PARTE I - All’Insegna del Giglio · Come si evince facilmente dalla lettura delle carte...

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PARTE I

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    I. INTRODUZIONE

    DEFINIZIONE DELL’AREA INDAGATA (Fig. 1)

    L’area oggetto della presente ricerca, divisa attualmente tra Lazio nord-orientale e Umbria sud-occidentale, è delimitata: a sud dalla Strada Statale n. 204 che collega Orte a Viterbo, a sud-ovest dalla strada Viterbo-Marta (come vertice del limite geografico è stato considerata l’imboccatura nel lago del Marta); a ovest dalla linea di riva del Lago di Bolsena; a nord dalla S.S. umbro-casentinese (n. 71) che collega Bol-sena a Orvieto; a est dal corso del Paglia dall’altezza della stessa Orvieto (ponte dell’Adunata) fino a Ca-stellonchio, e a seguire dal Tevere fino a raggiungere nuovamente Orte. La superficie totale è di circa 600 km², corrispondente a un decimo circa dell’intera Etruria meridionale.

    Oltre a quelli di Viterbo e Orvieto, l’area è am-ministrativamente suddivisa nei territori dei comuni di (da sud a nord, in senso est-ovest) Orte, Bassano in Teverina, Bomarzo, Vitorchiano, Montefiascone, Graffignano, Celleno, Civitella d’Agliano, Bagnore-gio, Bolsena, Castiglione in Teverina e Lubriano1.

    Sono questi dunque i limiti territoriali secondo i quali si intende nel presente lavoro il toponimo “Teverina”, che peraltro non sempre viene usato per indicare lo stesso ambito geografico2.

    ASPETTI GEO-MORFOLOGICI

    I DISTRETTI VULCANICI (Fig. 2)

    a) Il Distretto Vulsino (Figg. 3 e 4)La zona sopra definita coincide per larga parte

    con la metà orientale del Distretto vulcanico Vulsi-no, il più settentrionale dei complessi vulcanici del Lazio, con rocce di natura da potassica ad altamente potassica3 e caratterizzato prevalentemente da ma-nifestazioni sub-areali di tipo esplosivo con conse-

    guenti colate piroclastiche, prodotti di ricaduta ed idromagmatiti4.

    Al centro del distretto si trova la vasta conca del lago di Bolsena, edificio vulcanico principale collassato e sprofondato nel corso di più fasi, ai mar-gini del quale furono attivi quattro crateri maggiori, accomunati dalla ciclica riproposizione delle stesse dinamiche eruttive: – attività effusiva o stromboliana iniziale;– attività pliniana con deposizione di prodotti di rica-duta come pomici e ignimbriti;– collassi calderici;– attività idromagmatica5.

    Il primo in ordine cronologico di questi appa-rati marginali fu il complesso del Paleobolsena, il cui cratere, oggi non più ben identificabile, è collocabile verosimilmente nella metà meridionale dell’attuale conca lacustre; le isole Martana e Bisentina sono residui di crateri secondari. Attivo circa 600.000 anni fa, produsse fenomeni di ricaduta di pomici e espandimenti ignimbritici, attestati ad est (a sud di Civitella d’Agliano) e soprattutto a sud, fino e oltre Pian della Selva.

    Ad un intervallo di tempo compreso tra 600.000 e 337.000 anni fa vengono ricondotti i due cicli eruttivi del complesso Bolsena-Orvieto che interessarono il set-tore nord-orientale del distretto; il cratere principale può essere localizzato sul margine nord-orientale del lago, almeno in parte corrispondente all’abitato di Bolsena. Il collasso della caldera avvenne in due momenti, e più precisamente nel corso delle due fasi finali di ogni ciclo, in occasione di eruzioni idromagmatiche e di colate piroclastiche ad alto volume. L’eruzione finale determi-nò la formazione di un tipo particolare di ignimbrite, nota come tufo di Orvieto o ignimbrite di Bagnoregio, localmente cavata per blocchetti da costruzione6.

    Tufi leucitici basali, esito di successioni pirocla-stiche riferibili a questo complesso, sono riscontrabili ad est fino al corso del Tevere, nell’area compresa tra Sermugnano e Orvieto, e a nord raggiungono quasi Torre Alfina7.

    L’attività del terzo complesso vulcanico si svi-luppò ai margini sud-orientali della depressione vul-1 Per dati di tipo amministrativo (superfici, abitanti etc.)

    sui singoli comuni si veda la Pianta dei Beni Culturali, Artistici e Ambientali del Lazio, a cura della Regione Lazio-Assessorato alla Cultura e del Ministero della Pubblica Istruzione, Pomezia 1985, pp. 69-80.

    2 Ad esempio, talvolta con “Teverina” si intende la fascia valliva (60 km ca. di estensione, in senso nord-sud) compresa tra la confluenza del Paglia nel Tevere e il Treia ad est di Civita Castellana (così in ZUPPANTE 1987, p. 7) e ancora, sulla riva umbra, la fascia parallela alla precedente, compresa grossomodo tra Baschi e Penna in Teverina.

    3 Si tratta di una caratteristica dei complessi più giovani, risalenti a circa 800.000 anni fa.

    4 Per una più dettagliata definizione dei fenomeni vul-canici in questione, si vedano Note illustrative 1971, pp. 46-66; Guide Geologiche Regionali 1993, pp. 50-57, con bibliografia; CIONI 2003.

    5 NAPPI, RENZULLI 1990, pp. 130-131.6 Guide Geologiche Regionali 1993, pp. 304-308; per il tufo

    di Orvieto in particolare, vd. NAPPI et alii 1962.7 Guide Geologiche Regionali 1993, p. 58, fig. 34; NAPPI,

    RENZULLI 1990, pp. 130-131, fig. 2.

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    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    Fig. 1 – La Teverina. Limiti dell’area di indagine e principali centri moderni.The “Teverina”. Limits of the investigated area and main modern centres.

    cano-tettonica della conca lacustre; tale depressione, dominata oggi dall’altura di Montefiascone, si deve allo sprofondamento e al collasso dell’omonima caldera av-venuto in più fasi (almeno cinque) in un arco di tempo compreso tra i 300.000 e i 150.000 anni fa (Fig. 4). Come per il complesso di Bolsena, tipici sono i coni di scorie distribuiti soprattutto a ovest e a sud-ovest. Una potente coltre di ignimbriti si stende fino ad Attigliano sulla valle del Tevere, interrotta da banchi di travertino e da zone dove l’erosione ha messo in luce i prodotti delle attività dei precedenti complessi o addirittura le rocce sedimentarie, raggiungendo talvolta esiti spet-tacolari come nel caso dei calanchi scavati nelle argille del Pliocene inferiore a est di Bagnoregio8.

    Contemporaneamente a quello di Montefiasco-ne fu attivo il complesso vulcanico di Latera, l’unico

    8 Guide Geologiche Regionali pp. 303-308 e 318-321; NAPPI, RENZULLI 1990, pp. 130-131, figg. 1, 2.

    del Distretto Vulsino localizzato ad ovest del lago (e quindi esterno al perimetro dell’area in esame); il relativo recinto calderico può essere inquadrato tra i moderni centri di Latera e di Ischia di Castro9.

    b) I Distretti Cimino e Vicano Il settore meridionale del territorio considerato

    è interessato in parte dalle ignimbriti (tra queste il “peperino tipico”, cavato come pietra ornamentale) prodotte dalle eruzioni del Distretto Cimino, uno dei più antichi apparati della regione tosco-laziale (1.350.000-800.000 anni fa)10, e in parte dalle attività del complesso vicano (il più recente dei tre)11.

    9 Per il complesso di Latera, tra l’altro il più studiato dei quattro, si veda NAPPI, RENZULLI 1990, con ampia bibliografia.

    10 Note illustrative 1971, pp. 38-46. 11 Note illustrative 1971, pp. 65-75.

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    INTRODUZIONE

    12 ϕ-τw; le sigle riportate qui e alle note seguenti, relative alle varie formazioni geologiche, si riferiscono alle Carte Geolo-giche di Orvieto e Viterbo.

    13 τw.14 θϕ w.

    15 τϕ w.16 t1; Guide Geologiche Regionali 1993, pp. 58-61, fig.

    35 e pp. 304-307.17 a1, a2, a3; Note illustrative 1971, pp. 35-36.18 Q1c, Q2 c; Note illustrative 1971, pp. 30-31.19 t2; per i travertini, costituitisi per mezzo di acque ricche

    di calcio legate a manifestazioni idrotermali (fasi conclusive del-l’attività vulcanica) si veda Note illustrative 1971 pp. 31-32.

    20 a2, a3.

    Fig. 2 – Rappresentazione schematica della diffusione dei prodotti dei singoli apparati vulcanici (da Note Illustrative 1971, fig. 1).Diffusion of products from each volcanic complex: schematic representation (after Note Illustrative 1971, fig. 1).

    Le relative quattro fasi, comprese tra 800.000 e 95.000 anni fa e di carattere prevalentemente esplosi-vo, si svilupparono da un edificio centrale, lo strato-vulcano di Vico, dalla cui caldera si innalzò nel corso della fase più recente un cratere secondario, il vulcano di Monte Venere. Alla terza fase (200.000-150.000 anni fa), conclusasi con il collasso della caldera vicana, sono riferibili le ignimbriti dette A, B, C e D, esito di eruzioni di tipo pliniano. L’ignimbrite A è distribuita sui fianchi ovest, nord-ovest e est del vulcano fino a una distanza massima di 12 km12; l’ignimbrite B copre in prevalenza i versanti sud-ovest, sud e sud-est fino a 10 km13. L’ignimbrite C, di più lunga e complessa formazione, si stende tutto intorno al vulcano per un raggio di ben 25 km; la superficie di copertura è indi-cata in 1250 km², il volume complessivo del deposito in 10 km cubi, contro i 2-3 km cubi dell’ignimbrite A e il km3 della ignimbrite B. Anche nota come “tufo rosso a scorie nere”, l’ignimbrite C viene cavata local-mente a fini edilizi14. L’ignimbrite D, nota anche come

    “tufo bianco di Fabrica”, è distribuita esclusivamente sul versante orientale e all’interno della caldera15. Ultimi prodotti nella lunga sequenza di questa terza fase sono i “tufi finali”, ampiamente diffusi sui versanti settentrionale ed orientale del vulcano16.

    FORMAZIONI MARINE E CONTINENTALI

    Come si evince facilmente dalla lettura delle carte geologiche, la percentuale del territorio non interessata da prodotti vulcanici appare piuttosto bassa: oltre alla fascia in corrispondenza del corso del Tevere, dove si sovrappongono in sequenza allu-vioni terrazzate più o meno recenti (Olocene)17, si evidenziano tre zone in cui l’erosione ha esposto le argille e le sabbie sedimentarie di base (Pleistocene: Calabriano inferiore e superiore)18: si tratta della già citata zona dei calanchi di Bagnoregio, compresa tra San Michele in Teverina a sud, Civitella d’Agliano a sud-est, Vaiano a est, Sermugnano a nord, con una soluzione di continuità dovuta alla presenza di tufi del Paleobolsena tra quest’ultima località e Vaiano; una seconda zona dai contorni più irregolari è com-presa grossomodo tra Celleno a ovest, Sant’Angelo a est e Magugnano a sud; una terza zona corrisponde al versante orientale dei rilievi tufacei affacciati sulla valle del Tevere tra Attigliano e Orte.

    Altre limitate aree di affioramento di argille e conglomerati poligenici si trovano intorno a Orvieto e Rocca Sberna, a est di Grotte Santo Stefano e in-torno a Monte Piombone, in corrispondenza della confluenza del Fosso della Ferriera e del Fosso di Acquarossa nel corso della Vezza. A nord dello stesso torrente, in particolare all’altezza di Casale Colonna, sono attestate placche di travertino di più recente formazione, ovvero successiva a quella dei tufi basali che conferiscono al paesaggio un andamento piatto e uniforme (Olocene)19.

