PAOLO VI E IL MONDO DEL LAVORO -...

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1 PAOLO VI e il mondo del lavoro

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PAOLO VI

e il mondo del lavoro

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INDICE

Introduzione Don Ruggero Zani 8

Discorso ai partecipanti al congresso di studi organizzato dall'Ente Nazionale A.C.L.I. per la Formazione Professionale (E.N.A.I.P.) Domenica, 6 ottobre 1963 9

Discorso a gruppi di lavoratori Sabato, 19 ottobre 1963 11

Discorso alla «Casa del Giovane Operaio» di Milano Sabato, 30 novembre 1963 15

Discorso ad una cospicua rappresentanza delle A.C.L.I. Sabato, 21 dicembre 1963 17

Santa Messa nella Basilica Vaticana - Omelia Domenica, 26 gennaio 1964 21

Messa per i dipendenti dell'azienda statale dei telefoni - Omelia 23 febbraio 1964, Seconda domenica di Quaresima 24

Santa messa per i tranvieri di Roma ed i calzaturieri di Vigevano - Omelia Domenica, 15 marzo 1964 27

Pellegrinaggio della FIAT - Omelia Giovedì, 19 marzo 1964, festività di S. Giuseppe 30

Discorso ai lavoratori delle industrie della Campania Sabato, 25 aprile 1964 33

Festività di S. Giuseppe Artigiano - Omelia Venerdì, 1° maggio 1964 36

Discorso ai lavoratori della «Saffa» Sabato, 5 maggio 1964 39

Discorso al pellegrinaggio di lavoratori bresciani Sabato, 9 maggio 1964 41

Discorso ai dirigenti, funzionari e maestranze dell’E.N.I. Venerdì, 29 maggio 1964 42

Discorso al XI Congresso Nazionale dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (U.C.I.D.) Lunedì, 8 giugno 1964 44

Discorso ai partecipanti alla 1ª settimana di studio

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sulla «presenza e funzione del sacerdote nelle comunità di lavoro» Venerdì, 26 giugno 1964 47

Udienza generale Mercoledì, 9 settembre 1964 49

Discorso ai partecipanti al IX Congresso Nazionale del Movimento Giovanile delle A.C.L.I. Martedì, 5 gennaio 1965 53

Discorso a vari gruppi di pellegrini italiani Domenica, 14 febbraio 1965 55

Discorso nel XX anniversario delle A.C.L.I. Festività di S. Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale Venerdì, 19 marzo 1965 59

Discorso alle rappresentanti dell’«opera impiegate» Sabato, 20 marzo 1965 63

Discorso ai membri della società «Permaflex» Sabato, 27 marzo 1965 64

Radiomessaggio alle A.C.L.I. di Milano Sabato, 1° maggio 1965 65

Udienza generale - Festa di San Giuseppe Artigiano Sabato, 1° maggio 1965 66

Discorso ai dirigenti e alle maestranze della società «Gio. Buton e rosso antico» di Bologna Sabato, 15 maggio 1965 68

Discorso alla società «Salmoiraghi» e alla società «Fratelli Testori» Venerdì, 28 maggio 1965 70

Discorso ai lavoratori della società «Elettrocondutture» Sabato, 19 giugno 1965 72

Udienza generale Mercoledì, 23 giugno 1965 73

Discorso alla Società Editrice «La Scuola» di Brescia Lunedì, 28 giugno 1965 77

Discorso a diversi gruppi di pellegrini Lunedì, 28 giugno 1965 79

Radiomessaggio ai lavoratori italiani in Germania Lunedì, 1° novembre 1965, festività di Tutti i Santi 82

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Parrocchia di San Giovanni Battista a Casal Bruciato - Omelia

Domenica, 21 novembre 1965 83

Incontro con le rappresentanze dei gruppi di lavoro in Africa Lunedì, 3 gennaio 1966 86

Discorso all’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti Lunedì, 7 febbraio 1966 88

Visita ai cantieri edili di Pietralata Mercoledì, 9 febbraio 1966 90

Visita alla centrale dei servizi per la nettezza urbana Martedì, 15 febbraio 1966 94

Visita ad un importante stabilimento chimico - farmaceutico Giovedì, 24 febbraio 1966 97

Omelia - Festa di San Giuseppe Artigiano Domenica, 1° maggio 1966 100

Omelia - Celebrazione del LXXV anniversario della «Rerum Novarum» Domenica, 22 maggio 1966 103

Discorso a gruppi di lavoratori e di sposi cristiani Sabato, 18 giugno 1966 106

Omelia - Santa Messa al centro industriale di Colleferro Domenica, 11 settembre 1966 108

Discorso agli anziani della società O. M. di Brescia Sabato, 5 novembre 1966 110

Discorso VI al pellegrinaggio dell'Unione Italiana dei Parrucchieri Lunedì, 21 novembre 1966 111

Discorso ai dirigenti e ai collaboratori dell’E.N.E.L. Lunedì, 19 dicembre 1966 113

Discorso ad un gruppo di lavoratori dell'industria Lunedì, 20 febbraio 1967 115

Discorso all’azione cattolica e ai lavoratori Lunedì, 1° maggio 1967 116

Discorso ad un pellegrinaggio di operai napoletani Sabato, 3 giugno 1967 119

Udienza generale Mercoledì, 20 marzo 1968 121

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Discorso agli assistenti ecclesiastici delle Acli Mercoledì, 24 aprile 1968 123

Udienza generale «la pace di Cristo esulti nei vostri cuori» Mercoledì, 1° maggio 1968 126

Discorso ai netturbini di Firenze Domenica, 8 settembre 1968 128

Omelia - Santa Messa di mezzanotte nel centro siderurgico di Taranto Notte Santa, 24-25 dicembre 1968 129

Discorso all'assemblea dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro nel 50° anniversario della sua fondazione Ginevra, Mercoledì 10 giugno 1969 134

Discorso alla Federazione dei Portieri d'Albergo Sabato, 29 novembre 1969 141

Angelus Domini Giovedì, 19 marzo 1970, festività di San Giuseppe 142

Discorso ad un gruppo di lavoratori anziani dell’industria Giovedì, 5 febbraio 1970 143

Udienza generale di Paolo VI Mercoledì, 22 aprile 1970 144

Udienza generale Sabato, 25 aprile 1970 147

Discorso ai pellegrini convenuti nella Basilica vaticana nella festa di San Giuseppe Artigiano Venerdì, 1° maggio 1970 151

Udienza generale Mercoledì, 24 giugno 1970 153

Udienza generale Mercoledì, 8 luglio 1970 157

Discorso ad un gruppo di sacerdoti italiani dediti all’assistenza spirituale ai lavoratori emigranti Mercoledì, 8 luglio 1970 161

Discorso ai partecipanti al convegno nazionale dell’Associazione Cristiana Artigiani Italiani Lunedì, 5 ottobre 1970 162

Udienza generale di Paolo VI Sabato, 20 marzo 1971 163

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Udienza ai lavoratori in occasione della solennità di San Giuseppe Artigiano Sabato, 1° maggio 1971 166

Regina Coeli Domenica, 16 maggio 1971 168

80° anniversario della «Rerum Novarum» - Omelia Domenica, 16 maggio 1971 169

Discorso ai sacerdoti incaricati dell’assistenza ai lavoratori Sabato, 4 dicembre 1971 171

Santa messa nella solennità di San Giuseppe Artigiano - Omelia Lunedì, 1° maggio 1972 175

Udienza generale Mercoledì, 10 maggio 1972 178

Incontri nell’anniversario del transito di Papa Giovanni XXIII Sabato, 3 giugno 1972 184

Discorso ai sacerdoti partecipanti ad un corso di esercizi spirituali a Frascati Mercoledì, 30 agosto 1972 187

Udienza generale Mercoledì, 1° maggio 1973 188

Udienza generale Mercoledì, 27 marzo 1974 192

Udienza generale Mercoledì, 1° maggio 1974 195

Solennità di San Giuseppe - Omelia 19 marzo 1975 197

Festa di San Giuseppe Artigiano - Omelia 1° maggio 1975 199

Discorso a 25.000 lavoratori della regione Campania Sabato, 21 giugno 1975 202

Discorso al pellegrinaggio giubilare dei fiorentini Venerdì, 14 novembre 1975 204

Angelus Domini Domenica, 12 settembre 1976 206

Angelus Domini Domenica, 22 agosto 1976 207

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Discorso ai dirigenti e ai funzionari del Centro Internazionale di Perfezionamento Tecnico e Professionale di Torino Mercoledì, 15 settembre 1976 208

Discorso al consiglio nazionale del Movimento Cristiano Lavoratori Sabato, 4 dicembre 1976 208

Discorso ai congressisti dell’UCID Sabato, 12 febbraio 1977 209

Regina Coeli Domenica, 1° maggio 1977 210

Angelus Domini Domenica, 21 agosto 1977 211

Angelus Domini Domenica, 28 agosto 1977 212

Udienza generale Mercoledì 1° febbraio 1978 212

Udienza generale Mercoledì, 3 maggio 1978 215

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Introduzione

La memoria di Paolo VI è presente in questa sua terra e non mancano pubblicazioni di vario genere

che contribuiscono a mantenere vivo il ricordo, e soprattutto a ravvivare i temi del suo magistero.

Se guardiamo al tempo del dopo Concilio scorgiamo un “Santo Padre” saggio, paziente, deciso e

amorevole nel guidare la Chiesa sulla via non sempre sgombra di ostacoli che le era stata indicata.

Se poi consideriamo l’apertura all’intera umanità che così chiaramente emerge dalla Gaudium et

Spes e dalla Populorum Progressio non possiamo non ammirare la grande apertura mondiale che ha

saputo indicare alle persone di buona volontà.

Sul tema del lavoro ritroviamo quei pensieri che la Chiesa stava elaborando fin dai tempi della

Rerum Novarum e che ricevono ulteriore impulso dal Concilio e dal magistero di Paolo VI. La

priorità del lavoro sui mezzi di produzione, la dignità del lavoratore che deve essere visibile nel

momento in cui la persona svolge la sua attività, il valore del tempo libero e della festa.

Altri capitoli importanti sono quello della partecipazione alla gestione dell’impresa e della

conflittualità nel mondo del lavoro per affrontare la quale mai si deve abbandonare la strada del

dialogo tra le parti.

Abbiamo quindi raccolto volentieri il lavoro paziente di mons. Angelo Bonetti, che ha catalogato i

discorsi di Paolo VI relativi alla tematica del lavoro, e lo abbiamo reso disponibile a tutti coloro che

ne vorranno usufruire.

A mons. Bonetti il ringraziamento delle ACLI, che hanno dato veste informatizzata a questo lavoro,

e dell’Ufficio diocesano di Pastorale Sociale.

don Ruggero Zani

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DISCORSO AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO DI STUDI

ORGANIZZATO DALL'ENTE NAZIONALE A.C.L.I. PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE (E.N.A.I.P.)

Domenica, 6 ottobre 1963

Cari Signori e cari Amici, e tutti cari Figliuoli!

Ecco un’udienza che Ci apre il cuore a vivi sentimenti e a grandi pensieri: i sentimenti, che sono di affezione, di compiacenza, di speranza, vanno principalmente alle persone, vanno ai promotori, vanno agli intervenuti al Convegno nazionale di studio su «La formazione professionale in Italia», vanno ai Maestri ed agli Alunni che frequentano i corsi d’Istruzione professionale promossi dalle ACLI, vanno alle ACLI, a questa grande e cara Associazione cristiana dei Lavoratori italiani, alla quale Ci sentiamo legati da molti ricordi, da molta benevolenza e da molti desideri: sono sentimenti, che non possono in questo breve momento trovare espressione adeguata, ma che Ci obbligano a salutare con paterna cordialità tutta la immensa famiglia delle ACLI, ad assicurarla della Nostra premurosa memoria e ad incoraggiarla nel suo intento di raccogliere nelle sue file i Nostri carissimi Lavoratori, di aprire gli animi alla concezione moderna e cristiana della società e di temprarne le forze morali e spirituali per una vita buona e forte, degna di uomini e di cristiani del tempo nostro.

Sentimenti vivi, diciamo, a cui si associano grandi pensieri; e questi sono piuttosto rivolti al tema del Convegno, che vuol trovare in questo incontro la sua felice conclusione; il tema, già enunciato, della formazione professionale. Neppure ai pensieri, che argomento di tanta ampiezza e di tanta importanza risveglia nel Nostro spirito, potremo dare qui lo svolgimento che essi meriterebbero, non forse per una Nostra particolare competenza in materia, quanto piuttosto per i riferimenti ch’essi comportano con tutta la concezione della vita moderna e con tutto l’ordinamento verso cui si orienta oggi l’educazione delle nuove generazioni. La formazione professionale, e a suo servizio la scuola moderna, viene assumendo una funzione determinante e qualificante della società odierna; impegna l’attenzione di quanti ne studiano i fenomeni salienti e ne curano il progressivo svolgimento; s’innesta nel piano della pedagogia e della psicologia contemporanea; tocca la vita personale, familiare, sociale; reclama l’assistenza dei genitori, dei maestri, degli imprenditori, dei pastori d’anime; merita, insomma, ogni interesse.

Ottimo perciò il vostro proposito di dare al Convegno nazionale di studio simile oggetto. Non possiamo che compiacerci di simile scelta; e non possiamo tacere il Nostro elogio per averlo considerato, analizzato, finalizzato, mediante trattazioni e discussioni meritevoli di attenzione e di plauso. I lavori ampli e seri del Convegno Ci dispensano di entrare Noi stessi nel vivo del vostro tema; a Noi ora non resta che raccomandare a voi, ed a quanti giunge il vostro raggio di azione, di perseverare nello studio di cotesto problema, che giustamente è stato definito «problema di attualità permanente»; e di fare quanto è possibile perché esso abbia sollecita ed adeguata soluzione.

Ci limitiamo perciò ad alcune brevi e semplici osservazioni. Di cui la prima riguarda la genesi della formazione professionale: essa nasce dalla vita, ancor prima che dalla scuola; dalla pratica, ancor prima che dalla teoria; dall’iniziativa privata, ancor prima che da quella pubblica. Non che lo Stato non abbia, oggi almeno, e doveri e meriti preponderanti verso la formazione professionale; ma è facile e doveroso osservare che la sua iniziativa non è la sola, spesso non è la prima.

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La stessa istituzione del vostro Ente promotore di istruzione professionale dimostra, ad un tempo, la vigile e feconda sensibilità delle ACLI nell’interpretare e nel servire, senza che altri suggerisca e anticipi soccorsi, le esigenze latenti ed impellenti della vita dei lavoratori; ed insieme dimostra come la scuola, se vuol essere vivo fenomeno di popolo, dev’essere libera e pluralistica, e quando sorge così provvida e spontanea dal buon volere di cittadini fedeli, deve trovare nell’ordinamento civile protezione, aiuto, disciplina, complemento, piuttosto che abbandono, o freno, o scoraggiante sperequazione di trattamento. Va dunque riconosciuto alle ACLI un merito grande per aver dato origine ad una vasta e promettente rete di scuole professionali, istituite con audacia e con amore ammirabili, gestite con serietà e tenacia non meno commendevoli, e adattate a bisogni scoperti e impellenti. Abbiamo Noi stessi visto da vicino, durante il Nostro ministero pastorale a Milano, esperimenti di questo genere, e abbiamo notato con stupore e con compiacenza la dedizione generosa, da un lato, dei promotori e dei maestri. la rispondenza magnifica; dall’altro, dei giovani - ed anche non sempre giovani - frequentatori di quelle scuole professionali, dove veramente l’impegno di tutti raggiunge quasi un livello ascetico, il rendimento un risultato insperato, la fusione degli animi una mirabile armonia di solidarietà e di fraternità. Veramente le ACLI in tale sforzo danno prova di fedeltà al loro programma e di capacità di saperlo degnamente attuare.

Il Nostro encomio, in materia di formazione professionale, deve allargarsi a molte altre istituzioni dipendenti dalla Autorità ecclesiastica, a tutti notissime e da tutti riconosciute meritevoli di fiducia, di riconoscenza e di appoggio; basti accennare, ad esempio, a quelle dei Salesiani, per dimostrare che cosa possa la Chiesa e il suo genio educatore per il bene del popolo lavoratore e per la gioventù che cresce nella civiltà della tecnica e dell’industria; e basta osservare come dovunque la vita pastorale riesce a svilupparsi secondo la linea dei bisogni della nostra gente, che subito si pronuncia il proposito, si direbbe istintivo ma spesso solo per tentativo, di fondare una scuola che qualifichi il lavoratore all’arte sua, e gli infonda il senso della dignità della sua fatica, nell’amore, non più nel rancore o nell’odio, alla società che così lo educa e lo onora.

E dobbiamo infine rilevare come saggiamente voi parlate di «formazione», comprendendo in questa parola programmatica una complessità di scopi, e perciò di metodi, che onora la vostra coscienza umana e cristiana. La vostra attività non è diretta soltanto a «qualificare» il lavoratore, a renderlo cioè idoneo a compiere il suo ufficio, che la macchina moderna e la strumentazione e la complessità del lavoro moderno esigono appunto che sia dotato di particolari nozioni e di specifiche abilità; a voi non basta preparare dei tecnici, fare delle macchine umane, capaci di guidare strumenti e di raggiungere certi risultati produttivi. Una scuola professionale, la quale non mirasse che a questo, solleverebbe il dubbio se rappresenti veramente un progresso nel grande ciclo della educazione umana. Il pericolo dell’orientamento scolastico moderno è appunto questo tecnicismo, se limitato a se stesso e privo di ricchezza interiore, il quale, in forza precisamente del suo sviluppo esteriore e delle sue finalità contingenti, può aggravare l’alienazione dell’alunno oggi, dell’uomo e del cittadino domani, e dare a lui, in definitiva, una formula di vita deludente e infelice.

Se la scuola professionale, posta di fianco e in vantaggio al grande fenomeno del lavoro tecnico e industrializzato, rivendica giustamente l’importanza del fattore umano nel confronto con ogni altro fattore operativo e produttivo, voi conferite alla scuola stessa quella pienezza che tende non soltanto a coordinare l’alunno allo strumento del suo lavoro, e a farne un complemento intelligente, sì, e indispensabile, ma quasi meccanico e in certa misura vincolato e subordinato al suo strumento; ma tende a fare altresì dell’alunno un uomo, un uomo completo, un uomo pensante e responsabile, un uomo edotto, non solo delle realtà meccaniche, economiche e sociali, ma di quelle altresì morali, spirituali e religiose; un uomo, in una parola, cristiano.

Questo è merito di valore incomparabile, al cui raggiungimento sono ora rivolte le Nostre esortazioni e le Nostre speranze.

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Continuate nell’opera vostra: che è buona, che è provvida, che è civile, che è cristiana: vi incoraggia e vi segue la Nostra Benedizione Apostolica.

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Mit besonderer Freude begrüssen Wir bei dieser Audienz jene deutschen Pilger, die der «Deutschen Jugendkraft» angehören.

Drei Tatsachen machen Uns ihren Besuch besonders erfreulich: Erstens: es sind junge Deutsche, Vertreter also eines grossen und starken Volkes; zweitens: es sind Sportler, die sich der körperlichen Ertüchtigung verpflichten, die einen so breiten Raum einnimmt bei der Ausbildung des Menschen und in der Auffassung des Lebens; drittens: es sind katholische junge Menschen, also befähigt, ihrer Jugend einen wahren und vollen Lebens-sinn zu geben, der getragen ist von den geistigen Werten des Glaubens und der Gnade.

Wir sehen auch hier anwesend Seine Exzellenz den von Uns geliebten und hochgeschätzten Mons. Jäger, Erzbischof von Paderborn, dem Wir Unseren väterlichen Grüss entbieten.

Wir wünschen Ihnen persönlich wie Ihrer Vereinigung alles Gute und segnen Sie von Herzen.

Bei dieser Audienz sind auch anwesend andere Pilger aus Deutschland und aus Oesterreich. Auch diesen gilt Unser väterlicher Gruss und Unser Segen. Wir segnen auch alle Andachtsgegenstände, die Sie mitgebracht haben.

We welcome with paternal affection the English Students who are present at this Audience.

While extending Our cordial greetings to them, We bless them and their dear ones and We invoke upon them all an abundante of heavenly favours and divine graces.

DISCORSO A GRUPPI DI LAVORATORI

Sabato, 19 ottobre 1963

Il Santo Padre accoglie con riconoscenza la parole sapienti e gentili che sono state adesso pronunziate e se ne compiace con chi le ha espresse con tanta convinzione e con tanta nobiltà.

È per il Papa motivo di letizia vedere dinanzi a Sé delle categorie che potrebbe chiamare di benemeriti del lavoro. La prima di queste categorie è formata dai cavalieri del lavoro la cui Associazione è appunto presieduta dal Dott. Pozzani. E sono coloro che hanno il merito di avere promosso, organizzato, rinnovato, ingrandito, reso forte, produttivo e moderno, il fenomeno del lavoro. Poi vi sono i Maestri del lavoro, anche essi degni di ogni considerazione, perché conoscono egregiamente il loro mestiere, e lo insegnano agli altri; mettono cioè nel lavoro un senso di perfezione, di puntualità, di impegno che lo rende veramente produttivo, utile e atto a raggiungere i suoi fini, merito anche questo che bisogna riconoscere, lodare ed incoraggiare.

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Poi, c’è un’altra categoria di persone; gli anziani del lavoro che hanno il merito della perseveranza, della fedeltà, della pazienza, della costanza, della adesione al dovere quotidiano protratto per anni e sempre con buono e lodevole spirito e con arte degna di approvazione e di rimunerazione.

Ed è presente anche un’altra categoria, distinta dalle altre che sono strettamente unite, ed è quella dei consulenti del lavoro, anche essi benemeriti per l’atto riflesso che pongono sopra l’attività altrui, affinché il lavoro si compia come si deve.

Perciò, come già diceva, se si volesse fare una sintesi il Santo Padre potrebbe definire i presenti a una udienza così bella come i «benemeriti» del lavoro, coloro che veramente sono degni di essere ringraziati ed elogiati, di essere considerati benefattori della società proprio perché al lavoro hanno dedicato tanto ingegno, tanti mezzi, tanti anni, tante fatiche e con il massimo impegno, con grande onestà di intenti ed anche con grande efficacia di risultati.

Ed allora il Papa si sente in dovere di ringraziare di una visita così gradita, del voler presentare al Padre Comune delle anime le loro persone e nello stesso tempo anche le loro attività, persone e attività che meritano encomio, incoraggiamento e benedizione cordiale. E volendo aggiungere a tali riconoscimenti una sola parola di esortazione, il Papa la trova in un sentimento che deve già essere nel cuore di tutti: l’amore al lavoro.

AMARE IL LAVORO

Bisogna amare il lavoro. I diletti figli confermano e documentano questo amore con i loro meriti, e lo pongono in rilievo in maniera molteplice e varia, rispettivamente adatta a ciascuna delle loro categorie.

Il Papa rinnovando il Suo incoraggiamento e la Sua benedizione a questo amore al lavoro, invita i presenti a fare oggetto di meditazione sia pure per breve tempo tale sentimento.

Si può ben dire che l’Italia ama il lavoro, non solo perché è stampato nel primo articolo della sua Costituzione, ma perché lo troviamo impresso nel cuore di tutti i cittadini.

Non ci sono, per fortuna, in Italia classi sociali inerti, non c’è nessuno che voglia sottrarsi a questa legge fondamentale; si vedono anzi tante categorie che erano non impegnate in maniera ben definita e specifica e che desiderano anch’esse entrare nel grande cimento del lavoro; anche le donne, che una volta erano piuttosto appartate nella casa, e si dedicavano ad una attività che non era socialmente considerata.

Dell’unanime desiderio di lavorare il Santo Padre deve compiacersi come di una bellissima manifestazione della psicologia e della moralità del popolo italiano, che il Papa prega Iddio di conservare sempre laborioso e anelante all’impegno, all’occupazione, a non perdere tempo, a rendere saggi e proficui i propri studi in ordine ad una esplicazione di attività bene ordinata, utile, saggia e benefica.

GLI SCOPI DELL’OPEROSITÀ UMANA

A questo punto però bisogna fare un’altra riflessione; chiedersi se sotto questa manifestazione generale che si può davvero dire amorosa per la fatica umana non ci siano lacune o difetti, od anche, alcune volte, traviamenti.

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Quando? Quando noi cerchiamo quali sono i motivi, le ragioni, le spinte dinamiche per cui, comunemente parlando, la gente cerca di lavorare. È comune a tutti, legittimo e, si può ben dire, sacro il desiderio di lavorare per guadagnare, per avere il pane sulla propria mensa. È un fine economico immediato, degno di ogni considerazione, anzi di ogni cura perché questo primo scopo della fatica umana, il vivere della propria opera e del proprio lavoro, possa essere accessibile a tutti, abbia delle strade ben preparate, con le scuole professionali e di avviamento al lavoro, con gli apprendistati, e poi con tutto il necessario per proteggere il disoccupato quando ancora ci fosse.

È da augurarsi che anche il profitto immediato del lavoro, la mercede, possa essere tale - come hanno detto ed esortato tante volte anche i Documenti pontifici - da assicurare un pane conveniente; un sostentamento lieto e gradevole, che sia bastevole a mantenere decorosamente una famiglia e non solo l’individuo, ad assicurare al lavoratore, non un equilibrio economico instabile, ma quella certa agiatezza che possa dare distensione e tranquillità per il domani.

L’utile economico è, come tutti ben sanno, la grande molla che muove e sospinge l’uomo al lavoro. Ci sono però, per fortuna, delle altre componenti umane, degnissime, che nobilitano questa aspirazione e la indirizzano a finalità più alte: l’amore della famiglia, il desiderio di dare migliore espressione alla propria attività. Come ha detto or ora il comm. Pezzani con parole molto nobili e molto precise, l’uomo ha bisogno del lavoro per esplicare se stesso; il lavoro è una pedagogia personale e aiuta a risvegliare e ad impiegare tutte le facoltà, anche quelle implicite, o dormienti e ancora atrofizzate, che abbiamo nella nostra ricchissima natura; il lavoro le risveglia e le fa capaci di manifestazioni della prodigiosa adattabilità ed educabilità dell’uomo.

Ma poi, ecco la ricerca dei fini che si può approfondire. Perché se vediamo che ci sono dei fenomeni non felici nel campo del lavoro, questo si deve spesso ad una deficienza di fini.

PER UNA GERARCHIA DEI FINI

Infatti anche in questo grande e collettivo fenomeno della operosità umana vi è chi tende a lavorare così da non averne più bisogno. È quel lavoro che suscita il desiderio del piacere, della pigrizia, dello sforzo per addossare sulle spalle altrui la fatica umana e potere invece essere personalmente esonerato da questo comune dovere. Perché purtroppo l’egoismo è anche un fenomeno che accompagna tutta la grande manifestazione dell’attività umana. Così la ricerca della sola utilità economica può essere causa di quella inquietudine che noi notiamo nei campi del lavoro, di quella asprezza che ancora serpeggia nella popolazione, specialmente nelle classi lavoratrici.

Non si riesce a stabilire dei rapporti di collaborazione, più serena, più facile, come quelli che i presenti invece cercano di stabilire, forse proprio perché i fini per cui tanta gente lavora, sono dei fini puramente economici, immediati, egoistici, che non hanno una visione sociale e soprattutto una visione umana completa.

Nessuno negherà che il lavoro sia una fatica e che quindi sia un peso, talvolta anche gravoso, sulle spalle di chi lo deve portare, compiere con intensità. Accade allora di sentir dire: c’è un compenso adeguato a tutto questo? basta la remunerazione economica per compensare in me il dispendio di forze umane che il lavoro mi ha domandato?

Anche per quelli che cercano nel lavoro, nella passione della propria arte, di migliorare uno strumento, di raggiungere un risultato nuovo, di abbellire un prodotto, di allargare la cerchia della sua diffusione, questi motivi possono accrescere la passione del lavoro; ma sono sufficienti per appagare questo benedetto cuore umano che non è mai sazio delle sue conquiste e che quando più arriva a conquistare, tanto più - esperienza modernissima - si sente vuoto, stanco, desolato, inutile?

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Vi è uno scetticismo, un pessimismo che pesa sulla psicologia della società moderna, e che fa paura. La nostra società, nell’immensa dovizia di mezzi che si è procurata, manca spesso della scienza dei fini più alti e più umani che devono guidare l’operosità dell’uomo.

Il Santo Padre ha letto il manifesto che presiede al loro convegno e vi ha trovato delle parole sagge che sono state proferite da magistrali rappresentanti della guida umana. Tra questi alcuni Pontefici, immediati Predecessori del Santo Padre, hanno dato degli insegnamenti - che non devono essere dimenticati - sopra il senso, il valore, il modo di esplicare la fatica umana.

Il Santo Padre ricorda queste cose a quei carissimi figli proprio perché siano contenti e per dire loro che se cercheranno, seguiranno e tradurranno in pratica la concezione cristiana del lavoro, il conforto, il sostegno alla loro fatica, non verrà mai meno.

NEL CONCETTO CRISTIANO DELLA VITA

Sì, il segreto che può rendere il lavoro forte, perseverante, fonte di conforto, onesto, desideroso sempre di perfezione, si può trovare, e non nascosto ma offerto a tutti, proprio in quella concezione della vita che chiamiamo cristiana.

Sì, la fatica ha la sua ragion d’essere, sia per il valore di riparazione che assume, sia per l’aspetto fecondo di conquista delle cose buone e benefiche.

Nella vita cristiana troviamo esempi come quello di S. Benedetto, che risalgono ad un magistero ancora più autorevole, a quello del Redentore stesso che si è voluto fare lavoratore sia manuale che della parola salvatrice.

Troveremo nel Vangelo tutti i compensi che le retribuzioni umane non possono dare. Il Signore premierà l’operaio forte e fedele; la vita umana è una giornata di lavoro, lo sappiamo bene dalle parabole evangeliche e alla fine vi è una mercede, cioè una vita superiore, una vita compensativa, una pienezza che in tutta la nostra attività non potremmo raggiungere.

Abbiamo infatti una speranza, più ancora una certezza: se avremo lavorato bene, con onestà e con fatica, nessuna azione sarà dimenticata; nulla andrà perduto; il calcolo che si fa per il profitto materiale e che raggiunge alcune volte delle perfezioni infinitesimali, la Provvidenza, che sorveglia e vigila sulla nostra vita, sa compierlo con altrettanta perfezione per il premio spirituale. Il Signore ha promesso che neppure un bicchiere d’acqua resterà senza ricompensa; ciò vuol dire anche un gesto gentile, anche un atto che sembra insignificante e di nessun valore, se è compiuto con animo buono non resterà senza acquistarci un credito per il regno dei cieli.

Il Santo Padre è sicuro che i diletti figli danno alle loro fatiche un fine superiore e che faranno propaganda per diffondere nella società idee così buone e così alte.

È stato parlato di responsabilità. Questa parola significa un lavoro svolto con libertà; ma chi ha associato, per primo, al lavoro la libertà? Oggi sembra una cosa evidente; ma se guardiamo al mondo pagano e dove Cristo non è arrivato, troveremo che questo binomio - lavoro e libertà - non è raggiungibile. Il lavoro era compiuto dagli schiavi; persino l’insegnamento che è il lavoro più nobile, più spirituale era una operazione riservata allo schiavo. E ci sono tante illustri figure del paganesimo, Cicerone per esempio, che documentano con delle espressioni assai significative e sconcertanti questa dissociazione della libertà dal lavoro.

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È il Cristianesimo che ha conferito al lavoro questa dignità e questa superiorità; perciò il Santo Padre esorta ad essere cristiani; vedranno che il loro lavoro diventerà buono, fervoroso, consolato, sarà sostenuto nelle sue pene e nelle sue stanchezze, sarà illuminato nelle sue ricerche e soprattutto - il Papa può prometterlo e garantirlo - sarà degnamente rimunerato dal Signore.

DISCORSO ALLA «CASA DEL GIOVANE OPERAIO» DI MILANO

Sabato, 30 novembre 1963

Nel salutare gli Ecc.mi Presuli e tutti i carissimi figli intervenuti, il Santo Padre rileva, anzitutto, che Don Orione riserva sempre delle sorprese; e una è questa: soffermandosi su quell’aggettivo Piccolo Cottolengo, Piccola Opera, verrebbe naturale il supporre che le sue fossero cose di dimensioni molto modeste, mentre la realtà è ben diversa. Così, per oggi, è stata chiesta una piccola Udienza, non solenne, né lunga, appena di un qualche minuto; e invece che cosa il Papa vede davanti a Sé? Al completo i Superiori, la rappresentanza della grande famiglia della parrocchia di S. Benedetto in Milano, e tante altre persone, convenute appunto per celebrare insieme un avvenimento, per il Papa davvero molto caro e significativo. Egli lo accetta quindi anche nella proporzione di solennità e di grandezza, che all’incontro s’è voluto dare.

E dapprima il costante, dolce ricordo della parrocchia di S. Benedetto. Essa, un tempo, era ai margini di Milano; ora, invece, è già circondata dai nuovi quartieri e si distingue per una monumentalità e per una completezza di apostolato impressionante, degno di ogni encomio. A tale centro fiorente, - dove sempre l’attuale Pontefice soleva recarsi alla sera della festività di S. Ambrogio, e che lo ha accolto in diverse altre circostanze -, Egli riserva il suo particolare saluto e la benedizione più cordiale.

STUPENDO APOSTOLATO DI RECENTE PARROCCHIA

Inoltre, siccome il giovane presentatore ha voluto ricordare un altro incontro, quello avvenuto, sempre con la Famiglia spirituale di D. Orione, a Boston, il Santo Padre vuol far sua la rievocazione. Pure in quella città degli Stati Uniti le piccole cose diventano notevoli, anzi grandiose; attestano, invero, dati molteplici e preziosi di bene, che prendono slancio dalla formula caritativa del Servo di Dio e dei suoi degnissimi figli. Immagini confortevoli, memorie vive e tonificanti, che ci dicono come l’odierno evento sia molto significativo, trattandosi del sacro rito per la prima pietra di nuovo edificio. Ciò merita innanzitutto il ringraziamento del Papa. Perché? Ma perché è bastato un semplice suo accenno alla opportunità di destinare la costruenda ala, integrativa del grande complesso della parrocchia di S. Benedetto, a un pensionato per la gioventù operaia, che subito veniva dato volenteroso e pratico assenso. È un ragguardevole esempio: e merita lode. Del resto il Santo Padre, ogniqualvolta ha avuto occasione di rivolgere una richiesta ai figli di Don Orione, ha sempre trovato in essi pronti .e generosi esecutori. A tanta sollecitudine va reso, quindi, pubblico attestato di lode.

MULTIFORMI ASSISTENZE DI ZELO PASTORALE

E ancora: la letizia del Padre è pure motivata da un criterio, come dire, edilizio, urbanistico ed estetico. L’edificio dell’Opera Don Orione a Milano è di proporzioni immense: davvero non si crederebbe come le piccole cose possano avere sviluppi di tanta importanza ed organicità. C’è la

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chiesa, ci sono le scuole, gli ospedali, le attività parrocchiali. È stata aggiunta una quantità di provvide irradiazioni intorno al nuovo nucleo religioso, portato da Don Orione a Milano. Ora, tale complesso di strutture mancava appunto di una parte che deve integrare questa cittadella della carità e della preghiera. E perciò, il sapere che l’ottimo centro sarà finalmente definito in tutta la magnifica simmetria e monumentalità, presentandosi organico e soddisfacente non solo per l’occhio ma per le iniziative che esso promuove, ricolma il cuore paterno di letizia e di augurio. Di conseguenza, anche per tale motivo, il Sommo Pontefice esprime riconoscenza ed effonde benedizioni.

Tutto è dunque singolarmente bello, anche perché la ragione principale del comune gaudio è il sapere che la nuova costruzione, così moderna, opportuna, utile, viene promossa a vantaggio della gioventù operaia. Accorrono da tutte le parti i giovani, in cerca di lavoro. Chiedono il lavoro e non hanno la casa. La mancanza di così indispensabile bene produce grave angustia nella vita, nelle abitudini, nella stessa anima. È facile immaginare che cosa può accadere in una città che deve ospitare, d’improvviso, un’estesa mano d’opera giovanile priva del suo ubi consistam. È uno dei problemi morali e pastorali più gravi di una metropoli industriale e in crescente sviluppo come Milano.

Ed ecco la carità sempre all’avanguardia. Sorge l’idea di apposito pensionato. Già altri ve ne sono: e se ne intravede ulteriore notevole serie nel programma sociale di Milano. Si tratta appunto di aprire le porte e dare ospitalità alla nuova gioventù lavoratrice immigrata nella vasta città. Quello che da oggi si inizia, sarà, di certo, tra i più ridenti e completi, tra i più adatti ad accogliere i carissimi giovani. Essi vi troveranno dimora cordiale e familiare, l’educazione, il riposo, il diporto, la preghiera, quel senso rassicurante di essere immediatamente inseriti in una società non forestiera, non nemica, non ostile, non impenetrabile, bensì in una società come dev’essere la nostra: civile e cristiana.

«DARE CASA AL LAVORO»

È qui un motivo di vivissima consolazione e di grande speranza: per l’opera in se stessa, per la sua esemplarità, giacché molti vi scorgeranno una delle forme più necessarie ed urgenti dell’apostolato moderno.

Dare casa al lavoro; dare completezza di assistenza alle classi lavoratrici: intento nobilissimo, disegno stupendo! Il fatto, poi, che esso prenda l’avvio proprio alla vigilia della Beatificazione di un giovanetto santo e operaio, conferisce valida fiducia e forse ci dischiude qualche spiraglio sulla Provvidenza, la quale ci assiste tutte le volte che noi ci prodighiamo per servire i programmi di carità che il mondo odierno propone. La Divina Provvidenza, adunque, conferma e benedice. Lo dichiara la fausta congiuntura: dal Cielo, un Amico, un protettore, un eroico giovane distende senza dubbio la sua simpatia, le sue compiacenze e certo la sua intercessione: tutto ciò promette le benedizioni di Dio sull’auspicato edificio che sta per sorgere.

NEL NOME E NELLO SPIRITO DI CRISTO

A questo punto - prosegue Sua Santità - vedo un’altra causa di intensa gioia in quanti condividono la stima per le opere di Don Orione. Voi Sacerdoti, che vi appartenete; voi Suore, che date la vita per questi trionfi della carità; e voi benefattori, che siete larghi del vostro obolo ad imprese di tanta importanza e di tanta bellezza: appare sempre più che non solo materialmente queste opere si affermano, crescono, giganteggiano dinanzi a noi, ma palpitano e risplendono. Uno spirito, cioè, le sorregge; uno spirito che è quello di Don Orione, diciamo meglio, quello di Cristo, che ama tutti gli indigenti, li assiste nelle loro necessità e suscita energie, risorse e mezzi là dove non sembrerebbero,

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umanamente parlando, possibili; mentre la carità fa germogliare, quasi con prodigi perenni, sempre nuovi intenti e programmi. La vivezza di questo spirito, la fiamma di soprannaturale ardore che guida le gesta di Don Orione: ecco, mi sembra, la cosa che deve allietarci tutti e che ci sprona ad implorare con fiducia il divino aiuto per la istituzione nascente, per quelle che sono a Tortona, a Milano, nelle Americhe, e che dappertutto ancora verranno, col nome benedetto di questo pioniere, di questo araldo dell’amore cristiano, a coronare il grande rigoglio di apologia evangelica da lui promosso. Senza dubbio le promettenti fatiche ci daranno non soltanto la consolazione di vedere ma quella di parteciparvi e di essere, e proprio con l’insigne apostolo della carità, anche noi discepoli, anche noi seguaci, anche noi benedetti da Dio.

DISCORSO AD UNA COSPICUA RAPPRESENTANZA DELLE ACLI

Sabato, 21 dicembre 1963

Carissimi Figli!

Il Vostro Congresso, al quale dobbiamo il piacere di questo incontro, ha per tema: «Il movimento operaio cristiano nella nuova realtà sociale italiana». Cioè voi andate pensando quale posizione abbia raggiunto lo sforzo organizzativo, formativo, operativo delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, le ACLI, in seno alla società italiana, e quali linee direttive debbano orientare oggi e domani il loro movimento.

Ci asteniamo, in questo breve momento, dall’interloquire in tema di tanta ampiezza e di tanta importanza, e rinunciamo anche a rilevare quale corrispondenza esista fra il quadro della vostra attività, complessa e concreta, e il quadro ideologico, dal quale essa trae la sua giustificazione. Sarebbe questa l’osservazione, che maggiormente interesserebbe il Nostro ministero, e che darebbe motivo di compiacenza per Noi, di lode per voi; e Ci offrirebbe occasione anche di qualche opportuno commento, di qualche paterna esortazione per confortare la rettitudine e l’alacrità del vostro non facile e pur tanto volonteroso cammino.

