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PROVINCIA DI VITERBO REGIONE LAZIO PIANO DI GESTIONE DEL S.I.C. “SUGHERETA DI TUSCANIA” (IT6010036) Università degli Studi della Tuscia Dipartimento D.A.F. PARTE I: STUDIO GENERALE

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PROVINCIA DI VITERBO REGIONE LAZIO

PIANO DI GESTIONE DEL S.I.C.

“SUGHERETA DI TUSCANIA”

(IT6010036)

Università degli Studi della Tuscia

Dipartimento D.A.F.

PARTE I: STUDIO GENERALE

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

INDICE

1. INTRODUZIONE …………………………………………………………………………. 1

1.1 Riferimento normativo …………………………………………………………………. 1

1.2 Motivazioni alla base dell’adozione del Piano ……………………………………….… 1

1.3 Livello tecnico-scientifico degli estensori del Piano ……………………………………. 1

2. QUADRO CONOSCITIVO RELATIVO ALLE CARATTERISTICHE DEL SITO

2.1 Localizzazione del Sito ………………………………………………………………….. 2

2.2 Descrizione fisica:

2.2.1 Clima regionale e locale ……………………………………………………………. 3

2.2.2 Morfologia ed idrologia …………………………………………………………… 14

2.2.3 Substrato pedogenetico ……….……………………………………………………. 15

2.3 Descrizione biologica:

2.3.1 Analisi vegetazionale ……………………………………………………………… 16

2.3.2 Definizione delle caratteristiche generali degli habitat e delle specie di interesse

comunitario presenti nel sito …………………………………………………… 36

2.3.3 Analisi degli elementi di interconnessione ecologica …………………………….. 37

2.4 Descrizione socio-economica:

2.4.1 Uso del suolo attuale e passato (confronto fra serie storiche di foto aeree) ……….. 41

2.4.2 Quadro delle proprietà (dati catastali) .……………………………………………. 43

2.4.3 Tipo di pianificazione territoriale e vincoli esistenti ……………………………… 44

2.4.4 Inventario e valutazione dell'intensità delle attività umane presenti all'interno del

sito e nel territorio circostante……………………………………………………… 47

2.5 Descrizione delle rilevanze archeologiche………….……………………………… 49

I

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

1. Introduzione

1.1 Riferimento normativo

Questo Piano di Gestione ha come riferimento normativo le Direttive 92/43/CEE (Habitat) e

79/409/CEE (Uccelli) concernenti la conservazione degli Habitat naturali e seminaturali della

flora e della fauna selvatiche di importanza comunitaria presenti negli Stati membri e gli

strumenti italiani di recepimento.

Questi ultimi sono, a livello nazionale, il DPR 357/97 “Regolamento recante attuazione della

direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della

flora e della fauna selvatiche”; il DPR 120/2003 “Regolamento recante modifiche ed integrazioni

al DPR 357/97, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione

degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”; e il Decreto

ministeriale 3 settembre 2002 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio “Linee

guida per la gestione dei siti Natura 2000”, mentre a livello regionale la Deliberazione della

Giunta Regionale del Lazio 2146/96 “Direttiva 92/43/CEE (Habitat): approvazione della lista dei

siti con valori di importanza comunitaria del Lazio ai fini dell’inserimento nella Rete Ecologica

Europea Natura 2000” che ha approvato la lista dei199 Siti di importanza comunitaria (SIC) e

Zone di protezione speciale (ZPS) e la Deliberazione della Giunta Regionale 1103/02

“Approvazione delle linee guida per la redazione dei piani di gestione e la regolamentazione

sostenibile dei SIC e ZPS …”.

1.2 Motivazioni alla base dell’adozione del Piano

L’art. 6 della Direttiva “Habitat” prevede che per le zone speciali di conservazione gli siati

membri stabiliscano le misure di conservazione che implicano, all’occorrenza, appropriati piani

di gestione specifici. Questi, come si vede, non sono obbligatori ma si rendono necessari

allorquando gli strumenti pianificatori che riguardano il territorio di cui l’area in esame è parte

integrante non prevedano misure specifiche di conservazione della stessa. Nella fattispecie gli

strumenti di pianificazione locali e regionali non sono sufficientemente adeguati allo scopo che

ci si è prefissi istituendo il SIC della Sughereta di Tuscania sia perché assenti (come il Piano di

Assestamento del bosco) sia perché datati (come il PRG di Tuscania) sia perché non ancora

realizzati, come è il caso del Piano di Assetto della Riserva Naturale di Tuscania.

Per tali ragioni si è proceduto ad indicare la Provincia di Viterbo quale “soggetto

beneficiario” per la realizzazione del presente Piano di gestione che ha avviato in collaborazione

con l’Università della Tuscia.

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1.3 Livello tecnico-scientifico degli estensori del Piano

Per la realizzazione del presente lavoro è stato incaricato un gruppo di docenti dell’Università

degli Studi della Tuscia: Prof. ANTONIO LEONE, Ordinario di Assetto del Territorio Agro-

Forestale (Coordinamento e Pianificazione); Prof. BARTOLOMEO SCHIRONE, Ordinario di

Selvicoltura (Analisi della vegetazione); Dr.ssa MARIA N. RIPA, Ricercatore, Territorio Agro-

Forestale (Sistema Informativo Territoriale e Rete Ecologica); Prof. GIUSEPPE NASCETTI,

Ordinario di Ecologia; Prof. VINCENZO PISCOPO, Associato di Geologia Applicata e

Idrogeologia; Prof.ssa ANNA SCOPPOLA, Ordinario di Scienza della vegetazione; Prof.

LORENZO VENZI, Ordinario di Economia dell’Ambiente.

2. Quadro conoscitivo relativo alle caratteristiche del sito

2.1 Localizzazione del Sito

La Sughereta di Tuscania (codice IT6010036) è una cenosi forestale di modesta estensione

(circa 39 ha) situata in località Sughereto, distante circa 3 km in direzione est da Tuscania,

adiacente alla SP Tuscanese all’altezza del Km 17. I riferimenti topografici sono la Sez. 344150

della Carta Tecnica Regionale del Lazio; la tav. II-NE “Tuscania” del Foglio 136 dell’IGM. e i

Fogli 25 e 40 del Catasto di Tuscania. Le coordinate geografiche del centroide del Sito sono

739147 E - 4701166 N, UTM 32T ED50.

Fig. 1: ubicazione del sito rispetto a Tuscania su base topografica C.T.R.

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Fig. 2: ubicazione generale del sito

2.2 Descrizione fisica

2.2.1 Clima regionale e locale

Per caratterizzare la stazione dal punto di vista climatico sono stati utilizzati i dati rilevati

dalla stazione del Servizio Idrografico del Ministero dei Lavori Pubblici ubicata in Tuscania a

partire dal 1921 per le precipitazioni e dal 1931 per le temperature. E' stato possibile assimilarli a

quelli della sughereta grazie all'altitudine simile (166 m s.l.m. per la stazione e circa 200 m per

la sughereta) e alla sua vicinanza (3 Km circa). Nelle tabelle 1 e 2 sono riportati i principali dati

termopluviometrici della stazione.

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Tm Tm max Tm min Pm EPTG 6,8 2,5 11,1 77,3 14,1F 7,6 2,9 12,3 79,1 18,3M 10 4,7 15,2 69,5 30,5A 12,6 6,8 18,4 65,6 48,3M 16,7 10,4 23 62,9 80,4G 20,7 13,8 27,6 42,4 112,6L 13,9 16,7 31,1 20,8 141,5A 24 16,9 31,1 43,1 133,2S 20,8 14,4 27,2 79,6 97,5O 16,2 10,7 21,8 105,1 60N 11,5 6,7 16,4 110,5 31,8D 7,9 3,8 12,1 96,2 17,1

anno 14,9 9,2 20,6 852 785,2

Tab 1

T min

assoluta T max

assoluta

T media min mese più freddo

T media max del mese più

freddo

Escursione termica mese

più freddo

T media min mese più caldo

T media max del mese più

caldo

Escursione termica mese

più caldo

Escursione termica media

annua

-3.1 (02/1956)

36.7 (07/1984)

2.5 11.1 8.6 16.9

31.1 14.2 11.4 424.6 (1945)

P minime annue

1288.4 (1947)

P massimeannue

Tab 2

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L'area di vegetazione della sughera corrisponde al dominio del clima mediterraneo oceanico.

Questa varietà del clima mediterraneo è caratterizzata da temperature alte d'estate, miti d'inverno,

precipitazioni abbondanti, siccità estiva non molto marcata e, comunque, attenuata da elevata

umidità atmosferica o edafica.

In base al confronto dei parametri stabiliti da Pavari e De Philippis per la suddivisione dei

climi mediterranei peninsulari, la stazione può essere collocata nella zona fitoclimatica del

Lauretum II Tipo (a siccità estiva), sottozona media.

Già dai dati riportati nella tabella si può facilmente osservare come la stazione considerata

rientri nel clima caratterizzante l'area di vegetazione della sughera. Le precipitazioni annuali

raggiungono, infatti, gli 852.0 mm, mentre le piogge estive (giugno-agosto) restano limitate a

106 mm. In corrispondenza di questo minimo di piovosità si registrano le temperature massime

che portano quindi ad una situazione di aridità estiva per i mesi di giugno, luglio e agosto.

Questa situazione risulta attenuata dalle caratteristiche edafiche del sito giacché nel periodo di

deficit, che interessa principalmente i mesi di luglio e agosto, si conserva una certa umidità nel

terreno intorno ai 70 cm di profondità.

I1 freddo è prolungato, da novembre ad aprile, ma non intenso, con una temperatura media

delle minime del mese più freddo di 2.5°C.

Per meglio definire l'andamento climatico dell'area esaminata sono state utilizzate alcune tra

le più importanti classificazioni bioclimatiche, visualizzando inoltre graficamente i risultati

ottenuti.

Diagramma di Bagnouls-Gaussen

Secondo l’indice di aridità proposto da questi autori, si considera secco un periodo

caratterizzato da una precipitazione inferiore al doppio della temperatura misurata per quello

stesso periodo, cioè: P<2T. Nel nostro caso P corrisponde alla precipitazione media annua

espressa in mm e T alla temperatura media annua espressa in °C. La rappresentazione grafica è

realizzata ponendo in ordinata temperature e precipitazioni e in ascissa i mesi dell'anno.

Ovviamente la scala delle temperature ha un valore doppio rispetto a quella delle precipitazioni.

Nel grafico che ne risulta (fig. 3), le aree rappresentanti i periodi umidi sono contrassegnate con

segmenti verticali, mentre quella che indica il periodo secco è stata indicata tramite linee

trasversali.

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0.0

10.0

20.0

30.0

40.0

50.0

60.0

G F M A M G L A S O N D

T (°C)

0.0

20.0

40.0

60.0

80.0

100.0

120.0

P (mm)

14.9°C 852 mm

Fig. 3: diagramma di Bagnouls-Gaussen relativo alla stazione di Tuscania

Diagramma di Thornthwaite

Nell’impostazione di Thornthwaite, oltre alle precipitazioni e alle temperature, viene

considerata anche l’evapotraspirazione come misura della perdita di acqua da parte della pianta.

Quando l'evaporazione potenziale (cioè quella che si avrebbe in condizioni di continua

disponibilità idrica del suolo e che è funzione di diversi parametri climatici quali la radiazione

solare, la temperatura dell'aria, il vento, l'umidità atmosferica) supera il valore delle

precipitazioni, si ha un consumo delle riserve idriche del suolo; nel caso contrario, si ha un

accumulo. La vegetazione però non risente di un eventuale deficit finché persistono nel terreno

delle riserve idriche giacché il periodo di "aridità fisiologica" inizia proprio con l'esaurimento di

queste. Per definizione solo quando le precipitazioni sono maggiori dell'evapotraspirazione

potenziale, quella reale coincide con quest'ultima, sempre che sia satura la riserva idrica del

suolo.

Secondo le stime effettuate da Thornthwaite, si considera la capacità di ritenzione idrica

massima del terreno pari a 100 mm nei terreni agrari e a 200 mm in quelli forestali. E' stato

dunque ritenuto possibile inserire nel diagramma della stazione di Tuscania quest'ultimo valore

tanto più che la scelta è giustificata dalle particolari caratteristiche del suolo (in particolare la

presenza di argilla e la profondità).