    Infine, la zona orientale dell’area in discorso, affacciata sulla valle del Tevere, è caratterizzata da alluvioni terrazzate; quella di maggiore estensione si trova a est dell’asse immaginario che unisce Casti-glione in Teverina a Civitella d’Agliano (Olocene)20. Altro aspetto tipico è rappresentato dai ripiani ta-bulari fortemente incisi dal corso degli affluenti del fiume, come ad esempio (da sud a nord) nel caso del Vezza, del Rigo, del Fosso di Montecalvello e del Rio Chiaro.

  • Fig. 4 – Distribuzione areale dei prodotti dell’attività eruttiva dei cicli del Paleobolsena, Bolsena e Montefiascone (da NAPPI, RENZULLI 1990, p. 132, Fig. 2).Paleobolsena, Bolsena and Montefiascone Cycles: spatial distribution of the eruptive activity products (after NAPPI, RENZULLI 1990, p. 132, fig. 2).

    Fig. 3 – Schema geologico del distretto vulcanico vulsino. 1: sedimenti quaternari; 2: travertini; 3: prodotti di Torre Alfina e del distretto vicano; Complesso di Latera – 4: prodotti lavici e stromboliani dell’attività finale; 5: formazione di Piti-gliano; 6: formazione di Onano, membro di Poggio Pinzo; 7: formazione di Onano, di Grotte di Castro e di Sorano; 8: formazione di Sovana; 9: formazione di Canino e di Farnese; Complesso vulcanico di Bolsena-Orvieto – 10: colate di lava; 11: ignimbrite di Orvieto-Bagnoregio; 12: successione piroclastica; Complesso di Montefiascone – 13: colate di lava; 14: successione piroclastica; Complesso del Paleobolsena – 15: colate di lava; 16: successione piroclastica; 17: colate di lava antiche; 18: ignimbriti basali; 19: successione piroclastica e vulcano-sedimentaria; 20: substrato sedimentario; 21: coni di scorie; 22: crateri; 23: orli craterici; 24: faglie e fratture. A: Acquapendente, B: Bolsena, Ba: Bagnoregio, C: Canino, CA: Civitella d’Agliano, F: Farnese, G: Grotte di Castro, L: Latera, M: Montefiascone, O: Orvieto, P: Pitigliano, Ps: Pian della Selva, R: La Rocca, S: Sovana, Se: Sermugnano, So: Sorano, T: Tuscania, TA: Torre Alfina (da Guide Geologiche Regionali 1993, p. 59 o da TRIGILA et alii 1992).Geological plan of the Vulsinian volcanic district.

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    INTRODUZIONE

    Fig. 5 – Idrografia della Teverina; le grandezze dei simboli sono schematicamente proporzionali all’importanza delle sorgenti. 1: Rio Paranza; 2: Fosso Castello; 3: Torrente Vezza; 4: Torrente Rigo; 5: Rio Chiaro; 6: Rio Torbido; 7: Torrente Castiglione; 8: Marta; 9: Sorgente di Turona; 10: Sorgente di Podere Valle Michele; 11: Sorgente Schiavo; 12: Terme del Bacucco; 13: Terme del Comune di Viterbo; 14: Terme di Bagnaccio; 15: Terme del Laghetto; Terme di Bagno; 17: Sorgente “Villa Lante”, Bagnaia VT (semplificazione dalla Carta Idrogeologica del Lazio 1988).Teverina: map showing the Hydrography; sizes used for each symbol are schematically compared to the importance of the springs. 1: Rio Paranza; 2: Fosso Castello; 3: Vezza stream; 4: Rigo stream; 5: Rio Chiaro; 6: Rio Torbido; 7: Castiglione stream; 8: Marta; 9: Turona spring; 10: Podere Valle Michele spring; 11: Schiavo spring; 12: Bacucco thermal baths; 13: Comune di Viterbo thermal baths; 14: Bagnaccio thermal baths; 15: Laghetto thermal baths; Bagno thermal baths; 17: “Villa Lante” spring, Bagnaia VT (reduction from Carta Idrogeologica del Lazio 1988).

    MORFOLOGIA

    I rilievi maggiori dell’area, intesi come quote assolute, si dispongono ad anello intorno al lago: si tratta di coni di scorie tardivi, con cime comunque poco elevate21 e soprattutto caratterizzati da versanti

    21 Da nord a sud: Monte Panaro 631 m slm, Monte Segnale 512, Montienzo 512, colle della Capriola 499, colle d’Arlena 477, Poggio Cerretella 510, Poggio dell’Asino 567, Montefiascone 633.

    con basso grado di acclività. Ad oriente di questa cate-na collinare il paesaggio appare ancora più addolcito e ondulato a causa degli estesi espandimenti ignimbritici22 e lavici (lava di Monterado23) movimentati, come nel caso dell’Infernaccio a ovest di Grotte Santo Stefano, da profonde forre.

    22 τ-ϕw 2.23 λ-τ1.

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    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    Proprio l’aspetto erosivo, interessa gran parte della metà orientale dell’area indagata, dove le acque degli affluenti di destra del Tevere incontrano poca resistenza nei sedimenti argillosi e soprattutto nelle vulcaniti in genere; diversamente, assai più resistenti sono le colate laviche alle quali si alternano. Come nel resto dell’Etruria meridionale, tipico esito di questo fenomeno è la formazione di gole più o meno profon-de, con pareti anche molto scoscese che comportano in alcuni casi l’isolamento di pianori o rilievi tufacei; il più delle volte, l’isolamento è solo parziale, come può verificarsi alla confluenza di due fossi.

    Allo stesso tempo, lo scorrimento dei fossi, in condizioni diverse di substrato geologico, ha deter-minato la creazione di numerose vallecole adatte allo sfruttamento agricolo.

    Quando non si è in presenza di incisioni e valli, il paesaggio si mostra pianeggiante, leggermente in-clinato verso l’ampia valle del Tevere.

    IDROGRAFIA (Fig. 5)

    L’idrografia, di carattere prevalentemente tor-rentizio, si sviluppa in funzione del Tevere (a carattere senile e in fase di alluvionamento) e, in minima par-te, del lago di Bolsena. La corona di rilievi collinari intorno al lago funziona da spartiacque tra il bacino del Tevere e i corsi d’acqua che sfociano direttamente nel Tirreno.

    Sorgenti lineari24 alimentano una serie di aste fluviali dal corso tendenzialmente parallelo orientato ovest-est, mentre i torrenti a sud del Vezza sono ali-mentati da fossi e sorgenti provenienti dall’apparato cimino.

    I corsi di maggiore portata, e quindi con un flusso d’acqua relativamente abbondante anche nelle stagioni più calde, sono, da sud a nord, il Rio Paranzo (Fig. 5: 1)25,

    il Fosso Castello (Fig. 5: 2)26; il Torrente Vezza (Fig. 5: 3), il più importante dell’intera area in esame27; la sorgente “Villa Lante” a Bagnaia (Fig. 5: 17)28; il Torrente Rigo (Fig. 5: 4)29; il Rio Chiaro (Fig. 5: 5)30; il Torrente Torbido (Fig. 5: 6)31; il Torrente Castiglione (Fig. 5: 7)32.

    Nel lago di Bolsena33 sfociano i torrenti, minori rispetto ai precedenti per lunghezza e portata, che si formano sui rilievi disposti a corona intorno alla conca lacustre: è questo il caso, ad esempio, dei fossi del Mal-tempo, d’Arlena, Melona e della Carogna. Nei pressi di Bolsena si trova la sorgente Schiavo (Fig. 5: 11)34 e, sempre in prossimità delle colline nord-orientali dell’anello perilacustre, sono note le sorgenti minori di Podere Valle Michele e di Turona (Fig. 5: 9 e 10), entrambe con portata inferiore a 20 l/sec.

    SISMICITÀ

    Come tutte le zone vulcaniche, il Distretto Vulsino è sempre stato soggetto a frequenti e intensi fenomeni sismici dovuti alla fase di assestamento ancora in corso35.

    e ambientale, del bacino del Rio Paranza in DEL LUNGO, DEL LUNGO 1997.

    26 Portata media: 250 litri al secondo; torrenti confluenti: Fosso del Rubinaccio, Fosso delle Pantane, Fosso della Molinella e Fosso Sanguinetta.

    27 Portata media: 800 litri al secondo; torrenti confluen-ti: Fosso Serraglio, Fosso della Fornace, Fosso Rincolla-Fosso Acqua Fredda, Fosso Forco della Guzza-Fosso di Catarcione, Fosso della Cava, Fosso della Ferriera-Fosso del Fornicchio, Fosso dell’Acqua Bianca-Fosso Piscina di Polvere, Fosso del-l’Acqua Rossa, Fosso Guzzarella, Fosso delle Legarelle, Rio Malnome.

    28 Portata media: 20 litri al secondo.29 Portata media: 250 litri al secondo.30 Portata media: 200 litri al secondo.31 Portata media: 100 litri al secondo.32 Portata media: 150 litri al secondo.33 Caratteri morfometrici: superficie 113,554 km²; quota

    superficiale: 306 m slm; profondità media 81,02 m; profondità massima: 151 m; perimetro 43,175 km; Note illustrative 1971 p. 89. Per gli aspetti idrogeologici del lago si vedano gli esaustivi contributi nel «Bollettino di Studi e Ricerche di Bolsena», 1990, 1991, 1992 e 1994.

    34 Portata media: 90 litri al secondo.35 Note illustrative 1971, pp. 18-19; per la zona di Bagno-

    regio in particolare si veda MARGOTTINI, MOLIN 1990.

    24 Per sorgenti lineari si intendono emergenze naturali di acque sotterranee in un tratto d’alveo drenante, di lunghezza variabile da qualche centinaio di metri ad alcuni chilometri; per i dati citati, vd. Carta Idrogeologica della Regione Lazio, di C. Boni, P. Bono, G. Capelli, Regione Lazio e Università “La Sapienza” di Roma, Dipar-timento di Scienze della Terra, 1988, scala 1:250.000).

    25 Portata media della sorgente lineare: 100 litri al secon-do; fossi o torrenti confluenti e determinanti l’entità della stessa sorgente: Fosso di Valle Oscura. Un quadro completo, storico

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    II. STORIA DEGLI STUDI E DELLE RICERCHE

    La prima personalità da annoverare tra coloro che hanno contribuito significativamente alla co-noscenza del territorio volsiniese è quella dell’abate Andrea Adami, veneziano naturalizzato bolsenese, che dedicò ben quattro volumi alle antichità locali. La Storia di Volseno antica metropoli della Toscana (1734-1737), a prescindere da alcune fantasiose inter-pretazioni e dalle prevedibili quanto curiose censure di stampo ecclesiastico dell’iconografia pagana, ha l’indubbio merito di testimoniare l’esistenza di vestigia e reperti ormai scomparsi o dispersi1.

    Come per il resto del Lazio settentrionale, le pri-me esplorazioni topografiche di un certo rilievo nella Teverina risalgono ai primi decenni dell’800, quando l’intera Etruria fu interessata da un’intensa attività di ricerche. Si inseriscono in quest’ambito gli scavi, o meglio vere e proprie spoliazioni sistematiche, delle necropoli etrusche di Piammiano e di Pian della Co-lonna nel territorio di Bomarzo condotte da Ruggeri a partire dal 1830, e quelli diretti da Arduini, tipica figura di scavatore con fini di lucro, nelle necropoli dei Cappuccini e San Bernardino nella zona a ovest di Orte, rispettivamente nel 1837 e nel 18392.

