PAPATO E IMPERO NEL PONTIFICATO DI URBANO VIII ......La sollevazione dei Valtellinesi contro i...

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COLLECTANEA ARCHIVI VATICANI 89 PAPATO E IMPERO NEL PONTIFICATO DI URBANO VIII (1623-1644) a cura di IRENE FOSI - ALEXANDER KOLLER ESTRATTO CITTÀ DEL VATICANO ARCHIVIO SEGRETO VATICANO 2013

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COLLECTANEA ARCHIVI VATICANI89

PAPATO E IMPERONEL PONTIFICATO DI URBANO VIII

(1623-1644)

a cura di

Irene FosI - AlexAnder Koller

ESTRATTO

CITTÀ DEL VATICANOARCHIVIO SEGRETO VATICANO

2013

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SILVANO GIORDANO

URBANO VIII, LA CASA D’AUSTRIAE LA LIBERTÀ D’ITALIA

Nel vocabolario di Urbano VIII appare con frequenza la locuzione « pace d’Italia », che ben descrive la situazione conflittuale venutasi a creare nella Penisola in concomitanza con analoghi fenomeni europei, a partire dal secondo decennio del Seicento, mentre invece il riferimento alla « libertà d’Italia » richiama alla mente la trattatistica politica dei primi decenni del Cinquecento, quando, dopo l’inizio delle cosiddette guerre d’Italia, gli intellettuali della Penisola cominciarono a rimpian-gere ciò che ormai era andato per sempre perduto 1. Tuttavia l’espres-sione ha una sua collocazione precisa; essa è presente nel pensiero di Giovanni Francesco Guidi di Bagno, nunzio in Francia, colui che nel 1629, dopo la caduta della Rochelle, convinse il cardinale de Richelieu a volgere le armate di Luigi XIII non contro gli Ugonotti della Lin-guadoca, ma in direzione dell’Italia, per impedire che sulla penisola si stringesse ancor più la stretta della Casa d’Austria.

Urbano VIII e l’Italia settentrionale

La questione della Valtellina e il problema dinastico relativo al ducato di Mantova furono i due principali problemi con i quali Urba-no VIII dovette confrontarsi nei primi anni del suo pontificato.

Entrambe le questioni venivano da lontano. La sollevazione dei Valtellinesi contro i Grigioni avvenuta il 19 luglio 1620, conosciuta con il nome di Sacro Macello, fu il momento culminante, preparato con cura dal duca di Feria, governatore spagnolo di Milano e d’intesa con la corte di Paolo V 2, di un decennio di attriti tra i Grigioni e

1 GIUSEPPE GALASSO, Dalla libertà d’Italia alle preponderanze straniere, Editoriale scientifica, Napoli 1997.

2 JULIA ZUNCKEL, Quasi-Nuntius in Mailand. Giulio della Torre als Vertrauensmann spa-nischer Governeure und des Papstes, in Römische Mikropolitik unter Papst Paul V. Borghese (1605-1621) zwischen Spanien, Neapel, Mailand und Genua, hg. von Julia Zunckel - Hillard von Thiessen - Guido Metzler - Jan-Christoph Kitzler - Wolfgang Reinhard, Max Niemeyer, Tübingen 2004, pp. 335-426 [Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom 107]; EAD., Come la testa dell’Idra. La politica milanese di Paolo V fra problemi giurisdizionali

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gli Spagnoli presenti nel ducato di Milano per il controllo della valle, punto nevralgico di comunicazione tra il Mediterraneo e le pianu-re tedesche dopo che, con il trattato di Lione del 1601, la Francia aveva ceduto al duca di Savoia il marchesato di Saluzzo in cambio dei territori transalpini di Dombes, Bresse, Bugey, Valromey e Gex, limitando drasticamente le vie di comunicazione percorse dai convogli spagnoli in direzione dei Paesi Bassi e della Franca Contea 3. Un canale di comunicazione divenuto tanto più importante in quanto, a partire dal 1621, ebbe termine la tregua dei dodici anni e i tercios spagnoli al comando di Ambrogio Spinola ripresero le azioni militari contro il Palatinato e contro le Province Unite 4. Gregorio XV, offrendo la sua opera di mediatore tra la Francia, sostenitrice delle ragioni dei Grigioni protestanti, e la Spagna, accorsa in appoggio dei Valtellinesi cattolici, credette di poter giungere a una rapida soluzione del caso; tuttavia le implicazioni del conflitto e il suo protrarsi nel tempo misero in luce la debolezza militare e finanziaria della Sede apostolica e favorirono il colpo di mano francese, condotto dal marchese di Coeuvres con l’appoggio delle Leghe Grigie, che non solo consentì il recupero delle piazzeforti custodite dal generale pontificio Orazio Ludovisi, duca di Fiano, ma soprattutto evidenziò l’incapacità degli eserciti pontifici di sostenere un’azione militare protratta nel tempo 5.

Qualche anno prima, con la morte del duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, avvenuta il 18 febbraio 1612, e quella di suo figlio Francesco verso la fine di dicembre dello stesso anno, si era aperto un nuovo fronte di instabilità nella stessa area dell’Italia settentrionale che coin-volse il ducato di Savoia, Milano e Mantova. L’assunzione del governo del ducato da parte di Ferdinando Gonzaga, che depose il cappello cardinalizio per assicurare la continuità dinastica, non fu sufficiente a fermare le ambizioni di Carlo Emanuele di Savoia, desideroso di

e « Sacro Macello », in Die Außenbeziehungen der römischen Kurie unter Paul V. Borghese (1605-1621), hg. von Alexander Koller, Max Niemeyer, Tübingen 2008, pp. 327-354 [Bi-bliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom 115].

3 JOSÉ LUIS CANO DE GARDOQUI, La cuestión de Saluzzo en las comunicaciones del imperio español (1588-1601), Universidad de Valladolid, Valladolid 1962 [Cuadernos de historia moderna. Estudios y documentos 20]; ALAIN HUGON, Le duché de Savoie et la Pax Hispanica. Autour du traité de Lyon (1601), in « Cahiers d’histoire », 46 (2001), pp. 211-242; GEOFFREY PARKER, Le traité de Lyon et le « chemin espagnol », ibid., pp. 287-305.

4 GEOFFREY PARKER, The army of Flanders and the Spanish Road, 1567-1659. The logis-tics of Spanish victory and defeat in the Low Countries’ War, Cambridge University Press, Cambridge 1972; 20042; ID., Spain and the Netherlands 1559-1659: Ten Studies, Fontana, London 1979; 19902.

5 La Valtellina crocevia dell’Europa. Politica e religione nell’età della Guerra dei Trent’anni, a cura di Agostino Borromeo, Mondadori, Milano 1998; GIAMPIERO BRUNELLI, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa (1560-1644), Carocci, Roma 2003, pp. 189-195 [Studi e ricerche. Dipartimento di Studi Storici, Geografici, Antropologici 8].

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assicurarsi il controllo del Monferrato. La guerra che ne derivò e le concomitanti trattative diplomatiche, protrattesi fino al 1618, interessa-rono direttamente la Spagna e di riflesso anche la Francia. Paolo V si impegnò a riportare la pace nei confini della penisola italiana inviando una serie di nunzi, tra i quali anche Alessandro Ludovisi, arcivescovo di Bologna, il futuro Gregorio XV. Intervenne nella contesa con funzioni di arbitro l’imperatore Mattia, in quanto il Monferrato, essendo feudo imperiale, ricadeva nell’ambito delle sue competenze 6.

La rivendicazione dei diritti sovrani rispetto al marchesato del Monferrato, che coincise con l’ascesa al potere di Mattia d’Asburgo, indicava da parte dell’imperatore un interesse rinnovato per le vicende d’Italia dopo gli anni di Rodolfo, durante i quali l’assenza dell’autorità imperiale e i problemi interni della Francia avevano consentito alla Spagna di essere il riferimento esclusivo per gli stati italiani 7.