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L'indice di evapotraspirazione potenziale viene calcolato con una formula che lega

1'evapotraspirazione potenziale e la temperatura mediante indici mensili e annuali che vanno poi

corretti in base alla latitudine con valori stabiliti.

aa

t IT101.610E

⋅= , dove

Et = evapotraspirazione potenziale, in mm/m2,

Ta = temperatura media mensile (°C),

I = indice di calore annuale = ∑=

12

1i

1.5ai

5T

,

a = 0.49 + 0.0179I – 0.0000771I2 + 0.000000675I3.

Latitudine Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic 40° N 0.80 0.89 0.99 1.10 1.20 1.25 1.23 1.15 1.04 0.93 0.83 0.78

Nel grafico di figura 4 sono riportati i valori dell'evapotraspirazione potenziale mensile, delle

temperature e delle precipitazioni evidenziando anche i periodi di deficit e surplus idrico, di

ricarica e di utilizzazione delle riserve d'acqua nel terreno.

0.0

20.0

40.0

60.0

80.0

100.0

120.0

140.0

160.0

N D G F M A M G L A S O

P, EPT, ETR (mm)

0.0

10.0

20.0

30.0

40.0

50.0

60.0

70.0

80.0

T (°C)

P EPT ETR T

A

B

C

D

Fig. 4: diagramma di Thornthwaite. (A = Ricarica delle riserve; B = Surplus;

C = Utilizzazione delle riserve; D = Deficit).

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Nella stazione si registrano così ben cinque mesi con precipitazioni minori

dell'evapotraspirazione potenziale che, in realtà, si riducono a due mesi di aridità fisiologica

(deficit idrico) per le piante, da luglio a settembre, dopo l'utilizzazione della riserva idrica del

terreno. Il mese in cui per la prima volta dopo la siccità estiva le precipitazioni superano le

perdite di acqua è ottobre, mentre è con le precipitazioni di novembre e dicembre che si

ricostituiscono le riserve idriche.

Indice e diagramma di Mitrakos

Mitrakos considera come fattori critici per la copertura vegetale, in clima mediterraneo,

l'aridità estiva e il freddo invernale. Ha perciò proposto due indici per misurare, su base mensile,

i due tipi di stress partendo dall'ipotesi che per precipitazioni inferiori a 50 mm la pianta subisca,

in ambiente mediterraneo, uno stress dovuto all'aridità, mentre il valore di 10°C rappresenta la

soglia termica per l’avvio dell'attività vegetativa.

Lo stress da aridità D (da "drought" = secco) è misurato con la formula: D = 2 (50 - p), dove p

sono le precipitazioni mensili in mm (quando p=0 mm si ha D=100; quando p > 50 mm si

considera D=0).

Lo stress da freddo C (da "cold" = freddo) è invece stimato tramite la relazione: C=8(10-t),

dove t è la temperatura minima mensile in °C (quando t >10°C si pone C = 0; quando t < 2,5°C si

fissa C = 100).

Calcolando D e C si ottengono rispettivamente la misura dello stress mensile da aridità

(MDS) e di quello mensile da freddo (MCS). I valori riferiti alla stazione di Tuscania sono

riportati sul diagramma della figura 2.3. Il valore di stress di aridità annuo (YDS), somma dei

valori mensili, è pari a 87.4, mentre quello da freddo (YCS) è pari a 261.1. Da quanto detto si

deduce facilmente che la vegetazione di questa stazione soffre principalmente di uno stress da

freddo, in confronto al quale lo stress da aridità sembra quasi ininfluente, soprattutto per una

pianta come la sughera capace di adattarsi a climi con forte siccità estiva.

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

0.0

10.0

20.0

30.0

40.0

50.0

60.0

70.0

G F M A M G L A S O N D

unità

di s

tress

MCS MDS

Fig. 5: diagramma dell’indice di Mitrakos.

Quoziente e climatogramma di Emberger

Emberger distingue vari tipi di clima a seconda del cosiddetto quoziente pluviometrico (Q2).

Secondo questo indice un clima è tanto più secco quanto più basso è il valore del quoziente, che

esprime, quindi, l'aridità della stazione.

La formula applicata è stata la seguente: Q2 = 100 P/M2-m2 dove:

P = piovosità media annua (mm) = 852.0;

M = media delle temperature massime del mese più caldo (°C) = 31.1 °C;

m = media delle temperature minime del mese più freddo (°C) = 2.5°C.

Essendo M - m proporzionale all'evaporazione, Q2 non è altro che un rapporto P/T. Inserendo

nella formula i dati della stazione di Tuscania sopra indicati, Q2 risulta pari a 88.7. Riportando

sul climatogramma proposto da Emberger questo valore in corrispondenza di m, che nella

stazione considerata è pari a 2.5 °C, possiamo inquadrare il clima della stessa in base all'aridità e

alle temperature invernali. Si evidenzia così che essa ricade all'interno dell'area fitoclimatica

della quercia da sughero, in un clima definito dallo stesso come sub-umido ad inverno fresco

(fig. 6).

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Tuscania

Fig. 6: climatogramma di Emberger mostrante la distribuzione climatica della sughera.

Oltre ai dati climatici forniti dai descrittori, necessari per la caratterizzazione climatica del

sito, è sembrato utile procedere all’analisi delle tendenze evolutive dei due parametri

fondamentali, temperatura e precipitazioni. Le variazioni del clima nel tempo sono state studiate

utilizzando una regressione lineare per l'analisi generale delle tendenze e un'interpolazione

mediante polinomiale per seguire con più precisione il suo andamento anno per anno.

A causa della forte dispersione dei dati termopluviometrici la regressione lineare è risultata

non significativa ed è quindi impossibile fare delle previsioni sulla tendenza generale del clima.

D’altra parte è noto che i fenomeni naturali non risultano mai lineari ma seguono quasi sempre

dei cicli più o meno regolari. L’analisi più dettagliata, eseguita mediante una polinomiale (del 3°,

4° e 6° ordine a seconda dei casi), ha permesso di mettere in evidenza come le temperature

seguano un ciclo circa trentennale (figg. 7-8).

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R2 = 0.52340.0

2.0

4.0

6.0

8.0

10.0

12.0

14.0

1930

1935

1940

1945

1950

1955

1960

1965

1970

1975

1980

1985

1990

1995

2000

T (°C)

Fig. 7: trend delle temperature medie minime annuali nel settantennio 1931-2000

R2 = 0.2293

-1.0

0.0

1.0

2.0

3.0

4.0

5.0

6.0

7.0

1930

1935

1940

1945

1950

1955

1960

1965

1970

1975

1980

1985

1990

1995

2000

T (°C)

Fig. 8: trend delle temperature medie minime dei mesi più freddi

(dicembre- febbraio) nel settantennio 1931-2000

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Come risulta dalle precedenti analisi, nella stazione di Tuscania il fattore limitante per la

vegetazione della sughera non è tanto l’aridità quanto piuttosto le basse temperature invernali

(vedi elaborazione dell’indice di stress da freddo di Mitrakos). Si può ritenere quindi che la

sughera soffra in questa stazione di uno stress da freddo ciclico che si ripete circa ogni trent’anni

e al quale le piante si sono molto probabilmente adattate.

Lo stesso tipo di analisi è stato operato sulle precipitazioni. Si è così evidenziato anche qui un

ciclo circa trentennale che presenta due periodi di aridità (periodi in cui le precipitazioni

scendono sotto la media) negli anni: 1921 – 1923; e 1981 – 2001 ed un periodo di precipitazioni

più basse intorno al 1945 (fig. 9).

La figura 10 mostra, inoltre, che a partire dagli anni `60 si registra un trend di netta discesa

che arriva fino al 2001 con una diminuzione delle precipitazioni invernali di circa 150 mm.

In aggiunta a questa situazione che già da sola provoca una non indifferente riduzione della

ricarica delle riserve del terreno, si è ritenuto opportuno verificare l'andamento delle temperature

estive (mesi di luglio e agosto) (fig. 11), responsabili di ingenti perdite di acqua da parte delle

piante, ma anche direttamente dal suolo, soprattutto in quelli argillosi dove è frequente il

fenomeno della risalita capillare.

In definitiva, durante i mesi estivi degli ultimi anni si sta andando incontro ad un nuovo

aumento delle temperature massime (che come già detto seguono un ciclo circa trentennale) che,

in coincidenza con la diminuzione delle precipitazioni invernali, portano ad un'accentuazione

dello stress idrico, il che potrebbe cominciare a costituire un serio problema per la sughera.

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

0.0

200.0

400.0

600.0

800.0

1000.0

1200.0

1400.0

1920

1925

1930

1935

1940

1945

1950

1955

1960

1965

1970

1975

1980

1985

1990

1995

2000

Fig. 9: andamento delle precipitazioni nell’ottantennio 1921-2001

R2 = 0.1637

0

100

200

300

400

500

600

700

1920

1925

1930

1935

1940

1945

1950

1955

1960

1965

1970

1975

1980

1985

1990

1995

2000

P (mm)

Fig. 10: andamento delle precipitazioni invernali (DGFM) nell’ottantennio 1921-2001

R2 = 0.1731

0

5

10

15

20

25

30

35

40

1931 1941 1951 1961 1971 1981 1991 2001anno

T (°C)

Fig. 11: andamento delle temperature estive (luglio e agosto) nel settantennio 1931-2001

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2.2.2 Morfologia ed idrologia

Per caratterizzare il sito dal punto di vista morfologico si è proceduto con la digitalizzazione

delle curve di livello intermedie (equidistanza 2 m) della CTR 354050 con punti distanti 10 m a

cui è seguita la realizzazione della triangolazione irregolare (TIN) dalla quale si è ricavato il

DEM e le carte derivate dell’altimetria, della pendenza e dell’esposizione. Dal punto di vista

morfologico il terreno si presenta quasi piano e non accidentato, con leggero declivio verso il

Fosso delle Doganelle ad est, settore in cui aumentano le pendenze pur mantenendosi molto

modeste.

Il dislivello complessivo è di 20 m con quote che vanno da 174 a 194 m s.l.m. mentre le

massime pendenze si hanno nel settore orientale dell’area quando il terreno degrada verso il

fosso ma sono di modesto valore: in buona parte comprese tra il 2 e il 6% e solo in piccole aree

con valori superiori, ma mai oltre il 25%. Ciò da una parte esclude una caratterizzazione

secondo l’esposizione e dall’altra impedisce il ristagno idrico all’interno dell’area, anche se

durante la stagione piovosa è stata notata la presenza di pozze effimere nel settore di nord-ovest

dove la pendenza è assente ed il suolo originatosi dai sedimenti del quaternario è meno

permeabile.

Fig. 12. Fig. 13

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2.3 Substrato pedogenetico e suolo

In questa zona il substrato geologico è derivante dal deposito delle vulcaniti provenienti dal

bacino Vulsino, dovute alla ricaduta sia di materiali piroclastici in parte rimaneggiati dalle acque,

le cosiddette tufiti, sia da lembi di ignimbriti, che sopraggiacciono sui preesistenti depositi

pliocenici marini, per lo più sabbiosi. Le rocce vulcaniche dell'area della Tuscia in genere

provengono da magmi di tipo ultrabasico o basico e contengono silicati di potassio e calcio,

poveri in sodio e magnesio (questi ultimi tipici dei magmi acidi o intermedi).

Dalla sovrapposizione dell’area SIC con la Carta Geologica, Foglio 136, si distinguono tre

affioramenti rocciosi: il primo occupa circa 15,5 ha attraversando l’intera area in direzione nord-

sud ed è rappresentato da colate laviche dell’apparato vulsineo caratterizzate da leuciti passanti a

nefriti grigio-scure, a grana finissima, molto compatte e con notevole spessore a permeabilità

medio-alta; il secondo è composto da due sub-aree circostanti l’affioramento precedente, di

complessivi 18 ha circa ed è formato da sedimenti fluvio-lacustri quaternari costituiti da marne,

limi e sabbie con prevalenti elementi vulcanici a permeabilità medio-scarsa; il terzo si sviluppa

lungo il confine orientale dell’area, lungo il Fosso Doganelle ed è costituito da detrito fluviale di

recente formazione ad alta permeabilità. Il regime idrico dei suoli, secondo la Soil Taxonomy

dell’USDA, è xerico, mentre il regime termico risulta termico, in quanto la temperatura media

del suolo a 50 cm di profondità supera i 15°C.