Ma conosciamo quale sia il vostro proposito di fedeltà ai principii cristiani, che sono costitutivi delle vostre Associazioni e del movimento a cui esse danno origine; sappiamo la vigilanza esercitata e l’animazione promossa dai vostri bravi Assistenti ecclesiastici, e ricordiamo come l’impegno di ferma adesione alla dottrina sociale della Chiesa e della sua interpretazione genuina non è per voi un pesante obbligo esteriore, quanto piuttosto una tonificante voce interiore della vostra stessa coscienza. E perciò Ci limitiamo, questa volta, a dare un rapido sguardo ad un ipotetico tema parallelo a quello del vostro Congresso, e così enunciabile: «Il movimento operaio cristiano nella realtà della vita cattolica italiana».

Potremmo meglio proporre l’argomento in forma di domanda: quale posizione occupano oggi le ACLI - ad esse ora Ci riferiamo - nel campo cattolico, davanti alla Chiesa? La domanda Ci porterebbe a rievocare tanti ricordi di studi e di episodi, che Ci hanno dato modo di assistere e di favorire il sorgere delle ACLI, e di aiutarle a determinare un posto nell’area delle istituzioni facenti capo alla Chiesa. Diciamo soltanto che, sebbene fin dal secolo scorso i cattolici avessero dato vita anche in Italia ad una multiforme attività in favore delle classi lavoratrici, un posto per qualche loro specifica organizzazione era venuto a mancare, e non soltanto perché, fino alla conclusione dell’ultima guerra, non era possibile concepire che esistessero libere associazioni cattoliche, ma

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anche perché il criterio preciso che doveva informare l’istituzione delle ACLI non era pensabile. Si ricorderà come Papa Pio XI, di venerata memoria, era riuscito, con tutto il peso del suo coraggio e della sua autorità, a salvare le sole associazioni di Azione Cattolica; e queste perché strettamente collegate con la vita religiosa, propria della Gerarchia Ecclesiastica.

Una notevole e promettente fioritura di opere e di organizzazioni sociali cattoliche, dicevamo, esisteva in Italia alla fine della prima guerra, ma aveva dovuto appassire prima, inaridirsi e morire poi, nel periodo d’un totalitarismo statale, che aveva vietato simili forme di vita sociale. Ricuperata la libertà civile, era rinata la possibilità di riprendere l’attività sociale organizzata: e allora, quale sarebbe stata per il mondo del lavoro la forma preferita nel campo cattolico? quella dell’associazione di Azione cattolica, fondata sui suoi due criteri essenziali: selettivo l’uno, gerarchico l’altro, alle dipendenze dirette cioè dell’Autorità Ecclesiastica? ovvero quella della pura assistenza benefica e religiosa a gruppi di categoria? ovvero la forma sindacale e confessionale? ovvero soltanto politica come quella di partito, o economica come quella delle cooperative? oppure corporativa? Nessuno di questi modelli parve preferibile, nel subito dopo guerra, quando il fenomeno associativo esplodeva da ogni parte nelle forme più disparate.

Fu allora che si pensò alle ACLI, come organizzazione libera e responsabile, aperta all’accoglienza delle masse lavoratrici con la massima larghezza possibile, basata su criteri democratici, non statutariamente collegata con altre associazioni cattoliche riconosciute, ma non priva della dignità, della forza, della vocazione del nome cristiano, ché anzi su questo nome la nuova formazione doveva puntare e far leva, come sulla sua ragion d’essere e come sul titolo superiore della sua autorità nel campo cattolico e della sua inconfondibile peculiarità di fronte alla società e all’opinione pubblica.

Doveva essere cioè un organismo nuovo, di semplice, ma piena espressione morale e sociale, articolato con la compagine cattolica non solo da una identità ideologica, come ora si dice, ma altresì dalla funzione qualificata dell’assistenza ecclesiastica, ma organismo relativamente autonomo e capace di dare ai Lavoratori non soltanto la possibilità, ma l’idoneità altresì di esprimersi con loro proprio linguaggio e di allenarsi all’esercizio di loro proprie funzioni. Cioè: l’istituzione delle ACLI fu un grande gesto di bontà e di fiducia della Chiesa verso i Lavoratori. Fu uno sguardo amoroso della Chiesa nel cuore del nostro popolo, uno sguardo che non durò fatica a scoprirvi impliciti, ma vivi e preziosi tesori di saggezza, di virtù, di capacità, di ordine e di sacrificio, di talento sociale cristiano: e fu un rischio, che chi è padre, chi è maestro conosce e affronta in un dato momento, quando vuole che il figlio impari a camminare da uomo, e che il discepolo diventi maturo a ragionare e a fare da sè. Fu un’intuizione e quasi una preparazione dei tempi nuovi: occorreva aprire alle categorie dei Lavoratori la via di transito dalla fase di strumenti fisici ed ignari della produzione alla fase di operatori coscienti e gradualmente idonei a partecipare ai momenti responsabili e razionali della produzione stessa; occorreva offrire alle masse lavoratrici l’alternativa liberatrice fra la lotta di classe e l’ascesa ordinata ad una società più equamente organizzata; occorreva proporre al mondo del lavoro una formula che considerasse, ma non limitasse la sua difesa al solo interesse economico e ad un fatale inquadramento sociale, ma interpretasse le aspirazioni profonde e legittime del Lavoratore educandolo alla giusta e ragionata rivendicazione d’ogni suo interesse, materiale e spirituale, e alla partecipazione progressiva ad ogni forma della vita sociale, con senso superiore di solidarietà e di responsabilità verso il bene di tutti.

Cosi le ACLI ebbero un loro posto originale, non solo - come il vostro Congresso va esponendo - nella vita della società italiana, ma anche in quella organizzativa cattolica. Un posto, che se non sempre è da tutti identificabile nel suo essere di forza morale cristianamente associata a scopo sociale (le ACLI, si chiede da alcuni, che cosa sono? non sindacato, non partito, non confraternita, non cooperativa, non accademia, non società sportiva, o altro: che cosa sono?), un posto, diciamo,

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che si definisce invero molto bene dalle funzioni che le ACLI esercitano nel concerto delle organizzazioni cattoliche, e che altre formazioni associative cattoliche non potrebbero esercitare, così bene almeno, come voi invece potete.

Quali funzioni? Per amore di brevità, riduciamole a tre. La prima è quella della testimonianza religiosa nel campo sociale. La parola del vostro valoroso Assistente Ecclesiastico Mons. Quadri, già vi ha resi edotti di ciò. Si tratta di questo: tocca alle ACLI, tocca a voi, carissimi Lavoratori cristiani, dire al mondo del lavoro che Cristo, non altri, è il vero Redentore dell’umanità, che Cristo è amico, fratello, maestro, collega, salvatore di chi è definito dalla condizione sociale, dalla fatica, dalla indigenza, dalla sete di giustizia, dal bisogno di salire al respiro della fratellanza e della vita spirituale del lavoratore; tocca a voi, Aclisti, con l’amicizia, con l’esempio, con la solidarietà porre davanti ai vostri rispettivi colleghi di lavoro il modello d’un uomo cosciente, sano, onesto, vigoroso, e credente e praticante una religione, che non solo non è morta, ma che non deve morire, perché è la religione della speranza e della vita; tocca a voi dire chiaro al mondo del lavoro che la Chiesa questo vostro mondo lo conosce, lo comprende, lo difende, lo ama, non in qualche circostanza dimostrativa, o per qualche segreto interesse suo proprio, ma perché, se la Chiesa è di tutti gli uomini, per tutti rendere buoni e giusti e fratelli, la Chiesa dapprima è per la gente che soffre, la Chiesa è del popolo; la Chiesa delle Encicliche sociali, la Chiesa di Cristo. E possa la vostra testimonianza distogliere il mondo del lavoro dalla fatale illusione che possa avere una sociologia veramente umana senza il ricorso al Vangelo di Cristo, o che, ritornando alla religione e alla fede, esso perda la coscienza delle realtà concrete e positive di questa terra, e si rallenti in esso il vigore delle sue giuste aspirazioni ad un mondo economicamente e socialmente più equilibrato e più operante.

Sarà provvidenziale e, Dio voglia, risolutiva la vostra testimonianza. Ma non sarà né facile, né forse di rapido effetto. Perché una seconda funzione spetta a voi, che altri meno sistematicamente e meno persuasivamente potrebbero compiere: quella della formazione della coscienza e della cultura cristiana, appropriata alle classi lavoratrici. La formazione: Noi sappiamo quanto questa magnifica, ma ardua finalità interessi i vostri programmi ed impegni la vostra attività. Vediamo con grande compiacenza e con grande speranza la vostra fatica in questo settore. È un aspetto mirabile del vostro movimento; e basterebbe per conciliargli la simpatia e l’affetto di quanti hanno a cuore il bene e lo sviluppo della nostra società. Voi organizzate scuole, corsi, conferenze, studi, degni d’encomio e d’incoraggiamento. E ciò non solo per una migliore qualificazione professionale - ch’è già degnissima e necessaria cosa -, ma anche per una qualificazione ideologica e spirituale. Ricordiamo la bella attività delle ACLI milanesi a questo riguardo; e ricordiamo il senso di ammirazione che Ci invadeva lo spirito quando incontravamo convegni estivi di operai e di operaie, che sacrificavano i pochi giorni delle loro vacanze annuali per istruirsi, per prepararsi, per ricevere una migliore formazione intellettuale e religiosa: fenomeno meraviglioso, che dice la coscienza e la forza del popolo lavoratore cristiano nell’ascesa a livelli superiori, della vita civile e della vita spirituale. È cotesto della formazione un posto che le ACLI si stanno guadagnando e rafforzando, di cui tutta la comunità cattolica deve esservi grata.

La formazione poi vi abilita, cari Aclisti, anche ad un’altra funzione, quella della promozione dei legittimi interessi delle categorie lavoratrici. È funzione che altri, cioè i sindacalisti ed i politici, esercitano con specifica competenza: ma la conoscenza e la formulazione dei termini concreti di certe questioni (le vostre inchieste lo dimostrano), come dei termini dottrinali e giuridici delle questioni stesse, possono essere, a profitto di tutti, anche vostre; e lo stimolo che viene in tal modo dal vostro settore, che dovrebbe essere contrassegnato dalla serenità di chi giudica le cose senza esservi implicato da peculiari interessi diretti, può essere benefico e confortatore, come un servizio di vigilanza e di alacrità nella tutela e nella promozione della causa dei Lavoratori.

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Così che, cari Aclisti, anche considerando molto sommariamente la vostra cittadinanza nel campo cattolico, Noi riconosciamo volentieri che voi avete una grande missione da compiere per il vero bene delle classi lavoratrici, e di riflesso verso la società e verso la Chiesa.

Il momento presente segna certamente per voi un’occasione propizia, e forse decisiva, per esercitare tale missione. Voi ben conoscete le nuove condizioni della vita politica e sociale in Italia, e come esse richiedano non già la passiva acquiescenza al giuoco evolutivo della società moderna e l’illusorio irenismo rinunciatario alle affermazioni ideali e morali, ma piuttosto una più vigile ed operosa coscienza dei principii e dei valori, che voi possedete e rappresentate, una più coraggiosa ed apostolica attività per immunizzare le vostre file dall’inavvertito contagio di concezioni fondamentalmente errate e pericolose, specialmente sotto l’aspetto religioso e morale, e per offrire alle schiere dei Lavoratori, in mezzo ai quali vivete e che forse ora più facilmente accostate, il dono della vostra fede e della vostra concezione cristiana della vita. Pare a Noi di vedere sorgere, proprio là dove vedevamo ostilità e pericoli, qualche possibilità di bene, qualche speranza nuova, che voi saprete certo identificare e valorizzare. Pare a Noi di scorgere un’incertezza latente, ma prossima forse a diventare cosciente, in tanti onesti Lavoratori, dubbiosi finalmente se sia degno di loro e utile alla loro causa cedere supinamente alle clamorose e insinuanti suggestioni del marxismo ateo e sovversivo, quasi che esso avesse vera capacità di rappresentare efficacemente le loro aspirazioni, e pensosi se debbano cercare oggi qualche altra via migliore, meno discutibile dal punto di vista scientifico e sociologico, meno sistematicamente negatrice della realtà sociale italiana ed avversa in ogni caso ad un sincero spirito di collaborazione e di pace sociale: una qualche altra via autenticamente rivolta verso il loro bene e verso quello ordinato, progressivo e comune dell’intera società. Voi oggi potete portare a tanti vostri compagni un invito, reso persuasivo dalla vostra fede e dalla vostra lealtà, a volere scegliere formule di sviluppo sociale ed economico più vere e più umane, e specialmente a volere riscoprire nella religione cristiana, la nostra, quella ch’è patrimonio incomparabilmente prezioso del nostro popolo, la sola interpretazione completa e sicura della vita integrale dell’uomo.

Mentre sappiamo, dicendo tutte queste cose, di indicarvi mete grandi e difficili, Noi vi diciamo, carissimi Lavoratori cristiani, la Nostra affezione e la Nostra fiducia; vi assicuriamo, per quanto a Noi è possibile, il Nostro appoggio cordiale; vi esprimiamo il Nostro sincero augurio di buon Natale; e pregandovi di portarlo, a Nostro nome, alle vostre famiglie, alle vostre associazioni ed ai vostri colleghi di lavoro, tutti di cuore, in Cristo, vi benediciamo.

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SANTA MESSA NELLA BASILICA VATICANA

OMELIA

Domenica, 26 gennaio 1964

Figli carissimi,

Noi siamo lieti che il primo incontro con le schiere dei Lavoratori Romani avvenga in questa forma confidenziale e religiosa, in questa Basilica, sacra quant’altre mai alla preghiera ed ai grandi pensieri, e in un’occasione - il ricordo del passato Natale -, che semplifica e determina il tema di questo nostro incontro, lasciando ora da parte, di proposito, senza negarle, senza dimenticarle, tante questioni importanti, che riguardano voi, riguardano Noi, riguardano la società e il mondo del lavoro. Occupiamoci ora soltanto di questo incontro.

Siamo lieti, innanzitutto, perché veniamo a conoscere le vostre persone, le vostre famiglie, le vostre associazioni, le vostre attività, e un po’ di riflesso anche il campo delle vostre rispettive professioni, nel quale praticamente si svolge la vostra vita. La conoscenza reclama i saluti. Lasciate che, fin da questo primo momento, Noi vi salutiamo; ciascuno e tutti; per quello che voi siete, giovani ed anziani, romani di origine e romani di immigrazione; apprendisti, operai, maestranze, impiegati, funzionari, dirigenti; figli, ovvero padri di famiglia; uomini e donne; tutti diciamo. Nessuno pensi d’essere dimenticato. E lasciate che Noi vi salutiamo per quello che Noi siamo: non vi piace che il Papa vi saluti come vostro Padre nel Signore, come vostro Pastore spirituale, come vostro Amico, come vostro Vescovo, ed anche e specialmente come successore dell’Apostolo di Roma, S. Pietro, e, ancora di più, come rappresentante di quel Gesù, del quale voi avete celebrato il Natale, e del quale, con i vostri presepi, avete ricordato il modo della venuta al mondo; non vi piace? Ebbene, sappiate che questo Nostro saluto vi dice davvero il Nostro cuore, e vorrebbe stabilire fin da questo momento il clima di rispetto, di fiducia, di affezione: nel quale Noi desideriamo che abbiano a svolgersi i Nostri rapporti con i Lavoratori cristiani, e i vostri col Papa; vorrebbe il Nostro saluto assicurarvi del pastorale interesse del Papa per le vostre persone, per le vostre famiglie, e per le questioni morali e sociali, che vi riguardano.

Il Nostro saluto si estende perciò all’ONARMO, all’opera cioè di assistenza religiosa e morale, che vi circonda delle sue cure, e oggi qua vi conduce; così salutiamo le ACLI, a cui molti di voi appartengono, e salutiamo pure i liberi Sindacati, che rappresentano e promuovono i vostri interessi professionali. Vada un saluto particolare ai Sacerdoti, che vi assistono col loro ministero, vada a quanti vi sono amici e benefattori, vada anche ai vostri bravi Dirigenti, e a tutto il mondo del lavoro romano, al quale auguriamo prosperità, concordia, progresso, nella pace e nella speranza cristiana.

Come vedete, questo Nostro saluto vuol essere largo e affettuoso, perché è il primo; ma non solo per questo. Vuol essere largo e affettuoso, perché trae dal Natale la sua ispirazione. Voi venite a darci relazione d’una vostra simpaticissima iniziativa, quella del «Concorso Presepi», alla quale, Noi sappiamo, da alcuni anni partecipano, con crescente interesse, numerose Aziende e migliaia di Famiglie di Lavoratori, e vi prestano attiva collaborazione moltissimi Operai e appartenenti a varie categorie lavoratrici.

Voi avete voluto celebrare il Natale con questa figurazione scenica, che si chiama il Presepio, con questo «specchio del Salvatore», come scrive S. Girolamo (Ep. 108, 10, P.L. 22, 384); figurazione

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popolare, ma gentile e geniale, che vuole rievocare l’umile, grande quadro della nascita di Gesù Cristo, e introdurci, per via della rappresentazione sensibile, alla riflessione su lo straordinario avvenimento, alla comprensione del Vangelo, alla meditazione ingenua ed estatica, umanamente amorosa, del mistero dell’Incarnazione e della salvezza, che il Signore ha recato al mondo.

Bellissima cosa, Figliuoli carissimi; bellissima cosa, che si allaccia alle più antiche e genuine tradizioni, sia dell’arte, sia della pietà del popolo italiano; bellissima cosa, che ci fa tutti fanciulli nella ricerca della espressione elementare ed arcadica del racconto evangelico, ma tutti saggi, tutti commossi e comprensivi, davanti ai sommi valori umani e religiosi, che si tentano rappresentare, e tutti singolarmente invitati ad incontri prodigiosi tanto con i massimi Artisti, che hanno profuso tesori di genialità e di bellezza nell’iconografia del Presepio, quanto con i più grandi Santi, che davanti al Presepio hanno pianto, pregato, cantato e gioito.

Bellissima cosa, ripetiamo, il Presepio, anche per un altro aspetto, che voi Lavoratori, più che altri, con la vostra partecipazione al Concorso-Presepi, avete mostrato di comprendere, e di voler penetrare ed esprimere. E cioè, avete capito che il Presepio è, sì, «lo specchio del Salvatore», come dicevamo, ma proprio per questo è anche lo specchio della nostra vita, lo specchio dell’uomo, la cui natura fu assunta dal Verbo di Dio per farsi nostro Fratello e nostro Salvatore. Avete compreso che la nascita di Gesù è storica e reale, ma ha un riferimento universale a tutta l’umanità, e riflette qualche cosa di nostro e di attuale, che i più bravi a comporre oggi un Presepio, in una delle vostre case, in una delle vostre officine, in una delle vostre aziende, sanno cogliere e sanno rappresentare. Può darsi che questo criterio di rappresentazione introduca qualche elemento anacronistico nella descrizione della scena della notte di Betlem, o qualche stile fantastico e ben lontano dalla sempre rispettabile ed encomiabile fedeltà descrittiva e fotografica della scena stessa. Ma l’arte cristiana, in cotesto esercizio popolare di immediata e soggettiva figurazione, ha concesso e concede qualche libertà, quando essa serve ad avvicinare l’incantevole sequenza evangelica alla realtà di pensiero e di vita del mondo nostro, del mondo moderno.

Ricordiamo, ad esempio, d’aver visto, nell’esposizione d’arte sacra tenuta a Roma durante l’Anno santo, un quadretto, che rappresentava una misera e ansiosa fuga notturna in Egitto, mediante una jeep in pessime condizioni, guidata al volante da S. Giuseppe, mentre al finestrino della vettura interiormente illuminata si affacciava, con un giocattolo in mano, il bambino Gesù, quasi a rappresentare con tragico e umoristico realismo la sorte affannosa di tanti profughi, che gli anni di guerra ci hanno tristemente abituati a vedere fuggire nelle più avventurose e penose condizioni.

Sì, questo è da ricordare e da capire: Cristo non è lontano nei secoli e nei luoghi propri della sua apparizione storica; Cristo è venuto nel mondo per vivere la sorte dell’intera umanità, per assorbire in Sé quanto di umano possiede la stirpe di Adamo, all’infuori, s’intende, della macchia originata dal primo fallo, e venuto per riflettere ed emanare da Sé, sul mondo, quanto di umano e di divino Egli ha destinato a nostro conforto, a nostro esempio, a nostra luce, a nostra salvezza. Cristo è vicino, Cristo è presente, Cristo è nostro, se lo sappiamo capire ed accogliere: il Presepio ce lo ricorda.

Noi ne abbiamo avuto l’interiore, confermata certezza nel Nostro recente pellegrinaggio a Betlem, dove il vostro ricordo Ci è stato cordialmente presente, pensando che tra l’uomo moderno, in cerca di elevazione e di pienezza, tra voi Lavoratori specialmente che dell’uomo moderno siete, sotto molti aspetti, i rappresentanti qualificati, e Gesù Cristo, il Bambino silenzioso, povero e inerme, «il Figlio dell’uomo» posto al centro della storia e della profezia, tra voi, diciamo, e Cristo esiste una simpatia profonda, una parentela naturale, una corrispondenza congeniale, che attende d’essere riscoperta, perché la gioia, l’energia, la speranza, la pace, il vero e perfetto umanesimo, in una

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parola, abbia a inondare il mondo. Attende d’essere riscoperto il rapporto fra Cristo e l’uomo; fra Gesù e l’atteggiamento di lavoratore, assunto come tipico dalla società contemporanea.

Figli carissimi, anche per questo abbiamo pregato a Betlem; abbiamo pregato perché voi possiate capire chi è Cristo per voi.

La Nostra preghiera, allora come adesso, ha coscienza di lottare contro un’enorme barriera di obbiezioni, di difficoltà, di opposizioni, di negazioni, di apostasie, che separa tuttora il mondo del lavoro da Cristo. Sappiamo come Egli, il viandante che si fa compagno al fianco dell’uomo, sia che questi corra nuove strade veloci, o sia che stenti nella stanchezza il suo arduo cammino, Egli è stato dichiarato da tanti e tante volte estraneo, sconosciuto, inutile, quando addirittura non sia stato accusato di essere l’ostacolo, l’avversario, il nemico, da crocifiggere ancora, oggi come nel venerdì esecrando e santo di allora. «Chi è Cristo? a che cosa mi serve? conosce Lui i miei problemi? come può, Lui, aiutarmi a risolverli? e che relazione esiste fra Lui e questo avvento del mondo nuovo?»: questioni queste, che sono in fondo all’animo di tanti lavoratori, e che spesso vengono alle labbra senza trovare risposta.

No; una risposta comincia ad essere formulata e pronunciata; e proprio da voi, artefici dei vostri Presepi. Costruendo il Presepio, e cercando di collocare nel minuscolo panorama il Bambino misterioso in modo che si veda, in modo che faccia ricordare quella notte meravigliosa, in modo che faccia pensare qualche cosa, che sia messo lì, come simbolo di umanità povera, ma innocente, piccola, ma divina, voi avete intuito che il Natale non è una bella favola, non è un mito grazioso, non è una tradizione folcloristica, ma è il punto focale della storia, è la radice della civiltà, e, al tempo stesso, la spiegazione ed il mistero dei problemi fondamentali della vita; si, anche della vostra vita.

Quali sono i problemi fondamentali della vostra vita? oh, quale immensa domanda! ; ma riduciamola ora all’essenziale.

Non cercate voi, figli del lavoro, per tanti secoli schiavi della fatica, vincolati alla terra, alle espressioni più materiali e più dure dell’opera umana e ancor oggi moralmente legati da tanti insufficienti maestri alla considerazione di ciò che è puramente materiale, sensibile, economico, non cercate voi chi dichiari sacra la vita, degna ogni vita, libero cioè l’uomo dalle catene che il primato del materialismo e dell’egoismo economico, volendo o no, ha stretto non solo intorno ai polsi del lavoratore, ma al suo cuore, al suo spirito, al suo destino di creatura di Dio? Non cercate voi, colleghi delle officine, dei campi, della organizzazione tecnica e burocratica della società, non cercate voi un principio, un titolo, una ragione, che renda gli uomini eguali, solidali fra loro, che renda fratelli, non per l’odio contro altri uomini, e non solo per la tutela classista di interessi economici e sociali, quanti vivono in una comunità naturale, quanti cospirano a formare una società umana, quanti sentono la grandezza d’essere un popolo? E non cercate poi, voi, magnifici trasformatori delle cose, che, per così dire, traete pane dalle pietre, che fecondate la terra, che impiegate le sue segrete energie in meravigliosi strumenti, che generate ricchezze capaci di cambiare il volto e il costume della società, non cercate voi, a lavoro compiuto, tante altre conquiste che il lavoro non dà: e come godere saggiamente delle cose utili, da voi adattate ai bisogni e ai piaceri della vita; e come temperare questo godimento, che può degenerare in stolta sazietà; e come arrivare a beni superiori, a quelli dello spirito, alla verità, all’amore; e come essere garantiti che, al termine di questa suprema aspirazione, non troverete, come tanti ciechi guide di ciechi, la noia, la delusione, l’assurdo, la morte?

Immensa domanda, dicevamo. Ma altrettanto immensa risposta, per chi, ripetiamo, sa riscoprire Cristo. Immensa e semplice; e sempre lì, umile, umana, vittoriosa, irraggiante dal Presepio: è Cristo,

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il Dio fatto uomo, che proclama la dignità della vita, e perciò il suo carattere sacro e supremo; è Lui perciò il liberatore dai confini, dai vincoli che costringono l’uomo nella statura inferiore delle sue espressioni materiali e animali, e l’innalza alla statura di figlio di Dio; è Lui che porta, col dono di Sé, l’amore al mondo, e riannodando i rapporti dell’uomo con Dio, rapporti ineffabili di figli al Padre dei cieli, rende eguali e fratelli fra loro gli uomini; è Lui, che facendosi nostra carne, santifica e benedice le cose della terra e della vita, e ci insegna a scoprirvi sapienza e bellezza, a goderne con temperanza, ad ordinarle alla conquista finale d’un bene trascendente ed eterno.

Se questo capite, se questo credete, voi potrete essere chiamati, nel pieno senso della parola, i bravi operai della parabola che la Chiesa ci fa considerare nel Vangelo di questa domenica di Settuagesima; i bravi operai, diciamo, i quali hanno assecondato l’invito del Signore che chiama in ogni tempo, in ogni ora a lavorare nella sua mistica vigna, ed hanno perciò diritto alla mercede riservata a coloro che avranno fedelmente servito; mercede larghissima, sovrabbondante, al di là di ogni nostro desiderio, la gloria, cioè, del suo regno e la sorte di amarlo e goderlo per tutta l’eternità.

Carissimi Figli!, non crediate che questi orizzonti sublimi siano superiori alla vostra sorte di autentici Lavoratori. Non sono superiori e sproporzionati; sono vostri. Anzi essi riflettono la loro luce su di voi, proprio su di voi, se qualche povertà, se qualche pena, se qualche difficoltà, se qualche contrasto mette in sofferenza la vostra vita, come una vocazione preferenziale; voi lo sapete, e non dovreste mai dimenticarlo; Cristo a voi per primi rivolge il suo messaggio evangelico.

Forse voi lo avete compreso, e proprio componendo e ammirando i vostri Presepi.

Beati voi, se così è. E così sia, sì, per voi, per i vostri colleghi e per le vostre famiglie, per tutto il mondo del lavoro; con la Nostra paterna Benedizione Apostolica.

MESSA PER I DIPENDENTI DELL'AZIENDA STATALE DEI TELEFONI

OMELIA

Seconda domenica di Quaresima, 23 febbraio 1964

Siamo molto lieti di accogliere gli appartenenti alla Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, qua guidati dal loro Sindacato Italiano dei Lavoratori Telefonici di Stato, e diamo il Nostro rispettoso saluto al Signor Direttore Generale, che sappiamo gentilmente partecipe a questo incontro, come pure agli altri Dirigenti e Tecnici della grande Azienda, ai promotori di questa Udienza ed in particolare al Signor Segretario Generale del vostro Sindacato Italiano dei Lavoratori Telefonici di Stato, a voi tutti, figli carissimi, addetti a codesti importantissimi e modernissimi servizi, a voi qui presenti, che Ci è caro abbracciare col Nostro sguardo, ammirato per la vostra assistenza a questa sacra cerimonia, per il vostro numero tanto consolante e tanto significativo, e per i sentimenti buoni, filiali, religiosi, che con codesta visita Ci manifestate e trasfondete nel Nostro cuore, affinché ne facciamo a vostro nome offerta al Signore, come professione di fede e di vigore morale, e li esprimiamo noi stessi in preghiera per voi, per le vostre persone singole, per le vostre famiglie, per i vostri colleghi, per tutta la vostra comunità di lavoro, per tutta la società alla quale voi prestate opera assai utile e assai delicata.

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Sì, lasciate che tutti vi salutiamo. Lasciate che, ancora prima di aprirvi il Nostro animo con le parole religiose, proprie di questa domenica. Noi vi assicuriamo, tutti ed ognuno, della Nostra paterna affezione, della Nostra stima, del Nostro desiderio del vostro bene. Lasciate che Noi stessi Ci inseriamo nel circuito delle vostre ordinarie occupazioni, e, invece di trasmettervi una comunicazione che, come sempre a voi capita, dev’essere passata ad altri, lasciate che indirizziamo a voi, proprio a voi, operatori e operatrici dei servizi telefonici, il Nostro messaggio; voi, questa volta, siete gli interlocutori terminali, voi siete coloro a cui la comunicazione è rivolta, e vuole arrivare a fermarsi: ai vostri spiriti, alle vostre persone!

Vorremmo cioè onorare il vostro lavoro non già nel suo aspetto tecnico, che è pure meraviglioso, ma riduce quasi a prestazione strumentale, meccanica, il vostro servizio, ma nel suo aspetto personale e vivo, che vi impegna come esseri spirituali, intelligenti, liberi e responsabili, e domanda a voi una prestazione, che l’impianto tecnico non può sostituire e non può dare: l’opera umana. Vi salutiamo, vi onoriamo, vi benediciamo non come esseri anonimi, come numeri insignificanti d’un grande complesso, ma come anime singole e viventi, ciascuna con la sua inconfondibile personalità, con la sua civile prestanza, con la sua storia interiore, con il suo superiore destino, con la sua cristiana dignità.

Vorremmo anzi che ciascuno di voi comprendesse come questa elevazione di ogni individuo umano alla dignità sacra ed inviolabile di persona rivestita della vocazione e dello splendore della figliolanza divina e della fratellanza cristiana costituisce proprio la missione della nostra religione, che conserva e difende in ogni essere umano la sua statura di nobiltà e di grandezza, anzi la solleva al grado superiore della vita soprannaturale.

Meravigliosa cosa, figli e figlie carissimi, che solo la religione cristiana sa operare, e che non solo si compie lasciando ai fenomeni sociali del mondo moderno, i quali producono complessi organizzativi, dove l’ individuo è come assorbito e quasi annientato, che si svolgano secondo le leggi razionali del progresso, ma li penetra, tali fenomeni, li richiama ai principi inalienabili del rispetto alla personalità umana, li nobilita, li umanizza, e perfino li santifica.

Ricordiamo questa funzione della vita religiosa, diffusa nella vita economica, professionale e sociale, affinché ne sappiate valutare l’importanza, la necessità anzi: e non abbiate a cadere nella illusione, pur troppo diffusa nell’opinione pubblica contemporanea, che il progresso tecnico e meccanico basti alla nostra vita e sostituisca tutto quanto un tempo si attribuiva alla Provvidenza e alla vita spirituale, alla fede religiosa. Sarebbe invece atto di buona intelligenza quello che confermasse in voi la persuasione che quanto più siamo tecnicamente progrediti tanto più abbiamo dovere e bisogno d’essere religiosamente fedeli; quanto più la civiltà strumentale e di massa soffoca, nell’atto stesso che la serve, la vita dell’uomo, tanto più dobbiamo alimentare il respiro dell’anima, che solo la preghiera e la fede possono, in sommo grado e in modo non fallace, vivificare.

Vi diremo anzi che questo è uno dei compiti maggiori e, per tanti problemi, risolutivo della vita odierna: come la religione possa e debba diffondersi in un mondo tutto proteso e impegnato nelle sue febbrili e interessantissime attività temporali, come possa essere considerata utile, anzi indispensabile, come possa essere compresa e praticata, non tanto come un giogo pesante e molesto, ma come un diritto alla verità, alla bontà, alla felicità.

Naturalmente questo processo di comprensione e di rivalutazione della religione, come elemento magnifico e necessario di vita, non è sempre facile; impegna la Chiesa a rivedere i suoi metodi pratici nella presentazione del messaggio di Cristo; ed impegna i fedeli, anzi impegna ogni persona intelligente e responsabile, ad assecondare questo sforzo di «aggiornamento», come ora si suol dire.

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Ma Noi stessi comprendiamo quante e quali difficoltà esso possa presentare a chi, specialmente, non ha né modo né tempo di fare sull’argomento studi speciali. Ma vorremmo confortare la vostra buona volontà a non disperare, a non cedere alla tentazione della superficialità, a non privare voi stessi della gioia di scoprire come quel cristianesimo che sembrava, a chi è preso dall’esperienza del vivere moderno, cosa vecchia e superflua, estranea e difficile, arbitraria ed esigente, è invece vivissimo e bellissimo, fatto apposta, si direbbe, per il nostro secolo e per i problemi reali del nostro spirito.

È possibile?

Ecco: a questo punto Noi vi leggeremo semplicemente il testo evangelico della santa Messa che stiamo celebrando. È una delle pagine più misteriose, più meravigliose e più istruttive del Vangelo. Non vorremmo mai più staccarci dalla sua lettura, dalla visione, dalla rivelazione, che essa ci presenta.

Dice così:

«. . . Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte sopra un alto monte e si trasfigurò innanzi a loro: il suo viso risplendeva come il sole e le sue vesti erano candide come la neve. E apparvero a loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. E Pietro, prendendo la parola, disse a Gesù: Signore, è bene per noi stare qui. Se Tu vuoi, io farò qui tre capanne, una per Te, una per Mosè ed una per Elia. Parlava ancora quando una nube luminosa li avvolse; ed ecco una voce partire dalla nube e dire: Questi è il mio Figlio diletto, in cui Io mi sono compiaciuto; ascoltatelo. E sentendo ciò i discepoli caddero prostrati per terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e toccandoli disse: alzatevi e non temete. E levando gli occhi non videro nessun altro, se non il solo Gesù. Il quale, nello scendere dal monte, diede loro, questo ordine: Non parlate ad alcuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo sia risuscitato dai morti» (Matth. 17, l-9).

Qui dovremmo fermarci. Quante cose dovremmo meditare, quale impressione dovremmo stampare nelle nostre menti circa questa scena sublime! San Pietro, scrivendo da Roma la sua seconda lettera, ricorderà il fatto prodigioso, con una testimonianza che ce ne conferma la miracolosa realtà e ce ne mostra la efficacia probativa del messaggio evangelico.

A noi basterà ricordare come il volto umano di Cristo nasconda e riveli ad un tempo il suo volto divino; come Gesù, e con lui il cristianesimo che ne deriva, si presenti a noi con sembianze, che spesso, a prima vista, non mostrano nulla di straordinario, nulla di originale, nulla di profondo. Anzi, alcune volte, la faccia di Cristo è quella d’un sofferente, d’un condannato, d’un morto; ascolteremo presto, nelle rievocazioni della Liturgia quaresimale, le parole strazianti di Isaia, che si riferiscono al Cristo crocifisso: «. . . egli non ha bellezza alcuna, né splendore: noi lo abbiamo visto, e non aveva alcuna apparenza che attirasse i nostri sguardi. Era abbietto, l’ultimo degli uomini, l’uomo dei dolori, che conosce la sofferenza . . .» (53, 2-3).

La faccia di Cristo e quella della sua religione ci appare talvolta misera e miserabile, lo specchio dell’infermità e della deformità umana. Ci sembra macchiata, profanata, inetta a irradiare ciò che piace tanto al gusto della gente di oggi: la bellezza sensibile, l’espressione formale, l’apparenza gioiosa. Ci sembra, da un lato, priva di luce sua, non più bella e splendente delle luci artificiali della bravura umana che incantano e abbagliano gli occhi della nostra più giovane generazione; dall’altro, ci sembra privata della luce sua da chi dovrebbe farla risplendere e tenerla alta e consolatrice sulla scena umana. Cioè Cristo e la sua Chiesa sembrano non aver alcuna attrattiva per noi, alcun segreto con cui affascinarci e salvarci.

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Ebbene, bisogna ripensare al prodigio della Trasfigurazione; bisogna accogliere il monito che riempie il cielo di Cristo e ci invita ad ascoltarlo. Fu un’ora unica e prodigiosa quella che i discepoli fedeli trascorsero quella notte sul Tabor; ma sarà un’ora continuata e consueta per noi, se sapremo tenere l’occhio fisso sul viso di Cristo e su quello, che storicamente lo riproduce, della sua Chiesa: una trasparenza singolare ci lascerà dapprima intravedere, poi scorgere, poi ammirare la faccia nascosta, la faccia vera, la faccia interiore del Signore e del suo mistico Corpo; e la nostra meraviglia, la nostra letizia non avranno più né misura né smentita.

Bisogna riscoprire il volto trasfigurato di Gesù, per sentire ch’Egli è ancora, e proprio per noi, la nostra luce. Quella che illumina ogni anima che lo cerca e che lo accoglie, che rischiara ogni scena umana, ogni fatica, e le dà colore e risalto, merito e destino, speranza e felicità.

Figli carissimi, lasciate dunque che oggi il lume soave e folgorante di Cristo di qui vi rischiari e vi illumini, e con la Nostra benedizione accompagni il vostro terreno cammino alla visione dell’ eterna luce.

SANTA MESSA PER I TRANVIERI DI ROMA ED I CALZATURIERI DI VIGEVANO

OMELIA

Domenica, 15 marzo 1964

Anzitutto il saluto del Pastore Supremo ai gruppi venuti per assistere alla Santa Messa celebrata dal Papa. Due sono particolarmente numerosi.

I tranvieri dell’A.T.A.C. hanno inviato cospicua rappresentanza, insieme con molte famiglie. Ad essi, da parte del Padre, uno speciale augurio, che si estende anche agli assenti, molti dei quali trattenuti dal necessario servizio.

SALUTO A BENEMERITE CATEGORIE

È a tutti nota l’opera di questi lavoratori: essa richiede soprattutto puntualità, perfezione, gentilezza. Sua Santità pensa di aver ulteriore occasione per incontrarli, ma intanto formula ogni migliore voto per i dirigenti, per le singole categorie degli addetti all’importante servizio; per quanti si occupano di loro nell’ambito materiale e spirituale, segnatamente quelli che attendono a una formazione religiosa sempre più profonda ed attiva, a cominciare dalle ACLI, l’ONARMO, l’ODA, i Cappellani del Lavoro.

Del pari Sua Santità saluta i lavoratori dei Calzaturifici di Vigevano, appartenenti a varie ditte ed aziende, i quali con i loro doni filiali hanno fatto doppiamente felice il Santo Padre sia per lo slancio degli offerenti, sia perché Gli si dà modo di alleviare non poche necessità.

Il secondo gruppo è accompagnato dal venerato Vescovo, del quale Sua Santità ben conosce l’attività e lo zelo pastorale. Ha potuto scorrere una recente relazione che indica l’ottimo lavoro compiuto in Vigevano e in tutta la zona circostante, sì che il nome di quella città non è soltanto oggetto di lode, da quanti, in Italia e all’estero, apprezzano lo specifico suo prodotto industriale, ma anche per le varie iniziative di carattere religioso ivi fiorenti.

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Ed ora - continua Sua Santità - un invito a tutti perché aprano la mente e il cuore a breve commento sul Vangelo del giorno. L’odierna sacra liturgia, con la partecipazione del popolo ai Divini Misteri che il Sacerdote compie e rende effettivi sull’altare, ci chiama alla meditazione della Passione del Signore: il dramma grandioso che avrà l’epilogo il Venerdì Santo con la memoria della Morte di Gesù e, quindi, nella Domenica successiva, con il fulgore della Resurrezione.

IL MISTERO DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

Come ci introduce la Chiesa nel doveroso ricordo dei vari atti della Redenzione, nostra salvezza? Si direbbe, con una domanda semplice e naturalissima: come mai è stato possibile arrivare alla crocifissione di Gesù? e proprio da parte del suo popolo che l’aspettava da migliaia di anni?

Siamo avvolti e compenetrati di stupore. I conterranei di Gesù, invece di riconoscerlo, lo accusano, lo calunniano, si fanno promotori di una tragedia, ch’è la più grande tra quelle succedutesi nella storia del mondo. L’inizio è descritto nel brano del Vangelo di S. Giovanni testé letto. Vi si narra di uno scontro avvenuto tra Gesù e alcuni alti dirigenti del suo popolo, i quali interpretavano in senso negativo la sua predicazione e persino i suoi miracoli. Capovolgendo anzi ciò che era chiaro ed evidente, arrivarono ad accusarlo di operare non per virtù di Dio ma del demonio. Di qui l’inesplicabile dramma che si presenta come un mistero quant’altri mai oscuro e profondo, nel quale però il Cristo domina, risplende, vince con forza straordinaria, usando anche un linguaggio veemente, ben diverso da quello consueto della sua predicazione alle turbe imploranti ed acclamanti.

