imporrebbe l'adozione di trattamenti e monitoraggi adeguati.

Condizioni cliniche del paziente In linea di massima l'emodinamica deve essere stabile e la valutazione cardiologica con ecocardiografia deve aver escluso cardiomiopatie in compenso troppo labile, angina instabile e cardiopatie ischemiche gravi..Per quanto possibile, in relazione anche al fatto che la progressione della malattia non consente una preparazione farmacologica pre-intervento di lunga durata, la stabilizzazione del paziente sul piano cardiologico con betablocco a bassi dosaggi negli ischemici con buona FE, e con antiaritmici, vasodilatatori e diuretici nei pazienti in compenso labile,.deve avvenire in tempi relativamente rapidi.

Occorre porre particolare attenzione ai pazienti affetti da BPCO severe o con esiti di radioterapie; lo studio pre operatorio prevede sempre RX e TAC torace, Prove di Funzionalità Respiratoria ed EGA

Lo stato nutrizionale,e la crasi ematica devono essere attentamente valutati, specie in caso di ascite ed altre patologie che comportino perdite preoteiche copiose. Qualora fosse necessario , può essere utile un periodo di integrazione nutrizionale con NPT pre operatoria. Intervento chirurgico L’intervento chirurgico è sempre demolitivo, con numerose resezioni intestinali,gastrectomia splenectomia,colecistectomia omentectomia,

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isteroannessectomia e peritonectomie tra loro combinate a seconda dei singoli casi; l’intervento si protrae per molte ore e grandi sono le perdite ematiche e di liquidi attraverso il campo operatorio. L’ipotermia , prima della perfusione calda dei chemioterapici, è la regola; a questa segue lo shock termico del rapido riscaldamento del cavo addominale e quindi la vasodilatazione e la caduta delle resistenze vascolari periferichee che rende necessario espandere rapidamente la volemia.

La reintegrazione prevede l'uso di sangue e plasma fresco congelato oltre che cristalloidi e colloidi.( alcuni usano albumina al 5% ma nel nostro Reparto si tende a farne un uso molto ridotto sia per i costi elevati che per la sua discussa efficacia) La chemioterapia intraoperatoria induce una ridotta risposta immunitaria che associata alla estese speritoneizzazioni , alle viscerolisi e alle possibili microperforazioni dell’intestino, espone il paziente ad un rischio elevato di infezioni intraddominali. Chemioterapia intraoperatoria I chemioterapici, anche se somministrati localmente, vengono assorbiti dal peritoneo e dai tessuti cruentati e hanno una notevole tossicità anche acuta.

In particolare il Cisplatino può causare insufficienza renale e mielosoppressione, laDoxorubicina è anche dotata di notevole cardiotossicità e ,seppur raramente, si sono osservate insufficienze cardiache acute per forti dosi di questo farmaco.

La Mitomicina può causare disturbi della coagulazione e trombocitopenie.

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Occorre tenere presente che la azione tossica, in particolare sui reni può essere esacerbata anche da un ridotto flusso ematico renale ed una maggiore concentrazione del farmaco per riduzione della volemia; per tale motivo si impongono una iper idratazione ed un sostegno emodinamico che consenta di mantenere un elevato flusso ematico renale e urinario intra e peri operatorio (400 ml/h); a tale scopo si somministrano anche furosemide o mannitolo. Questa lunga premessa ci serve a meglio comprendere quali siano le problematiche da affrontare al termine dell'intervento e all’ingresso del paziente in terapia intensiva:

1. una volemia che può essere, notevolmente aumentata e con una notevole imbibizione tessutale e polmonare o al contrario isufficiente e con una ridotta perfusione periferica;

2. l'ossigenazione può essere alterata e il trasporto di ossigeno ridotto, per l’effetto, a volte combinato, di una riduzione del livello di emoglobina e di una gittata cardiaca insufficiente. Ne può derivare ipoossigenazione dei teritori sopratutto splancnici;

3. si può avere una coagulopatia da consumo e/o una CID o si possono avere gravi sanguinamenti a causa dell’ipotermia, ecc.