Nuova occasione per far sentire la presenza imperiale in Italia fu la vicenda del Ducato di Urbino. La rinuncia al governo fatta nel 1621 da Francesco Maria II della Rovere (1549-1631) 8 in favore del figlio Federico Ubaldo (1605-1623) 9 e la prematura morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1623, rimisero in moto i meccanismi già sperimentati una ventina di anni prima, quando si era estinta la dinastia estense di Ferrara, per ricondurre lo stato sotto il diretto dominio della Camera apostolica. Per Urbino stava per concludersi un iter avviato nel 1606 dopo la nascita di Federico Ubaldo, quando il duca, per garantire la continuità della famiglia, mise il figlio sotto la protezione di Filippo III. Paolo V, intravedendo la possibilità che la famiglia si estinguesse, cercò di ostacolare gli accordi intercorsi tra il duca e il re Cattolico, nella con-vinzione che « essendo la Sede Apostolica protettor necessario dello stato, havendone il diretto dominio, et dovendo conseguentemente proteggere il principe, cessa ogni bisogno di darli altro appoggio » 10. In occasione

6 Istruzione ad Alessandro Ludovisi, arcivescovo di Bologna, Roma, 6 agosto 1616, in Le istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici 1605-1621, a cura di Silvano Giordano, Max Niemeyer, Tübingen 2003, pp. 1052-1057 [Instructiones Pontificum Ro-manorum]; ANTONIO BOMBÍN PÉREZ, La cuestión de Monferrato (1613-1618), Colegio Uni-versitario de Álava, Vitoria 1975.

7 GIANVITTORIO SIGNOROTTO, Impero e Italia in Antico regime. Appunti storiografici, in I feudi imperiali in Italia tra XV e XVIII secolo. Atti del Convegno di studi. Albenga-Finale Ligure-Loano, 27-29 maggio 2004, a cura di Cinzia Cremonini - Riccardo Musso, Bulzoni, Bordighera - Albenga 2010, pp. 17-30 [Istituto Internazionale di Studi Liguri. Atti dei con-vegni 15].

8 GINO BENZONI, Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino, in Dizionario Bio-grafico degli Italiani [=DBI], 50, Roma 1998, pp. 55-60.

9 GINO BENZONI, Federico Ubaldo Della Rovere, duca di Urbino, in DBI, 45, Roma 1995, pp. 761-767.

10 Archivio Segreto Vaticano [=ASV], Fondo Borghese, serie I 308bis, ff. 146r-147r. Segreteria di Stato a Giovanni Garzia Millini, nunzio in Spagna, Roma, 4 aprile 1606.

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della morte di Federico Ubaldo, l’imperatore inviò il conte Francesco Gambara a presentare le condoglianze al padre, ma al tempo stesso a verificare i titoli imperiali sul Montefeltro. Nonostante la contrarietà dell’imperatore e del granduca di Toscana, che vantava diritti su quel feudo, e con l’appoggio della Spagna, opposta all’espandersi dei domini medicei, approfittando del fatto che il centro dell’attenzione interna-zionale era rivolto alle vicende valtellinesi, le pressioni di Urbano VIII indussero il vecchio duca a disporre che alla sua morte, in assenza di eredi maschi, il ducato sarebbe passato sotto l’amministrazione diretta della Sede Apostolica 11. La convenzione fu firmata il 30 aprile 1624 e nel dicembre dello stesso anno il duca decise di ritirarsi a Castel Du-rante, mentre il papa nominò Berlingerio Gessi governatore del ducato di Urbino, incarico che il prelato espletò dal 1 gennaio 1625 12.

La questione di Urbino, risolta felicemente, per lo meno nell’ottica pontificia, durante i primi mesi del pontificato 13, così come l’infelice guerra di Castro 14, con la quale esso si conchiuse, rappresentano i due estremi di una politica finalizzata a consolidare i domini della Sede Apostolica e a rafforzare il controllo pontificio sull’Italia per preservarla dal contagio dell’eresia. Di tale controllo era parte l’equilibrio tra le po-tenze cattoliche, a lungo perseguito dalla Santa Sede fin dal pontificato di Clemente VIII, reso ora apparentemente più semplice da conseguire, in quanto negli anni Venti del Seicento i soggetti in concorrenza erano diventati tre: la Spagna, la Francia e l’impero.

L’Europa della Curia Romana

Nel mese di marzo del 1625, poco prima di iniziare un lungo viaggio che avrebbe dovuto portarlo a visitare le corti di Francia e di Spagna, il cardinale Francesco Barberini ricevette una particolare istruzione. Essendo egli il cardinale nipote, capo dell’amministrazione

11 Istruzione a Bernardino Spada, vescovo di Damietta, nunzio in Francia. Roma, 23 gennaio 1624; edita in AUGUSTE LEMAN, Recueil des instructions générales aux nonces ordinaires de France de 1624 à 1634, Giard - Champion, Lille - Paris 1920, pp. 57-60.

12 ASV, Ep ad. Princ., Registra 39, f. 110v: « Dilecto filio nobili viro Francisco Maria de Ruvere duci Urbini. Allegatur ad eum Berlingerius episcopus Ariminensis gubernacula Urbinatium civitatum et oppidorum tractaturus petente Nob. tua » (24 dicembre 1624); ibid., f. 111v: « Dilecta in Christo filia nobili mulieri Ducissae Urbini. Idem argumentum (stessa data); ASV, Sec. Brev., Reg. 937, f. 624rv: Pro episcopo olim Ariminen. [Gessi] Deputatio in gubernatorem status Urbini in casu obitus Ducis » (27 dicembre 1624).

13 FILIPPO UGOLINI, Storia dei conti e duchi d’Urbino dal 1190 al 1631, II, Grazzini, Giannini e C., Firenze 1859, pp. 448-494.

14 GIACINTO DEMARIA, La guerra di Castro e la spedizione de’ Presidii, in Miscellanea di storia italiana, serie 3, tomo 4, Paravia, Torino 1897, pp. 191-256.

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pontificia, deputato a firmare le istruzioni ai nunzi e ai legati, si fece ricorso a un espediente retorico: il cardinale Lorenzo Magalotti, segre-tario di stato, gli indirizzò un discorso nel quale ricapitolava l’analisi della congiuntura europea in precedenza discussa tra il papa e lo stesso cardinale Barberini 15.

Volutamente è messa al primo posto la valutazione positiva della situazione sussistente in Germania e nell’impero, dove il conte Palatino Federico V, riferimento dei calvinisti, era stato sconfitto e deposto, il duca Giovanni Giorgio I di Sassonia, riferimento per i luterani, aveva riconosciuto la dignità elettorale trasferita al duca di Baviera, Bethlen Gabor, principe di Transilvania, si era rappacificato con l’imperatore, Cristiano di Braunschweig-Lüneburg, amministratore di Halberstadt 16 e Cristiano I von Anhalt 17 avevano chiesto e ottenuto il perdono dell’imperatore, il quale, consolidata la sua posizione dopo le vittorie in Boemia e nel Palatinato, stava rafforzando la confessione cattolica a scapito dei protestanti. L’analisi, dettagliata, prosegue enumerando i pericoli presenti nell’impero, che avrebbero potuto rovesciare la situazione, e sottolinea la necessità di appoggio militare che aveva il cattolicesimo per consolidarsi, e come tale appoggio rischiava di venir meno a motivo della politica di confronto condotta dai re di Francia e di Spagna. Entrambe le corone erano comunque minacciate dai nemici della fede: la Spagna da olandesi, inglesi e francesi, insieme agli ebrei stabiliti sul suo territorio e in Portogallo, tanto nella penisola quanto nelle colonie, la Francia dagli ugonotti e dalle contese che si agitavano in seno alla famiglia reale 18.