ESAME COSCIENZIOSO DEL NOSTRO TEMPO

Ora il Figlio di Dio, il benefattore dell’umanità, l’operatore di innumerevoli prodigi, viene accusato nella maniera più orribile. E tuttavia non è di questo dramma che il Santo Padre vuole parlare. Egli, cioè, non intende soffermarsi sugli aspetti storici ed apologetici di quell’incontro. Vuole, invece, prospettare a tutti un’altra domanda: riguarda anche noi questa tragedia? ci interessa? ha riflessi nel nostro tempo?

Sì, questo dramma comprende anche noi, poiché è il dramma universale del Salvatore del mondo; ed ha per protagonista il Maestro dell’umanità. Tutti possono infatti agevolmente rilevare che il grande dramma oggi si prolunga e, in un certo senso, si rinnova, Cristo, infatti, anche oggi è avversato; tanta gente gli è nemica, lo bestemmia, lo vorrebbe sopprimere, anche in un Paese come il nostro, chiamato alla sublime missione di custodire le migliori tradizioni e all’onore di avere nel suo territorio il Successore di Pietro.

Vi sono quelli che negano e intendono combattere, crocifiggere il Signore. Gesù è spesso considerato come un estraneo. L’accanimento della ostilità usa modi e sistemi i più disparati, specialmente per cancellare il suo nome dalla vita sociale, oltre che da quella personale e domestica. Molti lavorano a questo scopo, insistono, si agitano. Questo è il laicismo nel suo senso deteriore; i suoi adepti si affannano a cancellare il nome di Dio dalle attività umane. Orbene, in questa lotta inimmaginabile, tanto è triste e sconcertante, Gesù stesso, a sua volta, risponde con un interrogativo che esige una risposta, la sola possibile. Si legge nel Vangelo odierno: Gesù disse ai suoi denigratori: chi di voi mi può accusare di aver recato qualche male all’umanità? In altri termini, quali sono le vere accuse contro Cristo e il Cristianesimo?

COME RAGGIUNGERE CRISTO

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Esaminiamo come rivolte a noi tali richieste. Incombe a noi il dovere di considerare e meditare la figura di Cristo, la sua bontà, il suo amore, la sua sapienza: tutte qualità. al grado infinito poiché Egli è Dio. Le colpe invece ricadono sopra di noi. Il processo che si vuol intentare a Cristo diviene il processo dell’umanità. Si ritorce sopra di noi l’accusa, poiché le ragioni di ogni iniquità si trovano non in Lui, bensì nel cuore dell’uomo. Anche coloro che scientificamente, e cioè attraverso una letteratura di studi e di indagini, hanno cercato di soffocare la divinità, la realtà, l’innocenza di Cristo, si sona trovati sempre costretti ad ammettere dei riconoscimenti che, se potessero essere raccolti, formerebbero la più grande apologia del Cristo. Tutti quegli autori hanno finito per dichiarare che Gesù era il più mite, il più saggio, il più giusto; e che il suo nome non si dimenticherà mai nel mondo . . . Ciò dicono i negatori del Signore : il che significa, dunque, che se abbiamo riluttanze o ribellioni contro il Signore, dobbiamo ricercarne la causa nel nostro essere, non nella vita di Cristo.

A logica conseguenza di tutto ciò, s’impone ad ognuno un esame di coscienza. Perché non siamo cristiani? perché anzi non sentiamo l’entusiasmo, la gioia, la fortuna di essere cristiani? Spesso, al contrario, intristiamo in assurde riserve; chi di indifferenza, chi di paura, altri anche di inimicizia e furore.

Ora il Santo Padre, deplorate così amare ignominie e miserie purtroppo presenti nel mondo, propone ai diletti uditori, i quali, grazie a Dio, non fanno parte delle categorie di negatori o di accusatori, a formulare per sé un esame positivo e cioè a chiedersi in quale maniera si può essere e diportarsi da veri cristiani. Come cioè distinguersi da coloro che vorrebbero ancora crocifiggere il Signore; ed agire invece, saldamente, nelle schiere dei reali e generosi fedeli. In una parola, come tornare a scoprire, a riconoscere il Cristo. I figli del nostro tempo hanno più che mai bisogno e necessità di porsi dinanzi al Salvatore, di approfondire il Vangelo, di fissare lo sguardo sul volto di Gesù e leggere, nel mistero infinito della psicologia divina ed umana di Lui, quale sia la sublimità di un dovere, la bellezza di un’adesione. Abbia ognuno l’intelligenza, la capacità di rispondere con profondo convincimento alla domanda fondamentale: chi è Gesù Cristo?

UN INCONTRO DECISIVO, STUPENDO

Se la risposta sarà quella giusta ed esatta, non solo si compirà un primario dovere religioso, ma si troverà la soluzione vera dei problemi umani, poiché Cristo è al centro dei destini del mondo. Se sapremo chi Egli è, sapremo che cosa siamo noi e conosceremo profondamente il senso della nostra vita.

Chi sia il Signore è detto in altro brano del Vangelo, presentatoci sabato scorso: «Io sono la luce del mondo». Seguendo questo fulgore si potrà agevolmente superare qualsiasi stato d’animo di indifferenza o di ostilità; tutti potranno godere di inestinguibile fiducia ed agire come figli di Dio. Arrida a tutti la certezza che Egli ci salva. Convinti di ciò, poiché è la grande verità, dovremmo aver sete dell’insegnamento del Divino Maestro, aprire il cuore alle irrompenti energie della grazia, che ci renderanno per sempre buoni, puri, innocenti. Anche nell’ambito delle materiali attività, stando con Cristo saremo veramente uomini, troveremo cioè una soluzione al problema più grave dell’umanità contemporanea, che spesso ci mostra i segni di cupa angoscia e di mortale disperazione. Gesù dona la vita, l’amore, la speranza: Egli mette ordine in ciascuno di noi; ci largisce la possibilità di vivere bene, di conservare in pienezza il concetto vero dell’esistenza.

È questa, in una parola, la raccomandazione del Papa. Nessuno rimanga assente, lontano da Cristo. L’incontro con Lui è una cosa grande, decisiva, stupenda; è dono così alto e provvido da far piangere e cantare di riconoscenza e di gioia. E per incontrarsi bene con Cristo occorre avere l’anima rinnovata, aperta, come quella del bambino, che sa di poter trovare nei genitori tutto quanto

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è necessario a superare la propria debolezza ed inesperienza. A Gesù diremo la nostra fede assoluta e il nostro sconfinato amore.

Cristo deve essere celebrato da noi per quello ch’Egli è: la via, la verità, la vita.

PELLEGRINAGGIO DELLA F.I.A.T.

OMELIA

Festività di S. Giuseppe Giovedì, 19 marzo 1964

Figli carissimi!

Noi siamo lieti che la vostra venuta a Roma, il vostro pellegrinaggio verso il Vicario di Cristo, coincida con la celebrazione di questa festa, la quale mette in luce, proprio come se San Giuseppe risplendesse sopra questa sacra assemblea, voi stessi! Come Ci è caro riconoscervi, a questa luce, quello che siete! Non è parola profana la Nostra quella che ora sente il bisogno di chiamarvi per nome: gente della F.I.A.T.: dirigenti e dipendenti di questo famoso complesso industriale, il primo d’Italia per numero di componenti, per grandiosità di sviluppo, per modernità d’impianti, per celebrità di nome, ed anche per rappresentatività di fenomeni economici e sociali, di cui tutti lo sanno fecondo.

Ci sentiamo in obbligo di salutarvi; e vogliamo dirvi la Nostra compiacenza, la Nostra riconoscenza per codesta visita, che tanto Ci onora, che tanto Ci consola, e che tanto Ci fa pensare a sperare. Vogliamo esprimere il Nostro rispettoso saluto a chi vi dirige, a chi ha l’intelligenza, la costanza, il merito nel promuovere e nell’organizzare un così vasto e così utile campo di lavoro; vogliamo dar lode al vostro gruppo Pellegrinaggi, che ha avuto l’idea di codesta iniziativa; e vogliamo, in modo speciale, assicurare della Nostra stima e della Nostra benevolenza tutta l’immensa schiera dei Lavoratori della F.I.A.T.: l’eccellente gruppo dei tecnici, le ottime ed esperte maestranze, i bravi e numerosissimi operai; gli anziani per la loro bravura e la loro fedeltà all’Azienda e al dovere; i giovani, per l’energia e per la fiducia che portano nella loro fatica; gli apprendisti, per le speranze ch’essi hanno nel cuore e ch’essi rappresentano per l’impresa; le famiglie di tutti questi Lavoratori, alle quali va il Nostro affettuoso ricordo ed il Nostro augurio; e tutti quanti qui siete e qui rappresentate; a quanti rettamente tutelano i vostri interessi e giustamente interpretano le vostre aspirazioni; alle associazioni e alle istituzioni che vi offrono assistenza morale e spirituale; a tutta la F.I.A.T., quale da questo punto prospettico idealmente Ci appare, nella sua grande capacità produttiva e nella sua tendenziale comunità di lavoro nella concordia, nella libertà, nella giustizia e nella prosperità. La visione, che voi sollevate davanti al Nostro spirito, Ci darebbe tema per discorrere a lungo di voi e delle vostre questioni; ma, come certo voi comprendete, non è questa la sede, non questo il momento. Vi basti sapere che guardiamo a voi, al grande fenomeno industriale, economico, sociale, morale e religioso, che in voi prende dimensioni tanto grandi e significative, con immenso interesse, con paterna simpatia, con particolare stima, e con vigilante preghiera: voi meritate che il Papa vi conosca, vi osservi, vi accompagni appunto con i suoi voti e con le sue orazioni.

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Adesso, dicevamo, siamo qui per celebrare insieme la festa di San Giuseppe; il che Ci solleva, sì, nella sfera spirituale e religiosa, ma non Ci distrae dalla realtà della vostra vita. Perché sempre è così: la religione non è un’evasione dalla vita reale, ma è piuttosto una posizione superiore al suo livello profano e banale, dalla quale posizione possiamo meglio conoscere e guidare la vita stessa e meglio valutarne l’esperienza, i bisogni, i doveri, i destini.

Ed è poi proprio così nel caso presente per il fatto della parentela professionale e sociale, chiamiamola così, che voi avete con San Giuseppe. Potremo dire: era dei vostri.

Riflettiamo un istante.

Celebriamo la festa di San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale. È una festa, che interrompe la meditazione austera e appassionata della Quaresima, tutta assorta nella penetrazione del mistero della Redenzione e nell’applicazione della disciplina spirituale, che la celebrazione d’un tale mistero porta con sé. È una festa che chiama la nostra attenzione ad un altro mistero del Signore, l’incarnazione, e c’invita a ripensarlo nella scena povera, soave, umanissima, la scena evangelica della sacra Famiglia di Nazareth, in cui quest’altro mistero s’è storicamente compiuto. La Madonna Santissima ci appare nell’umilissimo quadro evangelico; accanto a lei è S. Giuseppe, in mezzo a loro Gesù. Il nostro occhio, la nostra devozione si fermano quest’oggi su S. Giuseppe, il Fabbro silenzioso e laborioso, che diede a Gesù non i natali, ma lo stato civile, la categoria sociale, la condizione economica, l’esperienza professionale, l’ambiente familiare, l’educazione umana. Bisognerà osservare bene questo rapporto fra San Giuseppe e Gesù, perché ci può far comprendere molte cose del disegno di Dio, che viene a questo mondo per vivere uomo fra gli uomini, ma nello stesso tempo loro maestro e loro salvatore.

È certo innanzi tutto, è evidente, che S. Giuseppe viene ad assumere una grande importanza, se davvero il Figlio di Dio fatto uomo sceglie proprio lui per rivestire se stesso della sua apparente figliolanza. Gesù era detto «Filius fabri» (Matth. 13, 55), il Figlio del fabbro; ed il fabbro era Giuseppe. Gesù, il Cristo, ha voluto assumere la sua qualificazione umana e sociale da questo operaio, da questo lavoratore, ch’era certamente un brav’uomo, tanto che il Vangelo lo chiama «giusto» (Math. 1, 19), cioè buono, ottimo, ineccepibile, e che quindi assurge davanti a noi all’altezza del tipo perfetto, del modello d’ogni virtù, del santo. Ma c’è di più: la missione, che San Giuseppe esercita nella scena evangelica, non è solo quella della figura personalmente esemplare e ideale; è una missione che si esercita accanto, anzi sopra Gesù: egli sarà creduto padre di Gesù (Luc. 3, 23), sarà il suo protettore, il suo difensore. Per questo la Chiesa, che altro non è se non il Corpo mistico di Cristo, ha dichiarato San Giuseppe protettore suo proprio, e come tale oggi lo venera, e come tale lo presenta al nostro culto e alla nostra meditazione. Così oggi s’intitola la festa: dicevamo, di S. Giuseppe, Protettore di Gesù fanciullo, durante la sua vita terrena, e Protettore della Chiesa universale, ora ch’egli guarda dal cielo tutti i cristiani.

Ora fate attenzione.

San Giuseppe era un lavoratore. A lui fu dato di proteggere Cristo. Voi siete lavoratori: vi sentireste di compiere la stessa missione, di proteggere Cristo? Lui lo protesse nelle condizioni, nelle avventure, nelle difficoltà della storia evangelica; voi vi sentireste di proteggerlo nel mondo in cui siete, nel mondo del lavoro, nel mondo industriale, nel mondo delle controversie sociali, nel mondo moderno?

Forse non pensavate che la festa di San Giuseppe potesse avere delle conclusioni così inaspettate e così direttamente rivolte alle vostre scelte personali; né forse aspettavate che fosse il Papa a

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delegare a voi una funzione che sembra tutta sua, o almeno più sua che vostra, quella di difendere e di curare gli interessi di Cristo nella società contemporanea.

Eppure è così. Carissimi Figli! ascoltateCi bene. Noi pensiamo che il mondo del lavoro abbia bisogno ed abbia diritto d’essere penetrato, d’essere rigenerato dallo spirito cristiano. Questo è un punto fondamentale, che meriterebbe un lungo discorso; ma voi, se siete qua venuti, siete già di ciò persuasi; del resto, un giudizio spassionato e sincero sul processo evolutivo del mondo moderno lo dice e lo conferma: o il mondo sarà pervaso dallo spirito di Cristo, o sarà tormentato dal suo stesso progresso fino alle peggiori conseguenze, di conflitti, di follie, di tirannie, di rovine. Cristo è più che mai, oggi, necessario; primo punto. Secondo punto: chi riporterà, o meglio porterà (tanto è profonda la diversità del mondo del lavoro di oggi da quello di ieri), chi porterà Cristo nel mondo del lavoro? Ecco: Noi siamo convinti, come lo erano i Nostri venerati Predecessori, che nessuno meglio dei lavoratori stessi, può compiere questa grande e salutare missione. Gli aiuti esterni, le condizioni d’ambiente, l’assistenza di maestri, eccetera, sono certamente fattori utili, necessari, anche, sotto certi aspetti; ma il coefficiente indispensabile e decisivo per rendere cristiano, e cioè per salvare il mondo del lavoro, dev’essere il lavoratore stesso. Bisogna rigenerare questo mondo, ancora tanto inquieto, tanto sofferente, tanto bisognoso e tanto degno, dal di dentro, dalle risorse di energie, di idee, di persone, di cui ancora è ricco. Cristo oggi ha bisogno, come già nella sua infanzia evangelica, d’essere portato, protetto, alimentato, promosso in seno alle categorie lavoratrici, da quelli stessi che le compongono; o, per meglio dire, da coloro che in seno alle classi lavoratrici sentono la vocazione e assumono la missione di animare cristianamente le schiere dei colleghi di fatica e di speranza.

Anche questo punto si presterebbe a lunghe dimostrazioni e applicazioni. Crediamo che siete così bravi e intelligenti da saperle fare anche da voi, La vostra esperienza vi è maestra; la vostra aderenza alla parola della Chiesa vi offre lo stimolo e la guida a cotesto grande programma di rigenerazione e di vitalità cristiana.

Quello che preme ora a Noi di farvi notare, per bene celebrare la festa odierna e per fissare un ricordo vivo ed operante nei vostri spiriti, si è la stima che la Chiesa professa nella vostra capacità di difesa e di diffusione dell’ideale cristiano; si è la scoperta del disegno provvidenziale che riposa sopra di voi, e che ammiriamo prodigiosamente compiuto nell’umiltà e nella fedeltà di S. Giuseppe: potere cioè e dovere voi stessi essere i tutori, essere i testimoni, essere gli apostoli di Cristo nella vita sociale e nel mondo del lavoro dei nostri giorni.

Ci accorgiamo di chiedere molto! Sì. È un atto di fiducia, che mostra non facili doveri ed impegna a non lievi fatiche. Ma confidiamo di non chiedere indarno: non è vero, figli carissimi?

Da parte Nostra vi diamo quanto di meglio abbiamo: la Nostra affezione, la Nostra parola e il Nostro ministero. Il Nostro pensiero vi segue con particolare benevolenza, e vi accompagna nelle vostre quotidiane fatiche, con una preghiera fervida, nella quale vogliamo abbracciare anche i vostri cari, specialmente i vostri bambini, e i vostri colleghi provati da qualche afflizione.

E in questo momento inviamo un saluto di grande cordialità e reverenza al venerato Arcivescovo di Torino, il Signor Cardinale Maurilio Fossati, che sappiamo spiritualmente presente a questo incontro di anime, da lui tanto desiderato e patrocinato, anche se le condizioni di salute non gli hanno concesso di prendervi parte. Gli auguriamo ogni consolazione nel suo alto ministero, e l’augurio si fa preghiera, invocandogli i doni del Signore, che lo allietino nella rispondenza dei suoi figli, e nella coscienza dei grandi meriti, acquistati dal suo zelo generoso. Così rivolgiamo un beneaugurante pensiero. al Vescovo Coadiutore, Mons. Stefano Tinivella, e a Mons. Vescovo

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Ausiliare. Rinnoviamo anche il Nostro deferente saluto e diamo la Nostra Benedizione ai Signori Dirigenti della F.I.A.T. e agli Operai qui presenti.

La Benedizione Apostolica suggelli i Nostri voti e sia riflesso della continua assistenza del Cielo su di voi, sul vostro lavoro, sulla vostra dilettissima arcidiocesi.

La Benedizione si estende anche agli altri gruppi, specialmente alle maestranze dello Stabilimento «Tintorie Industriali Colombo» di Brescia, agli Studenti di Ragioneria dell’Istituto Tecnico Commerciale di Busto Arsizio, ed anche alle singole persone di varie nazionalità.

DISCORSO AI LAVORATORI DELLE INDUSTRIE DELLA CAMPANIA

Sabato, 25 aprile 1964

Accogliamo con grande piacere questa visita spettacolare dei Lavoratori di Napoli e della Campania. Essa è veramente degna del Nostro plauso per il numero straordinario del vostro pellegrinaggio; trentamila, Ci hanno detto, voi siete: quando mai una folla di visitatori, provenienti dalla stessa regione, si è mai riversata in questa dimora del Papa? Le proporzioni stesse delle vostre schiere costituiscono un avvenimento singolare e memorabile. La vostra visita si fa per Noi più preziosa al pensiero che voi venite dalla terra napoletana; voi siete «Napoli»! e tanto basta perché le meravigliose bellezze della incomparabile Città e della sua regione si presentino al Nostro spirito, e perché le glorie secolari della vostra storia e della vostra cultura sollevino in Noi visioni e memorie meravigliose. Siete «Napoli»; ed ecco che l’eco dei suoi canti e l’onda della sua poesia, la ricchezza del suo sentimento lirico e languido alle volte, appassionato e tragico altre volte risuona nel Nostro ricordo, mentre la vivacità del suo genio espressivo e la sottigliezza del suo talento speculativo Ci fanno ripensare alla grandezza dei suoi artisti e dei suoi pensatori. Siete «Napoli»: e Ci sentiamo obbligati ad esprimervi il Nostro ringraziamento per una visita che tanto Ci commuove e Ci onora. Noi vogliamo tutti salutarvi. Noi vogliamo specialmente salutare il vostro Cardinale Arcivescovo, che una indisposizione tiene lontano da questa adunata, ma che una sua lettera Ci assicura essere spiritualmente presente; a lui mandiamo il Nostro cordiale e riverente pensiero, a lui inviamo i Nostri voti beneauguranti e benedicenti. E non possiamo non presentare il Nostro rispettoso saluto a quanti hanno promosso e guidato questa solenne manifestazione e quante Autorità politiche e civili e Personalità rappresentative qua la accompagnano, e le vediamo tanto numerose e distinte, ai Dirigenti qui presenti di Aziende e di vasti campi di lavoro, ai Direttori delle vostre schiere e delle vostre associazioni, agli Assistenti Ecclesiastici, che vi fiancheggiano con la loro amicizia e col loro ministero.

Vediamo presenti i Nostri venerati Fratelli Vescovi della Campania, ai quali tributiamo la Nostra cordiale devozione ed esprimiamo il Nostro fraterno incoraggiamento; e con loro a Monsignor Michele Campano, Delegato Regionale dell’ONARMO e della Pontificia Opera di Assistenza, al quale va il merito principale di questa grandiosa iniziativa.

Ma voi, carissimi figli, mettete in evidenza venendo a Noi due altre note caratteristiche, che Ci interessano moltissimo e che Ci obbligano a dirvelo. Voi siete Lavoratori e voi siete credenti. Siete gente delle officine e dei campi, e gente della Chiesa. Uomini siete, che traete il pane dalla vostra

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fatica, e che pregate Dio, il Padre celeste, di renderla buona e feconda di quel pane di cui ha bisogno la nostra terrena esistenza. Siete rappresentanti d’una antica formula di vita, che proprio nella vostra regione - Montecassino non è lontana da Napoli - ha avuto la sua espressione originaria, ideata da un genio romano e cristiano, San Benedetto, che ha scolpito in due parole i caratteri genetici della civiltà medioevale e tuttora superstite: lavora e prega, ora et labora.

Qui Noi dovremmo fare l’elogio di queste due vostre tradizionali attività, che tanto qualificano la vostra vita da farne quasi delle prerogative caratteristiche. Dovremmo ricordare come la legge del lavoro, or ora detta la grande legge della vita, sia connaturata nella vostra anima, anche se, tale legge, di per sé austera e grave, si è quasi sempre presentata come pesante, subordinante, scarsa di risultati, e come essa faccia risultare il vostro volto di bravi lavoratori tanto più degno di affezione, di riverenza e d’interessamento quanto più paziente, modesto e dimesso sovente esso si presenta all’aspetto.

Cari Lavoratori Napoletani, onore alla vostra fatica! onore alla vostra costanza! onore alla vostra sobrietà! onore al vostro coraggio! onore al genio della vostra stirpe, che vi lancia sulle vie pericolose del mare e vi disperde sui sentieri dolorosi dell’emigrazione in cerca di pane e di speranza, e che al nome magico di Napoli vi fa vibrare di fedeltà, di commozione e di poesia!

Così dovremmo ricordare la vostra religiosità, che forse talora sotto forme folcloristiche e sotto espressioni esteriori d’altri tempi, conserva un fondo nobilissimo di fede, di pietà, di bontà, che dice una gloriosa tradizione locale di spiritualità e di santità, e che costituisce tuttora una nota di altissima dignità dell’anima napoletana. Troppo vi sarebbe da dire anche su questo punto; ma adesso appena Ci basta il tempo per fissare un istante la vostra attenzione sopra il fenomeno principale della vostra vita di lavoratori napoletani e cristiani, fenomeno comune a tutta la classe lavoratrice del nostro tempo, ma in voi forse più evidente e forse più incidente nel vostro costume e nella vostra mentalità. Non diciamo nulla di originale, ma crediamo sempre importante notare tale fenomeno; ed è quello della maturità delle classi lavoratrici alla quale voi siete pervenuti. Che cosa intendiamo per maturità? Intendiamo trasformazione, intendiamo metamorfosi, intendiamo passaggio dalle forme e dalla mentalità proprie del lavoro tradizionale alle forme e alla mentalità proprie del lavoro moderno. Intendiamo coscienza del proprio stato, intendiamo volontà e attitudine a dare al lavoro un posto più degno nel concerto sociale.

E voi sapete benissimo che cosa questo significa. Significa qualche cosa di nuovo, di bello, di utile, di godibile nello svolgimento consueto della vita: cambiano gli abiti, cambiano le abitazioni, cambiano le abitudini, cambiano gli orari, cambiano i divertimenti, cambiano i rapporti sociali; cambia tutto, si direbbe. Ed è bene che sia così. Se questo vasto e sensibile mutamento porta a voi un po’ di benessere, Noi lo salutiamo con piacere; anzi, per quanto a Noi è possibile, Noi lo favoriamo, Noi lo promoviamo e lo invochiamo. Se questo cambiamento si chiama giustizia, progresso, cultura, modernità, Noi ci dichiariamo senz’altro araldi e difensori di tale programma innovatore della vita sociale, e specialmente della vita delle classi lavoratrici.

Ma la trasformazione e la novità non si fermano qui: il fenomeno è più complesso e più profondo; la maturità riguarda non tanto il quadro esteriore della vita quanto piuttosto il mondo interiore delle idee. La maturità si misura maggiormente dalla capacità di pensare e di giudicare, che non da quella di accogliere le comodità ed i godimenti d’una società sviluppata e progredita. Anzi voi capite benissimo che è la maturità delle idee che provoca, produce, dirige, apprezza o condanna la maturità delle cose. La vita, volere o no, dipende dal modo di pensare. Oggi questo è chiarissimo: sono le ideologie - come ora si dice - che governano il mondo. E qui il fenomeno della maturità diventa delicatissimo e importantissimo.

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Dicevamo che la maturità produce evoluzione, produce cambiamento. Nell’evoluzione in corso, della quale voi, come tutti, siete partecipi, dovranno cambiare anche le vostre idee? Dovrà mutarsi anche la vostra anima napoletana? Dovrà cadere anche la vostra fede cristiana? Domani voi non sarete più né veri napoletani, né veri cristiani? Voi vedete come il fenomeno della maturità può farsi drammatico e decisivo.

Ebbene, fate attenzione. Quando la crisalide diventa farfalla muta enormemente il suo aspetto e la sua funzionalità biologica. Sì. Ma non muta la sua vita; non muta il suo essere individuale e sostanziale; anzi questo si sviluppa e si manifesta in perfezione e pienezza. Cioè: vi sono cambiamenti che fanno morire ciò ch’è caduco, o superfluo, o nocivo; e vi sono cambiamenti che sviluppano ciò che è implicito e vivo. Vi sono cambiamenti che portano ad una trasformazione, che implica o genera decadenza; e ve ne sono altri, che nella trasformazione conservano elementi essenziali e producono rinascenza e splendore. Tutto sta a saper bene giudicare e bene scegliere per segnare il cammino buono dei tempi nuovi.

Ebbene, ascoltate ancora. Noi pensiamo che sia venuto per voi questo momento di bene giudicare e di bene scegliere. L’ora della maturità è l’ora della scelta. È un’ora grande, figli carissimi; è un’ora che implica non solo il presente, ma l’avvenire. È presunzione la Nostra, se vi chiediamo di scegliere in questo momento stesso, in questa solenne e irrepetibile Udienza?, e se vi chiediamo, Lavoratori di Napoli e della Campania, di scegliere Cristo? Perché, vedete, carissimi figli, la scelta si decide alla fine sul nome di Cristo! È troppo grave, troppo complesso, Noi comprendiamo, questo problema, anche se voi, buoni cittadini e fedeli cristiani quali siete, già ne conoscete i termini e la soluzione, perché Noi ne attendiamo da voi, ora, una esplicita definizione. Ci basta porlo, questo problema, davanti a voi nella sua chiarezza, e chiedere a voi che lo portiate nella mente come ricordo di questo incontro.

Noi Ci limiteremo adesso ad enunciare tre proposizioni, che possono servire al vostro orientamento verso la maturità sociale, a cui siete candidati.

Prima. Occorre pensare bene. Lo abbiamo già accennato, e lo ripetiamo: occorre pensare bene. E quante cose occorrono per pensare bene! Qui Noi tocchiamo uno dei punti nevralgici dello sviluppo sociale del Nostro popolo, del Nostro amatissimo popolo lavoratore e italiano. È spontanea e doverosa la domanda: quali sono le ideologie che lo impressionano e lo risvegliano?, quali sono gli uomini che si presentano a lui come guide e maestri?, quali sono i giornali, i discorsi, le organizzazioni che vogliono aver presa sull’anima della gente di lavoro? Siamo franchi. Molte di queste ideologie, quelle dell’egoismo sociale e del primato dell’economia sulla legge morale e religiosa, ad esempio, quelle del marxismo eversivo, classista ed ateo, quelle del piacere e del vizio come libero programma di vita, e così via, sono ideologie errate, sono ideologie dannose; possono essere, e proprio per il popolo lavoratore in cerca di sufficienza economica, di dignità e di libertà personale, di pace sociale e internazionale, disastrose. Aprite gli occhi e osservate gli avvenimenti di questi giorni, che denunciano la debolezza scientifica, l’inconsistenza sociale, la pericolosità politica di dottrine, diventate entità potenti e assurde alla pretesa di guida del mondo del lavoro. Noi auguriamo che queste crisi ideologiche richiamino gli uomini di pensiero onesti e coraggiosi a rettificare tante facili acquiescenze alle correnti culturali di moda, e auguriamo che esse si risolvano in bene di coloro stessi che le subiscono e ne soffrono, per una più giusta ed umana concezione delle umane vicende. A voi poi, cari Lavoratori, vogliamo raccomandare intelligenza e libertà di fronte alle tentazioni delle false ideologie. Ricordate: occorre pensare bene.

Ed allora ecco la seconda affermazione. Restate fedeli alla Chiesa, restate fedeli a Cristo. Madre e Maestra la Chiesa, come la chiamò recentemente Giovanni XXIII, Nostro compianto Predecessore. Madre e Maestra la Chiesa è, a sua volta, alunna e rappresentante di Cristo. Voi sapete che da

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questa scuola del sommo Maestro dell’umanità, del solo Maestro della vera vita sono venuti, tramite la voce dei Papi specialmente, in questi ultimi anni, tanti insegnamenti, che si riferiscono proprio a voi Lavoratori e a tutti i problemi che travagliano la vostra vita. Ebbene Noi vi diremo che questo ampio e ripetuto interessamento dottrinale della Chiesa, dovuto principalmente ai Nostri ultimi Predecessori, non è predicazione puramente verbale, non è apologia interessata di propri privilegi o temporali vantaggi, non è difesa di condizioni sociali storicamente e logicamente superate, non è impedimento ad un legittimo e concreto dinamismo trasformatore, non è azione semplicemente dimostrativa e propagandistica; è amore vero e sapiente per voi, figli della campagna, del mare, dell’officina, dei servizi e degli uffici, uomini del lavoro; è sollecitudine in vostro vantaggio; è sforzo intelligente e leale di collaborazione con le vostre libere ed oneste associazioni e con le competenti Autorità civili e politiche, per dare alla società la giustizia, l’ordine e la pace, di cui voi per primi avete ansia e bisogno.

Ed ecco perciò la Nostra terza raccomandazione. Siate positivi, siate costruttori del mondo nuovo, a cui il progresso tecnico e scientifico ci può preparare. E cioè: invece di odiare e maledire la società, in cui la Provvidenza ci ha messo a vivere, cerchiamo di capirla, di servirla, di guarirla, di amarla. Date serenità, speranza, vigore, letizia ai vostri pensieri, come appunto l’educazione cristiana ci insegna a fare.

Amate il vostro lavoro. Probabilmente esso vi impone disciplina, disagi, rinunce, fatiche che vi fanno soffrire. Si dovrà cercare, con ogni mezzo, di alleviare quanto è possibile queste vostre pene. Noi anzi siamo grati a quanti vi assistono, vi aiutano, vi comprendono e procurano di rendere agevole ed umano il vostro lavoro. Ma, ripetiamo, amate il vostro lavoro; e sappiate sublimare in pazienza cristiana le sofferenze che restassero inevitabili. Amate il vostro lavoro, e dategli un soffio interiore di alti e nobili pensieri, quelli della onestà, della ami-cizia, della fratellanza, della solidarietà. E col vostro lavoro amate le vostre famiglie, i vostri vecchi, i vostri figli, i vostri compagni; amate le vostre campagne, il vostro mare, i vostri campi di studio e di fatica; amate, sì, la vostra Napoli; e siate voi a conservarla e a rinnovarla nella libertà, nella concordia, nella prosperità, nella pace. Con la Nostra paterna Benedizione Apostolica.

FESTIVITÀ DI S. GIUSEPPE ARTIGIANO

OMELIA

Venerdì, 1° maggio 1964

Tra i vari gruppi presenti Noi dobbiamo in modo particolare distinguere e salutare quegli degli Aclisti di Roma e di Milano, che furono i primi a chiedere a Noi di fissare questo incontro, al quale vediamo con piacere unirsi altri pellegrinaggi di lavoratori: quelli di Mondovì, guidati dal loro Vescovo, quelli di Melzo, quelli di Castiglione delle Stiviere, quelli della Società Elettrotecnica Palazzoli, di Brescia, e con tanti altri gli Artigiani Cristiani di Milano. Dobbiamo perciò notare che questa celebrazione si caratterizza dalla presenza varia, numerosa, e assai significativa di Lavoratori Cristiani, e di Artigiani Cristiani, ottimi e carissimi tutti. Non poteva meglio celebrarsi per Noi la festa del Lavoro cristiano.

Noi siamo felici di saperli presenti questi uomini del lavoro, di averli vicini a Noi in questo giorno che il calendario moderno dedica al lavoro e che quello ecclesiastico fa proprio per tributare al

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lavoro l’onore che egli è dovuto e per santificarlo con l’esempio e con la protezione del caro e santo lavoratore Giuseppe di Nazareth. Questo incontro, carissimi figli, Ci ricorda quelli che lo hanno preceduto, e proprio in questa giornata che mette in movimento non meno le coscienze che le masse del mondo operaio; ed oggi ancora vi diciamo la Nostra affezione, la Nostra stima, la Nostra fiducia, il Nostro desiderio di aiutarvi in ogni vostra buona aspirazione. Cari Lavoratori cristiani, sia chiaro per voi e sia chiaro per quanti voi qui rappresentate che il Papa vi vuol bene, che la Chiesa vi apprezza e vi assiste. Vorremmo che anche quest’ora di comune conversazione e di comune preghiera vi persuadesse, ancor più che già non siate persuasi, che la Chiesa vi comprende. Anche questa elevazione del primo maggio a festa religiosa che cosa vi dice, alla fine? Che la Chiesa ha per voi una comprensione particolare. Niente sarebbe più contrario alla verità che il dubitare della comprensione della Chiesa verso il mondo del lavoro. E se il dubbio venisse (e viene ancora in tanti vostri colleghi, lontani dalla Chiesa e prevenuti malamente nei suoi riguardi) che la Chiesa non vi conosca, che la Chiesa badi ad altre cose che non la vostra vita, che la Chiesa preferisca altre amicizie che non la vostra, ebbene la festa, che stiamo celebrando, qui, in onore di San Giuseppe Lavoratore, e sulla tomba di San Pietro pescatore - un lavoratore anche lui, -basta per dimostrare quanto invece la Chiesa vi sia vicina, e non solo con i suoi solenni insegnamenti, ma altresì con l’accoglienza affettuosa e rispettosa della vostra visita, del vostro colloquio, della vostra esperienza.

Ed è questo incontro, come già altri, che Ci dà immensa consolazione; e, ancor più della gioia che la vostra presenza Ci reca, esso Ci allieta, vorremmo dire, perché esso Ci offre occasione di dire a voi e di dare a voi qualche cosa di Nostro. Che cosa possiamo dirvi e che cosa possiamo darvi? Ce lo domandiamo spesso, davanti al Signore, tanto è il Nostro desiderio di dar prova della sincerità e dell’efficacia dei Nostri sentimenti. Ci domandiamo spesso, infatti, nelle riflessioni sui Nostri doveri pastorali, che cosa vogliono, che cosa aspettano i nostri lavoratori da Noi, dalla Chiesa? Voi, che siete venuti oggi a trovarci, e a dimostrarci così la vostra fedeltà e la vostra devozione, che cosa volete da Noi?

Vediamo. Voi volete indubbiamente una parola religiosa. Forse una nuova parola religiosa; quasi una rivelazione. Voi siete cristiani, voi conservate la vostra fede, voi frequentate ancora le vostre chiese. Beati voi. Siate perseveranti. Siate forti. Ma a Noi pare di intravedere nei vostri spiriti una certa difficoltà verso la religione, una certa pesantezza. Non è più così semplice come una volta l’andare in chiesa. Noi non facciamo ora l’analisi di cotesto stato d’animo, cioè della fatica interiore che oggi sente l’uomo del lavoro a credere, a pregare, a professare la sua fede, a praticare la sua religione. Sarebbe troppo lungo. Dovremmo elencare le obbiezioni, massicce e volgari alcune, sottili e seducenti altre, che turbano spesso lo spirito dell’operaio, e del giovane in modo speciale, in ordine alla concezione cristiana della vita, e nei riguardi della Chiesa in modo particolare. Notiamo solo due conclusioni, e sono piuttosto due impressioni, alle quali giunge oggi facilmente in questo campo il lavoratore moderno; una è l’impressione di cecità, di oscurità, di miopia almeno in tutto quello che riguarda la religione; donde la tentazione, che spesso diventa in pratica la regola, di non interessarsi della religione stessa; l’altra impressione è di sconforto, di pessimismo, di disperazione, che resta in fondo al cuore, un po’ su tutto, sugli uomini, sulla vita, sul mondo. La prima impressione viene a galla, e si manifesta, dicevamo, nel disinteresse per le cose di Dio e dell’anima; l’altra impressione invece, pesante come piombo, rimane quasi sempre silenziosa e segreta, e si deposita in fondo alla coscienza, triste ed amara.

Ed ecco allora che voi, per i quali i valori spirituali sono ancora apprezzati e conservati, venite da Noi, venite dal Papa, dalla Chiesa - Madre e Maestra - per chiederle (è oggi la vostra stessa presenza in questa basilica una domanda), per chiederle una parola nuova, una parola viva, una parola, sì, rivelatrice. È possibile ancor oggi dire al mondo del lavoro, che vuol dire al mondo scientifico, industriale, tecnico, sociale, una parola di fede cristiana, che vada dritta al suo cuore? È ancora, se c’è questa parola, utile, vera, rigeneratrice?

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Figli carissimi! Sì. Questa parola c’è, ed è viva, è vera, è per voi! E la Chiesa la conserva, la Chiesa ancora ve la offre! E ripeto: è nuova, perché è vera e perché è viva, anche se è sempre sostanzialmente la stessa; è eterna. Quale parola, mi chiedete, è questa? E vi rispondo: è il Vangelo. Sì, il Vangelo, luce del mondo, scienza di Dio e dell’uomo, codice della vita. Quel Vangelo che si apre alla prima pagina con il muto linguaggio di S. Giuseppe, custode, quasi portinaio del regno di Dio, recato al mondo da Cristo Signore; è lui che vi dice: si entra di qui, l’ingresso è la vita umile, forte, sacra del lavoro. Cioè, nella comprensione cristiana del lavoro abbiamo la porta, avete la chiave per entrare, voi lavoratori, nel mondo dello spirito, della fede, della luce religiosa che dà alla vita il suo senso, la sua dignità, il suo destino. Per altri il lavoro è l’introduzione nel regno della materia; per voi cristiani è un’iniziazione alla vita superiore dell’anima.

Carissimi!, voi sapete già queste cose; e venite da Noi per sentirle ripetere, e per essere assicurati che, seguendo la concezione cristiana della vita, non sbagliate. No, non sbagliate, anche quando, ed è subito, la concezione cristiana, l’ideologia come voi dite, diventa programma concreto della vita, diventa costume, diventa impegno. Cioè volete da Noi, dopo la parola religiosa, anche un impulso morale. Volete una infusione di energia per essere coerenti con la vostra ideologia, per essere gente di carattere, gente capace di dare testimonianza, non foss’altro col vostro modo di vivere e di parlare, alla vostra fede. Ebbene, figli carissimi, anche questo la Chiesa vi può dare, non per legarvi con tante proibizioni, ma per suscitare in voi stessi quelle forze spirituali, che si chiamano virtù, e che fanno l’uomo, l’uomo vero, l’uomo forte, l’uomo libero. La Chiesa vi può dare questa formazione umana autentica e completa, se state alla sua scuola: parola e grazia essa vi darà; e tanta sarà la bellezza di codesta esperienza, che non ne sarete facilmente sazi; ne vorrete ancora, ne vorrete di più, con grande consolazione anche se con soverchiante fatica di chi sa dispensare la parola e la grazia, i vostri bravi Sacerdoti!

