PARANOIA BLUES - Aracne · Paranoia Blues nasce, ovviamente, da un forte interesse personale nei...

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Paolo Simonetti PARANOIA BLUES TRAME DEL POSTMODERN AMERICANO

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Paolo Simonetti

PARANOIA BLUESTRAME DEL POSTMODERN AMERICANO

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I edizione: dicembre 2009

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Per Alessia

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[I]t was my chief trouble, therefore, that I was likely to grow gray and decrepit in the Surveyorship, and become much such another animal as the old Inspector.

Nathaniel Hawthorne, The Scarlet Letter

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Indice

11 Premessa 13 Introduzione: Gli anni della paranoia

PARTE I Trame

25 Capitolo I Plotting U.S.A. 39 Capitolo II Scrittori/cospiratori 51 Capitolo III Il leviatano postmoderno

PARTE II Storiografie

71 Capitolo I Thomas Pynchon: «An intolerable double vision» 89 Capitolo II Don DeLillo e la terza linea

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Indice

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109 Capitolo III L’arcobaleno della paranoia 127 Capitolo IV Paul Auster e la storia lunatica

PARTE III Cartografie

139 Capitolo I Il Terzospazio della cosmopoli 161 Capitolo II Cartografie dell’America postmoderna 181 Capitolo III Spazi della mente 191 Capitolo IV Il Ground Zero del postmoderno: Paranoia e immaginazione dopo l’11 settembre 221 Appendice: Paranoia Blues. 241 Bibliografia 257 Ringraziamenti

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Premessa Tutti sanno che fare ricerca in Italia è difficile, anzi difficilissimo;

ricorrentemente, da decenni si torna a parlare della necessità improro-gabile di adeguare strutture e finanziamenti pubblici ai livelli delle al-tre nazioni europee; con altrettanta puntualità, si assiste al progressivo depauperamento di stanziamenti e risorse, peraltro ormai avviato ver-so una triste irreversibilità. Ciò non ostante, per un’intelligente forma di ostinazione intellettuale, ricerca in Italia si continua a fare, anche se logica e condizioni oggettive sembrerebbero sconsigliare l’impresa. Per questo, mi sembra particolarmente opportuno aprire questa nuova collana, che fin dal titolo – “Americana: Letteratura e Cultura” – si lega a una delle tappe più significative dell’ormai antica tradizione di studi italiani dedicati alla letteratura statunitense, con un volume come Paranoia Blues, di Paolo Simonetti: un libro sulla contemporaneità americana, scritto in larga parte in Italia, da un giovane studioso che ha brillantemente frequentato una scuola di Dottorato italiana qual è quella della Sapienza di Roma e che, come comunemente s’usa nelle culture più evolute, nel proprio paese intenderebbe utilizzare il baga-glio di conoscenze acquisite nel modo più razionale e più utile.

Paranoia Blues nasce, ovviamente, da un forte interesse personale nei confronti della narrativa americana, e in particolare per quella dei tre autori – Pynchon, DeLillo e Auster – che questo saggio analizza in dettaglio; ma al tempo stesso, esso nasce anche da una profonda curio-sità circa il legame tra storia e racconto: quell’intreccio, di fatto ine-stricabile, che Hawthorne affronta in The Scarlet Letter e che lo porta, nella “Custom House”, a rivendicare l’autenticità della sola outline da cui sarebbe poi nato il suo romance. A distanza di un secolo e mezzo

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Premessa

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da quell’illustre intervento, il problema non sembra esser sostanzial-mente cambiato, tanto che, nel suo commento a Libra, Simonetti rie-voca, attraverso le parole di Biancamaria Pisapia, l’inevitabile noma-dismo del romancer, che «sfuma e dissolve le frontiere tra il mondo fenomenico e quello della finzione». È in quella dimensione, davvero centrale per le poetiche postmodern, che l’autore di questo studio pre-valentemente indaga, servendosi, oltre che di alcuni romanzi paradig-matici di quella condizione dimidiata, di un corredo di studi critici, metodologici e speculativi che dice, appunto, di una ricerca scientifica attenta – ampia, aggiornata, approfondita – della quale riesce sempre a servirsi in modo appropriato.