Questo capitolo non può essere certamente esaustivo nell’affrontare tutte le possibili problematiche che possono presentarsi nel post operatorio di questi interventi chirurgici, ma si propone di fornire a chi affronta queste complesse patologie, un orientamento di base relativamente alle tecniche di supporto e alle terapie utilizzate nella gestione clinica in Rianimazione. Saranno affrontati in particolare i seguenti aspetti:

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Emodinamica( volemia e funzioinalità cardiaca ) Respirazione Alterazioni della coagulazione Trattamento antibiotico Nutrizione Analgesia Il primo punto da affrontare è ovviamente la monitorizzazione perchè la rapida identificazione e comprensione delle problematiche cliniche in rianimazione rappresenta il presupposto fondamentale per poterle risolvere efficacemente. MONITORIZZAZIONE Il nostro standard prevede per tutti i pazienti che entrano nel centro di rianimazione una monotorizzazione dell’ECG una pressione arteriosa invasiva , la presione venosa centrale ,SPO2 , EtCO2, la diuresi oraria la temperatura corporea con sonda vescicale.

È’ un livello di monitorizzazione basale sufficente a consentire una adeguata valutazione dello stato clinico di un paziente sufficentemente stabile ed inoltre è sostanzialmente analogo allo standard di monitoraggio utilizzato durante l’intervento chirurgico. In casi selezionati, in rapporto a particolari difficoltà di stabilizzazione emodinamica o nei pazienti con patologie polmonari o cardiache preesistenti, si posiziona per le prime 24 ore un catetere di SWAN-GANZ che ci consente di avere un quadro più completo e di valutare: gittata cardiaca, resistenze vascolari periferiche e polmonari, pressione dell’arteria polmonare, pressione di incuneamento, SVO2 e, DO2 e conseguentemente di avere

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una idea più precisa della volemia , della funzionalità cardiaca , del circolo sistemico polmonare, e della adeguatezza del trasporto di ossigeno ai tessuti. Un altra metodica di indubbia efficacia e con una invasività minore (che pero’ noi non utilizziamo) è il monitoraggio emodinamico con apparecchi tipo PICCO, che consente di ottenere una valutazione della pressione arteriosa, della gittata cadriaca,delle resistenze vascolari periferiche e del contenuto di acqua polmonare con la cateterizzazione dall arteia femorale. Dove è possibile, nei pazienti non gastrectomizzati la tonometria gastrica ci consente di ottenere dati attendibili e molto utili sulla perfusione e ossigenazione splancnica rappresentando una ottima guida al riempimento del circolo ed alla utilizzazione delle amine vasoattive. L’analisi del tratto ST, che viene inserita per tutti i pazienti nel montiraggio di base, risulta perticolarmente utile nei pazienti con patologie ischemiche.

EMODINAMICA

I pazienti provenienti dalla camera operatoria dopo un intervento durato molte ore e generalmente caratterizzato da perdite ematiche molto ingenti, dispersione di calore e rapido riscaldamento, somminstazione di sostanze chemioterapiche ed infusioni massive di cristalloidi, colloidi, emoderivati , presentano una instabilità emodinamica spesso causata da alterazioni della volemia e della contrattilità miocardica. Volemia:

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una detrminazione corretta della volemia potrebbe essere possibile solo con teniche della misurazione della diluizione con verde indocianina, il che non sempre è fattibile. Una misurazione indiretta ma approssimativa è possibile ricavarla misurando gli efetti della volemia sul circolo con il monitoraggio emdinamico eseguito con catetere di Swan Ganz.

Si possono verificare tre situazioni . 1) Normovolemia con pressione di incuneamento

(WEDGE PRESSURE-PWP) normale, resistenze vascolari sistemiche (RVS) e resistenze vasolari polmonari (RVP) nei limiti e con gittata cardiaca (Cardiac Output) normale.

2) Ipovolemia con tachicardia PWP,CO basse e RVS elevate per effetto della vasocostrizione cutanea e splancnica

3) Ipervolemia con PWP elevate CO e PAP elevate e conseguente ristagno di acqua extravascolare polmonare e conseguente riduzione della SVO2.e PaO2.

Contrattilità miocardica Dobbiamo sempre tenere presente l’influenza della contattilità del miocardio in caso di instabilitèà emodinamica: per entrambe le situazione di iper o ipovolemia potremo avere una gittata cadiaca più o meno diversa da quella prevedibile in rapporto alla cinesi cardiaca preoperatoria , a causa dell’effetto miocardio-depressivo dell’ ipotermia , e dell’’uso dei chemioterapici cardiotossici. Il trattamento della instabilità emodinamica è evidentemente dettato dalle risultanze dei rilevamenti efettuati in rapporto al tipo di monitoraggio disponibile.