E questo è tutto? La Chiesa non vi può dare altro?

Oh!, voi sapete che la Chiesa può darvi ancora qualche cosa; ed è ciò che tormenta di più i vostri animi, ansiosi anche in questo momento d’avere pure di qui una risposta a quei vostri problemi pratici, che sempre tanto vi angustiano e che investono la vostra vita, non solo nelle sue esigenze economiche, ma altresì nella sua concreta realtà personale, familiare e professionale, e proprio in ordine a ciò che socialmente vi definisce, cioè il lavoro. Ebbene la Chiesa, anche questo voi ben conoscete, si crede in dovere ed in diritto di offrire a voi, Lavoratori cristiani, ed anche a tutte le immense e varie schiere dei vostri colleghi, la sua parola che possiamo definire di «conforto sociale». Ella sa che ne avete tuttora bisogno, che ne avete tuttora diritto. Ella sa come in questo momento nuove difficoltà sono sorte nel campo economico e sociale, e che tutti ne soffrono, e non pochi delle vostre categorie ne soffrono nel pane, nella elementare sufficienza per la vita, nella indispensabile sicurezza delle loro condizioni materiali e morali. Ella sa come sia ancora tanto difficile per voi la tranquillità dello spirito: da un lato la controversia per la tutela dei vostri interessi economici, inasprita dalle fluttuazioni della presente congiuntura; dall’altro la diversità ideologica, che vi separa dai vostri stessi colleghi di lavoro. Ella sa come la trasformazione della società deve risolversi anche in vostro vantaggio, e non deve ledere, sì bene garantire e promuovere la libertà e la giustizia per tutti. Ella sa come tutto il presente progresso ha bisogno di principi morali, che lo conservino umano, e di forze spirituali che lo rivolgano al fine superiore della nostra vita, che è il suo destino immortale, da Cristo svelato e reso da noi raggiungibile, come cioè la religione abbia oggi più che mai la sua funzione illuminante ed elevante da svolgere a guida ed a sostegno dei grandi fenomeni umani, a cui è strettamente interessata la vostra vita.

Perciò la Chiesa non vi nega il suo « conforto sociale », ma ve lo elargisce con un’assiduità e con un’abbondanza di insegnamenti, di affermazioni, di esortazioni, che dev’essere motivo per voi di onore e di fiducia. E ve lo rinnova ancor oggi questo conforto, assicurandovi la sua assistenza ed

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invitandovi a qualificarvi sempre meglio per quelli che siete, Lavoratori cristiani; a trovare cioè nella vostra adesione a Cristo la originalità, la ragion d’essere, la forza, lo stile, la sicurezza, la fierezza delle vostre attività sociali. Così v’insegni il Maestro a cercare nella sua dottrina i principi della vostra concezione della vita, v’insegni la dignità e l’onestà della vostra fatica, vi insegni ad immunizzarvi dai tanti errori e dalle tante tentazioni che insidiano la vostra condizione di Lavoratori, v’insegni come si possa essere forti senza odiare, amando anzi e servendo il proprio interesse in congiunzione col bene comune, v’insegni ad essere amici e apostoli in mezzo ai vostri compagni, v’insegni a consolare e a nobilitare il vostro lavoro con la fede e con la preghiera.

A voi, a tutti i vostri colleghi, alle vostre associazioni libere e cristiane, alle vostre famiglie, ai vostri campi di lavoro, confermi questi voti la Nostra Benedizione apostolica.

DISCORSO AI LAVORATORI DELLA «SAFFA»

Sabato, 5 maggio 1964

Il Santo Padre è felice di ricevere i diletti figli di Magenta e della Saffa; Gli sembra quasi di essere ancora nella terra ambrosiana, a Magenta ove già il grande complesso industriale della Saffa destò la Sua ammirazione; e pertanto vuole esprimere a tutti il Suo apprezzamento e il Suo ringraziamento. La loro presenza suscita nel Papa tanti ricordi: quante volte si è recato a Magenta. Ma ad una visita sola vuole ora accennare: quando il Presidente della Repubblica Italiana e il Presidente della Repubblica Francese si incontrarono là, ove avvenne la famosa battaglia. L'Augusto Pontefice celebrò allora la S. Messa, in suffragio dei caduti, all'Ossario che perpetua la memoria dello storico avvenimento. E ricorda ancora quel che disse in quella circostanza: che il secolo scorso aveva messo insieme l'Europa, e che bisognava ora cercare di darle una pace, una fratellanza veramente sentita.

Al termine della S. Messa il Generale De Gaulle scese dal palco per stringergli la mano e dirgli: «Ce que vous avez dit sera fait», quello che Lei ha detto sarà fatto. Il Santo Padre prega il Signore che l'augurio, nato da quelle memorie storiche, di dolore e di grandezza, si possa realizzare. I ricordi di tante Sue visite alla basilica di Magenta, anche quando non aveva ancora l'attuale bellissima facciata, fanno sì che Egli invii alla popolazione della cara storica cittadina un paterno saluto, un vivissimo augurio e la Sua benedizione. E lo portano, questi ricordi, sul grande complesso industriale che Egli visitò, accompagnato dai dirigenti, ammirando lo sviluppo, la tecnica, l'arte di questo lavoro che nelle macchine perfette e nella ingegnosissima lavorazione è un po' il simbolo del mondo moderno, il quale ha trovato nella strumentazione nuova e raffinatissima, l'espressione più congeniale della sua cultura e che, in questa espressione, pone tante speranze insieme con la documentazione della sua valentia e bravura.

Durante la visita al reparto dove si fabbricano le macchine un operaio rivolse a Sua Santità un discorsino che è ancora vivo nella Sua memoria: disse, quel lavoratore, con fierezza condivisa dai suoi compagni di fatica, una cosa commoventissima con un linguaggio schietto e semplice: che avevano avuto compagno in quel reparto un futuro missionario. Ma il ricordo più solenne è stato rievocato dal Presidente. Or è un anno, il 1 Maggio, il Papa era a Magenta, a Pontenuovo, per consacrare la nuova chiesa del complesso industriale, bellissima e moderna, sorta in sostituzione dell'altra, insufficiente. E rivede le officine e poi le scuole, le abitazioni, l'asilo, la chiesa,

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l'ambulatorio, tutte le opere sorte una dopo l'altra, e sviluppatesi con eleganza, come un giardino fiorito, intorno ai grandi stabilimenti che fanno prospera e celebre la Saffa.

Nell'animo del Papa è rimasto impresso questo fenomeno che Gli pone sulle labbra e nel cuore specialissimi auguri; non è forse sotto i loro occhi che sta così delineandosi e realizzandosi quella evoluzione, quella trasformazione della società moderna che tutti andiamo auspicando? Il Santo Padre invoca le benedizioni del Signore su questi imprenditori bravi ed intelligenti, che hanno dato lavoro al popolo, hanno dato mezzo di progresso all'Italia, hanno reso intelligente la fatica umana, l'hanno alleviata nello sforzo fisico sostituendovi quello più umano dell'intelligenza e della guida della macchina. A questo hanno aggiunto anche la comprensione di altri bisogni; si sono resi conto cioè che occorreva tutto un altro complesso di provvidenze che essi hanno avuto l'intelligenza e il cuore umano e cristiano di offrire ai loro dipendenti e di ciò il Papa, pubblicamente, li ringrazia e li addita ad esempio. Il loro complesso industriale va evolvendosi; si formano nuovi rapporti ai quali il Papa guarda con vero interesse.

E quello che più tocca la Sua sensibilità, il Suo dovere di osservazione, è che tutto questo mondo del lavoro che per sé potrebbe prescindere - e il Santo Padre dice questo a fatica - dal fatto religioso, invece si orna, si completa di una presenza religiosa e non solo esterna ma interna. Anche questa città del lavoro oltre agli impianti sportivi, agli ambulatori ecc., ha così il suo centro di preghiera affinché l'anima del lavoratore affaticata, bisognosa di pace, di gioia, di speranza, possa essere appagata. Ed i lavoratori sono rimasti non solo valenti ed esperti, e degni di essere al livello delle migliori manifestazioni della operosità umana, ma anche cristiani, capaci di ereditare tutto il grande fiume della nostra tradizione spirituale, bellissima nelle loro campagne dove sono ancora aurei i costumi delle loro famiglie e stupendi i loro riti, le loro feste, e dove è ricco il patrimonio spirituale che la educazione cattolica delle nostre popolazioni rurali ancora conserva. Essi hanno portato questo tesoro nel loro complesso industriale, e la lampada della fede e della preghiera è stata accesa nel campo della fatica e della lotta per la conquista dei beni economici e materiali.

Una cosa così bella e degna di essere citata ad esempio, mette sulle labbra del Papa l'augurio agli imprenditori di continuare sulla buona strada, di avere la fierezza e la gioia di rendere felici i loro operai, di avere la sensibilità del grande fenomeno che hanno dinanzi, e del bisogno, che la nuova generazione ha, di cure e di assistenze, per affermarsi in una maniera nuova di vita. Il Santo Padre li esorta dunque a progredire; forse c'è ancora qualche cosa da fare; non tolgano a questi loro fratelli la speranza di ricevere i mezzi e i modi per vivere bene, in una società nuova e migliore. Ed ai carissimi lavoratori, che pongono a contatto con la fatica la persona, il muscolo, l'opera manuale, il Papa rivolge una esortazione a comprendere ciò che sta avvenendo, a rendersi conto che il mondo si evolve di fronte a loro, e li invita ad una riflessione, a rendere più facile il progresso di questa evoluzione che viene verso di loro, che offre loro case, istruzione, cultura, pace, dignità.

Se c'è qualche irragionevolezza nel loro contegno - fosse anche giustificata da certe necessità o da certi inconvenienti - questa evoluzione si arresta. Si può pensare che l'Italia sarebbe molto più avanti nel progresso e nella evoluzione delle classi lavoratrici se non ci fossero state delle idee sovvertitrici che hanno turbato le concezioni, i cervelli e gli animi dei lavoratori; se questi cioè fossero stati più intelligenti, più capaci di capire le cose, di darsi ragione che occorre della misura, del tempo, che occorre trattar serenamente, che l'ira e la collera non servono a nulla; che gli argomenti che debbono far valere sono la forza della loro unione, la fondatezza dei loro diritti, l'umanità delle loro aspirazioni. Questa è l'intelligenza di cui la classe operaia - ormai matura - deve dar prova. Continuino ad essere bravi, intelligenti; a comprendere come la nostra società deve evolversi; ad allontanare ciò che turba e confonde le idee; cerchino nella ragionevolezza le vie migliori per tutelare i loro interessi e per dare alle loro famiglie pace e ordine e, a questa bellissima espressione della loro industria, il carattere - dice il Papa - di campione.

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Ed ora una seconda raccomandazione. Dopo aver detto: siate intelligenti, ora il Papa aggiunge: siate cristiani, non crediate che il portare nell'anima, nel cuore, nella vita questa qualifica vi renda meno atti al lavoro, meno idonei a difendere i vostri interessi, meno preparati anche a godere dei beni nuovi che la civiltà può offrire alle classi lavoratrici. Questa qualifica cristiana vi renderà più contenti, più onesti, più capaci di godere i beni della terra. La chiesa sia il simbolo di questa affermazione, di fedeltà alle tradizioni e di speranza per gli anni futuri; cerchino di guardare questa chiesa non soltanto dal di fuori, ma di frequentarla; di vivervi, di farla palpitare delle loro preghiere; che sia veramente l'espressione delle loro speranze e dei loro animi; dicano, con tutta la voce della quale sono capaci: Padre nostro che sei nei cieli! Sia santificato il tuo nome... dacci oggi il nostro pane quotidiano, perdonaci le nostre colpe, rendici fratelli, consola le nostre pene, benedici le nostre famiglie, le nostre case; fa che siamo capaci di educare i nostri figli, di dare alla nuova generazione i doni più belli e più grandi: i doni che vogliono essere adesso consacrati dalla benedizione del Papa: i doni della pace, della concordia, del progresso e della benedizione di Dio.

DISCORSO AL PELLEGRINAGGIO DI LAVORATORI BRESCIANI

Sabato, 9 maggio 1964

Ci procurate una viva gioia, diletti figli, con la vostra presenza, e ve ne ringrazio di cuore. Il Nostro compiacimento nasce da un duplice motivo: anzitutto perché, in gruppo tanto cospicuo, provenite dalla Nostra diocesi di origine, la sempre diletta e ricordata Brescia cristiana, che prosegue con onore e fedeltà sul cammino segnato dai padri, pur adattandosi con ritmo giovanile alle nuove esigenze dei tempi moderni. L’appartenere a una terra, fortemente caratterizzata nei secoli dalla fede, dalla carità operosa, dalla libera, franca e generosa adesione a Cristo e alla Chiesa, impone ai suoi figli di oggi una responsabilità costante: è una lezione, che sale dal fondo di epoche trascorse, ma sempre vive nella memoria e nell’ammirazione, per ricordare ai posteri come il primo titolo di onore di una città è quello di appartenere coscientemente e appassionatamente alla cristiana civiltà, di servire il Vangelo, di ispirarsi alla sua luce per vivificare le proprie istituzioni, i propri statuti, la propria inconfondibile forma di vita: perché questo soprattutto può dare fondamento solido e duraturo alle virtù civiche e umane, le quali, senza un marcato timbro cristiano, potrebbero rimanere deboli e insufficienti, prive del loro contenuto più valido e vero.

Voi volete continuare su questo nobile solco, che ha segnato nei secoli la storia di Brescia, nella sua sana dirittura e fermezza municipale, come nella sua aperta testimonianza cristiana. Sappiate essere gli eredi fedeli di quel patrimonio, ora affidato al vostro impegno di cittadini e di credenti; sappiate essere gli interpreti sensibili e pronti delle esigenze dei tempi nuovi, da inquadrare saldamente nel contesto storico e religioso del passato, come antenne alzate sull’orizzonte, che captano le voci misteriose dell’etere e le trasmettono intatte e potenti.

Il secondo motivo, che Ci rende cara la vostra presenza, nasce dal fatto che voi appartenete ad un Ente, che offre la sua esperienza e competenza a uno dei più delicati ed essenziali servizi della comunità sociale: quell’ENEL, come ora si chiama, che provvede l’energia elettrica - luce, forza motrice e propulsiva in tutte le sue molteplici e mirabili applicazioni - a tutto il corpo sociale, come una innervazione vitale ramificata in ogni direzione. Ci commuove il pensare che anche i più sperduti casolari delle nostre valli montane, le loro povere e linde chiesette, le scuole ricevono per il

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tramite vostro la scintilla luminosa, che rischiara e riconforta. E pensiamo altresì ai grandi complessi industriali, alle fabbriche sonanti del baldo lavoro umano, alle molteplici esigenze della città, anch’esse servite dalla vostra continua presenza e vigilanza.

Di qui potete comprendere sempre meglio, diletti figli, il significato di mutua edificazione e di aiuto, che ha il lavoro, come una comunione di volontà e di amore, che serve i fratelli, nella visione più ampia del servizio dovuto a Dio, e da Lui ordinato per il bene di tutti. Nessuno è inutile in questo corpo sì ben organizzato, nessuno deve esimersi dalla sua responsabilità, che, unita a quella degli altri, offre un insostituibile apporto al comune progresso.

Tutti hanno qualcosa da dare, e qualcosa da ricevere, e tutti sono chiamati a donarsi, avvalorando le proprie risorse e i propri talenti, e spendendoli bene. E per non perdere di vista il fine supremo, a cui Dio ci chiama, ecco il pensiero costante del Cielo, che deve sorreggere e nobilitare ogni umana attività, e ispirare a propositi nobili e santi: è quello il destino umano, segnato dalla volontà di Dio, secondo la ovvia, ma profonda affermazione del Nostro Predecessore S. Gregorio Magno, che amiamo lasciarvi a ricordo di questo lietissimo incontro: «L’uomo è stato creato per contemplare il suo Creatore, cercare sempre la sua bellezza e abitare nella solidità del suo amore» (Mor. VIII, XII). 324

In questa solidità Noi vi auguriamo di stabilire sempre più fermamente le vostre vite, affinché esse siano orientate con decisione e sicurezza verso il bene, nella pienezza di letizia e di entusiasmo che solo dà la vocazione cristiana, quando è integralmente vissuta. I Nostri voti paterni sono confermati dalla Benedizione Apostolica, che impartiamo ai vostri Dirigenti, a voi tutti, ai colleghi lontani, in particolar modo alle vostre dilette famiglie, presenti al Nostro ricordo e alla Nostra preghiera.

DISCORSO AI DIRIGENTI, FUNZIONARI E MAESTRANZE DELL’E.N.I.

Venerdì, 29 maggio 1964

Signor Presidente! Diletti figli, dirigenti, impiegati e operai dell’Ente Nazionale Idrocarburi!

Salutiamo il vostro distinto gruppo con paterno affetto. L’odierno incontro, che avete desiderato sullo spirare di questo mese mariano con espressioni di devota pietà, che tanto Ci hanno rallegrato, riveste per il Papa che vi parla un carattere festoso, intimo, familiare. Infatti, come sempre avviene per le memorie vive ed eloquenti, che Ci legano alla Nostra Milano dilettissima, non possiamo non ricordare con animo commosso gli incontri, che avemmo allora più volte con la grande famiglia di quella Metanopoli, di cui l’E.N.I. ha fatto suo modernissimo centro. Come Pastore della diocesi ambrosiana, abbiamo visto crescere e affermarsi quel centro di studio e di lavoro, sorto con le sue possenti strutture, che hanno modificato radicalmente quell’angolo quieto e pittoresco della campagna lombarda, dandovi l’impronta propria dei tempi nuovi.

Conosciamo dunque per qualche diretta esperienza il valore di quel complesso, e siamo lieti di esprimervi il Nostro compiacimento, per le affermazioni di carattere scientifico, industriale, sociale

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ed economico, per cui esso si impone alla considerazione e al rispetto della Nazione e dell’Estero. Ma soprattutto non Ci sfuggono gli importanti problemi di indole religiosa, pastorale, assistenziale che l’organizzazione di un grande centro industriale, come il vostro, ha portato con sé: problemi che, con lodevole tempestività, mediante la vostra generosa collaborazione, sono già stati in parte risolti per quanto riguarda le necessarie strutture edilizie: e Noi fummo lieti di intervenire in particolari momenti, per invocare le benedizioni del Cielo sulle opere felicemente realizzate, per riconoscere il merito delle vostre efficaci prestazioni e per attestare la sollecita presenza della Chiesa nel mondo del lavoro umano. Altri problemi attendono ancora la loro soluzione, imposta dal crescente sviluppo industriale della zona: sappiamo che dovrà sorgere una nuova chiesa, a ricordo del compianto Enrico Mattei; e sarà anche doveroso pensare agli adolescenti e ai giovani, affinché, in apposite scuole e oratori, possano prepararsi, nello studio e nella cristiana educazione, alle responsabilità del domani. Siano benedetti tutti gli sforzi, le provvidenze, le iniziative, che voi vorrete prendere a cuore per la soluzione di queste esigenze, che, pur essendo di natura spirituale e formativa, sono strettamente collegate con il programma delle opere sociali della grande famiglia del vostro Ente.

Codesta visione larga ed organica di tutti i bisogni, anche religiosi e morali, della popolazione d’un centro industriale moderno non può non avere una benefica ripercussione sul buon ordine e sul retto andamento anche delle attività di indole puramente tecnica: perché - ed è questo l’insegnamento costante della dottrina sociale della Chiesa - non bisogna mai dimenticare che il soggetto della vita economica è la persona umana, creata da Dio e redenta dal Cristo, con i suoi problemi spirituali e con le sue quotidiane responsabilità della famiglia e dell’educazione dei figli. Quando si viene provvidamente incontro a questi fondamentali postulati della persona umana, oh allora si è posto un fondamento sicuro anche per la solidità ed efficacia del suo apporto alla vita civile, mediante la sua serena, positiva, volonterosa applicazione al dovere, che le viene affidato. Così il progresso tecnico procede di pari passo con lo sviluppo religioso e morale, collegandosi armoniosamente coi valori eterni dell’uomo, nella globalità della sua vocazione.

Vengono a Noi spontanei questi pensieri per averli altra volta raccolti nelle rare, ma dense conversazioni che avemmo con due alte personalità, oggi defunte, a cui sentiamo il dovere di dare il tributo della Nostra riverente memoria, e a cui l’E.N.I. deve tanto della sua origine e della sua prosperità: vogliamo dire l’on. Prof. Ezio Vanoni e l’Ing. Enrico Mattei. L’uno e l’altro in momenti diversi, ma quasi collegati da una medesima meditazione di fondo, ambivano confidarci come fosse loro ispiratore proposito quello di dare grande impulso allo sviluppo industriale del Paese, perseguendo in prima linea l’interesse pubblico, e considerando nello schema produttivo il fattore umano non alla sola stregua dell’efficienza fisica ed economica, ma a quella altresì d’un soggetto vivo e responsabile, degno di valutazioni sue proprie, che lo fanno assurgere al livello dell’umana eguaglianza e poi a quello della graduale corresponsabilità e della cristiana fratellanza.

L’odierna temperie del progresso della scienza e dell’industria, lo sforzo per raggiungere una efficienza crescente e la soddisfazione, stimolatrice di nuove conquiste, per i risultati conseguiti, possono mettere in pericolo questa visione totale dell’uomo, alla luce cristiana; e cioè l’eccessivo e predominante tecnicismo potrebbe soffocare ogni altra esigenza, fino a dimenticare la grande dimensione spirituale, l’unica che dia valore all’uomo di oggi e di sempre, la sola che lo salvi dalle insidie dell’autosufficienza egoistica come dalle ansie della solitudine e dell’incomunicabilità, come è invalso dire. Solo la visione cristiana della vita e del lavoro, delle responsabilità esaltanti dell’uomo come delle sue immancabili delusioni, può dare stabilità ferma all’umano progresso, ancorandolo alle radici dell’eterno.

Siamo certi che condividete con Noi queste verità, e vi auguriamo che esse diano sempre luce di orientamento al vostro vivere quotidiano. E per confermarvi nelle vostre ottime disposizioni,

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invochiamo su di voi e sul vostro lavoro i continui favori del Signore, di cui vuol essere pegno e riflesso l’Apostolica Nostra Benedizione. Scenda essa sui vostri cari lontani, sui vostri colleghi, sui luoghi della quotidiana attività, e avvalori l’operosità e gli sviluppi dell’Ente Nazionale Idrocarburi nei suoi quadri dirigenti, come nel compatto organismo delle sue laboriose maestranze.

DISCORSO AL XI CONGRESSO NAZIONALE DELL'UNIONE CRISTIANA

IMPRENDITORI DIRIGENTI (U.C.I.D)

Lunedì, 8 giugno 1964

Cari ed Illustri Signori!

Reduci dal vostro XI Congresso Nazionale, che l’unione Cristiana degli Imprenditori e dei Dirigenti ha tenuto a Napoli, voi venite a recarci la espressione dei sentimenti di devozione e di fedeltà, che ispirano e sostengono l’Unione stessa; venite a presentarci i risultati della vostra attività e a rinnovare davanti a Noi i propositi che la devono guidare e sorreggere; e venite a chiedere al Nostro apostolico ministero una parola di luce e di conforto.

Diciamo subito che Noi siamo sensibili alla vostra deferenza e alla vostra fiducia. Vi consideriamo con vero rispetto per quello che siete: operatori economici, come oggi si dice; imprenditori, dirigenti, produttori di ricchezza, organizzatori di imprese moderne, industriali, agricole, commerciali, amministrative che siano; generatori perciò di lavoro, di impieghi, di addestramenti professionali, atti a dare occupazione e pane ad una enorme folla di lavoratori e di collaboratori; trasformatori per ciò stesso della società mediante il dispiegamento delle forze operative, che la scienza, la tecnica, la strutturazione industriale e burocratica mettono a disposizione dell’uomo moderno. Con i maestri ed i medici voi siete tra i principali trasformatori della società, quelli che maggiormente influiscono sulle condizioni della vita umana e che le aprono nuovi ed impensati sviluppi. Qualunque sia il giudizio che si voglia dare di voi, si dovrà riconoscere la vostra bravura, la vostra potenza, la vostra indispensabilità. La vostra funzione è necessaria per una società, che trae dal dominio della natura la sua vitalità, la sua grandezza, la sua ambizione. Avete molti meriti e molte responsabilità.

Voi siete i rappresentanti tipici della vita moderna, che si qualifica come tutta condizionata e plasmata dal fenomeno industriale; vogliamo anche rilevare in voi un magnifico sviluppo delle facoltà umane, le quali, impiegate dai canoni caratteristici della vostra scuola, hanno dato saggio di immense e superbe capacità, e hanno ancor più svelato il riflesso divino sul volto dell’uomo, e ancor più scoperto le tracce d’un Pensiero trascendente e dominante nel cosmo aperto dagli studiosi a nuove esplorazioni, e da voi a nuove conquiste. La posizione, che voi avete così occupato nel quadro della vita contemporanea, è eminente, è strategica, è rappresentativa; e Noi, come chiunque guardi con occhio obbiettivo la realtà storica e sociale che ci circonda, diamo atto sinceramente della vostra importanza, e, per quanto essa ha di buono, sotto moltissimi aspetti, le tributiamo la Nostra riconoscenza, il Nostro plauso e il Nostro incoraggiamento. È questa Nostra testimonianza un segno dell’atteggiamento della Chiesa verso il mondo moderno: un atteggiamento di attenzione, di comprensione, di ammirazione, di amicizia.

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Se poi Noi pensiamo che voi unite alla vostra qualifica di Imprenditori e di Dirigenti quella di cristiani: e non solo di fatto, ma di professione sincera, semplice e virile, ma vigilante ed operante, la Nostra ammirazione diventa affettuosa, e subito nasce in Noi il bisogno di una conversazione, di cui voi già conoscete i termini, e sentite ad un tempo il disagio e il beneficio. Introdurre il termine cristiano nella formula che vi definisce non è senza fatica; tutto il sistema ideologico che vi sostiene entra in sofferenza: ecco che critica, denuncia, dovere si insinuano come elementi nuovi nella formula stessa, la quale tarda a rassegnarsi d’essere così disturbata, quasi inquinata nella sua semplice e limpida espressione originaria, quasi invasa da un reagente estraneo al sistema stesso: che cosa hanno a che fare la religione, il Vangelo, la Chiesa nel nostro campo?, non sono elemento eterogenei?, non vengono a mescolare il sacro col profano?, non rappresentano una contaminazione del rigore scientifico e specifico, che governa e chiude in se stesso il ciclo della nostra attività?

Voi avete compreso che queste obbiezioni non hanno ragione d’essere quando si consideri codesta attività come facente parte di un’attività più larga, l’attività propria dell’uomo, l’attività morale, e quando si tengano presenti le finalità a cui il vostro gigantesco lavoro vuole arrivare, cioè alla vita dell’uomo, nella sua complessità e totalità, nella sua dignità e nel suo superiore e immortale destino. Anzi, avete compreso che quelle obbiezioni sbarrano il passo all’ingresso nel vostro settore di alcuni fattori spirituali, la cui mancanza è, in gran parte, la causa delle deficienze, dei disordini, dei pericoli, dei drammi, che pur esistono, e come!, nel regno prodotto dalla civiltà industriale. L’elemento cristiano, ancor prima di suscitare inquietudine, entrando nel vostro campo, la trova, e quale! Chi oserebbe sostenere che il fenomeno sociologico, derivato dall’organizzazione moderna del lavoro sia un fenomeno di perfezione, di equilibrio e di tranquillità? Non è vero proprio il contrario? La nostra storia non lo prova in modo evidente?, e non siete voi stessi a sperimentare questo strano risultato delle vostre fatiche, l’avversione, vogliamo dire, che sorge contro di voi proprio da parte di quelli stessi a cui voi avete offerto le vostre nuove forme di lavoro?, le vostre aziende, meravigliosi frutti dei vostri sforzi, non vi sono forse causa di dispiacere e contrasti? Le strutture meccaniche e burocratiche funzionano perfettamente, le strutture umane ancora no. L’azienda, ch’è per sua esigenza costituzionale, una collaborazione, un accordo, un’armonia, non è ancor oggi un urto di animi e di interessi?, e talvolta non viene considerata quasi un capo di accusa per chi l’ha costituita, la dirige e la amministra? Non si dice di voi che siete i capitalisti e i soli colpevoli? Non siete spesso il bersaglio della dialettica sociale? Vi deve pur essere qualche cosa di profondamente sbagliato, di radicalmente insufficiente nel sistema stesso, se dà origine a simili reazioni sociali.

È vero che chi oggi parla, come tanti fanno, di capitalismo con i concetti che lo hanno definito nel secolo scorso dà prova di essere in ritardo con la realtà delle cose; ma sta il fatto che il sistema economico-sociale, generato dal liberalismo manchesteriano e tuttora perdurante nella concezione della unilateralità del possesso dei mezzi di produzione, e dell’economia rivolta al prevalente profitto privato, non è la perfezione, non è la pace, non è la giustizia, se ancora divide gli uomini in classi irriducibilmente contrastanti, e caratterizza la società dai dissidi profondi e laceranti che la tormentano, appena contenuti dalla legalità e dalla tregua momentanea di qualche accordo nella lotta sistematica ed implacabile, che dovrebbe portarla alla sopraffazione d’una classe sull’altra.

Voi avete compreso ciò che le Encicliche pontificie in tema sociale continuamente affermano, essere cioè necessario il coefficiente religioso per dare soluzione migliore ai rapporti umani derivanti dall’organizzazione industriale; e ciò non già per impiegare tale coefficiente religioso come un semplice correttivo paternalistico e utilitario per temperare l’esplosione passionale e facilmente sovversiva della classe lavoratrice rispetto a quella imprenditoriale, ma per scoprire alla sua luce la deficienza fondamentale del sistema che pretende di considerare come puramente economici e automaticamente regolabili i rapporti umani nascenti dal fenomeno industriale, e per suggerire quali altri rapporti devono integrarli, anzi rigenerarli secondo la visione emanante dalla

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luce cristiana: prima l’uomo, poi il resto. È bello notare come la religione nostra, la quale proclama il primato di Dio su tutte le cose, mette per ciò stesso in essere, nel campo delle realtà temporali, il primato dell’uomo. Ed è bello osservare come sia, questo primato, garantito dal riconoscimento della sovranità, anzi della paternità di Dio sugli uomini, il motivo che stimola e giustifica quel dinamismo sociale, quel progresso civile a cui il fenomeno industriale, cosciente o no, imprime il suo moto ineluttabile, e che costituisce, in fondo, la sua più nobile aspirazione e il suo più indiscutibile vanto.

E così voi avete compreso molte cose, fastidiose e redentrici. Avete compreso che bisogna uscire dallo stadio primitivo dell’era industriale, quando l’economia del profitto unilaterale, cioè egoistico, reggeva il sistema, e quando si attendeva che l’armonia sociale risultasse soltanto dal determinismo delle condizioni economiche in gioco. Avete compreso che tanti malanni conseguenti alla ricerca del benessere umano, fondato esclusivamente e prevalentemente sui beni economici e sulla felicità temporale, nascono proprio da questa impostazione materialista della vita, imputabile non solo a coloro che del vecchio materialismo dialettico fanno il dogma fondamentale d’una triste sociologia, ma a quanti altresì mettono il vitello d’oro al posto spettante al Dio del cielo e .della terra. Avete compreso che per voi l’accettazione del messaggio cristiano costituisce un sacrificio: mentre per le categorie umane non abbienti esso è un messaggio di beatitudine e di speranza, per voi è un messaggio di responsabilità, di rinuncia e di timore; ma perché cristiano quel messaggio, voi coraggiosamente lo accogliete, con la fiducia, con l’antiveggenza che la sua. laboriosa applicazione esige, sì, il superamento dell’egoismo, proprio dell’economia resa norma a se stessa, ma ristabilisce la scala dei valori, fa dell’economia un indispensabile servizio, perfino un esercizio d’amore, e conferisce all’operatore economico la dignità propria del benefattore sociale e l’intima, soddisfazione d’aver dedicato le sue prodigiose energie a qualche cosa che vale e che resta, l’umanità; anzi a qualche cosa che trascende il tempo e costituisce credito per l’eternità: «Avevo fame . . . avevo sete . . . ero ignudo . . . . e voi mi avete sfamato, dissetato, vestito...» (cfr. Matth. 25, 40).

Avete compreso. Ecco perché Ci è cara la vostra Unione e perché Ci sentiamo onorati della visita che essa Ci fa. Comprendiamo benissimo le difficoltà interiori ed esteriori che si oppongono all’apertura delle vostre e delle altrui volontà per l’elaborazione d’una nuova sociologia fondata sulla concezione cristiana della vita, e al rifacimento effettivo delle strutture economiche secondo tale concezione.

Ma tanto di più lodiamo i vostri propositi e incoraggiamo i vostri sforzi. La gradualità, purché progressiva, è sapiente. E non andremo lontano per indicarne la via. Essa è già aperta davanti a voi dalle linee di sviluppo della società moderna. Essa va verso quel bene comune, di cui ha parlato a Pescara la recente Settimana Sociale dei Cattolici Italiani; ed esige perciò il superamento del particolarismo di interessi e di mentalità che ora oppone il capitale al lavoro, l’utile proprio al pubblico bene, la concezione classista alla concezione organica della società, l’economia privata a quella pubblica, l’iniziativa particolare a quella razionalmente pianificata, l’autarchia nazionale al mercato internazionale, il vantaggio proprio in una parola al vantaggio dell’umana fraternità. Bisogna avere le visioni nuove, larghe e universali del mondo, alle quali il corso stesso della storia ci invita, ed alle quali il cristianesimo non da oggi soltanto ci stimola.

Voi, operatori economici, siete stati piloti nella formazione della moderna società industriale, tecnica e commerciale.

Voi, operatori economici cristiani, potete ancora, con arte diversa, con virtù nuova, essere piloti nella formazione d’una società più giusta, più pacifica, più fraterna. Siete gli uomini dalle idee

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dinamiche, dalle iniziative geniali, dai rischi salutari, dai sacrifici benefici, dalle previsioni coraggiose; e con la forza dell’amore cristiano voi potete grandi cose.

E Noi, che siamo, per dovere della Nostra missione, i difensori degli umili, gli avvocati dei poveri, i profeti della giustizia, gli araldi della pace, i promotori della carità, a ciò vi esortiamo e per ciò vi benediciamo.

DISCORSO AI PARTECIPANTI ALLA 1ª SETTIMANA DI STUDIO SULLA «PRESENZA E FUNZIONE DEL SACERDOTE

NELLE COMUNITÀ DI LAVORO»

Venerdì, 26 giugno 1964

Venerabile Fratello e diletti figli.

Nel salutare codesta splendida schiera sacerdotale dei partecipanti alla 1ª Settimana di studio sulla pastorale del mondo del lavoro, promossa dall’ONARMO, sotto l’alto patronato della Conferenza Episcopale Italiana, il Nostro cuore vibra di paterna e commossa soddisfazione. Come non vedere in voi, dilettissimi Cappellani del lavoro, i sacerdoti delle prime file, e con voi, tutti i Sacerdoti che in varie forme sono impegnati nell’assistenza al mondo del lavoro, gli apostoli di tempi nuovi, dedicati ad un fervido sforzo missionario, che per voi tutti è instantia cotidiana (cfr. 2 Cor. 11, 28), ansia generosa e talora drammatica, ricerca assillante di contatti amichevoli e vivificanti per portare l’annunzio di Cristo nel mondo dell’umana fatica? Come non vedere in voi, e in tanti vostri confratelli, e incoraggiare con l’autorità del Nostro apostolico mandato una vocazione eletta per il Sacerdozio cattolico, un ministero provvido ed ardito, una sollecitudine che cerca continuamente di adeguarsi alle sue gravi responsabilità, per poter fraternamente e autorevolmente dare la risposta cristiana agli interrogativi e alle esigenze del lavoratore? Il tema che avete trattato nei giorni scorsi è prova evidente di questa vostra ansia apostolica: e siamo grati alla Conferenza Episcopale Italiana, che vediamo qui rappresentata da suoi venerati e diletti membri; siamo grati alla Presidenza dell’ONARMO e alle altre organizzazioni cristiane dei lavoratori per la zelante e dinamica sensibilità dimostrata con l’indire questa prima Settimana di studio.

Di fatto, parlare della «presenza e funzione del sacerdote nelle Comunità di lavoro», qual è il tema proposto alla vostra attenzione, dice l’esigenza di un provvido apostolato, richiede il programma d’un’opera intelligente e generosa, prepara la definizione d’un ministero specializzato a beneficio dei lavoratori in quanto tali. Ce ne rallegriamo sinceramente. E Ci dà viva soddisfazione l’apprendere che l’iniziativa vuol essere la prima di una particolare serie di studi e di incontri per l’approfondimento e l’estensione della vostra azione pastorale, per l’esame e la verifica della sua metodologia, per la preparazione di più adeguate tattiche di apostolato. Tutto ciò significa un particolare fervore di vita e di attività, che Ci procura vivo conforto e di cui vi ringraziamo di cuore.

Non è necessario sottolineare a voi l’importanza, la necessità e l’urgenza della missione pastorale del Sacerdote. Essa vuole portare Cristo nel mondo del lavoro, com’è dovere della Chiesa in tutti i campi della umana società. Essa vuole stampare in esso, secondo l’espressione del Nostro Predecessore S. Pio X, «quell’impronta cristiana» (Lett. all’Unione economico-sociale per i Catt. italiani, 20 gennaio 1907; cfr. La Civiltà Cattolica 1907, 1, 740), che successivamente Pio XII

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sottolineava con vigorosa ed esaltante consegna: «Un compito importante v’incombe - egli diceva - quello di dare a questo mondo dell’industria una forma e una struttura cristiane... Cristo, per il quale tutto è stato creato, maestro del mondo, resta anche il maestro del mondo attuale, perché anch’esso è egualmente chiamato a essere un mondo cristiano. È vostro dovere di conferirgli l’impronta di Cristo» (Radiomessaggio al 77° Katholikentag di Colonia, 2-1X-1956; Discorsi e Radiom. 18, p. 397).

Conferire l’impronta di Cristo! Quale orizzonte vastissimo si apre all’anima del sacerdote, pensoso delle sue responsabilità e della sua vocazione. Ciò porterà a scoprire le orme di Dio nelle realtà materiali, come pure nelle conquiste tecniche e organizzative del mondo del lavoro, e a vincere l’inerzia e l’opacità della materia, che sembra talora impadronirsi dell’anima immortale dell’uomo, e signoreggiarla e asservirla come in una morsa ferrea; ciò vorrà dire comunicare al lavoratore la coscienza altissima della sua dignità di persona umana, amata da Dio, redenta in Cristo, e trasformata in novella creatura, che è chiamata al destino di costruire la città terrena nella giustizia, nella pace e nella libertà, affinandosi nel lavoro e nel sacrificio, in attesa della città celeste; vorrà dire soprannaturalizzare nel lavoratore cristiano tutti i motivi della sua quotidiana fatica, abituandolo a considerare la sua vita non dal solo aspetto materiale e terreno, ma anche e soprattutto da quello spirituale e divino, per poter attendere alla propria santificazione, e alla elevazione del mondo circostante, attraverso gli strumenti del proprio lavoro; vorrà dire ancora impegnare i singoli ad una convinta, lieta, coerente testimonianza di fedeltà al Vangelo di Cristo, per dilatare le schiere di quanti non sono insensibili ai valori cristiani: una testimonianza fatta di esempio, di generosità, di carità reciproca e fraterna, allo scopo di unire gli animi nella mutua comprensione, superando gli ostacoli dell’egoismo e della divisione, che isolano anche le forze migliori; ciò vorrà dire infine stimolare e promuovere le iniziative che i nostri Laici, con alta sensibilità religiosa e con metodi conformi alle esigenze sociali moderne, cercano di realizzare per una concreta affermazione dei principii cristiani.

Questa molteplice azione pastorale esigerà inoltre un’attenta e illuminata opera di formazione, esercitata attraverso la stampa specializzata, incontri e contatti periodici, enti e organizzazioni apostoliche e sociali, allo scopo di preparare i vostri uomini, secondo le capacità di ciascuno, a una mentalità, a un giudizio, a una Weltanschauung, per usare una corrente espressione, ad una presenza e ad una azione, che si ispirino ai valori esaltanti e sicuri del cristianesimo, affinché tutto sia collocato nella giusta luce: dalla coerente impostazione della propria vita, alla sicura conoscenza del criterio morale, fino al giudizio sui fattori più importanti del tempo moderno, con le sue ideologie, con le varie forme di divertimento e di spettacolo, con la mentalità corrente.

