PARI OPPORTUNITA’ = OPPORTUNA PARITA’ - News... · il gruppo di lavoro "Women and lea dership",...

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Giugno 2010 n. 4 PARI OPPORTUNITA’ = OPPORTUNA PARITA’ Newsletter a cura di Segreteria Nazionale Uilca - DPPO Dipartimento Politiche Pari Opportunità Via Lombardia, 30 00187 ROMA TELEFONO: 06/4203591 FAX: 06/484704 INDIRIZZO E-MAIL: [email protected] Sito Web: www.uilca.it Redazione: Simona Cambiati

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Giugno 2010 n. 4

PARI OPPORTUNITA’ = OPPORTUNA PARITA’

Newsletter a cura di Segreteria Nazionale Uilca - DPPO Dipartimento Politiche Pari Opportunità Via Lombardia, 30 00187 ROMA TELEFONO: 06/4203591 FAX: 06/484704 INDIRIZZO E-MAIL: [email protected] Sito Web: www.uilca.it Redazione: Simona Cambiati

Pari Opportunità: Tarantola ( Bankitalia ), possono contribuire crescita ( Asca ) Roma, 13 maggio Le pari opportunità, realizzate attraverso una corretta gestione e valorizzazione delle differenze possono fornire un significativo contributo alla crescita. Lo ha detto la Vice Direttrice Generale della Banca d'Italia, Anna Maria Tarantola, nell'ambito del convegno '' Verso la Parità: le donne nelle carriere pubbliche ''. In particolare, ha specificato la Tarantola, '' la presenza di più donne nel mercato del lavoro e nei ruoli dirigenziali può tradursi in significativi risultati positivi per la singola impresa, pubblica o privata che sia, per il Paese nel suo complesso '', perchè si allarga la base dei talenti e delle risorse di qualità, c'è la possibilità di avvalersi della minore propensione al rischio e della maggiore attenzione alle performance economico - finanziarie di medio - lungo periodo e si attua una varietà di stili di leadership. ''La Banca d'Italia - ha aggiunto la Tarantola - è pienamente consapevole dell'importanza della valorizzazione del ruolo delle donne; sta operando per un maggiore equilibrio tra uomini e donne anche nelle posizioni apicali, raccogliendo le sollecitazioni e le proposte effettuate in particolare dalla Commissione Pari Opportunità in materia di formazione, apertura di ulteriori asili nido aziendali, presenza femminile nelle Commissioni di assunzione e avanzamento ( per attenuare il rischio di ' cooptazioni maschili ' ), organizzazione di seminari sul tema con il contributo di esperti esterni. Flessibilità organizzativa, politiche attive di conciliazione sono azioni importanti non solo per il ' benessere ' dei Dipendenti, ma per le stesse aziende, perchè assicurano una maggiore produttività. E' su questo messaggio che occorre puntare per una loro sempre più ampia diffusione. In un mio intervento a Bologna nel 2006 ho richiamato la possibilità di attivare un sistema premiale per le imprese che risultino più ' virtuose ' nelle politiche di genere ''. In generale, nel futuro, per la Vice Direttrice della Banca d'Italia, occorrerà agire su due fronti: con strumenti di supporto esterni, quali la promozione di politiche attive, i servizi sociali, l'organizzazione dei tempi e degli spazi delle città e interventi organizzativi nelle aziende che consentano la necessaria flessibilità. '' In sintesi - ha concluso la Tarantola - una costante attenzione alla gestione e alla valorizzazione delle differenze può fornire un contributo significativo alla crescita, che è ciò di cui abbiamo bisogno ''.

RECITA D'UFFICIO

Sbancheremo la scena . Famiglia o carriera? Dilenuna solo per donne, che ora diventa una piece: l'hanno ideata le dirigenti di DniCredit partendo dai dati sulla leadership rosa. Obiettivo' smentire la Gelmini di Cristma Lacava,fòto di Fredi },1arcariniperlo dorma

60 lO DONNA - 1.5 MAGGIO 2010

Le donne di UniCredit che hanno lavorato allapièce

La scelta,fotografate insieme

con un collega. Al centro il regista, Marco Chelardi.