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I fondamentali presidi sono rappresentati da fluido terapia (colloidi, cristalloidi ed emoderivati) e amine vasoattive; a questi va sempre aggiunto il riscaldamento dei liquidi del paziente se vi è ipotermia . Amine La Dobutamina viene quasi sempre somministrata, anche a bassi dosaggi, perchè migliora la performace cardiaca, sia del ventricolo dx riducendo la stasi polmonare , sia del ventricolo sx, aumentando la quantità di ossigeno fornita ai tessuti periferici (DO2); inoltre la dobutamina favorisce la perfusione dei tessuti periferici e sopratutto quella renale . Generalmente non si usa la dopamina per i suoi noti effetti dose dipendenti sulla perfusione splanchica. In caso di difficoltoso controllo della pressione, per mantenere una adeguata perfusione degli organi vitali, in associazione con la dobutamina, si somministra la noradrenalina, la cui infusione deve però essere limitata al più breve lasso temporale possibile; non appena i parametri emodinamici pressori saranno più stabili, la noradrenalina andrà ridotta progressivamente mantenendo la sola infusione di dobutamina. In casi di instabilità estrema si ricorre alla adrenalina che ha una potente azione beta e alfa adrenergica, ma a cui si paga un prezzo elevato nella perfusione degli organi ( rene , fegato, intestino,miocardio). L’infusione di adrenalina può associarsi ad aritmie minacciose e a ipoperfusione del microcircolo e va pertanto limitata a situazioni complesse dove gli altri farmaci si siano dimostrati inefficaci. Non appena possibile l’adrenalina deve essere sostituita con noradrenalina e dobutamina e infine solo dobutamina.

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Fluidoterapia Dosi generose di colloidi (Voluven) e cristalloidi (Ringer ed elettrolitiche), correzione della calcemia e magnesemia, plasma fresco congelato in caso di ipovolemia associata a disturbi della coagulazione da consumo e diluizione dei fattori stabili e labili , sono in genere necessarie. Questi interventi terapeutici comportano però in previsione la necessità di dover rimuovere l’eccesso di liquidi accumulatosi in sede extra vascolare, polmonare in particolar modo, non appena ottenuta la stabiltà del circolo A questo fine si possono urilizzare techiche diuresi forzata provvedendo ad una correzione degli squilibri idroelettrolitici eventualmente determinatisi (ipersodiemia ed ipokaliemia, ipomagnesiemia). Noi ricorriamo molto frequentemente a metodiche di ultafiltrazione continua (CVVH) , in particolare nei casi di alterata distribuzione dei fluidi con incremento del volume extracellulare. Queste situazioni si verificano frequentemente in corso di shock settico o emoragico, ma non sono infrequenti dopo interventi che comportano l’utilizzo di sostanze che possono attivare una cascata infiammatoria simile a quella della sepsi. Il vantaggio delle tecniche di rimozione extracorporea dei fluidi è quello di poterne modulare la sottrazione limitando l’impatto sull’emodinamica, al fine di non alterare la perfusione renale ed il flusso urinario. RESPIRAZIONE Nelle prime ore dopo l’intervento il paziente viene mantenuto in ventilazione controllata con tecniche possibilmente a controllo pressorio per ridurre al minimo il barotrauma (PCV,BPAP,IPPV con autoflow) e con una

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adeguata PEEP per mantenere un reclutamento alveolare massimale; successivamente, in relazione allo stato clinico si può passare in modalità di ventilazione assistita (PSV). Gli scambi gassosi a livello polmonare sono evidentemente molto influenzati dal contenuto di acqua polmonare che può essere aumentato per un eccesso di correzione della volemia o come conseguenza di un periodo di instabilità emodinamica. In questi casi sarà fortemente alterata la diffusione alveolare dell’ossigeno con una bassa PaO2; un indice semplice di questa diffusione alveolare e data dal P/F che è il rapporto tra PaO2 e FiO2 (concentrazione di ossigeno somministrato) il cui valore normale è maggiore di 4OO. Il P/F oltre che dalla inbibizione è influenzato da uno shunt intrapolmonare dovuto ad atelettasie da ostruzione bronchiale o versamenti pleurici che si potranno evidenziare con una radiogafia o una TAC. Per garantire un adeguato trasporto di ossigeno ai tessuti è necessario mantenere un buon contenuto di emoglobina nel sangue ed incrementare la gittata cardiaca e la perfusione periferica mantenendo una condizione moderatamente iperdinamica del circolo con l’uso della dobutamina. Le coseguenze di una ipossiemia e di una ipoperfusione tessutale sono l’instaurarsi di una condizione di sofferenza che può, a causa dell’attivazione di mediatori quali le citokine TNF ecc, indurre una insufficenza multiorganica (MOF) o anche scatenare una CID. ALTERAZIONI DELLA COAGULAZIONE La coagulopatia da consumo, in interventi così demolitivi e con estese aree cruentate e quindi con perdite ematiche