Di qui la grande quantità di esemplificazioni di una sindrome da cui sono davvero in pochi a rimanere immuni e la vasta rete di con-nessioni intertestuali che costantemente ampliano i confini del suo di-scorso; di qui, anche, la scorrevolezza di un testo che opportunamente non dimentica mai l’affabilità necessaria nei confronti di chi lo dovrà leggere. Tutto questo fa di Paranoia Blues uno studio capace di ricol-legarsi alle grandi linee del fitto dibattito che si è fin qui snodato sul fenomeno postmodern – dalle categorie ormai canoniche di Frederick Jameson alle sistematizzazioni di Linda Hutcheon, dalla “metastoria” di Amy Elias alle “cospirazioni” di Brian McHale – e di aggiornare, seguendoli fino ai giorni nostri, gli sviluppi di un lavoro di ricerca i-nevitabilmente frammentato e sovranazionale. In questo senso, anzi, Paolo Simonetti riesce a recuperare appieno e con grande naturalezza uno dei tratti caratteristici della scuola da cui egli proviene: quello, cioè, di dare congruo risalto, nell’ambito del dibattito internazionale, al contributo critico offerto dagli studiosi italiani che di quel fenome-no si sono occupati, lasciando spazio sia ai nomi affermati, sia a quelli di coloro che, come lui, con la loro ricerca dimostrano quotidianamen-te che l’eccellenza, per fortuna, non è soltanto una vacuità retorica di politici e burocrati. Ugo Rubeo

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Introduzione: Gli anni della paranoia

Non abbiamo inventato nulla, salvo la disposizione dei pezzi.

Umberto Eco, Il pendolo di Foucault Anni della paranoia: è così che sempre più studiosi1 definiscono il

clima culturale degli Stati Uniti nella seconda metà del ventesimo se-colo, identificandone come tratto caratteristico una nevrosi che si ma-nifesta in maniera trasversale negli ambiti più diversi della società. Questo stato d’animo si avverte in uguale misura sia nella cultura po-polare che in quella accademica, si impone all’attenzione del pubblico attraverso i giornali, il cinema e la letteratura, e contemporaneamente, travalicando gli studi psicanalitici, si insinua nella riflessione filosofi-ca ed estetica e arriva a coinvolgere la struttura delle trame narrative, fino a configurarsi come elemento paradigmatico della commistione tra generi e discipline propria della scena contemporanea. La scom-parsa della certezza in una verità ultima e la sfiducia verso la storia come struttura onnicomprensiva – retaggio del poststrutturalismo e delle scuole della decostruzione – si riflettono nella narrativa del peri-

1 Cfr. T. MELLEY, Empire of Conspiracy: The Culture of Paranoia in Postwar America,

Cornell University Press, Ithaca 2000, P. O’DONNELL, Latent Destinies. Cultural Paranoia and Contemporary U.S. Narrative, Duke University Press, Durham and London 2000, o P. KNIGHT (ed.), Conspiracy Culture: American Paranoia from Kennedy to the “X-Files”, Routledge, New York 2001. Per una breve disamina della paranoia come stato clinico cfr. Appendice, pp. 223 e sgg.

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Introduzione

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odo, così che un approccio “paranoico” alle opere d’arte finisce para-dossalmente per rappresentare la strategia interpretativa più adeguata.

Nella letteratura postmodernista, infatti, la paranoia non emerge soltanto come tema e motivo, ma contribuisce in larga parte alle rami-ficazioni della struttura narrativa. Per sciogliere i sempre più comples-si labirinti testuali occorrono nuove strategie interpretative – più simi-li, in un certo senso, all’irrazionalità del delirio e dell’allucinazione che alle tradizionali metodologie critiche. È uno stato d’animo, la pa-ranoia, che va dunque analizzato come fenomeno culturale intrinse-camente connesso alla natura della condizione postmoderna2 e che non a caso trova un terreno particolarmente fertile proprio tra gli scrittori degli Stati Uniti, una nazione che sin dalla sua fondazione convive con un costante sentimento di persecuzione e minaccia.