Urbano VIII aveva cercato di consolidare la posizione dei cattolici nell’impero continuando, anche se in misura minore rispetto al suo pre-decessore, ad aiutare finanziariamente l’imperatore e la Lega Cattolica, come pure mediante un’intensa azione diplomatica, espletata per mezzo dei nunzi inviati alle tre corti principali 19.

Ciò che interessa analizzare è la valutazione che presso la Curia romana si aveva della situazione italiana, considerata come densa di

15 Biblioteca Apostolica Vaticana [=BAV], Barb. lat. 5273, ff. 1r-70v: « Memorie a V. S. Ill.ma Sig. Cardinale Barberini, destinato legato de latere a due re », Roma, 17 marzo 1625, copia.

16 BERENT SCHWINEKÖPER, Christian der Jüngere, in Neue Deutsche Biographie [=NDB], 3, Berlin 1957, pp. 225-226.

17 FRIEDRICH HERMANN SCHUBERT, Christian I., in NDB, 3, Berlin 1957, pp. 221-225.18 BAV, Barb. lat. 5272, f. 1v.19 GEORG LUTZ, Rom und Europa während des Pontifikats Urbans VIII. Politik und

Diplomatie, Wirtschaft und Finanzen, Kultur und Religion, in Rom in der Neuzeit. Politische, kirchliche und kulturelle Aspekte, hg. von Reinhard Elze - Heinrich Schmidinger - Hendrik Schulte Nordholt, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien - Rom 1976, pp. 72-167.

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incognite: « Le miserie d’Italia possono cominciarsi a piangere ogni volta ». Urbano VIII all’inizio del 1625 temeva che l’Italia tornasse ad essere teatro di lotta tra la Francia e la Spagna, due potenze che re-clutavano i rispettivi eserciti a nord delle Alpi, e che ciò potesse avere conseguenze sull’assetto confessionale della penisola: « Habbiamo di già su gli occhi le armi franzesi, gli eretici di Berna, di Elvetia e delle Leghe Grise assoldati dal Re Cristianissimo, le cavallerie e le fanterie di S. M. calono su le nostre frontiere, gli Spagnuoli si apparecchiono alla difesa et essi ancora riempiranno i loro eserciti di gente Alemanna Dio sa di qual fede » 20. Di rimando, anche gli altri stati italiani si sarebbero visti costretti a schierarsi e a mettere in opera preparativi di guerra, accrescendo così le probabilità di un conflitto.

Il pericolo maggiore era costituito dalla voce circolante che attri-buiva alla monarchia di Spagna il progetto di espandere i suoi domini in Italia e in Germania con il pretesto della Valtellina e delle guerre condotte nel Palatinato inferiore. Il papa avrebbe preferito che gli Spa-gnoli cedessero sulla questione valtellinese e lasciassero all’imperatore l’onere di dirimere le controversie relative al Palatinato 21. Anche perché Roma non approvava alcuni aspetti della politica confessionale condotta dagli Spagnoli in quest’ultimo territorio, considerando che, per non pregiudicare le trattative matrimoniali con la famiglia reale d’Inghilterra, essi, nonostante le insistenze di Gregorio XV, dello stesso Urbano VIII e della governatrice delle Fiandre Isabella Clara Eugenia, non avevano voluto ristabilire il culto cattolico 22.

Il cardinale Barberini nel suo viaggio in Francia avrebbe dovuto promuovere una lega difensiva italiana che includesse i francesi e gli spagnoli. Il re di Francia, pur non potendo esserne membro, per il fatto che non possedeva stati in Italia, avrebbe potuto farsene promo-tore, « per lo bene e per la quiete di quella provincia, promettendo spontaneamente a favor di quegli che si unissero contro il perturbatore della publica quiete li suoi potentissimi aiuti e l’uso de passi riserbati alla sua allianza » 23.

Nel complesso, la lunga riflessione rivolta a Francesco Barberini ripropone un’edizione aggiornata del disegno politico perseguito dalla Sede Apostolica che prevedeva due direttrici: il recupero del cattolicesi-mo nell’impero mediante il sostegno militare e finanziario all’imperatore

20 BAV, Barb. lat. 5272, f. 2r.21 Ibid., f. 3v.22 Ibid., f. 54r: « E qui si può dire per parentesi che grandissimo danno per la religio-

ne cattolica hanno fatto gli Spagnoli, quando per non rompere i loro disegni matrimoniali co ’l Re d’Inghilterra, benché pregatine istantemente da papa Gregorio XV e da papa Urbano e dalla Ser.ma Infanta di Fiandra, non hanno voluto mai stabilir nel Palatinato inferiore né chiese, né culto cattolico, né introdurvi l’esercitio della nostra religione ».

23 Ibid., f. 56v.

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e la pace d’Italia, per evitare che la guerra favorisse la propagazione dell’eresia. La novità introdotta da Urbano VIII consisteva nel voler implicare la Francia in un progetto italiano a garanzia della stabilità nella penisola, al momento divisa tra i partigiani delle due corone in concorrenza. Non va dimenticato che già una ventina d’anni prima il re di Spagna aveva presentato un progetto di alleanza difensiva tra i principi italiani sotto la sua egida, fallito per l’avversione degli italiani ad accettare l’ingerenza di principi stranieri 24.

La Valtellina

Al momento della sua ascesa al soglio pontificio, Urbano VIII tro-vò la Santa Sede coinvolta nella questione valtellinese secondo modalità da lui non condivise. Da cardinale aveva sconsigliato a Gregorio XV di prendere in consegna i forti della valle, poiché in tal modo il papa correva il rischio di accollarsi un impegno troppo gravoso per i suoi mezzi e di venire implicato in controversie che minacciavano di far-gli perdere l’equidistanza, la sua caratteristica di « padre comune » 25. Mantenendo la linea del suo predecessore, Urbano VIII si prefisse l’obiettivo di comporre il conflitto tra Francia e Spagna con reciproca soddisfazione delle due potenze, senza che ne scapitassero gli interessi religiosi dei cattolici. Per tale ragione mediò personalmente nella ser-rata trattativa mantenuta a Roma tra il duca di Pastrana e il marchese di Sillery, ambasciatori rispettivamente del re di Spagna e del re di Francia, che si svolgeva parallela ai negoziati intavolati in Spagna tra la corte e l’ambasciatore francese ivi residente 26.

Nell’ambito dei negoziati riguardanti il diritto di passaggio degli Spagnoli attraverso la Valtellina, che essi sostenevano di possedere in entrambi i sensi, dall’Italia alla Germania e viceversa, prerogativa che i Francesi rifiutavano assolutamente di riconoscere, il papa considerava

24 Istruzione di Filippo III al duca di Escalona, ambasciatore a Roma, Lerma, 8 giu-gno 1603, edita in Istruzioni di Filippo III ai suoi ambasciatori a Roma 1598-1621, a cura di Silvano Giordano, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Dipartimento per i Beni Archivistici e Librari. Direzione Generale per gli Archivi, Roma 2006, p. 11 [Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Fonti XLV].

25 Die Hauptinstruktionen Gregors XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen 1621-1623, bearb. von Klaus Jaitner, Max Niemeyer, Tübingen 1997, p. 30 [Instructiones Pontificum Romanorum].

26 LUDWIG VON PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, XIII, Storia dei papi nel periodo della Restaurazione cattolica e della Guerra dei Trent’anni. Gregorio XV (1621-1623) ed Urbano VIII (1623-1644), Desclée & C., Roma 1961, pp. 274-288; SILVANO GIORDANO, La Santa Sede e la Valtellina da Paolo V a Urbano VIII, in La Valtellina crocevia dell’Europa. Politica e religione nell’età della Guerra dei Trent’Anni, a cura di Agostino Borromeo, Mondadori, Milano 1998, pp. 81-109.