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copiose, rappresenta una conseguenza dell’atto chirungico e non una vera e propria complicanza. Un adeguto ripristino intra e perioperatorio dei fattori della coagulazione mediante l’uso di plasma fresco congelato ed eventualmente piastrine è generalmente necessario in questi interventi. Quale complicanza possibile, in rapporto a diversi fatori scatenanti quali possono essere il traumatismo esteso con lisi di cellule neoplastiche, l’ipoperfusione in seguto a stato di shock emorragico, la chemioterapia ipertermica, si può avere una coagulazioe intravascolare disseminata che sarà diagnosticata in laboratorio da un incremento degli FDP , caduta della ATIII con cosumo di tuti i fattori della coagulazione in particola modo di fibinogeno e piastrine, cui consegue l’allungamento dei tempi di coagulazione fino all’ incoagulabilità del sangue. Clinicamente si avranno emoragie spontanee di tutti i tessuti lesi ,a partire dalle mucose, potrà comparire ematuria ed infine si verificheranno fenomeni microembolici che potranno manifestrsi anche a livello cutaneo. In questi casi di CID conclamata è fondamentale, oltre a rimuovere le cause scatenanti, ripristinare livelli adeguati (circa 80%) della Antitrombina III (ATIII),che è il principale fattore che regola l’attivazione della coagulazione intravascolare; in alternativa occorrerebbe somminstrare eparina, ma questa intervento terapeutico, un tempo raccomandato, si associa molto spesso ad un incremento del sanguinamento stesso. La correzione dei livelli di ATIII si ottiene in parte mediante l’uso di plasma fresco congelato (che rimane il miglior trattamento in quanto fornisce tutti i fattori della coagulazione) e/o con l’uso di fattore concentrato che è di indubbia efficacia, ma ha dei costi piuttosto elevati .

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Un trattamento con ATIII deve essere preventivato per questo tipo di intervento ed in caso di abbassamento dei livelli di ATIII al di sotto dell’ 80% ne è indicata la correzione a scopo preventivo, anche in assenza di una CID conclamata. Il monitoraggio della coagulazione compresa ATIII dovrà essere mantenuto per le prime 24-48 ore TRATTAMENTO ANTIBIOTICO La strategia raccomandata è quella di limitare il più possibile l’utilizzo “protratto” degli antibiotici a scopo profilattico. Per interventi chirurgici “puliti” ci si limita ad una somministrazione profilattica pre e intraoperatoria di antibiotico che sarà rappresentato, nel caso di una peritonectomia, senza apertura di anse intestinali o del colon, ed in cosiderazione del tipo di paziente , da una cefalosporina di I o II generazione ( cefoxitina o cefotetan 2 gr ev) o da una ampicillina con associazione di un inibitore delle beta – lattamasi (per es. augmentin 2.2 gr ev); la dose iniziale , in rapporto alla durata e ad eventuali cospicue perdite ematiche, viene ripetuta nel corso dell’intervento. In caso di associazione con resezioni intestinali e del colon in particolare, ed in presenza di contaminazioni del peritoneo in corso di intervento e per pazienti che non siano degenti da lungo tempo in ospedale e che non abbiano avuto lunghi trattamenti antibiotici, sarà necessaria comunque una antibiotico terapia vera e propria a base di associazione tra penicillina/sulbactam (2.2 gr x 3) e metronidrazolo ( 500 mg x 3) o con una ureidopennicillina ( piperacillina tazobactam 2,2 gr x 4).