Conferire l’impronta di Cristo! Il vostro zelo, la vostra esperienza, i vostri studi vi sapranno suggerire i diversi campi, nei quali intervenire, i metodi da seguire, gli aggiornamenti a cui ispirarsi per lo svolgimento di un programma così vasto e impegnativo. Ma il compito è troppo importante e urgente per essere sottovalutato, per non richiedere l’assoluta dipendenza dalla grazia divina, l’accurata preparazione, e poi l’impiego di tutte le forze in una instancabile azione pastorale, che non rifugga da alcun tentativo pur di annunziare Cristo, e di conquistare a Lui anime ardenti e generose, che forse attendono una voce che le chiami, come gli operai della parabola evangelica (cfr. Matth. 20, 1 ss.).

Venerabile Fratello e diletti figli.

Ancora una consegna abbiamo da lasciarvi, che Ci sta particolarmente a cuore per la piena riuscita del vostro ministero nella comunità di lavoro. E ve la lasciamo con le parole del Nostro Predecessore Pio XI, che, alla Federazione Nazionale Cattolica Francese diceva: «È l’unione che fa la forza ed è la disciplina che fa l’unione... Non tralasciamo mai l’occasione di dire che nel campo

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delle formalità naturali e soprannaturali, nel quale voi lavorate, non si farà mai nulla senza l’unione. Soprattutto, ad ogni costo, siate uniti, perché è la condizione della forza e del successo. Quella che voi ascoltate non è soltanto parola di un uomo, sia pure del Papa, ma quella di Dio. È una divina parola del Cuore di Gesù: negli ultimi suoi ammonimenti e sublimi insegnamenti Egli disse: “Siate uniti”» (12 giugno 1929).

Con la stessa fermezza vi ripetiamo queste parole, certi come siamo che, soprattutto nelle presenti condizioni di vita e di lavoro, solo l’unione, la convergenza dei metodi e degli obiettivi da raggiungere, la concorde strumentazione di un comune piano di attività non solo possono assicurare al vostro lavoro maggiore efficacia e più rapida effettuazione, ma sono addirittura condizioni essenziali per la sua riuscita, e corrispondono, come sapete, al Nostra desiderio.

Lasciate che queste Nostre brevi e semplici parole, dopo aver preso calore di esortazione, prendano ora valore di speranza: abbiamo fiducia nell’opera vostra e di altri buoni sacerdoti amici del mondo del lavoro; abbiamo fiducia nel cuore del lavoratore, che deve certamente intuire l’importanza e la fortuna d’un dialogo con la Chiesa, che con immensa stima e incomparabile amore gli apre davanti i tesori del suo Vangelo.

Noi vi siamo accanto con il Nostro appoggio, vi seguiamo con la preghiera quotidiana, che vi invoca l’assistenza costante del Divino Spirito, affinché ciascuno di voi, «chiamato ad essere apostolo, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio» (cfr. Rom. 1, 1), si allieti di frutti fecondi pur nelle asperità del proprio ministero.

L’Apostolica Nostra Benedizione, che ora di gran cuore vi impartiamo, vuol essere conferma di questi voti paterni, e pegno dei costanti incrementi del vostro sacerdotale lavoro.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 settembre 1964

Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita Ci trova, alla vigilia della ripresa del Concilio ecumenico, assorbiti dai pensieri e dalle occupazioni, che il grande avvenimento reca con sé; e Noi non sapremmo oggi d’altro parlarvi che di questo tema, che interessa al sommo il Nostro ministero, ma che deve interessare altresì gli animi vostri e di quanti si sentono figli fedeli della Chiesa. Abbiamo già inviato al Cardinale Decano, che sta a capo del Consiglio cardinalizio di Presidenza del Concilio, una Lettera con un’esortazione da estendere a tutta la Chiesa per invitare tutti, Clero e fedeli, ad una preparazione ascetica, ad una partecipazione spirituale al Concilio stesso; abbiamo raccomandato, com’è ovvio per i grandi momenti della vita della Chiesa, di esprimere in qualche speciale atto di penitenza e di preghiera l’invocazione e l’attesa dello Spirito Santo, che assiste e guida il cammino dei seguaci di Cristo. Rinnoviamo a voi qui presenti, ottimi Figli e Figlie, la stessa raccomandazione: fate dono al Concilio della vostra adesione spirituale, rettificando le intenzioni interiori che sono al timone della vostra vita verso l’obbedienza a Dio e verso il suo amore, e facendo sorgere dalla profondità dei cuori qualche viva preghiera per il felice esito della straordinaria assemblea della Gerarchia ecclesiastica. Vi saremo gratissimi se avrete un ricordo nelle vostre orazioni anche per Noi, che sentiamo l’enorme peso delle Nostre responsabilità, e abbiamo più di tutti bisogno dell’aiuto di Dio.

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L’ora del Concilio infatti è fra tutte, si può dire, l’ora di Dio. È l’ora nella quale la sua Provvidenza, che governa il mondo in modo a noi incomprensibile e talora identificabile dopo che gli eventi hanno lasciato intravedere un certo disegno superiore di sapienza e di bontà, deve in qualche modo lasciarci scoprire le sue intenzioni prima e durante lo svolgersi dei fatti conciliari, affinché sia sempre vera la sentenza, che precede le deliberazioni dell’assemblea ecumenica come lo fu nel primo Concilio apostolico di Gerusalemme, di cui gli Atti degli Apostoli ci danno interessantissima notizia: «Visum est enim Spiritui Sancto et nobis . . .» (Act. 15, 28). È parso infatti allo Spirito Santo ed a noi . . . L’azione divina si innesta in quella degli Apostoli, e le loro decisioni coincidono col pensiero di Dio, perchè sono suggerite e guidate dallo Spirito Santo.

Questo significa che un Concilio deve avere, da un lato, lo sguardo aperto e teso per scoprire i «segni dei tempi», come disse Gesù (Matth. 16, 4), gli avvenimenti umani, cioè, i bisogni degli uomini, i fenomeni della storia, il senso delle vicende della nostra vita, considerata al lume della parola di Dio, e dei carismi della Chiesa; e dall’altro, lo sguardo del Concilio deve cercare e scoprire «i segni di Dio», la sua volontà, la sua presenza operante nel mondo e nella Chiesa. Difficile l’una e l’altra scoperta; ma la seconda, quella dei segni di Dio, più della prima. L’indicazione del pensiero divino deve farsi, in un certo modo, conoscibile, sperimentale; e ciò è grazia, che bisogna, se non meritare, essere almeno in grado di accogliere. Ciò vi dice come il Concilio non è tanto un avvenimento esteriore e spettacolare, sebbene ciò abbia la sua ragion d’essere e la sua benefica efficacia; quanto un fatto interiore e spirituale, preparato, atteso, sofferto e goduto, dentro gli animi di quanti compongono il Concilio; esso diventa un fatto morale e spirituale d’incomparabile tensione e pienezza, che deve essere confortato dalla certezza d’essere animato dallo Spirito Santo. È l’ora di Dio che passa . . .

Voi comprendete perciò le Nostre apprensioni. Voi comprendete come, con l’invocazione della divina assistenza, e specialmente con la preghiera allo Spirito Santo, animatore della Chiesa, e con la supplica alla Madonna, Regina degli Apostoli e perciò dei Vescovi, voi potete. magnificamente collaborare alla buona riuscita del Concilio. Confidiamo tanto, Figli e Figlie in Cristo, in cotesto spirituale aiuto; e, con riconoscenza aggiunta alla benevolenza, di cuore tutti vi benediciamo. Ora una parola anche a voi, diletti fanciulli di Azione Cattolica, che punteggiate questa Udienza come fiori soavissimi di innocenza, di bontà e di grazia. Siete venuti da ogni parte d’Italia con un particolare titolo di onore, che vi deve far andare giustamente fieri: avete vinto infatti le gare diocesane per lo studio catechistico-liturgico, e per l’attività apostolica delle vostre Associazioni; e vi accompagnano le vostre ottime Delegate parrocchiali, liete di vedere nei risultati da voi conseguiti il meritato riconoscimento delle loro fatiche e sollecitudini.

Non è Nostra intenzione rivolgervi un discorso, perché la naturale vivacità dei vostri anni troverà forse già troppo lunga la durata di questa Udienza. Desideriamo dirvi soltanto: bravi! Vincere un concorso diocesano, ove si presentano altri fanciulli e fanciulle, certamente preparati, certamente in gamba nei riflessi mnemonici, nella prontezza delle risposte, nella completezza dello studio, vincere un simile concorso, diciamo, è segno che siete stati bravi per davvero. Ve lo diciamo dunque di cuore.

E con le Nostre parole ve lo dice Gesù, di cui tanto umilmente compiamo le veci qui in terra: Gesù che, come ai tempi della sua vita terrena, vi guarda con particolare predilezione, e, come allora, vuole accarezzarvi, abbracciarvi, stringervi al cuore, dicendo ai grandi: «Lasciate che i fanciulli vengano a me!» (Marc. 10, 14).

Per meglio conoscere Lui avete studiato così bene il catechismo; per vivere di Lui e in Lui siete incominciati a entrare nel regno suggestivo e ricchissimo della Liturgia e della vita della Chiesa; per

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portare a Lui i vostri compagni di scuola e di giuochi vi aprite alle prime conquiste entusiasmanti dell’apostolato.

Sia Gesù la vostra vita, il vostro cibo, la vostra luce, il vostro amico: oggi, negli anni preziosi e fuggevoli dell’infanzia, domani negli impegni della adolescenza, e poi sempre, sempre, per tutta la vita! È questo il Nostro augurio, la Nostra preghiera, la Nostra benedizione: nella quale vogliamo comprendere gli Assistenti e le Dirigenti Centrali e Diocesani, qui presenti, le Delegate Parrocchiali, il cui corso merita il più ampio incoraggiamento, i genitori lontani, e quanti nelle parrocchie si dedicano con generosità e fervore alla completa formazione cristiana di codeste belle speranze della Chiesa, germogli di giovinezza buona e pura, consolazione profonda del cuore del Papa.

* * * * * * * * * * *

All'odierna Udienza Generale partecipa il cospicuo gruppo dei Sacerdoti Assistenti Provinciali e Diocesani delle ACLI, provenienti da Rocca di Papa, ove si svolge il loro XIII Convegno nazionale. Vogliamo perciò rivolgerci particolarmente a loro, che si preparano nella preghiera e nello studio allo svolgimento di un nuovo anno di attività e di iniziative, a favore degli interessi spirituali e anche materiali dei diletti lavoratori cristiani d’Italia.

Sacerdoti carissimi!

La vostra presenza procura viva consolazione al Nostro cuore, e ve ne ringraziamo sentitamente. Se è sempre grande la gioia che Ci procurano i numerosi gruppi di pellegrini, che continuamente si succedono, attestando con l’eloquenza dei fatti il vivente fervore della loro fede, più toccante è quella che Ci danno i Nostri sacerdoti. Il pensiero ritorna, in queste occasioni, agli incontri avuti nella Nostra vita pastorale con le schiere valorose di un sacerdozio umile e preparato, generoso e positivo: con le figure di pastori zelanti, che, talora in condizioni disagiate, spesso nell’isolamento e nella solitudine dei loro posti avanzati di sentinelle di Dio, portavano l’impronta viva del testimone di Cristo, del missionario, del custode vigile, che scruta i segni dell’alba nella notte incombente. I sacerdoti, tutti i sacerdoti, Ci sono particolarmente cari, li portiamo nel cuore con le loro ansie apostoliche, con le loro difficoltà, con le loro speranze: e Ci è cara questa occasione, che Ci permette di affermarlo ancora una volta pubblicamente, affinché la Nostra voce giunga a tutti i sacerdoti in cura d’anime, e sia loro di conforto e di sostegno.

Ma la caratteristica fisionomia della pastorale, alla quale dedicate le vostre migliori energie - l’assistenza spirituale ai lavoratori - dà a voi uno speciale titolo alla Nostra benevolenza, diletti Assistenti Provinciali e Diocesani delle ACLI. Non possiamo esimerci da una parola di sentito compiacimento per la dedizione, con cui vi preparate con sempre più cosciente senso di responsabilità, per la serietà, che dedicate all’approfondimento e all’aggiornamento dei problemi inerenti al vostro ministero, per la ricerca di una completa qualificazione di fronte agli imperativi indilazionabili dell’apostolato fra i lavoratori cristiani.

E vogliamo lasciarvi una parola di paterna esortazione, che vi accompagni nell’attività del nuovo anno di lavoro, e sia come il ricordo del vostro Congresso, e di questa significativa Udienza.

— Siate sacerdoti, anzitutto, e sacerdoti santificatori. È questa la vostra missione precipua, il vostro titolo d’onore, il motivo che giustifica la vostra presenza nel mondo del lavoro; questo desiderano essenzialmente da voi i lavoratori, adusi alle fatiche e alle usure della loro vita. E il sacerdote che, in qualunque forma, sotto qualunque pretesto, ponesse in secondo piano questo aspetto primordiale della sua vocazione, per dar luogo alle doti esteriori, alle risorse di natura e di carattere, o ai mezzi

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puramente naturali di un lavoro da organizzatore, da burocrate, da tecnico anche brillante e completo, quel sacerdote, diciamo, si esporrebbe forse all’insuccesso e al fallimento. Permetteteci il ricordo di alcune parole, rivolte ai Nostri dilettissimi sacerdoti di Milano, ma che vogliamo qui ricordare per meglio sottolineare il Nostro pensiero: «La conoscenza del nostro sacerdozio... ci riporti a Cristo, con umiltà piangente, con carità commossa, con abbandono generoso alla sua operante presenza.. . Questa ascetica sacerdotale, esteriore ed interiore, ci trova talvolta dimentichi: ci si concede alle abitudini profane; talvolta impazienti, ci si domanda a che cosa servono tante vecchie prescrizioni, e non ci si fa scrupolo di contravvenire a qualcuna di esse; ci si trova tal altra convinti che fare il contrario di ciò che la lettera prescrive è un conquistare lo spirito: la lettera sarebbe l’obbedienza, sarebbe la conformità di costume con i propri Confratelli, sarebbe la rinuncia all’occhio che si scandalizza: mentre lo spirito sarebbe l’esperienza della vita profana, specialmente sotto alcune forme seducenti: come, ad esempio, l’amore ai beni di questo mondo, al di là dei nostri doveri, l’acquiescenza a tendenze culturali e sociali che la Chiesa proscrive. Il mondo, nel quale dobbiamo vivere ed operare, esercita anche su di noi le sue seduzioni sottili: come avvicinarlo e come rimanere indenni dal suo fascino contagioso è problema assai importante e complesso per la vita del sacerdote» (G. B. Card. Montini, Discorsi al Clero, p. 128-129).

— Ancora: la vostra presenza al fianco dei lavoratori sia la testimonianza vivente, fatta persona che con essi soffre, spera ed ama, che la Chiesa è con loro, e fa proprie e incoraggia le loro giuste aspirazioni ad una condizione di vita e di lavoro, che sia consona alla dignità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, e redenta col Sangue Preziosissimo di Cristo. La Chiesa è vicina ai lavoratori con cuore di madre, e moltiplica le attestazioni, solenni o quotidiane, di questo suo interesse affettuoso e sollecito verso la loro condizione. Solo una mente accecata dalla prevenzione più ostile potrebbe oggi negare tale realtà: tante sono le prove e i documenti di queste materne premure, che si distribuiscono nei secoli come tante pietre miliari di un millenario cammino, che ha il suo punto di partenza nella lieta novella dell’umana fraternità in Cristo Signore e nel suo Mistico Corpo, per giungere fino alle splendenti affermazioni dei più recenti documenti pontifici. Sì, la Chiesa mette in guardia i lavoratori dal seguire teorie e pratiche ingannevoli, che essendo basate sulla negazione di Dio non possono che sfociare anche nella negazione dell’uomo, nonostante i loro effimeri successi, ma essa non ha mai cessato, né cesserà mai di sostenere i diritti dei più deboli, di proteggere gli oppressi e gli sfruttati, di predicare l’amore sincero, basato sul reciproco rispetto dei mutui diritti e doveri.

Questo ricordi la vostra presenza tra i lavoratori, diletti figli. procurando di far giungere a tutti, come primo obiettivo del vostro apostolato, i lineamenti precisi, accessibili, suasivi della dottrina evangelica e del Magistero della Chiesa.

— Infine: la vostra parola e la vostra azione siano spese per inculcare la netta preminenza degli interessi spirituali su ogni altro valore umano, anche il più sacrosanto. Come sacerdoti siete luce della terra, sale del mondo (Matth. 5, 13-14): siete i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di Dio (1 Cor. 4, 1); siete i buoni amministratori della multiforme grazia del Signore (1 Petr. 4, 10). Il vostro primo dovere è dunque quello di alimentare nei lavoratori cristiani il senso comunitario della vita ecclesiale, la stima e la frequenza dei Sacramenti, la fame e la sete della parola di Dio: nella certezza, prima vissuta e quindi luminosamente inculcata, che il primato di ogni ricerca e di ogni interesse spetta per il vero cristiano al regno di Dio e alla sua giustizia, perché il resto verrà dato in soprappiù (Matth. 6, 33).

Ciò non vuol dire che si debbano trascurare i valori materiali; tutt’altro, perché, secondo il Vangelo, questa è la prima condizione per possederli; ma è un paterno richiamo a voi, sacerdoti carissimi, perché siete i rappresentanti autorevoli della Chiesa, la quale - come abbiamo scritto nella recente Enciclica - «con candida fiducia si affaccia sulle vie della storia, e dice agli uomini: io ho ciò che

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voi cercate, ciò di cui voi mancate. Non promette così la felicità terrena, ma offre qualche cosa - la sua luce, la sua grazia - per poterla, come meglio possibile, conseguire; e poi parla agli uomini del loro trascendente destino» (L’Osservatore Romano, 10-11 agosto 1964, p. 8) .

Ecco, diletti figli, quanto abbiamo desiderato dirvi in questo lietissimo incontro. E affinché il vostro lavoro sia sempre fecondo di soprannaturale efficacia, avvalorata dalla grazia divina, Noi vi accompagniamo col Nostro affetto e con la Nostra preghiera, ed effondiamo su di voi e sulle benemerite Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani la confortatrice Benedizione Apostolica.

DISCORSO AI PARTECIPANTI AL IX CONGRESSO NAZIONALE DEL MOVIMENTO GIOVANILE DELLE ACLI

Martedì, 5 gennaio 1965

Carissimi Giovani,

Prima di tutto: vediamo di conoscerci.

Che voi siate Giovani, i Nostri occhi lo vedono; e ne siamo molto contenti. A Noi piace la Gioventù. Ditelo anche ai vostri amici e colleghi: il Papa vuol bene ai Giovani. Perché questa preferenza? Sarebbe lungo spiegarne le ragioni; ma il fatto è che da un pezzo, fin da quando nessuno pensava ai Giovani, nella casa del Papa essi erano oggetto di affezione, di fiducia, di assistenza particolari. Fin dai suoi tempi Giovanni l’Evangelista, che da giovane era stato prediletto da Cristo, scriveva, ormai vecchio: «Scrivo a voi, Giovani, perché siete forti, e la parola di Dio sta in voi, e avete vinto il maligno» (1 Io. 2, 14). Dunque, perché Giovani, siate i benvenuti.

Siete Lavoratori? Chi vi ha condotti qua, Ce lo assicura. Non ci sarebbe nulla da osservare, se voi foste Studenti o Professionisti, perché avremmo anche per loro tanto affetto e tante cose da dire. Non Ci piacerebbe invece se voi foste oziosi, sfaccendati, o come oggi si dice, «vitelloni», o «jeunesse dorée», o «teddy-boys», o «blousons noirs», o che so io: giovani gaudenti e teppisti. Essere Lavoratore è già un titolo di serietà, è una qualifica rispettabile, anzi un merito ed un onore. Essere Lavoratori vuol dire che prendete la vita sul serio, che sapete che cosa è il dovere, conoscete il valore del tempo, del denaro, della fatica; e avete subito una certa idea del mondo in cui viviamo, un mondo che fa del lavoro una legge di vita, un obbligo per tutti, un principio di sviluppo personale e sociale, un dovere e un onore. Anche questo a Noi piace assai. Potremmo farvi un lungo discorso sulla stima che la Chiesa ha sempre avuto del lavoro; del lavoro manuale anche, e come sempre lo ha onorato, protetto, difeso e benedetto. Voi conoscete certo qualche cosa delle Encicliche sociali dei Papi di questi ultimi tempi: ebbene, sapete allora quanta comprensione, quanta simpatia, quanta protezione voi, Giovani Lavoratori, trovate qui. Anche questo dovete ricordarlo, e dovete dirlo, quando capita l’occasione, ai vostri compagni: noi, gente del lavoro, siamo ben voluti dal Papa e dalla Chiesa.

Continuiamo: voi siete Aclisti, o, in qualche modo, aderenti al movimento giovanile promosso dalle A.C.L.I. Anche questo titolo vi rende a Noi molto cari, e Ci lascia pensare di voi molte cose belle, che fanno a voi grande onore, a Noi grande piacere. Se siete Aclisti vuol dire, innanzi tutto, che vi professate cristiani; e questa è la cosa più importante di tutte, perché vi assicura la fortuna

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maggiore, quella della fede conservata e professata, con tutte le scelte e tutte le conquiste che ne derivano.

Bravi, bravi, bravi: voi date una soluzione felicissima ad una delle questioni più gravi del nostro tempo, che tocca direttamente la vostra vita e il vostro destino, quella della relazione fra la religione cristiana e la concezione del lavoro nella vita moderna. È molto saggio il tema del vostro convegno a questo riguardo; Noi lo lodiamo e lo raccomandiamo alla vostra memoria: «Un forte movimento di Giovani Lavoratori per una risposta cristiana alla Gioventù operaia». Proprio così: dovete cercare d’essere bene convinti dell’importanza di cotesto binomio: Cristo e lavoro; e dovete anche persuadervi che per collegare, nella vita pratica, questi due termini, Cristo e lavoro, voi, voi dovete essere direttamente impegnati. Tocca a voi (con l’aiuto, si capisce, dei vostri Assistenti e dei vostri Dirigenti), tocca a voi a portare, a riportare Cristo nel mondo del lavoro, e specialmente nelle nuove leve di Lavoratori. Non si tratta di fare una propaganda fanatica, né di assumere atteggiamenti bigotti, e nemmeno di rinchiudersi in cenacoli chiusi, o di straniarsi dalla partecipazione alla vita operaia. Si tratta di non privare questa vita operaia della sua dignità spirituale, dei suoi diritti religiosi e morali; si tratta di infondere nel lavoro il senso cristiano e umano, che lo nobilita, lo fortifica, lo purifica, lo conforta, e lo pervade di buoni sentimenti di solidarietà e di amicizia, e lo aiuta a difendere i propri interessi economici e professionali con spirito di giustizia e di comprensione del bene comune. Se si accettano e si seguono gli insegnamenti sociali del cristianesimo, c’è davvero da sperare in una società più equa, più fraterna, più sensibile ai bisogni e alle aspirazioni del popolo, a cui voi appartenete. E a dare fondamento positivo a questa speranza, tocca a voi, Giovani, tocca a voi, Giovani Lavoratori Cristiani!

Qui potremmo anche finire questo semplice discorso.

Ma vengono alla Nostra mente tre questioni, che a Noi pare di leggere, in questo momento, dentro i vostri animi. Le accenniamo appena, lasciando a voi stessi ed ai vostri maestri darvi adeguata risposta. La prima questione, Ci pare, suona così: che cosa posso fare io, che cosa possiamo fare noi davanti a problemi così gravi e così vasti? Come può un Giovane Lavoratore influire sopra un mondo immenso e complesso e potente in cui egli viene a trovarsi? È vero: la sproporzione fa paura, ma non deve togliere né il senso del dovere, né il coraggio, né la speranza; specialmente se siete uniti, se siete molti, se siete perseveranti. Fatevi spiegare le parabole evangeliche del seme, del fermento, del piccolo gregge; e vi sentirete riempire gli animi di fiducia e di voglia di tentare e di osare: la vostra testimonianza può essere come una scintilla che accende un fuoco; e il vostro sacrificio alla causa cristiana, ricordatelo bene, non resta senza premio, anche se restasse a questo mondo senza risultato.

L’altra questione è quella che riguarda la diversità di opinioni, la differenza, anzi l’opposizione delle ideologie (come le chiamano), la difficoltà di capire, in questa continua lotta sociale, dove stia la verità. Anche questa è questione grave e comune. Non si finirebbe mai di parlare, se solo volessimo dire qualche cosa su questo punto. Ma fate attenzione a questi Nostri due suggerimenti: primo, occorre ragionare. Non si può andare alla cieca in problemi così gravi, che toccano la sorte di tante esistenze e riguardano l’intera società. Occorre ragionare, e non lasciarsi trasportare dalle passioni, dalle impressioni, dai discorsi di chi non conosce bene le cose. Per ragionare occorre istruirsi, occorre informarsi, occorre fare come voi fate, frequentare i corsi delle A.C.L.I.! L’altro suggerimento è quello di ascoltare la dottrina sociale della Chiesa, che, come diceva il Nostro Predecessore, Giovani XXIII, è «Madre e Maestra». Informatevi, pensateci bene, e fidatevi. Sarete sulla buona strada!

E finalmente la terza questione: ma serve realmente la religione al Lavoratore? Non è cosa fuori dei suoi interessi, la religione? Gli cresce forse la paga, gli assicura l’avvenire? Non gli mette scrupoli

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in corpo, e doveri pesanti sulle spalle? Non tiene la parte dei padroni e dei potenti, la religione? In fondo: a che cosa serve?

Figliuoli carissimi! Siamo Noi a sollevare in voi queste domande; e vedete che lo facciamo senza timore. Questo è segno che avremmo cento buone ragioni, con cui rispondere a interrogazioni così conturbanti. Vi rispondono e vi risponderanno i vostri bravi Assistenti Ecclesiastici (che qui salutiamo con particolare riconoscenza e particolare affezione). Ma possiamo intanto osservare una cosa, che sorge anch’essa dai vostri animi stessi, dalla vostra esperienza, anzi da quella Grazia divina che voi, Giovani Lavoratori Cristiani, portate nei cuori: non è la, vostra fede, la vostra coscienza cristiana, la vostra certezza religiosa quella che vi dà il senso più alto, più sicuro, più lieto della vita? Ecco a che cosa serve la fede: serve alla vita!

E con l’augurio e con la fiducia che voi abbiate sempre in voi questa luce, questa forza e questa gioia, tutti, Figliuoli carissimi, vi benediciamo.

DISCORSO A VARI GRUPPI DI PELLEGRINI ITALIANI

Domenica, 14 febbraio 1965

Alla comunità diocesana di Salerno

Sia il nostro primo saluto a chi prima richiese questo incontro con Noi; e cioè al pellegrinaggio di Salerno. Al degnissimo e veneratissimo Arcivescovo di così vetusta ed illustre sede, Mons. Demetrio Moscato, esprimiamo la Nostra letizia e la Nostra riconoscenza per questa visita; a lui rivolgiamo la professione della Nostra cordiale venerazione e della Nostra sincera stima; a lui le Nostre felicitazioni per vederlo circondato, e non solo in questo singolare momento, dalla corona devota e filiale della sua bella comunità diocesana; a lui il Nostro voto per la felicità e la fecondità del suo ministero pastorale. Il Nostro saluto devoto e affettuoso si estende alle Autorità Civili, Militari e Scolastiche di Salerno, delle quali siamo lieti ed onorati di vedere qui presenti le più qualificate rappresentanze. E salutiamo insieme gli esponenti del venerato Clero salernitano, dei due Seminari, Regionale e Arcivescovile, col caro Pre-seminario dei piccoli amici di Gesù; e poi il Nostro saluto si rivolge a molti e valorosi dirigenti e membri delle varie Associazioni cattoliche, che sappiamo numerose ed animate da alta coscienza del loro impegno cristiano e da fervoroso zelo per ogni sorta di buone attività; e parimente ai Collegi ed Istituti, che illustrano a Salerno la missione educatrice della Chiesa; ed infine, per non omettere alcuno, ai vari ceti sia di fedeli, che di cittadini, affinché a tutti sia manifestata la Nostra gratitudine per aver partecipato a questo grande e singolare pellegrinaggio.

La Nostra gratitudine si esprime altresì per il dono prezioso, materialmente e spiritualmente, che voi, cari figli di Salerno, Ci recate: il reliquiario contenente «sacra pignora», sacri frammenti, delle spoglie mortali del grandissimo e santo Nostro Predecessore, l’immortale Gregorio VII.

Ci curviamo riverenti davanti a queste sacre reliquie, e umilmente imploriamo dal Santo, di cui sono fisica parte e spirituale memoria, di ottenerci dal Signore le invitte virtù, di cui fu campione nella difesa e nel governo della santa Chiesa; e per la santa Chiesa, la vostra Salernitana, la Nostra Romana, e per l’intera cattolicità, lo preghiamo d’essere sempre dal cielo esempio e presidio. Valga la Nostra Benedizione Apostolica a confermare questi sentimenti e questi voti.

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Le fiorenti istituzioni della Chiesa per i lavoratori

In secondo luogo salutiamo il gruppo dei partecipanti al Concorso Presepi, promosso dall’ONARMO di Roma; e siamo lieti di accogliere una visita così importante per il numero dei visitatori (è vero che siete diecimila? molto bene! molto bravi i vostri Assistenti e i vostri Dirigenti, e molto bravi voi a muovervi in file così copiose e a portarci, con la vostra cara presenza, anche quella di alcuni vostri familiari!); una visita, aggiungiamo, così significativa per essere quella di Lavoratori; e Lavoratori, la maggior parte, di grandi Aziende municipali e statali e di grandi complessi industriali, come, ad esempio, i gruppi degli appartenenti alle Ferrovie dello Stato, all’«ACEA», all’«ATAC», alla «STEFER», alla «RomanaGas», al Poligrafico dello Stato, alla «RAITV», ai Mercati Generali, all’«ENEL», alla «FIAT», alla Pantanella, alla Manifattura Tabacchi, a vari Cantieri Edili, ecc.; e con questi rappresentanti dei grandi campi di lavoro quelli di Aziende e Stabilimenti minori, quelli delle così dette piccole Industrie, e quelli, sempre da Noi ricordati cordialmente, del settore artigiano. Abbiamo perciò quest’oggi con Noi la «Roma-lavoratrice»; la Nostra Città, la Nostra Diocesi, che Ci offre il suo volto sotto un aspetto speciale, meno conosciuto dagli ammiratori di Roma, ma a Noi non ignoto, ben sapendo quale rilievo abbia sempre avuto nella storia romana il popolo lavoratore, e ricordando come la Chiesa abbia efficacemente contribuito a redimerlo, questo popolo, dalla condizione di schiavitù o di soggezione, in cui anticamente grande parte del lavoro, e non solo manuale, si trovava; e a elevarlo col riconoscimento d’una sua dignità spirituale, non seconda a quella di alcuna altra categoria; e poi a educarlo a forme associate e protettive dell’operosità umana, come le corporazioni e le confraternite; ed infine a confortarlo e ad assisterlo, con nuove forme di tutela, di promozione, di educazione, di beneficenza, nelle contingenze sociali dei tempi nostri, come fanno le ACLI, come fa l’ONARMO, come fanno i Ritiri Operai, e come fanno pure altre minori, ma sempre lodevoli iniziative a vantaggio della gente di lavoro. A Noi, voi lo sapete, piace assai osservare ed ammirare il volto di Roma-lavoratrice; esso non copre, non avvilisce il volto di Roma regale e pontificale, di Roma storica ed artistica, di Roma antica, civile ed ecclesiastica, di Roma universale e perenne; sì bene rivela i suoi tratti umani e reali, mette in risalto le sue virtù popolane, sane e vigorose. Ci fa sentire l’accento della sua parlata romanesca, spiritosa e vigorosa, Ci presenta anche una sua fisionomia, da cui non possiamo staccare lo sguardo, né il cuore, quella della sua abitudine alla fatica e all’obbedienza, alla sobrietà e alla religiosità, quella delle sue sofferenze e delle sue privazioni e delle sue necessità, ancora tanto grandi e in alcuni casi ancora neglette ed acerbe. Sia la benvenuta, in questa pontificale Basilica. la Nostra Roma-lavoratrice; e sappia d’avere su questa Cattedra di autorità e di verità, che sovrasta il mondo, non un sovrano immemore e distante, ma un amico, un padre, un pastore, che, come sempre, le apre le braccia, il cuore, e . . . quando e come può, voi sapete, anche la borsa!

La vostra visita inoltre ridesta in Noi uno speciale interesse per il fatto ch’essa vuole concludere qui, praticamente, il vostro famoso Concorso-Presepi. Siamo informati che codesta iniziativa dell’ONARMO ha preso proporzioni numeriche ed espressioni artistico-religiose veramente notevoli: sono settanta le Aziende che hanno aderito al Concorso del 1964, e le Famiglie sono forse più di cinquemila.

Un fatto di tanto rilievo, sia per il numero dei concorrenti, sia per la varietà, la modernità e la genialità delle espressioni figurative e artistiche, sia, e soprattutto, per il valore religioso ch’esso manifesta ed alimenta, merita che Noi Ci fermiamo un momento a considerarlo e ad ammirarlo: il presepio di Gesù, ideato e costruito dai Nostri Lavoratori, e collocato là, umile e sacro, nel cuore delle officine, degli stabilimenti, degli ambienti della operosità e della fatica profana, tanto spesso pervasa da una pesante atmosfera materialista e areligiosa e talvolta, purtroppo, anche antireligiosa e anticlericale, ridesta in Noi molti e vivaci sentimenti: di stupore, di ammirazione di gaudio, di speranza. E non solo sentimenti, pensieri. E sarebbero molti, con radici lontane, che si affondano

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nell’analisi della psicologia del lavoratore moderno e dei fatti sociali contemporanei. Pensieri molti; ma che teniamo, per ora, dentro di Noi, per non tediarvi con lungo discorso; salvo uno, che si formula così: quale attitudine, quale capacità può prodursi in un uomo, per il fatto ch’egli è un Lavoratore, a capire e a esprimere Cristo? Già l’anno passato, in questa occasione, abbiamo accennato a questo problema; ora lo consideriamo sotto un aspetto diverso, positivo, sia artistico che spirituale, perché Ci chiediamo se voi, uomini del lavoro, del lavoro manuale specialmente, siete in grado, siete in condizione propizia voi per comprendere qualche cosa di nostro Signore, di scoprire in Lui qualche cosa meglio degli altri, e di presentare Gesù - il suo volto, la sua vita, la sua parola - in maniera vostra, ma autentica, cioè vera e originale?

Avremmo subito argomento di risposta passando in rassegna le fotografie, i disegni, le immagini dei vostri Presepi: essi Ci dimostrano come i vostri occhi vedono Gesù, e come la vostra tecnica, la vostra arte lo sa figurare, nelle linee, nel linguaggio artistico del nostro tempo. Avremmo altro argomento ricordando il concorso, indetto anni fa, dal compianto Barone Professore Francesco Mario Oddasso, uno dei vostri Dirigenti Industriali, della CISA, qui di Roma, se ben ricordiamo: anche le figure di Cristo, risultate da quel concorso (ne rammentiamo alcune fotografie), Ci dicono qual è la visuale di alcuni fra di voi, abili a disegnare e a modellare plasticamente, nei riguardi di Gesù. Questi esempi Ci offrirebbero una documentazione molto istruttiva e interessante. Ma forse non basterebbero per dare una risposta adeguata e profonda alla questione, che Ci siamo posta, perché Ci offre piuttosto i segni di qualche mano sperimentata particolare, i segni esteriori di qualche maniera artistica convenzionale, che risente l’influsso della tecnica figurativa del nostro tempo; Noi vorremmo arrivare alla sensibilità spirituale interiore, al cuore del Lavoratore, - che il più delle volte non sa esprimersi, ma sa sentire, sa capire -, quando ci domandiamo: lui, il Lavoratore, perché Lavoratore, come può comprendere Gesù Cristo, come può intuire chi sia il Cristo, che cosa rappresenta per lui, che cosa gli dice, che cosa gli insegna? Il Lavoratore, proprio perchè tale, proprio come tale, è idoneo, o no ad afferrare qualche cosa del mistero di Gesù?

Verrebbe pronta alle labbra la risposta negativa: che cosa può sapere di nostro Signore un uomo che passa la vira lavorando? L’officina non è una chiesa, non è una scuola; il lavoro impegna le mani, di fuori; non il cervello, di dentro; di grazia se egli ricorda ancora qualche cosa di Lui, ascoltata al catechismo, quando era fanciullo; o di grazia se riconosce come sacra e cara qualche immagine di Lui, ad esempio, come voi, di Gesù nel presepio, o di Gesù in Croce; ma sembra ovvio dire che uno che lavora non ha né tempo, né voglia, né capacità di leggere e di studiare; e per di più molti di voi diranno: chi può capir qualche cosa delle questioni così difficili della Bibbia e della Teologia? Un Lavoratore non è fatto per queste cose, non sa il latino, e sempre è tentato di pensare: a che cosa servono tutte queste questioni . . . di preti? Si dovrebbe concludere che un Lavoratore non può conoscere da vicino e addentro il Vangelo; non è il suo campo, non è il suo mestiere. E allora un Lavoratore, perché tale, è lontano da Cristo? sarebbe impedito di conoscerlo, di amarlo?

Figliuoli carissimi, fate attenzione! Noi diciamo invece che anche voi potete intimamente, magnificamente conoscere Gesù nostro Signore, nostro Pastore, nostro Redentore! e potete amarlo, meglio di tanti altri più istruiti e più benestanti di voi! a vostro modo, si capisce; ma voi potete! se fossimo ora a scuola vi diremmo, con un linguaggio oggi di moda, ma difficile: voi potete, non forse per via di pensiero astratto, di concetti scientifici, ma per via, come dicono, esistenziale, per via cioè d’una certa e viva simpatia istintiva, per via d’una certa scoperta interiore: forse si tratta d’un’ispirazione segreta, forse d’un ricordo d’una qualche predica ascoltata, o di qualche quadro osservato, forse d’una eco di una parola del Vangelo, che in dato momento ritorna in mente, e sembra essere pronunciata proprio ora, proprio per noi! forse si tratta d’una specie di incontro di chi, come noi, cammina all’oscuro e incontra uno che porta una lampada, e subito i due si riconoscono, e il viandante delle tenebre dice al viandante della luce: Oh! sei Tu! Gesù, voi sapete, si è definito ed è la luce del mondo. È giusto che noi ci chiediamo in quale luce Gesù appare

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all’occhio d’un Lavoratore; una lanterna da minatore ci fa vedere chi è e come è colui che la porta e ci fa vedere altresì chi è e come è colui che entra nel cono di luce di quella lanterna: Gesù si fa conoscere: Gesù fa conoscere.

Qui occorrerebbe un discorso lungo e difficile, ma sarebbe certo molto interessante. Contentiamoci di ricordare che il Vangelo, proprio nell’annuncio originario fatto da Gesù agli uomini del suo tempo, è un messaggio rivolto al popolo, alla gente semplice, ai poveri, agli umili, ai piccoli. Gesù è felice d’essere ascoltato e capito da persone senza pretesa e di ben modesta cultura. In una stupenda pagina del Vangelo udiamo Gesù, in tono ispirato, parlare a Dio Padre così:

«Io Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti, e le hai rivelate ai piccoli» (Matth. 11, 25). Il Vangelo è vostro, figli del popolo, uomini del lavoro, gente che traete la vostra cultura, non forse dai libri e dalle scuole, ma da ciò che vedete, da ciò che soffrite, da ciò che vivete. Ci pare di risentire la voce profonda e grave d’uno dei più grandi pensatori dell’umanità, Pascal: «Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti». Questi Patriarchi, a cui fu aperta la rivelazione su Dio e sul destino del popolo d’Israele, erano pastori i nomadi, gente vicina alla terra da lavorare e impegnata nell’avventura temporale. Dio non solo non disdegna di stabilire i suoi rapporti trasfiguranti di luce e di amore con uomini semplici e adusati alla fatica fisica, ma li preferisce.

E proprio perché semplici e obbligati a faticare e a soffrire i Lavoratori sarebbero in grado di avvertire non solo una loro somiglianza con Cristo, ma una misteriosa solidarietà con Lui. In un celebre romanzo russo uno dei personaggi più rappresentativi esce in queste parole: «Cristo mi ha chiamato a portare la croce!». Quanti Lavoratori potrebbero dire le stesse parole! Quanti potrebbero scoprire nella loro stessa condizione di soggezione, di fatica, di sofferenza la chiave per penetrare nel mistero di Gesù, l’obbediente, il paziente, l’innocente che porta il peso degli altri, con fortezza, per amore, e per questo diventa il modello, l’eroe, il salvatore, il Signore del mondo.

Sarebbe lungo dire. Ma ricordate quello che vi dico: voi, perché avete sulle spalle la croce della vostra condizione sociale e della vostra fatica e delle vostre pene, siete in grado di scoprire, di capire, di amare Cristo Gesù. Occorrerà, sì, un po’ di istruzione; occorrerà una disposizione d’animo, che si chiama l’onestà, e più: la rettitudine, il desiderio, sì, di capire e di amare; occorrerà qualche attenzione, qualche aspirazione; occorrerà cioè un po’ di preghiera, come quella del cieco del Vangelo: «fa’ ch’io veda» (Marc. 10, 51); ma poi Gesù si farà vedere per quello ch’Egli è, in sé e per voi: il Fratello, il Collega, l’Amico, il Maestro, il Difensore, il Consolatore, il Redentore, il Signore.