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l’importanza di poter far transitare nella valle truppe spagnole da impiegare nelle guerre di Germania contro i protestanti. Per questo motivo propose che la questione del transito rientrasse tra i punti ri-guardanti la religione. Tuttavia Sillery si oppose a tale considerazione, ritenendo piuttosto che essa rientrasse nell’ambito degli argomenti po-litici, in quanto non ammetteva che i protestanti e gli Olandesi alleati del re di Francia fossero definiti in modo riduttivo « eretici e ribelli alla casa d’Austria » 27.

La legazione di Francesco Barberini in Francia 28, che si protrasse dal maggio al settembre del 1625, è significativa per la particolare lettura in chiave di conservazione della religione cattolica che Urba-no VIII e i suoi collaboratori davano degli avvenimenti politici. Lo scopo immediato che la missione del cardinale nipote si prefiggeva era di ottenere la riparazione dell’insulto fatto al Pontefice, in quanto custode dei forti valtellinesi e garante della pace, ad opera delle trup-pe del marchese di Coeuvres, il quale ufficialmente aveva invaso la valle a titolo personale. A ciò si aggiungeva la volontà di garantire ai cattolici valtellinesi la libertà di professare la loro religione, evitando di sottoporli nuovamente al dominio dei grigioni protestanti, alleati del re di Francia.

Francesco Barberini arrivò a Parigi in un momento poco favorevole per la sua missione, quando la principessa Henriette, sorella di Luigi XIII, era appena andata in sposa a Carlo I re d’Inghilterra e mentre erano in corso trattative di pace tra il re e gli ugonotti. Nello speci-fico della Valtellina, la Francia era decisa a restituire integralmente la sovranità ai grigioni, pur garantendo ai cattolici la libera pratica della loro confessione. Le proposte del re di Francia furono esaminate da un gruppo di collaboratori del legato composto da alcuni membri qualifica-ti del suo seguito: il cappuccino Zaccaria da Saluzzo, il gesuita Andrea Eudaemon Iohannes, confessore del cardinale, il nunzio straordinario Bernardino Spada, inviato in Francia nel 1624, e Fiorenzo Azzolini. Essi giudicarono favorevolmente le proposte del re di Francia, il quale era disposto ad implicarsi in prima persona, proponendosi come garan-te dell’accordo insieme agli svizzeri cattolici; lo stesso Francesco Bar-berini riteneva che il problema di coscienza che il papa avvertiva per il fatto di dover restituire agli eretici un territorio abitato da cattolici non sussistesse, dal momento che la valle era già quasi completamente

27 BAV, Barb. lat. 5256, f. 117rv. Istruzione a Bernardino Nari, inviato straordinario in Francia, Roma, 19 dicembre 1624.

28 CLÉMENT PIEYRE, La légation du cardinal Francesco Barberini en France en 1625, in-succès de la diplomatie du pape Urbain VIII, in I Barberini e la cultura europea del Seicento, a cura di Lorenza Mochi Onori - Sebastian Schütze - Francesco Solinas, De Luca Editori d’Arte, Roma 2007, pp. 87-91.

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in loro possesso; di conseguenza il riconoscere la situazione venutasi a creare non costituiva un atto positivo di consegna 29.

Le timide aperture del cardinale Barberini furono però frenate quando da Roma, nel plico del 21 agosto, arrivò il parere di una commissione di teologi che confermava la posizione iniziale del ponte-fice, il cui enunciato era quanto mai esplicito: « Summo Pontifici dare operam nullo modo licet, ut Grisones in Cattholicorum Vallistellinae dominium reponantur » 30. La proibizione era fatta risalire al diritto divino per due ragioni: qualora la paventata eventualità si fosse veri-ficata, « Summus Ecclesiae Pastor oves, quas Domini iussu pascendas suscepit, avidis luporum dentibus porrigeret; inoltre is qui positus est ut Christi hostes evellat et destruat, nunc eosdem ad nova dominia et principatus extolleret ».

L’affermazione era argomentata a partire dalla Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino, il quale nella II.IIae, all’interno della questione 10, che ha per oggetto l’incredulità, si chiede se chi non ha fede possa esercitare un dominio sui credenti. Nello specifico, il domenicano di-stingue tra due situazioni: vi può essere un dominio o un potere degli increduli sui fedeli che ancora deve essere istituito, e questo va escluso assolutamente, in quanto sarebbe scandaloso e pericoloso per la fede, perché coloro che sottostanno all’autorità di qualcuno sono esposti a subire l’influsso di chi comanda; vi può essere invece un dominio o un’autorità preesistente, e in questo caso va ricordato che il dominio e l’autorità sono state sancite dal diritto umano, mentre la distinzione tra fedeli e increduli deriva dal diritto divino. Poiché il diritto divino, che si fonda sulla grazia, non elimina il diritto umano, fondato sulla ragione naturale, la distinzione tra fedeli e increduli di per sé non abolisce il dominio e l’autorità degli increduli sui fedeli; tuttavia tale dominio può essere tolto giustamente da una sentenza o da un ordine della Chiesa, che ha l’autorità di Dio, poiché gli increduli a causa del-la loro incredulità meritano di perdere il potere sui fedeli. Fin qui la dottrina di Tommaso.

Nella situazione valtellinese i consultori pontifici riconoscevano lo scandalo e il pericolo per la fede contemplati dall’Aquinate, se colui che doveva essere l’esempio per il gregge del Signore, ovvero il papa, non solo intratteneva relazioni e patteggiava con gli eretici, ma anche li favoriva, nel momento in cui sottoponeva al loro dominio ciò che era appartenuto ai cattolici, invece di togliere loro quanto già possedevano, come giustamente stabiliscono le leggi. Applicando tale ragionamento,

29 BAV, Barb. lat. 6150, ff. 3v-4v. Francesco Barberini alla Segreteria di Stato, Fon-tainebleau, 30 luglio 1625.

30 Ibid., ff. 66r-68r. Il memoriale, senza data, è copiato dopo la cifra inviata dalla Segreteria di Stato al legato Francesco Barberini il 21 agosto 1625. Non è indicato l’autore.

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i teologi pontifici mostravano di considerare i protestanti alla stregua degli increduli e degli infedeli.

Lo scritto, confutando l’opinione di chi sosteneva che si dovesse scegliere il male minore, nel caso in questione la tolleranza di un pre-giudizio compiuto ai danni di una piccola popolazione in un angolo dell’Italia, piuttosto che impedire la concordia tra i maggiori principi della Cristianità, con il rischio di veder provocato uno scisma, nega che l’asserito male minore fosse tale, in quanto la cura del gregge è il primo compito del pastore, stabilito per diritto divino. Come esempi di tale preoccupazione, vengono citati i casi di Enrico III con Gregorio VII, di Ottone IV con Innocenzo III e di Federico II condannato da Innocen-zo IV al I concilio di Lione; in tali circostanze i papi non esitarono a sfidare gli stessi imperatori, pur coscienti che con il loro atteggiamento avrebbero potuto provocare uno scisma. Da qui la conclusione: i mali che si affermavano imminenti se il Pontefice non avesse acconsentito a una ingiusta richiesta sarebbero stati ancor più da temere se egli avesse collaborato all’ingiustizia.

A partire da queste premesse non era possibile trovare un’intesa con la Francia, decisa a sostenere la posizione dei grigioni e a riportare la situazione della Valtellina allo stato precedente la sollevazione del 1620. Francesco Barberini, pur essendo sempre stato accolto con tutti gli onori dovuti al suo rango, non riuscì a smuovere Luigi XIII e il cardinale de Richelieu dalle loro posizioni, per cui nei primi giorni di settembre riprese il cammino verso Roma.