In queste condizioni ambientali e su morfologie piane, i suoli che si originano per pedogenesi

hanno la caratteristica principale di avere le argille cristallizzate, piuttosto che amorfe, tipiche

invece di suoli allomorfi nell’ambito degli Andosuoli. Infatti, si è spesso indotti a pensare che

tutti i suoli evolutisi su materiale vulcanico abbiano particolari caratteristiche che sono dette

andiche, e non presentino formazione di argille cristallizzate. Ciò sarebbe dovuto al fatto che nel

suolo si mantengono forme amorfe legate alla sostanza organica, con conseguente scarsa

capacità di assorbimento di cationi all'interno dei foglietti dei fillosilicati argillosi.

Nel nostro caso i suoli, oltre che dalla natura della roccia madre, sono condizionati, nella loro

evoluzione, dal clima, visto che la stagione asciutta e le temperature elevate favoriscono la

genesi di argille cristallizzate, per cui i suoli perdono i caratteri andici. Un'altra caratteristica

diffusa in questi suoli è la migrazione dell'argilla. Questo processo è tipico degli ambienti che

alternano periodi di umidità a quelli di aridità.

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Fig. 14

2.3 Descrizione biologica

2.3.1 Analisi vegetazionale

Per la caratterizzazione floristica dell’area sono in corso studi di tipo fitosociologico a cura

dell’Università di Viterbo nell’ambito del Piano di gestione del Parco Naturale di Tuscania. Qui

si riportano le conclusioni di studi effettuati in questi ultimi anni dalla stessa Università

nell’ambito di una ricerca fatta in convenzione con l’ARSIAL dal titolo “Sviluppo della

sughericoltura nel Lazio” e di analisi ancor più recenti effettuate ai fini del presente lavoro.

Lo studio della composizione floristica nei diversi rilievi effettuati ha consentito di

riconoscere le specie componenti i vari strati vegetazionali. Affianco all’elenco delle specie

rinvenute si è applicato l’indice di abbondanza dominanza e la classe di presenza entrambi

ottenuti dai dati degli 11 rilievi effettuati: 9 aree di saggio (7 del 2004, 2 del 2001) e 2 transetti.

Il primo indice pur basandosi sui dati dei singoli rilievi è stato sinteticamente attribuito per

semplicità a tutto il bosco. Esso si basa sulla seguente classificazione:

• 5: specie che ricopre dal 75 al 100% della superficie del rilievo;

• 4: specie che ricopre dal 50 al 75%;

• 3: specie che ricopre dal 25 al 50%;

• 2: specie che ricopre dal 5 al 25%;

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• 1: specie con copertura inferiore al 5% ma rappresentata da numerosi individui;

• +: specie con copertura inferiore al 5% ma rappresentata da pochi individui;

• r: specie rara.

Per esempio una specie con indice 2 ricopre dal 2 a 25% della superficie ottenuta dalla somma

delle aree dei singoli rilievi ma non è detto che sia presente in ognuno di essi con la stessa

percentuale di ricoprimento e vi può essere il caso che non sia affatto presente in uno o più rilievi

e viceversa molto presente in altri. Per ovviare a questa lacuna ci si può servire del servire del

secondo indice, “presenza percentuale”. Essa è data dal numero di rilievi in cui una specie è

presente. Essa viene rappresentata in cinque classi di presenza:

V: specie presente nell’80-100% dei rilievi;

IV: specie presente nel 60-80% dei rilievi:

III: specie presente nel 40-60% dei rilievi;

II: specie presente nel 20-40% dei rilievi;

I: specie presente fino al 20% dei rilievi.

STRATO ARBOREO

Indici di abbondanza-dominanza

Classi di presenza

acero campestre Acer campestre L. r I alaterno Rhamnus alaternus L. + III carpino nero Ostrya carpinifolia Scop. r II cerro Quercus cerris L. 1 IV ciliegio selvatico Prunus avium L. r I corniolo Cornus mas L. r I erica Erica arborea L. r I leccio Quercus ilex L. r I nespolo Mespilus germanica L. + III olivo selvatico Olea europea L. r I olmo campestre Ulmus minor Miller r I orniello Fraxinus ornus L. r IV perastro Pyrus pyraster Burgsd. r I roverella Quercus pubescens Willd. + V sughera Quercus suber L. 4 V sorbo Sorbus domestica L. r I

STRATO ARBUSTIVO

Indici di abbondanza-dominanza

classi di presenza

alaterno Rhamnus alaternus L. + III asparago Asparagus acutifolius L. 1 II biancospino Crataegus monogyna Jacq. 2 V ciliegio selvatico Prunus avium L. r I

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cisto canuto Cistus incanus L. 2 III cisto femmina Cistus salvifolius L. 2 III corniolo Cornus mas L. r I evonimo Euonymus europaeus L. 1 IV f illirea Phyllirea latifolia L. + II ginestra Spartium junceum L. r II ginestrella Osyris alba L. r I ligustro Ligustrum vulgare L. + II mirto Myrtus communis L. r I nespolo Mespilus germanica L. 1 III perastro Pyrus pyraster Burgsd. r I prugnolo Prunus spinosa L. 1 IV pungitopo Ruscus aculeatus L. + I rosa di San Giovanni Rosa sempervirens L. + III rovo comune Rubus ulmifolius Schott 2 V viburno Viburnum tinus L. r I

STRATO LIANOSO

Indici di abbondanza-dominanza

classi di presenza

caprifoglio Lonicera etrusca Santi + IV edera Hedera helix L. + II robbia selvatica Rubia peregrina L. + I salsapariglia Smilax aspera L. r I tamaro Tamus communis L. r I

RINNOVAZIONE H>1m

Indici di abbondanza-dominanza

classi di presenza

acero campestre Acer campestre L. r I carpino nero Ostrya carpinifolia Scop. r I cerro Quercus cerris L. 1 III nespolo Mespilus germanica L. 1 I olmo minore Ulmus minor Miller r I orniello Fraxinus ornus L. + I roverella Quercus pubescens Willd. + I sughera Quercus suber L. 2 V

RINNOVAZIONE H<1m

Indici di abbondanza-dominanza

classi di presenza

acero campestre Acer campestre L. r I carpino nero Ostrya carpinifolia Scop. r I cerro Quercus cerris L. + V nespolo Mespilus germanica L. r II olmo minore Ulmus minor Miller r I orniello Fraxinus ornus L. r II roverella Quercus pubescens Willd. + II sughera Quercus suber L. 2 V

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Fig. 15: fioritura di cisti (aprile 2004). Fig. 16: nespolo in fiore (aprile 2004).

Ci sono specie che figurano sia nello strato arboreo che in quello arbustivo. Si tratta di alberi

di terza grandezza che spesso presentano aspetto arbustivo a causa della bassa ramificazione e

dell’assenza di un singolo fusto ascendente dominante.

Come si vede l’elenco presenta una lacuna per quanto riguarda lo strato erbaceo, che pure è di

fondamentale importanza per caratterizzare fitosociologicamente il bosco, inoltre ci sono alcune

essenze erbacee che sono utili indicatori ambientali ed altre di particolare valore perché rare o a

rischio. Sono in corso studi appositi per indagare questo aspetto che necessitano di tempi lunghi

a causa della necessità di fare rilievi in ogni stagione dell’anno. Per ora si riporta un semplice

elenco delle specie che è stato possibile riconoscere: Brachypodium sy1vaticum Beauv.,

Pteridium aquilinum (L.) Kuhn, Oenanthe pimpinelloides L., Mentha sp., Solanum nigrum L.,

Solanum luteum Miller, Galium aparine L., Asplenium onopteris L., Cyclamen hederifolium

Aiton.

Sotto l’aspetto sintassonomico la cenosi è ascrivibile all’alleanza Quercion ilicis. In questo

livello gerarchico rientra quell’insieme di popolamenti di sughera diffusi nel settore nord-

occidentale del bacino Mediterraneo che, se non conservati in purezza dall’uomo, evolverebbero

in boschi misti, il più delle volte a prevalenza di leccio. L’inquadramento di maggior dettaglio di

queste comunità non è semplice come dimostra la letteratura specializzata e l’attribuzione ad un

sintaxon appare ardua anche per la sughereta di Tuscania che si trova in un’area transizione tra il

bosco deciduo con forte presenza di cerro e quello sempreverde dominato dal leccio. Testi e

Lucattini (1994) ne propongono la collocazione nell’associazione Cytiso villosi-Quercetum

suberis mentre Blasi et al. (ined.) propendono per l’Asplenio onopteris-quercetum ilicis

subassociazione suberetosum. In ogni caso gli autori concordano nel considerare tali cenosi

come fortemente condizionate nella loro composizione e dinamismo dalle attività antropiche il

cui effetto spesso è quello di ritardare se non bloccare del tutto la spontanea evoluzione del

bosco. Ecco quindi che l’Habitat del bosco di sughera si può considerare un’associazione

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durevole su substrati acidi e su suoli fortemente degradati dall’incendio e dal pascolo. In effetti

la maggior parte delle sugherete presenti lungo la costa laziale sono costituite da consorzi

abbastanza aperti, nei quali lo strato arboreo è spesso limitato a poche matricine, talora di

dimensioni imponenti, sotto le quali sviluppa un denso strato di cespugli.

Non sembra essere così però per la sughereta di Tuscania che pur essendo stata anch’essa

fortemente disturbata e modificata dai proprietari dei terreni sui quali insiste nel corso degli anni

se non dei secoli, mostra ad uno sguardo attento chiari segni di vivacità successionale nella

composizione specifica del sottobosco con prevalenza delle specie caducifoglie.

La presenza della specie sembra essere di probabili origini naturali, come suggerisce il

toponimo. Sono tuttavia in corso studi di tipo genetico da parte dell’Università della Tuscia per

confermare tale ipotesi i cui risultati non sono ancora disponibili. Certamente un bosco puro o

quasi di sughera è difficile da trovare in natura come stadio evolutivo finale, intendendo con tali

termini la fase climacica che si otterrebbe in assenza di disturbo antropico. Questo stadio,

ammesso che possa esistere, difficilmente è riscontrabile negli ambienti mediterranei perché

oltre agli impatti delle civiltà contadine e pastorali susseguitesi nei secoli ma che hanno avuto

un’accelerazione negativa a cominciare dall’epoca industriale, c’è da considerare l’effetto degli

incendi non tutti di origine umana e comunque favoriti sia dal clima arido estivo sia dalla gran

quantità di combustibile vegetale altamente infiammabile che si produce in tali ambienti sia a

fattori recenti di stress che fanno aumentare la percentuale di seccume degli alberi. Secondo

alcuni autori nelle regioni a clima mediterraneo il fuoco rappresenta addirittura un processo

indispensabile per il mantenimento della struttura delle coperture boschive e soprattutto delle

macchie, delle garighe, del chaparral e del fymbos, ammettendo comunque che se esso si ripete

troppo frequentemente nel tempo può portare ad una rapida desertificazione. Questa ottica spinge

a rivedere la teoria delle fasi successionali, almeno in ambiente mediterraneo, portando a

considerare durevoli quegli habitat che nella serie climacica potrebbero essere considerati

transitori, inclusi i querceti meso- e supramediterranei caratterizzati da una fisionomia di

boscaglia rada e frammentata o di pascolo arborato, piuttosto che da una tipica struttura di bosco

d’alto fusto. In ogni caso, quand’anche vi fossero caratteristiche stazionali talmente particolari da

essere ad esclusiva vocazione della sughera (microclima e suolo) in modo da favorirne la

diffusione nella competizione interspecifica, questo non è il caso dell’area in esame che per le

sue caratteristiche vegetazionale e climatiche sembra appartenere ad una cenosi di transizione

verso il bosco mesofilo di querce caducifoglie. Si ritiene quindi che ad avere un’influenza

determinante sull’attuale stadio della formazione in oggetto siano, come si è accennato, le

pratiche agricole e selvicolturali passate e presenti.