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Nel decorso post operatorio, a cominciare dall’ingresso in reparto i nostri Pazienti sono tutti sottoposti a colture di sorveglianza bi settimanali ( tampone nasale e faringeo, uricolture e brocoaspirato). Alla sorveglianza, quando indicato, si associano prelievi mirati per sospetta infezione. I Pazienti sottoposti a peritonectomia e chemioterapia ipertermica intraopertoria , necessitano di particolare attenzione nel rilevare segni iniziali di infezione sia intra addominale che sistemica in quanto presentano una compromissione locale delle barriere difensive e una contemporanea alterazione delle difese immunitarie globali. L’intervento di peritonectomia comporta una elevata possibilità di filtrazione e transmigrazione batterica dall’intestino così gravemente traumatizzato. E’ pertanto necessario eseguire prelievi quotidiani dai drenaggi addominali ed eventualmente emocolture, soprattutto se il paziente presenta febbre o segni di insufficienza d’organo. In caso di sospetta infezione insorta in terapia intensiva, sarà pertanto necessaria una antibiotico terapia che dovrà coprire gram positivi e negativi, anaerobi ed, eventualmente, miceti in rapporto alla durata della degenza ospedaliera, alla precedente somministrazione di antibiotici e cortisonici e alle caratteristiche di antibioticoresistenza dei ceppi batterici del Reparto. A questo scopo, in pazienti con una lunga degenza ospedaliera, e pregressi trattamenti antibiotici, verosimilmente già colonizzati da ceppi multiresistenti, somministriamo un carbapenemico (Meropenem 1 gr x 3 o Imipenem 500 mg x 4 ) per la copertura dei gram negativi e degli anaerobi, un glipopeptide ( vancocina in infusione continua ) per i gram positivi, salvo poi

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orientare la terapia in base alle risultanze dell colture esegite e degli antibiogrammi. L’utilizzo di un antimicotico va riservato ai pazienti neutropenici o con precedenti isolamenti di fungi. NUTRIZIONE La migliore nutrizione artificiale è, a tutti gli effetti, quella enterale e per quanto possibile, e comunque il più precocemete possibile, si cerca di somministrare questo tipo di nutrizione talvolta anche nei gastro resecati mediante un sondino digiunale posizionato intaoperatoriamente . L’apporto calorico, in questi casi, sarà ovviamente limitato e avrà il significato di ridurre gli effetti del digiuno sul trofismo della mucosa intestinale. In caso di resezione intestinale multipla la somministrazione della nutrizione enterale sarà impossibile e a partire dalla seconda giornata si somministrerà una nutrizione parenterale totale con apporto calorico incrementato progressivamente fino a 2000 2300 calorie al giorno. Il più precocemente possibile si cercherà di instaurare una nutrizione enterale, iniziando con acqua e progressiviamente incrementando volume e calorie; la somministrazione avviene in pompa peristaltica iniziando con pochi millilitri ora ( 20-30) e non tralasciando periodi di riposo, per un numero di ore di somministrazione non superiore a 20. A volte si usano, quale procinetici, eritromicina per sondino (500mg x2 ) o prostigmina (0,5mgx3) intamuscolare.

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ANALGESIA Il posizionamento di un catetere epidurale alto (specialmente in presenza di una laparotomia con tagli sottocostali ed in pazienti con BPCO) con infusione continua di anestetico locale e morfinici costituirebbe una valida misura atta a ridurre il dolore postoperatorio e facilitare la ripresa del respiro spontaneo . Il problema principale è rappresentato da un possibile disturbo della coagulazione nel postoperatorio, che può aumentare il rischio di sviluppo di un ematoma da sanguinamento spontaneo nella sede dell’inserzione del catetere; questa possibile complicamza rende il posizionamento di una perdurale continua discretamente richioso e pertanto questa procedura va riservata a casi selezionati . I pazienti intubati e sottoposti a ventilazione hanno normalmente una buona copertura antalgica con la somministrazione di fentanyl o fentatienil .Quando si procede alla estubazione la terapia antalgica viene modificata e la sedazione sostituita con una associazione di morfina (che verrà progressivamente ridotta per non inibire la peristalsi) e ketoralac.

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TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE

INFETTIVE

Linee guida in caso di infezione postoperatoria

M. F. Proietti, M. Valle, N. Petrosillo

In caso di febbre o in presenza di altri segni clinico-

strumentali di infezione, prima di iniziare una terapia

antibiotica empirica, eseguire:

1. emocolture: 3 set (1 set equivale ad 1 flacone per

germi aerobi ed 1 flacone per germi anaerobi) da

vena periferica (non da agocannula!), effettuati a

distanza di 30-60 minuti l’uno dall’altro, ed

eventualmente altri 2 o 3 set nell’arco delle

successive 24-36 ore (il prelievo dovrebbe essere

eseguito nell’ora precedente l’atteso rialzo termico

o comunque all’inizio del brivido).