Al problema valtellinese si diede soluzione l’anno seguente con il trattato di Monzón, siglato il 5 marzo 1626, quando il conte duca de Olivares e l’ambasciatore francese Fargis conclusero un negoziato intra-preso nell’ottobre precedente, condotto con grande segretezza. I termini dell’accordo prevedevano il ristabilimento della sovranità dei grigioni sulla Valtellina, l’esclusività della confessione cattolica nella valle e la facoltà per i valtellinesi di scegliersi i propri governatori e magistrati, purché professanti la confessione cattolica. Fu stabilito inoltre che i for-ti della Valtellina, occupati dal marchese di Coeuvres, fossero restituiti alla Santa Sede, la quale ne avrebbe curato la distruzione direttamente o per mano di terzi.

Francesco Barberini, che aveva ricevuto per la seconda volta la cro-ce di legato, giunse in Spagna subito dopo la firma del trattato e poté seguire l’iter della ratifica, anche se, non essendo parte in causa, non vi fu direttamente coinvolto. Ufficialmente, infatti, si era recato alla corte di Madrid per rappresentare Urbano VIII, scelto da Filippo IV come padrino di battesimo per l’infanta María Eugenia, nata il 21 novembre 1625, anche se il motivo ufficiale nascondeva in realtà il desiderio di effettuare la visita in Spagna inizialmente programmata per l’anno pre-cedente, ma non effettuata sia per il fallimento della missione a Parigi,

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sia per il fatto che Filippo IV non voleva che il viaggio in Spagna di Barberini figurasse come un’appendice della sua legazione in Francia 31.

La novità dell’accordo stipulato a Monzón, per quanto riguarda la Santa Sede, consistette nel fatto che due sovrani cattolici, senza con-sultare il papa, decidessero circa la situazione confessionale di cattolici stabiliti in un territorio non compreso nella loro giurisdizione; non solo, ma indicando la modalità di distruzione dei forti, deliberarono su fatti riguardanti la Sede Apostolica senza consultarla, modificando di propria iniziativa un accordo negoziato a Roma dal papa stesso.

Il cardinale Francesco Barberini accolse con entusiasmo la notizia relativa all’accordo di Monzón: « La verità della nuova è tanto deside-rabile, che questo me lo rende poco meno che incredibile » 32. Nella sua opinione, anche se la sostanza dell’accordo non corrispondeva alle intenzioni del papa, questi si era liberato dalla necessità di mediare tra gli opposti interessi ed ora poteva trattare liberamente con entrambe le corone, « non però per pacificarle, ma per haver da loro sodisfattione in materia della propria autorità e convenevolezza rispetto alla religion cattolica in Valtellina » 33.

L’episodio, anche se riferito a un exiguus populus in Italiae angulo, non è privo di importanza, in quanto determinò l’atteggiamento di Urbano VIII per il resto del pontificato. La rigida posizione dottrinale da lui assunta, secondo la quale non erano possibili compromessi in materia confessionale, insieme alla conferma della tradizionale dottrina che assimilava gli eretici agli infedeli, lo condusse a escludere trattative dirette o indirette con i sovrani, anche cattolici, in quanto ciò poteva implicare relazioni con acattolici. Per la stessa ragione i sovrani catto-lici furono indotti a dirimere in maniera autonoma, senza coinvolgere la Sede Apostolica, le questioni confessionali, in un’Europa in cui il mutare delle alleanze si inclinava a tener sempre meno conto delle appartenenze confessionali.

La successione di Mantova

Il 26 dicembre 1627 Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, morì senza figli, dopo aver indicato come suo erede Carlo Gonzaga, duca di Nevers. Spagnoli e imperiali non gradivano la presenza di un principe francese in un punto nevralgico dell’Italia

31 GIORDANO, La Santa Sede e la Valtellina, pp. 105-106.32 BAV, Barb. lat. 6152, f. 20r, Francesco Barberini alla Segreteria di Stato, Barcellona,

19 marzo 1626, decifrata.33 Ibid., f. 27r, Francesco Barberini alla Segreteria di Stato, Barcellona, 24 marzo

1626, decifrata.

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settentrionale, dato che Mantova e il Monferrato interessavano diretta-mente le vie di comunicazione del ducato di Milano. Richelieu aveva suggerito al duca di Nevers di lasciare al duca di Savoia il possesso del Monferrato, ma questi aveva rifiutato ogni compromesso. Da qui l’inedita alleanza tra Carlo Emanuele di Savoia e il governatore di Mi-lano Gonzalo Fernández de Córdoba, il quale diede inizio alle ostilità e cinse d’assedio Casale 34.

Urbano VIII, contrario al rafforzamento degli Asburgo in Italia, concesse con celerità inusitata la dispensa affinché il figlio di Carlo Gonzaga sposasse la nipote di Vincenzo II; il matrimonio fu celebrato la notte dal 25 al 26 dicembre, subito dopo la morte del duca. La dispensa concessa agli sposi, parenti in terzo e quarto grado, che, a detta del cardinale Barberini, era concessa « a qualsivoglia persona popolar, nonché a prencipi e famiglie grandi », risultava problematica anche a chi l’aveva concessa. Infatti, il cardinale nipote, in una missiva a Giovanni Battista Pamphilj, nunzio in Spagna, quasi a voler prevenire le obiezioni di quella corte, rigettò sul richiedente la responsabilità di valutare la convenienza della petizione 35.

La rapidità con la quale si svolsero gli eventi suscitò la disappro-vazione dell’imperatore, il cui intervento, nella sua qualità di signore feudale, non era stato debitamente sollecitato. Ebbe così inizio un pe-riodo di ostilità che si sarebbe concluso il 18 luglio 1630 con la presa e il saccheggio di Mantova da parte delle truppe imperiali, ma che avrebbe visto anche l’inizio della presenza francese in Italia, derivante dal controllo di Pinerolo 36.

I timori dei principi italiani nei riguardi dell’espansionismo asburgico, certamente condivisi da Urbano VIII, erano già stati espressi nell’istruzio-ne data a Giulio Sacchetti, inviato come nunzio ordinario in Spagna nel 1624: « Per quello che riguarda la Corona di Spagna non vi ha che de-siderare se non che, come in quella Maestà, per nostro credere, non vi è

34 ROMOLO QUAZZA, Mantova e Monferrato nella politica europea alla vigilia della guer-ra per la successione di Mantova, G. Mondovì, Mantova 1922; MANUEL FERNÁNDEZ ÁLVAREZ, Don Gonzalo Fernández de Córdoba y la Guerra de Sucesión de Mantua y del Monferrato (1627-1629), Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Escuela de Historia Moderna, Madrid 1955; DAVID PARROT, The Mantuan Succession, 1627-31: A Sovereignty Dispute in Early Modern Europe, in « The English Historical Review », 112 (1997), pp. 20-65.

35 ASV, Segr. Stato, Spagna 66, f. 263r. Segreteria di Stato a Giovanni Battista Pam-philj, nunzio in Spagna. Roma, 3 gennaio 1628, cifra: « E quanto poi al pensare alle con-seguenze che potrebbero nascerne et altre circostanze, questo tocca a chi dimanda, non havendo il concedente da far altra riflessione che alla giustizia della richiesta, e nel resto S. B.ne poteva presupporre che l’impetrante havesse usata la circospettione d’intendersene con chi gli era conveniente et opportuno, senza volersi ella stessa ingerire in cosa alcuna ».

36 SVEN EXTERNBRINK, Le coeur du monde. Frankreich und die norditalienischen Staaten (Mantua, Parma, Savoyen) im Zeitalter Richelieus 1624-1635, Lit, Münster - Hamburg - London 1999 [Geschichte 23].