Ai diletti Bresciani nel giorno dei Santi Protettori

Abbiamo ancora un saluto speciale da rivolgere ad un altro gruppo di persone presenti: quello dei Bresciani dimoranti in Roma e facenti capo all’Opera pia dei Bresciani. Siamo molto sensibili a questa presenza, che avviene in coincidenza della vigilia della Festa dei Santi Protettori della Città di Brescia, i Santi Martiri Faustino e Giovita, Festa quest’anno resa più solenne e commovente dalla consacrazione episcopale di Padre Giulio Bevilacqua, a tutti ben noto, e chiamato da Noi a far parte del sacro Collegio Cardinalizio. Siamo molto lieti di associare le Nostre preghiere alle vostre, cari concittadini di Brescia e di Roma! E di cuore salutiamo tutti gli associati e gli assistiti dall’Opera pia, il suo Presidente con la sua Famiglia per primo, e quanti nella fede e nella virtù tengono alto e onorato il nome di quella Città della Nostra Roma.

A tutti ogni miglior augurio e la Nostra Apostolica Benedizione.

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DISCORSO NEL XX ANNIVERSARIO DELLE ACLI

Festività di S. Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale Venerdì, 19 marzo 1965

Dobbiamo alle ACLI ACLI - le Nostre care Associazioni Cristiane di Lavoratori Italiani - un particolare pensiero in questa festività di San Giuseppe, che fa loro onorare nell’umile e grande Santo, custode e guida dell’infanzia e dell’adolescenza di Cristo, il loro protettore e sotto tanti aspetti il loro modello; lo dobbiamo in questa ricorrenza del ventennio della loro fondazione, ricorrenza propizia a fare la storia, a fare il bilancio di un periodo non breve, non facile, non sterile della loro attività, e propizia altresì a fare previsioni ed auguri per gli anni futuri, verso i quali le ACLI si dirigono con passo ormai sicuro e con la coscienza ormai chiara della loro missione; lo dobbiamo un pensiero particolare per l’interesse personale, con cui, in ossequio ai doveri del Nostro servizio ecclesiastico e pastorale, Ci siamo occupati delle ACLI stesse, venendo così a conoscere tanti ottimi e valenti Soci e Dirigenti, tanti problemi della nostra vita sociale e della loro strenua e feconda attività con tanti felici risultati e con tante positive conquiste.

Sapete, carissimi Aclisti, su quale aspetto della vostra passata e presente esperienza si ferma ora, per brevi istanti, questo particolare pensiero? Sulle vostre difficoltà!

Non perdiamo di vista, soffermandoci su questo aspetto, il quadro grande e complesso, in cui si svolge la vita del vostro grande movimento; anzi, fissando lo sguardo su questo punto delicato e dolente, rendiamo onore alle dimensioni, alle forme, ai programmi, con cui il movimento, attraverso esperienze, studi e fatiche è riuscito a qualificarsi. Sappiamo benissimo, e ve ne diamo lode, valorosi Aclisti, che voi fate vostro ideale la promozione, partendo dal mondo del lavoro, di «una società di uomini liberi e fratelli», come avemmo occasione Noi stessi, in questa medesima Basilica, di proclamare; sappiamo benissimo che voi perseguite questo ideale mettendo la vostra fiducia nella dottrina sociale cristiana, avendo somma cura di tenere sospesa sopra i vostri passi la lucerna degli insegnamenti di quella «Madre e Maestra», che è la Chiesa, e procurando con cura non minore di bene dirigere e fondare i passi stessi nella realtà della vita operaia e sociale del nostro tempo, cautamente, arditamente, amorosamente.

Così sappiamo quale sete vi muove verso le sorgenti spirituali, che sole possono dare consistenza di verità e di efficacia a quell’ideale, nella profondità e nella sincerità delle vostre singole anime, e nella professione esteriore della vostra franca testimonianza e della vostra pratica attività. Vi abbiamo visti tante volte, come oggi, raccolti in preghiera, non certo mossi dalla vana ambizione di dare spettacolo di religiosità, ma ansiosi di umile sublimazione nel colloquio spirituale, e lieti di sentirvi uniti e molti in unica professione di fede. Vi abbiamo visitati e scoperti in molti vostri convegni di meditazione e di studio, in un’intensità di partecipazione da lasciare in Noi commossa e ammirata memoria di tali giornate, rubate alle vostre vacanze, e da infondere in Noi fiducia che davvero così voi state generando una nuova società, cosciente, buona e veramente umana e civile. Vorremmo, figli carissimi, dirvi la Nostra lode e la Nostra riconoscenza per così piena, così esemplare, così promettente vostra inserzione nella vita della Chiesa, nel vostro meraviglioso sforzo, non già di fare delle sue risorse religiose strumento per fini temporali, ma di derivare dalle risorse stesse l’ispirazione, l’energia, l’urgenza, la garanzia al vostro lavoro in favore dei fratelli e in aiuto alla rigenerazione cristiana della società.

E conosciamo molto bene tante altre voci del vostro bilancio attivo, morale e organizzativo. La vostra azione sociale, che promuove scuole e corsi di formazione e di qualificazione, che si espande in una sempre più fiorente rosa di servizi al mondo del lavoro, primo fra essi il vostro polivalente e

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instancabile Patronato, che si articola in determinate iniziative provvidenziali : cooperative, mense, biblioteche, inchieste, case di soggiorno, gare e turismo . . ., la vostra azione sociale, diciamo, merita plauso e incoraggiamento; e fate bene, mediante il resoconto del vostro ventennio, ad averne coscienza, per ringraziare, per godere e per rinfrancare con nuovi propositi la multiforme opera intrapresa.

Sta bene. Ma codesta opera, Noi sappiamo parimente e voi non Ce lo nascondete, non è facile. Anzi, com’è nella natura delle cose, man mano che l’opera cresce, essa si trova davanti a sempre nuove difficoltà. Non è così?

Voi le conoscete e ne soffrite; e Noi ora perciò non faremo l’elenco di codeste difficoltà. Vorremmo piuttosto confortare la vostra fatica con qualche parola di consolazione, che questo momento e questo luogo di incomparabile comunione con Cristo Signore fanno sgorgare più abbondante e più fresca.

Diremo a voi la parola, tanto spesso ripetuta da Gesù ai suoi discepoli; non abbiate timore; siate fedeli, e non abbiate timore. Vi sia di sicuro conforto sapere che siete sulla buona strada, e che avete in voi stessi, cioè nei vostri cuori cristiani, nei vostri statuti e nei vostri programmi, nelle vostre stesse strutture organizzative, le risorse capaci di sostenere e di sviluppare il magnifico piano del vostro lavoro.

Accenneremo soltanto a due fra le tante difficoltà, che tentano di intralciare il vostro cammino.

La prima è quella di ben determinare la natura e gli scopi del vostro movimento. È difficoltà, che ha accompagnato fin dall’origine la vostra attività. Ricordiamo le fasi e le forme della sua insistenza; si può dire ch’essa ha modellato nella realtà la fisionomia astratta, delineata nello Statuto, e che l’esperienza laboriosa del compiuto ventennio ha ormai superato, quasi del tutto, questa difficoltà. Movimento di massa, ma qualificato cristiano e, sotto questo aspetto, confessionale, come s’usa a dire: movimento democratico, e perciò dotato di sua autonomia e di propria responsabilità, ma non estraneo al campo delle forze cattoliche operanti per la rigenerazione sociale, morale e spirituale del nostro tempo; movimento di lavoratori, e perciò impegnato a conoscere, a seguire, a risolvere ogni loro problema, ma non per via sindacale, o politica; movimento rivolto alla formazione religiosa, morale, tecnica, sociale del lavoratore, ma non per questo insensibile alle questioni pratiche e contingenti in cui si svolge la vita di lui. Voi avete sperimentato e sofferto la difficoltà di raggiungere in pratica la vostra definizione; ma ormai essa è assicurata, non solo nella vostra coscienza, ma in quella altresì dell’opinione pubblica, che vi circonda e che riconosce la specifica ragion d’essere del vostro movimento, quando si ammetta che, da un lato, è legittimo - e necessario, aggiungeremo Noi - che il lavoratore si affermi e si esprima «cristiano» proprio nell’atto stesso che si esprime e si afferma lavoratore; e che, dall’altro lato, nessuna scuola, nessuna associazione e nemmeno alcun momento della cura pastorale è in grado di compiere tale caratteristica e inderogabile qualificazione. Non è questione di nomi, di quadri, di classifiche formali; è questione di servire e coltivare una vocazione difficilmente esprimibile nella psicologia e nella vita pratica del lavoratore di oggi, ma ancora, e sempre speriamo, radicata nella profondità del suo spirito, la vocazione cristiana; è questione che riguarda una missione propria dei nostri lavoratori, quella di risolvere in una nuova sintesi vitale la fede e il tecnicismo impersonale e meccanizzante proprio del lavoro moderno; è questione di formare il tipo nuovo dell’uomo credente ed operante, come oggi dev’essere, questione perciò il cui risultato può essere decisivo non solo per la classe propriamente lavoratrice, ma per l’orientamento generale dell’intera società, nella quale il lavoro assurge ad importanza, a funzione, a dignità, a diritto preponderanti. Non sono perciò le ACLI un fenomeno sporadico della vita sociale italiana; non sono un pleonasmo nella serie degli enti pedagogici, culturali, economici, confessionali che promuovono e qualificano la vita sociale; siete un organo

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distinto e caratteristico, a cui competono grandi, specifiche e provvidenziali finalità. Aclisti: siate quindi fidenti e fedeli

Accenneremo appena anche ad un’altra difficoltà, che Noi vediamo pesare sulla vostra attività, immanente, potremmo dire, alla vostra vita vissuta, quella cioè dell’ambiente in cui i Lavoratori sono immersi, quella del contegno, del rapporto, del dialogo, a cui li espone il fatto stesso d’essere in mezzo a colleghi di opinioni diverse e spesso avverse, e di trovarsi molto spesso di necessità in situazioni di disagio morale e spirituale. Comprendiamo benissimo come sia assai difficile convivere e distinguersi, essere colleghi e amici e non gregari, dover lavorare insieme e non poter pensare con le stesse idee, avere interessi comuni e avere una concezione della vita ben diversa. È così difficile che sentiamo il dovere di esprimere la Nostra lode a quei Lavoratori, che, vivendo appunto in ambienti contrari alla loro fede e alle idee, sanno conservarsi immuni dalla propaganda contraria, dalle intimidazioni, dalle lusinghe, dalla tentazione di rinunciare alla propria libertà interiore per subire il fascino di ideologie e l’impero di organizzazioni, con cui non è possibile andare d’accordo. Dovremmo anzi notare come questa difficoltà si faccia più forte e più pericolosa quanto più l’invito all’intesa, pratica oggi, ideale domani, sembra risultare da comuni interessi, appare cioè naturale e seducente, mentre ogni giorno ne scoprono l’insidia e l’inganno gli attacchi sistematici a tutto ciò che sfugge al controllo di coloro che avanzano l’invito, la loro fobia anticlericale, la loro professione di un ostinato e miope ateismo, la loro solidarietà con i regimi totalitari, la confidenza di loro autorevoli esponenti, i quali avvertono le loro file che l’accostamento alle così dette masse cattoliche è puramente strumentale per attirarle nell’ambito e sotto il dominio di chi esse oggi considerano loro nemico.

Il dialogo non può essere una insidia tattica; non può essere per i cattolici una transigenza ai loro principi, e non deve risolvere l’apologia delle loro proprie idee nell’accettazione condiscendente ed ingenua di quelle avversarie. L’unità poi delle forze del lavoro non deve mutarsi in un asservimento a idee, a metodi, a organizzazioni in profondo contrasto con ciò che i cattolici hanno di più caro: la fede religiosa, la libertà civile, la concezione cristiana della società. Perciò vi esorteremo a rimanere fermi e ben fondati nelle vostre convinzioni, pur conservando atteggiamenti leali e rispettosi verso tutti i colleghi di lavoro, cercando anzi di far loro comprendere come i loro pregiudizi verso la religione e verso le espressioni della vita cristiana siano spesso non fondati, e spesso non siano degni di gente che pensa onestamente col proprio cervello, mentre essi fanno torto a se stessi privandosi della verità, della speranza, della forza, proprie del messaggio cristiano.

Così vi ricorderemo che la scelta della professione cristiana non è senza qualche personale sacrificio; essa esige carattere diritto e forte, e capacità di coraggiosa testimonianza, e più spesso di pazienza, di bontà, di silenzio, di perdono e di amore, anche nelle situazioni aspre e difficili della vita quotidiana.

Vi diremo infine che la Chiesa è con voi, Lavoratori cristiani, per comprendervi, per assistervi, per aiutarvi. Intendiamo dire chi nella Chiesa ha direzione e funzione pastorale, chi operando per la Chiesa vuole assicurarle l’adesione del popolo nella sua espressione più genuina e più rilevante, qual è la vostra di Lavoratori; chi della Chiesa osserva e studia la vita ed i bisogni, e vede l’importanza e la connaturalità della vostra presenza cosciente e organizzata nella comunità ecclesiale; e Chi finalmente in questo momento vi parla, vi incoraggia e vi benedice.

Saluti

Fra le presenze a questa grande e sacra riunione una ve n’è che non possiamo non avvertire con speciale rilievo: quella del forte gruppo dell’Istituto Universitario pareggiato di Magistero «Maria Assunta» di Roma; esso anzi meriterebbe da Noi ben più diffuso discorso. Ma basti per ora il

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Nostro saluto e la Nostra benedizione a chi ha promosso, con tanta saggezza e tanta tenacia, la provvida istituzione, vogliamo dire principalmente i Signori Cardinali Pizzardo e Traglia e la silenziosa ed operosa Professoressa Tincani Benefattori, Professori, sostenitori di questo Istituto siano da Noi ringraziati e benedetti. E vada la Nostra Benedizione a tutte le Studenti, di ieri e di oggi, della scuola universitaria «Maria Assunta»: sono queste Studenti brave e fervorose Religiose, provenienti da differenti Famiglie religiose; sono Suore che si consacrano all’insegnamento. Oh, quanto Ci commuove e Ci conforta un simile fatto! Vediamo in questa qualificazione universitaria all’insegnamento un fatto morale, innanzi tutto, di grandissimo valore; vediamo un fatto culturale degnissimo d’ogni plauso ed incoraggiamento, vediamo una speranza di educazione cattolica e di vita cristiana che si può estendere a innumerevoli anime, alla gioventù femminile delle nuove generazioni. Siamo perciò lieti di vedere raccolte le file di queste Religiose laureate e laureande intorno a Noi nel ventennio dalla fondazione dell’Istituto «Maria Assunta»: tutte le incoraggiamo, tutte le esortiamo a fare della loro professione scolastica una missione spirituale e civile; tutte le benediciamo.

* * *

Unser besonderer Gruss gilt am heutigen Festtag auch den Teilnehmern deutscher Sprache am grossen Jugend-Pilgerzug, den der hochwürdigste Herr Bischof Gargitter aus der Diözese Bozen-Brixen nach hier geleitet hat.

Herzlich heissen Wir euch, geliebte Söhne und Töchter, willkommen. Euer Merkmal ist katholische Jugend zu sein. Eure Formung hat ihr Schwergewicht in der religiösen Formung, von der ihr wisst, dass sie Grundlage jeder echten Bildung ist. Katholischer Glaube, christliches Gewissen und tiefe religiöse Oberzeugung geben eurem Leben erst seinen eigentlichen Sinn und schenken ihm eine beglückende Sicherheit und wertvolle Impulse.

In heiliger Gemeinschaft feiern wir heute gemeinsam das heilige Opfer. Nach der Liturgie-Reform nimmt der Gläubige am heiligen Messopfer aktiven Anteil. Das ist höchster Akt der Gottesverehrung. Wir vollziehn ihn gemeinsam. Hierin will die heilige Messe ein Zeichen echter christlicher Bruderliebe sein. Möge das so gefeierte heilige Messopfer immer mehr geistiger Mittelpunkt eures ganzen Lebens werden.

Mit diesem Wunsche erteilen Wir eurem von Uns hochverehrten Bischof wie jedem von euch, geliebte Söhne und Töchter, aber auch allen andern hier anwesenden Pilgern aus Ländern deutscher Sprache von Herzen den Apostolischen Segen.

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Lasciate che dopo il Nostro colloquio con i gruppi presenti a questo sacro rito tributiamo anche Noi un plauso all’impresa spaziale che oggi commuove il mondo; lo tributiamo all’eroico protagonista ed al suo compagno, agli scienziati ed agli esperti che hanno reso possibile l’audacissimo ed imprevedibile esperimento; lo tributiamo al mondo della scienza e della tecnica, che caratterizza il mondo odierno e che apre all’umanità nuove e stupende conquiste. Un augurio faremo e appassionato: che tutto questo progresso serva a rendere gli uomini più buoni, più uniti ed intenti a servire ideali di pace e di comune benessere. E un inno scioglieremo al Dio del creato che tutto governa con la sapienza che va da confine a confine, e che nell’immenso cosmo muto ed ignaro ha suscitato l’uomo, fatto a sua immagine e chiamato ad un soprannaturale colloquio per farlo signore non solo della materia ma altresì del pensiero che tutta la penetra e la regge e per renderlo capace di rivolgere a Lui la grande e libera voce: Padre nostro che stai nei cieli!

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DISCORSO ALLE RAPPRESENTANTI DELL’«OPERA IMPIEGATE»

Sabato, 20 marzo 1965

Salutiamo ora con particolare espressione di considerazione e di affetto le rappresentanti dell’Opera Impiegate di Roma, Milano e Napoli, riunite in questi giorni in un incontro sereno di anime in questo centro della cattolicità.

Dilette figlie. Vi accogliamo con profondo compiacimento, lietissimi che la vostra venuta Ci offra l’occasione di intrattenerci con voi, e di continuare uno spirituale, amichevole, stimolante colloquio con la vostra benemerita istituzione, a Noi tanto cara, e conosciuta ormai da lunghi anni. Avete infatti voluto amabilmente richiamarci a un corso di Esercizi Spirituali in preparazione alla Pasqua, che tenemmo qui a Roma nel lontano 1929 alla Sezione Impiegate della Gioventù Femminile Cattolica Italiana presso le Religiose del Cenacolo, in via della Stamperia; e bene ancora ricordiamo con commossa consolazione la rispondenza che trovammo in quelle vostre Colleghe di allora, nei primi anni di attività della vostra Opera. Ci ritrovammo poi a Milano nella sede di quella Sezione così attiva, e fervida, e sensibilmente aperta a tutti i vostri problemi; e Ci è caro attestarvi che abbiamo seguito da vicino, con interesse e incoraggiamento per le vostre belle iniziative, quanto la Fondazione milanese compiva di buono, di utile, di interessante per le sue associate.

Ed ora vi abbiamo presenti a questa udienza, dilette Impiegate di Roma, di Milano e di Napoli, accomunate, pur nella notevole diversità di provenienza, in una sola identità di interessi, di aspirazioni, di propositi. L’esiguità del tempo a disposizione non Ci consente di intrattenerci a lungo con voi, come pur tanto vorremmo; ma accogliete queste Nostre parole, seppur brevi e limitate, come espressione di paterna e singolarissima e immutata benevolenza.

Amiamo lasciarvi, a ricordo di questa udienza, come una consegna e un’esortazione: siate unite, spiritualmente fuse e docili e volonterose nell’assecondare le preziose indicazioni dell’Opera, tanto opportune per la vostra vita individuale, intellettuale, spirituale; siate unite nel favorirne le comuni attività, intese all’arricchimento culturale e religioso della vostra anima, all’avvaloramento della vostra professione, al sostegno fraterno dell’amicizia e della simpatia reciproche, come difesa e antidoto di fronte alle asperità della vita, alle difficoltà di un mondo spesso arido e indifferente.

L’omogeneità dell’Associazione, che riunisce le Impiegate delle grandi città, favorisce di per sé questa fusione dei cuori, pur nelle diversità psicologiche e ambientali, che il lavoro di ciascuno può presentare. Partendo da questa base comune, rendete sempre più profondi i vostri legami di stima, di collaborazione e di amicizia, nella stessa felice comunanza di gusti e di interessi; ma soprattutto fondateli, codesti vincoli, in uno sforzo di vera pietà, di partecipazione cosciente all’esaltante vita della Chiesa, di genuina spiritualità liturgica ed eucaristica, che si irradii poi in una solidarietà concreta di amore per quanti, tra di voi, possono aver bisogno di una buona parola, di un consiglio, di un aiuto e, in un raggio ancora più largo, in una testimonianza di operosa carità per chi soffre nello spirito e nel corpo.

L’essere organizzate, come voi siete, può offrire stimoli incessanti alla vostra intelligenza, al vostro buon gusto, alla vostra generosità: sappiateli accogliere, nella docilità alla voce del Maestro interiore, che parla soavemente a chi sa ascoltare nella fedeltà e nell’amore. La Nostra Benedizione vi conforti in questo impegno, e si estenda alle vostre dilette famiglie, agli orizzonti del vostro lavoro, alle sollecitudini della vostra Opera.

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DISCORSO AI MEMBRI DELLA SOCIETÀ «PERMAFLEX»

Sabato, 27 marzo 1965

Salutiamo i venerabili Fratelli presenti a questa udienza, gli zelanti Vescovi di Pistoia e di Frosinone!

E salutiamo tutti voi, diletti operai degli Stabilimenti industriali «Permaflex» di quelle città, venuti in numero veramente cospicuo, insieme con l’Amministratore Unico e con gli altri Dirigenti della Società, a portarci la testimonianza della vostra fede, del vostro amore, del vostro entusiasmo!

Vi diciamo subito che la vostra presenza Ci riempie l’animo di gioia, sincera e profonda.

Anzitutto perché il vedere un gruppo di oltre duemila lavoratori, animati, come voi siete, da sentimenti di schietta fedeltà, di cui è preziosa conferma questo incontro di stamane, non può non rallegrare, e colpire, e commuovere, anche, l’animo del Papa, le cui sollecitudini, le cui ansie, le cui preferenze per il mondo cristiano del lavoro sono ben note ai figli della Chiesa, e proprio recentemente, nel giorno di San Giuseppe, festa del vostro Patrono, sono state ancora una volta solennemente affermate davanti a qualificate organizzazioni cristiane di lavoratori.

La vostra presenza Ci offre poi motivo di paterno compiacimento, perché essa Ci dà la possibilità di adempiere un gradito dovere di riconoscenza nei vostri riguardi. Sappiamo infatti quale generosità vi abbia spinto a far dono dei confortevoli e razionali prodotti della vostra attività a beneficio della Missione di Kariba, a Noi carissima, della quale avete dotato in modo magnifico l’Ospedale. Così, animati dalle stesse disposizioni, avete pensato alle strettezze delle popolazioni più bisognose dell’India, facendo loro pervenire una notevolissima quantità di materassi e di reti metalliche, destinate a venire incontro alle necessità di una esistenza più rispondente alla dignità della persona umana.

In questo modo, lasciatecelo dire, avete dato una prova di grande sensibilità umana e cristiana; avete assecondato le inclinazioni del Nostro cuore, a cui non può sfuggire la delicatezza di accenni e di significato di codesto duplice gesto; e soprattutto, avete dato al vostro lavoro, con le fatiche e i sacrifici che esso comporta, un nuovo, più alto valore, che può sfuggire forse alla valutazione degli uomini, ma non a quella di Dio; e, per sua grazia, si trasfigura in merito eterno, secondo le parole del Redentore divino: «Tutto quanto avete fatto a uno dei più piccoli tra i miei fratelli l’avete fatto a me» (Matth. 25, 40).

In questa luce vi esortiamo a continuare nel compimento del quotidiano dovere: nel pensiero che il lavoro umano, come espressione di una operante solidarietà generosa per la edificazione del bene comune, può venire anch’esso avvalorato dalla fede nella Comunione dei Santi, diventa atto di amore e di fraterno aiuto; costituisce un elemento sia pur limitato, ma sempre necessario, sempre prezioso, sempre insostituibile, che, sommato con quello di tutti gli altri, contribuisce a procurare il bene dei fratelli, i quali così debbono sentirsi impegnati in un mutuo dare come in un mutuo ricevere.

Sia sempre questa la convinzione, che vi accompagni nella serena fatica di ogni giorno: è l’augurio che amiamo farvi di tutto cuore in questo carissimo incontro, che, ne siamo certi, resterà impresso nella vostra memoria con la stessa vivezza e con la stessa compiacenza con cui Noi stessi lo ricorderemo. Ritornando ai vostri Stabilimenti, dite ai vostri colleghi di lavoro che il Papa li ama e

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li benedice, seguendoli a uno a uno nel loro degno e responsabile dovere; dite alle vostre famiglie, in particolare ai vostri piccoli e ai vostri giovani, che il Papa invoca loro le gioie sante del Signore, e la sua continua assistenza in tutte le necessità della vita.

Con questi voti paterni, scenda su di voi e sui vostri cari la Nostra particolare Benedizione Apostolica, che estendiamo altresì alle dilette diocesi di Pistoia e di Veroli-Frosinone nella persona dei loro cari e venerati Pastori.

RADIOMESSAGGIO ALLE ACLI DI MILANO

Sabato, 1° maggio 1965

Signor Cardinale Arcivescovo di Milano! Venerabili Fratelli, Vescovi della regione Lombarda! E voi tutti, Dirigenti e soci delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani di Milano e della Lombardia!

Avete desiderato ascoltare la voce del Papa, in questa festa A di San Giuseppe Artigiano, nel ventesimo anniversario di fondazione delle benemerite associazioni dei Lavoratori Cristiani. Siamo ben lieti di corrispondere alla vostra richiesta, che Ci dice il vostro antico affetto e la vostra immutata fedeltà; e siamo lieti di rivolgervi una parola in questa celebrazione così significativa per voi e per Noi, che ben ricordiamo tuttora l’origine delle ACLI, le speranze e le attese che ne accompagnarono i primi passi, il loro lento ma sicuro procedere per raccogliere nelle loro file numerose schiere di Lavoratori desiderosi e impegnati all’affermazione dei principii cristiani nel mondo del lavoro.

Noi, spiritualmente presenti a cotesto odierno convegno, uniti con voi nella preghiera, con cui voi avete accompagnato la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, in una magnifica fusione di cuori, ravvivata dall’amore per Cristo e per la Chiesa, Noi vi esprimiamo la Nostra compiacenza, il Nostro conforto, il Nostro incoraggiamento.

Conosciamo le difficoltà, in cui voi vi trovate; ma lungi dallo scoraggiarvi, sappiate prenderne entusiasmo e forza nuova per il proseguimento della vostra missione. Il ricordo degli inizi delle ACLI, quando, vent’anni fa, si trattava di superare contrarietà, incomprensioni ed ostacoli, che allora sembravano insormontabili, nel disorientamento di un mondo sconvolto da tante rovine, quel ricordo, diciamo, vi sia di stimolo e d’orientamento per la presente azione.

Si tratta sempre d’un grande programma. Voi avete assunto la missione - non politica, né sindacale, ma morale, cioè umanamente più ampia e fondamentale - di guidare il popolo lavoratore alla sua elevazione economica, sociale, civile, religiosa, nella coscienza della dignità d’ogni umana persona e d’ogni onesta fatica; nello studio e nella difesa dei suoi legittimi interessi; nella visione superiore e moderna del bene comune, nell’unione salda e fraterna, nella difesa della libertà e nell’attuazione d’una progressiva giustizia sociale. Grande ed arduo programma, certamente. Ma abbiate coraggio. Abbiate fede. Ve lo dice con tutto il cuore chi ha visto con immensa speranza sorgere la vostra istituzione; ve lo dice chi è stato vicino alle vostre aspirazioni ed ai vostri problemi negli anni

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indimenticabili del ministero pastorale in terra ambrosiana; ve lo dice chi sempre continua a seguirvi con grande affezione ed ampia fiducia.

Continuate nel cammino intrapreso, e già segnato dai magnifici esempi dei vostri migliori: innanzi tutto, fedeltà alla vita cristiana sinceramente professata come forza interiore trasfigurante e come esempio esteriore trascinatore; conoscenza della dottrina sociale cristiana, la quale attende ancora d’essere volenterosamente e integralmente applicata; sforzo per la sempre migliore qualificazione morale e professionale del lavoratore; impegno di servizio e di aiuto ai fratelli, specialmente per coloro che sono provati dalla disoccupazione e dalla sofferenza; e sempre coraggio delle proprie convinzioni, affinché le ACLI siano nell’officina, nello stabilimento, nell’azienda, nel laboratorio, nei campi, negli uffici e nei servizi il lievito che fa fermentare la massa, cioè tutto quel nostro immenso popolo lavoratore, a cui va la Nostra stima ed oggi il Nostro particolare saluto.

Ecco la vocazione, a cui vi chiama l’appartenenza alle ACLI, ecco l’aspettativa fiduciosa che riponiamo in voi.

Mentre preghiamo S. Giuseppe che sia sempre vostro valido intercessore presso Dio per la prosperità delle vostre persone e delle vostre famiglie, per la sicurezza del vostro lavoro, per la pace delle vostre coscienze, Noi vi assicuriamo la Nostra sincera benevolenza, di cui ora vuol essere pegno la Nostra Apostolica Benedizione.

UDIENZA GENERALE

Festa di San Giuseppe Artigiano Sabato, 1° maggio 1965

Diletti Figli e Figlie!

Se cerchiamo quali motivi spirituali dànno a questa udienza un significato particolare, è facile rilevare che tali motivi sono due: la festa del lavoro e la festa di San Giuseppe; anzi è uno solo, quello che suggerì dieci anni or sono, al Nostro Predecessore, di venerata memoria, Pio XII, di abbinare questi due titoli, che dànno al Calendimaggio il carattere d’un giorno speciale di festa, per farne, com’Egli disse, un «giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglia del lavoro» (Discorsi e Radiomessaggi, XVII, 76). Questo atto, che ha potuto apparire a qualcuno come un pio artificio, come uno sforzo per attribuire ad una celebrazione profana, anzi laica nel senso più radicale del termine, un qualche tardivo e compiacente riconoscimento, rivela invece, come nel campo cattolico tutti hanno notato con soddisfazione, un gesto doppiamente coerente: coerente con la tradizione del culto cristiano, il quale non soltanto per purificare ed elevare le feste pagane, più d’una di esse ha assorbito nel suo calendario e ha trasfigurato in senso cristiano, ma altresì per obbedire al suo genio profondamente teologico e profondamente umano, il quale scopre in ogni manifestazione autentica della vita un campo sempre possibile e quasi predisposto all’economia dell’Incarnazione, alla penetrazione del divino nell’umano, all’infusione redentrice e sublimante della grazia.

E seconda coerenza: e cioè con tutta l’opera dottrinale e pastorale svolta dalla Chiesa, dai Papi specialmente, dai Vescovi e da Maestri cattolici, da un secolo in qua, per ridare al lavoro una sua nuova spiritualità, una sua animazione cristiana. E allora l’aver fatto coincidere la festa del lavoro

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con la festa del lavoratore S. Giuseppe, che nella scena evangelica, nella stessa famiglia terrena di Cristo, personifica il tipo umano, che Cristo medesimo scelse per qualificare la propria posizione sociale «fabri filius» (Matth. 13, 55), pone il grande, enorme, moderno problema della riconciliazione del mondo del lavoro con i valori religiosi e cristiani, e della conseguente irradiazione di dignità, di energie, di conforti, di speranze, che il Vangelo può e deve ancor oggi diffondere sulla fatica umana; anzi quasi lo dà, questo problema, per risoluto, anche se oggi pur troppo, in gran parte, risoluto non è.

Anche questo modo di agire è nel costume della Chiesa credente, la quale sovente opera «contra spem, in spem» (Rom. 4, 18), sicura che il tempo, i fatti, gli uomini le daranno ragione, perché lo Spirito di Dio anticipa alla Chiesa una sicurezza profetica, che un giorno, a bene dell’umanità, sarà vittoriosa.

E nulla diremo, in questo brevissimo momento, delle troppe cose che si offrono alla mente dalla presentazione del problema suddetto, del rapporto cioè fra vita religiosa e vita del lavoro: perché queste due supreme espressioni dell’attività umana dovrebbero essere separate fra loro? Perché in contrasto? Come fu che la loro alleanza, la loro simbiosi si ruppe? Quale lunga storia, quale diligente analisi ce ne può indicare le ragioni, i pretesti, le rovine? Forse non fu a tempo compresa la trasformazione psicologica e sociale che il passaggio dall’impiego di umili e primitivi utensili in aiuto della fatica dell’uomo all’impiego della macchina con tutte le sue nuove potentissime energie avrebbe prodotto? Non ci si avvide che nasceva una favolosa speranza dal regno della terra che avrebbe oscurato e sostituito la speranza del regno dei cieli? Non ci si accorse che la nuova forma di lavoro avrebbe risvegliato nel lavoratore la coscienza della sua alienazione, che cioè egli non operava più per sé, ma per altri, con strumenti non più propri, ma di altri, non più solo ma con altri, e che sarebbe sorta nel suo animo la brama d’una redenzione economica e temporale, che non gli lasciava più apprezzare la redenzione morale e spirituale offertagli dalla fede di Cristo, non a quella contraria, ma di quella fondamento e corona? E mancò forse (non certo nei Papi) il linguaggio, mancò il coraggio per dire al mondo del lavoro, sconvolto delle sue stesse affermazioni, qual era la via buona del suo riscatto, e quale il bisogno e il dovere di non mortificare al livello del benessere economico la sua capacità ed il suo diritto di salire insieme al livello delle supreme realtà della vita, che sono quelle dell’anima e di Dio?

Nulla diremo. Del resto sono cose che tutti ora, più o meno, conoscono, e che solo richiamiamo al vostro spirito, oggi e proprio qui, perché abbiate a ricordarle e a meditarle, alla luce che la festa di S. Giuseppe, esempio e protettore del mondo del lavoro, proietta su di noi, quando siamo memori del Vangelo e memori della meravigliosa fedeltà, con cui esso si rispecchia nelle attualissime Encicliche pontificie.

E abbiate a interessarvi di queste cose, che hanno tanta importanza nella vita moderna fino a determinarne le forme salienti ed il corso, non si sa se più travagliato o trionfale. Interessarvi per pregare per il mondo del lavoro, per quanti in esso sono oggi sofferenti: disoccupati, sottoccupati, emigrati, mal sicuri del loro pane, mal retribuiti della loro fatica, amareggiati della loro sorte. E per quanti anche del lavoro fanno argomento programmatico e permanente di lotta sociale, invece che di armoniosa e positiva cooperazione nella giustizia e nella libertà; fonte di odio sociale e di passione, invece che di amore fraterno e di esaltazione di nobili sentimenti. Ed infine perché all’interessamento di pensiero e di preghiera abbiate ad aggiungere, come possibile, quello della solidarietà e dell’operosità, affinché «la giustizia e la pace» auspice l’umile e grande Artigiano di Nazareth, abbiano a rifiorire cristianamente nel mondo del lavoro.

La Nostra Benedizione vi incoraggia e vi assicura l’aiuto del Cielo.

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DISCORSO AI DIRIGENTI E ALLE MAESTRANZE DELLA SOCIETÀ

«GIO. BUTON E ROSSO ANTICO» DI BOLOGNA

Sabato, 15 maggio 1965

Signor Cardinale! E voi tutti, Figli carissimi della diletta e gloriosa Arcidiocesi di Bologna!

Accogliamo con grande piacere la vostra visita e ve ne diciamo subito la Nostra riconoscenza. Un pellegrinaggio bolognese sveglia nel Nostro animo sentimenti di particolare interesse, innanzi tutto per l’eminente e venerata persona di colui che a Noi lo conduce, il Cardinale Arcivescovo, al quale Ci legano grandissima devozione, altissima stima, affettuosa amicizia, e ora viva gratitudine per l’opera ch’egli presta al Concilio Ecumenico tuttora in corso e prossimo a concludere con importantissime deliberazioni i suoi lavori, non che per la presidenza, ch’egli esercita con prudenza pari allo zelo e alla competenza, del Consiglio per l’applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia: volentieri profittiamo di questa occasione per manifestare a lui la Nostra riconoscenza e la Nostra fiducia. Deriva poi la Nostra compiacenza di questo incontro dalla provenienza donde cotesto gruppo si qualifica: da Bologna; e dire Bologna a Roma, qui nella casa del Papa, solleva una interminabile serie di pensieri e di ricordi, che da soli basterebbero a dare tema d’interminabile discorso: la sua storia, la sua arte, la sua cultura specialmente, - legum Bononia mater -, le sue relazioni col potere temporale dei Papi, la sua vita ricchissima religiosa e civile, la posizione giuridica, morale, economica, sociale, che la vostra Città è venuta occupando, non solo rispetto alle regioni che la circondano, l’Emilia e la Romagna, ma altresì all’intera Nazione italiana, le visite che Noi stessi avemmo occasione di fare a Bologna, in circostanze per Noi memorabili, la conoscenza che Ci ha cordialmente legato a qualche caro Amico e ad alcune persone insigni della Città stessa: basti fra queste ricordare Papa Benedetto XV e il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, entrambi di venerata memoria: sono questi altrettanti titoli alla Nostra rispettosa, affettuosa e particolare considerazione della bella, operosa, caratteristica Città, della quale voi Ci portate, con la vostra visita, una degna e gradita rappresentanza. Anche per questo aspetto, che questa udienza non può non assumere, Noi prendiamo motivo per mandare alla illustre Città di Bologna, alla sua Arcidiocesi, alla sua Università, alle sue istituzioni civili e religiose, al giornale cattolico che ivi si pubblica, L' Avvenire d’ Italia, al Clero ed ai Fedeli tutti, il Nostro saluto e la Nostra Benedizione.

Ma vi è una terza ragione, che Ci fa lieti e pensosi per la vostra presenza: il fatto cioè che voi appartenete ad una rinomata famiglia aziendale, che fa capo ai Figli del compianto Marchese Filippo Sassoli de’ Bianchi, figura ben nota, e quanto mai tipica nel campo del Laicato cattolico della passata generazione. Sappiamo che la particolare impronta spirituale, impressa da quell’illustre Signore, a cui la generosa e fiera professione cattolica rese possibile fondere in una sua originale espressione l’educazione aristocratica con sentimenti e con attività di nuovo e sincero amore del popolo, quella impronta, diciamo, dura tuttora, per merito dei successori, che presentemente dirigono l’azienda, aprendola ai moderni sviluppi industriali ed ai non meno moderni esperimenti dello spirito sociale cristiano, che deve garantirle. con la prosperità economica, la graduale conquista del nuovo spirito e delle nuove strutture, l’uno e le altre intese a formare d’un’azienda puramente profana una cristiana comunità di lavoro.

Conosciamo i vostri meriti, ottenuti e sperati, perseguendo codesta linea che cerca di interpretare e di applicare quei principi della dottrina sociale della Chiesa; e valutando le difficoltà inerenti a tale programma, Ci sentiamo in dovere di manifestarvi la Nostra lode ed il Nostro incoraggiamento.

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Diremo di più, oggi, proprio oggi 15 maggio, data memorabile per essere quella che segna l’anniversario della celebre Enciclica di Leone XIII, la «Rerum Novarum», e dell’altra Enciclica, non meno importante, di Pio XI, la «Quadragesimo anno», due documenti pontifici, che con quelli successivi di Papa Pio XII e di Papa Giovanni XXIII, venerati nomi, legato quest’ultimo alla più recente e ora più nota Enciclica «Mater et Magistra», costituiscono la prova solenne della competenza, dell’interesse, dell’amore della Chiesa-per il Popolo lavoratore e per i problemi della moderna sociologia. Diremo che la vostra presenza, qualificata dal vostro carattere aziendale, reca a Noi un grande conforto ed una grande speranza, perché viene a confermare ed a nutrire di realtà, se pure tuttora in fase sperimentale ed in via di sviluppo, la risposta che Noi diamo, dentro, nel Nostro spirito, e fuori, nel cerchio dei Nostri frequenti incontri col mondo del lavoro e con quello della cultura rivolta ai problemi sociologici contemporanei; la risposta fiduciosa, la risposta affermativa, la risposta che potrà, Dio voglia, essere domani piena e felice alle seguenti conturbanti domande.

È possibile, veramente possibile, che il lavoro, il lavoro moderno, attinga dalla concezione cristiana della vita una sua nuova e vera ispirazione, che lo illumini nelle sue profonde ragioni umane e sociali, così che l’opera umana, da un lato, rivolta al dominio delle cose e delle energie naturali per trarne immensi, meravigliosi, tremendi servizi, risplenda nella sua piena virtù evocatrice delle leggi, cioè dei pensieri che l’opera divina vi ha infusi, e che in tal modo d’altro lato l’operatore-uomo, Lavoratore, Tecnico o Imprenditore che sia, s’incontri in uno stupendo colloquio con Dio Creatore, e ne derivi, non già l’alienazione, di cui si vorrebbe incolpare la religione professata dall’uomo del lavoro, ma la sua esaltazione, la sua redenzione, la sua suprema dignità e il suo merito superiore, il suo conforto profondo, la sua speranza infallibile? È possibile? È possibile restituire al Lavoratore la sua capacità religiosa di godere di ciò che fa e di chi egli è, la sua capacità cristiana di pace, di bontà e di amore? È possibile?