    Rinvenimenti più o meno fortuiti di antichità costituirono spesso, per gli studiosi dell’epoca, un irresistibile spunto per ulteriori indagini antiquarie. Tra gli scritti degli eruditi rinascimentali, esemplare è a tal proposito il caso del frate domenicano Annio di Viterbo (1432-1502)3, alle cui identificazioni di oppida etruschi si fa continuo riferimento nelle dis-sertazioni topografiche ottocentesche4. Nello stesso periodo, parallelamente all’attenzione per l’età etrusca, iniziò a manifestarsi l’interesse per l’individuazione e la ricostruzione dei tracciati viari romani.

    In quest’ambito, intorno alla metà del secolo si collocano i lavori su vasta scala geografica di Dennis5, Canina6 e Nibby7 per citare solo i più noti, e limitata-mente alla zona in esame quelli di Padre Germano di

    San Stanislao su Orte, Bomarzo e la via Amerina8, di Vittori su Bomarzo con attenzione particolare al La-ghetto9, e del bagnorese Domenico Golini per Bolsena ed aree limitrofe10. A quest’ultimo studioso, che dal 1849 diede inizio a un progetto di sistematica ricerca mirata ancora una volta all’individuazione della Vol-sinii etrusca, va ascritto il merito del riconoscimento di una frequentazione etrusca sul colle della Civita d’Arlena (18*)11, occupato in realtà, come si vedrà più avanti, fin dalla prima età del Ferro12.

    In effetti, l’interesse per la protostoria rimase di carattere incidentale fino agli ultimi decenni del XIX secolo, quando il notevole incremento (dovuto alla sistematica messa a coltura dei terreni dell’ex stato pontificio) del numero dei rinvenimenti di materiali riferibili ad epoche precedenti quella etrusca costituì il determinante impulso per la connotazione scientifica e specifica delle ricerche 13. A questo periodo risalgono la scoperta di larga parte dei ripostigli di oggetti di bronzo oggi noti, tra i quali quello di Grotte Santo Stefano (16*)14 e alcuni importanti rinvenimenti ad Orvieto (11*).

    Alle falde della rupe vennero portate alla luce due tombe a fossa di facies villanoviana15, mentre sulla sommità (tra Porta Maggiore e Porta Romana, ovvero

    1 Sulle vicende volsiniesi dell’abate Adami, vd. TAMBURINi 1999; A. ADAMI, La storia di Volseno, Roma 1734; ID., Storia di Volseno, antica metropoli della Toscana, Roma 1734-37.

    2 NARDI 1980, pp. 22-23, 58-59 e 46-57.3 Sulla discussa figura di Annio di Viterbo e per la storia

    degli studi etruschi nell’Ottocento si vedano, fra i tanti, CRISTO-FANI 1992, COLONNA 1992, DELPINO 1992, con bibl.

    4 Per la zona di Bomarzo-Polimartium e di Orte-Horta si vedano rispettivamente BAGLIONE 1976, in part. pp. 20-23, e NARDI 1980, in part. pp. 17-21.

    5 G. DENNIS, The cities and cemeteries of Etruria, London 1848; in più, sulle fatiche del Dennis impegnato a dimostrare l’identità della Volsinii etrusca con Bolsena, vd. TAMBURINI 1999.

    6 L. CANINA, L’antica etruria marittima, Roma 1849.7 A. NIBBY, Analisi storico-topografica-antiquaria della carta

    dei dintorni di Roma, I-II, Roma 1848-1849.

    8 PADRE GERMANO DI S. STANISLAO, Memorie archeolo-giche e critiche sopra gli atti e il cimitero di S. Eutizio di Ferento, Roma 1886.

    9 Piccolo specchio d’acqua ormai interrato, a nord di Bassano in Teverina, riconosciuto come il lacus Vadimonis della battaglia tra Romani e Galli appoggiati dagli Etruschi, 283 a.C. Cfr. L. VITTORI, Memorie archeologico-storiche sulla città di Poli-marzio oggi Bomarzo, Roma 1846.

    10 D. GOLINI, Scavi volsiniesi (lettera al Dott. G. Hentzen), Bullettino dell’Istituto di corrispondenza Archeologica, 1857.

    11 Di qui innanzi, con il numero seguito da asterisco si intende agevolare l’identificazione del sito archeologico nelle varie carte tematiche. Il numero senza asterisco indica un sito ubicato al di fuori all’area d’indagine. Per l’elenco completo, vd. “Parte III – Apparati”.

    12 Ibid., p. 132.13 CARDARELLI et alii 1980, pp. 91-92; sulle implicazioni

    delle trasformazioni agrarie posteriori all’unità d’Italia nella conservazione dei siti protostorici, si veda anche DI GENNARO, PERONI 1994.

    14 Ripostiglio di non esatta localizzazione, composto da frammenti di asce e pani di bronzo riferibili alla fase piena del Bronzo finale (BF 2); M.S. DE ROSSI, Pezzi di aes rude di peso definito e le asce in bronzo adoperate come valore monetale, Roma 1886; DI GENNARO 1986, p. 71; PERONI 1996a, p. 333.

    15 Necropoli di Crocifisso del Tufo, HELBIG 1878, p. 225; UNDSET 1885, p. 46; per gli scavi più recenti si veda BIZZARRI 1962, p. 11 (dove per le due tombe viene proposta una cronologia più alta) e ID. 1967, p. 9. Ad ogni modo il primo rinvenimento di facies villanoviana dovrebbe risalire addirittura al 1532 quando, durante lo scavo del Pozzo di San Patrizio, vennero alla luce alcuni vasi cinerari (TAMBURINI 1992a, pp. 14-21, con bibliografia).

  • 22

    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    in corrispondenza del Foro Boario di età romana) affiorarono i primi frammenti relativi all’abitato vil-lanoviano, le cui tracce in seguito diverranno sempre più cospicue16. Tuttavia è solo alla fine del secolo che l’esplorazione del territorio assume un aspetto sistema-tico: ci si riferisce all’attività ultradecennale di Cozza, Pasqui e, in un secondo momento, di Mengarelli, rilevatori della nascente Carta Archeologica d’Italia. Le ricerche, per quanto riguarda la Teverina, interessarono le zone di Orvieto, Bolsena, Viterbo (con particolare attenzione a Ferento), e solo marginalmente quella di Orte. Per limitarsi ai siti che si riveleranno in seguito anche di interesse protostorico, si vuole qui menzio-nare l’individuazione della fase etrusca a Castellonchio (12*) ad opera di Cozza, che vi riscontrò anche la presenza di numerose vestigia etrusche e romane17.

    Allo stesso ambito editoriale, ma realizzato nei primi anni ’30 del secolo scorso, va inoltre ascritto il quadro d’insieme ricostruito da Becatti per il territorio orvietano (Foglio 130 della Carta Archeologica d’Ita-lia)18, di recente rivisitato, limitatamente alla tavoletta di Orvieto, da Simonetta Stopponi, con l’aiuto degli studenti delle Università di Perugia e di Macerata19.

    Più o meno allo stesso periodo, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, ma ad una diversa temperie scientifica, vanno ascritte le indagini a Ferento e dintorni dell’appassionato amatore locale Luigi Rossi Danielli che, pur non essendo un archeologo o un topografo, fu capace di scoprire l’occupazione etrusca del Colle San Francesco (Acquarossa, 40*), dove probabilmente eseguì anche qualche scavo a proprie spese, spinto dall’incorag-giante rinvenimento di fossati difensivi, frammenti di

    tegole di età arcaica, pozzi e cunicoli e “case ipogee”, nonché dall’individuazione di necropoli nelle aree circostanti il pianoro20.

    A questa fase delle ricerche, ancora divise tra scienza e dilettantismo, seguì un lungo periodo di stasi che durò in pratica fino all’immediato dopoguerra. Nel 1946 ebbe inizio l’attività dell’École Française de Rome in collaborazione con la Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria meridionale nell’area di Bolsena: oltre agli scavi nell’omonimo sito romano e all’esplorazione di altri minori, sotto la direzione di Raymond Bloch vennero intraprese campagne di scavo alla Civita d’Arlena (18*; abitato e necropoli di età arcaica sulle pendici, 1953-54), già segnalata da Domenico Golini intorno alla metà del secolo precedente, e della necropoli della prima età del Ferro di nuova individuazione sul versante sud-occidentale del vicino colle della Capriola (6*; 1955)21.

    Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso si datano le prime importanti scoperte dell’ing. Alessandro Fiora-vanti, allora Ispettore Onorario alle Antichità di Bolsena e oggi Conservatore Onorario del Museo Territoriale del Lago di Bolsena, le cui ricerche, intraprese in un primo momento al fine di ricostruire l’antica viabilità perilacustre e condotte in collaborazione con i subacquei del Centro Lacuale Ricerche, si riveleranno nel corso degli anni successivi particolarmente fruttuose per l’età protostorica22. Nel 1958 il Fioravanti interpretò corret-tamente come struttura artificiale la cd. “aiola” del Gran-caro (19*); l’anno dopo si rinvenne nella stessa località il primo frammento ceramico; nel 1960 fu la volta del sito sommerso di Tempietto (17*), individuato in base ad una occasionale segnalazione risalente al 182523. Al Grancaro, dopo alcune ricognizioni subacquee (1960), nel 1964 iniziarono vere e proprie ricerche sistematiche (scavo subacqueo, 1964-66) a cura della Soprintendenza per l’Etruria (direzione dei lavori di G. Colonna) in collaborazione con il Pennsylvania University Museum di Philadelphia, con la British School at Rome e con lo stesso scopritore Alessandro Fioravanti). Le indagini proseguirono in forma ridotta nel 1967-68 e nel 1971, per riprendere quindi in modo intenso nella metà degli anni ’70 (saggi di scavo e recuperi ad opera della Base Sperimentale Tecniche Archeosub dei Gruppi

    16 Ad interpretare come uno scarico urbano etrusco i mate-riali rinvenuti negli scavi della Piazza del Mercato fu il Gamurrini nel 1881; negli anni ’20 del nostro secolo Luigi Pernier rinvenne durante gli scavi del tempio di Belvedere alcuni frammenti di cera-mica d’impasto lucidato a stecca, e nello stesso sito lo Stefani male interpretò quelli che probabilmente erano buchi di palo di capanne protostoriche; nella seconda metà degli anni ’50 lavori edilizi presso Piazza Marconi (o forse a San Paolo, le testimonianze a tal proposito non coincidono) portarono alla luce una ciotola d’impasto a orlo rientrante con ansa a maniglia impostata obliquamente sull’orlo; tra il 1967 e il 1969 fu il Cagiano de Azevedo a rinvenire negli scavi della chiesa di Sant’Andrea materiali dell’età del Ferro e una struttura in mattoni che l’autore riferì all’VIII secolo. In età più recente si colloca-no i rinvenimenti villanoviani nella necropoli della Cannicella (prime segnalazioni nel 1978: CZARAN CERRUTI, SCARPIGNATO; per gli anni ’80: DI GENNARO 1986a, pp. 133-134; SCARPIGNATO, DI GENNARO 1988; agli anni ’90 risale il ritrovamento di un frammento di età appenninica (KOHLER 1993); alla fine degli anni ’80, in occasione dei restauri del Palazzo del Capitano, fu possibile recuperare qualche frammento d’impasto decorato a pettine (notizie, a parte quest’ulti-ma, da TAMBURINI 1992a, pp. 14-21, con bibliografia).

    17 G.F. GAMURRINI, A. COZZA, A. PASQUI, R. MENGA-RELLI, Carta Archeologica d’Italia (1881-1897). Materiali per l’Etruria e la Sabina, Firenze 1972, in part. per Castellonchio pp. 18-19, fig. 24; ancora, sull’attività del Cozza in agro volsiniese, vd. TAMBURINI 1999.

    18 BECATTI 1934.19 STOPPONI 1999.

    20 L. ROSSI DANIELLI, Ferento-Epoca etrusca, «Bollettino Storico Archeologico Viterbese, 1 (1908), fasc. 1; ID., Gli Etruschi del Viterbese, parte 1, Ferento, Viterbo 1959 (raccolta postuma a cura di L. Catalano). Per la storia degli studi e delle ricerche ad Acquarossa si veda RYSTEDT 1986.

    21 BLOCH 1972, con bibliografia precedente.22 Intorno alla metà degli anni ’80 vengono individuati i siti

    sommersi di Ragnatoro (anno della scoperta: 1985; FIORAVANTI 1988, pp. 595-600; ID. 1994, pp. 11-17; TAMBURINI 1995b, pp. 212-212) e Monte Senano (1984; FIORAVANTI 1988, ID. 1994, pp. 9-11); per un quadro completo delle scoperte effettuate da Fioravanti e collaboratori, vd. TAMBURINI 1998a, pp. 33-37.

    23 In quell’anno venne alla luce un palo fossilizzato, rima-sto impigliato nelle reti di alcuni pescatori, TAMBURINI 1992a, p. 33; ID. 1995b, pp. 210-211.

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    STORIA DEGLI STUDI E DELLE RICERCHE

    Fig. 6 – Modalità di rinvenimento, con gli ulteriori interventi di ricerca, delle presenze archeologiche protostoriche nella Teverina (per il riconoscimento dei numeri di riferimento, si vedano gli Elenchi in Parte III – Apparati).Teverina: site discovering procedures, with further research projects, applied to investigate the protohistoric evidences (for the identification of reference number, see Lists in Part III).

    Archeologici d’Italia, 1974-75); nel 1981, con gli scavi in concessione (campagne 1978-81) diretti dall’ing. Fioravanti, si concluse il primo lungo ciclo di ricerche24.

    Ritornando agli anni ’60 del XX secolo, un’at-tività analoga a quella svolta dai francesi nella zona di Bolsena (ovvero scavi e esplorazione di superficie) venne condotta a partire dal 1966 dall’Istituto Svedese

    di Studi Classici di Roma nell’area gravitante intorno ad Acquarossa (40*)25, e in particolare lungo il corso del Vezza, in quanto ritenuta probabile principale via di comunicazione dell’hinterland con la valle tiberina. Le ricognizioni in queste zone, dei cui risultati l’am-miraglio di corte Erik Wetter fornisce un resoconto

    24 Per la storia delle ricerche al Grancaro, TAMBURINI 1995a, pp. 19-29.

    25 Campagne di scavo si protrassero regolarmente dal 1966 al 1977 sotto la direzione di Carl Eric Östenberg, cui seguì un ulti-mo intervento nel 1978 a cura di Alvar Vidén (RYSTEDT 1986).

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    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    dal quale si evince come l’attenzione principale si con-centrasse sulle età etrusca e romana, consentirono la scoperta di materiali protostorici a Monte Piombone (8*), Castelluccio della Selva di Malano (26*) e Casale della Colonna (3*), in seguito rivisti da Wendt26.

    Nel corso degli anni ’70 del secolo scorso nella Te-verina, come peraltro nel resto dell’Etruria, si aprirono più fronti di ricerca: alle attività del Gruppo Archeolo-gico Romano, che interessarono soprattutto i distretti tarquiniese, ceretano, falisco, veiente e solo margi-nalmente quello volsiniese27, si deve il rinvenimento di materiali d’impasto a Fondaccio (7*), sulla riva meridionale del lago di Bolsena28, e a Casale Barzellotti (21*), a sud-ovest di Bomarzo29. L’area a nord, nord-est di Viterbo (tavoletta IGM 137 III NE, “Viterbo”) fu oggetto di indagine da parte di Maria Fenelli (Sezione di Topografia Antica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”) nell’ambito del progetto di cartografia archeologica Forma Italiae, tuttora inedito, e in questa occasione vennero individuati i siti di età appenninica di S. Silvestro (24*) e Casale dei Gesuiti (25*), entrambi in prossimità di Monte Piombone (8*). Nel 1976, per iniziativa dell’Istituto di Paletnologia dell’Università di Roma, ripresero gli scavi sul colle della Capriola (6*). Sempre in questi anni, infine, si collocano la scoperta fortuita di materiali protostorici nelle grotte che si aprono lungo le balze immediatamente al di sotto della rupe di Rocca Sberna (5*) compiuta da un gruppo speleologico di Orvieto, con successivi sopral-luoghi a cura del G.A.R. (1975, Vincenzo D’Ercole)30.

    Nello stesso periodo ebbero inizio le indagini a carattere specificamente protostorico condotte da un gruppo di studenti31, poi in buona parte afferiti alla cattedra di Protostoria Europea del prof. Renato Peroni dell’Università “La Sapienza” di Roma, compartecipan-do così alla formazione di quella che recentemente è stata definita come “scuola romana di protostoria”32. Per inciso, le ricerche dello scrivente, che ha mosso i primi passi in Etruria al seguito di Francesco di Gennaro, rientrano a tutti gli effetti nelle attività di questa scuola

    e hanno peraltro rappresentato nella metà degli anni Novanta l’inizio di un nuovo ciclo di studi sul territorio.

    Alle esplorazioni sul campo di questo attivo grup-po di lavoro, che d’ora innanzi chiameremo per como-dità “topografi protostorici”, si deve l’individuazione di centinaia di presenze riferibili a fasi precedenti quella arcaica. Nella seconda metà degli anni ’80 e nei primi anni ’90 si collocano le indagini più fruttuose avvenute nella Teverina, dove comunque fin dalla prima fase delle esplorazioni furono effettuati sopralluoghi in località già note che consentirono la raccolta di nuovi materiali diagnostici: furono allora segnalati per la prima volta materiali d’impasto da Castiglioni (4), da Orte (10*)33, dal Cimitero Vecchio di Chia (22*; su segnalazione del geologo T. Dobosz), da Selva di Chia (23*), da Vitorchiano (36*) e da San Salvatore-Piantorena (37*).

    Nel 1974 venne pubblicato il primo volume di una collana promossa dal CNR – Centro di Studio per l’Archeologia Etrusco-Italica-, concepita come sede per i risultati, anche solo parziali e provvisori, delle indagini topografiche e bibliografiche condotte in alcuni distretti dell’Etruria meridionale: si tratta del resoconto delle ricognizioni di Cagiano de Aze-vedo e Schmiedt, che si occuparono dell’evoluzione dell’insediamento e della ricostruzione della viabilità antica nel territorio dell’antica diocesi di Civita di Ba-gnoregio, corrispondente all’area centrale della nostra Teverina, pari a tre quarti circa del totale (Fig. 7)34. In questo lavoro e nei due successivi, dedicati alle zone di Bomarzo35 e Orte36, l’attenzione si rivolse prevalente-mente alle età etrusca, romana e medievale, lambendo solo occasionalmente gli aspetti protostorici, sulla cui interpretazione sussistono peraltro forti dubbi.

    Negli anni ’80 del secolo scorso si attivò nel territorio del comune di Castiglione in Teverina, su iniziativa di Francesco Cosimi, il Gruppo Archeologi-co della Teverina, cui si devono le raccolte sistematiche di materiali a Castellonchio37 (12*; la fase etrusca era stata segnalata da Cozza), al Poggio di Sermugnano (1*; la cui frequentazione antica era indiziata fino al 1982 solo dal rinvenimento di due vasi biconici acquistati dal Museo Archeologico di Firenze38), e la scoperta dei siti di Masseto (2*) e di Santo Stefano (9*) sulla base di rinvenimenti occasionali39.

    A conferma di una radicata tradizione di esplo-ratori stranieri in Etruria, la determinazione della

    26 WETTER 1969, WENDT, LUNDGREN 1994.27 G.A.R., Settore Volsiniese, coordinato allora da Vin-

    cenzo D’Ercole.28 Per Fondaccio si veda D’ERCOLE, DI GENNARO 1992,

    con riferimento alle ricerche anni ’70.29 Per Casale Barzellotti: V. D’ERCOLE, Il fenomeno cam-

    paniforme nell’Italia continentale tesi di laurea in Paletnologia presentata per l’anno accademico 1977-78 all’Università degli Studi di Roma; GUIDI 1979, p. 135.

    30 DI GENNARO 1986a, pp. 22-23.31 Oltre al nucleo fondatore, costituito da Andrea Cardarelli,

    Francesco di Gennaro, Alessandro Guidi e Marco Pacciarelli, si ri-cordano alcuni dei collaboratori che si succedettero nel tempo: Fran-cesca Ceci, Isabella Damiani, Jacopo De Grossi Mazzorin, Laura D’Erme, Nicola De Feo, Giorgio Filippi, Adolfo Gianni, Cristiano Iaia, Toni Malizia, Alessandro Mandolesi, Laura Paolini (CARDAREL-LI et alii 1980, p. 93; DI GENNARO 1990, pp. 206-207).

    32 Così in VANZETTI 2004; in precedenza, l’attività dello stesso gruppo di ricerca era stata definita come «esplorazione romana della Tuscia», vd. DI GENNARO 1990, pp. 212 e sgg.

    33 La scoperta (1992) di frammenti protostorici a Orte si deve a Marco Pacciarelli, vd. ID., 2001, p. 106, fig. 58.

    34 CAGIANO DE AZEVEDO, SCHMIEDT 1974.35 BAGLIONE 1976.36 NARDI 1980.37 In collaborazione con Giuseppe Della Fina.38 TAMBURINI 1992a, pp. 23-25, con bibliografia; l’individua-

    zione del sito protostorico si deve a Francesco di Gennaro e Giorgio Filippi, che nel 1981 effettuarono un sopralluogo con raccolta di materiale ceramico, cui tuttavia non seguì alcuna pubblicazione.

    39 Per Masseto e Santo Stefano si vedano COSIMI 1992 e TAMBURINI 1992a, pp. 11-12, con bibliografia.

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    STORIA DEGLI STUDI E DELLE RICERCHE

    Fig. 7 – Ricostruzione della viabilità nel territorio di Bagnoregio dall’età arcaica al Medioevo; scala 1:200.000 (da CAGIANO DE AZEVEDO, SCHMIEDT 1974).Territory of Bagnoregio: reconstruction of the road system from the Archaic Period to the Middle Age (after CAGIANO DE AZEVEDO, SCHMIEDT 1974).

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    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    Fig. 8 – Localizzazione schematica dell’attività dei principali gruppi o progetti di ricerca dedicati ad aree circoscritte; tra parentesi sono indicati i referenti principali dei vari gruppi. Per il riconoscimento dei siti protostorici indicati con i punti neri e “muti”, si veda la Carta 1 in Parte III – Apparati. Schematic chart showing the activity of the main research groups or projects dedicated to limited areas; the main refe-rents of each group are mentioned in brackets. To recognize the protohistoric sites indicated with the black and “silent” points, see Chart 1 in Part III.

    fase villanoviana alla Civita d’Arlena (18*; 1980) fu merito del tedesco Klaus Raddatz, autore anche di ricognizioni sistematiche delle necropoli di Bisenzio e di Vulci40.

    Come si può facilmente evincere dalla figura 8, versione aggiornata della carta – estesa all’intera Etruria meridionale – elaborata da di Gennaro nel 199041, l’area della conca lacustre vulsina risulta tra le più battute dalle ricerche archeologiche: ruolo centrale ebbero qui, e hanno tuttora, le già citate indagini di Fioravanti42.

    In più, dalla metà degli anni ’80 ai primi dei ’90 vennero effettuate numerose iniziative in colla-

    borazione con la Soprintendenza Archeologica da parte di gruppi quali l’équipe subacquea (Centro Lacuale Ricerche) del Museo Territoriale del Lago di Bolsena (coordinata da Alessandro Fioravanti e Pietro Tamburini) di nuova istituzione43 e il Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea del Ministero dei Beni Culturali, con l’ausilio occasionale di geo-sedimentologi e paleoidrologi dell’Enea44 e di altre cooperative. Si trattò di una lunga serie di ricognizioni

    40 RADDATZ 1983; DI GENNARO 1990, p. 209.41 DI GENNARO 1990.42 Una retrospettiva di queste ricerche in FIORAVANTI 1991,

    ID. 1992; altri dati anche in ID. 1993.

    43 Il Museo è stato istituito ufficialmente nel 1980 e inaugurato, in seguito a una stretta collaborazione tra Comune di Bolsena, Regione Lazio, Soprintendenza Archeologica per l’Etruria meridionale e l’Ecole Française de Rome, nella sugge-stiva sede della Rocca Monaldeschi nel maggio del 1991; a tal proposito, e per altri aspetti della formazione del Museo, si veda TAMBURINI 1998a, pp. 1 e sgg.

    44 ANGLE, D’ERME 1995, p. 199.

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    STORIA DEGLI STUDI E DELLE RICERCHE

    nelle acque del lago45: oltre alla individuazione di nuove presenze sommerse, come nel caso dell’aiola della Fossetta presso Capodimonte46, e alla raccolta di nuovi dati in siti già noti47, furono rinvenute nei fondali antistanti l’isola Bisentina e Monte Bisenzo due piroghe monoxile, ancora genericamente datate all’età del Bronzo48.

    Tuttavia l’attività di ricerca promossa e condotta ancora oggi dal succitato Museo Territoriale, identi-ficabile principalmente nella figura del suo direttore Pietro Tamburini, non è limitata alle sole sponde lacustri: ad esempio, sono di recente individuazione, per limitarci alle località di interesse protostorico, i siti de La Montagna, nel territorio del Comune di Gradoli49, di Monte Landro, in quello di San Loren-zo Nuovo50, del promontorio del Grancaro (27*), immediatamente a sud dell’insediamento di riva, e, pochi chilometri a sud di Bolsena, di quello di Monte Segnale (42*), non lontano dal quale è stata anche localizzata la necropoli della Melona (33*; I Fe 2)51.

    Tra le più recenti indagini territoriali a carattere sistematico, devono inoltre essere annoverate le ricogni-zioni dirette da Simonetta Stopponi in collaborazione con l’Università di Perugia nella zona corrispondente alla tavoletta I.G.M.I. relativa ad Orvieto, effettuate dal 1987 al 1995 nell’ambito di un più vasto progetto di revisione della Carta Archeologica del Foglio n. 130, pubblicata nel 1934 da Giovanni Becatti, che hanno portato all’individuazione di diciotto aree riferibili ad epoca protostorica. Ad esse possono essere affiancate, anche in termini di contiguità topografica, le ricerche di superficie condotte allo scorcio del secolo scorso da Federica Sabatini52 nel territorio della tavoletta I.G.M.I. “Castiglione in Teverina”, nel corso delle quali è stato scoperto il sito del Bronzo antico di Monticello (50*).

    In continuità ideale con la Carta Archeologica d’Italia e la più recente Forma Italiae si pone il nuovo ciclo di ricognizioni in Etruria meridionale attivato dalla cattedra di Topografia antica dell’Università della Tuscia (prof. P.A. Gianfrotta), in collaborazione con la Soprintendenza, nei primi anni del nuovo secolo. Pri-mo tassello di questa ripresa di indagini sistematiche è rappresentato dalle ricerche condotte da Alessandra Milioni (dottorato di ricerca) in un vasto territorio ricadente nei Comuni di Tuscania, Capodimonte, Marta, Montefiascone e Viterbo53.

    Un’area dunque solo in misura ridotta coinci-dente con la zona presa in esame nel presente lavoro, all’interno della quale è stata constata la presenza dei siti protostorici già noti sulla riva sud-orientale del lago di Bolsena54. Ad essi si è però aggiunta l’indivi-duazione, in corrispondenza di una collina prossima al lago, di un contesto documentato da ceramica d’impasto, tra cui alcuni frammenti con decorazione impressa, quindi riferibile ad epoca neolitica ma pro-babilmente anche a una fase non meglio precisabile dell’età del bronzo55.

    Agli interventi più o meno sistematici finora illustrati vanno infine aggiunti, per completare il quadro generale delle scoperte nella Teverina, i recu-peri fortuiti di materiali “protovillanoviani” e della prima età del Ferro a Montefiascone (14*) in seguito a lavori di scavo per la sistemazione del cortile della Rocca56, e il rinvenimento sul colle di Casale Marcello (15*)57 di alcuni frammenti dell’età del Bronzo finale in occasione dello sbancamento per la costruzione dei servizi igienici di un villaggio turistico58.

    45 Le attività di ricerca nel bacino lacustre e nelle zone limitrofe sono periodicamente raccolte nel «Bollettino di Studi e Ricerche di Bolsena» come “Atti del seminario di geoarcheo-logia Forma lacus antiqui”. Al 1985 risale l’ultimo intervento sistematico al Grancaro a cura di Pietro Tamburini, TAMBURINI 1995a, p. 29; dello stesso autore sono da ricordare i contributi a carattere generale sul popolamento del territorio volsiniese; si vedano dunque TAMBURINI 1990, 1992, 1993 e, dello stesso autore, l’aggiornato La protostoria, in Storia di Orvieto 2003.

    46 Anno della scoperta: 1991; FIORAVANTI 1994, ID. 1991.47 Ad es. a “Monte Senano sub”, indagine del 1993 a

    cura della Soprintendenza Archeologica dell’Etruria Meridionale (MERCATUCCI et alii 1994).

    48 Per le piroghe, ANGLE, D’ERME 1995, p. 202, fig. 1B. 49 Rinvenimento ad opera di Carlo Casi e Pietro Tam-

    burini; TAMBURINI 1998a, pp. 90-91, CASI, TAMBURINI 1999, pp. 260 e sgg.

    50 Scoperta effettuata grazie a ricerche di superficie con-dotte insieme al Gruppo Archeologico di Castel San Giorgio; CASI, TAMBURINI 1999, p. 262.

    51 TAMBURINI 1998a e ID. 1998b, pp. 59-60; CASI, TAM-BURINI 1999.

    52 Tesi di laurea in Conservazione dei Beni Culturali (To-pografia Antica), Università degli Studi della Tuscia, Viterbo.

    53 Cfr. MILIONI 2002. Più precisamente, l’indagine si è svolta nell’ambito delle tavolette del F. 137 dell’I.G.M.I., IV SO “Montefiascone”, III NO “Commenda”, III NE “Viterbo”, III SO “Castel d’Asso”, e del F. 136, I SE “Capodimonte”, II NE “Tuscania” e II SE “La Rocca”. Il secondo volume della collana è stato dedicato da Giuseppe Scardozzi all’Ager Ciminius (tavolette I.G.M.I. 137 II NO “Soriano nel Cimino”, 137 II SO “Vigna-nello”), cfr. SCARDOZZI 2004.

    54 Si tratta di Cornos, Fondaccio e Casale Marcello.55 Cfr. MILIONI 2002, sito n. 41, pp. 81-82.56 Recuperi ad opera della S.A.E.M.; segnalazione in BAR-

    BINI 1989, pp. 35-36; e ID. 1990; anche in TAMBURINI 1990, p. 24. Marisa Barbini per la tesi di laurea (anno accademico 1988-89) si occupò dei siti perilacustri del Bolsena.

    57 BARBINI 1989, pp. 37-43; ID. 1990. 58 Benché non riguardino direttamente l’orizzonte crono-

    logico di nostro interesse, vale la pena ricordare alcuni lavori di G. Colonna, dedicati specificamente al distretto volsiniese: Ricerche sull’Etruria interna volsiniese, in St. Etr. XLI, 1973, pp. 45-72; La posizione di Bagnoregio nell’antico territorio volsiniese, «Doctor Se-raphicus» XXXV, Bagnoregio 1978, pp. 43 e sgg.; Società e cultura a Volsinii, «Annali della Fondazione per il Museo Claudio Faina» II, Orvieto 1985, pp. 101 e sgg. Un dettagliato ed illustrato quadro generale (comprensivo di bibliografia) della storia del territorio in esame può essere inoltre desunto da due delle recenti Guide territo-riali dell’Etruria meridionale a cura della Regione Lazio – Assessorato alla Cultura: Bolsena e il suo Lago, di A. Timperi e I. Berlingò, Roma 1994 e Viterbo e il suo territorio, di G. Barbieri, Roma 1991.

  • 28

    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    N. Località Data Autore Modalità della scoperta o dell’intervento

    17* Tempietto 18251960-

    A. FioravantiRinvenimento occasionale

    Immersioni, identific. del sito sommerso

    11* Orvieto

    15321878

    1881 >1920 >

    metà a. ’50a. ’50-’601967-69anni ’70

    fine a. ’80anni ’90

    --W. Helbig

    G.F. Gamurrini L. PernierM. Bizzarri

    Cagiano de Azevedo

    Tomba I Fe da scavi Pozzo S. PatrizioTombe I Fe da scavi a Croc. d. TufoMat. impasto da scavi Foro Boario

    Mat. impasto da scavi Tempio BelvedereCiotola imp. da P.za Marconi? Mat. BF da Crocifisso d. Tufo

    Materiali I Fe da scavi a S. AndreaMateriali I Fe da scavi Cannicella

    Mat. I Fe da restauri Palazzo CapitanoFram. appenninico da scavi Cannicella

    18* Civita di Arlena1857

    1953-551980

    GoliniScuola Francese (Bloch)

    K. Raddatz

    Individuazione fase etruscaEsplor. sistematica e scavo fase arcaica

    Mat. I Fe da ricerche di superficie

    12* Castellonchio fine ’8001984Cozza-Pasqui

    Gruppo Arch. TeverinaIndividuazione fase etrusca

    Esplorazione sistematica16* Grotte S. Stefano 1886 M. S. De Rossi Rinvenimento ripostiglio bronzi BF

    1* Poggio di Sermugnano190119811982

    --F. di Gennaro, G. FilippiGruppo Arch. Teverina

    Acquisto biconici villan. Museo FirenzeIndividuazione del sito

    Esplorazione sistematica

    40* Acquarossa 19081966-77L. Rossi DanielliC.E. Östenberg

    Individuazione (scavo?) fase etruscaEsplorazione sistematica e scavo

    6* La Capriola 19551976Scuola Francese (Bloch)

    Cazzella-MoscoloniIndividuazione e scavi

    Scavi insediamento fase BM 1-.2

    19* Grancaro1959

    1959-19811985

    A. FioravantiA. FioravantiP. Tamburini

    Immersioni, identif. del sito sommersoScavo subacqueoScavo subacqueo

    3* Casale Colonna 1967 Scuola Svedese (E. Wetter) Ricerche di superficie8* Monte Piombone 1967 Scuola Svedese (E. Wetter) Ricerche di superficie e saggi di scavo

    26* Castelluccio (Selva di Malano) 1967 Scuola Svedese (E. Wetter) Ricerche di superficie

    21* Casale Barzellotti anni ’70 Gruppo Arch. Romano(V. d’Ercole) Ricerche di superficie

    24* S. Silvestro anni ’70 M. Fenelli Ricerche di superficie25* Casale dei Gesuiti anni ’70 M. Fenelli Ricerche di superficie

    7* Fondaccio anni ’70 Gruppo Arch. Romano(V. D’Ercole) Ricerche di superficie

    13* Civita di Bagnoregioanni ’70a. ’80-90

    1997-2002

    G. MedoriF. di Gennaro

    L. Medori

    Rinvenimento materiali BF e I FeRicerche di superficie

    Recupero occasionale e ricerche di superf.

    5* Rocca Sberna 19751982Gruppo speleologico

    F. di GennaroIndividuazione;

    ricerche di superficie

    2* Masseto 1984 Gruppo Arch. Teverina Rinv. frr. impasto in occasione di lavori agricoli; successiva espl. sistematica

    9* S. Stefano 1985-861986“Amatori locali”

    Gruppo Arch. TeverinaRinv. di materiali in occ. di lavori idrici

    Esplorazione sistematica

    14* Montefiascone-rocca anni ’80 SAEM(notizia in BARBINI 1989)Rinvenimento di materiali in occasione di

    lavori di risistemazione dell’area15* Casale Marcello anni ’80 notizia in BARBINI 1989 Rinvenimento di materiali in occasione di lavori di sbancamento

    4 Castiglioni anni ’90 F. di Gennaro et alii Ricerche di superficie

    22* Cimitero Vecchio di Chia anni ’90 T. DoboszF. di GennaroRinvenimento casualeRicerche di superficie

    23* Selva di Chia anni ’90 F. di Gennaro Ricerche di superficie36* Vitorchiano anni ’90 F. di Gennaro Ricerche di superficie10* Orte 1992 M. Pacciarelli Ricerche di superficie37* S. Salvatore-Piantorena anni ’90 F. di Gennaro Ricerche di superficie33* Melona 1992 P. Tamburini Ricerche di superficie43* Belvedere (Porano) 1987-95 S. Stopponi et alii Ricerche di superficie44* Le Grottacce (Porano) 1987-95 S. Stopponi et alii Ricerche di superficie45* La Valle (Porano) 1987-95 S. Stopponi et alii Ricerche di superficie46* Poggiarello (Porano) 1987-95 S. Stopponi et alii Ricerche di superficie47* Mignattaro 1987-95 S. Stopponi et alii Ricerche di superficie29* la Casaccia 1995 A. Schiappelli Ricerche di superficie30* Torre dell’Anello 1995 A. Schiappelli Ricerche di superficie31* Scorcoli-c.po Mancini 1995 A. Schiappelli Ricerche di superficie32* Scorcoli-Uliveto 1995 A. Schiappelli Ricerche di superficie34* Poggio della Penna 1996 A. Schiappelli Ricerche di superficie27* Grancaro, promontorio 1998 C. Casi, P. Tamburini Ricerche di superficie42* Monte Segnale 1998 C. Casi, P. Tamburini Ricerche di superficie50* Monticello 1999 F. Sabatini Ricerche di superficie28* Le Rocchette 2001 L. Medori, L. Pesante Ricerche di superficie

    Tab. 1 – Quadro riassuntivo delle scoperte e degli interventi di scavo nei siti protostorici della Teverina. Teverina: summarizing list of discoveries and excavations concerning the protohistoric sites.

  • 29

    III. METODOLOGIA D’INDAGINE

    La progettazione della presente ricerca sul territo-rio non ha richiesto particolari e articolate elaborazioni di metodo1. La pur responsabile conoscenza dei vari aspetti metodologici non ha infatti potuto evitare di fare i conti con una situazione, di tipo logistico, che con-dizionava fortemente la scelta strategica: ci si riferisce alla risorse umane disponibili per la ricerca sul campo, limitate appunto alla sola persona dello scrivente.

    Va da sé che una ricognizione sistematica, intesa come copertura uniforme di una porzione ben definita di un territorio (per lo più sottoposto a coltivazione, come nel caso del field walking di scuola britannica2), non era nemmeno pensabile. Allo stesso tempo è parso inutile limitare l’area di indagine (600 km²), ad esempio riducendola ad una sola tavoletta dell’I.G.M.I. (poco meno di 100 km²), in quanto la copertura che può garantire un solo ricognitore risulta comunque parzia-le, a meno di non avere a disposizione una quantità di tempo illimitata e non era questo il caso, inficiando di conseguenza la possibilità di avvalersi di un territorio campione, esaustivamente ispezionato per proiezioni del popolamento su altre zone contigue o con le stesse caratteristiche geo-ambientali. Per lo stesso motivo, e anche per il fatto che l’Etruria costituisce già di per sé un campione, non è stata presa in considerazione una strategia “a campioni”.

    A maggior ragione è stata anche accantonata l’idea di restringere ancora di più (ad esempio, fino a un decimo di una tavoletta dell’I.G.M.I.) l’area di ricerca; rimaneva infatti ancora troppo alto il rischio di perlustrare per mesi un territorio senza avere la minima certezza di riuscire ad ottenere dati di una consistenza tale da permettere un discorso storico-topografico suffi-cientemente ampio per una tesi di laurea, dato anche che gli argomenti ex silentio (assenza di materiali, nel nostro caso) nell’ambito della ricerca di superficie risultano davvero muti, essendo per loro natura poco affidabili.

    Rimanendo conditio sine qua non, per motivi legati alla compilazione della tesi di laurea, il fatto di prendere in affidamento una zona come la Teverina, il cui stato delle ricerche risulta effettivamente piutto-sto arretrato rispetto agli altri distretti della Tuscia, è stato dunque necessario mettere a punto un adeguato metodo di ricerca: i risultati illustrati nei capitoli seguenti si devono a quello che può essere definito, allineandosi al pensiero del Golini citato all’inizio del presente volume, come un approccio preliminare al territorio, finalizzato alla programmazione di una successiva3, auspicabile campagna sistematica.

    Nelle intenzioni, si vorrebbe orientare tale approc-cio all’archeologia del paesaggio, intesa come «prodotto della storia che dissemina comprensori e territori, a seconda dei momenti e a seconda delle formazioni economiche, politiche e sociali e culturali, di strutture che antropizzano i comprensori e i territori medesimi»4.

    Si è optato così per il seguente programma:– sopralluoghi presso i siti già noti, al fine di stimarne au-topticamente le potenzialità strategiche e ambientali e per la raccolta eventuale di ulteriori materiali diagnostici; – ricognizioni selettive nelle località morfologicamente più promettenti, vale a dire le alture: pianori e rilievi isolati o semi-isolati, che costituiscono il tipo d’insedia-mento canonico nell’età del Bronzo finale, ma non solo5, individuati in base all’osservazione della cartografia e soprattutto all’ispezione personale del territorio;– un numero indeterminato di ricognizioni occa-sionali, dovute a favorevoli ma non programmabili circostanze fortuite (cantieri in corso, sbancamenti del tufo, segnalazioni personali, etc.).– individuazione, all’interno della Teverina, della zona più lacunosa in termini di presenze archeologiche, quindi da privilegiare nella ricerca: si tratta del settore centrale, grossomodo compreso tra Civita di Bagnoregio e Grotte Santo Stefano. Le ricognizioni in quest’area hanno consentito di verificare che effettivamente quel vuoto sulla carta archeologica della protostoria è dovuto, almeno in parte, ad un difettoso stato delle ricerche. Sono state infatti riscontrate nella zona compresa tra Grotte Santo Stefano e Graffignano cinque presenze, di cui tre risultano ancora d’incerta attribuzione crono-logica nell’ambito del periodo pre-etrusco: la Casaccia (29*6; BM3), Poggio della Penna (34*; I Fe2), Torre dell’Anello (30*), Scorcoli-Campo Mancini (31*) e Scorcoli-Uliveto (32*). Una sesta e decisamente più si-gnificativa presenza si deve all’individuazione, avvenuta al di fuori delle ricerche dello scrivente, dell’insediamen-to di Le Rocchette (28*), ubicato su un vasto pianoro pochi chilometri a nord-ovest di Celleno7.

    Della distribuzione delle ricognizioni si offre una rappresentazione schematica nella Fig. 9: si tenga presente che le aree campite indicano una superficie

    1 Per un quadro generale sull’argomento si rimanda al recente CAMBI, TERRENATO 1994, con esauriente bibliografia; vd. anche DI GENNARO 1990. Sull’approccio e le elaborazioni dei dati territoriali da parte delle diverse scuole attive negli ultimi decenni in Italia, vd. VANZETTI 2004.

    2 CAMBI, TERRENATO 1994, pp. 123-124.3 In tal senso chi scrive condivide pienamente le parole

    di Francesco di Gennaro quando afferma che «solo un rapporto di lunga consuetudine con un territorio può portare a scoprire le strategie adeguate» alla ricerca (vd. discussione in Atti Acqua-sparta 1986, p. 417).

    4 CAMBI, TERRENATO 1994, p. 101. 5 Si veda comunque a tal proposito il capitolo 5 “Forme

    insediative”6 Con il numero seguito da asterisco si intende agevolare

    l’identificazione del sito archeologico nelle varie carte tematiche. Il numero senza asterisco indica un sito ubicato al di fuori all’area d’indagine. Per l’elenco completo, vd. “Parte III – Apparati”.

    7 La scoperta si deve a Lucilla Medori e Luca Pesante, autore, quest’ultimo, della relativa scheda di sito del presente lavoro; vd. “Parte II – Documentazione”.

  • 30

    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    Fig. 9 – Localizzazione schematica dei sopralluoghi condotti dall’autore dalla metà degli anni ’90 ad oggi; il diametro dei cerchi è indicativamente proporzionale alla superficie dell’area indagata.Schematic chart showing the surveys carried out by the Author from the middle Nineties to the present; the diameter of each circle is approximately proportional to the surface of the investigated area.

    non necessariamente indagata nella sua totalità, e ciò è valido soprattutto per le località aperte, mentre più affidabili sono i risultati relativi alle alture più o meno isolate. Pertanto, sarà bene ricordarlo per l’ennesima volta, le assenze di evidenze archeologiche sono da valutare con molta cautela.

    Come documentazione sul campo si è prefe-rito compilare un diario secondo lo schema di una scheda di ricognizione già di per sé piuttosto agile8, considerando poco pratico e scarsamente proficuo cimentarsi con schede troppo articolate, data in tutti i casi la non sistematicità dell’indagine. In sostanza, il fallimentare bilancio di alcune giornate di ricerca durante le quali è stata prodotta sì una documenta-

    8 Si tratta di una scheda adottata a suo tempo (1992-94) da un gruppo di studenti di Protostoria europea coordinati da Francesco di Gennaro, operante nel territorio del comune di Bar-barano Romano e che per lo scrivente costituì il campo-scuola.

    zione elaborata, ma alla fine delle quali il rapporto tempo impiegato/superficie osservata risultava a dir poco avvilente, ha consigliato l’adozione di un sistema decisamente più rapido che concentrasse, ad esempio, l’attenzione sulla localizzazione topografica e su altri dettagli ambientali, valorizzando le esplorazioni con esito positivo.

    La cartografia impiegata, costituita essenzial-mente dalle tavolette dell’I.G.M.I.9 e dalla carta tecnica regionale (scala 1:10.000), è stata talvolta integrata da mappe catastali a grande scala (1:8.000,

    9 Elenco delle tavolette (scala 1:25.000), redatte a cura dell’Istituto Geografico Militare Italiano, comprensive dell’area indagata: Foglio 130 Orvieto – II SO Baschi, III SE Orvieto, III SO Castel S. Giorgio; Foglio 136 Tuscania – I SE Capodimonte; Foglio 137 Viterbo – I NO Castiglione in Teverina, I SO Atti-gliano, II NE Orte, II NO Soriano nel Cimino, III NE Viterbo, III NO Commenda, IV NE Bagnoregio, IV SE Celleno, IV SO Montefiascone, IV NO Bolsena.

  • 31

    METODOLOGIA D’INDAGINE

    1:4000, 1:2.000) e da carte tematiche geologiche, idrogeologiche e della classificazione dei terreni10.

    Si è già fatto cenno poc’anzi al carattere mirato delle ricerche e a come sia stata effettuata la selezione dei siti morfologicamente adatti ad ospitare un insediamen-to con esigenze difensive o di controllo sul territorio. A questo fine, è stata operata una sorta di scansione in due tempi distinti: il primo momento, un’attenta lettura della cartografia, ha costituito in realtà solo la fase preliminare alla successiva e determinante ispezione autoptica sul terreno. Spesso tuttavia la sequenza è stata invertita, nell’ottica di un’integrazione delle due fasi che privilegiasse l’esperienza diretta con il paesaggio.

    Al termine di questo ciclo preliminare di rico-gnizioni, svolto nell’arco di tre anni, è stato possibile costruire una carta della Teverina (Fig. 10) secondo il potenziale difensivo (d’ora innanzi, anche solo PD)11, dove sono individuati i siti, intesi nella più estesa ac-cezione topografica, morfologicamente più connotati in senso strategico, suddivisi nelle classi di medio, medio/alto e alto PD, sulla base di quanto articolato nello schema della tipologia insediativa12.

    La carta, va detto, necessita ancora di numerose verifiche e di importanti riscontri; tuttavia l’impressio-ne generale che già se ne ricava appare piuttosto vicina alla situazione realmente osservabile sul terreno13.

    Ciò che più interessa, nella valutazione del dislocarsi degli insediamenti nel territorio volsiniese nel corso della protostoria, è la distribuzione delle

    10 Carta Geologica d’Italia, foglio 130 “Orvieto”, a cura del Servizio Geologico d’Italia, scala 1:100.000, II edizione, Roma s.d.; Carta Geologica d’Italia, foglio 137 “Viterbo”, a cura del Servizio Geologico d’Italia, scala 1:100.000, II edizione, Roma 1990; Carta idrogeologica del territorio della Regione Lazio, a cura di C. Boni, P. Bono, G. Capelli, Regione Lazio (Assessorato alla programmazione – Ufficio Parchi e Riserve Naturali), Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Scienze della Terra, scala 1:250.000, Roma 1988; Carta della classificazione dei terreni, redatta a cura di E. Romano, G. Mecella, P. Scandella, N. Di Biasi, G. Strabbioli, R. Luciano, Istituto Sperimentale di Nutrizione delle Piante, Roma, Regione Lazio-Assessorato Agricoltura e Foreste, scala 1:100.000, Roma 1979; Carta della utilizzazione del suolo d’Italia, foglio 12, a cura del C.N.R. (Centro Studi di Geografia Economica), Direzione Generale del Catasto e dei SS.TT.EE., scala 1:200.000, Milano 1962.

    11 Per la definizione dei gradi del potenziale difensivo, vedi infra, Capitolo 5 “Forme insediative”.

    12 Si tenga presente che queste unità morfologiche, benché ritenute possibili sedi di insediamenti ad alto potenziale difensivo, non compaiono nello Schema 1 dove sono inseriti esclusivamente i siti archeologici.

    13 Una analoga suddivisione in classi di potenziale difensi-vo è stata realizzata per l’intero territorio dell’Etruria meridionale è stata realizzata dallo scrivente nell’ambito di un progetto di simulazione virtuale, ovvero mediante applicazione della logica dei sistemi complessi, della nascita dei centri protourbani tra età del Bronzo e prima età del Ferro; il progetto è coordinato dal Prof. Domenico Parisi dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma, in collaborazione con Federico Cecconi, dello stesso Istituto, e con gli archeologi Francesco di Gennaro e Andrea Schiappelli (prima notizia in PARISI 1999; PARISI et alii 2004).

    unità morfologiche ad alto e medio/alto potenziale difensivo: piuttosto rada nella corona immediatamente a ridosso del lago, e ancor più nella fascia orientale retrostante, la presenza di siti naturalmente difesi si infittisce avvicinandosi alla valle del Tevere, soprat-tutto in corrispondenza dei margini orientali della vasta piattaforma ignimbritica del sistema vulsino, la cui erosione, nel caso dell’azione dei corsi d’acqua di maggiore portata, ha finito per generare un discreto numero di formazioni naturalmente ben difese.

    Particolarmente soggetti a tale fenomeno di proficue incisioni, in termini di configurazione del territorio secondo caratteristiche utili all’insediamento delle comunità, sono i tufi degli apparati vicano e cimino, disposti come una corona circolare del raggio medio di 5 chilometri intorno alla sommità degli stessi Monti Cimini, fino a raggiungere i corsi del Tevere a est e del torrente Vezza a nord. Ed è proprio lungo la sponda meridionale di quest’asta fluviale di rilevante portata che si concentrano numerose unità morfo-logiche con caratteristiche adatte ad un’occupazione protetta, le quali difatti non furono affatto trascurate nel corso della protostoria e nelle epoche successive.

    A conti fatti, la lettura analitica della carta in figura 10, a prescindere dalle limitazioni implicite nello studio su di un campione in cui i siti aperti ap-paiono senz’altro sottostimati, consente di affermare che la Teverina appare essere stata effettivamente ben sfruttata14, per quanto era capace di offrire nell’ambito del potenziale difensivo del suo territorio, da parte del-le comunità protostoriche, prime tra tutte quelle del Bronzo finale, periodo durante il quale l’esigenza di vivere in luoghi sicuri diviene oltremodo pressante.

    Poc’anzi si è accennato a un aspetto dello stato del campione di ricerca di cui si dispone per la Teve-rina, basato essenzialmente su dati di superficie: più in generale, vale la pena ricordare come quello della rappresentatività delle ricognizioni in genere sia un problema da sempre ampiamente dibattuto15. Nel nostro caso, pur avendo già premesso l’invito alla cautela nell’analisi dei dati a causa della relativa non-si-stematicità della loro raccolta, è doveroso sottolineare alcuni limiti del campione presentato.

    In tal senso va considerata innanzitutto la forte “presunzione di insediamento” applicata nella ricerca16,

    14 Si tenga inoltre presente come questa impressione sia ulteriormente rafforzata dal fatto che, tra le unità morfologiche ad alto potenziale difensivo di cui non è documentata l’occupa-zione in epoca protostorica, sono numerose quelle corrispondenti ai centri moderni, la cui frequentazione risale perlomeno al Medioevo, e che dunque non è escluso possano rivelare prima o poi (la ricerca di superficie, intorno a centri di questo tipo, è notoriamente difficoltosa) un’origine ancora più antica.

    15 CAMBI, TERRENATO 1994, pp. 129-130.16 Per il dibattito sull’applicazione da parte della scuola

    romana di protostoria, nell’ambito degli studi territoriali, delle «presunzioni di insediamento e unitarietà» dello stesso, si veda VANZETTI 2004.

  • 32

    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    ovvero il fatto che diversi siti sono rappresentati da un numero molto basso di frammenti ceramici, anche dell’ordine di poche unità. Talvolta quattro o cinque reperti possono documentare ben tre fasi di occupa-zione diverse (è il caso di Le Rocchette, 28*), e un sito può essere datato in base a due soli frammenti. La Casaccia (29*), ad esempio, è stato attribuito al Bronzo medio 3 in virtù del rinvenimento di un frammento di manico decorato e di una ciotola carenata, effet-

    tivamente tipici della facies cosiddetta appenninica. Per avere un’idea dello stato del campione,

    si ricorda (Fig. 6 e Tab. 1) che, su circa cinquanta presenze documentate, solo in sei siti sono stati ef-fettuati interventi di scavo, e in ben quattro di questi gli scavi hanno interessato essenzialmente l’epoca arcaica; nel resto dei casi i rinvenimenti di materiali sono dovuti a ricerche di superficie e a raccolte più o meno sistematiche.

    Fig. 10 – Carta del potenziale difensivo della Teverina; le aree naturalmente difese, desumibili per ogni singola unità morfologica considerata, sono espresse schematicamente da poligoni, le cui superfici riflettono, proporzional-mente, la situazione reale. Teverina: chart showing the regional defensive capacity (DC): areas with natural defences, inferable for each morphologi-cal unit considered, are schematically expressed with polygons, whose surfaces proportionally reflect the real situation.

  • 33

    IV. QUADRO DELLE RISORSE PROIETTATO SULL’ETÀ PROTOSTORICA

    Nell’ambito della ricostruzione ipotetica delle dinamiche del popolamento, non si può prescindere dall’analisi delle caratteristiche ambientali del territorio di indagine, determinando queste il potenziale delle risorse naturali a disposizione delle comunità e quindi condizionanti l’economia di sussistenza in antico1. Per epoche relativamente lontane nel tempo, l’età del Bron-zo nel nostro caso, l’attendibilità dell’immagine virtuale del paesaggio a cui è possibile risalire è tuttavia forte-mente condizionata dalla progressiva, esponenziale tra-sformazione del territorio: gli strumenti comunemente disponibili, come le carte pedologiche, di uso del suolo e della copertura vegetale hanno il loro limite principale nella modernità della situazione rappresentata.

    Benché il substrato geologico non subisca so-stanziali trasformazioni, la distribuzione e la percen-tuale dei suoli produttivi (e di conseguenza l’entità delle aree più o meno fertili) a seconda delle caratte-ristiche pedologiche possono variare, in funzione, ad esempio, della continua erosione, dovuta da una parte a fenomeni naturali come le precipitazioni, le alluvio-ni, le esondazioni e gli spostamenti laterali dell’alveo dei corsi d’acqua, e dall’altra a attività antropiche come il disboscamento dei versanti.

    In effetti, a rendere spesso poco affidabile la proie-zione dello stato attuale del paesaggio sullo schermo del mondo antico sono soprattutto le trasformazioni dovute all’impiego dei mezzi meccanici. Rilievi rasi al suolo per guadagnare superficie in piano, strati di tufo sbancati per ottenere la necessaria profondità del suolo, sterri e interri rispettivamente di dossi e fossi, lavori per l’impianto di strade e infrastrutture possono radical-mente stravolgere il panorama di un territorio2.

    Ciò non toglie tuttavia che dalla moderna cartografia tematica si possa trarre una significativa impressione generale dell’area.

    Nel caso della Teverina, oltre alla lettura della Carta della Utilizzazione del Suolo3, per avere un quadro gene-rale degli aspetti pedologici dell’area si è fatto uso della Carta della classificazione dei terreni4, redatta dall’Isti-

    tuto Sperimentale di Nutrizione delle Piante di Roma, che ai fini di una opportuna programmazione dell’uso del territorio della regione Lazio ha definito sei classi (e ulteriori sottoclassi di specificazione supplementare) di capacità produttiva del terreno in base ai seguenti fattori: fattore “suolo”, relativo alle caratteristiche pedologiche del terreno (profondità, presenza di scheletro, presenza di nutrienti, tessitura, reazione chimica, permeabilità)5; fat-tore “topografia”, ovvero difetti di pendenza6 e problemi climatici dovuti alla quota assoluta7; fattore “drenaggio”, ovvero possibilità di inondazione dei terreni da parte dei corsi d’acqua e presenza di falde superficiali8.

    Si tratta quindi di una mappatura che, inte-grando i dati pedologici con quelli idro-morfologici, costituisce una discreta base cartografica per ragionare sul potenziale agricolo dell’età del Bronzo, sempre rinnovando le necessarie cautele poco sopra illustrate. Il limite di questa carta di classificazione dei terreni è soprattutto nella scala, 1:100.000, grandezza che comporta la scomparsa di particolari e dettagli loca-lizzati, prevalendo le classi di terreno dominanti. Allo stesso tempo è anche vero che tale scala di grandezza permette una migliore visione d’insieme del territorio e un facile raffronto con le altre zone del Lazio9.

    La classificazione dei terreni, in origine organiz-zata in numerose categorie all’interno delle sei classi ricordate, è stata qui articolata (Fig. 11), semplificando, in sole sette classi, secondo i seguenti criteri: classe 1, terreni coltivabili senza difetti e limitazioni; classe 2, terreni coltivabili con difetti e limitazioni di media entità (suoli con limitati problemi di profondità, scheletro, tessitura, permeabilità e/o reazione o in presenza di falde superficiali o, ancora, con pendenze comprese tra il 5% e il 10%); classe 3, terreni coltivabili con limitazioni di media entità combinate (difetti di suolo e di pendenza; difetti di suolo e di drenaggio); classe 4, terreni coltivabili con limitazioni di notevole entità (gravi difetti di suolo o pendenze comprese tra il 10% e il 20%); classe 5, terreni coltivabili con limitazioni di notevole entità combinate; classe 6, terreni non coltivabili per eccessiva pendenza (superiore al 20%); classe 7, terreni non coltivabili per limitazioni di eccessiva entità in combinazione (difetti di suolo e pendenze superiori al 20%).1 Per la crescente attenzione degli studi territoriali agli

    aspetti ecologici e geo-morfologici si vedano ad es. Archeologia del paesaggio 1992 e in particolare LEONARDI 1992.

    2 Sugli effetti dell’agricoltura moderna in Etruria, cfr. ad esempio POTTER 1985 pp. 15 e sgg. e DI GENNARO, PERONI 1994.

    3 Carta della Utilizzazione del Suolo d’Italia, Foglio 12, a cura del Comitato per la geografia e la geologia del CNR (Centro Studi Geografia Economica) e della Direzione Generale del Cata-sto e dei S.S. T.T. E.E., scala 1:200.000, Touring Club Italiano, Milano 1962; per le osservazioni si veda il capitolo introduttivo del presente lavoro.

    4 “Carta di classificazione dei terreni ai fini della program-mazione della utilizzazione agricola e zootecnica del territorio”, redatta a cura di E. Romano, G. Mecella, P. Scandella, N. Di Biasi, G. Strabbioli, R. Luciano, Istituto sperimentale di nutrizione delle piante, Regione Lazio – Assessorato agricoltura e foreste, con

    “Nota illustrativa” a cura di E. Romano, G. Mecella, P. Scandella, Roma 1979, d’ora in poi citato Nota illustrativa 1979.

    5 Nota illustrativa 1979, pp. 12-15.6 Ibid., p. 15; è stato considerato non lavorabile o quasi

    un terreno con inclinazione maggiore del 20%.7 Ibid., pp. 15-16, oltre i 600 m slm il difetto è ritenuto

    notevole.8 Ibid., p. 16.9 Un ulteriore difetto di tipo pratico della carta in questio-

    ne è la difficile e parziale sovrapponibilità alla Carta Geologica, foglio 137 “Viterbo”, a cura del Servizio Geologico d’Italia su base cartografica dell’IGM, scala 1:100.000.

  • 34

    SVILUPPO STORICO DELLA TEVERINA NELL’ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

    Veniamo ora alla lettura della parte riguardante la Teverina: la prima evidenza è la prevalenza nell’area allungata tra i monti Volsinii e la linea virtuale sottesa tra Lubriano e Bagnaia del terreno di Classe 1, ovvero il tipo coltivabile senza difetti e limitazioni10. Si tratta effet-tivamente di una zona in cui i ripiani tufacei non sono interessati dalle forti erosioni che invece caratterizzano con le tipiche sfrangiature la fascia orientale del grande plateau. L’area si presenta pertanto con ampie zone in piano, movimentate talvolta da bassi rilievi collinari. I suoli insistono principalmente su tufi coerenti (media fertilità; lavorabilità non sempre facile11) e su tufi incoe-renti (fertilità medio-buona; facile lavorabilità)12.

    Un’ampia zona ad est di Montefiascone (classe 2, terreni coltivabili con difetti e limitazioni di media entità) ha solo un leggero difetto di pendenza. Diver-samente, i terreni di classe 5 e 6 (terreni coltivabili con difetti e limitazioni di notevole entità) tra Bagnoregio e Celleno e a nord di Viterbo sono poco produttivi in quanto generati da lave e travertini (scarsa fertilità)13, per motivi di pendenza o per entrambi i difetti.

    La zona disposta ad arco intorno al bacino calde-rico del lago di Bolsena presenta essenzialmente terreni con limitazioni legate a problemi di pendenza accentua-ta. Si distinguono, per il grado di acclività superiore al 20% (classe 6), il recinto dell’edificio vulcanico subito a ovest di Montefiascone, nell’angolo sud-orientale del lago e, procedendo verso nord, Poggio Cerretella, Montienzo e i rilievi a nord-est di Bolsena.

    La percentuale di terre con capacità produttive limitate aumenta nella metà orientale della Teverina. Un’estesa area di classe 7 (terreni non coltivabili per difetti e limitazioni di eccessiva entità) è quella dei ca-lanchi tra Bagnoregio e Civitella d’Agliano, dove le forti pendenze e l’esiguità delle zone sommitali (veri e propri lacerti di tufo), unitamente alla tessitura eccessivamente argillosa dei suoli, rendono lo sfruttamento agricolo dif-ficoltoso, se non impossibile, anche al giorno d’oggi.

    Altre concentrazioni di terreni fortemente difettosi (classi 6 e 7) sono localizzate sempre in corrispondenza dei suoli formati da argille e sabbie sedimentarie: a nord, nord-est di Celleno; lungo il Vezza, subito a nord di Vitorchiano e Bomarzo, dove al fondovalle di natura argillosa si alternano affiora-menti travertinosi e lavici; sul margine orientale del plateau tufaceo da Bomarzo a Orte.

    Il territorio della valle tiberina stricto sensu è stato considerato coltivabile senza eccessive difficoltà (classi 2 e 3): la fertilità dei suoli alluvionali è elevata;

    condizioni sfavorevoli possono essere determinate dal clima, nel senso di forti precipitazioni con con-seguenti esondazioni del Tevere. A proposito delle alluvioni di fondovalle e terrazzate va sottolineato come, in un’ottica protostorica, alla ottima fertilità vada contrapposta la difficile lavorabilità di questi terreni, spesso pesanti per la densa tessitura argillosa, e infestati, più che altrove, da vegetazione spontanea di rapida crescita.

    Riassumendo, è possibile definire tre macro-ter-ritori: la regione occidentale, gravitante intorno al lago di Bolsena (il cui limite orientale può essere considerato la Strada Statale n. 71 che collega Viterbo a Orvieto), che in base alla proporzione tra terreni coltivabili, morfologie adatte a forme di insediamento difeso, e risorse supplementari come quelle offerte dal lago, costituiva un ambiente senz’altro vantaggioso ai fini del popolamento; una fascia longitudinale sub-centrale, compresa tra la Statale n. 71 e la strada più interna che collega come la precedente Viterbo a Orvieto, domi-nata da terreni adatti a colture seminative ma avara di rilievi strategicamente validi; la regione orientale, la più estesa, corrispondendo grossomodo alla metà dell’intera Teverina, dove l’aspetto dominante è rappresentato dal vasto spettro di possibilità insediative di notevole valore strategico, per altro mai troppo distanti da situazioni dal discreto (a volte anche ottimo) potenziale produttivo.

    Una risorsa di natura differente da quella agri-cola, che ancora attualmente viene intensamente sfruttata e che da sempre caratterizza il paesaggio locale con i suoi colori, è costituita dai materiali litoidi da costruzione, ad ogni modo non rilevanti per l’epoca di cui ci si occupa. Molti dei borghi medievali sono stati costruiti con il Peperino tipico, l’ignimbrite quar-zolitica dell’apparato cimino, e la sua facile lavorabilità ne ha fatto una delle pietre più usate anche in età antica, come ad esempio testimoniano le costruzioni di Acquarossa14.

    Una seconda qualità di peperino è quella di Montefiascone, cavata sicuramente fin dal Medioevo nei dintorni dell’omonima cittadina15.

    Molte le cave di tufo, noto anche come nenfro16, sia nel Distretto Vulsino che in quello Vicano, anch’es-so abbondantemente sfruttato in età etrusca. Si tratta di un tipo tufo estratto da formazioni ignimbritiche, presenti ad esempio presso Bagnoregio e Lubriano, a est di Bolsena e in strati di grande potenza alle Mac-chie di Piantorena ad ovest di Sipicciano17.

    Tra i materiali incoerenti sono ampiamente diffu-se su tutto il territorio le pozzolane, ricavate dai tufi più incoerenti. Le formazioni principali sono quelle relative all’ignimbrite tefritico-fonolitica vulsina, localizzata intorno Bagnoregio e lungo il margine del ripiano 10 Nota illustrativa 1979, pp. 10-11.

    11 Per le caratteristiche pedologiche dei suoli prodotti dalle varie unità geo-morfologiche si rimanda a pubblicazioni specifi-che, come ad es. GISOTTI 1983; per un quadro generale sulla stima della fertilità dei terreni, ibid., pp. 157-174; per le qualità dei suoli generati da tufi coerenti ibid., pp. 122-124 e 185-186.

    12 Ibid., pp. 124-126 e 185-186.13 Per le lave ibid., pp. 120-121 e 183-185; per i travertini

    ibid., pp. 138-139 e 193.

    14 Note illustrative 1971, p. 90; Architettura etrusca 1986, pp. 58-59.

    15 Note illustrative, pp. 90-91.16 Diverso da quello che riceve la stessa denominazione

    nella zona di Tarquinia.17 Ignimbrite III, θϕw, Ibid., p. 91.

  • 35

    QUADRO DELLE RISORSE PROIETTATO SULL’ETÀ PREISTORICA

    tufaceo a ovest e a est di Lubriano, e alle ignimbriti I e III, rispettivamente a ovest e a nord di Viterbo18.

    Resti di molte piccole cave, perlopiù abbandonate, testimoniano un passato sfruttamento dei banchi affio-ranti di travertino; ad ogni modo, sono poche le placche nella Teverina che si prestano ad essere cavate19.

    Sempre in corrispondenza dei banchi di tra-vertino sono attestate manifestazioni termominerali (Fig. 5)20: le più importanti, ma fuori dal territorio in esame, sono le terme del Bullicame, subito ad ovest di Viterbo; lungo la strada tra Viterbo e Marta, sul confine della nostra zona, sono concentrate le mani-festazioni termali del Bacucco (12), del Comune di Viterbo (13) e Bagnaccio-Aquae Passeris (14)21, tutte ricche di sorgenti iper-termali22.

    Ancora, a nord di Bassano in Teverina, in una zona di travertini prossima al corso del Tevere, si trovano le terme del Laghetto (15) e a ovest di Orte quelle del Bagno (16)23.

    Note di certo agli Etruschi e ai Romani, è co-munque probabile che simili manifestazioni termali esistessero anche in epoca protostorica, sempre in corrispondenza di travertini in formazione. Sembra, ad esempio, che l’attività delle acque della zona di Bagnaccio sia oggi nella fase di esaurimento e che dovesse essere di gran lunga più rilevante per intensità e entità in passato, nel periodo di costituzione della placca travertinosa di Viterbo24.

    In più, manifestazioni gassose di idrogeno sol-forato e anidride carbonica, riferibili probabilmente a terreni idrotermali tardivi, sono attualmente in atto lungo il Fosso di Acquarossa25.

    Rimanendo nell’ambito delle risorse idrotermali, sono da tenere presenti le sorgenti di gas e acque calde sui fondali del lago di Bolsena, retaggio delle attività vulcaniche, alcune delle quali sono localizzate presso le sedi ora sommerse degli antichi insediamenti. Si tratta principalmente di emissioni di acque calde (fino a 40°) tuttora attive, come al Grancaro e a Monte Senano, e di anidride carbonica, in corrispondenza delle quali sorgono le cosiddette aiole: si tratta di cumuli artificiali di pietrame individuati a brevissima distanza dalla costa, di forma sub-circolare e di dimensioni variabili26. Tali

    monumenti, di cronologia ancora incerta ma comun-que riferibili ad un momento molto antico in base ai reperti di età neolitica rinvenuti sopra o intorno alle stesse strutture, rimasero all’asciutto fino all’arrivo di una fase climatica fresca, che determinò il definitivo innalzamento del livello delle acque a partire dal pe-riodo recente della prima età del Ferro27.

    Di rilevante importanza nel quadro dell’evolu-zione storica della Teverina è una carenza, sulla quale si ritornerà anche in seguito, ovvero la scarsità di quei giacimenti metalliferi che invece determinarono il fiorente sviluppo dei distretti territoriali dell’Etruria marittima, per i quali sono note abbondanti minera-lizzazioni ferrifere, cuprifere e piombifere28.

    Fanno eccezione a questa limitant