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pensiero di far maggiori acquisti in pregiudicio de principi italiani, così si levi a questi qualsivoglia ombra e gelosia di potere essere offesi e ridotti in servitù dalla potenza austriaca et della Cattolica Maestà ». Secondo il papa, la Francia, il duca di Savoia e soprattutto Venezia guardavano con preoccupazione la politica bellicista condotta dai governatori di Milano, avvertendola come una minaccia diretta alla loro indipendenza 37.

All’inizio della controversia Urbano VIII cercò di trattare la questio-ne mantovana come un affare interno dell’Italia, per contrastare l’opi-nione della Spagna secondo la quale il duca di Nevers sarebbe sempre rimasto strettamente legato alla Francia, e in quanto tale perennemente sospetto alla Spagna 38. In un’udienza concessa all’ambasciatore Béthune alla fine di febbraio del 1628, il papa chiese esplicitamente che il nuovo duca di Mantova fosse considerato a tutti gli effetti come un principe italiano e che i francesi non insistessero sul fatto che era nato in Fran-cia e che vi possedeva buona parte dei suoi stati; i francesi si dovevano impegnare a sostenerlo con negoziati, escludendo positivamente la via delle armi, mentre lo stesso Nevers avrebbe dovuto mostrarsi rispettoso nei confronti dell’imperatore 39. Urbano VIII non voleva che i francesi entrassero in armi in Italia, poiché temeva che ne sarebbe derivata la guerra tra le due corone, con il conseguente danno alla cristianità 40.

La minaccia reale, come riconobbe il nunzio Pamphilj, era il fatto che Olivares, constatando che le forze del governatore di Milano era-no sotto Casale, mentre i francesi erano impegnati nell’assedio della Rochelle, voleva occupare il Monferrato con il pretesto di agire a nome dell’imperatore 41. Ferdinando II invece aveva elaborato un suo progetto, nominando due commissari, Johann von Nassau e Hermann von Questenberg, incaricati di abboccarsi con il duca di Mantova, e disapprovava le manovre militari del governatore di Milano, al punto da chiedere a Filippo IV e a Fernández de Córdoba la cessazione delle ostilità, in quanto non intendeva essere considerato come la causa delle « turbolenze d’Italia » 42.

37 Istruzione a Giulio Sacchetti, nunzio in Spagna. Roma, 27 gennaio 1624, edita in QUINTÍN ALDEA VAQUERO, España, el Papado y el Imperio durante la guerra de los treinta años. II, Instrucciones a los nuncios apostólicos en España (1624-1632), in « Miscelénea Comillas », 30 (1958), pp. 260-261.

38 ASV, Segr. Stato, Spagna 66, f. 328v. Giovanni Battista Pamphilj alla Segreteria di Stato, Madrid, 16 marzo 1628, decifrata.

39 Ibid., f. 301r. Segreteria di Stato a Giovanni Battista Pamphilj, nunzio in Spagna. Roma, 28 febbraio 1628, cifra.

40 Ibid., f. 344v. Segreteria di Stato a Giovanni Battista Pamphilj, Roma, 23 maggio 1628, cifra.

41 Ibid., ff. 333v-335r. Giovanni Battista Pamphilj alla Segreteria di Stato, Madrid, 16 aprile 1628, decifrata.

42 Ibid., f. 330v. Segreteria di Stato a Giovanni Battista Pamphilj, Roma, 5 maggio 1628, cifra.

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All’inizio di aprile del 1628, in coerenza con la sua politica di mediazione, Urbano VIII inviò Giovanni Battista Pallotto alla corte im-periale, Cesare Monti in Spagna e Alessandro Scappi, che al momento disimpegnava il compito di nunzio agli svizzeri, ai principi dell’Italia settentrionale, coadiuvato da Giovanni Francesco Sacchetti. Lo scopo della missione era evitare lo smembramento dei domini gonzagheschi, difficilmente accettabile dal duca di Nevers, secondo quanto prevede-va il piano elaborato dal governatore di Milano: Casale doveva essere consegnata al re Cattolico in deposito a nome dell’imperatore; il duca di Savoia avrebbe tenuto allo stesso titolo i territori i precedenza da lui occupati, mentre Mantova e il suo territorio sarebbero rimasti al duca di Nevers, in attesa della decisione di Ferdinando II 43.

Il progetto del governatore era visto con diffidenza dalla diplo-mazia pontificia, la quale sosteneva la necessità di non modificare un assetto territoriale al quale la Spagna aveva dato un decisivo contributo nei decenni precedenti, quanto alla configurazione e quanto al mante-nimento; essa disapprovava inoltre il brusco cambiamento operato da Fernández de Córdoba nei confronti del duca di Savoia, combattuto come un invadente vicino quando aveva manifestato l’intenzione di im-possessarsi dei domini gonzagheschi, mentre ora diventava un prezioso alleato, del quale si condividevano i metodi 44.

Le intenzioni di Urbano VIII erano in tal modo delineate: che fos-se l’imperatore a risolvere il contenzioso, riconoscendo la sovranità del duca di Nevers su Mantova e sul Monferrato, evitare un allargamento dei domini spagnoli in Italia e l’intervento armato della Francia sul territorio della penisola. Tutto ciò per non turbare « la pace d’Italia » e allo scopo di evitare uno scontro tra le due corone che avrebbe potuto risultare fatale per la religione cattolica.

Non è necessario ripercorrere il complesso iter delle trattative, già studiato nei dettagli 45, che andò di pari passo con il fallimento delle ambizioni spagnole sotto le mura di Casale e con la sfiducia maturata a Madrid nei confronti del governatore di Milano, mentre cresceva il ruolo svolto dall’imperatore nella contesa. È opportuno piuttosto riflettere sulle modalità con cui negoziare indicate dal papa ai suoi diplomatici. Cesare Monti, nunzio straordinario in Spagna, scrivendo a Giovanni Francesco Guidi di Bagno, suo omologo in Francia, esponeva

43 Ibid., f. 348r. Segreteria di Stato a Giovanni Battista Pamphilj, Roma, 28 maggio 1628, cifra.

44 Ibid., f. 306r, Segreteria di Stato a Giovanni Battista Pamphilj, Roma, 26 marzo 1628, cifra.

45 ROMOLO QUAZZA, La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631), 2 vol., G. Mondovì, Mantova 1926 [Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana. Serie II: Miscellanea 5]; PASTOR, Storia dei papi, XIII, pp. 373-412.

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le restrizioni imposte dal pontefice, che impedivano un’efficace parte-cipazione ai negoziati:

Il proporre noi formalmente partiti come cosa nostra ci è vietato per le istruttioni di N. S.re, il quale per conservarsi la confidenza di tutti i principi interessati a maggior servitio del negotio medesimo ha per bene che suoi ministri non entrino a proporre partiti che possono dar ombra di propensione ad alcuna delle parti, le quali però vuole S. S.tà che siano esortate a dichiararsi de mezi per aggiustarli e per incaminarli poi con ogni studio alla sodisfattione comune.

Evidentemente, allo scopo di evitare qualsiasi accusa di parzialità, il papa aveva proibito ai nunzi di assumere l’iniziativa. Si diede il caso che neppure l’ambasciatore di Francia a Madrid avesse il potere di negoziare, per cui i due nunzi, Pamphilj e Monti, si limitarono ad osservare gli eventi 46.