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Già ad uno sguardo non superficiale del bosco salta subito agli occhi l’artificialità indotta:

monospecificità, assenza di fasi di sviluppo, con la maggior parte delle piante con diametri che

variano dai 25 ai 35 cm e poche grosse piante con diametri nettamente maggiori. Tutto ciò

suggerisce un evento di taglio verificatosi qualche decennio fa con rilascio di matricine oppure

una ricolonizzazione delle specie arboree su terreni precedentemente utilizzati a pascolo.

Fig. 17: esemplare di grosse dimensioni tra numerosi piante di medio diametro (agosto 2004).

Dalla conta degli anelli effettuata su un albero secco di grosse dimensioni abbattuto

recentemente (con una taglia simile a quella dei grossi alberi diffusi sporadicamente nel bosco)

risultano dai 70 ai 75 anni di età. Di grande aiuto per tali ipotesi sono le foto aeree effettuate

nell’estate del 1944 che ci mostrano come il bosco fosse molto più ristretto e seguisse con una

certa fedeltà i confini particellari del catasto, mentre sul resto della superficie, ora occupata dalla

sughereta, vi era un pascolo arborato con ampi tratti di superficie nuda alternati a zone di

maggior densità arborea. Le immagini aeree del 1961 già mostrano in queste aree a pascolo una

rapida riaffermazione della specie probabilmente per semina diretta su campo abbandonato. A

testimonianza del processo di recupero delle essenze arboree sulle cenosi erbacee e arbustive

stanno le note descrittive del registro che la Stazione del CFS di Tuscania ha dovuto riempire per

adempiere agli obblighi della legge sulla sughericoltura del 1956. Questo registro riporta per

l’intera superficie del bosco, coincidente a larghi tratti con l’area SIC che trattasi di ceduo

matricinato di 9 anni di 36 ha di proprietà di eredi Frigo Angelo. Più avanti descrivendo

particella per particella si legge che delle quattro particelle in cui è diviso l’attuale bosco tre

erano interessate da un bosco puro di sughera di qualità II mentre la quarta, di circa 5 ha, era

ricoperta da pascolo arborato di qualità I, intendendosi con tale categoria un terreno utilizzato a

pascolo con piante superiori a 25/ha.

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Fig. 18: foto aerea del volo R.A.F. 13/5/1944 Fig. 19: carta delle densita dei pascoli arborati nel 1944

Interessante è notare come lo stesso pascolo arborato nel 1944 presentasse una distribuzione

delle sughere non casuale ma a gruppi come si può notare dalla fig. 2.15 in cui con vari toni di

verde vengono evidenziate le classi di densità di alberi ad ha. Il recupero delle specie arboree è

dunque proceduto soprattutto per nucleazione da gruppi di alberi preesistenti. Si spiega così,

come si vedrà in seguito, la forte irregolarità geometrico-strutturale presente soprattutto nel

settore sud del bosco, in cui a zone di apertura accentuata si alternano zone a elevata densità con

forte competitività fra le sughere.

Il bosco allo stato attuale si presenta ad uno sguardo superficiale come una formazione

complessivamente omogenea e così è stata considerata negli studi effettuati qualche anno fa su di

esso. Percorrendo con maggior attenzione l’area e soprattutto effettuando più rilievi in settori

distanti con criteri di cui si parlerà diffusamente in seguito, alla luce dell’uso del suolo dedotto

dalle foto del 1944, si notano differenze strutturali e compositive di un certo rilievo da zona a

zona. Tuttavia fin’ora la sughereta è stata analizzata senza tener presente queste variazioni. Ad

indurre un tale errore è stato il fatto che negli anni gli interventi selvicolturali si sono sforzati di

rendere uniforme il soprassuolo per scopi essenzialmente produttivi. Si ricorda, infatti, che

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l’estrazione del sughero è tuttora effettuata con turni di 14-16 anni e che l’ultimo intervento

risale al 1995.

Per organizzare la campagna dei rilievi ci si basati quindi sulle informazioni deducibili dalle

foto aeree: quelle “storiche” del 1944 e del 1961 e quelle del volo più recente, quello del 1999.

Dalle immagini di quest’ultimo volo si è tentato di ottenere l’informazione sulla distribuzione

della densità di copertura del bosco, mentre le foto più antiche sono servite ad affinare meglio il

lavoro sulla base della dinamica avvenuta negli ultimi 50 anni.

Le foto aeree sono un formidabile mezzo per semplificare il lavoro di caratterizzazione di un

territorio. Il problema principale che si è presentato è stato quello di verificare quanto esse siano

utili a discriminare le chiome degli alberi dalle aperture. Uno dei limiti è rappresentato dalle aree

in ombra che non si possono classificare tout-curt come aperture. Infatti, anche se per la maggior

parte lo sono, non si possono escludere sia gli effetti d'ombra all’interno della chioma di un

albero isolato e di grosse dimensioni, sia quelli delle chiome di alberi di grosse dimensioni sulle

chiome di alberi vicini, soprattutto se questi ultimi sono sottoposti. Un'altra difficoltà è quella

che alcuni cespugli nelle radure possono essere dello stesso tono di colore delle chiome degli

alberi. Questi problemi si possono attenuare ma non risolvere del tutto come si vede dalle analisi

di estrapolazione che di seguito sono descritte.

Per prima cosa sono stati definiti i confini dell’area. Per fare ciò ci si è serviti del confine SIC

fornito dalla Regione Lazio sul quale sono state effettuate correzioni sulla base della ortofoto e

del confine catastale. Così modificato esso racchiude un’area di 39,163 ha. Per il suo

tracciamento non si è badato più di tanto all’allineamento perfetto con il confine di proprietà

perché non occorreva perimetrare l’area quanto definirne i confini sulla base delle indicazioni di

conservazione che in questo caso si riferiscono alla sughereta ed alle aree aperte al suo interno.

Si è quindi analizzata la foto aerea del 1999 in ambito GIS. Dato che l’immagine è a colori essa è

il frutto della composizione di tre bande ed è quindi scomponibile in tre immagini: quella della

banda del rosso, quella del verde e quella del blu. Delle tre bande quella che sembra discriminare

meglio le chiome dalle aperture è quella del rosso perché abbassa e comprime i valori dei pixel

che corrispondono alle chiome rispetto al resto. Scelta quindi questa immagine, il passo

successivo è stato quello di ricercare una riclassificazione con il metodo “natural break’’

trovando per tentativi quel numero di classi che evidenzi al massimo la discriminazione chiome-

aperture.

Questo metodo identifica punti d'arresto tra classi che usano una formula statistica

(l'ottimizzazione di Jenk). Il metodo del Jenk è piuttosto complesso, ma sommariamente si può

dire che minimizza la somma della variazione all'interno di ognuno delle classi in cui vengono

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raggruppati i dati. In ogni caso è stato necessario stabilire il numero di classi in cui dividere il

range di variazione dei pixel. Tale parametro va scelto sulla base del confronto con l’immagine

reale: più aumentano le classi più diminuiscono il numeri di pixel che corrispondono alla zona

d’ombra. La difficoltà maggiore è stata quella di trovare la classe limite tra chioma e apertura

che è stata individuata con attribuzioni successive alle chiome a partire dagli estremi

confrontando il risultato ad ogni passaggio con la foto aerea. Sulla base di tali risultati si è

riclassificata l’immagine in due tematismi rappresentanti appunto le chiome e le aperture.

Per verificare la bontà del metodo, di fondamentale importanza per estrapolare i dati dei

rilievi su classi di superfici omogenee, si è effettuata una funzione del GIS utilizzata per la

classificazione automatica (hard classific fine and broad) delle immagini multibanda derivate

dalla scomposizione della foto aerea a colori. Si sono così potuti confrontare i risultati ottenuti

con il primo metodo e verificare la sostanziale somiglianza degli stessi. Infine si è proceduto ad

una verifica sul terreno utilizzando i rilievi serviti per caratterizzare strutturalmente il bosco con

risultati soddisfacenti.

Ai fini della presente analisi non serviva ottenere il valore esatto della copertura del bosco

quanto la divisione dello stesso in classi omogenee di copertura. Per far questo, una volta

ottenuto lo strato delle chiome e sottratto ad esso le aree aperte di dimensione superiore ai 5000

m2, si è suddivisa l’area in esagoni di 1250 m2 (superficie uguale a quella delle aree di saggio) e

sovrapponendoci lo strato delle chiome dopo una serie di passaggi si è ottenuto uno strato con

l’area del SIC divisa in esagoni di diversa percentuale di copertura che si è riclassificato in 4

classi di densità: 30-45%; 45-60%; 60-75% e 75-90%. L’immagine finale ottenuta permette di

suddividere l’area in 4 zone a diversa copertura (grado di ricoprimento delle chiome). Ne risulta

una copertura media del 65,8 % così distribuita:

05

1015202530354045

< 30 % 30-45 45-60 60-75 75-90

% copertura chiome

% s

uper

ficie

Fig. 20

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Sarebbe un errore grossolano derivare dal valore di copertura quello della densità del bosco,

intendendo con tale termine il n° di individui ad ha. Infatti, a parità di copertura due aree possono

avere densità del tutto differenti a causa della presenza di grossi individui a chioma espansa

diffusi in maniera disomogenea nel bosco. Inoltre lo stesso concetto di densità media può essere

utile a caratterizzare un bosco a struttura semplificata (coetanei e/o monoplani con individui ben

distribuiti nello spazio) come non lo è la sughereta.

Anche se i valori reali della copertura possono discostarsi da quelli stimati, a causa soprattutto

dell’effetto delle ombre create dagli alberi di grosse dimensioni, peraltro non molto frequenti,

essi sono stati comunque utili per differenziare meglio il bosco e pianificare i rilievi quali-

quantitativi. Il passo successivo è stato, infatti, quello di stabilire sia il numero sia la posizione

dei rilievi da effettuare. Sarebbe stato sufficiente fare quattro aree di saggio una per ogni classe

di densità per poi estrapolare i dati biometrici ottenuti sulla superficie totale di ciascuna classe.

L’analisi storica della dinamica forestale ha però suggerito di distinguere due zone: quella in cui

nel 1944 c’era già il bosco dal resto. Si può facilmente dedurre, infatti, e i dati dei rilievi

effettuati ce ne hanno dato conferma, che a parità di classe di copertura da settori di bosco con

diverso dinamismo si potessero ricavare dati differenti, pur tenendo conto dell’accennato

processo di semplificazione dell’intero bosco effettuato negli ultimi anni. Per tali ragioni sono

state effettuate 7 aree di saggio.

In questo modo sono stati distinti i dati delle classi 60-75% e 75-90% delle due zone a

differente dinamica mentre per la classe 45-60% sono stati utilizzati i dati dell’area 6 per

entrambe le zone sia perché si tratta di una classe molto meno rappresentata dal punto di vista

dell’estensione superficiale sia perché si tratta di percentuali di copertura basse e quindi di aree

di bosco rado. Infine i dati biometrici della classe 30-45% sono stati ottenuti per derivazione

dalla regressione lineare dei dati delle due classi successive. Così facendo si sono semplificate le

cose e non si sono comunque ottenuti errori significativi perché questa classe interessa

pochissima superficie e all’interno di essa pochi alberi. Va detto infine che fare un’area di saggio

in tale classe avrebbe comportato un errore di stima certamente superiore a quello ottenibile con

la semplificazione vista perché la varianza statistica dei dati biometrici negli esagoni o gruppi di

esagoni di questa classe potrebbe essere elevata come ci si aspetta quando si ha a che fare con

aree di saggio con pochi alberi.

L’ubicazione dei rilievi è stata programmata sul GIS tenendo conto delle considerazioni fatte

ma l’esatta posizione è stata decisa in bosco per evitare di ricadere in aree con caratteristiche

molto distanti da quelle medie del bosco circostante.

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Fig. 21: carta delle classi di copertura e dei rilievi.