Ed altra domanda: ed è possibile che l’uomo ricco, colui che possiede i mezzi necessari a mettere in mote il grande processo del lavoro organizzato moderno, che dispone cioè della iniziativa e degli strumenti della produzione, che promuove all’origine la fecondità del fatto economico e in gran parte lo domina nei suoi risultati, vinca la naturale tentazione dell’egoismo e dell’edonismo, e preferisca la ricchezza dell’amore all’amore della ricchezza, associando generosamente il vantaggio privato del possedere alla funzione sociale oggi più che mai inerente ad ogni forma di proprietà? È possibile che la sociologia cristiana riconosca, protegga, nobiliti la figura dell’Imprenditore e ne faccia al tempo stesso l’amico, il benefattore, il «funzionario» della società?

È possibile dare efficienza storica, economica, politica alla dottrina sociale della Chiesa, farla passare dall’enunciazione teorica alla sua realizzazione pratica, difenderla dal sospetto di mera predicazione dimostrativa, e darle attuazione concreta nel mondo contemporaneo? È possibile conseguire effettivi ed originali risultati di progresso economico e sociale senza ricorrere agli stimoli inebrianti, ma alla fine debilitanti e corrosivi delle moderne teorie materialistiche e delle loro formidabili e vincolanti forze operanti? È possibile sperare in una società nuova e moderna, caratterizzata dal progresso e dal lavoro, e che risplenda di luce cristiana?

La vostra presenza, cari figli, Ci conforta a rispondere: sì, è possibile! Deve essere possibile! Prescindiamo, così dicendo, dai saggi positivi e pratici che voi rappresentate; e quasi spinti da essi Ci riportiamo più su al livello della visione ideale del!e cose; e diciamo: è possibile, sì, perché la dottrina sociale cristiana possiede l’interiore carisma della verità, conosce e interpreta la natura dell’uomo e del mondo, possiede energie operative di genialità, di bontà, di sacrificio capaci di raggiungere i migliori risultati. Sì, è possibile, se uomini intelligenti e volenterosi, cattolici forti e liberi, Pastori illuminati e coraggiosi, figli del popolo, bravi, coerenti e fedeli, si impegnano alla grande impresa della edificazione d’una società giusta, libera e cristiana. Sì, è possibile se quanti a tale impresa si consacrano sanno attingere alle sorgenti della fede e della grazia quel misterioso e

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indispensabile supplemento di luce e di forza, ch’è appunto l’apporto originale del cristianesimo per la salvezza del mondo.

E per voi, Bolognesi, aggiungeremo: sì, è possibile, se da umili e fieri figli della vostra Madonna di S. Luca saprete sempre fedelmente invocare dalla Madre di Cristo la sua protezione celeste.

A propiziare la quale eccovi, carissimi figli, la Nostra Apostolica Benedizione.

DISCORSO ALLA SOCIETÀ «SALMOIRAGHI» E ALLA SOCIETÀ «FRATELLI TESTORI»

Venerdì, 28 maggio 1965

Diletti figli e figlie.

Vi apriamo il cuore e le braccia al più affettuoso dei saluti, e vi ringraziamo della consolazione che Ci procura la vostra presenza. L’incontro di oggi ha infatti un significato tutto particolare: non è occasionale, non è casuale, non è, diciamo così, protocollare; ma è un incontro tra amici, tra persone care, che si conoscono a vicenda; ma è un ritrovarsi insieme dopo anni di lontananza; ma è un ravvivare sentimenti dolcissimi, che abbiamo provato la prima volta, quando Ci recammo in mezzo a voi, negli anni del Nostro ministero pastorale a Milano.

Ricordiamo ancora con viva consolazione l’accoglienza rispettosa e reverente e cordiale che voi, diletti Dirigenti e Maestranze della Filotecnica Salmoiraghi, riservaste al vostro Arcivescovo, il pomeriggio del 20 novembre del 1957, in occasione della Missione cittadina. E ora, volendo degnamente commemorare il primo centenario di vita della vostra rinomata Società, avete rinnovato quegli istanti di fede e di spirituale fusione dei cuori, portandoci l’espressione della vostra immutata fedeltà.

Così ricordiamo con sentita compiacenza il Nostro incontro con voi, diletti Dirigenti e Maestranze della Società Fratelli Testori, quando, nel 1956, salimmo a Sormano per benedire quel moderno stabilimento di filatura, che allora si inaugurava. Sappiamo che oggi gli operai di Sormano sono venuti qua, con i loro colleghi di lavoro di Novate Milanese, in occasione del 60° anniversario di fondazione della Società, che ben conosciamo.

Ci piace dunque pensare che le vostre due Industrie hanno voluto restituirCi la visita, da Noi compiuta in quegli anni lontani: e vi ringraziamo per il pensiero filiale.

Vorremmo che il ricordo di questo incontro romano, aperto come una parentesi serena sul faticoso fluire dei giorni del vostro lavoro, rimanesse impresso a fondo in ciascuno di voi, a conforto, a premio, a incoraggiamento nel vostro impegno di uomini, di cristiani, di lavoratori.

Vorremmo che la consapevolezza di questa triplice vocazione, che vi definisce nella vostra più intima e reale e sacra dignità, vi accompagnasse sempre, nelle varie applicazioni della vita, per nobilitare essenzialmente ogni vostra attività, anche la più modesta, anche la meno appariscente o meno considerata dagli altri.

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Siete uomini, siete cristiani, siete lavoratori. Uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio; uomini che portano nello spirito immortale l’orma vitale e soavissima della intelligenza, della potenza, della volontà divina; posti infinitamente al di sopra della materia inerte, liberi, attivi, forti, chiamati a prolungare nel mondo, nella famiglia e nel lavoro, l’opera creatrice del Signore. Cristiani: redenti dal Salvatore Divino, da Lui ricreati e rigenerati alla vita della grazia; consapevoli della ferita lasciata dal peccato originale, ma in Lui fatti ora figli del Padre ed eredi del Cielo, membri operanti e attivi della Chiesa, cementati gli uni con gli altri nel vincolo della carità.

Lavoratori, infine: che portano il peso talora opprimente, forse monotono della propria condizione umana, ma chiamati a piegare la materia, a trasfigurarla, a imprimerle la finalità superiore voluta dal pensiero, e farla servire alla gloria di Dio e alla utilità dei fratelli.

Sono tre valori che non si oppongono, che non si escludono a vicenda, quasi che la pienezza della vita cristiana sia di remora e di ostacolo, e non piuttosto di completamento, di perfezione, di armonioso equilibrio sia dei valori umani sia dell’efficienza del lavoro. La tentazione dell’autosufficienza e dell’orgoglio, insita in ogni cuore fin dalla caduta del primo uomo, può raggelare tante buone energie, può chiudere la mente e il cuore, impedendo di vedere e di amare la gloria di Dio, può far precipitare nell’aridità, nella durezza, e alla fine nella delusione. È una tentazione a cui anche voi potreste soggiacere. Come dicevamo appunto in quei giorni della Missione di Milano, parlando ad operai dell’industria, «chi fa della tecnica ed è occupato come voi a costruire degli stupendi strumenti, chi, come voi, è riuscito a scoprire forze segrete fino a pochi anni fa, e a strapparle dal regno della natura, imprigionandole e domandole, spesso non può trattenersi dal dire: "Obbedisci, Natura, a me, sono io che comando! Io uomo, io primo scopritore, io scienziato, io ingegnere, io tecnico, io operaio! . . .". Questa padronanza, questa vostra stupenda abilità nel mettere le forze naturali a servizio dell’uomo può farvi credere di essere molto bravi - e lo siete, in verità -; ma bravi al punto da dimenticare che le forze e le leggi di cui vi siete impadroniti non le avete create voi . . . Ed ecco, allora, che le vostre difficoltà a sentire i problemi religiosi, i problemi dell’infinito e dello spirito; i problemi che spiegano l’universo in cui siamo, da ostacolo diventano scala per salire a Dio» (La Missione di Milano 1957, pp. 186-7).

E allora vi diciamo: ricordate sempre questa vostra vocazione, che vi preordina a Dio nell’adempimento del dovere quotidiano; voi siete chiamati a compiere, in voi e attorno a voi, la sintesi completa e gioiosa della vostra vocazione di uomini, di operai, di cristiani; da voi, operai cristiani, la Chiesa si aspetta la volonterosa applicazione dei principii della sua dottrina sociale, come abbiamo rilevato qualche giorno fa ad altro gruppo industriale, per «farla passare dall’enunciazione teorica alla sua realizzazione pratica, difenderla dal sospetto di mera predicazione dimostrativa, e darle attuazione concreta nel mondo contemporaneo» (L’Osservatore Romano, 16 maggio 1965); da voi, operai cristiani, la stessa società attende un contributo insostituibile per il proprio continuo progresso nella pace e nell’ordine, per il conseguimento del vero benessere.

Ecco, diletti figli e figlie, quanto abbiamo desiderato dirvi con semplicità in questo lietissimo incontro, aprendo il Nostro cuore alla soavità dei ricordi del passato, e alla fioritura di speranze per l’avvenire. Noi auguriamo alle vostre due egregie Società di trarre dai luminosi traguardi felicemente raggiunti sempre nuovi incrementi e lusinghiere affermazioni.

Una parola di compiacenza e di augurio dobbiamo aggiungere per chi ha merito nella fondazione, nello sviluppo, nella rinomanza delle due Ditte qui presenti: il nome della «Filotecnica Salmoiraghi» fa onore all’industria italiana per l’incremento scientifico e tecnico impresso alla ben nota impresa dell’illustre Senatore Ing. Angelo Salmoiraghi, e per lo sforzo mirabile e competitivo, sempre continuato sugli esempi del Fondatore, nella celebrata produzione di strumenti ottici, topografici, geodetici, fotografici di alta precisione e d’indiscussa utilità. All’attuale chiarissimo

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Presidente Professor Carlo Masini, a Noi ben caro anche per altri titoli, ai componenti del Consiglio d’Amministrazione, ai Dirigenti e alle Maestranze tutte, le Nostre felicitazioni per così onorata e promettente celebrazione centenaria della loro Società.

Ai promotori, ai direttori della Ditta Testori dobbiamo parimente le Nostre congratulazioni; essa merita d’essere citata ad esempio fra le imprese familiari, che per l’abilità e la dedizione dei loro dirigenti hanno saputo seguire ed emulare le grandi imprese dell’industria tessile lombarda, unendo alla perizia tecnica e alla probità amministrativa una vigile ed effettiva sollecitudine verso l’applicazione della sociologia cristiana nell’ambito aziendale. Noi ben conosciamo quanto i Signori Testori e fra tutti l’egregio Ing. Angelo Testori hanno fatto per dare alla loro Ditta questo encomiabile vanto, e volentieri li lodiamo e li incoraggiamo, lieti Noi stessi d’aver avuto nel campo dell’Azione Cattolica lo stesso Ing. Angelo Testori come zelante Presidente della Giunta Diocesana milanese e solerte collaboratore in altre opere, che, come l’UCID e il Comitato permanente dell’Istituto Toniolo, godono tuttora del valido contributo della sua attività. A lui, al suo fedele collaboratore il Comm. Faroldi, ai loro Familiari e a tutto il Personale della Ditta Testori voti d’ogni bene.

Perciò a voi tutti Noi siamo accanto col Nostro affetto e con la Nostra preghiera, invocando su di voi e sui vostri cari ogni più bella grazia del Signore, di cui vuol essere pegno e riverbero la Nostra Benedizione Apostolica.

DISCORSO AI LAVORATORI DELLA SOCIETÀ «ELETTROCONDUTTURE»

Sabato, 19 giugno 1965

La vostra presenza Ci procura una gioia sincera, diletti figli, e ve ne siamo grati. Avete infatti voluto ricordare l’incontro del dicembre del 1959, quando venimmo a benedire i magnifici, moderni locali del nuovo Stabilimento di Via Valtorta della vostra Società «Elettrocondutture». Anche Noi ricordiamo quella lietissima circostanza con immutato compiacimento, che conserviamo vivo in cuore, come avviene per tutte le opere e istituzioni della diletta Milano, che avemmo occasione di visitare negli anni del Nostro pastorale ministero, intrattenendo fecondi colloqui con le forti, robuste, generose rappresentanze del mondo del lavoro.

E ora siete venuti voi, come a restituire quella visita al vostro amato Padre e Pastore, che la più vasta e tremenda responsabilità del governo di tutta la Chiesa non rende meno sensibile alle attenzioni di delicata reverenza dei figli e diocesani di un tempo, reputandoli tuttora figli carissimi, amati di un affetto, che il nuovo ufficio apostolico rende più intenso e commosso.

Vi salutiamo pertanto con tutta benevolenza. La felice occasione di questa familiare e spontanea udienza Ci offre l’opportunità di rivolgere una parola di lode sentita al benemerito fondatore della Società l’ingegner Giovanni Calì, qui presente, che col suo talento e il suo impegno ha fatto di essa un’azienda modello, molto specializzata e moderna. Il Nostro compiacimento va altresì a voi, Dirigenti e Maestranze, alla cui intelligente, fattiva, consapevole collaborazione è dovuta la lusinghiera, crescente affermazione della Società «Elettrocondutture», nel suo breve e fecondo cammino. Estendiamo il Nostro saluto alle vostre dilette famiglie, ai vostri figli specialmente, su tutti invocando ogni desiderato dono del Cielo.

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Sappiate che il Papa vi segue nel vostro lavoro quotidiano, condivide le vostre aspirazioni, conforta le vostre interiori disposizioni. Vorremmo che la Nostra voce giungesse, con voi, a tutti i lavoratori dell’industria, per attestare loro la assidua sollecitudine della Chiesa a favore della loro continua elevazione professionale, religiosa e morale. Siamo consapevoli del pericolo di fondo, a cui sono esposti i bravissimi artefici del lavoro umano: la tentazione di sentirsi autosufficienti per il dominio che essi operano sulla materia, senza avvertire che in tal modo è la materia a umiliare lo spirito, imprigionandolo in una visuale ristretta, limitata alla esperienza sensibile e sperimentale, e privandolo della possibilità di veramente dominare, con l’affermazione della propria superiore dignità spirituale: dignità di uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio, redenti da Cristo, resi tutti fratelli nella Chiesa, chiamati a imprimere l’orma della loro anima immortale nel regno opaco e inerte delle pur meravigliose realtà materiali. Ecco dunque - e Noi siamo certi che questo è diventato per voi legge di vita - il dovere di dare un’anima al proprio lavoro, di sentire la grandezza della propria vocazione di lavoratori: che sanno cioè di essere collaboratori di Dio nell’impiegare e sottomettere le energie e gli elementi della sua creazione; che sanno offrire a Cristo il peso, inerente alla quotidiana fatica, per trasfigurarlo e impreziosirlo a contatto col suo Sacrificio Redentore; che vogliono vedere nelle opere delle proprie mani un pegno di solidarietà offerto ai fratelli, un aiuto gioioso e costruttivo per il progresso sociale, della intera famiglia umana. In una parola, è il dovere di dare al lavoro il suo grande complemento, che è la religione, come abbiamo detto parlando di un giovane lavoratore, chiamato alla gloria degli Altari, Nunzio Sulprizio: «È la religione, che dà la luce, cioè le ragioni supreme della vita, e che determina perciò la scala dei veri valori della vita stessa; è la religione che dà il respiro, cioè l’interiorità, la purificazione, la nobiltà, il conforto alla fatica fisica e all’attività professionale; è la religione, che umanizza la tecnica, l’economia, la socialità; è la religione, che fa grandi e buoni e giusti e liberi e santi gli uomini laboriosi» (Allocuzione del 1° dicembre 1963; Insegnamenti di Paolo VI, I, p. 364).

È l’augurio che oggi vi rivolgiamo, diletti figli, avvalorato dalla preghiera per ciascuno di voi, e per i vostri cari lontani. Ne sia pegno e testimonianza la Nostra Apostolica Benedizione, che vi accompagna nel quotidiano lavoro, auspicandovi di sempre trovare in esso fonte di degne soddisfazioni, motivo di spirituale letizia, strumento di operosa solidarietà.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 23 giugno 1965

All'odierna udienza generale prendono parte gruppi di sacerdoti e religiosi, di varia provenienza e di diversa e specifica attribuzione nel pastorale ministero, che conferiscono all’udienza stessa, nel concerto animato e multiforme degli altri pellegrinaggi qui presenti, una caratteristica singolare e a Noi gratissima. Codesti gruppi reclamano pertanto un particolare accenno, una speciale parola di compiacimento e di elogio, che li additi all’attenzione, alla simpatia, alla gratitudine anche dei carissimi fedeli, che oggi fanno loro corona.

Salutiamo anzitutto i dirigenti dell’ONARMO, e i numerosi Cappellani del lavoro di tutta Italia, partecipanti alla II Settimana di studio sulla Pastorale del mondo del lavoro, promossa dalla benemerita Organizzazione, in collaborazione con gli altri Sodalizi che si dedicano all’apostolato nel mondo del lavoro.

Diletti figli!

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La vostra visita Ci procura vera soddisfazione, e ve ne ringraziamo di cuore. È ancora vivo nel Nostro ricordo l’incontro dello scorso anno con voi, incontro vibrante di fede, di letizia, di santo fervore; e Ci fa piacere rilevare il vostro impegno che, sulla scia delle consegne da Noi allora paternamente tracciate, vuol continuare nella ricerca di sempre più efficaci metodi di apostolato, nella non mai stanca preparazione ai vostri compiti, nell’intelligente adeguamento alle ricorrenti necessità e ai problemi della pastorale per i lavoratori.

Abbiamo preso visione con interesse dei temi che, sotto la guida di valorosi specialisti, state approfondendo in questi giorni circa l’argomento centrale della Settimana di studio: «La dinamica dei gruppi e l’apostolato sacerdotale nella comunità di lavoro». L’esiguità del tempo a disposizione non Ci permette di sostare più a lungo, come pur vorremmo, con voi, per cogliere dal tema annunziato qualche particolare indicazione per il vostro delicato, urgente, generoso ministero. Certamente saprà supplire la vostra esperienza e preparazione, unitamente alla parola dei maestri della Settimana.

La Nostra parola vuol sonare oggi ad ampio e commosso incoraggiamento al vostro quotidiano servizio della Chiesa e delle anime. Vogliamo dirvi che il Papa pensa a voi, per quello che fate con tanta abnegazione, non di rado con vero sacrificio, per conferire al mondo del lavoro quell’auspicata impronta cristiana, di cui nello scorso anno vi abbiamo parlato con immensa fiducia.

Ci aspettiamo tanto da voi. Il mondo del lavoro, nel quale siete chiamati a portare la testimonianza del vostro sacerdozio - Pro Christo . . . legatione fungimur, tamquam Deo exhortante per nos (2 Cor. 5, 20) -, il mondo del lavoro, diciamo, ha bisogno della vostra presenza: voi siete in esso il sale della terra, talvolta forse segno di contraddizione; ma i lavoratori han bisogno di scoprire in voi il volto di Cristo, e di trovare la presenza materna della Chiesa. Oh, non certo vogliono vedere in voi l’esperto, il tecnico, o, Dio non voglia, il burocrate, o l’agitatore: ma invece il ministro di Dio, il. fratello, l’amico, il consigliere, che sappia gioire e soffrire con loro, che indichi con parola chiara e scevra da ogni compromesso terreno la direzione esatta per servire Dio e i fratelli. Han bisogno di trovare, insieme con coloro che tutelano le loro aspirazioni, chi li spinga alla generosità dei propri doveri, chi li aiuti a essere strumenti consapevoli, efficienti, dignitosi della elevazione delle proprie famiglie, artefici dell’ordine e del benessere della società.

Noi vi confortiamo a codesta grave e illuminante responsabilità sacerdotale, con l’assicurazione della Nostra benevolenza, con l’aiuto della Nostra preghiera, col pegno, della Nostra Benedizione.

Salutiamo ora il gruppo, anch’esso assai numeroso, degli Assistenti Ecclesiastici dell’Associazione Scoutistica Cattolica Italiana, i quali partecipano al loro Convegno Nazionale.

Il vostro nome richiama al pensiero immagini fresche e radiose di giovinezza, perché vi dedicate con tanta passione alle dilettissime schiere degli Scouts. Voi siete infatti presenti ai loro incontri, ne alimentate la pietà, orientandola verso le forme nobili e sostanziose della sacra Liturgia, ne assistete l’attività di gruppo, ne dividete le pause serene: sempre a contatto con quel mondo giovanile di attese e di speranze, al quale prodigate i tesori della vostra sacerdotale formazione, della vostra cultura, del vostro zelo.

L’età, che a voi si affida, meritevole delle più gelose attenzioni, vi impone un continuo sforzo di adattamento, di aggiornamento, di comprensione: e per questo vi siete incontrati nel vostro Convegno Nazionale, per il quale vi esprimiamo la Nostra soddisfazione. Continuate, diletti figli, a prodigarvi per i costanti incrementi spirituali e organizzativi della vostra provvida Associazione: il cuore del Papa è con voi e con i vostri Scouts, invocandovi ogni più lieto dono del Cielo.

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Un particolare saluto rivolgiamo ora a voi, sacerdoti partecipanti al Corso Nazionale per predicatori di Esercizi Spirituali alle adolescenti e alle giovani, promosso dal Consiglio Centrale della Gioventù Femminile di Azione Cattolica Italiana. La delicatezza del vostro compito, che schiude nel segreto di quelle coscienze in formazione le vie difficili ma luminose del colloquio con Dio e della conoscenza di sé, non Ci trova insensibili alle vostre difficoltà, ai vostri sacrifici, ai vostri problemi di natura psicologica, pedagogica, ascetica, dottrinale. Lasciate che vi diciamo che Ci attendiamo tanto da voi, dalla vostra opera silenziosa, attenta alla voce dello Spirito, ferma nel dirigere e nel consigliare, gioiosa nell’invitare alle ascensioni interiori. Noi siamo certi che le brave giovani di Azione Cattolica trovino in voi le guide sicure e sperimentate per la loro maturazione interiore, e per l’avvio generoso alla vita di apostolato. Siate ringraziati, diletti figli, siate benedetti.

Ed ora eccoCi a voi, sacerdoti di diverse diocesi dell’Emilia e della Romagna, già alunni del Pontificio Seminario Regionale di Bologna, che celebrate il XXV anniversario di ordinazione sacerdotale e di Prima Messa. Vi accogliamo con un ampio augurio, al quale certo si associano i fedeli presenti a questa udienza; e vi esprimiamo la Nostra consolazione nel sapervi impegnati nella quasi totalità al ministero diretto delle anime, nelle vostre parrocchie. Il traguardo raggiunto, mentre è lieta conferma della fecondità che il Signore ha dato al vostro sacerdozio, sia altresì di stimolo per propositi di rinnovata generosità, per un costante progresso nelle vie del Signore, per l’inesausta donazione della vostra vita a Cristo e alla Chiesa.

Ritornando alle vostre parrocchie, portate con voi l’assicurazione che il Papa vi segue nel vostro evangelico lavoro, e abbraccia con un’ampia Benedizione le vostre persone, e le anime a voi affidate.

Il Nostro deferente augurio va infine ai degnissimi Religiosi della Società dell’Apostolato Cattolico, che hanno testé concluso il loro XI Capitolo Generale: salutiamo il Padre Guglielmo Möhler, ancora una volta eletto all’ufficio di Rettore Generale, con gli altri membri del Regime Generale, rappresentanti delle singole Province, sparse in tutto il mondo.

Voi Ci portate il palpito di fede e di amore dei vostri Confratelli, i 2.450 Pallottini, che, proseguendo sulla scia luminosa tracciata da San Vincenzo Pallotti, si prodigano nelle varie opere dell’apostolato sacerdotale e missionario. Siamo grati della vostra devozione generosa, che tanta utilità porta alla Chiesa di Dio. E vi incoraggiamo a proseguire nella vostra generosa fedeltà, che cerca sempre più validi orientamenti per corrispondere alle attese del Concilio Ecumenico Vaticano II.

A voi, come a tutti i gruppi di sacerdoti, a quelli di Bologna, ex Alunni del Seminario Regionale, celebranti il XXV anniversario di ordinazione e a quelli di Udine, Sacerdoti Oblati, che commemorano il XX anniversario della fondazione del loro sodalizio, per opera del compianto Mons. Giuseppe Nogara, i quali stamane hanno allietato questa udienza, l’Apostolica Nostra Benedizione attesti il paterno affetto, con cui vi seguiamo nella preghiera, invocando su di voi, su le persone a voi care, e su le vostre attività di ministero le continue grazie del Signore.

Queridos Sacerdotes del Convictorio Latino Americano «San Pio X».

Después de estos años romanos, en los que habeis enriquecido vuestra formación humana, cultural y espiritual, deseáis con vuestra presencia, para Nos gratísima, testimoniarNos aquí, cabe la Tumba de San Pedro, los sentimientos de devoción y los propósitos de abnegado trabajo que os animan para intensificar y extender el Reinado de Cristo.

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Volver desde Roma a América, donde frecuentemente va y se detiene Nuestro pensamiento de solicitud pastoral, donde tan dilatados, luminosos y fecundos campos de apostolado os esperan, comporta una alta y delicada responsabilidad que vuestra seria y profunda conciencia sacerdotal afrontará serenamente. Sed siempre dóciles y fieles a las exigencias de la vocación: imitadores de Cristo, con santidad de vida, con caridad ardiente, servidores del prójimo, magnánimos en la pronta obediencia a vuestros Prelados. Que las inevitables dificultades ministeriales nunca os desalienten y sirvan a intensificar el alma de todo apostolado eficaz: la vida interior, entretejida de plegaria y de sacrificio.

Con estos paternales deseos invocamos sobre cada uno de vosotros, sobre vuestros seres amados, sobre las Diócesis que se beneficiarán de vuestras fatígas sacerdotales, abundantes gracias divinas en prenda de las cuales Nos complacemos en otorgaros la Bendición Apostólica.

Riconoscenza al Signore nei grandi anniversari Diletti Figli e Figlie! Siamo oggi obbligati a parlarvi di Noi stessi per causa dell’anniversario - già il secondo! - della Nostra elevazione al Pontificato romano, e per le festività ricorrenti in questi giorni dei Santi, al cui patrocinio è affidata l’umile Nostra esistenza: i Santi Giovanni Battista, Pietro e Paolo. Ci obbliga a ciò il coro dei voti, che da ogni parte Ci pervengono, e quelli stessi che sarebbe in Noi affettazione non riconoscere nei vostri cuori: la vostra stessa visita, così numerosa e così cordiale Ce ne sembra dare la prova. E prendere la parola su questo tema vuol dire per Noi ringraziare, vuol dire ricambiare: siano tutti ringraziati e benedetti, quanti Ci offrono per queste ricorrenze, che preferiremmo ignorate e lasciate soltanto alla Nostra interiore memoria, i loro buoni e pii, e perciò tanto graditi, auguri. Ci obbliga ancor più la gratitudine che Noi dobbiamo al Signore per tanti suoi benefici, che assumono nell’evidenza dell’ufficio apostolico a Noi affidato l’aspetto d’un singolare ed eccelso favore. Ne sentiamo confusione, ma ne dobbiamo riconoscere la grandezza; dobbiamo protestare di non avervi alcun merito, ma vi dobbiamo ravvisare un dono immenso della divina bontà. Vengono opportune alle Nostre labbra le parole d’un grande;antico e santo Nostro predecessore, Leone Magno, che, precisamente nell’anniversario della sua elezione al Sommo Pontificato, diceva: «. . . non verecundae, sed ingratae mentis indicium est, beneficia tacere divina; non sarebbe indizio d’animo riservato, ma ingrato, il tacere i benefici divini» (Sermo I; P.L., 54, 141). Siamo perciò grati a Dio, che sceglie le cose che nulla valgono, «ea quae noti sunt», come dice San Paolo (1 Cor. 1, 28) per compiere i suoi disegni, affinché il merito ne sia a lui solo riservato. E se a lui solo risale la fonte benefica dell’ufficio, che Ci pone Pastore del gregge di Cristo, a voi tutti, e a quanti del nome cattolico godono l’onore e la fortuna, discende il gaudio di questa celebrazione del ministero apostolico, che Cristo, sola sorgente della nostra salvezza, volle a Pietro per tutta la Chiesa benignamente affidare. Ancora San Leone ha il conio dell’espressione precisa: «Intellegitis . . . honorem celebrari totitu gregis per annua festa pastoris; voi comprendete che nella festa annuale del Pastore si celebra l’onore dell’intero gregge» di Cristo (Sermo IV, P.L., 54, 148). Pertanto Noi profittiamo di questa pia ricorrenza per dare a voi, ai fratelli nel sacerdozio specialmente qui presenti, e per estendere a tutta la Chiesa in comunione con questa Sede Apostolica, più ampia effusione dei doni, che il Signore ha posti nelle Nostre mani, della fede cioè nella Persona, nella Parola, nella missione salvifica di Cristo Signore; «Resistite fortes in fide», siate resistenti e forti nella fede, ancora una volta ripeteremo con le parole stesse dell’Apostolo Pietro (1 Petr. 5, 9); della speranza, di cui Gesù, Profeta della vita futura, ci ha fatti mallevadori; della carità, che da Lui proviene, principio, cioè, e ragion d’essere e scopo del Nostro ministero pastorale. E profitteremo altresì di questa circostanza per raccomandare ancora Noi stessi alle vostre preghiere; per raccomandare la Chiesa tutta, affinché in quest’ora critica per i destini dell’umanità, in quest’ora benedetta e misteriosa del Concilio ecumenico, ci siano chiare e piane le vie del Signore verso la santità del Popolo di Dio, verso l’unità di tutti i Cristiani, verso la prosperità e la

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pace del mondo. Che la vostra preghiera, Figli carissimi, Ci assista, come agli albori del cristianesimo, nei momenti più incerti e più difficili; ricordate? «Oratio autem fìebat sine intermissione ab ecclesia ad Deum pro eo; si faceva orazione a Dio senza posa per lui» (Act. 12, 5). Per lui, cioè per Pietro. Ed ora così sia per il povero suo Successore; che tutti vi ringrazia e vi benedice.

DISCORSO ALLA SOCIETÀ EDITRICE «LA SCUOLA» DI BRESCIA

Lunedì, 28 giugno 1965

Cari Signori della Società Editrice «La Scuola», e cari Figli della Nostra Brescia!

La vostra venuta ha per Noi una commovente virtù evocatrice. Dire «La Scuola» di Brescia, la valorosa casa editrice della ormai famosa rivista «La Scuola Italiana Moderna», che da oltre settant’anni alimenta la classe magistrale di ideali cristiani, umani, pedagogici, con incomparabile ricchezza di pensiero, di notizie, di materiale didattico, sempre nuova, sempre fresca, sempre penetrante nel vivo dei problemi scolastici; dire «La Scuola», con la sua poderosa organizzazione editoriale, con il suo sovrabbondante catalogo di moderne pubblicazioni, con la varietà delle sue riviste e dei suoi sussidi didattici; dire «La Scuola», con quel suo singolare e magnifico carattere di comunità di uomini competenti e valenti, appassionati, come forse pochissimi, alla causa della educazione del popolo, legati in silenziosa e indefessa dedizione al proprio lavoro, e compresi che altro migliore non v’è; dire «La Scuola» è per noi, sì, un richiamo ad una storia, ad uno spirito, ad una milizia, che non già la «carità del natio loco» fa giudicare ammirabili, ma il valore dell’impresa in se stessa; chi appena la conosce non può con Noi in ciò non convenire, e che il valore morale delle persone, che tale impresa fondarono e servirono, la rende degna d’essere iscritta, anche se volutamente modesta, fra le cose migliori della vita italiana contemporanea.

Vengono al Nostro spirito figure di uomini ottimi e a Noi, non meno che a voi, carissimi; prima quella di Giuseppe Tovini, più viva che mai nel cuore di quanti compongono il vostro gruppo, e nella memoria dei cattolici militanti italiani. Occorreva un uomo di fede e di azione della sua tempra per iniziare la pubblicazione della Rivista, che doveva essere la bandiera intorno alla quale si costituiva, nel 1904, la vostra Società. L’ardimento, l’idealismo, la tenacia che sostennero ai suoi albori l’impresa possono qualificare eroica la virtù del Tovini; la distanza di prospettiva da cui oggi noi la guardiamo ce ne dà migliore certezza, mentre ci fa chiamare provvidenziale il concorso di anime alte e buone, che confortarono quei difficilissimi inizi; vengono alle labbra i nomi del Prof. Rezzara di Bergamo, delle Sorelle Girelli di Brescia, di Caterina Restelli, di Marietta Bianchini, dei Maestri Pellegrini e Segnali e della Prof. Magnocavallo, e fra tutti quello di Monsignor Angelo Zammarchi, che possiamo ben dire l’uomo della vostra «Scuola», per esserne stato, per oltre sessant’anni, tutto: l’ispiratore, il sostenitore, il direttore, il maestro, il servitore; sempre fervente, sempre indefesso, sempre geniale, e sempre l’ultimo a comparire, umile fino all’eccesso, capace di tacere come nessuno, e portato a usare la sua voce squillante come nessuno (egli se ne faceva già vecchio ancora rimprovero), quando un’idea buona? una verità ammirabile, una causa giusta balzavano nel suo spirito, e lo trasportavano. Oh! chi l’ha conosciuto non lo dimentichi mai! Sacerdote purissimo e ferventissimo, studioso e scienziato di riconosciuta statura, insegnante ed educatore di raro valore, amico discreto e fedelissimo, diede alla «Scuola» l’anima: chi di voi non gli deve la certezza ch’essa tutto merita, e l’impulso, l’entusiasmo, la gioia di servirla con totale

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fedeltà? La sua fiera modestia, il suo disinteresse assoluto, il suo interiore assorbimento spirituale, la sua arte di mettere avanti gli altri, collaboratori e discepoli che fossero, velarono la sua umana figura agli occhi del pubblico; ma non così che quanti ebbero la ventura di avvicinarlo non riconoscessero in lui un uomo di eccezionali virtù, di pensiero; di cuore, di azione. Voi certo lo sapete.

E comprendete come spontaneamente la memoria Ci faccia intravedere accanto a Monsignor Zammarchi, il profilo alto e nobile d’un’altra figura di straordinario valore, quella di Luigi Bazoli, amicissimo dello Zammarchi e della vostra «Scuola», avvocato rinomatissimo, ma ancor più degno che voi lo ricordiate fra i migliori della vostra schiera per l’incomparabile dirittura d’animo, per l’insonne attività di pensiero, per la finissima sensibilità di cuore, per la trascinante e virile virtù di penna e di parola, per la fede umile e gioconda di cattolico militante. Dovremmo dire anche come il ricordo di Nostro Padre si unisca a quello di queste buone e grandi figure; fu egli per non pochi anni presidente della vostra Società; e tanto basta per dire quanto anch’egli l’abbia amata e servita; e quanto Noi pure, non insensibili a queste limpide ragioni del cuore, siamo spiritualmente uniti alla vostra impresa e alle sue altissime finalità.

Voi ora, con la vostra visita e con l’omaggio delle vostre recenti produzioni librarie, tra cui il prezioso volume sui problemi attuali circa «L’Educazione e la Società» a Noi dedicato, Ci dimostrate cose che Ci riempiono l’animo d’immensa soddisfazione.

Voi Ci fate vedere i vostri progressi: il grano di senape è diventato, evangelicamente, e realmente, uno stupendo albero, fiorente e vigoreggiante di magnifiche strutture e di molteplici iniziative; le vostre pubblicazioni ne sono la prova evidente. Voi Ci date altresì prova d’un’altra vitalità, quella della vostra compagine, di persone e di opere; e Ci sembra cotesto un meraviglioso attestato di quelle virtù nascoste e tenaci, che fanno prospere e grandi le imprese, e che sempre dovrebbero distinguere quelle che intendono servire il regno di Dio: la concordia, l’abnegazione, l’alacrità, la saggezza, l’onestà... Elogiamo e benediciamo! Voi ancora Ci lasciate leggere nei vostri. animi i sentimenti generatori di tanto lavoro; due ne scorgiamo principalissimi, la vostra fede cattolica, che in voi, una volta di più, dà saggio della sua connaturalità con le migliori facoltà dello spirito umano; c perciò offre conferma della sua fecondità generatrice delle migliori energie di pensiero e di azioni, di quella chiaroveggenza delle verità, che danno senso e destino alla vita, e delle necessità, che reclamano intervento e soccorso, e suscitano nell’animo la santa inquietudine dell’apostolato: «Necessitas enim mihi incumbit; vae enim mihi est, si non evangelizavero», una necessità mi spinge; e guai a me se non mi farò annunciatore del Vangelo (1 Cor. 9, 16). Sappiamo quanto un simile fervore di fede si effonda. e forse, per dire ancor meglio, si realizzi in una spontanea e ferma adesione al nome cattolico, e alla Chiesa perciò, che sempre è stata dell’opera vostra e guida e tutela amorosa. Anche per codesta filiale professione Noi vi elogiamo e vi benediciamo.

Poi un altro sentimento scorgiamo nei vostri cuori, reso palese ed eloquente dalla vostra venuta presso di Noi: il vostro amore alla causa della scuola. Oh! Dio vi benedica per così eletta e provvida vocazione! Non Ci sembrerebbe difficile derivarne da Lui stesso la prima ed intima origine. Essa ha il carattere delle cose migliori, che possono albergare nel cuore umano. Essa si profila sul grande mistero del Verbo che si fa uomo; nasce dalla verità, che, per circolare nella rete delle esistenze umane, ha bisogno di chi la apprenda e la comunichi; ha bisogno del servizio d’un magistero che la ricerchi, la custodisca, la esprima, la renda parola, la trasmetta ad altri spiriti, la fecondi con l’esempio e con l’amore, la renda vita. Essa è ministero che si curva su i piccoli, è arte che ne dischiude le implicite facoltà, è prodigio che forma la personalità dell’uomo e lo incammina alla pienezza e alla perfezione dell’essere suo. Ricordiamo sempre la scultorea definizione del Tommaseo: educare vale a me emancipare. Così che operando libera, compiendo il dover suo si

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annulla; il maestro ha formato l’uomo, lo ha avviato sul cammino della vita; tace e scompare: grandezza della sua missione e magnanimità del suo umile sacrificio!

Il discorso non avrebbe più fine, e Ci metterebbe a colloquio con voi; e inoltrandosi nell’analisi dei problemi suoi propri Ci farebbe piuttosto vostri ascoltatori, che interlocutori. Diamo onore alla vostra consumata scienza pedagogica; diamo incoraggiamento alla vostra attività in servizio della scuola, di quella primaria e popolare specialmente; diamo riconoscimento alla vostra sensibilità moderna dei problemi scolastici; diamo lode ai frutti, che già avete così largamente conseguiti; e diamo voti per i forti propositi che spingono la vostra attività, non solo alla conservazione dell’efficienza raggiunta, ma all’audacia altresì di nuovi sviluppi e di nuove conquiste. Il Nostro affetto vi conforti, la Nostra stima vi avvalori, la Nostra Benedizione vi segua e vi ottenga da Dio luce, vigore, merito e premio.

DISCORSO A DIVERSI GRUPPI DI PELLEGRINI

Lunedì, 28 giugno 1965

Diletti Figli e Figlie!

Vi è una parola, una parola di Gesù nostro Signore, che viene alla Nostra memoria davanti a udienze generali, come questa, così numerosa, così variamente composta, così bella e significativa, così rappresentativa dei ceti più vari della società: uomini, donne, fanciulli, giovani, studenti, studiosi, lavoratori, soldati, professionisti, sposi, famiglie, pellegrini, turisti, sacerdoti, religiosi e religiose, poveri e malati anche, sofferenti, curiosi . . . Una parola, che sembra qui - in certa misura - realizzarsi; e che la vostra presenza Ci conforta a ripetere, mentre essa Ci sembra tanto audace da far tremare il Nostro cuore e la Nostra voce, se osiamo proferirla. E dobbiamo proferirla, perché il Signore stesso Ce ne fa obbligo, e C’infonde fiducia che, nonostante la Nostra umana pochezza, il ministero ch’Egli, il Signore, Ci ha affidato, non la smentirà.

La parola è questa: «Venite a me, tutti! . . .» (Matth. 11, 28). E, com’è chiaro, si riferisce a Gesù: è Lui che la dice.

