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PAROLA E IMMAGINE (prof. F. Malvezzi) Partiamo da una considerazione che può sembrare ovvia: le teorie dell’immagine sono innanzitutto un discorso sulle immagini. Noi spieghiamo discutiamo sulla natura dell’immagine e sul loro carattere usando il linguaggio, usando le parole. È quindi inevitabile prendere in considerazione il rapporto tra parola e immagine, tra registro verbale e registro visivo. (Pinotti – Somaini pag. 17 ) Il dibattito sul rapporto parola - immagine ancora aperto «non è - afferma Pinotti – che l’ultimo capitolo contemporaneo di una storia molto antica, che getta le sue radici, almeno per quanto la si è potuta datare, nella cultura greca del VI-V secolo, una cultura per la quale scrivere e dipingere era uno stesso verbo: graphein.». Era inevitabile che il rapporto parola (la parola poetica) - immagine visiva fosse inteso come una relazione di somiglianza: la parola del poeta, nel suo rapporto con ciò che enuncia è analoga alla figurazione del pittore, nella sua relazione al modello rappresentato, analoga cioè a un artificio che produce un’immagine somigliante. Il poeta greco Simonide alla fine del VI secolo a. C. aveva affermato che “la parola è l’immagine delle azioni”. Plutarco precisa così ulteriormente questa affermazione: “Simonide definisce la pittura una poesia silenziosa e la poesia una pittura che parla, 1 giacché le azioni che il pittore mostra mentre si producono, le parole le riferiscono e le descrivono quando si siano prodotte” . «Simonide non intende solo sottolineare, tramite questa assimilazione, il carattere artificiale e sapiente del lavoro di combinazione che il poeta compie con le parole, ma anche attribuire al prodotto del proprio canto poetico lo stesso valore di stabilità e di monumentalità, la stessa “realtà” delle opere dello scultore e del pittore». L’oratore Dione Crisostomo nel 97 d. C. pone nella bocca di Fidia queste parole: “Per i poeti è facilissimo includere nella loro poesia molte forme e disposizioni di ogni genere, aggiungendo a esse movimenti e soste, a seconda che essi lo ritengano conveniente in quel dato momento, e azioni e discorsi, e hanno, penso, ulteriore vantaggio, quanto alla difficoltà e quanto al tempo” Il testo che, frainteso, ha influito su tutta la questione è l’ Ars poetica di Orazio dove troviamo la famosa espressione ut pictura poesis. «Quel che in Orazio esprimeva un semplice parallelismo – vi sono dipinti e poesie che si comportano similmente nel momento in cui li si fruisce, a distanza più o meno ravvicinata, a seconda dell’acribia critica, a seconda di quante volte ci accostiamo a essi - venne proprio a causa della sua vaghezza, presto inteso (e frainteso) nei modi più vari, e innanzitutto come una prescrizione: ut pictura poesis. Cioè si faccia in modo che col dire si veda, che la poesia sia come una pittura, la si renda capace di evocare immagini e di presentare vividamente dinanzi agli occhi del lettore la scena rappresentata come se questi la stesse effettivamente guardando in un quadro» (Pinotti) Dall’analogia alla contesa Nel dibattito rinascimentale dal paragone (ut pictura poesis) si passa poi al confronto tra le due arti e alla contesa intorno alla superiorità da attribuire all’una o all’altra. Possiamo citare come esempio Leonardo, che sostiene l’indiscutibile superiorità della pittura. «Il poeta è superato dal pittore “con infinita proporzione di potenza” che riposa nella più diretta imitazione della natura [...] L’antica tradizione aneddotica dell’illusionismo pittorico si rianima nell’arringa leonardesca con iniezioni di teoria della conoscenza, relativamente alla diversa presa che ha la percezione dell’immagine a 1 Leonardo, sostenendo la superiorità della pittura sulla parola, dirà: “La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca”. 1

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PAROLA E IMMAGINE(prof. F. Malvezzi)

Partiamo da una considerazione che può sembrare ovvia: le teorie dell’immagine sonoinnanzitutto un discorso sulle immagini. Noi spieghiamo discutiamo sulla natura dell’immagine esul loro carattere usando il linguaggio, usando le parole. È quindi inevitabile prendere inconsiderazione il rapporto tra parola e immagine, tra registro verbale e registro visivo.(Pinotti – Somaini pag. 17 )

Il dibattito sul rapporto parola - immagine ancora aperto «non è - afferma Pinotti – chel’ultimo capitolo contemporaneo di una storia molto antica, che getta le sue radici, almeno perquanto la si è potuta datare, nella cultura greca del VI-V secolo, una cultura per la quale scrivere edipingere era uno stesso verbo: graphein.». Era inevitabile che il rapporto parola (la parola poetica)- immagine visiva fosse inteso come una relazione di somiglianza: la parola del poeta, nel suorapporto con ciò che enuncia è analoga alla figurazione del pittore, nella sua relazione al modellorappresentato, analoga cioè a un artificio che produce un’immagine somigliante. Il poeta grecoSimonide alla fine del VI secolo a. C. aveva affermato che “la parola è l’immagine delle azioni”.Plutarco precisa così ulteriormente questa affermazione: “Simonide definisce la pittura una poesiasilenziosa e la poesia una pittura che parla,1 giacché le azioni che il pittore mostra mentre siproducono, le parole le riferiscono e le descrivono quando si siano prodotte” . «Simonide nonintende solo sottolineare, tramite questa assimilazione, il carattere artificiale e sapiente del lavoro dicombinazione che il poeta compie con le parole, ma anche attribuire al prodotto del proprio cantopoetico lo stesso valore di stabilità e di monumentalità, la stessa “realtà” delle opere dello scultore edel pittore». L’oratore Dione Crisostomo nel 97 d. C. pone nella bocca di Fidia queste parole: “Per ipoeti è facilissimo includere nella loro poesia molte forme e disposizioni di ogni genere,aggiungendo a esse movimenti e soste, a seconda che essi lo ritengano conveniente in quel datomomento, e azioni e discorsi, e hanno, penso, ulteriore vantaggio, quanto alla difficoltà e quanto altempo”Il testo che, frainteso, ha influito su tutta la questione è l’Ars poetica di Orazio dove troviamo lafamosa espressione ut pictura poesis. «Quel che in Orazio esprimeva un semplice parallelismo – visono dipinti e poesie che si comportano similmente nel momento in cui li si fruisce, a distanza più omeno ravvicinata, a seconda dell’acribia critica, a seconda di quante volte ci accostiamo a essi -venne proprio a causa della sua vaghezza, presto inteso (e frainteso) nei modi più vari, einnanzitutto come una prescrizione: ut pictura poesis. Cioè si faccia in modo che col dire si veda,che la poesia sia come una pittura, la si renda capace di evocare immagini e di presentarevividamente dinanzi agli occhi del lettore la scena rappresentata come se questi la stesseeffettivamente guardando in un quadro» (Pinotti)

Dall’analogia alla contesa

Nel dibattito rinascimentale dal paragone (ut pictura poesis) si passa poi al confronto tra le due artie alla contesa intorno alla superiorità da attribuire all’una o all’altra. Possiamo citare come esempioLeonardo, che sostiene l’indiscutibile superiorità della pittura. «Il poeta è superato dal pittore “coninfinita proporzione di potenza” che riposa nella più diretta imitazione della natura [...] L’anticatradizione aneddotica dell’illusionismo pittorico si rianima nell’arringa leonardesca con iniezioni diteoria della conoscenza, relativamente alla diversa presa che ha la percezione dell’immagine a

1 Leonardo, sostenendo la superiorità della pittura sulla parola, dirà: “La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca”.

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quella della parola sull’immaginazione e sulla memoria. La proporzione è la stessa che passa traun’ombra e il corpo che la proietta» (Pinotti). Ma la perentoria presa di posizione di Leonardo non ha potuto mettere fine alla questione che hasaputo sopravvivere adattandosi alle varie posizioni ideologiche nel corso del tempo. Nel SettecentoDu Bos afferma che la pittura ha maggior capacità di appassionare rispetto alla poesia. Lasuperiorità della pittura sulla poesia è spiegabile con due motivi: “il primo è che la pittura agisce sudi noi per il senso della vista. Il secondo è che la pittura non si serve di segni artificiali, come lapoesia, bensì di segni naturali”Edmund Burke invece sostiene che una descrizione verbale può suscitare emozioni più intense diquelle che può suscitare la pittura.

Dalla contesa alla descrizione dei caratteri specifici due forme espressive

Nel Settecento, già anticipato da Diderot, il grande illuminista Gotthod Ephraim Lessing (1729-1781) abbandona il terreno della contesa e mette in evidenza le peculiarità semiotiche delle due articollegandole alla distinzione spazio-tempo: «la pittura, come pure la poesia, si avvale di vari segni:i segni caratteristici della pittura sono le figure e i colori nello spazio, i segni della poesia sonosuoni articolati nel tempo. I segni della pittura sono naturali, i suoni della poesia sono arbitrari». Lapittura rappresenta “oggetti che esistono uno accanto all’altro”, insomma “corpi con le loroproprietà visibili”, la seconda”oggetti che seguono uno dopo l’altro, o le cui parti seguono una dopol’altra, insomma “azioni”.

Immagine letteraria e immagine visiva

Wunenburger (in Filosofia delle immagini, Einaudi, 1999) affronta il problema del rapportotra parola e immagine visiva osservando che dal punto di vista etimologico il termine immagine èstrettamente legato alla rappresentazione visiva, ma nell’uso è anche applicabile allerappresentazioni verbali (pensiamo ad esempio alla natura della metafora). L’immagine letterariagemella dell’immagine visiva, con una procedura analogica rientra nella categoria delle immagini.Tuttavia le esperienze mentali dell’immagine letteraria e dell’immagine visiva sono eterogenee,perché comportano esperienze mentali eterogenee. Infatti «L’esperienza scopica dell’occhio, -afferma Wunenburger - -fonte per noi di rappresentazioni analogiche degli oggetti, e l’esperienzadella verbalizzazione, legata costituzionalmente alla voce e sostitutiva del reale attraverso i segniconvenzionali e astratti della lingua, costituiscono, in effetti, due registri differenziati diinformazione e di espressione dell’uomo»: occhio – voce; ottico –verbale . Ci si chiede, continuaWunenburger, 1) se questi due sistemi neurobiopsicologici di formazione delle immagini sono in congiunzione oin opposizione logica 2) se l’immaginario al quale essi danno origine sia mentale sia materiale puòessere unificato oppure provoca una sorta di clivaggio2 logico e ontologico insuperabile.Inoltre si tratta di determinare se l’attività rappresentativa dello spirito ha per fondamento lafunzione descrittiva operante per mezzo di proposizioni linguistiche o «presuppone una dualitàirriducibile tra rappresentazione logico linguistica, di tipo funzionale, e rappresentazione“pittorialista” di tipo analogico fondata sull’intuizione sensoriale della cosa» Molti indizi farebbero pensare a una netta opposizione tra i due registri, Franzini afferma che«L’immagine - visiva, tattile, mentale – possiede un’immediatezza estetica irriducibile a specifici

2 clivaggio dal francese clivage propriamente “sfaldare i diamanti o i cristalli”, dall’olandese klieven “l’arte del tagliare i diamanti”. In seguito il termine è usato per indicare la naturale tendenza di due strutture a separarsi per la presenza di un’interfaccia fra due materiali diversi. In altre parole, la tendenza a sfaldarsi o a rompersi di due determinati piani(Nel senso generale del termine, un'interfaccia è il punto, l'area o la superficie sulla quale due entità qualitativamente differenti si incontrano; la parola è anche utilizzata in senso metaforico per rappresentare la giuntura tra oggetti). Qui il termine sta ad indicare una frattura tra due piani strutturalmente differenti; il piano dell’espressione verbale e quello dell’immagine visiva.

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strumenti segnico – linguistici» L’esperienza visiva può essere considerata inizialmente privilegiata rispetto a quella verbale perchéa parte il caso dell’immagine illustrativa destinata al riconoscimento di un oggetto, ci mette inpresenza direttamente della cosa senza la necessità di qualsiasi tipo di mediazione «Proprio come fala pittura non figurativa, che ci consente di rapportarci a un’immagine il cui contenuto si proponeallo sguardo attraverso una serie di eventi psichici, senza previo riconoscimento dell’oggettorappresentato o sua eventuale identificazione con un nome. Al contrario l’immagine linguistica,anche quella trasfigurata nella metafora o nel simbolo, ci pone in presenza di un segno, che si tienea distanza dall’apparizione sensibile e ne media l’effetto. Nessuna trascrizione linguistica, in realtà,può misurarsi con l’estasi percettiva [...] La visione colloca il soggetto in una posizione privilegiata, di veduta panoramica e sinottica, in cuitutto si offre, almeno al primo sguardo, istantaneamente e immediatamente, mentre l’immaginelinguistica rimane subordinata alla linearità del discorso, alla temporalità del segno: di qui laricchezza sensoriale ed emozionale della veduta, che scaturisce dalla rappresentazione – e non dauna trascrizione astratta e funzionale – dell’essere stesso del mondo (forme, colori, ritmi). Lavisione, nella sua globalità, coinvolge quindi il soggetto molto più intensamente dellaverbalizzazione, che necessita di un apprendistato, di una scoperta progressiva, e implica unainibizione del pathos3». Queste considerazioni ci conducono alla filosofia di Husserl che assegnaall’immagine un ruolo determinante nel processo cognitivo. Bisogna però subito precisare che da una parte l’espressione linguistica ci rende più distantidall’immediata presenza del mondo perché interviene, per così, dire il filtro dei segni linguisticiarbitrari, costituiti in un sistema indipendente dalla realtà; dall’altra «si manifesta con un uso piùsfumato e più universale rispetto alla semplice rappresentazione analogica percettiva (figura,disegno, mimema, ecc.). Questa si trova, infatti, limitata dalla sua dipendenza dalla luce, naturale eartificiale, mentre la parola, malgrado le costrizione del verbale, si apre a una maggioreindipendenza, di qui la sua efficacia notturna. L’occhio imprigiona anche lo sguardo in una cornicechiusa, mentre l’ascolto libera lo spirito dalle stimolazioni troppo particolari e accresce in tal sensola libertà in rapporto all’ambiente o sguardo». Wunenburger a questo proposito ricorda l’illimitatapossibilità dell’espressione linguistica, fondata sulla “doppia articolazione”. In questa prospettiva la creatività linguistica indefinita si opporrebbe alla relativa immobilità epovertà della rappresentazione visiva, delimitata dalla sua spazialità. Inoltre il senso multivoco dellaparola offre un vantaggio al senso apparentemente univoco delle immagini materializzate.«Insomma, la verbalizzazione poetica per la sua intrinseca disomogeneità consente, come hasostenuto Bachelard, di rivitalizzare lo spirito e alimentare uno slancio generatore di immagininuove». A questo proposito, riferendoci ai testi letterari, possiamo aggiungere che nel discorso verbale siannida una ricchezza inesauribile di significati e la linearità, caratteristica del discorso verbale, dàluogo a un complesso intrico di significati. «Nelle arti figurative, al contrario abbiamo un discorso non verbale e non lineare irradiato da unmanufatto bi o tridimensionale (pittura su parete o su tela, scultura ecc.), pur esso sostanzialmentenon verbale (anche se può contenere qualche volta scritte che fanno parte del messaggio) Resta tuttavia la capacità delle immagini di dare corpo a sensazioni ed emozioni che è difficileesprimere verbalmente. Come suggerisce Segre «Si eviti l’errore di considerare la parola comeaspetto terminale di ogni esperienza. È vero che un’opera letteraria viene parafrasata mentalmentedal lettore, nella cui memoria rimarrà soprattutto come parafrasi. Però rimane anche una memoria diforme, di proporzioni, di colori, visti o immaginati: rimane il gesto, che spesso racchiude tutto ilsenso di un evento».E qui tornerebbe interessante approfondire il discorso sul linguaggio “figurato” ossia sulle lemetafore che comunicano sensazioni che l’articolazione razionale del discorso non è in grado didescrivere.