Per far ciò si è utilizzato il GPS con errori di posizione sempre inferiori ai 5 m. In ogni caso

sono state segnate con vernice le piante centrali, ottenendo cosi rilievi “permanenti”, cioè

facilmente individuabili a distanza di anni per fare confronti fra dati biometrici nel tempo. Dato

che tutte le piante con diametro superiore ai 25 cm hanno subito almeno una decortica (pur con

qualche eccezione, dovuta probabilmente alla cattiva qualità del sughero), per rendere omogenei

i dati le misure dei diametri delle piante decorticate sono state aumentate di 6 cm perché la

ricrescita media del sughero è stata stimata attorno ai 3 cm, con oscillazioni che vanno dai 2,5 ai

3,5 cm. In ogni area di saggio sono state prese le altezze di almeno dieci piante campione prese

proporzionalmente ai valori di frequenza delle classi diametriche rappresentate. Infine si è fatta

una stima delle specie del sottobosco sia arbustive che arboree che lianose ed una sommaria

valutazione del tipo di rinnovazione delle specie arboree.

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

Per caratterizzare meglio il bosco dal punto di vista strutturale sono stati fatti due transetti

larghi 20 m e lunghi 50 m in due settori distanti della sughereta: uno a nord nell’area in cui il

bosco è presente da più di 60 anni; l’altro a sud nel settore che una volta era ricoperto da pascolo

arborato. Anche qui lo scopo è stato quello di verificare eventuali differenze dovute alla diversa

origine del bosco. Per permettere il confronto negli anni sono stati battuti con il GPS i punti

iniziali e finali ed è stata segnata con vernice la pianta iniziale e finale. Quest’ultima non

coincide perfettamente con la distanza di 50 m dalla pianta iniziale per cui la distanza reale del

transetto è leggermente diversa da quella prevista (50,5 e 52 m). Di ogni transetto si sono prese

le coordinate di ciascun fusto con diametro a petto d’uomo superiore ai 2 cm rispetto ad un

sistema di riferimento che vede la pianta iniziale nella sua origine e la pianta finale nel punto F

(20,x; 0) (vedi fig. 23, in cui è mostrato il rilievo planimetrico del transetto B).

Di ogni pianta si sono poi misurati altezza, diametro, proiezione della chioma. Ulteriori dati

hanno riguardato la conformazione della chioma, la presenza di fusti storti e la direzione

d’inclinazione, la presenza di carie e ferite al tronco e l’applicazione di un indice sintetico di

seccume della chioma. A tali dati si è aggiunta una puntuale analisi del sottobosco in riferimento

soprattutto alla rinnovazione delle specie arboree: il transetto è stato diviso in 10 settori di area

quadrata 10x10 m ed in ciascuno di essi è stata fatta un’analisi quali-quantitativa delle specie

presenti nello strato arbustivo e lianoso ed una stima del numero di individui facenti parte della

rinnovazione naturale distinguendo quelli già affermati, con altezze superiori agli 80 cm circa ma

con diametri inferiori ai 3 cm, da quelli con altezza inferiore.

Fig. 22: Fasi di rilievo nel transetto A (agosto 2004).

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

Fig.23: rilievo planimetrico del transetto B (la dimensione delle sezioni dei fusti sono reali).

Dai dati grezzi sono stati ricavati gli indici di portamento quali il coefficiente di chioma

(rapporto tra diametro medio della chioma e diametro del fusto a 1,30 m); l’area d’insidenza, il

grado di asimmetria (differenza fra il raggio più grande ed il raggio più piccolo divisa per il

raggio medio) ed il rapporto di snellezza.

Di seguito si riportano i dati quantitativi riassuntivi ricavati dai rilievi effettuati.

A1 A2 30-45% A5 A6 A7 Total59942,22 99634,06 8199,69 70927,73 58036,52 66006,47 362746,70

16,52 27,47 2,26 19,55 16,00 18,20 10040,51 34,00 16,44 32,65 23,01 36,66 33,14

0,0653 0,0668 0,0558 0,0488 0,0782 0,0495 0,059228,8 29,2 22,5 24,9 31,5 25,1 27,5

620,7 509,3 210,3 668,5 294,4 740,1 559,7242,84 338,72 172,86 231,56 133,56 242,00 1202,17

3720,64 5074,32 1220,58 4741,17 1708,81 4884,94 20302,33

40,41 33,92 16,23 32,57 22,72 36,12 32,940,072 0,075 0,076 0,058 0,106 0,072 0,07230,2 30,9 26,2 27,1 36,7 30,3 30,3

565,0 453,6 153,5 565,0 214,9 501,3 457,5242,23 337,99 94,19 231,04 131,87 238,42 1194,86

3386,74 4519,32 890,69 4007,42 1246,97 3309,16 16595,44

Diametro medio (cm)

Area basimetrica totale (mq)Piante per ettaro

Area basimetrica totale (mq)Piante totali

Diametro medio (cm)Piante per ettaro

superfici (mq)%Area basimetrica per ettaro (mq)Area basimetrica media (mq)

Area basimetrica per ettaro (mq)Area basimetrica media (mq)

SOLO SUGHERAPiante totali

e

Tab. 4.

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

20

16

18

0

0

Area di saggio 1

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Area di saggio 2

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Area di saggio 3

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Area di saggio 4

0

20

40

60

80

100

120

140

0

0

0

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Area di saggio 5

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Area di saggio 6

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Transetto A

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Transetto B

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Area di saggio 7

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

Fig. 24.

I dati biometrici ottenuti dei rilievi sono stati elaborati distinguendo due situazioni: quella

comprendente tutte le essenze arboree con diametro a petto d’uomo superiore ai 2 cm e quella

riguardante la sola sughera. Questa differenziazione è necessaria ai fini della proposta di gestione

selvicolturali del bosco che come si vedrà in seguito è a sua volta distinta in due principali

strategie conservative: la tutela della sughereta come bene storico-culturale e la tutela

dell’habitat biocenotico complessivo prevedente la rinaturalizzazione del bosco e quindi la

polispecificità. Dai dati ottenuti la sughera risulta essere la specie predominante se non esclusiva

dai 10 cm di diametro in su ma andando sotto a tale limite, soprattutto attorno al diametro

minimo rilevato di 2 cm sono assai numerose le specie consociate e tra esse le più rappresentate

sono le querce caducifoglie (cerro e roverella) pur non mancando sughere di simile taglia. Come

si può notare dalle tabelle l’inclusione delle altre specie pur incidendo pochissimo sui dati di area

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

basimetrica totale, abbassano di molto i valori di area basimetrica e diametro medio e alzano

quelli della densità (numero di piante totali ed ad ha).

I dati complessivi della sola sughera, per quanto possano essere poco indicativi per le ragioni

viste, mostrano un’area basimetrica media di 0.072 m2, un’area basimetrica ad ha di circa 32,94

m2, un diametro medio di 30,3 cm ed una media di 457 piante ad ha pari a 16595 piante totali. Si

ricorda che nel calcolo dei dati medi è stata considerata la superficie netta delle chiarie di

dimensione superiore ai 5000 m2, pari a circa 2,8 ha.

Per poter commentare questi dati occorre confrontarli con quelli riferibili a sugherete con

strutture ritenute ottimali o più semplicemente con densità ottimale. Queste dipendono sia da

componenti stazionali quali suolo e clima locale, sia dal tipo di utilizzazione previsto.

Per interpretare correttamente i dati biometrici della sughereta di Tuscania e dare indicazioni

selvicolturali sul tipo di trattamento più idoneo da seguire occorre perciò intendersi su quali sono

le finalità di gestione del bosco: una sughereta di produzione in cui ottimizzare gli incrementi

annui del sughero oppure la gestione naturalistica di una cenosi attualmente assai antropizzata

ma suscettibile di evoluzione in senso naturale. Per quanto riguarda i confronti con le sugherete

in via di naturalizzazione i dati provenienti da studi ancora carenti in materia non ci aiutano a

inquadrare il bosco in esame e bisogna ovviare a tale lacuna con l’attenta osservazione delle

dinamiche in corso tenendo presente anche la storia recente del bosco.

Per il confronto con le sugherete di produzione invece si hanno numerosi studi. In

quest’ultimo caso, date le peculiarità del soprassuolo puro di sughera, dovute e al temperamento

eliofilo della specie e al particolare prodotto non legnoso che da esso si ricava, le sugherete non

possono essere considerate, dal punto di vista colturale, alla stregua di altri popolamenti boscati.

Ciò si motiva con il fatto che le sugherete pure corrispondono ad un sistema antropizzato in cui

la purezza è stata ottenuta nel tempo con diradamenti selettivi. Le operazioni colturali hanno

inciso anche sulla loro densità per favorire maggiori accrescimenti diametrici del sughero

mediante il rispetto della spiccata eliofilia della specie, la quale richiede chiome illuminate anche

lateralmente.

La densità ottimale per sugherete “in piena produzione” dovrebbe assumere valore di 360

p/ha, con 232 (pari al 64%) piante con diametro a petto d’uomo minore di 16 cm e 128 piante

(36%) con diametro compreso tra 16 e 64 cm. A titolo di confronto ne risulta pertanto una

densità troppo elevata ma, a parte il discorso di una netta differenziazione al suo interno, bisogna

dire che la sughereta di Tuscania è ancora lungi da essere “in piena produzione” essendo una

formazione che gli interventi passati non sono ancora riusciti a “normalizzare”, a struttura

biplana con poche grosse matricine sparse tra piante di diametri compresi tra i 20 ed i 30 cm.

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

Interessante è notare le spiccate differenze tra le varie zone del bosco come risultano dai

grafici di distribuzione delle piante per classi diametriche (fig. 24). Esse sono tutte di tipo

plurimodale, andamento che è indicativo di boschi irregolari e stratificati. In generale la

distribuzione dei diametri in ogni rilievo risente in misura determinante dalla presenza o meno di

alberi di grossa taglia (diametri superiori ai 60 cm e chioma dominante) e dalla disomogenea

distribuzione spaziale degli alberi con l’alternarsi di zone ad eccessiva densità di individui e di

altre che presentano vuoti anche di una certa estensione spesso dovuti al crollo o al taglio di

esemplari di elevata grandezza. Nel primo caso si ha un evidente effetto di aduggiamento che

diminuisce con la distanza dall’albero dominante: gli alberi vicini sono sottomessi e presentano

piccoli diametri mentre quelli che sono ad una certa distanza riescono ad emergere pur

presentando fusti storti, chiome fortemente asimmetriche e/o compresse e diametri comunque

piccoli, mentre quelli che non risentono più dell’aduggiamento possono crescere in maniera

geometricamente più armonica. Nel secondo caso abbiamo, nei settori a maggior densità, gruppi

di alberi con chiome compresse e altezze sproporzionate ai diametri.

Comune a tutti i rilievi è un doppio picco di frequenza dei diametri medi più o meno

accentuato che in alcuni di essi è posizionato sulle classi diametriche dei 15 e dei 25 cm, in altri

è spostato su quelle dei 20 e dei 30. Per evidenziare meglio il diverso effetto delle dinamiche

passate sono stati accorpati i dati dei rilievi effettuati nel settore nord, dove il bosco esiste da

almeno 60 anni, e quelli fatti in quello sud originatosi dall’abbandono del pascolo arborato.

Come si vede dalla fig. 25 le differenze non sono molto evidenti anche se si nota l’assenza di

alberi di diametro superiore ai 65 cm nel settore sud e soprattutto una diversa ripartizione dei

fusti di piccolo diametro (classe 5 e 10 cm): a nord prevalgono gli individui di diametro molto

piccolo. Ma le differenza maggiori tra questi due settori si hanno sia nel grado di consociazione

delle specie arboree sia nella rinnovazione delle stesse.