Parola dolcissima, parola densissima, parola sovrana; una di quelle che possono e debbono sconvolgere il mondo, e cambiare la faccia della terra. Pensate se nella indifferenza, nella confusione, nella lotta degli uomini, questa voce di Cristo fosse ascoltata, fosse assecondata: quale trasformazione, quale ordine, quale bellezza acquisterebbe l’umanità! Dalla dispersione di Babele alla convergenza verso l’unità, verso la comprensione di tutte le lingue, verso la pace universale! E pensate se la promessa, che Cristo ha fatto seguire al suo sbalorditivo invito, si avverasse; come deve avverarsi: «Venite a me voi tutti, che siete affaticati e tribolati; ed Io vi consolerò!».

È una parola solenne, formidabile, meravigliosa; soltanto un Messia divino la poteva pronunciare! È la parola di cui il mondo ha bisogno, e che possiede, al tempo stesso, la rivelazione ed il segreto della salvezza del mondo. Per noi tutti, che la ascoltiamo: quale fortuna! ed insieme: quale responsabilità! Per la Nostra misera persona, che ha l’incarico di ripeterla: quale coscienza di profetica magnanimità Ci fa sorgere nello spirito, ed insieme quale timore di non saperla abbastanza annunciare al mondo, di non saperla poi abbastanza onorare con l’ufficio di salvezza, che Ci fa «servo dei servi di Dio»!

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Vi è di che meditare. E la moltitudine e la composizione pluralistica di questa grande riunione Ci fa davvero tanto pensare, tanto riflettere, tanto pregare, se osserviamo che quella parola rappresenta in modo caratteristico l’intervento di Cristo, cioè della religione cattolica, in mezzo all’umanità. È un comando? è una minaccia? è una evidenza che obblighi ogni uomo ragionevole ad accoglierla? No; è un invito. Un invito pieno di bontà e di autorità, pieno di forza e di dolcezza. Un invito seducente per le promesse che offre, per i vantaggi che porta con sé; e forse ancor più per il fascino misterioso, che esercita su i cuori di chi lo ascolta; un incantesimo, si direbbe; una attrattiva misteriosa, che noi sappiamo essere d’origine divina (cfr. Io. 6, 44), altrettanto vincolante, che rispettosa della libertà individuale: «Non obligatio, sed delectatio»: non una costrizione, ma un diletto (cfr. S. Aug., in Io. 26, 4; P.L. 35, 1608).

Notate bene. Siamo nel centro del grande problema della libertà religiosa, sul quale la prossima Sessione del Concilio Ecumenico ci darà preziosi insegnamenti, interpretando il pensiero di Cristo: Egli invita a sé; invita alla fede; produce un obbligo morale per coloro a cui giunge l’invito, un obbligo salvatore; ma non costringe, non toglie la libertà fisica dell’uomo, che deve decidere da sé, coscientemente, del suo destino e del suo rapporto di fronte a Dio. Così sentirete riassumere grande parte di questa capitale dottrina in due famose proporzioni: rispetto alla fede, che nessuno sia impedito! che nessuno sia costretto! Nemo impediatur! Nemo cogatur! Dottrina che si completa con la conoscenza della parola di Cristo, di cui stiamo ragionando: esiste una chiamata divina, esiste una vocazione universale alla salvezza portata da Cristo; esiste un dovere d’informare e d’informarsi; esiste un ordine di istruire e di istruirsi, esiste, di fronte al problema religioso, una somma responsabilità; a cui però in una sola maniera si deve e si può corrispondere: liberamente, cioè; il che vuol dire, per amore, con amore; non per forza. Il cristianesimo è amore.

Stupendo e tremendo disegno in ordine alla nostra salvezza! E a Noi sembra di ravvisarne qui, nell’episodio di questa stessa udienza, un semplice, ma significativo riflesso. Perché siete qui, figli carissimi? chi vi ha costretto a venire? nessuno; liberamente si raduna questa grande assemblea; ma una forza, una scelta, un amore qua ha condotto i vostri passi; ancor prima che Noi la ripetessimo, voi avete ascoltato nelle vostre coscienze la voce misteriosa dell’invito di Cristo: venite, venite tutti, ché Io ho per tutti un infallibile conforto; venite.

E siete venuti. E trovate un’umile voce umana, che è autorizzata a ripetere sensibilmente, umanamente, storicamente, la soave e potente chiamata di Gesù Salvatore: a Lui venite; ed Egli vi consolerà.

È ciò che vuol ripetere ed effettuare oggi, per ognuno di voi, figli liberi e fedeli, la Nostra Benedizione Apostolica.

Dopo l’Esortazione a tutti i pellegrinaggi, alcune speciali parole a gruppi particolarmente qualificati, incominciando dai dirigenti diocesani dei Maestri dell’Azione Cattolica.

A questa udienza, che si svolge nella radiosa vigilia della festa di San Pietro, in questo tempio che è glorificazione del suo martirio e scrigno prezioso della sua tomba, partecipano alcuni gruppi di pellegrini, ai quali desideriamo rivolgere in particolare la Nostra parola di incitamento e di benedizione.

Salutiamo anzitutto i Dirigenti diocesani del Movimento Maestri di Azione Cattolica Italiana, riuniti a Roma per le giornate di studio e di preghiera del loro annuo Convegno Nazionale. La vostra presenza Ci procura particolare soddisfazione, diletti figli e figlie, perché vediamo in voi l’aperta e fervidissima professione cristiana, che illumina e avvalora la preziosa opera di educatori e di

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insegnanti, che svolgete con zelo e passione, e con gioioso sacrificio, a beneficio dei vostri alunni e della intera società.

Grande invero è la missione, che avete scelto di compiere; grande è la dignità del Maestro, che, fatto piccolo con i piccoli, ne arricchisce la mente con i suoi pazienti e graduali insegnamenti, ne tempra la volontà con gli esempi costanti e generosi, ne avvia la personalità ai primi sicuri sviluppi, ponendo i fondamenti di una vera sapienza di vita. Ma particolarmente grande, e degna di ogni rispetto e di sentito incoraggiamento, è la missione del Maestro cattolico, per il quale la fede è ragione di vita e di apostolato; la consapevolezza della vocazione cristiana diventa precisa consegna di interiore coerenza e di costante dedizione al perfezionamento spirituale e morale degli alunni; e la delicata professione si trasfigura in luce di merito eterno, secondo la biblica promessa: «Coloro che avranno insegnato la giustizia brilleranno come stelle per l’eternità» (cfr. Dan. 12, 3).

L’intimo rapporto tra la vostra fede e la vostra missione e lo spirito con cui volete viverlo, l’abbiamo rilevato con vero compiacimento anche dal tema del Convegno: «Vita scolastica e vita liturgica». Continuate, diletti figli e figlie, nel vostro impegno, che tanto vi onora. Il Papa è con voi, vi segue con l’affetto paterno, vi conforta con la preghiera, vi incoraggia con la Sua benedizione.

Uno speciale saluto, pieno di cari e commossi ricordi, è poi riservato a voi, diletti parrocchiani dei Santi Quattro Evangelisti, di Milano, che partecipate al pellegrinaggio commemorativo dei primi dieci anni di vita della vostra parrocchia. Ricordiamo con particolare compiacimento come essa sia stata da Noi fondata, durante il ministero pastorale nell’Arcidiocesi ambrosiana; possiamo ben dire che vedemmo crescere la grande e bella chiesa, dedicata agli Evangelisti; e Ci è caro ora attestare, anche pubblicamente, la Nostra stima all’ottimo Preposto-Parroco, qui presente, don Dante Basilico, e a tutti i suoi bravi parrocchiani, che hanno saputo rendere viva e attiva la loro parrocchia con ben avviate ed efficienti opere e scuole.

Non possiamo, purtroppo, per l’esiguità del tempo a Nostra disposizione, trattenerci con voi come vorremmo, e come pur reclamerebbe il Nostro affetto di Padre verso gli antichi figliuoli così affezionati, e tanto più diletti perché, possiamo ben dire, primogeniti: solo desideriamo esortarvi a mantenervi sempre fedeli al Vangelo, di cui la vostra parrocchia porta il particolare titolo di onore: nel Vangelo è Cristo che ci rivela il Padre, dimostrandosi soavemente a noi come la Via, la Verità e la Vita; là è l’insegnamento suasivo e penetrante e anche talora sconvolgente, che ci sprona e ci stimola alla fede, alla fiducia in Dio, all’amore ai fratelli; là è la luce per le ore buie, l’alimento e il sostegno per la nostra debolezza, la chiave di volta per la costruzione della città celeste su questa terra, la garanzia della serenità e della pace anche materiale. Fate che la vostra comunità di anime cementate dalla vita eucaristica, sia una conferma costante e gioiosa di quello che può il Vangelo, se vissuto con schietta aderenza e con buona volontà. A questo vi esortiamo con sempre vivo affetto, accompagnandovi con voti fervidissimi di sempre più luminosi traguardi.

Ora la presenza di numerosi gruppi di lavoratori reclama con giusta impazienza la Nostra parola: siamo ben lieti di rivolgerla con intimo compiacimento per la testimonianza di fede e di devozione, che il mondo del lavoro continuamente Ci offre nelle sue varie applicazioni e provenienze.

A voi, settecento maestranze del complesso tessile Miroglio, della diocesi di Alba, va anzitutto il Nostro particolare saluto, con l’espressione di viva soddisfazione per la data, che celebrate, per il numero e il fervore del vostro gruppo, per lo spirito, con cui volete compiere il vostro quotidiano lavoro, nella continua adesione dell’anima a Cristo e alla Chiesa, nella fraterna comunione di intenti e di interessi.

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A voi, operaie del laboratorio di maglieria «SACOR» di Cassano Murge, in provincia di Bari, va altresì il Nostro saluto, il Nostro augurio, il Nostro ringraziamento per i doni che, per il Nostro tramite, avete già fatto giungere ai bimbi poveri delle Missioni. Che la vostra carità, compiuta con sensibilità esemplare per la causa missionaria, sia ricambiata e centuplicata dal Divino Salvatore, che non lascia senza ricompensa anche solo un bicchier d’acqua offerto in collaborazione all’apostolato (cfr. Matth. 10, 42).

A voi, infine, diletti Aclisti della diocesi di Casale Monferrato e di Torre Pellice (Pinerolo), rivolgiamo il Nostro paterno incoraggiamento. La vostra appartenenza alle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani vi impegna a una cosciente e vissuta fedeltà alla Chiesa, all’esempio generoso, all’apostolato di ambiente: sappiate rendere sempre onore al nome cristiano, in tutte le forme del vostro lavoro, ovunque vi chiami il quotidiano dovere, per essere le viventi testimonianze della presenza cristiana fra i lavoratori, della concreta attuazione dell’insegnamento sociale della Chiesa.

Su tutti voi, operai qui venuti, sui Dirigenti e Proprietari delle Ditte rappresentate, sui vostri colleghi di lavoro, spiritualmente uniti a questo soave incontro di anime, e specialmente sulle vostre famiglie, sui vostri bambini, e su quanti chiudono in cuore una trepidazione e una pena, scenda la Nostra confortatrice Apostolica Benedizione, pegno delle più belle e sante grazie del Cielo.

RADIOMESSAGGIO AI LAVORATORI ITALIANI IN GERMANIA

Festività di Tutti i Santi Lunedì, 1° novembre 1965

Cari Lavoratori Italiani in Germania!

È a noi offerta la possibilità di rivolgervi una parola in occasione della festa di Tutti i Santi e del giorno dei Morti.

Ringraziamo di cuore il Westdeutscher Rundfunk, e profittiamo di questa opportunità per mandare a voi, Lavoratori Italiani emigrati in terra tedesca, un Nostro particolare saluto.

Perché a voi? Perché Noi sappiamo che queste ricorrenze dei Santi e dei Morti vi fanno ricordare le vostre Famiglie rimaste in Patria, le vostre città e i vostri paesi, le vostre parrocchie e i vostri cimiteri. Sono giorni del cuore quelli dei Santi e dei Morti. La memoria si riempie di immagini care e dolorose; ciascuno ripensa ai propri Defunti, ciascuno rivede i propri familiari scomparsi, i propri amici e compagni di lavoro perduti. Sono i giorni tristi. Si vorrebbe tornare indietro. Si vorrebbero avere i propri cari vicini, e con loro, come un tempo, andare al camposanto per mettere un cero, un fiore, e dire una preghiera sulle tombe dei propri Morti. Poi si vorrebbe essere ancora insieme, la sera, per sentire il conforto dell’intimità familiare. Una volta, Noi lo sappiamo, le famiglie, alla sera dei Santi, si riunivano attorno al fuoco, assaggiavano il vino nuovo e sbucciavano e gustavano le castagne lesse, dicevano insieme il Rosario; e poi parlavano; parlavano piano, con voce dolce e buona: Ti ricordi? Ti ricordi? e le immagini delle persone scomparse sembravano prendere vita, e venire quasi a discorso con i presenti: morti e vivi erano insieme in quella sera mesta e benedetta. Anche i piccoli stavano quieti, e ascoltavano. E dopo le parole, quel silenzio, quel silenzio insolito, quanti sentimenti, quante domande faceva sorgere nel fondo dei cuori: ma perché sono morti? e

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dove saranno? e tutto finisce così? e perché tanto si fatica e poi si muore? e che cosa è dunque questa nostra vita, che passa, che corre, come un fiume; e dove va? verso un’altra vita, e quale?

Cari Figli, cari Lavoratori lontani! Noi crediamo che simili pensieri siano anche i vostri, nella sera di Ognissanti, alla vigilia del giorno dei Morti; e pensieri per voi più gravi e più tristi, perché voi siete lontani, perché siete soli, e forse perché non sapete più pregare come una volta.

Ecco perché vi parliamo: voi non siete lontani, per Noi; voi non siete soli, perché Noi, con questa voce almeno, veniamo a trovarvi, veniamo a consolarvi. Veniamo a dirvi, nel nome di Cristo, ch’è la Vita e la Risurrezione, che i Morti non sono morti. Dormono. Dormono d’un sonno che ha dissociato il loro essere umano, ma non ha spento la loro anima. E se essi hanno avuto la fede e sono stati buoni, la loro sorte, la loro sorte felice, è assicurata per sempre.

E veniamo a dirvi, ancora nel nome di Cristo, che noi possiamo in qualche modo aiutarli, se le loro anime fossero in via di purificazione, con qualche opera buona, con qualche preghiera. E poi vi diciamo che dobbiamo ascoltare la loro voce misteriosa; i nostri Defunti sono i nostri amici, sono i nostri maestri. Ci insegnano ad apprezzare la vita, la nostra vita presente, la quale deve servire di preparazione per quella futura. Essi ci dicono che dobbiamo, innanzi tutto, essere uniti a Dio. Dio è la Vita; a Lui dobbiamo affidare le nostre esistenze e a Lui rivolgere qualche buon pensiero, qualche preghiera. E poi ci dicono che dobbiamo essere giusti, onesti, forti, pazienti e buoni con tutti.

Ascoltate, carissimi, questi ammonimenti, che vengono oggi alle vostre coscienze dal ricordo dei vostri Morti, e che Noi, con loro e per voi, vi ripetiamo. Siate fedeli, siate forti, siate giusti, siate buoni. Volete che diciamo una preghiera insieme? Così: L’eterno riposo dona a loro, o Signore! Così. E mentre il Papa, bravi Lavoratori Italiani in Germania, tutti vi saluta, pensando anche alle vostre Famiglie ed ai vostri compagni di lavoro, tutti di cuore vi benedice.

PARROCCHIA DI SAN GIOVANNI BATTISTA A CASAL BRUCIATO

OMELIA

Domenica, 21 novembre 1965

Dopo d'avere ascoltato insieme la parola del Signore nella nuova chiesa, ascoltiamo ora la voce delle cose e delle persone, che qui incontriamo. Le persone: ecco il Nostro Cardinale Vicario Traglia — accompagnato dal Vicegerente Monsignor Cunial, dagli Ausiliari Monsignori Pecci e Canestri e dal Delegato Monsignor Camagni — che qui gode con Noi la visita a questo nuovissimo Centro Internazionale per la Gioventù Lavoratrice, e Ci presenta un’opera che onorerà Roma cattolica.

Ecco Monsignor José Maria Escriva de Balaguer, notissimo fondatore dell’Istituto secolare «Opus Dei», al quale è affidato questo Centro; ed ecco i Soci dell’«Opus Dei», che fanno gli onori di casa e già Ci mostrano i primi risultati della loro attività.

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Ecco Monsignor Angelo Dell’Acqua, Sostituto della Nostra Segreteria di Stato, promotore di questa nuova e grande istituzione, dovuta alla generosità di quanti hanno voluto onorare Pio XII, e di Papa Giovanni XXIII, che a quest’opera ha destinato le somme raccolte in omaggio al suo Predecessore.

Ecco qui gli operatori della grande impresa: architetti, ingegneri, tecnici, maestranze, operai; e poi sacerdoti, maestri, dirigenti; e finalmente la gioventù ospite di questa Casa, alunni ed alunne delle Scuole professionali, che qui hanno cominciato a funzionare, e giovani, venuti un po’ da ogni parte, dall’Italia e da altri Paesi e primi testimoni del carattere nazionale e internazionale di questo Centro.

Ecco infine le Autorità ecclesiastiche e civili, che onorano con la loro presenza questa inaugurazione; ecco qui una rappresentanza dei Padri del Concilio ecumenico, dell’Episcopato Spagnolo in particolare; ecco finalmente la folla, la popolazione di questo quartiere, e la schiera dei conoscenti e degli amici. Cerchiamo indarno tra i presenti una persona che avremmo voluto qui incontrare: quella del compianto Barone Prof. Francesco Mario Oddasso, tanto benemerito, sia finanziariamente che moralmente verso la fondazione di . quest’opera; uomo pio, retto, benefico e tanto propenso verso l’elevazione cristiana del lavoratore, Noi lo pensiamo ora in ,Dio e lo vogliamo spiritualmente presente a questa inaugurazione.

A tutta questa corona di persone il Nostro cordiale saluto. Il Nostro saluto ha un accento di riverenza per tutte le persone autorevoli, qualificate e rappresentative qui presenti; ha un accento di riconoscenza per tutte le persone benemerite nella ideazione, nell’esecuzione, nel finanziamento di questo Centro; ed ha il Nostro saluto un accento di affezione per quelli che a questo Centro appartengono, ai carissimi giovani ai quali esso è destinato. E dica questo troppo breve saluto come la voce d’ogni persona, che per qualsiasi ragione qua confluisce, Ci risuona nel cuore; come Noi la ascoltiamo con interesse e con rispondenza; come la vorremmo prolungare a dialogo, perché questo, sì questo, è un punto d’incontro, a cui volentieri Ci concediamo, per il suo significato sociale e educativo, per il suo scopo pastorale e religioso, per le sue intenzioni commemorative e celebrative. La Nostra presenza dica appunto quanto questo luogo, quest’opera, queste persone richiamino la Nostra simpatia e la Nostra fiducia; diciamo di più: il Nostro ministero, sia pastorale che apostolico. E basti a tutto dire il fatto che Noi siamo felici oggi d’essere qui, con voi e per voi.

Questa testimonianza del cuore vi dice che non solo qui ascoltiamo la voce delle persone presenti, ma ascoltiamo altresì la voce delle cose; la voce che già quest’opera nascente pronuncia; vogliamo dire il significato intenzionale, che l’ha fatta sorgere e che, a Dio piacendo, la farà vivere e prosperare.

Ascoltiamo. A voi giovani specialmente Ci rivolgiamo in questo momento. Qual è l’idea, che ha fatto sorgere questa opera? Perché si sono costruiti questi edifici? Perché sono stati aperti per ricevervi e per educarvi ? Che cosa volevano fare Papa Pio XII e Papa Giovanni XXIII dando origine a questa fondazione?

La risposta è semplice. Ma fate attenzione e ricordatela. Questa opera vuole essere una prova dell’interesse, della stima, della fiducia, dell’affezione di quei Papi veneratissimi per la gioventù lavoratrice. Una prova tangibile, una prova evidente, una prova nuova, una prova comprensibile e gradita: la prova dei fatti. Certamente tutti voi saprete quanto i Papi, di questi ultimi tempi specialmente, hanno parlato circa la questione sociale, e perciò circa quanto tocca voi personalmente, giovani carissimi, che siete, in un certo senso, i protagonisti della questione sociale. Parlato: discorsi, documenti, encicliche; in tanti modi, in tanti toni, in tante occasioni. Sì; si potrebbe dire che i Papi sono stati non solo i maestri in questo tremendo e difficile problema riguardante l’ordine sociale, ma sono stati anche i vostri avvocati. Potremmo citare molte ed alte e forti parole pontificie in difesa della gioventù lavoratrice, in vantaggio dei figli del popolo, in

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soccorso dei fanciulli e dei giovani provenienti dalle classi sociali meno favorite ed esposti perciò a maggiori bisogni ed a maggiori pericoli. Giovani, dovete ricordare questo: i Papi —e con loro i Vescovi, i cattolici, la Chiesa — sono stati molte e molte volte i vostri difensori, i vostri interpreti, i vostri tutori ed amici.

Ma Noi conosciamo l’obbiezione che spesse volte è mossa a chi prospetta questo merito del ministero della Chiesa e dell’azione sociale dei cattolici, il merito cioè d’aver sempre preso la difesa dei deboli, dei bisognosi, dei giovani privi di risorse e di assistenza; e l’obbiezione è questa: sono parole, belle parole, ma solo parole. Ma non è così. E lo neghiamo senza ritorcere ora, come per molti casi si potrebbe, l’accusa di retorica a chi così giudica l’apologia dei Papi e della Chiesa per l’elevazione delle classi lavoratrici. Lo neghiamo, perché non è vera la ragione su cui l’accusa si fonda: che cosa può fare la religione, che si occupa di cose spirituali, per i problemi temporali, per le questioni economiche e sociali di questo mondo? Che ne sa la Chiesa di queste cose, che non sono di sua competenza? Fate attenzione: una religione, sì, tutta rivolta a Dio, al regno dei cieli, ma fatta per l’uomo, per il suo bene, può forse ignorare i problemi concreti della vita dell’uomo, anche se riguardano un ordine temporale, che non può essere praticamente ignorato per la costruzione dell’ordine spirituale? e se questa stessa religione si fonda essenzialmente sul grande precetto della carità, può essere incompetente, può essere inabile ad affrontare i problemi reali, in cui si dibatta quel prossimo che della carità è l’oggetto immediato?

L’interesse infatti della Chiesa per le classi lavoratrici non è mai stato soltanto religioso, verbale e dottrinale; né tanto meno è stato retorico e vano; è stato sempre ed anche pratico, positivo, reale. Potrà essere stato limitato, perché limitati sono i mezzi di cui la Chiesa dispone, ma non mai è mancato da parte della Chiesa con il dono della parola il dono del pane, vogliamo dire il dono dell’ausilio pratico e concreto a beneficio di coloro ai quali la parola era destinata. Anzi: se volessimo fare la storia dell’interessamento della Chiesa per il bene del popolo in necessità, vedremmo che maggiore è stata l’opera effettiva di soccorso, di assistenza, di educazione, compiuta dalla Chiesa, che non la parola detta a questi stessi fini. Prima d’essere teorica la sociologia cattolica è stata pratica. L’azione della Chiesa è stata più silenziosa e operativa, che magistrale e discorsiva: date uno sguardo a tutte le istituzioni sociali e caritative, che ora la comunità civile assume a proprio carico per dare all’azione sociale un contenuto positivo, e vedrete che esse sono nate primieramente dalla carità cattolica, che spesso con umili mezzi e poi talora con magnifiche istituzioni, ha dimostrato come la Chiesa sia stata all’avanguardia della cura amorosa, gratuita, sapiente, indefessa dei bisogni scoperti e trascurati dei più modesti strati sociali; l’opera salesiana, per citarne una, o quella dei Fratelli delle Scuole Cristiane, e l’assistenza ai malati da parte di tante famiglie religiose dicono qualche cosa!

Ma ritorniamo a ciò che stavamo dicendo: questa istituzione, che voi qui vedete quanto bella, grande e moderna, vuol essere una prova, una nuova prova dell’amore che la Chiesa, che i Papi ancor oggi nutrono per la gioventù lavoratrice. Essa non certo esaurisce il loro amore e il loro dovere; ma essa ne offre la testimonianza, ne è il segno, ne è l’impegno. E come tale, voi carissimi giovani, dovrete giudicarla. Quest’opera, come tutte le opere benefiche della Chiesa, non nasconde alcun proprio interesse temporale; è un’opera del cuore; è un’opera di Cristo; è un’opera del Vangelo, tutta rivolta cioè a beneficio di quelli che ne profittano. Non è un semplice albergo, non una semplice scuola, non è un campo sportivo qualsiasi: è un centro dove l’amicizia, la fiducia, la letizia, formano atmosfera; dove la vita ha una sua dignità, un suo senso, una sua speranza; è la vita cristiana, che qui si afferma e si svolge, e che qui vuol dimostrare che la Chiesa, madre e maestra, è presente, come dicevamo, in mezzo alla gioventù lavoratrice; vuol dimostrare che dove è più la fede — la religione, la preghiera, l’osservanza cristiana —, come qui lo sarà, più viva è la carità, più sensibile é più operante l’amore, più generosa e geniale l’arte di conoscere e di assistere i bisogni del prossimo; vuol dimostrare che l’azione sociale della Chiesa fa sue le istanze dei problemi

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moderni, di quelli specialmente che si riferiscono alla scuola e al lavoro; vuol dimostrare che la visione della Chiesa, anche quando è concentrata, per esigenze di concretezza, in un punto locale e in una determinata forma d’azione, non è ristretta, non è chiusa, ma aperta al ricordo e al soccorso dei bisogni internazionali; non cessa d’essere, almeno intenzionalmente, universale; ecumenica, come oggi si dice.

Noi ricordiamo una triste giornata lontana, dell’immediato dopo guerra. Per motivi di assistenza, derivanti dal Nostro servizio alle immediate dipendenze del Papa Pio XII, di venerata memoria, Noi venimmo un giorno, proprio in questo quartiere Tiburtino, per vedere che cosa si poteva fare per portare qualche soccorso a tanti bisogni, che qui sembravano particolarmente acerbi, ed erano caratterizzati dai penosi fenomeni della miseria, della disoccupazione, della massa dei ragazzi — gli sciuscià — randagi per le strade. Fu allora che Ci vedemmo circondati da un folto gruppo di giovanotti, che subito si strinsero d’intorno a Noi e a quelli che Ci accompagnavano; e quei giovanotti si misero a implorare: «Ci faccia lavorare! Ci dia un lavoro!». Era una pena: come provvedere, in quelle condizioni, a così elementare e legittima esigenza? Chiedemmo loro, tanto per cercare una soluzione positiva: «Che cosa sapete fare?». Risposero quei giovani: «Tutto! Cioè nulla!». Nulla: non avevano alcuna preparazione, nessuna capacità, nessuna «qualificazione», come ora si dice. E naturalmente non fu possibile soddisfare quella loro commovente e straziante domanda, se non con insufficienti rimedi e indicazioni. Noi portammo sempre nel cuore l’immagine di quella. scena, con l’umiliazione di non aver allora potuto offrire l’onesto, il nobile soccorso a Noi domandato, il lavoro; e con l’afflizione sempre cocente di aver incontrato giovani, pieni di forza e di buona volontà, mortificati dalla loro imperizia, che li escludeva dall’inserimento nel sistema produttivo e nell’ordine economico indispensabile per vivere.

Ebbene quell’amarezza trova oggi, trova qui, per Noi finalmente una consolazione. Quest’opera sembra una risposta, tardiva, ma sempre tempestiva e quanto mai provvida ed efficace, a quella domanda dei giovani avviliti e disoccupati, per farne giovani allegri, laboriosi e fiduciosi. Noi perciò la benediciamo di cuore.

INCONTRO CON LE RAPPRESENTANZE DEI GRUPPI DI LAVORO IN AFRICA

Lunedì, 3 gennaio 1966

Siamo molto lieti di ricevere questa udienza, tanto numerosa e tanto significativa, innanzi tutto perché essa Ci offre grata occasione d’incontrare persone a Noi ben note e da Noi sempre cordialmente ricordate, che tengono in Noi viva la memoria del Nostro viaggio in Africa, nei mesi di luglio ed agosto del 1962, a Kariba e a Chirindu, nella Rhodesia, ed a Akosombo nel Ghana. Siamo lieti di porgere a queste persone il Nostro particolare saluto: all’Ing. Giuseppe Lodigiani specialmente, che Ci fu per buona parte compagno di viaggio e che Ci dette modo di dare al Nostro viaggio, non solo un interesse turistico d’eccezionale rilievo, ma anche un valore missionario al quale quella Nostra escursione africana principalmente mirava; a lui, alla sua famiglia, ai suoi collaboratori, e poi a tutte le maestranze, che vediamo qui così largamente rappresentate, la Nostra affettuosa e rispettosa riconoscenza per quegli incontri africani e per questo incontro vaticano.

Non possiamo tacere il nome del caro e reverendo don Giuseppe Betta, Cappellano prima a Kariba e poi ad Akosombo; è a lui che dobbiamo l’assistenza agli Imprenditori ed agli Operai delle due gigantesche dighe, quella sullo Zambesi e quella sul Volta; a lui, assecondato ed aiutato

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dall’Impresa costruttrice, dobbiamo le due belle Cappelle da Noi visitate, l’una e l’altra focolari di incontri spirituali e di assistenza religiosa ben degni del Nostro encomio e della Nostra riconoscenza. Noi siamo lieti che quei due piccoli focolari non si siano spenti con la fine dei lavori, ma che siano rimasti accesi e che si vadano trasformando e sviluppando in stazioni missionarie provvidenziali e piene fin d’ora di grandi meriti e di grandi promesse. Non sarà piccolo merito per le Imprese costruttrici delle ciclopiche dighe l’aver favorito in tal modo l’assistenza religiosa dei gruppi di lavoro impegnati nelle lunghe e difficili imprese e l’aver lasciato a ricordo dei Morti durante l’esecuzione dei lavori e dei Vivi, che hanno avuto il genio e l’ardimento di portarli a termine, tali segni di cristiana e civile metà.

Profittiamo perciò di questo incontro per esprimere la Nostra lode e la Nostra ammirazione per quelle difficilissime e grandiose costruzioni. Esse sono l’espressione monumentale e commovente del lavoro pesante e organizzato moderno, che studia e scopre le immense risorse della natura, sfida difficoltà sempre credute insuperabili, lotta con tenacia, con astuzia, con energia contro gli ostacoli della materia, ne asseconda abilmente le leggi e le domina piegando le loro forze cieche e nemiche a fedele ed utile servizio dell’uomo, per produrre altro lavoro ed altre imprese, finché estratto dal seno della terra, che finalmente si mostra materna e prodiga, quel pane - beni, ricchezze, energie - che sazierà la fame, la prima fame dell’uomo, darà alla sua vita possibilità di sviluppo e di godimento, e - cosa mirabile - ne sveglierà altra fame, altro bisogno di pienezza e di elevazione, che solo un altro Pane, quello che non sorge dalla terra resa feconda, ma discende gratuito dal cielo, la Parola di Dio, il Pane della vita eterna, che solo Cristo ci dà, potrà finalmente saziare. È la meditazione della civiltà industriale moderna, che s’impone con voce dolorante dapprima, trionfale poi, davanti alla mole delle vostre opere conquistatrici e dominatrici; è la potenza e la dignità del lavoro umano che esse obbligano ad ammirare; è la speranza d’una redenzione temporale, economica e civile, che scaturisce da imprese così vittoriose e trasformatrici delle condizioni sociali; ed è anche il timore che l’uomo inebbriato dei suoi risultati arresti il suo cammino verso la vera vita a codesto stupendo, ma intermedio livello; ed è infine la consolazione di aver incontrato Cristo curvo con voi al lavoro, che Ci ha riempito di ammirazione e di gaudio. Vi dobbiamo queste confidenze anche per il legittimo orgoglio, che allora Ci era concesso, come Arcivescovo di Milano, di vedere ciò che può e ciò che vale il lavoro italiano; ve le dobbiamo anche per la grande affezione che portiamo, ora più che mai, a quelle popolazioni africane, alle quali le sorgenti di progresso e di benessere, da voi fatte scaturire nella loro terra, voi non volevate fossero precluse ad esclusivo vantaggio di chi con la civiltà deve non solo per sé, ma per tutti recare pienezza di diritti, e con i beni temporali non solo per sé, ma per quanti ne hanno desiderio e bisogno deve saper offrire i beni superiori della libertà, della cultura, della giustizia sociale e della fratellanza cristiana.

Voi aprite il Nostro spirito a considerazioni gravi ed a speranze liete; ve ne siamo molto obbligati. E perciò ancora vi ringraziamo della vostra visita; auguriamo nuovi incrementi alle vostre imprese; incoraggiamo il buono spirito di cameratismo e di collaborazione ordinata e fraterna, che Ci è parso notare nei vostri cantieri; mandiamo un saluto ai vostri compagni di lavoro lontani; diamo un pensiero affettuoso per le vostre rispettive famiglie; e nel Nome di quel Cristo che indegnamente rappresentiamo, tutti di cuore, vi benediciamo.

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DISCORSO ALL’UNIONE CRISTIANA IMPRENDITORI E DIRIGENTI

Lunedì, 7 febbraio 1966

Illustri e cari Signori!

Da più di vent’anni la vostra Rivista, dal titolo lapidario «Operare», offre ai Soci dell’Unione Cristiana degli Imprenditori e dei Dirigenti pagine d’informazione sociale, ricche di pensieri, di notizie, di immagini, splendidamente presentate. Si deve al Gruppo Lombardo la sua origine, al compianto e valoroso Pio Bondioli la sua prima pubblicazione, al vostro Presidente nazionale Commendatore Lorenzo Valerio Bona da non pochi anni la sua presente direzione, condivisa e di fatto esercitata dal bravo Condirettore responsabile, il Dottor Vittorio Vaccari, Segretario Generale dell’Unione medesima.

Codesta pubblicazione rappresenta un successo notevole nel campo editoriale, se da più di quattro lustri si offre ai suoi lettori in così degna forma e in ritmo così regolare e perseverante. Ma nel campo ideale la Rivista «Operare» a maggior ragione si distingue, e merita che, come voi ne segnalate con giusta compiacenza la non breve, non facile e non vana esistenza, così Noi plaudiamo a codesta intelligente e generosa fatica, e le riconosciamo la insigne benemerenza di tener accesa fra i soci della Unione Cristiana degli Imprenditori e dei Dirigenti non solo la coscienza religiosa e morale delle loro singole persone, ma quella altresì che deve rischiarare di luce cristiana la sfera immensa, complessa ed agitata, della vita economico-sociale del nostro tempo.

Si direbbe facile il suo compito, tanto è oggi esuberante la vegetazione editoriale, sperimentale, culturale nel campo dell’economia e in quello della sociologia; i fattori, che sono alle sorgenti di codesti fenomeni tipici della vita contemporanea, e cioè la conquista scientifica della natura e l’applicazione utilitaria della conquista scientifica ai bisogni e ai desideri dell’uomo, cioè la tecnica, cioè l’industria, riempiono talmente di sé le scuole, i giornali, le riviste, i libri, i laboratori, da concedersi alla conoscenza di tutti, e da assorbire l’attenzione dell’uomo moderno in tal modo da non lasciargli quasi possibilità per altri interessi e per altri pensieri, fossero pur quelli incombenti e, alla fine, inevitabili del suo vero essere e del suo supremo destino. Tutto è ridotto in termini scientifici; poi tutto è studiato in ordine al dominio e all’impiego che la scoperta scientifica consente di fare a vantaggio dell’uomo; e delineata questa signoria tecnica sulle cose e le leggi scoperte, ecco l’organizzazione industriale, sistematica, strutturata, calcolata in ordine ad una prima e naturale finalità, la produzione; donde la prima grande trasformazione del quadro tradizionale della vita, la trasformazione economica, cioè la disponibilità di ricchezze nuove che invadono la circolazione economica preesistente, quasi dappertutto modesta, stentata e caratterizzata da grandi disuguaglianze di distribuzione; donde ancora l’altra trasformazione, che ancora ci assale e ci conturba, quella sociale; voi la conoscete, perché ne siete stati i promotori principali; avete messo in azione le macchine; queste hanno cambiato non solo le forme abituali del lavoro, rurali e manuali principalmente, ma la mentalità del lavoratore, il suo genere di vita, la sua modesta, ma formidabile psicologia, la sua coscienza di membro d’una società regolata fino allora da schemi immobili e destinata ad evolversi non tanto secondo le antiche categorie ereditarie del censo e della cultura, ma secondo quelle, in via di formazione, delle funzioni da ciascuno assunte nel complesso ciclo dell’economia sociale.

Queste elementari nozioni sono alla conoscenza di tutti. Esse poi si arricchiscono e si complicano con una serie di altre informazioni complementari: storiche, statistiche, comparative, organizzative, amministrative, commerciali, politiche, che dànno pascolo a studi, a discussioni, a pubblicazioni,

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senza fine. Ecco perché dicevamo non sembrare difficile interloquire, con una bella Rivista, nel concerto, nel frastuono, delle tante voci che parlano di economia e di sociologia.

Ma voi subito osservate che facile non è. Ed avete ragione: parlare bene di fatti, sì, alla portata di tutti, ma in se stessi e nelle loro conseguenze complicatissimi, non è facile; possiamo anzi dire ch’è più difficile dire cose esatte, semplici, utili, decisive in un campo intricato e arruffato da mille opinioni e da mille fenomeni, che non in un altro più tranquillo, già esplorato e classificato. La serietà della vostra Rivista ha degnamente superato questa prima difficoltà: l’ha superata con la competenza dei suoi collaboratori, con la pazienza della sua ricerca in ogni aspetto della realtà considerata, con la sincerità delle sue opinioni, con la moderazione delle sue affermazioni, con l’ampiezza delle sue visuali. Non saremo Noi soli a farvi l’elogio per codesti pregi qualitativi della vostra Rivista, ma potrete avere facilmente, Noi pensiamo, quello del mondo della cultura e quello del vostro ambiente specifico, quello imprenditoriale.

Ma ben altra costante difficoltà si presenta alla vostra Rivista, e possiamo pur dire alla vostra Unione, alla vostra attività, alla vostra affermazione di Imprenditori e di Dirigenti Cristiani; la difficoltà di porre in evidenza cotesto carattere morale e religioso del vostro pensiero e della vostra azione, in un campo, come il vostro, che sembra di natura sua refrattario a qualificazioni etiche e spirituali: che cosa c’entrano, pare doversi dire, la moralità e la religione con l’organizzazione industriale e aziendale? E a questo riguardo voi avete tenuto fede alla vostra concezione cristiana della vita, concezione che può dirsi estranea alla sfera delle cose temporali, ma che non è mai estranea a qualsiasi sfera dove l’uomo viva, lavori, pensi, soffra e speri. È anzi cotesto l’aspetto originale della vostra affermazione sia organizzativa, che culturale. È il titolo della vostra saggezza, meritevole di riconoscimento non solo da chi, come Noi, guarda la scena della vostra attività con occhio pastorale, ma altresì da chi lo osserva oggettivamente nelle sue lineari manifestazioni. Nota acutamente, in Francia, uno dei vostri: «Il disorientamento attuale dei capi di impresa riflette una omissione di carattere “strategico” nella categoria, che data dall’inizio dello sviluppo industriale: la rinuncia ad elaborare idee fondamentali e premesse ideologiche capaci di giustificare il proprio comportamento nella vita sociale... Gli imprenditori non si sono resi conto del fatto che le idee hanno un peso politico ed economico, sia per se stesse, sia in quanto, in regime di suffragio universale, condizionano gli atteggiamenti delle masse e diventano uno dei fattori dominanti dell’organizzazione economica . . .» (L. de Rosen). Non così voi: in virtù della vostra adesione alla concezione cristiana della vita e agli insegnamenti, che i Nostri Predecessori hanno largamente prodigato circa gli sviluppi della società moderna, voi avete compreso come un’attività generatrice di nuovi rapporti umani e di nuovi fenomeni sociali, qual è quella dell’impresa industriale, doveva essere illuminata da una sicura dottrina su l’uomo e sulla società, la dottrina sociale cristiana, e doveva in essa trovare le ragioni atte a giustificare e a promuovere quell’ordine nuovo della società moderna, che né il solo automatismo del gioco economico, né la sola lotta degli interessi di classe valgono a fondare.

Avete perciò osato affrontare un compito altrettanto nobile, quanto ingrato: quello di iniziare la formazione della categoria dirigente delle imprese produttive secondo la dottrina sociale cristiana; nobile, diciamo, perché tale compito tende a fornire alla società i capi, di cui essa oggi ha bisogno, capi che alla preparazione professionale sappiano congiungere quella rettitudine morale, quella sensibilità umana, quella speranza spirituale, che facciano della loro attività un esempio, della loro funzione un servizio, del loro successo un contributo al bene comune; e ingrato, diciamo, perché il richiamo alla necessità ed al primato dei valori dello spirito richiede tanto maggiore sforzo quanto più immediata e più forte è la suggestione dei valori temporali, estremamente fecondi e attraenti nel regno dell’economia, in cui la vostra professione vi colloca. