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PROVINCIA DI COMO – SETTORE RISORSE AMBIENTALI SERVIZIO PESCA Studio geologico ambientale del Torrente Lanza GRAIA srl Pagina 1 PARTE 4: PROPOSTE DI INTERVENTO PER LA RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE E LA DIFESA IDRAULICA DEL CORSO D’ACQUA 1 TIPOLOGIE DI INTERVENTI REALIZZABILI SUL TORRENTE LANZA Sulla base di quanto evidenziato nei capitoli precedenti e delle informazioni raccolte durante gli incontri avuti con i rappresentanti delle Amministrazioni locali, è emerso che il tratto di Torrente Lanza considerato nel presente studio è interessato da problemi di varia natura. Riassumendo e confrontando le informazioni raccolte, si possono individuare tre ordini di problemi: 1. Problemi di carattere locale quali erosione spondale, eccessivo accumulo di materiale ghiaioso all’interno dell’alveo, presenza di tronchi e alberi nell’alveo del fiume, discontinuità idrauliche e tratti fluviali poco diversificati. Questo tipo di problemi possono essere risolti con interventi localizzati, limitati all’alveo e alla fascia perifluviale; una descrizione dei possibili interventi di questo tipo, mediante tecniche di ingegneria naturalistica, è riportata nel paragrafo 1.1. 2. Problemi dovuti a fenomeni di esondazione , che interessano alcune abitazioni nei comuni di Cagno e di Rodero situate in prossimità del Torrente Lanza. Per risolvere, almeno in parte, questo tipo di problemi è necessario pensare ad interventi più estesi, con i quali sia possibile ridurre l’entità dell’onda di piena a monte delle aree allagate; premesso che alcuni degli interventi a carattere locale descritti nel paragrafo 1.1 possono avere un effetto significativo anche sulle esondazioni, nel paragrafo 1.2 sono descritti gli interventi specifici per questo tipo di problemi. 3. Problemi di qualità delle acque , dovuti prevalentemente agli scarichi dei depuratori di Cagno e di Cantello. Per queste problematiche, nel paragrafo 1.3 vengono descritti interventi specifici di ingegneria naturalistica con i quali è possibile migliorare la qualità delle acque in ingresso al torrente, mediante trattamenti naturali di affinamento degli scarichi.

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PARTE 4: PROPOSTE DI INTERVENTO PER LA RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE E LA DIFESA IDRAULICA DEL CORSO D’ACQUA

1 TIPOLOGIE DI INTERVENTI REALIZZABILI SUL TORRENTE LANZA

Sulla base di quanto evidenziato nei capitoli precedenti e delle informazioni raccolte durante gli

incontri avuti con i rappresentanti delle Amministrazioni locali, è emerso che il tratto di

Torrente Lanza considerato nel presente studio è interessato da problemi di varia natura.

Riassumendo e confrontando le informazioni raccolte, si possono individuare tre ordini di

problemi:

1. Problemi di carattere locale quali erosione spondale, eccessivo accumulo di materiale

ghiaioso all’interno dell’alveo, presenza di tronchi e alberi nell’alveo del fiume,

discontinuità idrauliche e tratti fluviali poco diversificati. Questo tipo di problemi possono

essere risolti con interventi localizzati, limitati all’alveo e alla fascia perifluviale; una

descrizione dei possibili interventi di questo tipo, mediante tecniche di ingegneria

naturalistica, è riportata nel paragrafo 1.1.

2. Problemi dovuti a fenomeni di esondazione, che interessano alcune abitazioni nei comuni di

Cagno e di Rodero situate in prossimità del Torrente Lanza. Per risolvere, almeno in parte,

questo tipo di problemi è necessario pensare ad interventi più estesi, con i quali sia possibile

ridurre l’entità dell’onda di piena a monte delle aree allagate; premesso che alcuni degli

interventi a carattere locale descritti nel paragrafo 1.1 possono avere un effetto significativo

anche sulle esondazioni, nel paragrafo 1.2 sono descritti gli interventi specifici per questo

tipo di problemi.

3. Problemi di qualità delle acque, dovuti prevalentemente agli scarichi dei depuratori di

Cagno e di Cantello. Per queste problematiche, nel paragrafo 1.3 vengono descritti

interventi specifici di ingegneria naturalistica con i quali è possibile migliorare la qualità

delle acque in ingresso al torrente, mediante trattamenti naturali di affinamento degli

scarichi.

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1.1 INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICA CON TECNICHE DI INGEGNERIA NATURALISTICA

1.1.1 L’ingegneria naturalistica in ambito fluviale L’ingegneria naturalistica è una disciplina basata sull’utilizzo di piante superiori negli

interventi di sistemazione idraulica, ripristino e ricostruzione di ambienti naturali degradati. I

principali campi di applicazione dell’ingegneria naturalistica sono:

- gli interventi di sistemazione idraulica e riqualificazione ambientale, dove si interviene

sulle sponde, al fine di consolidarle e difenderle dall’erosione, e sull’alveo fluviale, con lo

scopo di regolare i processi di trasporto solido e riqualificare l’habitat dei corsi d’acqua;

- gli interventi di stabilizzazione dei versanti e di ripristino ambientale di ecosistemi alterati

(ad esempio cave dismesse, discariche e infrastrutture viarie), dove l’obiettivo è quello di

ricostruire superfici a bosco o a pascolo, migliorando contemporaneamente la stabilità dei

versanti; questo tipo di interventi è possibile sia per proteggere versanti e scarpate a rischio,

sia negli interventi di sistemazione di frane già avvenute.

Nel presente lavoro vengono considerati esclusivamente gli interventi in ambito fluviale,

partendo dalla filosofia di tali interventi, fino a descriverne le tecniche costruttive.

Gli interventi di ingegneria naturalistica in ambito fluviale hanno spesso l'obiettivo di riparare i

danni, arrecati da precedenti azioni, alla diversità e alle dinamiche di un ecosistema, tentando di

ritornare il più possibile vicino alle condizioni e alle funzioni antecedenti. L'approccio più

idoneo non è tanto quello di ricostruire gli ambienti degradati o distrutti, quanto quello di

intervenire sui processi fluviali (ad esempio ridirezionando il flusso della corrente), in modo

che siano questi a ricreare un habitat idoneo. Nella sua evoluzione futura, il fiume tenderà a

raggiungere con i nuovi interventi una condizione di equilibrio morfologico.

I principi guida di ogni intervento, qualunque sia la finalità (semplice miglioramento

dell'habitat di alcuni tratti oppure completa rinaturalizzazione), devono tendere all'incremento

della diversità ambientale su micro-macro scala e al ripristino delle connessioni longitudinali e

laterali, in modo da ricucire le frammentazioni fra sistemi e ripristinare gli interscambi

funzionali (scambi di materia ed energia).

I singoli accorgimenti tecnici di rinaturalizzazione possono essere classificati in base alla loro

struttura (pennelli, deflettori, soglie, ecc.), ai materiali impiegati (massi, vegetazione, legname,

ecc.), alla loro funzione (creazione di buche o raschi, dissipazione di energia in eccesso,

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variazioni locali di substrato o di pendenza, ecc.), alla componente biologica prescelta (fauna

ittica, macroinvertebrati, mammiferi), al tipo di misure adottate (strutturali, gestionali,

manutentive), alla scala di intervento (microhabitat, corridoio fluviale, bacino imbrifero).

Negli ultimi anni si è affermato a livello internazionale un nuovo approccio a questi problemi,

con lo svilupparsi di tecniche innovative per il recupero di zone degradate o artificializzate,

classificabili come tecniche di ingegneria naturalistica. Tali tecniche si differenziano da quelle

costruttive tradizionali in quanto utilizzano, quali materiali di costruzione, piante viventi, parti

di piante o addirittura di intere biocenosi vegetali, insieme a materiali inerti quali pietrame,

terra, legname, geotessuti e reti metalliche.

L’ingegneria naturalistica è in grado di svolgere contemporaneamente più funzioni:

- funzione idrogeologica: consolidamento del terreno, copertura del terreno, protezione del

terreno dall'erosione idrica, eolica, drenaggio del terreno; nella maggior parte dei casi il

vantaggio strutturale che ne consegue è dovuto all'apparato radicale di alcuni tipi di piante,

rientranti nella categoria delle specie pioniere. Mediante l’impiego di tecniche di ingegneria

naturalistica è possibile operare modifiche sulla morfologia e sull’idraulica di un corso

d’acqua; tali modifiche permettono un arricchimento della morfologia stessa, diminuendo la

monotonia dei tratti canalizzati, recuperando, ove possibile, vecchi meandri, ampliando le

sezioni in area golenale o creando delle casse di espansione arginate;

- funzione ecologica e naturalistica: creazione di macro e micro ambienti naturali, recupero

di aree degradate, sviluppo di associazioni vegetali autoctone, miglioramento delle

caratteristiche chimico-fisiche dei suoli; incremento della diversità di habitat, tramite la

ricreazione di tratti ad alternanza pool-riffle, il ripristino dell’andamento a meandri (ad

esempio con deflettori o introduzione di massi in alveo), la creazione diretta di rifugi per la

fauna ittica, la modificazione della granulometria del substrato di fondo

- funzione estetico-paesaggistica: l’utilizzo di queste tecniche consente una riduzione

dell'impatto visivo ma anche naturalistico, dovuto ad alcune opere ingegneristiche ritenute

necessarie (mitigazione di impatti visivi e da rumore, inserimento ambientale ed

architettonico di opere ed infrastrutture ritenute necessarie).

Un ulteriore aspetto positivo dell’ingegneria naturalistica è costituito dai costi limitati di

realizzazione degli interventi se confrontati con quelli realizzati con tecniche tradizionali; si

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ipotizza una riduzione dei costi stimabile fra il 40 e il 90% (Regione Emilia Romagna –

Assessorato all’Ambiente, Regione del Veneto – Assessorato Agricoltura e Foreste, 1993).

I materiali impiegati negli interventi di ingegneria naturalistica sono:

- materiali vegetali: sementi, piante, talee, rizomi, zolle erbacee;

- materiali organici inerti: legname, radici, reti di juta, fibre di cocco, stuoie in fibre vegetali,

paglia, fieno, compost e concimi organici;

- pietrame;

- ferro e acciaio: reti, cavi, paletti, griglie;

- materiali di sintesi: griglie, reti, geotessuti, collanti chimici, fertilizzanti.

Nelle pagine che seguono viene presentata una descrizione dettagliata degli interventi di

rinaturalizzazione adatti per il caso in esame.

1.1.2 Possibili interventi per la riqualificazione ambientale del Torrente Lanza In questa parte sono descritte le tecniche di intervento realizzabili nel corso d’acqua d’interesse,

scelte in funzione innanzi tutto dell’obiettivo da raggiungere, oltre a fattori quali la praticità, la

solidità, le caratteristiche naturalistiche ed estetiche, la disponibilità di materiali costruttivi e

l’impatto sull’ambiente circostante.

I principali obiettivi da raggiungere nel caso del Torrente Lanza, in base ai quali bisogna

selezionare gli interventi più appropriati, sono:

1. protezione e stabilizzazione delle sponde;

2. controllo del trasporto solido;

3. diversificazione dell’habitat e creazione di rifugi per la fauna ittica;

4. eliminazione delle discontinuità che limitano la risalita della fauna ittica.

Altri obiettivi più generali quali la laminazione delle piene e il miglioramento della qualità

delle acque possono essere conseguiti con interventi che, rispetto a quelli di seguito descritti,

richiedono l’occupazione di aree estese esterne alla fascia fluviale; per questo tipo di interventi

si rimanda ai paragrafi 1.2 e 1.3.

Per quanto riguarda le frequenti esondazioni che si verificano lungo il torrente, nonostante per

risolvere in modo efficace questo tipo di problemi siano necessari interventi ben più consistenti

di quelli proposti nelle prossime pagine, è opportuno segnalare che alcuni degli interventi di

seguito presentati possono, almeno in parte, tamponare questo problema: in particolare gli

interventi che danno luogo ad un aumento della capacità di laminazione del torrente, o alla

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riduzione della velocità nelle sezioni troppo “veloci” hanno effetti positivi sulla capacità del

torrente di sopportare le piene.

Nella selezione degli interventi proponibili per il caso in esame, oltre agli obiettivi da

perseguire, vanno considerate le caratteristiche specifiche del corso d’acqua: il Torrente Lanza

è un corso d’acqua collinare, a bassa pendenza e con un tracciato che naturalmente dovrebbe

essere meandriforme. Vanno pertanto scartati gli interventi specifici per corsi d’acqua alpini e

quelli per grossi fiumi di pianura.

Infine, la selezione degli interventi deve tenere conto della disponibilità di materiali in loco: la

scelta di utilizzare ceppi, piuttosto che massi, ciottoli o altri materiali, deve essere fatta tenendo

ben presente la disponibilità di questi materiali ed il costo di un eventuale trasporto su distanze

elevate. Una considerazione analoga vale per le essenze vegetali: l’utilizzo di specie già

presenti nell’area di intervento, oltre a comportare solitamente costi minori, garantisce che le

piante utilizzate siano adatte alle caratteristiche pedologiche e climatiche dell’area di

intervento.

1.1.2.1 Schede relative agli interventi proposti Gli interventi di ingegneria naturalistica per il Torrente Lanza sono di seguito proposti

attraverso delle schede, ognuna delle quali tratta una tipologia di intervento specifico.

Per la compilazione delle schede, si è fatto riferimento principalmente alle seguenti

pubblicazioni:

- Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia – 1° supplemento straordinario al n°19:

D.G.R. 29 Febbraio 2000 / n°6/48740,2000, Approvazione direttiva “Quaderno opere tipo

di ingegneria naturalistica”

- Regione Emilia-Romagna - Assessorato all’Ambiente & Regione del Veneto – Assessorato

Agricoltura e Foreste, 1993, Manuale tecnico di ingegneria naturalistica

- Giuseppe Sansoni, 1993, La rinaturalizzazione degli ambienti fluviali

- USDA Forest Service Southern Region, 1992, Stream Habitat Improvement Handbook

- Hunt R.L., 1993, Trout Stream Therapy

- Zeh H., 1993, Tecniche di ingegneria naturalistica – Rapporto di studio n° 4, 1993

Per gli altri riferimenti di letteratura utilizzati, si rimanda alla parte relativa alla bibliografia

posta al termine del rapporto.

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Struttura della scheda

Le schede descrittive sono articolate secondo i seguenti punti:

Descrizione: si spiega sinteticamente in cosa consiste l’intervento, le diverse alternative di

realizzazione possibili e le principali caratteristiche; viene inoltre illustrato come l’intervento si

colloca nell’ambiente fluviale e quali sono le principali funzioni e gli effetti attesi.

Finalità: in questa parte si illustra con maggior dettaglio quali sono i principali effetti

dell’intervento e gli obiettivi nel breve e nel lungo periodo; nel caso ve ne siano, sono anche

descritti gli effetti secondari dell’intervento.

Campo di impiego: poiché in molti casi uno stesso risultato può essere ottenuto con diverse

tipologie di intervento, in questa parte si individua il campo di applicazione ottimale per ogni

intervento specifico; in questo modo, nella scelta dell’intervento da realizzare a fronte di un

determinato problema, dopo un primo screening effettuato in base alla Finalità, è possibile

scegliere l’intervento ottimale in base al campo di applicazione. Nel caso vi siano interventi

con diverse alternative realizzative, si identificano i criteri in base a cui selezionare l’alternativa

più adatta al caso specifico.

Materiali impiegati: si individuano i diversi materiali con cui realizzare l’intervento: in molti

casi, a diversi materiali impiegati corrispondono differenti alternative realizzative.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: in questa parte vengono forniti alcuni

dettagli tecnici per la realizzazione dell’intervento: dimensioni dei materiali impiegati, criteri

per l’ancoraggio, pendenze massime, ecc...

Vantaggi e svantaggi: si illustrano i principali vantaggi e svantaggi dell’intervento, come ad

esempio: costi, casi in cui l’intervento è particolarmente consigliato (o sconsigliato), difficoltà

nella realizzazione, periodo necessario perché l’intervento diventi efficace, ecc…

Interventi collegati: nel caso ve ne siano, si illustrano gli interventi che, associati a quello in

esame, migliorano l’effetto complessivo sul corso d’acqua.

Periodo di intervento: in base alle condizioni meteoclimatiche e idrologiche, viene indicato il

periodo migliore per eseguire l’intervento.

Consigli per la manutenzione: vengono illustrati i criteri, la frequenza ed i periodi in cui

controllare lo stato delle opere ed effettuare eventuali interventi di manutenzione.

Vita prevista: si illustra la vita prevista delle opere, anche in relazione agli eventi di piena.

Infine, in ogni scheda, sono riportati disegni o fotografie di dettaglio relative all’intervento

specifico.

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0011 PPAALLIIFFIICCAATTAA VVIIVVAA

Descrizione: struttura realizzata con pali di legno posti su diversi livelli tra loro perpendicolari in modo da creare una struttura a celle. In ambito fluviale, le palificate vengono realizzate sulle sponde e possono essere a parete singola (una sola serie di pali paralleli alla corrente) o doppia (oltre alla fila di pali esterna, si realizza un secondo strato verso la sponda). All’interno delle celle è opportuno collocare piante o talee (palificate vive), con le quali stabilizzare l’intera struttura.

Finalità: tale intervento viene realizzato con lo scopo di difendere e stabilizzare le sponde, creando allo stesso tempo un’eccellente copertura delle stesse. L’utilizzo di elementi vegetali è fondamentale in quanto dopo che l’ossatura in legno marcisce, l’apparato radicale delle piante continua a mantenere stabile la sponda. Tra gli effetti secondari vi può essere, specialmente se si interviene 100

su sponde già soggette ad erosione, un miglioramento dell’habitat spondale, poiché le palificate possono costituire dei discreti rifugi per la fauna ittica.

Campo di impiego: può essere impiegata ovunque vi siano problemi di instabilità delle sponde; è adatta sia in tratti meandriformi soggetti ad erosione, sia su sponde rettilinee instabili. Possono essere anche inserite su sponde dove ci sono già stati fenomeni erosivi e piccole frane. Le palificate doppie sono senz’altro più onerose di quelle singole, in quanto richiedono uno scavo più profondo ed una maggiore quantità di materiale. Questa tipologia costruttiva consente però di raggiungere altezze maggiori ed è in grado di resistere meglio alle spinte del terreno.

Materiali impiegati: il principale materiale necessario per questo tipo di intervento sono i pali in legno; si consiglia l’utilizzo di tronchi scortecciati di larice o castagno, di 20 – 30 cm di diametro e lunghi circa 2 m; può anche essere utilizzato legname di pino pretrattato con autoclave che comporta costi maggiori, ma garantisce una maggiore durata della struttura (fino a 70 anni). Inoltre sono necessarie le talee (o piantine) di piante con buona capacità vegetativa, come ad esempio i salici. Altri materiali necessari sono: chiodi, tondini e filo di ferro per fissare i tronchi, ciottolame e terra per riempire la struttura (di solito si riutilizza il materiale di scavo) e ramaglia viva da accostare alle talee. In alcuni casi può essere poi necessario utilizzare dei massi per proteggere il piede dell’opera.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: il piano di posa deve avere un’inclinazione di circa 10° verso monte; una volta preparato il piano di posa –più profondo se la palificata è doppia- si posa la prima fila di legname, parallela alla direzione della corrente. Si posa quindi la seconda fila, ortogonale alla prima, curando il fissaggio con il legname sottostante, che deve essere fatto con tondini in ferro e sagomando opportunamente i tronchi (si veda la figura nella pagina seguente). Con lo stesso procedimento si realizzano gli strati successivi, posizionando i tronchi in modo che il fronte della struttura abbia un’inclinazione di circa 20° - 30°, garantendo l’adeguato sviluppo della vegetazione. I tronchi perpendicolari alla direzione di corrente devono essere posizionati in modo da essere tra loro sfasati, migliorando così la stabilità dell’opera. I tronchi paralleli alla direzione di corrente vengono disposti in successione e collegati l’un l’altro tramite la creazione di un piccolo incastro; le giunture che vengono a crearsi vanno disposte sfalsate tra una fila e l’altra per aumentare la stabilità strutturale.

Ogni 3-4 strati si procede al riempimento della struttura con ciottolame e materiale terroso, avendo cura di compattare bene il terreno. Contemporaneamente, deve essere effettuato il posizionamento delle talee o delle

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piantine, che devono essere collocate in posizione coricata e raggiungere preferibilmente il terreno naturale posto dietro all’opera. Se la palificata viene realizzata in una zona di erosione, è opportuno collocare dei massi al piede dell’opera che devono essere opportunamente fissati con pali in legno o profilati metallici infissi nel terreno per almeno ¾ della loro lunghezza. I massi, se sono di forma irregolare e opportunamente distanziati costituiscono anche un buon rifugio per i pesci.

Vantaggi e svantaggi: i principali vantaggi sono correlati alla caratteristica dell’opera: lunghezza illimitata e forma irregolare. Il principale svantaggio è invece rappresentato dalla possibilità che le essenze vegetali non riescono a garantire un’adeguata stabilità della sponda dopo che il materiale legnoso viene degradato.

Interventi collegati: altre opere di stabilizzazione delle sponde e di sistemazione idraulica.

Periodo di intervento: è preferibile intervenire nel periodo non vegetativo delle piante, valutando anche le condizioni di portata del corso d’acqua. È anche possibile collocare le piante in periodo diverso da quello in cui si realizza la struttura in legname; in questo modo non è però possibile raggiungere il terreno stabile a tergo.

Consigli per la manutenzione: è opportuno monitorare l’opera nei primi mesi e anni di vita, al fine di verificare che non avvenga lo scalzamento al piede della stessa. È possibile anche tagliare le piante dopo qualche anno, al fine di rafforzare l’apparato radicale.

Vita prevista: dipende dal legno utilizzato; dai 20 ai 40 anni se si usa larice, di più se si usa castagno e fino a 70 anni se si usa legname pretrattato. In ogni caso, le piante dovrebbero garantire la stabilità della sponda anche dopo che la struttura in legno si degrada.

PALIFICATA: VISTA FRONTALE A LAVORI ULTIMATI (IN ALTO), DETTAGLIO DI COME ESEGUIRE REALIZZARE L’INCASTRO TRA I

TRONCHI (AL CENTRO) E CRITERI PER LA POSA DELLE TALEE (IN BASSO)

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SEZIONE DI UNA PALIFICATA DOPPIA CON PROTEZIONE AL PIEDE

ESEMPIO DI PALIFICATA 2 ANNI DOPO LA REALIZZAZIONE

0022 GGAABBBBIIOONNAATTAA EE MMAATTEERRAASSSSII RRIINNVVEERRDDIITTII

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Descrizione: questo tipo di opera consiste nella posa in opera di gabbioni metallici riempiti con pietrame e/o con terreno vegetale e successivamente rinverdite con talee o piantine. Le gabbionate sono paragonabili a dei muri di sostegno e, in ambito fluviale, vengono realizzate per consolidare e proteggere le sponde. Come si vedrà in seguito, per avere dei buoni risultati in termini di qualità dell’habitat fluviale, è fondamentale curare il posizionamento relativo dei gabbioni. I materassi drenanti si distinguono dai gabbioni in quanto hanno un’altezza ridotta; il loro utilizzo è consigliato prevalentemente per interventi di difesa spondale in cui non è richiesta una funzione di sostegno della sponda.

Finalità: tale intervento viene realizzato come opera di consolidamento dei versanti e di protezione spondale. I gabbioni possono essere utilizzati anche per opere idrauliche trasversali quali briglie o soglie (si veda la scheda n° 07). Su sponde prive di rifugi per i pesci, i gabbioni, se opportunamente disposti, possono creare dei buoni rifugi per la fauna ittica.

Campo di impiego: le gabbionate si utilizzano per proteggere sponde con forti pressioni idrauliche o sponde instabili ove è necessario prevenire fenomeni erosivi e franosi; i materassi sono invece utilizzati essenzialmente per opere di difesa spondale, non essendo in grado di migliorare la stabilità delle rive.

Materiali impiegati: gabbioni in rete metallica realizzati in filo di ferro zincato a doppia torsione, con maglie di dimensioni comprese tra 6 x 8 cm e 10 x 12 cm; la dimensione del singolo gabbione deve essere da 1,5 a 4 m di lunghezza, 1 m di larghezza ed altezza compresa tra 0,5 e 1 m. I materassi hanno invece un’altezza variabile tra 17 e 30 cm, sono larghi 2 m e sono disponibili di lunghezze comprese tra 3 e 6 m. Altri materiali necessari sono: il pietrame per il riempimento, di diametro maggiore della dimensione delle maglie, del filo di ferro zincato per l’assemblaggio delle reti, il terreno vegetale per il riempimento, le talee per il rinverdimento ed eventualmente del geotessile (solo per muri in gabbioni) per creare una zona di drenaggio ai piedi dell’opera. In alcuni casi è preferibile posare i gabbioni su una platea in cemento armato o, in alternativa, su un materasso.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: nella realizzazione di una gabbionata, come prima cosa è necessario approfondire il piano di appoggio, in modo da prevenire fenomeni di scalzamento al piede; se si prevede una forte azione erosiva alla base, è bene gettare una platea in calcestruzzo o posare uno strato di materassi metallici. Una volta creata la base di appoggio, si colloca la prima fila di gabbioni, li si riempie e quindi li si chiude con il filo di ferro. Se lo si ritiene necessario, dietro la prima fila di gabbioni si crea uno strato drenante di ghiaia che deve essere isolato dal terreno sovrastante attraverso del geotessuto permeabile; all’interno del vespaio così creato deve poi essere inserito un tuo drenante. La fila successiva di gabbioni deve essere posata creando un gradone rispetto alla fila sottostante e, man mano che si realizzano le file successive è necessario provvedere al riempimento dietro ai gabbioni utilizzando del terreno permeabile. Le talee o le piantine possono essere inserite con diverse modalità, anche combinate tra loro: 1. tra un gabbione e l’altro: è necessario introdurre del terreno vegetale e quindi le piante prima di

posizionare il gabbione superiore, così da favorire lo sviluppo dell’apparato radicale nel terreno a tergo; 2. all’interno dei gabbioni: in questo caso il terreno e le piante vanno inserite durante il riempimento del

gabbione, assieme al pietrame, in modo da ottenere il medesimo risultato visto nel caso precedente; 3. nell’angolo superiore esterno del gabbione (cuneo interno): in questo caso una parte del gabbione, invece

di essere riempita con pietrame viene riempita con terreno vegetale e quindi vengono sistemate le talee; è opportuno separare la due zone con una biostuia;

4. all’esterno dei gabbioni (cuneo esterno): invece di inserire le piante all’interno dei gabbioni, come nel caso precedente, si sistema del terreno vegetale negli angoli che si creano tra i diversi gradoni e quindi si collocano le piantine; anche in questo caso è opportuno che l’apparato radicale raggiunga il terreno a tergo.

Per migliorare la qualità dell’habitat fluviale, è consigliabile posizionare lo strato inferiore di gabbioni in modo irregolare (ad esempio alternando un gabbione messo per il lungo con uno trasversale che sporge verso il

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centro dell’alveo); in questo modo si diversifica l’ambiente spondale (sia dal punto di vista morfologico che da quello idraulico) e si creano dei rifugi per i pesci.

Vantaggi e svantaggi: è un intervento di rapida realizzazione e con effetti immediati; la sponda artificiale che viene creata con i gabbioni può raggiungere un’inclinazione di 60° e pertanto è un intervento consigliato nei casi in cui si debba proteggere una riva, ma non si possa avanzare più di tanto nella fascia perifluviale. Tra gli svantaggi, i principali svantaggi sono: 1. impossibilità di rinverdire l’opera successivamente; 2. crescita dei costi nel caso in cui il pietrame per il riempimento dei gabbioni non sia reperibile in sito; 3. rapido logoramento della rete metallica nei casi in cui vi sia trasporto di materiale grossolano.

Interventi collegati: altre opere di stabilizzazione delle sponde (palificate) e di sistemazione idraulica.

Periodo di intervento: è preferibile intervenire nel periodo non vegetativo delle piante, valutando anche le condizioni di portata del corso d’acqua (meglio operare nei periodi di magra).

Consigli per la manutenzione: questo tipo di opera non richiede particolari interventi di manutenzione; è comunque opportuno, specialmente nei primi anni, controllare lo sviluppo delle essenze vegetali e la stabilità dell’opera, verificando che non vi siano movimenti dei gabbioni con conseguente rischio di collasso dell’intera struttura.

Vita prevista: diverse decine di anni.

SCHEMA DI GABBIONATE REALIZZATE IN DIVERSI MODI

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GABBIONATA RINVERDITA – PARTICOLARE: CRITERI PER LA POSA DELLE TALEE

GABBIONATA VERDE DURANTE LA REALIZZAZIONE

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0033 SSCCOOGGLLIIEERRAA IINN MMAASSSSII RRIINNVVEERRDDIITTAA

Descrizione: questo tipo di opera consiste nel posizionare una schiera di massi ciclopici lungo le rive, in modo da modificarne la configurazione; si tratta di un intervento che, se mal realizzato, può avere effetti negativi sia sull’assetto idrologico del corso d’acqua sia sull’habitat fluviale. Durante la progettazione di questi interventi è necessario studiare bene sia la dimensione dei massi da utilizzare, sia la profondità delle fondazioni, in modo che l’intervento possa essere duraturo e resistere alle piene.

Finalità: protezione spondale, aumento della scabrezza delle sponde, risagomatura dell’alveo fluviale.

Campo di impiego: torrenti e piccoli fiumi, in seguito a risagomature dell’alveo fluviale o dove sono necessari modesti interventi di protezione spondale. È fondamentale valutare la disponibilità di materiale in loco e gli eventuali costi per il trasporto da un luogo remoto.

Materiali impiegati: massi ciclopici di dimensioni da stabilire in fase progettuale e comunque con un volume superiore a 0,5 m3; altri materiali necessari sono cavi d’acciaio e tasselli per l’ancoraggio e talee per il rinverdimento dell’opera.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: come prima cosa è necessario realizzare la fondazione e creare una solida base su cui posare la scogliera; la base d’appoggio può essere realizzata o con massi o in calcestruzzo. Una volta creata la base, si può procedere alla realizzazione della scogliera posizionando in basso i massi più grossi e sopra quelli di dimensioni inferiori. Se i massi non sono di dimensioni sufficienti per resistere alle piene è bene ancorarli mediante perforazione e posa di tasselli o barre con occhiello. Tra i massi bisogna collocare un misto di ghiaia e terreno vegetale ove inserire le talee e le piantine. L’inserimento delle talee e delle piantine deve essere fatto preferibilmente in corso d’opera (scogliera di tipo chiuso), in modo che l’apparato radicale raggiunga il terreno retrostante l’opera. In caso contrario (scogliera di tipo aperto) è maggiore la probabilità di sradicamento delle piante messe a dimora.

I massi devono essere posti “alla rinfusa” in modo che la nuova sponda che si viene a creare sia irregolare: in questo modo aumentano sia la scabrezza della sponda –e quindi l’azione frenante- che la disponibilità di rifugi per i pesci.

Vantaggi e svantaggi: sei i costi per il trasporto e l’avvicinamento del materiale non sono elevati, si tratta di un intervento a bassi costi che può avere effetti prolungati nel tempo. Se i massi utilizzati non sono di dimensioni sufficientemente grandi, c’è il rischio che in caso piena l’opera venga rimossa con conseguenti danni per la fascia perifluviale retrostante.

Interventi collegati: tutti gli interventi di rinaturalizzazione dell’alveo, con particolare riferimento a quelli per il controllo del trasporto solido e per la protezione delle sponde.

Periodo di intervento: è preferibile intervenire nel periodo non vegetativo delle piante, valutando anche le condizioni di portata del corso d’acqua (meglio operare nei periodi di magra).

Consigli per la manutenzione: nei primi anni dopo la realizzazione dell’intervento, è opportuno effettuare controlli periodici, specialmente dopo le piene, per verificare lo stato della scogliera e l’attecchimento della vegetazione.

Vita prevista: diverse decine di anni.

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SEZIONE SCHEMATICA DI UNA SCOGLIERA RINVERDITA

PIANTUMAZIONE DI TALEE SU UNA SCOGLIERA IN FASE DI REALIZZAZIONE (SINISTRA) E SCOGLIERA ULTIMATA (DESTRA)

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0044 PPEENNNNEELLLLII EE RREEPPEELLLLEENNTTII

Descrizione: si tratta di opere trasversali rispetto alla direzione della corrente, finalizzate a deviare la corrente e a limitare l’erosione spondale. Generalmente, dove vi sono problemi di erosione, non si costruisce un unico pennello ma dei campidi pennelli che, in alcuni casi, possono essere realizzati su entrambe le sponde. I pennelli hanno anche una funzione ecologica in quanto diversificano l’ambiente acquatico e costituiscono dei buoni rifugi per l’ittiofauna. Dal punto di vista costruttivo sono costituiti da elementi di forma allungata che partono dalla sponda e procedono verso il centro dell’alveo, con una direzione variabile in funzione del contesto in cui si inseriscono. Possono essere realizzati in vari modi e con diversi materiali; le principali tipologie di pennello sono: pennello in pietrame con talee, pennello vivo ad intreccio, repellente di ramaglia a strati, pennelli di fascine, pennelli realizzati con gabbioni metallici.

Finalità: protezione delle sponde dall’erosione, restringimento dell’alveo fluviale e diversificazione dell’habitat ripario.

Campo di impiego: torrenti di larghezza superiore agli 8-10 m, soggetti a problemi di erosione spondale dovuti alla velocità della corrente che batte contro la sponda.

Materiali impiegati: i materiali variano in base alla tipologia di pennelli che si intende realizzare. Per pennelli in pietrame con talee, sono necessari dei massi di dimensioni tali da resistere alle piene e delle talee di salice lunghe almeno 1,5 volte la dimensione massima dei massi; se lo si ritiene utile è necessario anche il materiale per l’ancoraggio (tondini in ferro o cavi d’acciaio). Per i pennelli vivi e i repellenti sono necessari dei pali in legno lunghi circa 1,5 – 2 m e diametro compreso tra 5 e 20 cm; per il riempimenti, in funzione della tipologia di pennello e del materiale disponibile in loco sono necessari: ramaglia viva, ramaglia morta, talee di salice e ghiaia.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: innanzitutto è necessario eseguire uno scavo di fondazione profondo almeno 30 cm e largo 50 – 70 cm (per i pennelli in pietrame la larghezza è da definire in funzione delle dimensioni del materiale disponibile). Nel caso di pennelli in pietrame, si procede al posizionamento delle talee sul lato del pennello rivolto verso valle e attorno alla testa del pennello; si crea quindi il sottofondo dell’opera con ghiaia e pietrame ed infine si posizionano i massi. Questi devono raggiungere un’altezza determinata dalla caratteristiche del corso d’acqua e comunque non molto dissimile dalla normale altezza dell’acqua; è preferibile che l’altezza diminuisca procedendo verso il centro dell’alveo Per i pennelli vivi e i repellenti, dopo avere realizzato la fondazione, si procede all’infissione dei pali, che possono essere disposti su un fila unica o doppia; la distanza tra i pali va determinata in funzione delle caratteristiche del materiale da intrecciare. I pali vengono quindi collegati tra loro mediante la ramaglia (viva o morta) che deve essere posta orizzontalmente e intrecciata ai pali. Si procede poi alla piantumazione delle talee, da effettuare con gli stessi criteri visti per i pennelli in pietrame, ed infine al riempimento dell’opera, mediante ghiaia e pietrame da reperire in loco. In entrambi i casi sopra descritti, la distanza tra i pennelli deve essere pari a circa la larghezza dell’alveo oppure a 1,5 – 2,5 volte la loro lunghezza. Un’altra cosa che è necessario considerare in sede progettuale è la lunghezza dei pennelli: poiché tra due pennelli si crea una zona di forte sedimentazione, è preferibile realizzarli con lunghezze variabili, in modo da contrastare almeno in parte questa tendenza. Per quanto concerne invece l’inclinazione, in linea di massima bisogna considerare che se si vuole restringere l’alveo è meglio disporli controcorrente, se invece lo scopo è quello di ottenere un andamento meandriforme è meglio realizzarli nel verso della corrente; nel primo caso è bene proteggere la riva a monte dei pennelli.

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Vantaggi e svantaggi: si tratta di interventi che svolgono più funzioni contemporaneamente; in presenza di artificializzazioni diversificano sia la corrente che l’ambiente ripario, migliorando notevolmente l’habitat. Inoltre possono essere modificati anche dopo l’intervento con spese ridotte. Il principale svantaggio è invece legato alle correnti che vengono a crearsi in seguito alla realizzazione dei pennelli: queste possono dare luogo a fenomeni erosivi o alla formazioni di buche non desiderati.

Interventi collegati: interventi di rinaturalizzazione dell’alveo e di sistemazione idraulica.

Periodo di intervento: fatta eccezione per i pennelli realizzati senza materiale vivo, è preferibile intervenire nel periodo non vegetativo delle piante. È inoltre preferibile realizzare l’intervento durante le magre del corso d’acqua.

Consigli per la manutenzione: nei primi anni dopo la realizzazione dell’intervento, è opportuno effettuare controlli periodici, specialmente dopo le piene, per verificare sia lo stato delle talee che la posizione dei massi o dei pali. In caso di danni dovuti alle piene è necessario intervenire o riposizionando i massi, o ripristinando la ramaglia rimossa e riempiendo quindi nuovamente l’interno del pennello con ghiaia.

Vita prevista: dipende dalla frequenza degli interventi di manutenzione; bisogna comunque considerare che dopo la realizzazione, le intercapedini tra i pennelli tendono a riempirsi di sedimenti, modificando la conformazione della sponda.

ESEMPI DI DIVERSI METODI COSTRUTTIVI E DI POSSIBILI COLLOCAZIONI PER LA REALIZZAZIONE DI CAMPI DI PENNELLI

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0055 CCOOPPEERRTTUURRAA DDIIFFFFUUSSAA CCOONN AASSTTOONNII

Descrizione: è un’opera di difesa spondale che consiste nel rivestimento della sponda da proteggere con degli astoni opportunamente ancorati al terreno; nell’arco di poco tempo gli astoni vegetano e consolidano in modo omogeneo la sponda fluviale, difendendola anche dall’urto della corrente. Esistono due tipologie di realizzazione per questo tipo di opera: copertura semplice e copertura armata, che garantisce una maggiore protezione al piede dell’opera.

Finalità: protezione delle sponde dall’erosione e dagli agenti atmosferici, consolidamento delle rive; è un intervento particolarmente adatto per aree estese (sconsigliato per fenomeni di erosione locale) e favorisce l’insediamento di vegetazione riparia naturale.

Campo di impiego: sponde soggette ad erosione, consolidamento di sponde in seguito ad interventi antropici che hanno eliminato la vegetazione riparia.

Materiali impiegati: pali di larice o castagno lunghi circa 80 cm e con diametro dell’ordine di 5-7 cm, astoni di salice lunghi circa 3 - 4 m e con diametro compreso tra 3 e 10 cm, ghiaia, pietrame, filo di ferro zincato e terreno vegetale. Nel caso di copertura armata sono inoltre necessari altri pali di legno di dimensioni maggiori (lunghi 1,5 – 2 m e con diametro dell’ordine dei 20 cm), cavi di acciaio (f 16 mm), tondini di ferro (lunghi almeno 60 cm e con diametro di 16 – 20 mm), morsetti serrafune (f 16 – 22 mm) e malta cementizia antiritiro.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: tale intervento presuppone un modellamento preliminare della sponda, da eseguire con un escavatore, in modo da spianare la superficie di intervento ed eventualmente ridurre la pendenza. Dopo avere preparato il fondo, si procede all’infissione dei pali nel terreno: i pali vanno disposti in file parallele alla corrente e non devono sporgere più di 20 cm da terra; le file devono distare tra loro circa 1 m ed i pali vanno conficcati ad una distanza compresa tra 1 e 3 m. Dopo avere sistemato i pali, si dispongono gli astoni sulla superficie di intervento, ponendoli in senso trasversale rispetto alla corrente e con l’estremità più grossa interrata oppure a contatto con l’acqua; gli astoni devono ricoprire interamente la superficie di intervento. Gli astoni vanno quindi fissati alle parti sporgenti dei pali mediante filo di ferro e poi coperti con uno strato di circa 2 – 3 cm di terreno vegetale. Gli astoni, così disposti, radicano su tutta la superficie raggiungendo l’effetto desiderato. Al piede dell’opera può essere necessario scavare un canale profondo una trentina di centimetri, da riempire con ciottoli sovrastati da pietrame di pezzatura medio-grossa. Per migliorare la stabilità dell’opera, è possibile piantare dei pali di legno davanti ai massi. Nel caso di coperture armate, i massi posti alla base della sponda devono essere forati ed al loro interno va inserita una barra metallica, fissata con malta antiritiro. Infine, per mezzo del cavo d’acciaio, si provvede a fissare i massi tra di loro, a dei pali di legno e a dei profilati metallici infissi nell’alveo ogni 2 – 5 m.

Vantaggi e svantaggi: tale intervento richiede una notevole quantità di materiale vegetale: se tale materiale non è disponibile in loco i costi possono diventare elevati, altrimenti è un intervento relativamente a basso costo. La presenza degli astoni garantisce un rapido consolidamento della sponda dovuto allo sviluppo dell’apparato radicale, che però rende difficile la colonizzazione nel tempo da parte di altre specie vegetali, portando con molta probabilità ad avere una monocultura di salice.

Interventi collegati: interventi di rinaturalizzazione dell’alveo e di sistemazione idraulica; la copertura diffusa può essere associata ad una scogliera realizzata alla base della stessa.

Periodo di intervento: periodo non vegetativo delle piante. È inoltre preferibile realizzare l’intervento durante le magre del corso d’acqua.

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Consigli per la manutenzione: è necessaria una potatura periodica dei salici (da effettuarsi preferibilmente nel periodo invernale).

Vita prevista: dopo che i pali in legno marciscono, l’apparato radicale dei salici continua a sostenere la sponda.

SEZIONI RELATIVE A COPERURE DIFFUSE CON DUVERSE MODALITÀ DI PROTEZIONE AL PIEDE

COPERTURA DIFFUSA CON ASTONI IN FASE DI REALIZZAZIONE ( A SINISTRA) E 3 ANNI DOPO L’INTERVENTO (A DESTRA)

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0066 DDIIFFEESSAA SSPPOONNDDAALLEE CCOONN TTRROONNCCHHII,, AALLBBEERRII OO RRAAMMAAGGLLIIAA

Descrizione: è un’opera di difesa spondale, il cui principale vantaggio è insito nel fatto di utilizzare materiale reperibile in loco e che spesso è comunque necessario rimuovere perché interferisce con il corretto deflusso dell’acqua (tronchi e radici trasportati dalle piene che si fermano nell’alveo fluviale); anche i costi sono solitamente ridotti. Gli interventi di questo tipo prevedono che il materiale disponibile venga ancorato alla sponda da proteggere in vari modi: pali verticali in alveo, pali orizzontali infissi nella sponda, cavi d’acciaio,… L’intervento può essere effettuato con diversi materiali, in base alla disponibilità e agli obiettivi che si intende perseguire. Le principali tipologie di intervento sono: 1. copertura con tronchi e radici: consiste nell’ancorare alla riva dei tronchi, disposti parallelamente alla corrente; l’ancoraggio può essere effettuato o con dei pali di legno o, preferibilmente, con delle radici. Con questa seconda soluzione si aumenta la superficie protetta e migliora l’habitat spondale; tronchi e radici possono essere combinati in modo diverso in base allo scopo dell’intervento, alla morfologia della sponda e al tipo di substrato. 2. copertura con alberi: consiste nell’ancorare alla sponda degli alberi interi; con questo intervento si

ottengono gli stessi effetti visti al punto precedente, più un effetto “deflettore” che può essere modificato regolando l’inclinazione dell’albero rispetto alla direzione di deflusso. Poiché è raro trovare alberi interi già caduti, per questo intervento è solitamente necessario tagliare un albero con le caratteristiche necessarie.

3. copertura con ramaglia: in questo caso la copertura spondale viene ripristinata ponendo uno strato di ramaglia morta e viva, trattenuta da una fila di pali in legno, contro la sponda erosa.

Finalità: protezione spondale e ripristino della copertura sulla sponda emersa dove questa è carente. Inoltre questa tipologia di interventi è in grado di creare un eccellente substrato per gli organismi acquatici e degli ottimi rifugi per i pesci nella parte di sponda sommersa. Nel caso si impieghino tronchi, questi svolgono anche una funzione di deflettori restringendo la sezione di deflusso idrico (si veda a tal proposito la scheda relativa ai deflettori).

Campo di impiego: sponde soggette ad erosione in cui la sponda ha perso le sue naturali caratteristiche ambientali; particolarmente consigliato dove c’è disponibilità di materiale in alveo.

Materiali impiegati: come è già stato esposto in precedenza, la scelta dei materiali da impiegare per questo tipo di interventi dipende dalla disponibilità di materiali in loco. Oltre al materiale naturale già presente, può essere necessario materiale per gli ancoraggi (cavi di acciaio, tondini, pali in larice o in pino pretrattato). Inoltre, nel caso di interventi con ramaglia viva e morta, sono necessarie le frasche di salice vive e del pietrame per la copertura superficiale; tale materiale, se non è disponibile in loco, deve essere acquistato.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: nel caso di copertura con tronchi e radici o con alberi, le caratteristiche finali dell’opera e le modalità realizzative dipendono molto dalle caratteristiche del materiale disponibile. In linea generale, bisogna curare che non rimangano zone esposte all’azione della corrente e che alle due estremità dell’opera la turbolenza sia contenuta. Per quanto riguarda gli ancoraggi, l’ideale è utilizzare materiale vegetale anche per il fissaggio dell’opera alla riva, ad esempio appuntendo i tronchi disponibili in loco ed utilizzandoli come pali; se si ritiene che in questo modo la struttura non sia adeguatamente ancorata, possono esser utilizzati dei cavi in acciaio adeguatamente ancorati a terra. Nel caso specifico degli alberi interi, è bene che la chioma della pianta sia orientata verso valle.

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Per quanto riguarda invece la copertura con ramaglie, è necessario piantare dei pali di larice o castagno ogni 2-3 metri, ad una distanza adeguata dalla riva. Una volta che i pali sono in opera si procede prima a riempire l’area interessata con uno strato di ramaglia morta (raggiungendo più o meno un’altezza pari al livello idrico), quindi si posa un secondo strato di ramaglia viva. Infine, si posa uno strato di pietrame, possibilmente utilizzando delle pietre piatte, in modo da stabilizzare la struttura.

Vantaggi e svantaggi: il principale vantaggio di questi interventi è indubbiamente il costo ridotto; altri vantaggi legati alla natura dell’intervento sono l’ottimo inserimento paesaggistico e gli effetti sulla riqualificazione del corso d’acqua per gli ecosistemi acquatici; tronchi e rami fungono da substrato per lo sviluppo della comunità perifitica che fornisce nutrimento diretto e indiretto per la fauna ittica. Tra i principali svantaggi vi è la scarsa adattabilità di questi interventi in corsi d’acqua di ridotte dimensioni, in quanto gli effetti sul regime idraulico e sul trasporto solido sono solitamente negativi; inoltre, tali interventi non hanno una vita attesa particolarmente lunga e non sono pertanto adatti dove si prevede che l’azione erosiva sia persistente e che non vi sia la possibilità che grazie all’intervento si possa rigenerare una vegetazione riparia in grado di stabilizzare la sponda.

Interventi collegati: interventi di rinaturalizzazione dell’alveo e di sistemazione idraulica.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua; nel caso si debba abbattere delle piante l’intervento deve essere effettuato nei periodi in cui tale operazione è consentita, mentre nel caso si utilizzi ramaglia viva è opportuno intervenire nel periodo non vegetativo delle piante.

Consigli per la manutenzione: per questo tipo di interventi è richiesta una manutenzione minima: specialmente nei primi mesi di vita dell’opera, è consigliabile verificarne la stabilità.

Vita prevista: funzione della durata del legno in acqua e dalle caratteristiche delle piene.

SCHEMA DI UNA PROTEZIONE SPONDALE CON RAMAGLIA MORTA (SOPRA) E VIVA (SOTTO)

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ESEMPI SCHEMATICI DI COME REALIZZARE UNA PROTEZIONE SPONDALE CON TRONCHI E RADICI

DIFESE SPONDALI CON RADICI (A SINISTRA), CON RADICI E RAMAGLIA (IN ALTO A DESTRA) E CON TRONCHI (IN BASSO A DESTRA)

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ESEMPI SCHEMATICI DI COME REALIZZARE UNA PROTEZIONE SPONDALE CON ALBERI INTERI

DIFESA SPONDALE CON ALBERI INTERI

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0077 VVIIMMIINNAATTAA SSPPOONNDDAALLEE

Descrizione: si tratta di un intervento di stabilizzazione lineare di sponda mediante l’impiego di un intreccio di verghe che viene fissato al terreno tramite, picchetti di legno o tondini di ferro, e successivamente interrato. Determina un immediato consolidamento su strati superficiali incoerenti e soggetti a fenomeni erosivi grazie ad un effetto di contenimento meccanico del materiale. In caso di opera viva, lo sviluppo radicale contribuisce a migliorare l’effetto consolidante. La coltre radicale, pur essendo superficiale, ha inoltre un importante significato ecologico.

Finalità: le viminate spondali vengono utilizzate per creare dei piccoli terrazzamenti o sostegni spondali ad una sola fila; hanno inoltre un ottimo effetto sulla regimazione delle acque superficiali. La radicazione delle talee ha un ruolo stabilizzante evidente nelle viminate vive ben cresciute.

Campo di impiego: consolidamento al piede lungo corsi d’acqua minori, interventi di risanamento spondale in ambito lacustre con funzione di stabilizzazione di tratti soggetti ad erosione.

Materiali impiegati: si utilizzano verghe di specie legnose dotate di notevole elasticità ed elevata capacità di ricaccio; per questo motivo si privilegia l’utilizzo di verghe di salice, sorbo, maggiociondolo o nocciolo, facilmente intrecciabili, di lunghezza minima di 120 cm. Gli intrecci sono ancorati al terreno tramite pali di legno (anche vivi) lunghi almeno 100 cm e di diametro compreso tra 3 e 10 cm, o picchetti in acciaio della medesima lunghezza e di diametro tra 12 e 14 cm; tra i pali di legno (o picchetti in acciaio) sono collocati dei paletti vivi (o picchetti) lunghi 30-80 cm.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: i pali di legno ( o picchetti di acciaio) vanno infissi nel terreno per almeno i 2/3 della loro lunghezza. I paletti vivi (o picchetti) vanno disposti a una distanza di circa 30 cm l’uno dall’altro e non devono sporgere dal terreno più di 5 cm al di sopra dell’intreccio. La verga più bassa va posizionata in un piccolo solco del terreno; al di sopra di essa vanno collocate tra tre e otto verghe sovrapposte. Nel caso di rischio di scalzamento al piede, la parte basale può essere protetta mediante l’uso di strati di ramaglia o fascine. Posteriormente alla viminata si rincalza la terra in modo che le verghe possano cacciare. E’ consigliabile mantenere la viminata inclinata rispetto alla pendenza del terreno in modo da evitare che le piante crescendo possano ombreggiarsi l’un l’altra.

Vantaggi e svantaggi: l’opera presenta il notevole vantaggio dato dalla buona adattabilità alla morfologia della sponda e dall’immediato effetto meccanico di trattenuta del terreno. La viminata spondale si configura come un intervento complesso e non indicato in caso di terreni sassosi o rocciosi; la quantità di materiale necessario risulta piuttosto elevata e deve rispondere a precise caratteristiche di flessibilità affinché sia possibile l’intreccio delle verghe. Nell’opera viva l’effetto di radicazione è relativamente superficiale ma tende ad aumentare con la crescita della viminata.

Interventi collegati: piantagione di specie legnose pioniere, inerbimenti, gradonate, sistemazioni di versante; nel caso di utilizzo della viminata per la protezione al piede della sponda, si può combinare questa tipologia di intervento con una copertura diffusa.

Periodo di intervento: l’opera viva va realizzata esclusivamente nel periodo di riposo vegetativo delle specie utilizzate; se si adoperano verghe senza capacità di ricaccio, l’intervento è possibile in qualsiasi stagione.

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Consigli per la manutenzione: la manutenzione è rappresentata sostanzialmente da eventuali interventi di sfalcio della componente erbacea e arbustiva e di potatura della componente arborea. Il taglio della vegetazione erbacea, pur non essendo indispensabile, favorisce il rafforzamento e l’accrescimento delle radici e facilita la crescita delle leguminose azoto-fissatrici e delle erbe non graminoidi. Questa operazione risulta molto utile su versanti poco soleggiati dove le alte erbe, togliendo luce al terreno, limitano l’approfondimento delle radici e quindi il consolidamento dello strato superficiale del terreno.

Vita prevista: la durata dell’opera è da considerarsi illimitata in assenza di eventi eccezionali.

SCHEMA DI INTRECCIO DELLA VIMINATA

VIMINATA SPONDALE CON PROTEZIONE AL PIEDE

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0088 PPIIAANNTTAAGGIIOONNEE DDII SSPPEECCIIEE LLEEGGNNOOSSEE

Descrizione: si tratta di un intervento di stabilizzazione tramite la messa a dimora di specie arbustive e arboree; si utilizzano principalmente specie pioniere con funzione di prima colonizzazione, atte a preparare il terreno all’insediamento di specie successive. Lo sviluppo dell’apparato radicale consente il consolidamento del terreno e riduce, in questo modo, i fenomeni erosivi. La piantagione può avvenire secondo le seguenti modalità: 1. a radice nuda 2. in zolla 3. in contenitore 4. in fitocella Si procede all’apertura della buca di dimensioni prossime al volume dell’apparato radicale, se si impiegano piantine a radice nuda, o doppia, se si utilizzano piantine in fitocella o con pane di terra. Vanno eliminati eventuali rami secchi e radici rotte o ferite. Le piantine vanno quindi messe a dimora e ricoperte con terreno vegetale; è importante non interrarle oltre il colletto. La densità di impianto è in genere pari a una pianta per metro quadrato, può variare in relazione agli obiettivi dell’intervento e alle caratteristiche della stazione.

Finalità: rinaturalizzazione e consolidamento di terreno soggetto a fenomeni erosivi.

Campo di impiego: su scarpate prive di humus, discariche di inerti, versanti franosi, sponde. Interventi di integrazione di altre opere di ingegneria naturalistica.

Materiali impiegati: il materiale vegetale impiegato deve avere requisiti e caratteristiche ben precisi, quali: o non deve presentare ferite, capitozzature o attacchi parassitari (funghi, insetti, etc.); o deve avere un portamento regolare ed una giusta proporzione tra la conformazione della chioma, del

tronco e delle radici; Le specie arbustive maggiormente utilizzate sono il corniolo (boschi di latifoglie soleggiati, resiste moderatamente all’ombra, radici molto espanse resistenti allo strappo), il nocciolo (boschi misti temperati di latifoglie, indifferente al terreno, sopporta condizioni semisciafile, radici molto espanse resistenti alla trazione), biancospino (boschi di latifoglie e conifere subatlantiche/submediterranee, specie eliofita con apparato radicale profondo), sambuco (boschi umidi e macchie, specie eliofita, termofila, radicazione tabulare). Tra le specie arboree più usate troviamo: l’ontano nero (specie pioniera del bosco su torbiere basse e sponde, eliofila, radice profonda), la betulla (specie pioniera nella maggior parte dei tipi di bosco a latifoglie e conifere dell’Europa centrale, eliofila, radicazione intensiva superficiale), il frassino (specie semisciafila, importante consolidante del terreno, radicazione profonda), il salice (specie con la maggiore attitudine all’impiego pratico nei lavori di ingegneria naturalistica). L’ontano è l’unica specie in grado di sviluppare radici anche sotto l’alveo in terreni sabbiosi, rendendo così superfluo un consolidamento dell’alveo stesso.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: nel caso di piantagione di specie legnose finalizzate al consolidamento spondale, può essere necessario proteggere le piante con stuoie in materiale biodegradabile; in questo modo si riduce il rischio di erosione, da parte dell’acqua, sul terreno circostante alle piante. Per proteggere le piante da un eccessivo sviluppo di erbe infestanti è consigliabile provvedere a interventi di pacciamatura con dischi o biofeltri ad elevata compattezza o strato di corteccia di resinose. L’uso di piantine in fitocella ha il pregio di accrescere notevolmente le probabilità di attecchimento rispetto a quelle messe a dimora a radice nuda.

Vantaggi e svantaggi: le piantagioni pioniere migliorano il terreno grazie alla caduta delle foglie e all’arricchimento in sostanze azotate per azione dei batteri. In tal modo si creano le condizioni necessarie per l’insediamento di associazioni successive. Sulla superficie coperta dal pacciame si riduce lo sviluppo di piante erbacee e non occorre quindi intervenire con lo sfalcio. La tecnica, tuttavia, è idonea a consolidare il terreno solo se integrata da altri interventi costruttivi o di rivegetazione.

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Interventi collegati: le piantagioni di ontani sono frequentemente disposte, lungo la linea del livello medio dell’acqua, dietro a fascinate morte. In generale la messa a dimora di specie arboree e arbustive rappresenta un’integrazione di altre opere di ingegneria naturalistica quali, ad esempio, gradonate vive, semine, viminate, cordonate.

Periodo di intervento: in generale l’intervento si effettua durante il riposo vegetativo, meglio ancora all’inizio della ripresa. In presenza di piantine a radice nuda è possibile effettuare l’intervento solamente durante il periodo di riposo vegetativo. L’uso di piantine in fitocella consente di eseguire il trapianto durante tutto l’arco dell’anno.

Consigli per la manutenzione: nella fase immediatamente successiva alla piantagione, le piante necessitano di irrigazione e di difesa dalla vegetazione infestante. Qualora sia necessario, bisogna inoltre provvedere al ripristino della verticalità degli arbusti e degli alberi piantumati. In seguito all’attecchimento, si provvederà a eventuali interventi di potatura e di sfalcio della vegetazione erbacea.

Vita prevista: durata illimitata

PIANTINA RADICATA PROTETTA DA FASCINATA APPARATO RADICALE DELL’ONTANO IN ALVEO

CONSOLIDAMENTO DI SPONDA CON VIMINATE E MESSA A DIMORA DI PIANTINE

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0099 PPIIAANNTTUUMMAAZZIIOONNEE DDII CCAANNNNEETTOO

Descrizione: si tratta di un intervento di messa a dimora di piante lacustri e palustri con funzione di rivestimento di sponda, in condizioni di bassa pendenza e velocità dell’acqua. Il canneto che si viene a creare consente di consolidare il terreno spondale tramite l’apparato radicale esteso e costituisce un filtro biologico in grado di assorbire efficacemente fosforo, azoto e metalli pesanti. La zona umida soggetta a piantumazione diviene inoltre un importante ecosistema in grado di fornire protezione e nutrimento all’avifauna e alle specie ittiche eventualmente presenti. Si possono adottare due tipologie di messa a dimora delle canne di palude: 1. Messa a dimora con pane di terra o in vaso: si utilizzano specie vegetali allevate in vivaio e successivemente trapiantate in sito assieme al loro pane di terra o in vaso. Un’altra possibilità consiste nell’asportare le piante col loro pane di terra da zone ormai stabilmente vegetate, senza compromettere queste ultime. Il pane di terra accresce

notevolmente le probabilità di attecchimento. Se le piante vengono messe a dimora in fasce riparie soggette a moto ondoso, è bene avvolgere i pani in un tessuto biodegradabile e quindi ancorarli con picchetti. Per proteggere le piante in vaso dal dilavamento si possono stendere geotessili sull’intera zona dell’intervento.

2. Piantagione di culmi di canna: da canneti naturali si prelevano giovani e robusti culmi di canna lunghi 80-100 cm circa e con alcune foglie sviluppate (max 5). I culmi vanno poi ripiantati a fasci di 3-5 pezzi, in fori predisposti e profondi circa 30 cm, in ragione di 5-9 fasci per m2. La terra va calcata accuratamente intorno ai culmi; questi ultimi possono anche essere posizionati suborizzontalmente sul fondo di appositi canaletti paralleli, situati a distanza di 50-100 cm l’uno dall’altro, e coperti con materiale terroso incoerente.

Finalità: la piantumazione di canneto permette di consolidare sponde fangose o sabbiose e di rinaturalizzare zone umide, stagni e corsi d’acqua.

Campo di impiego: rinaturalizzazione di zone umide, stagni, corsi d’acqua; ripristino di canneti su sponde lacustri; consolidamento di sponde sabbiose o fangose; depurazione secondaria delle acque reflue.

Materiali impiegati: le piante impiegate sono essenzialmente graminacee con elevate capacità di consolidamento del terreno; in particolare le specie più utilizzate sono: Phragmites australis e Typha latifolia.Entrambe le specie hanno una forte capacità di assorbimento dell’acqua, 1 m2 di canneto assorbe 500-1500 litri di acqua all’anno. Phragmites australis (cannuccia di palude) è una robustissima graminacea che predilige l’acqua ferma e può crescere anche dove l’acqua ha qualche decimetro di profondità. Si espande ampiamente a qualsiasi latitudine ed è largamente utilizzata nella fitodepurazione per la sua elevata capacità di assorbire il fosforo, l’azoto ed i metalli pesanti disciolti nell’acqua. Typha latifolia è una pianta indicata per specchi d’acqua piuttosto ampi ed è anch’essa utilizzata nella fitodepurazione per l’elevata capacità di assorbire i metalli pesanti disciolti nell’acqua, in particolare rame, piombo e zinco. A seconda della tipologia di messa a dimora scelta, saranno necessarie: piante in pani di terra, se possibile prelevate da formazioni naturali, altrimenti allevate in vivaio; culmi di canne lunghi 80-100 cm in caso di piantagione verticale; culmi adulti di 200 cm per stesura superficiale sulla sponda.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: è consigliato piantumare Phragmites australis e Typha latifolia ad una profondità non superiore ai 20-30 cm rispetto alla superficie dell’acqua. In caso di pericolo di erosione può essere utile, nella fase dello sviluppo, ricoprire il terreno con delle stuoie geotessili. Per favorire il radicamento dei culmi di canna può rendersi necessario il fissaggio di questi mediante paletti e filo di ferro.

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Vantaggi e svantaggi: nel caso della messa a dimora con pane di terra o in vaso le piante radicano rapidamente e, formando una fitta rete sotterranea, proteggono la riva dall’erosione, contribuiscono alla depurazione biologica delle acque e formano un habitat idoneo per numerose specie animali. Grazie alle culture in vivaio si evitano le fasi critiche della germinazione e del primo sviluppo. Nella nuova ubicazione le canne in pane crescono più rapidamente di quelle trapiantate mediante culmi. Si tratta tuttavia di interventi assai laboriosi e con grande impiego di materiale vegetale, quindi possibili solo su aree limitate. L’utilizzo di culmi di canna consente di creare in breve tempo canneti di dimensioni consistenti con un limitato impegno di materiale; i risultati ottimali si ottengono però nel secondo anno e si tratta di una tecnica utilizzabile solo in presenza di acque stagnanti o debolmente correnti.

Periodo di intervento in caso di piantagione di culmi di canna: piantagione tardo-primaverile (inizio maggio-fine giugno). La stesura superficiale va invece realizzata solo con canne nel pieno sviluppo (agosto-settembre).

Periodo di intervento in caso di messa a dimora con pane di terra o in vaso: si consiglia di effettuare l’intervento all’inizio del periodo vegetativo in caso di messa a dimora diretta. Le sementi vanno raccolte in autunno, coltivate in vaso in vivaio e quindi trapiantate all’inizio del periodo vegetativo successivo.

Consigli per la manutenzione: la manutenzione consiste in eventuali interventi di contenimento della vegetazione tramite sfalcio da effettuarsi nel periodo estivo; in questo modo si ottiene un esaurimento degli organi di riserva delle piante contenendone così lo sviluppo negli anni successivi.

CANNETO SPONDALE CON PREVALENZA DI PHRAGMITES AUSTRALIS

MESSA A DIMORA DI CANNE CON PANE DI TERRA

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1100 BBRRIIGGLLIIEE EE SSOOGGLLIIEE

Descrizione: si tratta di opere trasversali, che possono avere diverse dimensioni ed essere realizzate con vari materiali, la cui funzione è quella di limitare l’erosione del fondo dell’alveo e ridurre il trasporto solido verso valle oppure, nel caso delle soglie (briglie a bassa elevazione), di diversificare l’habitat fluviale. Il dimensionamento dipende dagli effetti ultimi da perseguire e dalla pendenza del corso d’acqua, mentre la scelta dei materiali è legata prevalentemente alla disponibilità di materiale in loco e alle caratteristiche estetico-paesaggistiche attese. Le briglie possono essere classificate o in base alla loro elevazione (le briglie normali generano solitamente un salto compreso tra 0,5 e 1,5 m, le soglie non dovrebbero superare i 30 cm), o in base ai materiali in cui vengono realizzate (legname, pietrame, legname + pietrame, gabbioni, cemento armato). È importante sottolineare che, fatta eccezione per le soglie, tali dispositivi costituiscono un ostacolo invalicabile per la fauna ittica che vuole risalire il corso d’acqua; pertanto interventi di questo tipo vanno pianificati o in tratti di corsi d’acqua in cui sono già presenti altre discontinuità naturali che impediscono la risalita dei pesci, oppure è necessario prevedere anche dei dispositivi per la risalita dei pesci. In alcuni casi particolari tali interventi vengono invece realizzati proprio per impedire lo spostamento valle-monte dei pesci.

Finalità: il principale obiettivo di questo tipo di interventi è quello di regolarizzare e stabilizzare l’alveo a monte e a valle dell’opera. Le briglie, infatti, hanno lo scopo di ridurre la pendenza del corso d’acqua, riducendo quindi la velocità della corrente e di conseguenza la sua azione erosiva e di trasporto solido; per questo tra gli effetti delle briglie vi è anche la stabilizzazione delle sponde. Nel caso delle soglie, tale effetto diventa meno prioritario e le finalità sono generalmente diverse: approfondire o creare buche a valle dell’opera, prolungare la permanenza dell’acqua nelle buche in corsi d’acqua intermittenti, aumentare la turbolenza locale e l’ossigenazione dell’acqua, ecc..

Campo di impiego:1. briglie: torrenti ad elevata pendenza con problemi di erosione in tratti in cui il trasporto solido da monte è

limitato (briglie normali); 2. soglie: tratti di torrente che, per cause antropiche o naturali, sono caratterizzati da una scarsa ricchezza di

habitat, da lunghi tratti omogenei con velocità di corrente costante.

Materiali impiegati: i principali materiali utilizzati per la costruzione di briglie sono legname (pali in larice, castagno o legno trattato di lunghezza 2-4 m e diametro di 20 – 40 cm), pietrame (pezzatura 20-30 cm) e chiodi. Possono essere necessari altri materiali quali: ghiaia e ciottoli per creare delle zone di drenaggio, reti metalliche e pietre di grossa pezzatura per la protezione di valle, massi di medio – grandi dimensioni per la realizzazione di opere in pietrame, barre e funi d’acciaio per l’ancoraggio di opere in pietrame. Nel caso di briglie realizzate con gabbioni, il materiale necessario è lo stesso che si usa per le gabbionate.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: per le briglie normali, è necessario come prima cosa creare un piano di posa in pietrame, che deve prolungarsi di almeno 1-2 metri verso valle, per poter dissipare l’energia dell’acqua che sfiora oltre la briglia. Dopo aver creato la base, si procede alla posa dei tronchi che devono essere fissati tra loro con modalità analoghe a quelle viste per le palificate (incastri e chiodi). I pali devono essere anche fissati in modo adeguato alle sponde del corso d’acqua, penetrando in profondità. La struttura in legno può essere più o meno fitta in funzione del tipo di briglia che si intende realizzare: nel caso di briglia in legname, sia i pali longitudinali che quelli trasversali devono essere tra loro affiancati; nel caso di briglia in legname e pietrame, l’interasse deve essere di circa 1-1,5 m e bisogna progressivamente riempire il cassone con materiale lapideo. La sommità della briglia (gaveta) deve essere realizzata con tondelli di legname (f 8-10 cm) ed avere una larghezza pari a circa 1/3 della sezione del corso d’acqua. Bisogna ricordare che, specialmente nel periodo immediatamente successivo alla loro realizzazione, le briglie sono piuttosto permeabili e che il funzionamento a regime lo raggiungono solo qualche anno dopo la loro realizzazione.

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Le briglie a bassa elevazione (soglie) possono essere realizzate con diverse modalità: a tronco singolo, a tre tronchi, a piramide, a tronchi sovrapposti, a K, con reti metalliche o con materassi. Per quanto riguarda le modalità costruttive si raccomanda di ancorare adeguatamente l’opera alle sponde e al fondo dell’alveo. È inoltre opportuno effettuare un’adeguata protezione da possibili scalzamenti a valle (ad esempio con massi di medie dimensioni) e a monte (ponendo una rete metallica sormontata e da massi).

Vantaggi e svantaggi: le briglie vengono realizzate per conseguire obiettivi che difficilmente possono essere raggiunti con altri interventi; le briglie in legname e/o pietrame, paragonate a quelle in cemento armato, hanno un aspetto più gradevole ed una vita attesa minore. Si ricorda che prima di progettare un intervento di questo tipo è necessario valutare che sia fattibile dal punto di vista della morfologia e del trasporto solido nel tratto di corso d’acqua di interesse e che non interferisca con gli spostamenti naturali dei pesci. Per quanto concerne le soglie, si tratta invece di interventi di minor portata, in grado di diversificare efficacemente l’ambiente (ad esempio in seguito ad artificializzazioni mal progettate) e senza particolari controindicazioni; anche in questo caso bisogna comunque valutare le condizioni idraulico-morfologiche dell’alveo nella zona di intervento.

Interventi collegati: nel caso di briglie, normalmente si realizzano più briglie in serie; come criterio generale le briglie vanno realizzate ad una distanza inferiore a 5-7 volte la larghezza dell’alveo. Le soglie dovrebbero invece essere realizzate assieme ad altri interventi di riqualificazione dell’habitat fluviale.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua.

Consigli per la manutenzione: per questo tipo di interventi non sono richiesti particolari interventi di manutenzione; è comunque necessario effettuare dei controlli in seguito alle piene più importanti e provvedere eventualmente a riparare eventuali danni.

Vita prevista: circa 30-40 anni, che può comunque dipendere dal regime idrologico del corso d’acqua.

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SCHEMA COSTRUTTIVO DI BRIGLIE IN LEGNAME E PIETRAME: BRIGLIA IN LEGNAME POSATA SU UNA BASE IN PIETRAME (IN ALTO) E

BRIGLIE IN LEGNAME E PIETRAME (IN BASSIO)

SERIE DI BRIGLIE IN LEGNAME (FONTE: PURICELLI AMBIENTE – VARESE)

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POSSIBILI MODALITÀ COSTRUTTIVE DELLE SOGLIE IN LEGNAME

ESEMPI DI SOGLIE: SOGLIA IN LEGNAME A “K” (IN ALTO), SOGLIA A TRONCHI SOVRAPPOSTI (AL CENTRO) E SOGLIA IN PIETRAME (IN

BASSO).

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1111 DDEEFFLLEETTTTOORRII EE CCOOSSTTRRIITTTTOORRII

Descrizione: questo opere agiscono restringendo e modificando la sezione di deflusso di un tratto di corso d’acqua. Possono essere realizzati con svariati materiali e con diverse modalità per ottenere risultati differenti. In generale queste tipo di opere crea una zona in cui la corrente è costretta a defluire in una sezione ridotta, con un conseguente incremento della velocità e del battente idrico; possono anche essere utilizzati per concentrare la corrente in una determinata zona dell’alveo originario o per deviarla in modo da ottenere un andamento meandriforme. Le principali tipologie costruttive sono: 1. Deflettori singoli: deviano la corrente verso una sponda e ne incrementano la velocità, in modo da avviare

un andamento meandriforme, creando una zona pulita a corrente veloce in corrispondenza del deflettore stesso ed una buca immediatamente a valle. Nel caso si voglia evitare l’erosione della sponda opposta, è opportuno prevedere anche interventi di protezione della stessa (ad esempio con tronchi o ramaglia); nel caso in cui invece si desideri innescare lo sviluppo di meandri tali interventi non devono essere fatti.

2. Deflettori doppi: non sono altro che due deflettori singoli posti in modo simmetrico all’interno del corso d’acqua; hanno la stessa funzione dei deflettori singoli, ma a differenza dei primi non facilitano l’erosione spondale e di conseguenza non sono in grado di facilitare la formazione di meandri.

3. Deflettori a V: costituiscono dei cunei posti al centro dell’alveo che, al contrario dei deflettori doppi, favoriscono l'erosione delle sponde (che pertanto devono essere o originariamente stabili o adeguatamente protette).

4. Costrittori: sono analoghi ai deflettori doppi, ma con la zona centrale a corrente veloce distribuita su una lunghezza maggiore.

Finalità: questo tipo di interventi è finalizzato essenzialmente alla diversificazione dell’habitat fluviale. In particolare, in base alle esigenze specifiche, alle caratteristiche del corso d’acqua e alle caratteristiche dei deflettori che si realizzano, è possibile: restringere e approfondire l’alveo, creare buche e barre, indirizzare la corrente in punti di particolare valore faunistico (rifugi), innescare la formazione di meandri, mantenere pulito il fondo dell’alveo dal fango favorendo la colonizzazione di invertebrati e la deposizione delle uova da parte dei pesci.

Campo di impiego: torrenti di varie dimensioni, caratterizzati da pendenze ridotte e sezioni larghe e poco profonde. Sono particolarmente indicati dove c’è carenza di buche e di rifugi per pesci. Possono essere anche associati ad interventi che creano rifugi artificiali per i pesci (si vedano la scheda n°10 e n°12), con lo scopo di indirizzare la corrente verso questi ultimi.

Materiali impiegati: i deflettori vengono preferibilmente realizzati utilizzando materiali già disponibili in loco: generalmente è necessario disporre di tronchi in legno di lunghezza adeguata (preferibilmente larice o castagno), con cui creare la struttura principale, mentre il riempimento può essere effettuato con massi, ghiaia, o in legno. È anche possibile realizzarli interamente in pietrame, proteggendo in questo caso il perimetro esterno con massi di dimensioni adeguate; un’ultima alternativa possibile prevede l’utilizzo di gabbioni metallici. Oltre al materiale appena illustrato, sono necessari chiodi ed eventualmente reti metalliche per proteggere la parte superficiale.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: i pali in legno devono essere adeguatamente ancorati alle rive, penetrando per 1-3 metri al loro interno. Il lato rivolto verso monte deve essere inclinato di 30-40° rispetto alla direzione della corrente, mentre l’angolo tra il lato a monte e quello a valle deve essere di circa 90°. Per fissare tra loro i tronchi sono sufficienti dei chiodi, può essere al limite conveniente sagomare i tronchi in modo da migliorare l’incastro. Nel caso in cui i deflettori vengano invece realizzati in pietrame, è necessario calcolare la dimensione dei massi da utilizzare, onde evitare danneggiamenti dell’opera durante le piene.

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Vantaggi e svantaggi: sono interventi particolarmente economici, specialmente se la maggior parte del materiale è disponibile in loco. Sono inoltre interventi che possono raggiungere contemporaneamente diversi obiettivi; in lunghi tratti artificializzati è possibile ottenere ottimi risultati realizzando una serie di deflettori che spezzano la corrente creando buche e raschi. Sono da evitare invece in corsi d’acqua a forte pendenza (> 3%), in torrenti con sponde alte e soggette ad erosione e in corsi d’acqua con elevato trasporto solido. Nel caso in cui l’obiettivo principale sia quello di creare delle buche, i deflettori sono mediamente meno efficaci delle soglie.

Interventi collegati: in generale i deflettori devono essere realizzati assieme ad altri interventi di rinaturalizzazione del corso d’acqua: in funzione dei singoli casi possono essere associati a interventi di protezione spondale, alla creazione di rifugi artificiali, ad altri interventi di diversificazione dell’habitat, a soglie o a interventi finalizzati al contenimento del trasporto solido.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua.

Consigli per la manutenzione: è necessario un controllo periodico per verificare lo stato delle opere e le condizioni del corso d’acqua a monte e a valle delle stesse.

Vita prevista: dipende molto dal regime idrologico e dall’entità del trasporto solido (è possibile che i deflettori vengono inglobati nel fondo dell’alveo).

ESEMPI DI DIVERSE TIPOLOGIE DI DEFLETTORI

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ESEMPI DI DEFLETTORI REALIZZATI: DEFLETTORE SINGOLO CON DIFESA DELLA SPONDA OPPOSTA [1], DEFLETTORE DOPPIO [2], DEFLETTORE IN LEGNAME E PIETRAME [3] E COSTRITTORE [4]

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1122 IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE DDII MMAASSSSII IINN AALLVVEEOO

Descrizione: è un intervento largamente diffuso finalizzato al miglioramento della qualità dell’habitat fluviale che può essere effettuato in qualsiasi corso d’acqua. I massi possono essere disposti in vario modo all’interno dell’alveo in base alle caratteristiche del corso d’acqua e ai risultati che si desidera ottenere: possono essere disposti isolati o in gruppi e la loro collocazione può essere ordinata o casuale. L’effetto dei massi è comunque quello di ottenere delle piccole buche a valle degli stessi e in corrispondenza dei punti in cui converge il flusso idrico; inoltre, a valle dei massi, si formano dei rifugi per i pesci che si rivelano preziosi specialmente durante le piene. La presenza dei massi ha anche un effetto significativo sui processi di erosione delle sponde: in base a come vengono disposti, la loro presenza può sia difendere sponde soggette ad erosione, sia amplificare dei fenomeni di erosione già in atto. Nel caso in cui non siano disponibili massi in loco o il loro trasporto risulti particolarmente costoso o complicato, è possibile utilizzare dei gabbioni metallici per ottenere dei risultati analoghi.

Finalità: i principali risultati che possono essere ottenuti con questo intervento sono: creazione di buche e meandri, formazione di rifugi per la fauna ittica (specialmente in occasione delle piene), diversificazione dell’habitat, pulizia di alcune parti dell’alveo favorendo la colonizzazione di invertebrati e la deposizione delle uova da parte dei pesci, protezione spondale.

Campo di impiego: questo intervento è particolarmente adatto in corsi d’acqua artificializzati con una scarsa alternanza di buche e raschi; sono altrettanto efficaci in corsi d’acqua naturali con i medesimi problemi.

Materiali impiegati: massi di dimensioni adeguate o, in alternativa, gabbioni metallici riempiti con ciottoli.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: la dimensione dei massi (o dei gabbioni) deve essere valutata accuratamente affinché questi possano resistere alle piene; in generale si raccomanda di usare massi di diametro compreso tra 0,6 e 1,5 m. I massi devono essere preferibilmente di forma irregolare e di roccia dura. Per ottenere una maggiore stabilità dei massi è possibile incassarli leggermente nel fondo dell’alveo. Infine si raccomanda di studiare attentamente la collocazione dei massi nel corso d’acqua, tenendo presente i possibili fenomeni di erosione indotti nel caso in cui i massi siano posti vicino alle rive e, più in generale, tutti gli effetti che possono manifestarsi con le correnti generate dalla loro presenza.

Vantaggi e svantaggi: nel caso in cui i massi siano già presenti in loco e il loro trasporto non implichi particolari costi o difficoltà, si tratta di un intervento semplice, economico ed efficace. Nel caso contrario, i costi possono salire notevolmente ed è necessario quindi valutare l’opportunità di intervenire diversamente.

Interventi collegati: altri interventi di rinaturalizzazione del corso d’acqua; in particolare questo intervento può essere abbinato ad interventi finalizzati a migliorare la stabilità delle sponde e la loro qualità ambientale.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua.

Consigli per la manutenzione: non sono richiesti particolari interventi di manutenzione; è comunque opportuno verificare che, dopo le piene, i massi non abbiano perso la loro collocazione originaria, in quanto è possibile che una diversa disposizione all’interno dell’alveo induca effetti indesiderati sulla stabilità delle sponde.

Vita prevista: dipende dal regime idrologico del corso d’acqua.

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POSSIBILI DISPOSIZIONI DEI MASSI IN ALVEO (IN ALTO) E ESEMPIO DI UN INTERVENTO REALIZZATO (IN BASSO)

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1133 SSEEMMII--TTRROONNCCHHII

Descrizione: è un intervento relativamente semplice da realizzare e dai costi contenuti, finalizzato principalmente a creare dei rifugi artificiali per i pesci. I semi-tronchi si realizzano tagliando longitudinalmente dei tronchi di medie dimensioni (lunghezza consigliata 3-4 m e con un diametro di almeno 30 cm) ed ancorandoli all’alveo con il lato piatto rivolto verso il basso, lasciando un adeguato spessore tra il tronco ed il fondo dell’alveo. In fiumi di grosse dimensioni è possibile utilizzare con gli stessi criteri i tronchi interi.

Finalità: aumentare il numero di rifugi per la fauna ittica.

Campo di impiego: questo tipo di intervento si colloca bene in alvei con substrato stabile e con poco trasporto solido, onde evitare che i tronchi vengano assorbiti dal fondo dell’alveo in breve tempo e perdano quindi la loro funzione originaria. È particolarmente indicato laddove vi siano problemi legati alla predazione dei pesci da parte degli uccelli.

Materiali impiegati: tronchi in legno di adeguate dimensioni, tondini di ferro per l’ancoraggio (lunghi 1,5 – 2 m) e legname per spessorare il tronco.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: per facilitare la realizzazione dell’opera, si consiglia di assemblare il semi-tronco, i tondini e gli spessori prima di metterli in opera. A questo punto, dopo avere individuato un posto idoneo ad ospitare la struttura, si piantano i tondini nel fondo dell’alveo. La distanza tra la base del tronco ed il fondo dell’alveo dovrebbe essere di circa 20 cm. È infine preferibile che i tronchi restino completamente sommersi anche in regime di magra.

Vantaggi e svantaggi: si tratta di un intervento estremamente economico ed efficace, specialmente nel proteggere i pesci dai predatori. La durata ed il buon funzionamento sono però strettamente legati al trasporto solido del corso d’acqua in cui si inseriscono.

DISEGNO DI UN SEMI-TRONCO IN UN CORSO D’ACQUA

Interventi collegati: altri interventi di rinaturalizzazione del corso d’acqua.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua.

Consigli per la manutenzione: può essere necessario controllare periodicamente che non si depositi del materiale sotto il tronco e che questo mantenga la sua funzionalità; in questi casi se possibile, è opportuno rimuovere il materiale depositato.

Vita prevista: dipende dall’entità del trasporto solido nel corso d’acqua.

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1144 BBAARRRRIIEERREE PPEERR CCIIAARRPPAAMMEE

Descrizione: si tratta di opere di semplice realizzazione che svolgono funzioni analoghe a quelle dei massi in alveo. Il loro funzionamento è invece simile a quello delle briglie: una volta poste in opera, trattengono il materiale ghiaioso proveniente da monte, fino a raggiungere l’equilibrio. Si realizzano mediante una rete metallica disposta verticalmente in senso trasversale rispetto alla direzione della corrente. In questo modo è possibile creare delle piccole buche, mantenere dei tratti di alveo puliti dal materiale fine e fornire dei rifugi ai pesci.

Finalità: diversificazione dell’habitat fluviale, creazione di zone di rifugio e di aree per la deposizione delle uova e la colonizzazione dei macroinvertebrati.

Campo di impiego: torrenti montani poco diversificati e corsi d’acqua di valle in cui può essere utile creare dei rifugi isolati all’interno dell’alveo.

Materiali impiegati: rete metallica in filo di ferro zincato a doppia torsione e tondini di ferro lunghi circa 1,5 – 2 m per l’ancoraggio al fondo; in alternativa ai tondini, possono essere utilizzati dei profilati metallici.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: La rete metallica, che costituisce l’elemento principale dell’opera, deve avere un’altezza tale da raggiungere il fondo dell’alveo e rimanere sommersa anche in condizioni di magra e deve essere lunga circa 1 – 1,2 m. Per semplificare la realizzazione dell’intervento, è preferibile fissare prima la rete ai tondini e successivamente istallare la struttura nell’alveo.

Vantaggi e svantaggi: è un intervento relativamente economico che può ben sostituire l’introduzione di massi in alveo, nei casi in cui questo risulti eccessivamente oneroso. Rispetto ai massi in alveo la barriera per ciarpame è però più fragile ed ha una vita media mediamente inferiore.

Interventi collegati: altri interventi di rinaturalizzazione del corso d’acqua.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua.

Consigli per la manutenzione: è consigliabile effettuare una verifica periodica della struttura sia per controllarne l’integrità, sia per verificare che non dia luogo a effetti indesiderati (ad esempio l’erosione spondale nell’area adiacente.

Vita prevista: dipende dal regime idrologico e dall’entità del trasporto solido nel corso d’acqua, in particolare durante le piene.

SCHEMA DI UNA BARRIERA PER CIARPAME ED ESEMPIO DI LOCALIZZAZIONE IN ALVEO AD INTEGRARE ALTRI INTERVENTI

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1155 RRIICCOOVVEERRII SSOOTTTTOOSSPPOONNDDAA

Descrizione: in generale questa tipologia di opere comprende tutti gli interventi sulle sponde dell’alveo in grado di fornire dei rifugi spondali per la fauna acquatica. A questa categoria appartengono pertanto sia interventi di ingegneria naturalistica finalizzati alla protezione spondale, ma che contemporaneamente costituiscono anche dei buoni rifugi per i pesci (palificate vive, gabbionate e materassi rinverditi, scogliere in massi rinverdite, difese spondali con tronchi, alberi o ramaglia), sia interventi specifici che come obiettivo principale hanno quello di creare rifugi spondali per la fauna ittica. Per i primi, si rimanda alle schede relative agli interventi specifici, mentre i secondi saranno trattati di seguito. Questo tipo di intervento prevede in generale la posa di una pensilina, eventualmente sostenuta da pali di legno o massi, a ridosso della sponda del corso d’acqua. La pensilina deve essere più o meno a livello dell’acqua e deve essere ricoperta con terra e ciottolame in modo da favorire lo sviluppo della vegetazione. Esistono vari modi per realizzare questo tipo di opere, in base alle necessità specifiche, alla profondità dell’acqua e all’area disponibile per la collocazione dell’opera. La pensilina normalmente viene realizzata con assi di legno, ma può essere anche in lamiera o in vetroresina. Se il rifugio artificiale creato con l’intervento è sufficientemente grande o se c’è l’esigenza di proteggere la sponda a tergo, è opportuno posizionare dei massi o della ramaglia al suo interno. È possibile ricavare i ricoveri sottosponda all’interno dei deflettori, sfruttandone il lato di valle.

Finalità: il principale obiettivo di questi interventi è quello di creare o incrementare il numero di rifugi per la fauna ittica in tratti fluviali in cui ve ne sia bisogno. I ricoveri sottosponda contribuiscono anche a proteggere la sponda dall’erosione.

Campo di impiego: qualsiasi corso d’acqua in cui è stata riscontrata una carenza di rifugi per la fauna ittica.

Materiali impiegati: per la tipologia più semplice di ricoveri sottosponda sono necessarie assi di legno, pali in legno, chiodi e materiale per la copertura; in altri casi possono essere necessari massi di dimensioni medio-piccole, fogli di lamiera e ramaglia.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: dopo avere preparato la sponda su cui inserire la struttura, si posizionano i pali di sostegno, che possono essere pali verticali piantati nel fondo dell’alveo o pali orizzontali conficcati nella sponda; se necessario, dopo avere sistemato la paleria, si colloca il materiale di riempimento del rifugio (massi o ramaglia). Si procede quindi alla realizzazione della pensilina mediante assi di legno, piccoli tronchi posti a distanza ravvicinata, lamiera o vetroresina. Infine, si procede alla copertura superficiale della pensilina che può essere in terra o in pietrame; le caratteristiche della copertura devono essere definite in modo che l’opera si inserisca al meglio nell’ambiente ripario.

Vantaggi e svantaggi: a differenza di interventi quali la difesa spondale con alberi o ramaglia, che vengono realizzati per raggiungere più obiettivi, i rifugi artificiali sottosponda hanno di fatto l’unico scopo di migliorare l’ambiente acquatico per la fauna ittica. Ciò premesso si può sostenere che nel caso ci sia disponibilità di materiale e/o di problemi di erosione spondale, è preferibile intervenire realizzando opere che oltre a creare nuovi rifugi, siano in grado di proteggere le rive dall’erosione; in caso contrario è altrettanto efficace e meno costoso realizzare opere come quelle qui considerate.

Interventi collegati: altri interventi di rinaturalizzazione del corso d’acqua e di diversificazione dell’habitat fluviale. Una soluzione molto efficace consiste nella realizzazione di un deflettore a monte del rifugio artificiale che indirizzi la corrente nella direzione di quest’ultimo.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua.

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Consigli per la manutenzione: è consigliabile effettuare una verifica periodica della struttura per verificare che non ceda la pensilina e che vi sia un’adeguata circolazione idrica nella zona del rifugio.

Vita prevista: dipende dal regime idrologico, dal trasporto solido e dalla stabilità della sponda su cui viene realizzata l’opera. Se si utilizzano pali in legno, la vita media dell’opera non supera comunque i 30-40 anni.

ESEMPI DI DIFFERENTI TIPOLOGIE DI RICOVERI SOTTOSPONDA

RICOVERI SOTTOSPONDA GIÀ REALIZZATI

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1166 RRAAMMPPEE IINN PPIIEETTRRAAMMEE

Descrizione: sono opere di sistemazione idraulica che possono essere realizzate sia per dissipare l’energia cinetica dell’acqua e stabilizzare l’alveo in determinate sezioni del corpo idrico, sia per ripristinare la continuità ecologica in corrispondenza di sbarramenti che impediscono gli spostamenti della fauna ittica. Una rampa può essere anche realizzata in alternativa ad una briglia classica: in questo modo si possono ottenere i medesimi risultati con un’opera migliore dal punto di vista visivo e senza interrompere i movimenti dei pesci lungo il corso d’acqua. Le rampe vengono realizzate collocando nell’alveo pietre di diverse dimensioni, creando zone a maggiore turbolenza in cui viene dissipata l’energia della corrente. Nel definire la disposizione dei massi all’interno dell’alveo è necessario verificare che: 1. non vengano innescati processi di erosione spondale; 2. la rampa sia percorribile dalla fauna ittica.

Finalità: il principale obiettivo di queste opere è quello di ridurre localmente la pendenza di un corso d’acqua (e di conseguenza la velocità dell’acqua) e di aumentare la scabrezza dell’alveo; in questo modo si ottiene una riduzione della forza erosiva della corrente a monte e a valle dell’opera. Gli effetti delle rampe in pietrame sono analoghi a quelli delle briglie classiche, ma con il vantaggio che tali opere non costituiscono un ostacolo invalicabile per la fauna ittica.

Campo di impiego: le rampe in pietrame possono essere realizzate in corsi d’acqua di ogni tipo, qualora sia necessario: 1. ridurre l’azione erosiva della corrente; 2. ripristinare la continuità ecologica in corrispondenza di sbarramenti artificiali invalicabili da parte della

fauna ittica.

Materiali impiegati: pietrame di varie dimensioni. Sono necessari sia massi ciclopici di dimensioni variabili in base alle caratteristiche idrauliche del corso d’acqua, sia ghiaia e pietrisco per proteggere il fondo dell’alveo dall’erosione ed evitare fenomeni di scalzamento dei massi. Inoltre, per conferire maggiore stabilità alla struttura può essere necessario utilizzare pali di legno, profilati metallici e funi d’acciaio.

Consigli per la realizzazione e caratteristiche costruttive: la dimensione dei massi deve essere definita in base alle caratteristiche del corso d’acqua: esistono formule empiriche (ad esempio la formula di Whittaker-Jäggi), con le quali è possibile stimare il diametro equivalente dei massi in base alla portata specifica e alla pendenza del corso d’acqua. La disposizione dei massi ciclopici deve essere stabilita in base alle esigenze; i principali parametri da considerare in tale fase sono: dimensioni del corso d’acqua, possibili effetti sull’erodibilità delle sponde, caratteristiche dei pesci presenti ed infine l’entità dell’effetto che si vuole ottenere. In linea generale, si può distinguere tra: rampe con massi collocati in modo irregolare e rampe con massi collocati in modo regolare. Per quanto riguarda la realizzazione dell’opera bisogna procedere da valle verso monte, avendo cura di infilare parzialmente i massi nel fondo dell’alveo e riempire progressivamente con ghiaia e pietrisco gli spazi liberi tra i massi. Se si ritiene sia necessario ancorare i massi, si consiglia di utilizzare una fune d’acciaio di almeno 16 mm di diametro fissata a profilati in acciaio che devono essere infissi nell’alveo per almeno 1,5 – 2 m. Nel caso la rampa venga realizzata in corrispondenza di uno sbarramento già esistente è fondamentale verificare che ci sia un adeguato richiamo idrico a valle dell’opera e realizzare l’imbocco di monte in modo che dalla rampa defluisca una congrua portata idrica anche nei periodi di magra.

Vantaggi e svantaggi: rispetto ad una briglia classica questo tipo di intervento ha il vantaggio di non costituire un ostacolo per gli spostamenti della fauna ittica e di inserirsi meglio nel contesto paesaggistico. I principali svantaggi sono invece rappresentati dalle maggiori incertezze progettuali e al maggiore rischio di danneggiamento in caso di piene straordinarie.

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SCHEMA DI UNA RAMPA IN PIETRAME APPOGGIATAAD UNA SPONDA ARTIFICIALIZZATA

Interventi collegati: interventi di rinaturalizzazione e di sistemazione idraulica. Le rampe in pietrame si collocano bene all’interno di progetti per il miglioramento dell’habitat fluviale -qualora vi siano ostacoli insormontabili per la fauna ittica- e, in alternativa alle briglie, in progetti di sistemazione idraulica in corsi d’acqua con problemi di erosione e di trasporto solido.

Periodo di intervento: periodo di magra del corso d’acqua.

Consigli per la manutenzione: è consigliabile effettuare una verifica periodica della stabilità della struttura e verificare che i massi non vengano spostati; in questi casi c’è infatti il rischio che venga modificata la direzione della corrente innescando processi erosivi indesiderati.

Vita prevista: dipende esclusivamente dalle piene straordinarie che interessano il corso d’acqua: in queste occasioni, infatti, oltre al rischio che la rampa venga distrutta, è possibile che venga modificata la conformazione dell’alveo e che la rampa, pur mantenendosi intatta, perda la sua funzionalità.

SEZIONE DI UNA RAMPA IN PIETRAME CON MASSI DISPOSTI IN MODO

REGOLARE (IN ALTO) E CON MASSI DISPOSTI IRREGIOLARMENTE

(IN BASSO)

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ESEMPI DI RAMPE IN PIETRAME GIÀ REALIZZATE

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1.1.3 Gli interventi in funzione dell’obiettivo da perseguire In questa parte, sulla base delle informazioni riportate nelle schede, si valuta l’efficacia degli

interventi descritti in base agli obiettivi che si desidera ottenere su piccola e su larga scala. Per

le 16 tipologie di intervento proposte, si valuta l’efficacia in funzione dei seguenti obiettivi:

1. protezione e stabilizzazione delle sponde;

22.. controllo del trasporto solido;

3. diversificazione dell’habitat e creazione di rifugi per la fauna ittica;

44.. eliminazione delle discontinuità che impediscono la risalita della fauna ittica.

L’efficacia dei diversi interventi è riportata nella seguente tabella, formulata in base dei

seguenti giudizio:

[n] nessun effetto significativo

[sm] effetti secondari minimi

[ss] effetti secondari significativi

[p] effetti primari

Dife

sa sp

onda

le

Con

trollo

del

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lido

Div

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Elim

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uità

01 Palificata viva p sm ss n 02 Gabbionata e materassi rinverditi p sm sm n 03 Scogliera in massi rinverdita p sm ss n 04 Pennelli e repellenti p sm p n 05 Copertura diffusa con astoni p sm sm n 06 Difesa spondale con tronchi, alberi o ramaglia p sm p n 07 Viminata spondale p n sm n 08 Piantagione di specie legnose p n sm n 09 Piantumazione di canneto ss n ss n 10 Briglie e soglie ss p p n*

11 Deflettori e costrittori ss p p n 12 Introduzione di massi in alveo n* sm p n 13 Semi-tronchi n n p n 14 Barriere per ciarpame n sm p n 15 Ricoveri sottosponda sm n p n 16 Rampe in pietrame sm ss sm p Note: *= possono esserci effetti negativi

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1.2 INTERVENTI PER IL CONTROLLO DELLE ESONDAZIONI

Da sempre gli insediamenti umani collocati in prossimità degli alvei fluviali sono soggetti a

rischi legati alle esondazioni dei corsi d’acqua. Le esondazioni sono fenomeni naturali che si

verificano in occasione di piene straordinarie che non possono essere contenute dall’alveo

fluviale; in queste circostanze il fiume allaga le aree circostanti aumentando la sua capacità di

laminazione fino ad avere una portata compatibile con quella sopportabile dall’alveo di valle.

Ogniqualvolta la portata transitante in una determinata sezione è superiore alla portata massima

che il fiume può contenere in quel tratto si hanno fenomeni di esondazione. Storicamente le

aree golenali sono soggette a questo tipo di fenomeni e la loro urbanizzazione comporta

inevitabilmente rischi associati alle esondazioni.

Tecnicamente, le strategie per la difesa delle aree antropizzate dalle esondazioni sono suddivise

in due categorie:

¶ provvedimenti strutturali: comprendono opere ingegneristiche di varia natura finalizzate

alla riduzione della portata al colmo delle piene in corrispondenza di sezioni fluviali

critiche;

¶ provvedimenti non strutturali: a questa categoria appartengono strumenti legislativi, piani

di sicurezza, discipline amministrative e assicurative, ecc..; è chiaro che tali provvedimenti

devono comunque essere applicati in condizioni in cui si conoscano le aree di esondazione

naturali del corso d’acqua e si possa prevedere con buona approssimazione il rischio

associato e l’entità del fenomeno per diversi tempi di ritorno.

In questo lavoro saranno descritti esclusivamente gli interventi appartenenti alla prima

categoria; in particolare nelle pagine che seguono saranno descritti il funzionamento e i

principali criteri di progettazione di:

1. scolmatori e diversivi

2. casse di espansione

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1.2.1 Scolmatori e diversivi Questo tipo di opere si realizza derivando parte della portata transitante nel corso d’acqua in un

canale alternativo, difendendo così le aree che si trovano a valle del punto di presa.

In particolare si parla di scolmatori quando la portata derivata viene reimmessa nello stesso

corso d’acqua a valle dell’area da proteggere e di diversivi quando invece la portata in eccesso

viene scaricata in un altro corpo idrico in grado di smaltirla in condizioni di piena (Figura 1-1).

Nella progettazione di questo tipo di interventi è fondamentale dimensionare in modo

appropriato l’opera di presa che generalmente viene realizzata con uno stramazzo a soglia fissa

o munito di paratoie mobili; una delle tipologie realizzative più frequenti consiste nel realizzare

l’opera di presa mediante uno stramazzo laterale a soglia fissa con un’altezza tale da

cominciare a funzionare quando il battente idrico supera una determinata altezza.

Questo tipo di opere, poiché sono concepite per funzionare sporadicamente, devono essere

sottoposte a frequenti interventi di pulizia e manutenzione; infatti, poiché il canale può

rimanere asciutto anche per alcuni anni, può essere eccessivamente colonizzato dalla

vegetazione, il che può comprometterne il buon funzionamento.

Figura 1-1: Schematizzazione di scolmatori e diversivi

Area dadifendere

Scolmatore Diversivo

Area dadifendere

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1.2.2 Casse di espansione Le casse di espansione (o di laminazione) sono dei dispositivi che consentono di ridurre le

portate al colmo invasando temporaneamente un volume variabile d’acqua per poi rilasciarlo

durante o dopo l’esaurimento della piena. Il funzionamento è analogo a quello dei bacini di

invaso e, a differenza dei canali scolmatori che riducono l’onda di piena deviandola altrove,

questi dispositivi riducono il picco attraverso un processo di laminazione.

Per poter realizzare questo tipo di manufatto, è necessario disporre di un’area priva di

insediamenti e sufficientemente estesa da essere in grado di contenere il volume d’acqua che si

desidera laminare. È pertanto fondamentale un’accurata progettazione idraulica dell’opera che

presuppone a sua volta una buona conoscenza dell’idrologia locale.

In linea generale, il funzionamento di una vasca di laminazione si basa sulla seguente

equazione differenziale:

qe(t) – qu(t) = dW(t)/dt

dove:

qe(t) rappresenta la portata in ingresso alla vasca all’istante t

qu(t) rappresenta la portata in uscita dalla vasca all’istante t

dW(t)/dt rappresenta la variazione di volume invasato nella vasca nell’intervallo temporale dt

Ipotizzando di conoscere l’andamento temporale della funzione qe(t), per eventi con un

determinato tempo di ritorno, la progettazione della vasca di laminazione consiste nel

“ricostruire” le funzioni qu(t) e W(t) in modo che:

a) il picco della funzione qu(t) non superi un determinato valore di progetto qumax, che

rappresenta la massima portata che può transitare a valle della vasca senza arrecare danni

alla zona che si intende proteggere;

b) la vasca di laminazione abbia dimensioni tali da poter contenere il massimo volume da

invasare, definito dal picco della funzione W(t).

L’andamento delle 3 funzioni in esame, oltre che dalle condizioni idrologiche, dipende

chiaramente dalle caratteristiche idrauliche del corso d’acqua a monte e a valle del manufatto,

dalle caratteristiche geometriche della vasca di laminazione e dal funzionamento del sistema di

scarico della vasca.

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Rappresentando graficamente le tre funzioni in esame si osserva che:

¶ il picco della funzione qu(t) si verifica in corrispondenza dell’intersezione con la funzione

qe(t), il che significa che la portata in uscita dalla vasca è massima nel momento in cui

questa è pari alla portata in ingresso; in pratica fino a questo momento entrambe le curve

crescono e la portata in ingresso è maggiore di quella in uscita (fase di riempimento della

vasca), mentre dopo sia la portata in ingresso che quella in uscita diminuiscono

progressivamente anche se, fino a quando ritornano ad essere uguali, la portata in uscita è

maggiore di quella entrante (fase di svuotamento).

¶ il volume W1, corrispondente all’area compresa tra le due curve fino alla loro intersezione,

corrisponde al volume invasato nella vasca ed è pari al volume W2; integrando le due

funzioni si ottiene l’andamento temporale del volume invasato nella vasca di laminazione.

Figura 1-2: Schematizzazione dell’andamento temporale delle portate in ingresso e in uscita da una vasca di laminazione

Si osserva infine che la forma della curva qe(t) dipende prevalentemente dalle caratteristiche

dell’evento meteorologico e del bacino a monte, mentre la forma della curva qu(t) è funzione

della geometria della cassa di laminazione e del funzionamento dell’organo di regolazione: in

funzione di queste caratteristiche progettuali, la curva può essere più o meno schiacciata e

diversamente sfasata rispetto alla curva qe(t).

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Nella parte relativa alla caratterizzazione idrologica del corso d’acqua (Capitolo Errore.

L'origine riferimento non è stata trovata.), è stata calcolata la portata critica del corso

d’acqua per determinati tempi di ritorno; nel fare questa operazione sono stati scelti gli eventi

di una durata tale da provocare la massima portata istantanea nelle sezioni di interesse: nel caso

specifico sono stati considerati gli eventi con una durata pari al tempo di corrivazione del

bacino rispetto alle sezioni considerate. Nel dimensionare una cassa di espansione, al contrario,

non bisogna fare riferimento a questo tipo di eventi in quanto in questo caso il vincolo non è la

portata massima, bensì il volume idrico che deve essere momentaneamente trattenuto. In

pratica è possibile che, fissato un determinato tempo di ritorno, l’evento critico in base al quale

dimensionare l’opera abbia una portata massima minore di quelle viste nel Capitolo Errore.

L'origine riferimento non è stata trovata., ma una durata maggiore, e quindi il volume da

invasare, che come si è visto corrisponde all’integrazione nel tempo della differenza tra portata

in ingresso e portata in uscita sia maggiore. Guardando l’esempio di Figura 1-3 si osserva che

all’evento “1” corrisponde una portata q1(t) con un picco maggiore e con un volume pari a W0

+ W1; viceversa, all’evento “2” corrisponde una portata di picco minore ed un volume data da

W0 + W2; dall’immagine si vede che l’evento “2”, pur avendo una portata di picco inferiore

interessa un volume idrico assai maggiore.

Figura 1-3: Confronto tra portate e volumi corrispondenti a eventi critici di diversa durata

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Per quanto riguarda infine la progettazione di questo tipo di opere esistono diversi metodi sia

per la valutazione dell’evento critico che per la determinazione delle dimensioni della vasca e

del funzionamento dell’organo di regolazione. In questa sede non vengono descritti i metodi

per il dimensionamento ma ci si limita ad una breve introduzione a queste problematiche.

Il dimensionamento delle vasche di laminazione dipende dal rapporto di laminazione che si

vuole ottenere. Tale parametro è dato dal rapporto Qumax/Qemax e rappresenta di fatto l’entità

dell’abbattimento dell’onda di piena che si vuole ottenere. Un rapporto di laminazione di 0,5

significa ad esempio che la cassa di espansione è in grado di dimezzare la portata di picco.

Una volta note le caratteristiche dell’evento critico (durata e altezza della precipitazione

corrispondente), le caratteristiche idrologiche del bacino e del corso d’acqua (coefficiente di

afflusso e superficie del bacino), è possibile ottenere una stima approssimativa del volume

necessario per l’invaso attraverso la seguente formula:

Sb x hbmax = 1 – m x F x S x h

dove:

Sb = superficie del bacino di laminazione

hbmax = altezza massima invasabile nel bacino di laminazione

m = rapporto di laminazione di progetto

F = coefficiente di afflusso

S = superficie del bacino drenante

h = altezza della precipitazione critica

Infine si ricorda che le casse di espansione possono anche svolgere la funzione di bacini di

sedimentazione: sfruttando il rallentamento della corrente nell’area di espansione, è possibile

predisporre una zona in cui fare sedimentare il materiale trasportato dalla corrente. Con questo

tipo di opere è solitamente possibile ottenere la sedimentazione di sabbia, di ghiaia e di ciottoli,

mentre è difficile trattenere all’interno dei bacini materiale di granulometria inferiore (limo e

argilla). Chiaramente, se la cassa viene utilizzata anche come bacino di sedimentazione, è

indispensabile che l’area sia facilmente accessibile in quanto è necessario effettuare un

dragaggio periodico del materiale sedimentato.