3 In realtà si dovrebbe precisare ‘immediatezza del pathos”, perché tale reazione emotiva è suscitata anche dall’espressione linguistica seppure con modalità diverse.

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Possiamo concludere che il confronto non deve avere come scopo quello di privilegiare una formadi espressione sull’altra. Il confronto deve permettere di approfondire i caratteri specificidell’immagine visiva e di quella linguistica.

La problematica del rapporto tra parola e immagine si pone nei termini da un lato «della irriducibilepeculiarità del visivo, che non può essere tradotto in un altro codice senza perdereirrimediabilmente ciò che costituisce la sua natur figurale,e, dall’altro la nostra ineludibile esigenzadi leggerlo, di interpretarlo, di contestualizzarlo, di dirlo: immagine e parola» (Pinotti – Somaini)

PAROLA E IMMAGINE NEI QUADRI DI MAGRITTE

Il filosofo Michel Foucault in un saggio intitolato Questo non è una pipa, riflette sugli sconcertanti effetti dei quadri di Magritte: Il tradimento delle immagini (Ceci n'est pas une pipe )(1928) e I due misteri (1966). Il quadro del 1926 è di una disarmante semplicità: una pipa disegnata a mano e sotto di essa una scritta che sembra smentire la natura del l'oggetto disegnato : questa non è una pipa. Nella versione I due misteri la situazione si fa più complessa. Testo e figura sono collocati all'interno di una cornice appoggiata su un cavalletto. Il quadro ha l'aspetto di una lavagna. “forse un colpo di spugna cancellerà presto il disegno e il testo oppure cancellerà soltanto l'uno o l'altro percorreggere l' “errore” (disegnare qualcosa che non sarà veramente una pipa, o scrivere una frase cheaffermi che si tratta proprio di una pipa)” Al di sopra è rappresentata una pipa simile a quella nella cornice ma più grande. Questo raddoppiamento crea ulteriore disorientamento. Le possibili interpretazioni sono: 1) Ci sono due pipe,o, meglio, due disegni di una stessa pipa, uno più grande, uno più piccolo. 2) una pipa “reale” (la grande) e il suo disegno su una lavagna 3) due disegni ohe rappresentano ciascuno una pipa diversa 4) due disegni dei quali uno solo rappresenta la pipa 5) duedisegni che non rappresentano affatto, né l'uno né l'altro, alcuna pipa. Nessuna di queste spiegazioni, però, è convincente. Conviene allora concentrarsi sulla frase. Ma cosa significa propriamente l'enunciato questa non è una pipa?. Possibili spiegazioni: 1) La vera pipa non è quellapiccola, ma quella grande 2) l'enunciato si riferisce a quella grande che sta sospesa nell'aria e si tratta di una idea di pipa, esprimerebbe la verità dell'oggetto pipa (viene in mente l'idea platonica che sta nell'iperuranio) . Si noti che la pipa grande è un pezzo unico (non ha il bocchino separato dalfornello) quasi a suggerire il carattere ideale della di quella rappresentazione. . In questo caso la pipa grande sarebbe da contrapporre alla instabilità della pipa piccola. Quella piccola infatti è su un cavalletto che potrebbe cadere e mandare in frantumi tutto, mentre quella grande è collocata in un'altra dimensione, si trova in un luogo radicalmente altro dove non esiste un sopra e un sotto e la pipa non può cadere. . rispetto a quella piccola la pipa grande è stabile nella sicura fissità dell'idea. Ma rifacciamoci alla versione più semplice: una pipa e una scritta. Come se si trattasse di una pagina di un manuale di botanica: una figura e un testo che le attribuisce un nome. Ma la scritta contraddice l'immagine. Tuttavia secondo la logica non si tratta di una contraddizione perché secondo la logica, la contraddizione si verifica quando due enunciati o proposizioni o affermazioni sono contrastanti (es. questa è una pipa - questa non è una pipa. (secondo appunto il principio di non contraddizione.) Qui – osserva Faucault c'è solo un enunciato. Siamo quindi sul terreno dell'opposizione verità/falsità. In questo caso la frase è semplicemente falsa. La frase non corrisponde a ciò che vediamo sul quadro. Oppure è vero tutto il contrario: l'enunciato è vero perchéil disegno che rappresenta una pipa non è a sua volta una pipa: non è una pipa reale, che si tiene in mano e che si fuma4. Eppure quello che vediamo non è un vitello, un quadrato o un fiore. (si potrebbe dire che la dizione esatta che ci aspetterebbe sia: questa non è una pipa ma la

4 Magritte a questo proposito ha precisato: “La famosa pipa...M i è stata rimproverata! E tuttavia.. Potete riempirla la mia pipa? No, vero? Non è altro che una rappresentazione. Quindi, se avessi scritto sul mio quadro: ''questa è una pipa' avrei mentito” (1966)