Per quanto riguarda il primo aspetto ci può aiutare i dati ottenuti dai due transetti. Da essi

emerge che pur essendo il piano arboreo composto quasi esclusivamente dalla sughera si nota nel

transetto A (nord) l’ingresso nella prima classe di diametro di sei individui di cui tre di cerro, due

di roverella e di un’altro cerro di 12 cm di diametro mentre nel transetto B (sud) si hanno due

soli individui: un acero di 3 cm di diametro ed un orniello di 4 cm. Per quanto riguarda la

rinnovazione, che per poterla meglio valutare si è distinta in rinnovazione incipiente, con

piantine inferiori agli 80 cm di altezza, ed affermata, con piante superiori agli 80 cm di altezza

ma inferiori ai 2,5 m, si ha una presenza abbondante di specie consociate, soprattutto di querce

caducifoglie, nel transetto A in entrambe le tipologie di rinnovazione. Anche la rinnovazione

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della sughera è abbondante soprattutto quella incipiente con densità di 4 piantine al m2. Nel

transetto B la rinnovazione della sughera è molto più ridotta, con la densità di piantine di sughera

pari a 1,4 al m2 mentre quella delle specie consociate, pur presente è decisamente scarsa. Una

sommaria analisi del sottobosco relativo ai due settori ha portato a confermare quanto emerso dai

dati dei transetti e cioè una maggior presenza delle specie arboree consociate nel settore nord.

0

20

40

60

80

100

120

140

0 10 20 30 40 50 60 70 80

N°/ha

clas

si d

i dia

met

ro

nordsud

Fig. 25.

Passando ad analizzare i dati strutturali ottenuti dai due transetti, si può dire che la

distribuzione spaziale delle piante risulta essere alquanto disomogenea. Come si vede dalle fig.

26 e 27, che rappresentano la proiezione al suolo delle chiome e la posizione dei relativi fusti

rispetto ad esse, si ha un’alternanza di zone ad eccessiva densità con altre rappresentate da vuoti

anche di notevole dimensione. La sovrapposizione delle chiome è più evidente nel transetto B

con numerose piante sottoposte, soprattutto nella parte finale del transetto. Nel transetto A invece

si notano ampi spazi dovuti soprattutto al vuoto creatosi con il taglio o la morte delle piante di

grosso diametro. L’habitus degli alberi risente di tale disomogeneità distributiva: numerosi sono i

fusti storti ed ancor più numerose le chiome asimmetriche in entrambi i transetti. Ma il carattere

che spicca di più è la compressione delle stesse.

Le piante si presentano per la maggior parte filate, cioè sproporzionate in altezza (rapporto

altezza diametro elevato) e con scarsa ramificazione laterale anche in assenza di aduggiamento

laterale o superiore. Un’ipotesi che spiega questo fatto può essere quella di diradamenti avvenuti

in ritardo quando ormai le chiome degli alberi erano già filate ed è nota la difficoltà della specie

ad espandere la chioma allo stadio adulto. Inoltre la chioma della sughera ha la caratteristica di

essere rada perciò la copertura del suolo è ancor più limitata rispetto a alla semplice proiezione

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delle chiome: infine c’è da considerare l’effetto del cattivo stato di salute di molti individui con

parti di chioma poco rigogliose se non secche che accentuano ulteriormente i fenomeni visti.

Fig. 26: transetto A visto dall’alto.

Fig. 27: transetto B visto dall’alto.

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Interessante è quanto emerge dalle curve ipsometriche relative ai due transetti. Esse sono state

ricavate applicando ai grafici di dispersione dei diametri e delle altezze una linea di tendenza di

tipo logaritmico che è quella di solito usata per tali indagini biometriche perché presenta un

valore del coefficiente di determinazione (R2) più prossimo all’unità.

A: y = 3,4785Ln(x) - 1,0241R2 = 0,7412

B: y = 4,7985Ln(x) - 4,341R2 = 0,7642

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

0 20 40 60 80

transetto Atransetto BLog. (transetto A)Log. (transetto B)

Fig. 28.

In entrambe le curve tuttavia il coefficiente R2 risulta essere relativamente basso il che è un

ulteriore indice di irregolarità della struttura. Passando ad osservare la nebulosa di dispersione

dei punti si nota un vuoto corrispondente alla classe diametrica dei 20 cm oltre la quale

l’andamento dei due transetti è decisamente diversificato. La linea di tendenza dei due transetti

si discosta di molto a causa della maggior altezza delle piante di medio diametro del transetto B.

In entrambi i casi si nota comunque il fenomeno del doppio comportamento delle piante

attorno ai 25-30 m di altezza con un folto gruppo di predominanti alte e filate ed un gruppo meno

numeroso di sottoposte. Se si confrontano queste curve con quella scaturita dai rilievi effettuati

qualche anno fa prima dell’intervento di miglioramento si nota lo stesso tipo di distribuzione

della nebulosa dei punti ed un andamento intermedio rispetto a quello dei due transetti. Infatti, se

si uniscono i dati dei due transetti e si confronta con i rilievi precedenti (fig. 29) si osserva che le

due curve sono del tutto simili discostandosi leggermente nel senso di una generale diminuzione

dell’altezza generale delle piante.

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

D (cm)

H (m)

20041999Log. (1999)Log. (2004)

Fig. 29.

L’intervento selvicolturale effettuato è stato di tipo moderato dal basso perché ha interessato

esclusivamente le piante sottoposte e deperenti con meno del 10% del totale delle piante ma con

più dell’80 % di esse comprese nei primi 10 cm di diametro. Per tali ragioni non sembra aver

sortito grossi effetti sulle piante di diametro medio a chioma ristretta sia dominanti che dominate

anche a causa della lenta risposta delle sughere al diradamento quando questo avviene in ritardo.

Forse sarebbe stato opportuno eliminare molte più piante nelle classi diametriche intermedie per

dare spazio a quelle di miglior aspetto pur soggette a forte competitività.

A completamento dell’analisi sulla vegetazione c’è da segnalare la presenza di lembi di

pratelli terofitici nel settore orientale del bosco (fig. 31) dove più di sessant’anni fa c’era un

pascolo con radi alberi mantenuti tali negli anni. Anche qui sono in corso indagini

fitosociologiche delle quali si può anticipare che le specie legate a questo habitat sono risultate

molto interessanti, alcune delle quali rare nel Lazio.

Fig. 30: tappeto di muschio (aprile 2004). Fig. 31: radura con formazioni erbacee (aprile 2004).

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Da segnalare inoltre l’abbondante presenza di muschio sul terreno del sottobosco (fig. 30)

soprattutto nel settore nord che assieme alla discontinuità dovuta a piccoli avvallamenti, dove si

formano piccole pozze effimere durante le stagioni umide con la creazione di micro-habitat del

tutto particolari (anch’essi oggetto di studio), e alla diffusa presenza di grossi frammenti di

corteccia di sughera arrotolata (“cannoni” di corteccia) e di rami secchi caduti contribuisce alla

creazione nel sottobosco di un habitat di notevole interesse anche per la fauna selvatica.

La vegetazione che accompagna il Fosso Doganelle presenta aspetti differenti rispetto al resto

del bosco psia per il particolare microclima sia per il ridotto impatto antropico. Questo corso

d’acqua è di minore importanza rispetto ai due ad esso paralleli in direzione est: Fosso di

Pantacciano e Fosso della Cadutella. Esso è lungo poco più di 9,5 km, nascendo a circa 3 km a

nord della sughereta e terminando il suo corso nel Fiume Marta. Già a primavera avanzata si

presenta privo di portata, tranne in stagioni primaverili-estive relativamente piovose. Nel suo

tratto iniziale è quasi del tutto privo di vegetazione arborea e quella arbustiva è di modesta entità

venendo continuamente soppressa dalle pratiche agricole. Ciononostante sono presenti radi

alberelli di salice. La vegetazione arborea ed arbustiva inizia ad essere consistente a circa 300 m

dalla sughereta per poi essere continua lungo tutto il confine con essa. Più a sud invece torna ad

essere rada per un lungo tratto ancora. La vegetazione del tratto confinante con la sughereta pur

variando nella composizione non è tuttavia caratterizzata dalle specie igrofile presenti lungo i

fossi della zona quali salici, pioppi ed ontani.

Seguendo il fosso da nord a sud si incontra un primo tratto di circa 150 m con numerose

grosse sughere che bordeggiano la scarpatella del fosso accompagnate da numerosi aceri

campestri, qualche ramno e vegetazione arbustiva costituita principalmente da rovi. Segue un

tratto di circa 280 m in cui predominano ancora le sughere e fanno la loro comparsa numerosi

esemplari di olmo di piccola dimensione spesso a forma di grossi arbusti assieme a qualche

grande albero di cerro. Gli ultimi 300 m sono costituiti essenzialmente da arbusti tra cui

predomina il rovo comune ma con buona presenza anche di vitalba e sambuco rosso, più radi

sono perastri, olmi di piccola dimensione ed aceri.

2.3.2 Definizione delle caratteristiche generali degli habitat e delle specie di interesse

comunitario presenti nel sito

Nel SIC “Sughereta di Tuscania” ricade l’habitat 9330, foreste a Quercus suber che

corrisponde al codice 45.214 nel sistema gerarchico di classificazione riportato nel manuale

Corine Biotopes redatto dalla Comunità Europea.

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Piano di gestione S.I.C. Sughereta di Tuscania, parte I

Secondo questa classificazione gerarchica la sughereta rientra nei seguenti livelli gerarchici:

45 - foreste sclerofille mediterranee (foreste mediterranee dominate da alberi sempreverdi);

45.2 - foreste siliciche del Mediterraneo occidentale dominate da Quercus suber, solitamente

più igrofile e termofile delle foreste meso-mediterranee (foreste a Quercus ilex e Quercus

rotundifolia cod. 45.3);

45.21 - foreste di quercia da sughero tirreniche (Quercion suberis), foreste di Quercus suber

dell’Italia, Sicilia, Sardegna, Corsica, Francia e Spagna nord-orientale, spesso degradanti

verso le formazioni di “matorral”;

45.214 - foreste di quercia da sughero del centro Italia, in particolare di Toscana e Lazio,

spesso accompagnate da Q. ilex (leccio), i cui caratteri diagnostici sono costituiti dalla

presenza di specie mesofile, trasgressive dai Fagetalia e Querco-Fagetea.

Sebbene la sughera sia presente dalle coste del Viterbese fino al lago di Bolsena, non esistono

boschi di sughera di una certa estensione come quello della sughereta di Tuscania. Infatti, le

formazioni arboree in cui la specie è presente in maniera prevalente nella provincia di Viterbo

sono tutte di modesta estensione, spesso inserite all’interno di boschi di altro tipo e quasi sempre

in patches di forma lineare sulle spallette delle valli o sulle ripide pendici delle forre più aperte

nei loro versanti soleggiati (come la Valle del Marta). In ogni caso si tratta di frammenti di

boschi molto degradati, spesso radi, in cui la specie è sopravvissuta agli incendi ed al taglio per i

quali è dubbia l’attribuzione a tale habitat.

Le entità della flora italiana che rientrano nell’Allegato II della Direttiva Habitat risultano

essere 79, di cui 34 sono specie prioritarie.

Nel territorio laziale le specie della Direttiva Habitat osservate negli ultimi 50 anni sono:

Adonis distorta, Jonopsidium savianum e Kosteletzkya pentacarpos, tutte non prioritarie. La

prima è tipica dei territori di alta montagna, la seconda vive su suoli calcarei, mentre l’ultima si

sviluppa su prati paludosi in ambiente mediterraneo. L’analisi delle caratteristiche degli habitat

presenti nel SIC fanno escludere, quindi, l’esistenza di specie di interesse comunitario nel Sito in

questione.

2.3.3 Analisi degli elementi di interconnessione ecologica Un apporto fondamentale all’analisi del paesaggio in questi ultimi anni è dato dall’ecologia del

paesaggio. Questa disciplina studia gli elementi strutturali e funzionali che definiscono un

paesaggio, dandone una caratterizzazione quali-quantitativa utile per la pianificazione dello

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stesso. Il concetto di paesaggio esula dal semplice approccio visivo-antropocentrico. La sua

analisi è da anni affidata ad una nuova disciplina: l’ecologia del paesaggio ed è il risultato del

contributo di ciascuna delle due funzioni che lo compongono: la funzione ecosistemica e quella

corologica. La prima privilegia i processi, la seconda i patterns o meglio la distribuzione spaziale

delle strutture. Inoltre essa può essere fatta a più scale. Per esempio, incentrandosi sull’analisi

strutturale il tipo di paesaggio varia a seconda che si consideri una regione (grande scala) o un

territorio di pochi ettari (piccola scala). L’analisi del paesaggio dipende inoltre dal tipo di

processo/pattern che si vuole studiare. Per esempio la sua dimensione spazio temporale è

strettamente dipendente dalla specie presa in considerazione, essa è quindi specie-specifica.