JjGIACCA OPTICAL? TOGLI LA,

"spara" nell'obiettivo». La di­rigente ubbidisce. La collega

prova a difendere i suoi mocassini: invano. Ver­

ranno sostituiti da un paio di tacchi (per lei troppo) a spillo. La giovane impiegata ha freddo con il top in seta, ma pazienza. Fermi tutti, parte il flash. Il fotografo non è soddisfat­to, ricomincia. Qualcuna azzarda: avrei una riunione. Non se ne parla. State zitte e ferme in posa. Non è facile. Il servizio che stiamo realizzando per lo donna al teatro Elfo Puccini di Milano non ha per protagoniste fotomodelle superma­gre, ma un gruppo di donne normali. Che si sentono più a loro agio tra i business pian di UniCredit, dove la­vorano. Oggi però si sono messe in gioco. Per raccontare come abbiano deciso di dedicare tempo e cuore a un'iniziativa inedita: uno spettaco,lo teatrale, in scena a Treviso il 18 mag­gio (teatro Eden, ingresso libero), poi in tournée. Il titolo è La scelta, la storia è quella di una ragazza, Fran­cesca, che non sa se accettare una promozione: se dice di sì, toglie tempo alla famiglia. Se rinuncia, per­de un'opportunità. Deve sceglie-re. Come quasi tutte le donne. "Siamo partite dai dati» spiega An­tonella Massari, direttore Comuni­cazione e Identità di UniCredit, che abbiamo incontrato in mattinata. "Tra i nostri 165.000 dipendenti in tutto il mondo, il 58 per cento sono donne. Peccato però che nel "Iea­dership team", i 400 manager inter­nazionali più importanti, la presenza femminile scenda all'8s per cento. Vuoi dire che troppi talenti si perdo­no». Per capire cosa succede è nato il gruppo di lavoro "Women and lea­dership", che ha messo in campo una

lO DONNA - 15 MAGGIO 20ro 61

RECITA D'UFFICIO

Un'altrafoto digruppo per La scelta. Il ser-llizio è

stato realizzato al teatro Elfo Puccini di Milano,

dove lo spettacolo arriverà a settembre.

serie di progetti, dalla community al te­atro. Alcune dirigenti hanno cominciato a mettere giù un canovaccio: «Un modo per noi insolito di comunicare» aggiunge Massari. La regia è stata affidata a Marco Ghelardi e alla compagnia Salamander. «r;obiettivo è individuare/che cosa blocca la carriera: la maternità, il lavoro di cura, i pregiudizi maschili? O l'autoesclusio­ne?» si chiede Massari. Il pomeriggio, all'Elfo (teatro appena ri­aperto grazie anche all'assessore alla Cul­tura Massimiliano Finazzer Flory), tra un colpo di lacca e un'aggiustatina alla cami­cia rivolgo la stessa domanda alle "nostre" signore: Monica Poggio, responsabile di

"Women and leadership", Giulia Pedraz­zi, market manager di UniCredit private banking, e Patrizia Troisi, responsabile sviluppo progetti corporate banking.

«L'ostacolo all'autoaffermazione sia­mo noi» provoca Giulia Pedrazzi. «Non gli orari, né i pannolini: le difficoltà prati­che si superano. Ma se si crede: non sarò all'altezza, non ci si propone nemmeno». Aggiunge Patrizia Troisi: «Non riusciamo a fare tutto? Pazienza. Purtroppo parec­chie colleghe rinunciano alla carriera giu­stificandosi: non ce l'avrei fatta». D'accordo. Ma sfugge un dettaglio. Leg­go sul copione che tra le quattro protago­niste di La scelta ci sono la monaca Eloisa e Mina Murray, la cacciatrù:e di vampiri del Dracula di Bram Stoker. Il nesso? C'è, e lo spiega Patrizia Troisi: «Nella pièce la donna di oggi incontra - in sogno - tre fi­gure del passato, Eloisa, Mina e Ljuba, l'unica inventata, spia sotto Stalin. Tutte loro hanno affrontato sfide importanti». Ma accettare un'opportunità professio­nale non impone di pagare un prezzo? «Non è facile» confessa Giulia Pedrazzi. «Alle riunioni di scuola ci va mio mari­to. Cerco di non fare tardi in ufficio. La sera "recupero" con mia figlia». Su una cosa le signore sono d'accordo: stare in maternità non è un "privilegio", come ha dichiarato a lo donna il ministro Gelmini. Dev'essere una scelta consapevole. Certo, sottovoce qualcuna ammette che dopo il congedo, se non fosse stato per un capo lungimirante, la carriera avrebbe subi­to un brusco stop. Il tema è così "caldo" che, quando qualche mese fa lo spetta­colo è andato in scena per le dipendenti, l'emozione è stata fortissima. Qualche settimana dopo la "prima" c'è stato un incontro con una psicologa. «Le abbiamo confessato le nostre paure, qualcuna ha raccontato le difficoltà del rientro» ricor­da Monica Poggio. Il passo successivo è stato decidere per la rappresentazione aperta al pubblico. E dopo) «Vogliamo coinvolgere le più giovani» continua Pog­gio, "e spingede a pianificare gli obiettivi di vita. Noi abbiamo fatto le nostre scel­te, spesso non autonome. Vogliamo che si sentano più libere». e