La situazione si aggravò durante l’estate del 1629, quando l’im-peratore occupò militarmente i passi alpini che scendevano in Italia, aumentando così ulteriormente il clima di instabilità che si era svi-luppato nei mesi precedenti, al punto da indurre il papa a mettere in stato di allarme le truppe di stanza in Romagna 47 e da inviare una nuova spedizione diplomatica. Giovanni Giacomo Panciroli all’inizio di novembre si recò presso il governatore di Milano 48, mentre un paio di settimane dopo si mise in viaggio il cardinale Antonio Barberini, fratello di Francesco, accompagnato da un seguito di 156 persone 49. In quanto legato de latere, la sua missione non era limitata all’Italia, ma si estendeva genericamente anche all’imperatore e agli altri prin-cipi. Lo accompagnava Giulio Mazzarino 50, che nei mesi addietro si era distinto in Lombardia come segretario di Giovanni Francesco Sacchetti. Facendo un estremo tentativo, il papa inviò a Vienna il car-melitano scalzo Domenico di Gesù Maria, che lasciò Roma, dove non sarebbe più ritornato, il 22 ottobre 1629. La sua fama di taumaturgo e la considerazione di cui godeva presso Ferdinando II lo rendevano la persona ideale per consigliare l’imperatore circa un soggetto, quale

46 ASV, Segr. Stato, Spagna 69, f. 143rv. Cesare Monti, nunzio straordinario in Spagna, a Giovanni Francesco Guidi di Bagno, nunzio in Francia, Madrid, 18 luglio 1629, copia.

47 BAV, Barb. lat. 6001, ff. 3v-7v: « Instruttione al Sig. Marchese di Bagno, nostro logotenente nella provincia di Romagna », Roma, 1 ottobre 1628, copia; ne è autore Carlo Barberini.

48 ASV, Segr. Stato, Nunz. Paci 4, f. 6rv: « Spaccio consegnato a mons. Panziroli, nunzio straordinario di N. S.re in Lombardia questo dì 7 novembre 1629. I brevi commen-datizi da lui portati sono datati parte 1° e parte 7 novembre ». Ibid., ff. 62r-82r; 124r-125r.

49 Ibid., ff. 238r-239r: « Rolo della famiglia dell’Ill.mo R.mo S. Card. Antonio Barberino ».50 BAV, Barb. lat. 6003, ff. 3r-4v: « Copia dell’instruttione data al signor Giulio Maz-

zarini », senza data; ne è autore il cardinale Antonio Barberini jr.

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era l’interesse della religione cattolica nell’impero e in italia, circa il quale avrebbe dovuto prevalere l’opinione del confessore piuttosto che quella dei consiglieri politici. Tuttavia Ferdinando ii aveva già stabilito di risolvere con le armi le sorti di Mantova, e neppure le infiammate esortazioni del religioso riuscirono a farlo tornare sulle sue decisioni 51.

Richelieu, Guidi di Bagno e Mazzarino

se la posizione ufficiale di Urbano viii prevedeva la stretta neu-tralità del « padre comune », il conflitto mantovano significò una scelta di campo in favore della Francia, che ebbe come conseguenza il di-stanziamento dalla spagna, mantenuto poi per il resto del pontificato.

gli storici Quintín aldea vaquero 52 e georg lutz hanno ricostruito indipendentemente l’uno dall’altro il ruolo svolto dal nunzio in Francia giovanni Francesco guidi di Bagno nel sollecitare l’intervento in italia degli eserciti di luigi Xiii. stando alla documentazione conservata, il nunzio avrebbe agito con ampia autonomia rispetto alla posizione uffi-ciale del papa e della curia. infatti, non appaiono nella corrispondenza indicazioni date al diplomatico in deroga alla linea ufficiale; d’altra parte egli non fu mai smentito, anzi, al suo ritorno a roma nel 1631, fu immediatamente insignito del cappello cardinalizio e divenne uno dei principali riferimenti del partito francese presso la Curia 53.

secondo la ricostruzione dello storico tedesco, dopo la caduta della rochelle guidi di Bagno avrebbe indotto il cardinale de richelieu a condurre le armi del re in italia, invece di continuare immediatamente la campagna militare contro gli ugonotti nel sud-ovest della Francia. Per il ministro di luigi Xiii si trattò di una decisione determinante, in quanto essa significò la rottura definitiva con il partito devoto, so-stenitore di un accordo ad ogni costo con la spagna 54. in tal modo il nunzio ottenne due importanti risultati: si evitò che i cattolici inglesi subissero rappresaglie e gli spagnoli furono costretti a interrompere l’assedio di Casale e a ritirare le truppe dal Monferrato. non a caso il 24 aprile 1629 fu siglato a susa il trattato di pace tra la Francia e l’inghilterra, i cui negoziati duravano ormai da mesi, che sancì la nor-

51 Silvano Giordano, Domenico di Gesù Maria, Ruzola (1559-1630). Un carmelitano scalzo tra politica e riforma nella chiesa posttridentina, Teresianum, roma 1991, pp. 241-259 [institutum Historicum Teresianum. studia 6].

52 Quintín aldea vaQuero, La neutralidad de Urbano VIII en los años decisivos de la guerra de los treinta años (1628-1632), in « Hispania sacra », 21 (1968), pp. 155-178.

53 rotraud Becker, Guidi di Bagno, Giovanni Francesco, in dBi, 61, roma 2003, pp. 336-341.

54 Pierre Blet, Richelieu et l’Église, via romana, versailles 2007, pp. 111-115.

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malizzazione dei rapporti tra le due corone e allo stesso tempo significò l’abbandono del progetto di invasione congiunta dell’Inghilterra a lungo vagheggiato da Francia e Spagna e incoraggiato dal papa 55.

È lo stesso nunzio Guidi di Bagno che, scrivendo da Susa al car-dinale Francesco Barberini il 14 marzo 1629, si attribuisce il merito di aver conservato la libertà della patria:

Dall’altr’hieri in qua, il re è con tutta la sua corte alloggiato in Italia et a me è parso entrar in un’altra aria. [...] Morirono contenti quei che qualche rilevante servitio facevano alla lor patria, specialmente conservan-doli la libertà. Io morirò contento pensando haverlo fatto notabile alla mia d’Italia, per preservarla dalla servitù di nation straniera, mentre ho suggerito al re, per mezzo del card. di Riccelieu, e sollecitatolo d’acqui-stare un posto in Italia per poter senza impedimento soccorrerla contro chi la vorrà soggiogarla. Hora vi siamo dentro, e si pensa di ritenerlo e contentar il duca di Savoia in altro modo. Io ne giubilo fra me stesso e partecipo questa mia contentezza a V. S. I., che m’ha dato modo di procurarla e di render questo servitio alla patria comune. Se Spagnuoli sapessero che N. S.re non ha voluto concorrere all’invito fattoli per la cacciata loro da Milano e che per rispetto della S.tà S. s’è lasciato di ten-tar quell’impresa, non potrebbero già mai pagare l’obligo che li devono, perché chi vede la militia e la forza ch’ha hora il re di Francia, non può non giudicare che le cose loro erano in gran periglio. Un giorno V. S. I. mi darà licenza di testificarglelo 56.

La lettera lascia intendere che fu Guidi di Bagno a suggerire a Richelieu di condurre le truppe in Italia, mentre il papa mantenne la sua posizione ufficiale di neutralità, evitando di stringere un’alleanza con il re di Francia che avrebbe potuto condurre alla conquista di Milano e all’espulsione degli spagnoli dall’Italia settentrionale. Resta da sapere quale fu il grado di autonomia con il quale agì il nunzio in Francia e fino a che punto a Roma si era informati sullo sviluppo delle sue trattative.

Che si trattasse di una strategia in qualche modo programmata a Roma lo lascia pensare l’azione di Giulio Mazzarino 57, il quale cominciò la sua carriera come inviato straordinario nell’Italia settentrionale nel 1629, al seguito dal cardinale Antonio Barberini jr. Alla fine di ottobre

55 GEORG LUTZ, Kardinal Giovanni Francesco Guidi di Bagno. Politik und Religion im Zeitalter Richelieus und Urbans VIII., Max Niemeyer, Tübingen 1971, pp. 365-371 [Biblio-thek des Deutschen Historischen Instituts in Rom 34].