Un aspetto particolare di tali analisi è quello della frammentazione degli elementi del

paesaggio e conseguentemente del grado di interconnessione degli stessi. Tutto ruota attorno al

concetto chiave di corridoio ecologico. Il termine “corridoio” può essere visto come una corsia

preferenziale di passaggio di materiali ed energia. Esso deve essere associato al concetto più

ampio di “connettività” che non è esprimibile con il semplice passaggio fisico. Per esempio se si

prende in considerazione l’aspetto strutturale di un paesaggio, come il tipo di vegetazione

esistente e la sua distribuzione spaziale, la connettività può essere intesa come capacità delle

diverse categorie di uso e copertura del suolo a “farsi attraversare” da quel processo o specie che

si vuole analizzare.

Andando sullo specifico e concentrandoci ai soli aspetti strutturali, il tipo di morfologia che

caratterizza il paesaggio della Tuscia è costituito, oltre che dai rilievi montuosi di origine

vulcanica, da un plateau a debole pendenza costituitosi dalla deposizione di materiale vulcanico

intersecato da valli profonde (le “forre”) su cui scorrono i principali corsi d’acqua. Tale aspetto

del paesaggio ha fortemente influito sul tipo d’uso del suolo effettuato nei secoli da parte delle

popolazioni residenti differenziando nettamente due biomi: le zone più pianeggianti

caratterizzate dalla predominanza dei campi coltivati e dei pascoli in cui si è verificato il

menzionato fenomeno di frammentazione delle aree naturali; le valli fluviali, dove l'uomo non ha

quasi turbato l'ambiente naturale a causa delle forti pendenze e dove pertanto si sono potuti

conservare, a volte quasi intatti, gli habitat primitivi costituiti dalla successione catenale di tre

serie di vegetazione: quella edafo-igrofila dei terrazzi alluvionali recenti di fondovalle

particolarmente ricca di specie, favorita dai microclimi più umidi; quella climacica dei versanti

ben differenziata a sua volta a seconda dell’esposizione in boschi misti termofili e mesofili;

quella infine edafo-xerofila delle pareti ripide e rocciose con popolamenti a prevalenza di specie

arbustive ed arboree xerofile. Il paesaggio circostante la sughereta rispecchia fedelmente tali

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differenziazioni. Visto a grande scala (fig. 32) mostra una serie di corridoi non sempre continui

che seguono l’idrografia e che intersecano una matrice uniforme di campi coltivati. Fanno

eccezione le ampie zone boscate verso il confine con il Comune di Monte Romano a sud-est e

della Macchia della Riserva ad ovest.

Fig. 32: carta dell’uso del suolo ISTAT su base topografica IGM al 25.000.

A scala piccola, prendendo in considerazione un intorno di circa 2 km di raggio attorno alla

sughereta, il pianoro in cui è inserita la sughereta è intensamente coltivato. La carta riprodotta

(fig. 33) mostra come gli elementi di connessione sono ridotti a poche siepi alberate e da brevi

tratti del fosso Doganelle. Invece sono ancora numerosi gli alberi isolati nei campi, quasi

esclusivamente sughere con una densità che va diminuendo allontanandosi dalla valle del Marta.

In conseguenza di quanto detto il bosco appare come un isola tra coltivi con distanze

relativamente elevate dalle altre formazioni naturali.

Un discorso a parte riguarda la frammentazione della sughera nell’area circostante il bosco.

Le cenosi arboree limitrofe alla sughereta sono tutte interessate dalla presenza della specie, il che

fa supporre che un tempo il bosco fosse molto più esteso arrivando ad essere contiguo con la

vegetazione della forra del Marta. Quest’ultima infatti presenta una fascia pianeggiante che

bordeggia la scarpata caratterizzata da un bosco rado a tratti prato con arbusti ed alberi sparsi in

cui la sughera è abbondantemente presente.

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Fig. 33: carta delle connessioni esistenti su base topografica CTR al 10.000

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2.4 Descrizione socio-economica

2.4.1 Uso del suolo attuale e passato

Sulla base del confronto fra serie storiche di foto aeree il territorio attualmente interessato

dalla sughereta ha subito una radicale modificazione nel senso di un forte recupero delle essenze

arboree su terreni una volta aperti e pascolati e di un generale aumento della densità arborea dei

terreni boscati. Per evidenziare tali aspetti si è realizzata una carta dell’uso del suolo sia per le

foto del 1944 che per quelle del 1999. Mentre per le prime ci si è basati esclusivamente sul

lavoro di fotointerpretazione, per le seconde, che rispecchiano abbastanza fedelmente l’attuale

stato del bosco, ci si è serviti anche dei riscontri a terra e del lavoro svolto per ottenere la carta

della copertura del suolo. Si è utilizzata una legenda comune di tipo strutturale per poter fare dei

confronti visivi. Sulla base di essa sono state distinte le otto categorie d’uso del suolo sotto

elencate:

1. Bosco chiuso (copertura chiome >60%)

2. Bosco aperto (copertura chiome dal 40 al 60%)

3. Bosco rado (copertura chiome < 40%)

4. Vegetazione riparia (vegetazione a ridosso del fosso anche non specifica)

5. Pascolo arborato (pascolo con almeno 25 p/ha, assente nel 1999)

6. Pascolo con arbusti ed alberi sparsi (alberi < 25 p/ha, assente nel 1999)

7. Pascolo/Formazioni erbacee

8. Viabilità (solo nel 1944)

A commento dei dati mostrati nelle figure di seguito mostrate c’è da segnalare che, rispetto al

passato, le aree aperte si sono ridotte di molto e non presentano segni di utilizzazione a pascolo,

come presumibilmente avveniva negli anni ’40. Già nel 1961 gran parte del settore sud era

interessato da un forte recupero della vegetazione arborea ed arbustiva (vedi fig. 36, ottenuta

dalla sovrapposizione di un fotogramma della strisciata del volo A.M. del 1961 con la base

topografica CTR).

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Fig. 34. Fig. 35

05

101520253035404550

1 2 3 4 5 6 7 8categorie uso suolo

%

19441999

Fig. 36. Fig. 37

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2.4.2 Quadro delle proprietà

Sulla base della cartografia catastale del Comune di Tuscania opportunamente georeferenziate

e sovrapposta al confine dell’area S.I.C. l’area su cui si trova la sughereta è così ripartita:

foglio 25, particelle: 14 (Ha 3.66), 22 (Ha 0,51), 37 (Ha 13.37), 38 (Ha 5.07); foglio 40,

particella 4 (Ha 17,02).

Pur interessando per intero tali particelle (tranne che un piccolo settore della particella 14) le

superfici del bosco non corrispondono esattamente a quelle catastali perché nel circoscrivere ci si

è riferiti al limite attuale del bosco. Tutte le particelle interessate dal bosco risultano essere di

proprietà dell’ing. Mauri Piero di Montefiascone. La divisione in cinque particelle del bosco se

poteva avere un senso quando il bosco era molto più ristretto e corrispondente essenzialmente

con le particelle 14 e 37 del foglio 25, oggi non rispecchia più una differenziazione della qualità

di coltura: da anni il bosco si sta avviando a costituire un complesso continuo pur essendo diviso

in molteplici habitat giustapposti fra di loro.

Fig 38.

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2.4.3 Tipo di pianificazione territoriale e vincoli esistenti Lo strumento urbanistico vigente nel territorio del Comune di Tuscania è il Piano Regolatore

Generale approvato con Delibera di Giunta Regionale n. 3197 del 18-08-1971, con ultima

variante approvata con DGR 1811 del 2000. La sughereta di Tuscania è inclusa nella Zona E4

“Zone boscate”. Di seguito si riporta integralmente l’articolo delle nome tecniche del P.R.G.

relative ai boschi.

ART.22 – SOTTOZONA E4 – ZONE BOSCATE

Tali zone comprendono i territori ricoperti da essenze arboree non da frutto, fatta eccezione per i castagneti. In dette aree, pertanto, sono compresi i boschi radi ed i boschi a normale densità, ma contenenti langhe e radure, rappresentati da essenze governate ad alto fusto, a ceduo ed a ceduo composto. Per gli effetti della L.431/85 – art.1 – lett. g), tali zone sono sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n.1497 ed assoggettate alla disciplina che la normativa del P.T.P. n.2 – Litorale Nord, ancorché adottato con D.G.R.L n.2268 del 28/04/1987, prescrive per le zone in questione. Qualora in confini delle perimetrazioni relative alle suddette zone, così come riportati sugli elaborati tecnici del P.R.G., risultassero erroneamente individuati su alcune porzioni di territorio per la insussistenza di detto bene, e quindi non assoggettabili al vincolo specifico, le stesse potranno acquisire la classificazione delle zone agricole contigue e la relativa disciplina di attuazione.

Le aree agricole limitrofe rientrano nella sottozona E3: agricola vincolata, comprende zone

con particolare carattere naturalistico – paesaggistico e singolarità orografiche.

In realtà non tutto il bosco rientra nella sottozona E4. In particolare sovrapponendo la

cartografia allegata al P.R.G. con le foto aeree e con la cartografia catastale risulta che tutta la

particella 14 del foglio 25 è inclusa nelle aree agricole pur essendo bosco. Ma questo è un

evidente errore di attribuzione facilmente risolvibile in sede di revisione del P.R.G. e del resto i

boschi in quanto tali sono di fatto vincolati dal vincolo paesistico, come lo stesso P.R.G. afferma.

Vincolo paesistico ambientale

In attesa dell’approvazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale unico per l’intero

territorio del Lazio vigono nell’ambito regionale una trentina di piani territoriali paesistici. La

frammentazione normativa e cartografica che ne deriva ha evidenti risvolti negativi sull’efficacia

delle norme di protezione del paesaggio. La sughereta di Tuscania rientra nel PTP N°2 “Litorale

nord” approvato con Legge Regionale n° 24 del 6 luglio 1998. Le norme tecniche di tale Piano,

approvate con Deliberazione n° 4472 del 30/07/99 della Giunta Regionale, inquadrano il

Comune di Tuscania nel Sistema territoriale di interesse paesistico n° 5, sub-ambito n° 9. Dalla

Tavola al 25.000 allegata risulta che l’area S.I.C. è inclusa nel tematismo dei “Terreni coperti da

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boschi e foreste o sottoposti a vincolo di rimboschimento”. Le norme tecniche prevedono

nell’art. 9 la protezione delle aree boscate. Di seguito si riporta per intero questo articolo.

1. Ai sensi dell'articolo 82, quinto comma, lettera g), del d.p.r. 616/1977, sono sottoposti a vincolo paesistico i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento.

2. Nella categoria di beni paesistici di cui al comma 1, rientrano i boschi, come definiti al comma 3 e i terreni soggetti a vincolo di rimboschimento.

3. Si considerano boschi: a) i terreni di superficie non inferiore a 5.000 metri quadrati coperti da vegetazione forestale arborea e/o arbustiva, a qualunque stadio di età, di origine naturale o artificiale, costituente a maturità un soprassuolo continuo con grado di copertura delle chiome non inferiore al 50 per cento; b) i castagneti da frutto; c) gli appezzamenti arborati isolati di qualunque superficie, situati ad una distanza, misurata fra i margini più vicini, non superiore a 20 metri dai boschi di cui alla lettera a) e con densità di copertura delle chiome a maturità non inferiore al 20 per cento della superficie boscata.

4. Sono esclusi dalla categoria di beni paesistici di cui al comma 1: a) gli impianti di colture legnose di origine esclusivamente artificiale realizzati con finalità produttive; b) le piante sparse, i filari e le fasce alberate, fatta eccezione per quelle che assolvono a funzioni frangivento in comprensori di bonifica o di schermatura igienico-sanitaria nelle pertinenze di insediamenti produttivi o servizi, ovvero situati nelle pertinenze idrauliche nonché quelli di riconosciuto valore storico; c) le piantagioni arboree dei giardini; d) i prati e i pascoli arborati il cui grado di copertura arborea a maturità non superi il 50 per cento della loro superficie e sui quali non siano in atto progetti di rimboschimento o una naturale rinnovazione forestale in stato avanzato.