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rappresentazione di una pipa). A questo punto il problema sembra insolubile: da un lato siamo costretti a mettere in relazione le parole con l'immagine. Dall'altro le categorie con cui poteremmo interpretare questa non-coincidenza tra immagine e parola (contraddizione o falsità) non sembrano in grado di dare un contributo decisivo. Foucault ritiene che bisogna supporre un'operazione preliminare di Magritte di cui nel quadro vengono riportati i singoli pezzi separati “Questa operazione preliminare sarebbe un calligramma costruito segretamente da Magritte e poi disfatto.....Credo necessario supporre che fosse strato formato un calligramma, che poi si è decomposto. Lì ne abbiamo la constatazione del fallimento e i frammenti ironici”“Un calligramma è una scrittura che ha il compito di compensare l'alfabeto con l'immagine, di ripetere senza far ricorso alla retorica, di intrappolare le cose con una doppia grafia (il testo e la figura). E' una forma di tautologia che per un verso alfabetizza l'ideogramma - simbolo grafico che rappresenta un concetto e non un valore fonetico -e per un altro pittoricizza la scrittura fonetica”: ripete due volte la stessa cosa, il medesimo significato, ma con mezzi differenti (Pinotti).

In questo modo il calligramma secondo Magritte, si permette di cancellare per gioco le più antiche opposizioni della nostra civiltà alfabetica:

mostrare – nominareimitare – significareguardare – leggere I segni che compongono il calligramma funzionano come linee che designano al cosa stessa di cui parlano, viceversa le parole fissano in un discorso stabile, organizzato in una rete di significati, quello che i segni disposti in un certo modo evocano. La “cosa “ è così catturata “in una doppia trappola”: i segni linguistici e l'immagine. Il calligramma fonde insieme, senza però confonderle, immagine e parola

“Ma il calligramma non dice e non rappresenta mai nello stesso momento. Quella stessa cosa che sivede e sì legge è taciuta nella visione, nascosta nella lettura”. Se ci concentriamo sul testo l'immagine sfugge, viceversa se ci concentriamo sull'immagine il testo scritto non è considerato. Siveda a questo proposito il calligramma di Apollinaire.

Se tale è la caratteristica del calligramma, Questo non è una pipa è un calligramma dissolto. Si è notato che la grafia richiama un testo scolastico, ma si potrebbe osservare che la forma tondeggiante del corsivo riflette le linee della pipa. Si potrebbe notare a questo proposito che il corsivo con le lettere arrotondate riflette le linee della pipa. (Magritte ha scelto una pipa con la testail cannello e il bocchino ricurvi: ricorda la forma della pipa del calligramma ma è più una pipa.

Resta il problema della negazione.

Forse si può cercare una spiegazione nel “tipo di indagine avviata dal surrealismo che sposta l'asse del rapporto tra parola e immagine dal piano della 'espressione (fonica e/grafica) al piano della forma del contenuto. Il problema5, infatti, non è più tanto quello di capire in che modo la scrittura possa farsi immagine o, viceversa, in che modo l'immagine possa diventare essa stessa una forma di scrittura, quanto piuttosto quello di capire quali sono le regole secondo le quali segno verbale e segno iconico si rapportano alla realtà. È insomma il problema semantico del referente e delle sue possibili relazioni con il sistema linguistico […] Magritte svolge il tema dell'arbitrarietà e della convenzionalità del sistema linguistico rispetto all'oggetto rappresentato e/o al significato della parola

Una parola non serve che a designare se stessa, .

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Guillaume Apollinaire, Poèmes épistolaires

Il pleut des voix de femmes comme si ellesétaient mortes même dans le souvenirC’est vous aussi qu’il pleut, merveilleusesrencontres de ma vie. ô gouttelettes!Et ces nuages cabrés se prennent à hennirtout un univers de villes auriculairesÉcoute s’il pleut tandis que le regretet le dédain pleurent une ancienne musiqueÉcoute tomber les liens qui teretiennent en haut et en bas.

Piovono voci di donne come fossero morte nel ricordo anche voi piovete meravigliosi incontri dellamia vita oh goccioline! E quelle nuvole impennate incominciano a nitrire un intero universo di cittàauricolari. Ascolta se piove mentre il rimpianto e lo sdegno piangono una vecchia musica ascolta cadere i legami che ti tengono in alto e in basso.

In un altro calligramma ad un disegno uguale (le strisce di pioggia ) corrisponde un diverso testo: ricorrendo ala terminologica linguistica si potrebbe dire che ad un stesso significante (le strisce di pioggia) possano corrispondere diversi significati .

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Piove lentamente. Fa freddo. Passano delle raffiche che vengono da Cevennes. Il mio cuore si spezza pensando ai miei amici che soffrono per affrettare la vittoria. Piove la porta d'Augusto aprela bocca come per l'ultimo sospiro. Piove e io piango sui miei amici che la pioggia incatena all'infinito.

O pioggia, o bella pioggia d'acciaio. Cambiami in una corona infinita per i miei amici. Corona i miei amici vincitori e cambiati, o pioggia di ferro in raggi d'oro. Risplendete , fanfare, Al bel sole vittorioso, che ora diverrà la triste pioggia

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Il rapporto spazio tempo .

Soffermiamoci sul rapporto tra opera letteraria e immagini pittoriche, riprendendo le distinzioniindividuate da Lessing.Secondo Lessing, come si è visto, la pittura si esplicherebbe nella spazialità, la letteratura nellatemporalità. La pittura usa figure e colori nello spazio, la letteratura suoni articolati nel tempo: laprima rappresenta oggetti che esistono uno accanto all’altro, insomma corpi con le loro proprietàvisibili, la seconda oggetti che seguono uno dopo l’altro, o le cui parti seguono una dopo l’altra,insomma azioni. In generale questa opposizione è validissima. Tuttavia si può parlare di temporalità, o meglio di diversi tipi di temporalità, anche per arti visive. «Una prima temporalità è quella fissata nell’opera. In apparenza l’artista fotografa un istante che haisolato un momento continuo. Anche se prescindiamo, ovviamente, da tutto il “racconto” cheprecede (se un uomo ha in mano una spada, l’avrà prima tratta dal fodero, e prima ancora avràreagito, impugnano la spada, a stimoli od ordini), il momento fissato, come un fotogramma, fa partedi un’infinita gamma di possibilità: una spada può trovarsi all’inizio o alla fine o in una faseintermedia della sua traiettoria; il volto di chi la impugna, o di quello che ne è bersaglio,, puòrappresentare uno fra i molti momenti della furia aggressiva (del primo) e del dolore, disperazione,sopportazione, ecc. (del secondo). Lo spettatore avverte, sotto l’immobilità, un segmento di tempo edi movimento. Abbiamo insomma a che fare con una temporalità a corto raggio (quella deimovimenti) e una a lungo raggio (quella riferibile a conoscenze storiche e a una possibile teoria deipiani d’azione)6.La temporalità dell’opera può poi prolungarsi mediante l’inserimento di una figurazione entro altre(cfr. L’icona della decollazione di San Giovanni), relative a momenti anteriori o successivi di unastoria». Ci sono poi rappresentazioni in serie «come quando abbiamo riquadri successivi che,dividendola in fasi, narrano un’impresa o una vita intera».