IO DONNA - 15 MAGGIO 20ro

• Corriere della Sera > • Salute > • Disabilita > • Prepensionamento dei familiari dei disabili: la Camera approva

DOPO ANNI DI ISTANZE E DI PROPOSTE

Prepensionamento dei familiari dei disabili: la Camera approva Il testo passa ora al Senato: approvato un testo unificato che prevede agevolazioni previdenziali per i lavoratori che assistono familiari gravemente disabili

MILANO - Nel corso della seduta del 19 maggio 2010, la Camera ha approvato le «Norme in favore dei lavoratori che assistono familiari gravemente disabili». Il testo, che ora passa all’esame del Senato, rappresenta la sintesi di ben 14 proposte di legge sul medesimo argomento. Il testo unificato era stato approvato dalla Commissione Lavoro e dalla Commissione Bilancio che aveva richiesto delle correzioni relative alla copertura di spesa. È un primo punto di arrivo di istanze avanzate da anni da molte associazioni. Tuttavia il testo riserva qualche delusione, rispetto alle aspettative iniziali la cui prospettiva era riconoscere il lavoro di cura prestato a familiari disabili, quale titolo per il prepensionamento. Vediamo, quindi, i contenuti del testo ora all’esame del Senato.

DIPENDENTI PUBBLICI - Le agevolazioni sono molto diverse a seconda che il lavoratore sia un dipendente pubblico o privato. Per i dipendenti pubblici non è previsto propriamente il prepensionamento, ma un trattamento di maggior favore in caso di richiesta di «esonero anticipato dal servizio». L’esonero anticipato è una formula riservata ai dipendenti pubblici in forza dell’articolo 72 della Legge 133/2008 (peraltro vigente solo per gli anni 2009, 2010 e 2011) e poi regolamentato dalla Circolare 10/2008 del Dipartimento Funzione Pubblica. La domanda di esonero va presentata dal dipendente entro il primo marzo di ciascun anno, a condizione che nell’anno di presentazione della domanda raggiunga il requisito minimo di anzianità contributivo richiesto e cioè – al momento – pari a 35 anni per conseguire la pensione di anzianità. La durata massima dell’esonero è di 5 anni. Al termine di questo periodo il rapporto di lavoro si conclude se si è raggiunto il limite d’età, o l’anzianità contributiva, previsti dall’attuale normativa per andare in pensione Questo vale per tutti i lavoratori a prescindere all’assistenza a familiari con grave disabilità. Il nuovo testo introduce un beneficio rispetto alla retribuzione durante il periodo di esonero: nel caso dei lavoratori che assistono i familiari con handicap, il trattamento economico è pari al 70% della retribuzione complessiva percepita al momento dell’esonero, contro il 50% previsto negli altri casi. Questo beneficio, viene riconosciuto ai lavoratori che «si dedichino al lavoro di cura e di assistenza per i familiari disabili con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ai quali è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita».

Il testo non limita le definizione di «familiare», cioè non individua – per i dipendenti pubblici – particolari gradi di parentela o affinità. Non prevede nemmeno l’obbligo della convivenza. È più stringente invece rispetto all’individuazione della tipologia di disabilità, per la quale viene richiesta la doppia condizione di handicap grave (Legge 104/1992, art. 3 comma 3) e inabilità totale. Per quest’ultima il testo si riferisce ad una delle due definizioni che danno titolo all’indennità di accompagnamento. Quindi, oltre ad essere esclusi i casi in cui sia stata riconosciuta solo l’indennità di frequenza, si escludono anche tutti i casi in cui l’inabilità (civile) totale, derivi dal riconoscimento «dell’impossibilità a deambulare autonomamente o senza l’aiuto di un accompagnatore». Questa seconda dizione viene comunemente usata nei verbali di invalidità nel caso – ad esempio – di gravi lesioni

midollari, di distrofie muscolari, di sclerosi multiple o laterali amiotrofiche. Si tratta pertanto di una lacuna piuttosto significativa. Va anche sottolineato che il testo si riferisce esplicitamente ai soli invalidi civili (richiama esplicitamente il Decreto 5 febbraio 1992 che di questo tratta). Non sono previste né contemplate le invalidità gravi derivanti da cause di servizio, di lavoro o altro.

I DIPENDENTI DEL SETTORE PRIVATO - Per i dipendenti del settore privato e per gli autonomi iscritti all’Inps è invece previsto un vero e proprio prepensionamento (propriamente: l’erogazione anticipata del trattamento pensionistico), anche se la misura sarebbe, per espressa indicazione del testo, «in via sperimentale per il triennio 2010-2012». L’anticipazione del pensionamento può essere richiesto solo dai lavoratori che abbiano compiuto il sessantesimo anno di età e alle lavoratrici che abbiano compiuto il cinquantacinquesimo anno di età, a seguito del versamento e dell’accredito di almeno venti annualità di contributi previdenziali.

Anche in questo caso sono poste diverse condizioni. Il lavoratore, per far valere i benefici previdenziali, deve innanzitutto dimostrare l’assistenza e la convivenza, per almeno diciotto anni con il familiare disabile che – in quel periodo – non deve essere stato ricoverato in istituto, né deve esserlo al momento della richiesta di pensionamento. Il beneficio spetta solo al coniuge, al genitore o al figlio della persona con disabilità. Un solo lavoratore può avvalersi dell’agevolazione. Il beneficio può essere richiesto anche dai fratelli o dalle sorelle se i genitori sono assenti o impossibilitati a prestare assistenza al familiare disabile per gravi motivi di salute, come attestato da apposita certificazione di morte o sanitaria. La convivenza negli anni deve essere dimostrata con certificazione storico-anagrafica rilasciata dal comune di residenza. Riassumendo: è necessario avere 60 anni (55 per le donne) di età, 20 di contributi versati, 18 anni dimostrati di assistenza e convivenza con il familiare disabile.

Rispetto al tipo e grado di disabilità, valgono le indicazioni espresse per i dipendenti pubblici: il diritto al prepensionamento viene riconosciuto solo per “il lavoro di cura e di assistenza di familiari disabili con totale e permanente inabilità lavorativa, che assume connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ai quali è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”. Con le esclusioni di cui diamo conto più sopra.

La disabilità va dimostrata con la presentazione di documentazione sanitaria e su tale aspetto, il testo è un po’ nebuloso. Di chiaro c’è l’indicazione della documentazione ammessa: il certificato di handicap grave (Legge 104/1992, art. 3 comma 3) e la certificazione di invalidità totale. Viene anche ammessa ulteriore documentazione comprovante «lo stato di disabilità, risultante da apposita certificazione sanitaria rilasciata da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale, qualora il periodo di costanza di assistenza al familiare disabile abbia avuto inizio precedentemente all’accertamento della disabilità da parte delle commissioni mediche preposte». Dall’analisi letterale del testo sembra evidente che vada provata anche la «storia della disabilità cioè la sussistenza dei requisiti durante i (minimo) 18 anni di assistenza e convivenza richiesti. Non è chiaro cosa accada nelle ipotesi in cui in quei 18 anni, l’invalidità riconosciuta abbia subito variazioni o aggravamenti, anche se si prevede che «nel caso di handicap congenito o di handicap che si manifesta dalla nascita, certificato da una struttura pubblica afferente al Servizio sanitario nazionale, la costanza di assistenza è comunque calcolata dalla data di nascita». Come già detto, ora il testo passa all’esame del Senato per la definitiva approvazione o per possibili emendamenti, nel qual caso sarà necessaria un’ulteriore lettura alla Camera.

Carlo Giacobini Direttore di Handylex 21 maggio 2010

 

 

DILETTANTI ALLO SBARAGLIO SULLA NON AUTOSSUFFICIENZA

di Chiara Saraceno 28.05.2010 – La Voce 

Una proposta di legge affronta due temi finora trascurati nel nostro sistema di welfare: le necessità di cura delle persone non autosufficienti e la conciliazione con il lavoro remunerato. Ma la norma riesce a essere contemporaneamente vecchia, ingiusta e inefficace. Perché lo strumento scelto è il pre-pensionamento, che favorisce l'uscita dal mercato del lavoro e non la conciliazione. Perché non adotta un approccio universalista e garantisce condizioni più vantaggiose ai lavoratori pubblici. Perché scarica ancora una volta sulle famiglie l'onere del lavoro di cura.

Nella seduta del 14 maggio la Camera ha approvato quasi all’unanimità le “Norme in favore dei lavoratori che assistono familiari gravemente disabili”. (1) Il testo, che ora passa all’esame del Senato, rappresenta la sintesi di ben quattordici proposte di legge presentate da esponenti di pressoché tutte le parti politiche. La norma affronta due temi fin qui troppo trascurati nel sistema di welfare italiano: (i) le necessità di cura delle persone non autosufficienti; (ii) la conciliazione tra lavoro remunerato e cura dei familiari non autosufficienti. La soluzione proposta, tuttavia, riesce a essere insieme vecchia, ingiusta e inefficace.