56 Mantova, Archivio Guidi di Bagno, T 11, I, 144-145, citato in LUTZ, Kardinal Gio-vanni Francesco Guidi di Bagno, pp. 369-370, n. 198; cfr. ALDEA VAQUERO, La neutralidad de Urbano VIII, pp. 168-169.

57 OLIVIER PONCET, Mazzarino (Mazzarini, Mazarin), Giulio, in DBI, 72, Roma 2009, pp. 520-528.

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del 1630 egli riuscì ad evitare uno scontro tra l’esercito francese e le forze spagnole comandate dal marchese di Santa Cruz, governatore di Milano, che avrebbe potuto condurre alla sconfitta dei francesi, infe-riori di numero, e alla conquista di Casale da parte del governatore di Milano. Poco dopo egli partecipò per conto del pontefice alle trattative che condussero alla pace di Cherasco (6 aprile e 19 giugno 1631), la quale pose fine alla contesa riguardante Mantova e il Monferrato, ac-cordo che consentì alla Francia di acquisire la piazzaforte di Pinerolo, considerata la « porta d’Italia ». Infatti, nel gennaio 1631 Mazzarino si recò a Parigi, dove negoziò un trattato segreto tra il re di Francia e il duca di Savoia, firmato il 31 marzo, il quale stipulava un’alleanza offensiva e difensiva tra i due contraenti, garantiva al duca di Savoia il possesso di una parte del Monferrato e lasciava alla Francia il possesso di Pinerolo e della val Perosa, nonostante eventuali trattati conclusi o da concludere che potessero stabilire il contrario 58.

Il secondo asse sul quale si mosse la diplomazia di Urbano VIII fu l’instaurazione di rapporto privilegiato con Massimiliano di Baviera, il quale condivideva gli obiettivi della Sede Apostolica fin dai tempi della Montagna Bianca. Nell’istruzione data al nunzio Bernardino Spa-da, inviato in Francia nel 1624, Urbano VIII ricordava come i francesi « si adoperarono efficacemente acciò che la dignità elettorale cadesse in persona del duca di Baviera » 59. La situazione europea verificatasi alla fine degli anni Venti spinse la Curia romana a favorire un’intesa tra la Francia e i Wittelsbacher, prospettando una sorta di bilanciamento rispetto all’alleanza tra i due rami degli Asburgo, come alternativa cattolica al predominio della cattolica Casa d’Austria. Su sollecitazione del duca Massimiliano, il cardinale Francesco Barberini spinse Guidi di Bagno a negoziare un avvicinamento tra la Francia e la Baviera 60. In questo clima maturarono le simpatie romane per la candidatura im-periale del duca bavarese e la conclusione del trattato segreto siglato a Fontainebleau il 30 maggio 1631, nuovamente sotto gli auspici del nunzio Guidi di Bagno, che rappresentò gli interessi francesi, a diretto contatto con il cardinale de Richelieu, nei negoziati con il consigliere segreto bavarese Wilhelm Jocher 61.

58 ALDEA VAQUERO, La neutralidad de Urbano VIII, pp. 18-20; AUGUSTE LEMAN, Urbain VIII et la rivalité de la France et de la Maison d’Autriche de 1631 à 1635, Giard - Champion, Lille - Paris 1920, pp. 23-28 [Mémoires et travaux publiés par des professeurs des facultés catholiques de Lille 16].

59 LEMAN, Recueil des instructions générales, pp. 51-52.60 DIETER ALBRECHT, Die auswärtige Politik Maximilians von Bayern 1618-1635,

Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1962, pp. 211-262 [Schriftenreihe der historischen Kommission bei der Bayerischen Akademie der Wissenschaften 6].

61 BLET, Richelieu et l’Église, pp. 118-121; DIETER ALBRECHT, Maximilian I. von Bayern 1573-1651, Oldenbourg, München 1998, pp. 719-731.

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l’accordo tra la Francia e la baviera fu pazientemente tessuto da Guidi di bagno nell’arco di un paio d’anni, a partire dall’inizio del 1629; esso comportava un’alleanza difensiva tra i due sovrani, la neu-tralità della baviera e della lega cattolica rispetto agli olandesi, ai quali si opponeva ormai solo la spagna, il blocco dell’elezione di Ferdinan-do, figlio dell’imperatore, a re dei romani in occasione della dieta di regensburg, un’eventuale candidatura di Massimiliano sostenuta della Francia e la dimissione del generale Wallenstein. Per il duca di baviera era importante assicurarsi l’appoggio francese allo scopo di conservare il titolo elettorale recentemente acquisito non senza difficoltà, mentre la Francia puntava alla neutralità della baviera in vista di un eventuale conflitto con la spagna o con l’imperatore. le trattative furono condot-te nel più stretto riserbo, inizialmente solo mediante la corrispondenza; tuttavia il nunzio a Parigi tenne debitamente informato il cardinale nipote 62, il quale però, anche a cose fatte, continuò a smentire le voci circolanti relative al coinvolgimento del nunzio, e di conseguenza della sede apostolica, anche dopo che una parte compromettente del car-teggio del nunzio era caduta in mano degli spagnoli.

scrivendo a ciriaco rocci, nunzio presso la corte imperiale, Fran-cesco barberini così si esprimeva:

tutto quello che V. s ha udito del signor card. di bagno in propo-sito della supposta lega fra ’l re di Francia e ’l signor duca di baviera bisogna che sia qualche trama de mal intentionati che con questo mezzo vogliono mettere diffidenza tra nostro signore e sua Maestà cesarea. [...] noi sappiamo che al signor card. di bagno di qui non è stato dato ordine alcuno di mescolarsi in questi affari e che s. em. è tanto circumspetta e prudente e puntualissima, tanto in eseguire quel che se gli ordina, quanto nell’astenersi da quello che non se li dice, che non haverà mai per pen-siero messo mano in questi affari 63.

le cose però andarono diversamente da quanto Urbano VIII avrebbe desiderato. nel momento in cui Francia e baviera siglarono l’accordo, Gustavo adolfo di svezia era già sbarcato in Germania, dove presto sarebbe divenuto punto di riferimento per i protestanti, in rotta con l’imperatore a motivo dell’editto di restituzione. si aprì dunque un nuovo periodo di conflittualità pregiudiziale per gli interessi dei cattolici, nonostante gli accordi di salvaguardia stipulati tra richelieu e il re svedese. la gestione del conflitto mantovano da parte di Urbano VIII aveva provocato il distanziamento della spagna e dell’imperatore,

62 AldeA VAquero, La neutralidad de Urbano VIII, pp. 20-21.63 barberini a rocci, roma, 30 agosto 1631, edita in Nuntiaturberichte aus Deutschland,

sezione IV: 17. Jahrhundert, IV, Nuntiaturen des Giovanni Battista Pallotto und des Ciriaco Rocci (1630-1631), bearb. von rotraud becker, Max niemeyer, tübingen 2009, p. 549.

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che si sarebbe ulteriormente approfondito negli anni a venire per la tiepidezza da lui mostrata rispetto alle sorti dei cattolici nell’impero, ma non aveva legato al papa la Francia, la cui politica di aperta alleanza con i protestanti dell’impero, con gli olandesi e con i turchi in funzione antiasburgica non mancava di destare perplessità.

A Urbano VIII rimase l’Italia, dove la presenza spagnola era inde-bolita, ma pur sempre egemone, e la sua pregiudiziale antiprotestante: troppo poco per nutrire le aspirazioni universalistiche del papato.

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