Se si volesse stabilire una data d’inizio del postmoderno in Ameri-ca, equivalente alla “scena primaria” della psicanalisi freudiana, una buona ipotesi sarebbe fissarla proprio il 22 novembre 1963 nella Dea-ley Plaza di Dallas, durante i fatidici sette secondi in cui un imprecisa-to numero di spari fu sufficiente a uccidere, insieme al presidente Kennedy, le certezze della nazione.3 Poco di più, circa diciotto secon-di, dura il filmato amatoriale più famoso della storia americana, quello girato lo stesso giorno da uno spettatore, Abraham Zapruder, in cui il momento dell’omicidio è fissato per sempre su pellicola. Analizzato da schiere di esperti e periti, investigatori e semplici dilettanti, cospi-ratori e politici, agenti federali e, soprattutto, romanzieri, il filmato Zapruder non ha mai fornito risposte definitive; nessuno è riuscito a spiegare l’esatta concatenazione degli eventi e ricavarne una narrazio-ne univoca. Dal cinema alla letteratura, dalla sociologia alla crimino-logia, dagli organi di informazione alle dettagliate ricostruzioni stori-che, l’evento, ri-creato e immaginato, analizzato e riprodotto da ogni

2 Per un’analisi storica della paranoia da patologia clinica a paradigma narrativo cfr. App., p. 221.

3 Il fatto che tra il 1962 e il 1963 si verifichi un cambiamento di paradigma è confermato dalla concomitante uscita di alcuni testi fondamentali che rivoluzionano i rispettivi campi di studio, come La Pensée Sauvage (1962) di Claude Lévi-Strauss, The Gutenberg Galaxy: The Making of Typografic Man (1962) di Marshall McLuhan, Naissance de la clinique: Une ar-chélogie du regard medical (1963) di Michel Foucault, o l’importante Preface to Plato (1963) di Eric Havelock, che contribuisce alla nascita degli studi su oralità e scrittura. Cfr. app., p. 221.

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Gli anni della paranoia

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punto di vista e con ogni mezzo, insieme alla diffusione in diretta in tutte le case americane delle immagini del successivo omicidio di Lee Harvey Oswald, il presunto colpevole, contribuisce ad accentuare quella cultura del sospetto che era già caratteristica della postmoderni-tà, «by accidentally drawing attention to the lack of coherence and co-ordination in the plot of history».4

Oltre a mettere a dura prova gli ideali americani di democrazia e giustizia, l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy segna la fine della tradizionale percezione della storia come serie logica di eventi, mi-nando in maniera autoreferenziale la stessa possibilità rappresentativa di un avvenimento che pure si è svolto in pubblico, davanti a migliaia di osservatori, registrato da telecamere, fotografato da angolature di-verse e analizzato da legioni di esperti. Paradossalmente, è proprio questo evento a inaugurare l’era del predominio dei media, in quanto si configura, nelle parole di Fredric Jameson, come «a unique collecti-ve (and media, communicational) experience, which trained people to read such events in a new way». Anche Jameson fa risalire all’omicidio «the moment of a paradigm shift toward the linguistic and the communicational», caratterizzandolo come «the shock of a communicational explosion».5

La morte di Kennedy finisce col rappresentare, in senso più genera-le, la fine dell’individualismo e della fiducia romantica nel genio crea-tore, inaugurando così quella che Jameson definisce «corporate, col-lectivized, post-individualistic age».6 La figura carismatica, il leader politico, il grande scrittore, non reggono più il confronto con le orga-nizzazioni corporative, il sistema economico globale, il consumismo. La vicenda politica e sociale di Kennedy, che si era posta come la grande narrazione della storia nazionale, viene improvvisamente a mancare come qualsiasi altro grand recit, lasciando una quantità di si-gnificati inconciliabili e mai definitivi a riempire il suo vuoto. In que-sto modo, l’evento suggerisce la proliferazione infinita di narrazioni sull’impossibilità di un’unica affabulazione coerente, che ben si sposa

4 P. KNIGHT, Conspiracy Culture, op. cit., p. 114. 5 F. JAMESON, Postmodernism, or The Cultural Logic of Late Capitalism, Duke University

Press, Durham 1991 (1984), p. 355. 6 Ivi, p. 306.

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Introduzione

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con la sfiducia del postmodernismo in una risoluzione finale della trama della storia e, di riflesso, del romanzo.

Per cogliere un fenomeno instabile e fluttuante come quello post-moderno, piuttosto che avventurarsi in percorsi esclusivamente teorici che rischiano di rimanere troppo spesso irrisolti,7 è forse più costrutti-vo rivolgersi alle opere letterarie – in particolare ai romanzi – che rap-presentano lo spirito e le contraddizioni dell’età contemporanea in maniera più immediata rispetto alla teoria o alla filosofia. Il romanzie-re, infatti, riesce naturalmente a fissare nelle sue trame concetti non necessariamente riconducibili a costruzioni logiche o coerenti. Il rap-porto tra teoria e letteratura in epoca postmoderna, inoltre, è più che mai biunivoco. Se il linguaggio utilizzato da Jameson ricorda quello cospiratorio e paranoico di molti narratori postmodernisti, è altrettanto vero che la lettura dei romanzi è spesso in grado di illuminare di luce nuova l’opera di molti filosofi e teorici del periodo.8

A questo proposito, la scelta degli autori analizzati non è casuale, né è dovuta esclusivamente a pur ovvie preferenze personali. Se si vuole rintracciare il percorso di evoluzione della stagione letteraria dell’America postmoderna, i nomi di Thomas Pynchon, Don DeLillo e Paul Auster – autori ormai canonici in campo accademico – emergono prepotentemente come rappresentativi, non solo in quanto il filo rosso del complotto e la tematica della paranoia sono centrali nella loro scrittura, ma perché dalle loro opere affiorano prepotentemente le complesse dinamiche teoriche di interrelazione tra autore, lettore e

7 Cfr. app. 8 Ogni discorso teorico sul postmodernismo che abbia la pretesa di porsi come onnicom-

prensivo corre a sua volta il rischio di ripiegare in una sterile involuzione, di diventare un’ennesima metanarrazione, un paradigma totalizzante. Fredric Jameson è conscio di questo limite quando afferma che ogni definizione teorica è in un certo senso un’arma a doppio ta-glio, una logica in cui “vince chi perde”. E’ interessante notare quanto i termini usati da Jame-son ricordino il linguaggio cospiratorio e paranoico di molti romanzi postmodernisti, con la menzione di un «sistema chiuso» come una «macchina terrificante» e il senso di «paralisi» che nega ogni «impulso di rivolta» permettendo al teorico una «vittoria» che rappresenta in realtà una «sconfitta». Fredric Jameson, Postmodernism, cit., pp. 5-6. A questo proposito Jon Simons propone una suggestiva «pynchonesque reading of Jameson», leggendo la definizione jamesoniana di paranoia e cartografia cognitiva attraverso The Crying of Lot 49 di Thomas Pynchon e mostrando in che modo «Pynchon’s novels […] can be used to critique significant aspect of Jameson’s approach and are instructive about its costs» piuttosto che viceversa. J. SIMONS, Postmodern Paranoia? Pynchon and Jameson, in «Paragraph», Vol. 23 Issue 2, July 2000.

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Gli anni della paranoia

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personaggi nei confronti del plot, romanzesco, storico o politico. Quanto ad altri scrittori postmodernisti come Joseph Heller, Robert Coover o John Barth – per tralasciare il filone della fantascienza da William Gibson a Philip Dick – è chiaro che la loro presenza rimane costante sullo sfondo di qualunque discorso critico sulla narrativa del periodo.

* * *

Thomas Pynchon coglie perfettamente il senso di aspettativa e fi-ducia per il futuro che si era creato intorno al presidente Kennedy, da lui paragonato, nell’introduzione alla raccolta di racconti Slow Lear-ner (1984), al famoso personaggio creato da Ian Fleming: «John Ken-nedy’s role model James Bond».9 Vera e propria figura carismatica di leader, atletica e rassicurante incarnazione di forza e giustizia, simbolo dell’autorappresentazione celebrativa della nazione americana, per Pynchon Kennedy aveva indicato all’America la direzione da seguire, in quanto era stato il primo a denunciare pubblicamente che «there was a lot of aimlessness going around»10. Kennedy era l’unico che avrebbe potuto contrastare e invertire l’inesorabile discesa della storia dettata dalla forza di gravità, come ce lo presenta il narratore di Gravity’s Rainbow (1975) attraverso lo sguardo del protagonista Slothrop:

Slothrop admires him from a distance – he’s athletic, and kind, and one of the most well-liked fellows in Slothrop’s class. Sure is daffy about that history, though. Jack… might Jack have kept it from falling, violated gravity somehow? Here, in this passage to the Atlantic, odors of salt, weed, decay washing to him faintly like the sound of breakers, yes it seems Jack might have.11

Pynchon non è il solo a soffermarsi su questo importante nodo sto-

rico e sociale. Riflettendo sull’omicidio presidenziale, Norman Mailer definisce la paranoia scaturita dall’evento il male per eccellenza dell’immaginazione americana contemporanea, che, dopo la chiusura della frontiera, impossibilitata a proiettarsi in un “oltre” geografico, si

9 T. PYNCHON, Slow Learner, Little Brown, Boston 1984, p. 11 10 Ivi, p. 14. 11 ID., Gravity’s Rainbow, Viking, New York 1973, p. 66.

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Introduzione

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volge verso il proprio interno.12 In una recensione lo scrittore afferma provocatoriamente che a indagare sul caso Kennedy dovrebbero essere proprio gli scrittori. Propone così, in maniera ironica, una «Writers’ commission» al posto della Warren Commission: «one real commis-sion – a literary commission supported by public subscription to spend a few years on the case». Continua affermando che egli, per-sonalmente, «would trust a commission headed by Edmund Wilson before I trusted another by Earl Warren».13 La frase provocatoria di Mailer, che allude all’occultamento deliberato di informazioni da parte degli organi governativi cui si oppone la coscienza democratica degli intellettuali che si impegnano come detective nell’ostinata ricerca di una verità alternativa, tradisce un sentimento comune a molti scrittori della controcultura degli anni Sessanta.

Ma è soprattutto Don DeLillo a farsi portavoce del trauma naziona-le, ricreando a distanza di venticinque anni, in Libra (1988), una trama narrativa che riflette, nella struttura e nell’argomento tematico, la tra-ma della congiura che porta all’omicidio. DeLillo caratterizza quella postmodernista come una «letteratura di straniamento e silenzio» ge-nerata soprattutto dalle ripercussioni dell’attentato presidenziale:

What has become unraveled since that afternoon in Dallas is not the plot, of course, not the dense mass of characters and events, but the sense of a coherent reality most of us shared. We seem from that moment to have entered a world of randomness and ambiguity, a world totally modern in the way it shades into the century's «emptiest» literature, the study of what is uncertain and unresolved in our lives, the literature of estrange-ment and silence.14

Lo scrittore rintraccia nei «seven seconds that broke the back of the

American century»15 l’episodio fondante di una rottura interna alla nazione, il momento in cui scompare definitivamente l’illusione di una realtà definita, controllabile e rappresentabile, l’impressione di una

12 Cfr. P. O’DONNELL, Latent Destinies, cit. 13 N. MAILER, The Great American Mystery, «Book Week Washington Post», 28 August

1966, 1, 11-13, corsivo mio, cit. in P. KNIGHT, op. cit., pp. 85-6. 14 D. DELILLO, American Blood: A Journey Through the Labyrinth of Dallas and JFK,

«Rolling Stone», Dec. 8, 1983; 15 ID., Libra, Penguin, London 1988, p. 181.

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storia lineare e progressiva, per lasciare il passo a un senso generale di insicurezza e casualità che ha influenzato e in un certo modo generato anche lo sviluppo della sua scrittura: «It’s possible I wouldn’t have become the kind of writer I am if it weren’t for the assassination».16 È la trama della storia con la esse maiuscola, singolare interfaccia tra evento pubblico e personale, tra motivazioni manifeste e interessi sot-terranei, a creare l’identità dello scrittore, piegandolo a strumenti te-matici e narrativi adatti alla trasformazione della realtà.

Allo stesso modo Paul Auster riflette in un’intervista:

Most of our contemporary history comes out of newspapers, people re-cording what happens; and they always get it wrong. It happens so con-sistently, that you learn that everything you read in the newspaper is wrong – even though the journalist is trying his best, is not purposely distorting the facts.17

Subito dopo, come esempio, cita l’omicidio di Kennedy e confuta il mito di un’America improvvisamente in stato di shock, in cui «ever-ybody was grieving and there wasn’t a dry eye in the nation». Il rac-conto della sua esperienza a Washington durante i funerali rivela come in realtà «a large number of the people there were only interested in getting good photographs. There were people climbing up into trees and yelling at each other about how to get the right angle. There was no sadness or bereavement that I could see», ma soltanto «a kind of carnival atmosphere».18 Un’ossessione quindi, quella rilevata da Au-ster, per l’immagine e la riproduzione mediatica che sopraffa’ defini-tivamente l’evento nel momento in cui si svolge: ogni avvenimento nasce ormai già prefabbricato, montato e pronto per il mercato. Anco-ra più singolare è ciò che Auster, in Oracle Night (2004), fa dire a un suo personaggio-scrittore, poco prima di delineare lo sketch di una storia in cui due viaggiatori nel tempo, uno proveniente dal passato e

16 A. DECURTIS, «An Outsider in This Society»: An Interview with Don DeLillo, in F.

LENTRICCHIA (ed.), Introducing Don DeLillo, Duke University Press, Durham and London 1996 (1991), p. 48.

17 M. CHÉNETIER, Around Moon Palace. A Conversation with Paul Auster, «Sources», Au-tunno 1996, p. 29.

18 Ivi, p. 30.

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Introduzione

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uno dal futuro, si incontrano a Dallas proprio il giorno dell’omicidio di Kennedy:

[O]nce people from the future began to influence events in the past and people from the past began to influence events in the future, the nature of time would change. Instead of being a continuous progression of dis-crete moments inching forward in one direction only, it would crumble into a vast, synchronistic blur. Simply put, as soon as one person began to travel in time, time as we know it would be destroyed.19

In questo modo l’autore riconosce implicitamente il ruolo fondamen-tale giocato dall’esperienza traumatica nel disgregare le nozioni lineari di tempo e di storia. Sarebbero passati diversi anni prima che questo nodo storico-culturale fosse consciamente percepito e assimilato dagli autori americani. Del resto, come ricorda proprio Auster in una recen-te intervista a proposito dello stato della letteratura dopo gli attentati dell’11 settembre, «Fiction is slow. Fiction doesn’t happen the next week».20

* * *

«This is the age of conspiracy» afferma un personaggio in Running

Dog (1978) di DeLillo, ambientato alla fine degli anni Settanta in America, «of connections, links, secret relationships».21 E un altro personaggio, questa volta in Gravity’s Rainbow (1975) di Pynchon, aveva espresso quasi la stessa convinzione a proposito del periodo re-lativo alla seconda guerra mondiale:

It means this war was never political at all, the politics was all theatre, all just to keep the people distracted … secretly, it was being dictated in-stead by the needs of technology … by a conspiracy between human be-ings and techniques, by something that needed the energy-burst of war.22

19 P. AUSTER, Oracle Night, Faber and Faber, London 2004, p. 104. 20 All Things Considered, intervista con Paul Auster e Salman Rushdie, 8 settembre 2002,

online al sito <http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=1149638>, ultimo ac-cesso il 09/03/2008.

21 D. DELILLO, Running Dog, Picador, London 1999 (1978), p. 111. 22 T. PYNCHON, Gravity’s Rainbow, cit., p. 521.

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Dagli anni Settanta di Running Dog agli anni Quaranta della guerra descritta in Gravity’s Rainbow, dagli omicidi politici degli anni Ses-santa alle ondate di terrorismo degli anni Novanta, i confini di questa presunta “età della cospirazione” sembrano dilatarsi in maniera inde-finita nel corso della storia americana. Ed è proprio la letteratura a in-terpretare per prima i segni principali di questa nevrosi e a renderla fondante. Ancora alla fine degli anni Novanta DeLillo organizza la trama di Underworld (1997) secondo un grande schema che vede nel complotto la struttura essenziale della storia americana degli ultimi cinquant’anni, e contemporaneamente, in Mason & Dixon (1997), Pynchon allarga al XVIII secolo l’elemento della cospirazione, attri-buendolo a grandi corpi sociali e culturali dell’epoca coloniale, come i Gesuiti o la Royal Society of England.

Di recente Micheal Wood ha definito Libra di DeLillo «perhaps the last really good novel of the great age of American paranoia, the age that began just before the Kennedy/King assassinations, and faded away somewhere in the early Nineties».23 In realtà la paranoia non so-lo non è tramontata all’inizio degli anni Novanta, ma è al contrario più viva che mai nell’immaginario americano, alimentata dal timore del terrorismo e dalla politica del sospetto praticata dal governo, messa in scena da interminabili serie televisive di ampio consumo e da innume-revoli esempi di narrativa non soltanto commerciale, elevata a condi-zione culturale dai teorici della letteratura e dall’accademia, trasforma-ta dagli artisti contemporanei in vera e propria strategia narrativa.24 Peter Knight coglie perfettamente la situazione quando parla dell’affermazione, negli Stati Uniti, di una “cultura della cospirazio-ne”:

A mutual feedback loop between the fictional and the factual world emerges, with the real spies learning the discourse of conspiracy from novelists, and vice versa. More generally, a fascination with conspiracy in entertainment merges with and reinforces the atmosphere of secrecy which structures American politics, and together they form what might be termed a “conspiracy culture”.25

23 M. WOOD, Post-Paranoid, «London Review of Books», 5 febbraio 1998, 3. 24 Cfr. app. 25 P. KNIGHT, Conspiracy Culture. From Kennedy to the X-Files, cit., p. 30.

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Introduzione

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Se gli anni Sessanta sono gli anni della paranoia, è evidente che all’alba del nuovo secolo essa è ancora uno degli elementi più vivi e presenti nell’immaginazione nazionale.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che le nuove suggestioni del pa-norama postmoderno traggono i loro spunti e trovano il loro riflesso non solo nelle condizioni storico-politiche, ma anche nelle nuove teo-rie scientifiche e filosofiche che proprio dalla metà del secolo rivolu-zionano il modo di pensare dell’occidente. Il principio di indetermina-zione di Heisenberg, la fisica quantistica, la matematica seriale, il con-cetto di entropia e la teoria del caos segnano il tramonto dell’universo newtoniano stabile e fisso, definibile con precisione attraverso formu-le descrittive, per aprirsi all’universo relativo, soggettivo, probabilisti-co e discontinuo già teorizzato da Einstein, Bohr e Plank. Allo stesso modo il formalismo, il poststrutturalismo, la decostruzione e le altre teorie letterarie e filosofiche che si susseguono sin dai primi anni del Novecento segnano, pur con modi e intensità diverse, la fine del pen-siero logico-lineare e indeboliscono le fondamenta della metafisica occidentale su cui si è retto per secoli l’umanesimo.26 Una trasforma-zione si è effettivamente verificata, dunque, nel periodo immediata-mente successivo alla seconda guerra mondiale, ed è strettamente le-gata al nuovo paradigma della paranoia che si delinea nei diversi cam-pi culturali.

Questo studio tenta di rintracciare il “campo di forze” che si insedia nel territorio postmoderno, cogliendolo nelle complesse dinamiche che si instaurano intorno al plot – inteso sia a livello tematico come complotto, sia a livello strutturale come trama romanzesca, sia a livel-lo metatestuale come dimensione dove tempo e spazio del racconto si incontrano. È attraverso l’interazione di questi elementi con il contesto storico-sociale che il romanzo – in particolar modo il romanzo po-stmodernista – acquisisce la sua configurazione caratteristica. Quando la trama è sentita come una struttura eccessivamente chiusa e repressi-va, o al contrario si dilata e ramifica in infinite derivazioni fino a di-ventare inconsistente, genera inevitabilmente un senso di paranoia – critica, interpretativa, storica – che si delinea come paradigma e mo-

26 Cfr. App.

Page 21: PARANOIA BLUES - Aracne · Paranoia Blues nasce, ovviamente, da un forte interesse personale nei confronti della narrativa americana, e in particolare per quella dei tre autori –

Gli anni della paranoia

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dello del periodo, con esiti e toni tutt’altro che negativi. Attraverso un’analisi che tenga conto tanto dell’aspetto strutturale quanto delle peculiarità storiche e tematiche dei singoli romanzi, questo studio si propone di tracciare una mappa attraverso il territorio accidentato, e in larga parte inesplorato, della postmodernità.