UNA PROPOSTA VECCHIA E INGIUSTA...

È vecchia perché invece di promuovere la conciliazione favorisce l’uscita dal mercato del lavoro, con uno strumento, il pre-pensionamento, per altro in contrasto con tutti gli obiettivi di innalzamento dell’età del ritiro dal lavoro. Inoltre adotta un approccio non universalista, che introduce benefici diversi a seconda della situazione lavorativa e del tipo di contratto di chi presta la cura. Moltiplicando, ancora una volta, la frammentazione e complessità del sistema di welfare italiano. È ingiusta perché garantisce condizioni molto diverse, e più vantaggiose, ai lavoratori del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato. I dipendenti pubblici che si prendono cura di un familiare potrebbero beneficiare, dopo 35 anni di contributi, di un periodo di cinque anni di esonero anticipato dal servizio con il 70 per cento della retribuzione complessiva. Diversamente, per i lavoratori del settore privato, inclusi gli autonomi, è previsto un vero e proprio pre-pensionamento, sulla base sì di una storia contributiva più ridotta, ma a condizioni complessive molto più rigide: la lavoratrice deve avere almeno 55 anni di età (il lavoratore 60), avere almeno 20 anni di contributi e soprattutto deve aver convissuto ed essersi presa cura del familiare negli ultimi 18 anni. Aver accudito un familiare lasciandolo nella propria abitazione, per rispetto della sua vita e abitudini (come consigliano anche tutte le politiche dell’ageing in place) non conta. Anche la definizione di famigliare è più stringente: il beneficio spetta solo al coniuge, al genitore o al figlio della persona con disabilità; solo nel caso in cui questi famigliari siano impossibilitati a fornire cura, fratelli e sorelle possono usufruire del beneficio. Le norme sono ingiuste anche perché limitano il riconoscimento economico del lavoro di cura solo ai lavoratori/lavoratrici. Il costo per l’Inpdap e l’Inps di questi pre-pensionamenti alla fine andranno a carico della collettività. Il che sarebbe giusto se valesse per tutti, non solo per alcune categorie. Chi ha dovuto lasciare il lavoro proprio a motivo delle responsabilità di cura, oltre al danno ora sperimenta anche la beffa.

...MA ANCHE INEFFICACE

La norma proposta è inefficace perché, in presenza di un sistema pensionistico contributivo, rischia di avviare a una vecchiaia di ristrettezze economiche chi si pre-pensiona per continuare ad accudire un familiare. È inefficace perché scarica ancora una volta sulle famiglie (di fatto sulle donne) l'onere del lavoro di cura, senza preoccuparsi né della appropriatezza delle cure né delle disuguali risorse – umane e di altro tipo – presenti nelle famiglie. Inoltre riconosce la necessità di

cura solo quando è ormai estrema. Come se la non autosufficienza si desse sempre totalmente da subito, e non si sviluppasse per lo più nel tempo, provocando domande di cura di intensità, oltre che qualità, diverse. Se poi sommiamo questo criterio a quelli di età anagrafica e contributiva, è chiaro che la legge è inefficace anche perché arriva troppo tardi, quando i giochi sono già fatti e molte lavoratrici sono state costrette a uscire dal mercato del lavoro, oppure a far ricoverare in istituto il familiare. Da tempo si discute di trasformare l’indennità di accompagnamento per introdurre anche in Italia un sistema simile almeno a quelli tedesco o francese, finanziati da una assicurazione obbligatoria. Ove si offre una combinazione di sostegno economico e di servizi, privilegiando i servizi, su base universale e graduata a seconda del livello di dipendenza. Dove le famiglie possono scegliere in qualche misura il mix preferito di cura familiare, servizi pubblici e servizi di mercato, con l’effetto non trascurabile di creare domanda di lavoro regolare. Ma non se ne fa mai nulla, salvo qualche sanatoria per le badanti che lascia alle famiglie tutto l’onere economico e organizzativo. Per chi sta nel mercato del lavoro e insieme si fa carico di un familiare dipendente sarebbero più utili, oltre ai servizi, congedi temporanei, con contributi figurativi per non perdere l’anzianità contributiva. È probabile che di fronte alla necessità della manovra finanziaria queste norme non arrivino mai al dibattito in Senato. Ma se davvero si volesse affrontare in modo serio il bisogno di cura delle persone non autosufficienti e dei familiari che si occupano di loro, occorrerebbe avere un atteggiamento meno dilettantesco e più attento alle circostanze concrete in cui questi bisogni si presentano.