Va ricordata, inoltre, una temporalità legata alla fruizione, che è altrettanto spaziale che temporale. «Per costruire, attraverso una serie di appercezioni organizzate, una rappresentazione mentale delgesto visivo, il tempo è elemento indispensabile. Il nostro occhio continua a percorrere il testovisivo, e la mente totalizza e riordina i risultati di questa esplorazione» - Va comunque precisato chesu questo piano che « la differenza tra la comunicazione poetica e quella visiva resta netta non solosulla base dell’elemento spazio, ma su quella dell’elemento tempo. Il tempo dell’appercezionepoetica è un tempo lineare, in cui anteriorità e posteriorità sono predeterminati dal modo come ildiscorso è formulato. Viceversa l’uso del tempo nell’appercezione visiva, è affidato completamenteal fruitore, che sceglie ogni volta i suoi percorsi»

Un caso interessante di rappresentazione della temporalità è quello dell’icona della natività,in cui si possono facilmente individuare vari momenti precedenti e successivi all’evento dellanascita. Potremmo dire che questa icona è un testo narrativo in cui la temporalità di un “prima” e diun “dopo” (a differenza della linearità unidirezionali del testo scritto) è espressa su direttrici spazialiche convergono sulla scena centrale. I dubbi di in Giuseppe nella narrazione del vangeloappartengono ad un “prima” (quando scopre che Maria è incinta). I Magi sono ancora cammino, ledonne stanno preparando il bagno per il bambino. Inoltre gli eventi successivi alla nascita, centralinella storia della salvezza, sono rappresentati medianti simboli. Il bambino è adagiato in una culla-sepolcro che allude alla sua morte. La caverna evoca la discesa negli inferi di Cristo risorto.

6 «I piani d’azione dono quelli secondo il cui modello le azioni narrate o rappresentate berrebbero compiute nella realtà. Se si parla, per esempio, di una visita in una città lontana, gli accenni la viaggio, ai mezzi di comunicazione, alle azioni preparatorie e così via saranno riportati dal fruitore al relativo piano d’azione e facilmente compresi. Ogni azione è dunque percepita con il pacchetto di azioni sussidiarie che laprecedono»

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Alla temporalità è legata la rappresentazione del movimento sempre presente, nonostante che ilquadro sia fisso, bloccato. Attraverso il movimento noi individuiamo già una temporalità, cioè«siamo in grado di capire qual era la posizione iniziale e quale sarebbe quella finale di unmovimento di cui ci si rappresenta una fase intermedia (Segre)

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La decollazione di Giovanni Battista

Decollazione di San Giovanni Battista Scuola del Nord, Russia XV

In questa icona la temporalità, il momento successivo al colpo di spada che si staabbattendo sul collo di Giovanni è espresso mediante l’inserimento della figurazionedella testa mozzata, che spicca sul fondo nero dell’ingresso di una caverna (la faucidell’abisso ). Nell’icona si vuol significare anche quello che succederà a Giovannidopo la morte. Egli non precipiterà negli inferi dai quali la testa è nettamente separatadall’aureola. Si noti che l’aureola del battista morto rispetto a quella del vivo ha inpiù un anello rosso e uno d’oro. L’anello rosso è il simbolo del sacrificio, quellod’oro indica che ora il Battista godrà della vicinanza di Dio. Notiamo, per richiamare quanto è già stato detto sulle icone, che la testa mozzata nonha nulla di macabro. L’atto cruento è smaterializzato dalla luce propria che immergela scena in un’atmosfera di intensa spiritualità.

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La temporalità nelle immagini dell’Annunciazione

Si è detto che i casi più evidenti di evocazione della temporalità sono quelli diaffreschi o tele in cui vengono affiancati momenti successivi di un’azione. Ci sonocasi più raffinati in cui il pittore evoca la temporalità in un’unica rappresentazione,come nella rappresentazione dell’annunciazione. In particolare l’annunciazione offreun repertorio che contiene: sovrapposizione temporale, estensione della simultaneità,allusione a movimenti precedenti. Segre propone un esempio di analisi dellatemporalità in alcuni dipinti dell’Annunciazione. Essa è narrataparticolareggiatamente in Luca (I, 26-38) Vi si possono cogliere momenti successiviben distinti:

1) Arrivo dell’angelo e saluto (Ave gratia plena Ti saluto piena di grazia) )2) Turbamento di Maria che rimane cogitabonda3) Annuncio della prossima maternità (Ecce concipies Ecco concepirai)4) Obiezione di Maria (Quomodo fiet istud Come accadrà questo?)5) Spiegazione dell’angelo (lo Spirito Santo verrà sopra di te)6) Disponibilità di Maria (Ecce ancilla domini Ecco l’ancella del Signore)

Nelle versioni figurative si condensano sempre vari movimenti: l’Angelo èrappresentato al suo arrivo; ma talora sono rappresentati in parte, mediante filatteri, idiscorsi qui accennati , condensando una successione abbastanza ampia.Così van Eyck riporta sia (dunque 1-6) - la seconda frase con lettere capovolte, ocosìda essere leggibile da destra a sinistra, puntando verso l’angelo. Del resto è evidenteche, fermo testando il momento 1, va almeno operata una scelta tra il momento 2(Maria sorpresa e pensosa) e il momento 6 (Maria pronta a obbedire). E poi, sonopossibili formule più complesse, quando l'Angelo, che è nell'atto di arrivare (1),pronuncia già l'annuncio (3), o persino la spiegazione (5); così come Maria può peresempio portare ì segni della sorpresa (2), ma evidenziare anche la sua obbedienza(6). La spiegazione (5) è spesso già concretizzata dalla presenza, in alto, di Dio padreo dello Spirito Santo.

Esaminiamo qualcuna delle più note Annunciazionii: Simone Martini e LippoMemmi (Fírenze, Uffizi, 1333); Ambrogio Lorenzettì (Pinacoteca Nazionale di Siena,1344); Leonardo da Vinci (Firenze, Uffizi, 1475 c.); Lorenzo Lotto (PinacotecaCivica di Recanati, 1525-1530)..

In Simone Martini e Lippo Memmi, come in Leonardo, come nel Lotto, abbiamoMaria turbata, cioè 1 e 2, mentre in Ambrogio Lorenzetti Maria è rappresentatadisponibile (1-6). Le due attitudini di Maria (2 o 6) sono codificate con gesti precisi:mani semisollevate a palme aperte per la sorpresa, mani incrociate al petto per ladisponibilità. Simone Martini, per la sorpresa, immagina il gesto elegantissimo dichiudere con la mano il manto, verginalmente, e di girarsi quasi sul fianco, a difesa,mentre nel Lorenzetti (1 -6) la sorpresa ha il suo correlato oggettivo nel libro ancoraaperto sulle ginocchia.In Martini e nel Lotto c'è anche l'apparizione di Dio padre o dello Spirito Santo (1 -2

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-5). Poi s'incontrano le varianti, talora geniali, come quella appunto di Lorenzo Lotto,che riflette anche sul gatto il turbamento, anzi lo spavento, di Maria, accentuato dalfatto che l'Angelo sopravviene dal dietro, non visto, quasi accennando uninseguimento. Sull'alternativa tra i due atteggiamenti della Vergine, vale la pena diricordare il caso dell'Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti nella cappella di SanGalgano a Montesiepi, dove la sinopia mostra che il pittore aveva previsto unaVergine sorpresa o spaventata, e poi, forse per volontà del committente, le sostituìcon una Vergine che accetta umilmente la missione divina.La rappresentazione del movimento è soggetta a interessanti variazioni, specialmentein quanto attiene all'Angelo annunziante. Sintomatici gli angeli del Maestro di SanMiniato e del Beato Angelico, ancora con il piede o il lembo della veste fuori delporticato che simula la chiusura dell'ambiente casalingo. L'angelo, che spesso stainginocchiandosi appena arrivato, altre volte vola ancora in alto, e ha appena avviato imovimenti per planare (Carlo Braccesco).

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Carlo Braccesco, Annunciazione

Ambrogio Lorenzetti, Annunciazione

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Leonardo da Vinci, Annunciazione

Jan van Eyck, Annunciazione

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Simone Martini e Lippo Memmi, Annunciazione

Maestro di San Miniato, Annunciazione

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IL SEGNO

Le parole che noi usiamo nei nostri atti comunicativi sono dette “segni”. In generale il segno è “qualcosa che sta per qualcos’altro (e serve a comunicare)”. Il segno in questa accezione è qualunque manifestazione che noi percepiamo e che assume valorenon per se stessa, ma in quanto è manifestazione di qualche altra cosa. Tra la manifestazione e lacosa si stabilisce una connessione più o meno immediata e convenzionale. Esistono vari tipi di segni variamente definiti da diversi studiosi. La scienza che studia i varisistemi di segni è la semiologia. Prima di analizzare il segno linguistico, anticipiamo una possibile classificazione di segni basata sulcriterio della convenzionalità e dell’intenzionalità. Convenzionale, come vedremo, significa chenon c’è un legame naturale tra il segno e la cosa cui il segno si riferisce; intenzionale significa chela rappresentazione veicolata dal segno non è casuale: il segno è prodotto con la volontà dicomunicare (trasmettere) un’informazione.

Indici: (sintomi) motivati naturalmente / non intenzionali. In questi segni c’è un rapporto dicontiguità naturale con l’oggetto o un rapporto di causa – effetto: il rossore del viso è il segno di‘sentimento di vergogna’. Le orme sulla neve sono il segno del passaggio di un animale. Labanderuola indica la direzione del vento.

Segnali: motivati naturalmente / usati intenzionalmente.fuoco acceso con fumo = segnalo la mia presenzasegnali stradali: cunetta a dosso

Icone: motivati analogicamente / intenzionaliLe icone sono segni che presentano qualche somiglianza o affinità formale con l’oggetto dadenotare e sono basati sulla similarità di forma e struttura. Si può anche dire che riproducono anchein forme stilizzate le proprietà di un oggetto Es. le carte geografiche, le mappe, i diagrammi. Le curve statistiche iconizzano l’aumento o la diminuzione di certe quantità. Rientrano in questo ambito le onomatopee. Anche certe espressioni linguistiche assumono un valoreiconico: es. l’espressione veni, vidi, vici (venni, vidi, vinsi) con cui Cesare sintetizza una suafulminea vittoria bellica, rappresenta iconicamente la rapidità dell’azione.

Simboli: motivati culturalmente / intenzionali. La croce, l’agnello e il pesce sono simboli di Cristo.La croce è propriamente simbolo della sua sofferenza, l’agnello simbolo del suo sacrificio. Il pescein lingua greca è l’acrostico7 di Gesù Cristo figlio di Dio, salvatore. La palma è simbolo del martirio, la colomba è simbolo della pace, il nero è simbolo del lutto.

Segni (in senso stretto): non motivati (arbitrari, totalmente immotivati, basati su una convenzione) /intenzionali. Oltre i messaggi linguistici, sono segni molti segnali stradali (altri sono icone, altri simboli).Le caratteristiche del segno sono la convenzionalità e l’intenzionalità.

7 l’acrostico non deve essere confuso con l’acronimo che è una parola composta dalle iniziali che sidevono scrivere. Esempio ‘Alfa’ di ‘Alfa Romeo’ è Anonima Lombarda Fabbrica Automobili dell’ing.Romeo. In questi processi di abbreviazione l’acronimo diventa un nome.

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Il segno linguistico

Ora ci occupiamo del “segno linguistico” che definiamo così: Il segno è un’unità linguistica bifronte, con due facce, quella dell’espressione (il significante) equello del contenuto (il significato). Saussure afferma che il segno linguistico è un’entità psichica a due facce formate dall’immagineacustica (il significante) e dal concetto (il significato): «la lingua è paragonabile a un foglio di carta:il pensiero è il recto ed il suono il verso; non si può ritagliare il recto senza ritagliare nello stessotempo il verso».

Il significante - chiamato anche ‘espressione’ - è la parte (o la faccia) fisicamente percepibiledel segno. Per esempio la parola ‘cavallo’ in quanto sequenza di fonemi pronunciati (c/a/v/a/l/l/o) odi grafemi (le lettere dell’alfabeto) scritti è il significante.

Il significato è il concetto o idea di cavallo che si concepisce mentalmente. Possiamo dire inaltre parole che il significato - chiamato anche ‘contenuto’, è la parte (o faccia) che non percepiamomaterialmente, l’informazione che è fornita dal significante che è invece la faccia che percepiamomaterialmente. Quindi «il significato non è la “cosa”, ma la rappresentazione psichica che della“cosa” abbiamo, cioè il suo concetto. Tuttavia, quest’ultimo non ha la possibilità per se stesso diesprimersi : è l’elemento “fenomenologicamente” assente nel segno, che per realizzarsi ha bisognodi essere veicolato da un significante, ossia da una traccia materiale, percepibile “sensorialmente”».

Questa proprietà dei segni linguistici è detta anche biplanarità perché il significato e ilsignificante possono essere visti come due piani compresenti (il qualcosa e il qualcos’altro). Tutti i segni sono indissolubilmente legati nell’associazione di un significato e di un significante.

Arbitrarietà

Una delle proprietà fondamentali sei segni linguistici è la cosiddetta arbitrarietà: Il segnolinguistico è arbitrario a tutti i livelli ed è stabilito per convenzione.

1) Non c’è nessun motivo di ordine naturale che connette il segno nel suo complesso allacosa o realtà cui si riferisce (il referente). Tra l’oggetto “colonna” (la realtà esterna) e ilsegno che è associato a questo oggetto non c’è alcun legame naturale e necessario.

2) Non c’è nessun motivo di ordine naturale che lega il significante al significato. Ilsignificante colonna come sequenza di fonemi o di lettere non ha alcun rapporto naturalecon il significato “elemento architettonico a sviluppo verticale e sezione circolare confunzione portante o ornamentale”.

Caratteri del linguaggio verbale

È universale. Il linguaggio verbale è patrimonio di tutto il genere umano. Tutti gli uominipossiedono la capacità di esprimersi attraverso segni linguistici.

È onnipotente. Può parlare di tutto: della realtà, di fatti ed esperienze del presente e del passato.Può dar forma a sentimenti, pensieri, aspirazioni. Permette di esprimere ciò che noi concepiamo conla nostra fantasia e la nostra immaginazione.

È flessibile, versatile e creativo. È sempre in grado di mutare secondo le esigenze della comunità,di creare e inserire nel sistema nuove parole per esprimere realtà, idee ed esperienze nuove. Nellosteso tempo “toglie dalla circolazione” le parole e le forme linguistiche che non sono più adatti asoddisfare le esigenze comunicative. Può trasmettere lo stesso contenuto di un messaggio in modi

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diversi secondo le varie situazioni comunicative e gli scopi dei parlanti.

È riflessivo. Il linguaggio verbale non solo è uno strumento di comunicazione, ma può essere usatoper parlare del linguaggio stesso: può descrivere e i meccanismi che lo governano. È come se unamacchina fosse in grado, oltre che di produrre ciò per cui è stata costruita, di descrivere comefunziona per ottenere il prodotto.

È economico. Combinando pochi elementi minimi (i fonemi e le lettere) produce un grandissimonumero di parole diverse. La nostra lingua è composta di una quarantina di fonemi e finora si sonoprodotte circa 200.000 parole. E con le parole si possono formare

IL MODELLO JAKOBSONIANO DELLA COMUNICAZIONE

Sulla base di quanto abbiamo finora detto, vediamo ora quali elementi entrano in gioconell’atto comunicativo. .Le ricerche condotte dal linguista Roman Jakobson, in parte sulla base di un modello elaborato dalfilosofo del linguaggio Karl Bülher, hanno permesso di formulare uno schema che esplicita glielementi dell’atto comunicativo. Tale schema, limitato dapprima agli atti comunicativi in cui siusano le lingue storico-naturali, è stato assunto poi come modello generale della comunicazione.

Per avere un atto di comunicazione sono necessari almeno sei fattori:

REFERENTE (CONTESTO)│

MESSAGGIO│

MITTENTE-------------CANALE --------------RICEVENTE (o contatto) (o ricettore)

│ CODICE

Funzione referenziale││

funzione poetica (o estetica)

funzione emotiva------------- funzione fatica---------- funzione conativa (o espressiva)│

│funzione metalinguistica

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In un atto comunicativo un mittente trasmette lungo un canale un messaggio che verte su undeterminato contenuto a un ricevente. Il messaggio è una sostanza messa in forma a partire dalleregole di un codice.

1. Il referente o contesto è ciò su cui verte il contenuto del messaggio, la cosa cui si riferisce. Con il termine contesto si intende ‘situazione’ in cui avviene l’atto comunicativo. Nell'analisidell'immagine il contesto storico – sociale e culturale al quale essa appartiene.

2. Il mittente è il responsabile della comunicazione che opera la codificazione del messaggio e lotrasmette. Distinguiamo il mittente dall’emittente che indica semplicemente la fonte dellacomunicazione (ad esempio una macchina).

3. Il ricevente o ricettore) è colui riceve il messaggio. Egli non riceve passivamente il messaggio,ma lo interpreta attraverso un’operazione di decodificazione e di interpretazione. In situazionicomunicative faccia a faccia il ricevente genera messaggi di feedback che vengono registrati dalmittente e che influenzano il modo in cui sviluppa il suo discorso.«Il feedback è la retro comunicazione che il ricevente invia al mittente, mentre la comunicazione staavvenendo. È un’informazione di ritorno che permette al mittente, mentre sta comunicando,[ovviamente in una comunicazione orale faccia a faccia] di percepire se il messaggio sia statoricevuto, capito, approvato ecc. e dunque di reagire cercando la via più efficace per raggiungere ilrisultato che si è prefisso. Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso del feedback per“aggiustare la mira” rispetto a quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincerequalcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo periodicamente l’interlocutore per cercaresegnali che ci assicurano che stia ascoltando, che stia seguendo il ragionamento, che abbia capito.Se riceviamo segnali di senso contrario, ripetiamo alcune cose, o scegliamo un altro esempio, oalziamo il tono di voce, fino a quando non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo (o decidiamodi raggiungere)» (Melchior).

Come abbiamo accennato, il ricevente interpreta il messaggio sulla base del proprio sistemacognitivo. Qualche studioso sostiene che il fattore centrale della comunicazione è il modo in cui ilricevente comprende il messaggio che in certa misura è imprevedibile e incontrollabile.

4. Il messaggio è l’informazione trasmessa e prodotta secondo le regole del codice.

5. Il canale o contatto è il mezzo fisico – ambientale che rende possibile la trasmissione delmessaggio. Nella comunicazione orale il canale è fonico acustico. Nel messaggio scritto onell'immagine è visivo. Il canale può essere inteso anche come mezzo tecnico con cui il messaggio è trasmesso (telefono,fax, computer ).

6. Il codice, come si è visto, è il sistema convenzionale di segni e di regole d’uso per mezzo delquale si scambiano i messaggi. In altre parole è la forma linguistica usata per produrre il messaggio.La codifica è l’attività che il mittente compie per produrre un messaggio che sia effettivamentesignificativo per il ricevente. La codifica si riferisce al processo attraverso il quale il mittentetrasforma le sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro genere, nel tentativo di renderlecomprensibili agli altri. Dunque le idee vengono codificate in messaggi, i quali sono inviati alricevente. Questi compie il corrispondente processo di decodifica. La decodifica è la trasformazione

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delle parole in significato, che può essere simile, esattamente uguale o anche completamentedifferente rispetto al significato che il mittente aveva in mente quando ha codificato la sua idea. Il codice non è sempre condiviso dai protagonisti dell’atto comunicativo, di conseguenza ladecodifica non è sempre corretta. Quando un medico descrive al paziente una patologia utilizzandola terminologia della scienza medica, non si rende conto che il messaggio potrebbe non esserecorrettamente decodificabile da parte del ricevente se questi non conosce il codice utilizzato dalmedico.

Le funzioni

Ciascuno di questi sei elementi è collegato a sei diverse funzioni ognuna delle quali comporta unadiversa utilizzazione dei materiali del codice lingua8. La struttura di un messaggio dipende dallafunzione predominate, che ovviamente si combina con le altre, in tal caso accessorie e sussidiarie.Ciascuna di queste funzioni è prevalente sulle altre secondo la natura del messaggio e le intenzionicon le quali è emesso. 1. Al referente corrisponde la funzione referenziale (o informativa, denotativa). Essa è centrata sulcontesto e si ha quando il messaggio serve soprattutto a trasmettere informazioni. La funzionereferenziale è la base di ogni comunicazione ed è pertanto considerata come la più importante,perché si ritiene che il fine ultimo del linguaggio sia quello di permettere agli uomini lacomunicazione delle informazioni. La funzione referenziale definisce le relazioni tra il messaggio e l'oggetto al quale esso si riferisce;il problema fondamentale è difatti quello di formulare a proposito del referente un’informazionevera, cioè obiettiva, osservabile e verificabile.

2 Al mittente corrisponde la funzione emotiva (o espressiva) che è incentrata sul mittente e pone inrisalto l’atteggiamento del soggetto riguardo a ciò di cui si parla. Come abbiamo già detto, quando noi comunichiamo trasmettiamo idee relative alla natura delreferente (questa è la funzione referenziale), ma possiamo anche esprimere il nostro atteggiamentonei confronti di questo oggetto: buono o cattivo, bello o brutto, desiderabile o odioso, rispettabile oridicolo9.La funzione referenziale e la funzione emotiva sono le basi complementari e concorrenti allo stessotempo della comunicazione, tanto che spesso si parla della "doppia funzione del linguaggio", unacognitiva e obiettiva, l'altra affettiva e soggettiva. «In senso lato la funzione emotiva comprende le connotazioni psicologiche e sentimentali dell’iocome ad esempio nella lirica, nel monologo interiore, nel flusso di coscienza ecc. » (A. Marchese)

3. Al ricevente corrisponde la funzione conativa o appellativa, orientata verso il ricevente. Essadefinisce le relazioni tra il messaggio e il ricevente, dal momento che ogni comunicazione sipropone lo scopo di ottenere una reazione da quest'ultimo: è tesa cioè a suscitare una risposta o uncomportamento.

L’esortazione, l’invito, l’ingiunzione, possono rivolgersi sia all'intelligenza che all'affettività delricevente. Questa funzione ha assunto un'enorme importanza con la pubblicità, nella quale il contenutoreferenziale del messaggio scompare di fronte ai segni che mirano ad una motivazione deldestinatario, sia condizionandolo attraverso la ripetizione, sia stimolando in lui delle reazioni

8 Le funzioni del linguaggio sono i veri fini che si assegnano ai messaggi quando sono prodotti. 9 Non si deve confondere la manifestazione spontanea delle emozioni, del carattere, dell'origine sociale,

ecc., che sono soltanto indizi naturali, con l'uso che se ne può fare al fine di comunicare.

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affettive subconsce.

4. Al messaggio corrisponde la funzione poetica o estetica quando l’attenzione è incentrata sulmessaggio considerato a sé. Si mette in risalto il valore autonomo del segno, il suo carattereautoriflessivo, l’intenzionalità diretta sull’espressione verbale. In altre parole nella funzione poetica acquista un valore preminente il modo con cui è elaborato iltesto del messaggio. L’interesse verte quindi verte più che sul contenuto del messaggio (o non solo sul contenuto delmessaggio, su “ciò che si comunica”) ma principalmente sul messaggio in quanto tale, su “come sicome comunica” e perciò si sfruttano le risorse formali della lingua. È la funzione estetica per eccellenza: nell'arte, il referente è il messaggio, che cessa di essere lostrumento della comunicazione per diventarne l'oggetto. Ma nella funzione poetica si comprendonotutti quei messaggi che, pur non avendo finalità artistiche, sfruttano ugualmente le risorse dellalingua per dare maggior incisività ed espressività al messaggio con lo scopo di attirare l’attenzionedei riceventi.

Per chiarire meglio, con un esempio, la differenza tra la funzione poetica e la funzione referenzialeleggiamo un passo della poesia “Liguria” di Camillo Sbarbaro.

Scarsa lingua di terra che orla il mare,chiude la schiena arida dei monti;scavata da improvvisi fiumi; morsadal sale come anello d’ancoraggiopercossa dalla fersa10; combattuta dai venti che ti recano dal largol’alghe e le procellarie11…..(C. Sbarbaro)

Se confrontiamo questi versi con la seguente descrizione della Liguria:La costa ligure è una tipica costa frastagliata, il cui aspetto è il risultato in piccola parte

degli apporti alluvionali alla varia costituzione delle rocce che oppongono maggiore o minoreresistenza all’azione demolitrice del mare, constatiamo che il poeta, pur informandoci sullecaratteristiche della Liguria, organizza le parole in modo da ottenere particolari effetti espressivi.Nella funzione poetica il ‘come’ è detto qualcosa ha un’importanza pari se non superiore alcontenuto del messaggio.

5. Al canale corrisponde la funzione fàtica (dal latino fari che significa “parlare”). Essa ha lo scopodi stabilire, di mantenere o di interrompere la comunicazione.

R. Jakobson riprende il termine dall’antropologo Malinowski che «chiamava comunicazione faticail complesso delle manifestazioni linguistiche attraverso le quali si attua il contatto sociale entro unacomunità» (Durante).

«Jakobson distingue sotto questo nome i segni che servono essenzialmente a stabilire, prolungare ointerrompere la comunicazione, a verificare se il canale funziona ("Pronto, mi senti?"), ad attirarel'attenzione dell'interlocutore o ad assicurarsi che questa non si allenti ("Allora, mi ascolti?", o, instile shakespeariano "Prestami orecchio!' e all'altro capo del filo: "Ehm, ehm! ").

10 Fersa. Variante di ferza forma arcaica e poetica di sferza. Indica l’ardore infuocato dei raggi del sole.. 11 procellarie. Denominazione di varie specie di uccelli marini.

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La funzione fàtica riveste un ruolo molto importante in tutti i modi della vita comunitaria e riguardaanche forme stereotipate di discorso, come i convenevoli, i saluti, gli auguri ecc. che servono adaprire o chiudere il contatto fra due o più interlocutori12. Sempre nell’ambito della vita comunitaria essa prevale nei riti, nelle cerimonie; nelle conversazionifamiliari, o amorose, in tutte le situazioni in cui più che il contenuto della comunicazione, conta ilfatto di esserci e di affermare la propria adesione al gruppo.Il referente del messaggio fatico è la comunicazione stessa, così come il referente del messaggiopoetico è il messaggio stesso, e quello del messaggio emotivo il mittente.

6. La funzione metalinguistica ha lo scopo di definire il senso dei segni che potrebbero non esserecompresi dal ricevente. In termini più semplici, si usa la lingua per spiegare la lingua stessa. Peresempio si mette una parola tra virgolette, o si precisa: "semiologia, nel senso medico del termine".La funzione metalinguistica riferisce perciò il segno al codice da cui esso trae il suo significato.Nella funzione metalinguistica rientra anche la scelta del veicolo, del mezzo. La cornice di unquadro, la copertina di un libro indicano la natura del codice; il titolo di un'opera d'arte si riferiscespesso molto più al codice adottato che al contenuto del messaggio. Una pala da carbone collocataal posto d'onore in un'esposizione o in un museo ha, per il fatto di essere lì, un significato estetico, eil referente del messaggio è in questo caso il codice stesso» (Guiraud).

12 «A livello artistico si potrebbero considerare certe opere di Ionesco, in cui l’autore vuole mettere in evidenza labanalizzazione dei discorsi, l’alienazione linguistica come sintomo dell’alienazione umana, per gli aspetti dominantidella funzione fatica, utilizzata in senso espressivo» (A. Marchese).

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