5. Nei casi di errata o incerta perimetrazione, il comune certifica la presenza del bosco, così come individuato nel comma 3 e accerta se la zona sia stata percorsa dal fuoco o sia soggetta a progetti di rimboschimento.

6. Non è richiesta autorizzazione ai sensi dell'articolo 7 della l. 1497/1939 nei territori boscati per i seguenti interventi eseguiti nel rispetto delle norme vigenti in materia: a) interventi previsti nei piani di assestamento forestale approvati dalla Regione; b) taglio colturale, inteso quale taglio di utilizzazione periodica dei boschi cedui, purché sia eseguito nel rispetto delle prescrizioni forestali e rientri nell'ordinario governo del bosco, ovvero taglio volto all'eliminazione selettiva della vegetazione arborea deperiente sottomessa e/o soprannumeraria e delle piante danneggiate e/o colpite da attacchi parassitari; c) forestazione, ovvero costituzione di nuove superfici boscate, ricostituzione di patrimoni boschivi tagliati o comunque distrutti, rinfoltimento di soprassuoli radi; d) opere di bonifica, volte al miglioramento del patrimonio boschivo per quantità e specie, alla regimazione delle acque ed alla sistemazione della sentieristica e della viabilità forestale; e) opere di difesa preventiva dal fuoco, ovvero cinture parafuoco, prese d'acqua, sentieristica, viabilità, punti d'avvistamento; f) opere connesse all'esercizio delle attività agro-silvo-pastorali che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi.

7. E' in ogni caso soggetto all'autorizzazione paesistica il taglio a raso dei boschi d'alto fusto non assestato o ceduo invecchiato, intendendo come tale i popolamenti che abbiano superato di due volte e mezzo il turno minimo indicato dalle prescrizioni di massima e di polizia forestale di cui al Capo II del regio decreto 16 maggio 1926, n. 1126.

8. Nei territori boscati l'autorizzazione ai sensi dell'articolo 7 della l. 1497/1939 è rilasciata solo per il recupero degli edifici esistenti, le relative opere idriche e fognanti, per l'esecuzione degli interventi di sistemazione idrogeologica delle pendici, per la costruzione di

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abbeveratoi, ricoveri e rimesse per il bestiame brado, fienili, legnaie e piccoli ricoveri per at-trezzi con progetto e relativo fabbisogno documentati ed approvati, secondo le leggi vigenti, per la realizzazione di attrezzature e servizi strumentali allo svolgimento di attività didattiche e di promozioni dei valori naturalistico-ambientali, da localizzare nelle radure prive di alberature e, quando questo non fosse possibile, in modo tale da salvaguardare la vegetazione arborea.

Nelle stesse norme tecniche e precisamente nell’art. 12 è prevista la protezione delle aree di

interesse archeologico. In particolare nel punto 3 si dice che “per le aree individuate dal presente

PTP nonché per quelle individuate con provvedimento dell’amministrazione competente anche

successivamente all’approvazione dello stesso, ogni modifica allo stato dei luoghi è subordinata

alle procedure di cui all’articolo 7 della legge 1497/1939 (“Protezione delle bellezze naturali”)

ed al preventivo parere della competente Soprintendenza archeologica da rendersi prima del

rilascio delle autorizzazioni”. Lo stesso PTP n°2 riporta l’elenco dei beni e delle aree individuate

nelle Tavole allegate, che non ci è stato possibile ottenere nei tempi concessi per la

presentazione del presente Piano. Tra le aeree attualmente non vincolate ex lege 1089/39 (“tutela

delle cose d’interesse artistico o storico”) ci sono “tracciati antichi” in loc. Sughereto-S.Lazzaro.

Si dirà più oltre dei recenti lavoro di inventario di emergenze di interesse archeologico

interessanti tutta l’area circostante alla sughereta, qui preme sottolineare che sullo spirito della

normativa che protegge il paesaggio sia nelle sue componenti naturali che storiche e/o artistiche

non si esige alcun intervento amministrativo per la sottoposizione a vincolo di aree con

emergenze archeologiche che sono vincolate ope legis. Il loro ritrovamento costituisce di per sé

l’immediata tutela anche se per necessità pianificatorie esse vanno “cartografate”.

Il bosco è inoltre incluso nelle aree interessate dal vincolo idrogeologico ed è quindi soggetto

alle prescrizioni di massima e di polizia forestale di cui al R. D. 30 dicembre 1923 n. 3267,

adottate dalla Regione Lazio con L.R. 20 Gennaio 1999, n. 4. Esse prevedono una serie di norme

restrittive ai fini della funzione idrogeologica che tali boschi assumono a cui devono sottostare i

proprietari degli stessi per il loro governo e trattamento e in generale per la loro gestione

compreso il pascolo all’interno di essi. Di particolare interesse per il presente lavoro è l’art. 38

che riguarda i piani di coltura (piani economici) dei boschi privati. Esso recita testualmente: “i

privati proprietari possono chiedere all'ente destinatario del conferimento delle funzioni

l'approvazione di un Piano di coltura o Piano economico redatto da tecnici agro-forestali abilitati

per il governo ed il trattamento dei boschi di loro proprietà. Il Piano così approvato diviene

esecutivo, anche se diverso parzialmente dalle norme del presente regolamento e da eventuali

piani di coltura e conservazione, e il proprietario del bosco è tenuto ad applicarlo integralmente e

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per tutta la durata prevista in esso. Il Piano economico assume l'efficacia delle prescrizioni di

massima”.

Il quadro vincolistico e pianificatorio illustrato in questo paragrafo autorizza a ritenere

sufficientemente tutelata, dal punto di vista della sua evoluzione urbanistica, già con l’attuale

assetto territoriale, a maggior ragione se si considera che essa appartiene anche alla Riserva

Naturale Regionale di Tuscania. Il Piano di assetto della Riserva, in fase di elaborazione,

costituirà lo strumento normativo che, prendendo spunto dalle norme vincolistiche e

pianificatorie preesistenti e dalle indicazioni del presente Piano di gestione, detterà le regole a

cui si dovranno attenere anche le attività selvicolturali. In ogni caso, anche in mancanza di

precise indicazioni circa le stesse una copia della domanda di autorizzazione e del progetto di

utilizzazione forestale devono essere trasmessi all'ente gestore dell’area protetta per il rilascio del

nullaosta ai sensi dell'articolo 28 della L.R. 29/1997 (art. 45 comma 5 della Legge Forestale

Regionale L.R. 28 Ottobre 2002, n. 39 “Norme in materia di gestione delle risorse forestali”). La

stessa legge tra l’altro prescrive che i proprietari dei boschi privati possono affidare, attraverso

apposita convenzione, agli enti locali ed agli enti gestori delle aree naturali protette, ovvero ad

altri soggetti pubblici e privati, la gestione del proprio patrimonio boschivo. Inoltre il fatto stesso

di appartenere ad un’area S.I.C. sottopone ogni intervento colturale alla valutazione d’incidenza

(procedimento di carattere preventivo a cui è necessario sottoporre qualsiasi progetto che possa

avere incidenze significative su un sito) che dovrà tenere conto delle indicazioni incluse nel

presente Piano. Infine sempre secondo la Legge Forestale Regionale l’amm.ne regionale intende

sostenere il progetto di rete ecologica secondo gli stessi obiettivi sottesi nella Rete Natura 2000 e

pertanto sta predisponendo tutti gli strumenti utili per potenziare le connessioni, tra cui

l’individuazione delle aree strategiche, la loro perimetrazione e le necessarie restrizioni di

utilizzo con relativi indennizzi, qualora si trattasse di terreni di proprietà privata.

2.4.4 Inventario e valutazione dell'intensità delle attività umane presenti all'interno del sito e nel territorio circostante

La sughereta di Tuscania è un bosco privato da molte generazioni ed attualmente, pur essendo

frammentato in 5 particelle è di un unico proprietario, che possiede anche gran parte dei terreni

agricoli limitrofi.

Come si dirà più diffusamente quando si analizzeranno le conseguenze dell’impatto antropico

sul bosco, la sughereta di Tuscania è attualmente utilizzata per l’estrazione del sughero. Essa è

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quindi governata a fustaia con trattamenti finalizzati esclusivamente alla razionale distribuzione

geometrica delle piante con l’obiettivo di ottenere densità ottimali rispetto alla finalità produttiva

preposta. Attualmente però il popolamento è ben lungi da tale obbiettivo perché gli interventi

effettuati sono risultati tardivi e troppo deboli. Un recente taglio di miglioramento, che ha

interessato le piante sottoposte e quelle deperenti non sembra aver sortito effetti apprezzabili.

Inoltre il bosco versa in uno stato di sofferenza vegetativa i cui segni sono evidenti nella

rarefazione delle chiome e nelle numerose carie del fusto.

Nonostante ciò l’utilizzazione del sughero avviene con periodica regolarità interessando a

volte diametri inferiori a quelli consentiti dalla legge e piante vetuste o deperenti ormai prive di

accrescimenti diametrali apprezzabili e spesso interessate da calli cicatrizzali che rendono

difficile l’estrazione del sughero. L’ultima decortica, avvenuta nel 1995, ha recato frequenti

ferite ai fusti tuttora evidenti. Durante la stagione vegetativa il proprietario del bosco provvede

alla pulizia dei viali tagliafuoco che intersecano il bosco e che sono larghi circa 4 m e di una

fascia perimetrale della larghezza di 6 m con lavorazioni superficiali del terreno. Tali operazioni

si rivelano di vitale importanza per il bosco come dimostra un recente tentativo di incendio

partito dalla strada provinciale e che ha interessato per fortuna solo un ristretto settore di bosco,

peraltro molto aperto, contenuto grazie alla tempestiva opera di spegnimento effettuata dalle

squadre antincendio che sono potute comodamente giungere sul posto con le autobotti

attraversando il bosco.

I campi circostanti sono tutti interessati da un’agricoltura di tipo estensivo. Nell’anno in corso

le coltivazioni predominanti sono state quelle cerealicole e foraggiere non irrigue. E’ inoltre

presente anche il pascolo di greggi ma esso interessa solo marginalmente il bosco nel suo settore

più a nord dove è presente una strada interna quotidianamente attraversata dagli animali che si

recano presso gli erbai ed i campi di stoppie a nord della sughereta. Per quanto riguarda la

caccia, pur avendo rappresentato per anni un importante fattore di disturbo all’interno della

sughereta essa è attualmente vietata stante l’inclusione del bosco nella Riserva Naturale, ma non

sono rari gli episodi di caccia di frodo soprattutto a carico dell’istrice come risulta da

comunicazioni personali ma di questo e più in generale dell’impatto antropico dovuto alla

frequentazione del bosco se ne parlerà diffusamente nella parte seconda quando si affronteranno

i problemi legati ad esso.

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2.5 Descrizione delle rilevanze archeologiche

La sughereta di Tuscania si inserisce in un’area di alto valore archeologico. La vicina

Tuscania, infatti, oltre che essere stata una potente città medievale era ancor prima una fiorente

città etrusca situata in un punto strategico alla confluenza del fiume Maschialo e del Marta. Resti

di necropoli ed abitati si rinvengono in tutta la zona dalla valle del Marta a quelle dei corsi

d’acqua limitrofi e dei pianori interposti. La stessa area S.I.C. si trova a margine di alcuni

recentissimi ritrovamenti (fig. 39) effettuati nell’ambito dello studio di settore sulle rilevanze

archeologiche della Riserva Naturale di Tuscania a cura dell’Università degli Studi della Tuscia,

facoltà di Beni culturali. Ma all’interno stesso del bosco non è raro imbattersi in avvallamenti o

geometriche disposizioni del suolo che fanno pensare all’esistenza di siti archeologici, come del

resto risulta da comunicazioni personali e dall’esistenza, purtroppo, di un’illegale attività di

trafugazione di materiale archeologico.

Fig. 39.

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