Se è presente CVC: 3 set di emocolture sia da

sangue periferico sia da CVC. Se il CVC viene

rimosso, inviare in laboratorio la punta per coltura

semiquantitativa.

2. urinocoltura ( ed esame chimico-fisico delle urine)

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3. esame colturale su campioni di materiale prelevato

da ferita chirurgica, drenaggi, tratto fistoloso o in

corso di reintervento/posizionamento di drenaggio

chirurgico (il prelievo mediante tampone deve

essere limitato ai casi in cui non è possibile

prelevare il materiale con siringa sterile)

4. esame colturale su campioni di materiale da

broncoaspirato profondo, in paziente portatore di

tracheotomia, o da lavaggio broncoalveolare (nel

caso di evidenza radiologica di addensamento

polmonare).

Tutti i prelievi devono essere effettuati in condizioni di

asepsi ed inviati immediatamente in laboratorio indicando

il materiale prelevato e la sede del prelievo.

Se il paziente è già in trattamento antibiotico: se le

condizioni cliniche lo permettono, è consigliabile eseguire

i prelievi dei campioni biologici dopo una sospensione di

terapia di almeno 48 ore; altrimenti effettuare il prelievo

prima della successiva somministrazione del farmaco.

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Terapia antibiotica empirica

In caso di infezione endoaddominale postoperatoria (da

contaminazione operatoria del peritoneo, deiscenza

anastomotica, perforazione di un viscere, ecc.),

comunemente polimicrobica (compresi i funghi), e con

alto rischio di microrganismi resistenti, la terapia empirica

iniziale deve essere ad ampio spettro: carbapenemici +

vancomicina + fluconazolo.

L’inizio di trattamento empirico antifungino deve essere

considerato nei pazienti con segni clinici di infezione che

soddisfino almeno uno dei seguenti criteri:

1. colonizzazione multipla da Candida spp. (2 o più

siti diversi dal sangue).

In questi pazienti la colonizzazione da Candida

dovrebbe essere monitorizzata periodicamente (2 o 3

volte a settimana) attraverso la raccolta contemporanea

di campioni da più siti corporei (vie aeree superiori,

drenaggi, ferita chirurgica, urine, succo gastrico, cute

circostante l’inserzione di catetere vascolare, feci);

2. coesistenza di più fattori di rischio per candidosi

invasiva: terapia antibatterica prolungata,

immunodepressione o neutropenia, nutrizione

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parenterale totale, presenza di catetere venoso

centrale, intervento con apertura dell’intestino,

perforazione intestinale/deiscenza anastomotica,

prolungata permanenza presso Unità di Terapia

Intensiva, diarrea o ileo;

3. esclusione di altre cause di febbre (soprattutto

mancata risposta a terapia antibiotica ad ampio

spettro).

I pazienti con isolamento di Candida spp. dal sangue

(anche 1 sola emocoltura) dovrebbero sempre essere

trattati. Inoltre, nei pazienti con candidemia, un eventuale

catetere venoso centrale dovrebbe essere rimosso e

riposizionato in altra sede.

La terapia antifungina si basa su fluconazolo 400 mg/die

e.v. per 2-3 settimane. E’ sempre opportuno acquisire la

diagnosi di specie e l’eventuale antimicogramma per la

scelta mirata dell’antifungino, considerando che alcune

specie di Candida sono resistenti agli azolici. In questi casi

devono essere usate o l’Amfotericina B o le

echinocandine.

In caso di isolamento di enterococchi vancomicino-

resistenti, sostituire la vancomicina con linezolid o

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quinupristin/dalfopristin o con ampicillina/sulbactam, se

sensibile.

Il trattamento antibiotico empirico deve essere continuato

fino a risoluzione dei segni clinici di infezione, ossia

normalizzazione della temperatura corporea, della conta

dei globuli bianchi e della funzione gastrointestinale.

E’ sempre opportuna la consulenza infettivologica.

Se presente focolaio infettivo endoaddominale suscettibile

di terapia chirurgica, l’intervento deve essere eseguito il

più precocemente possibile.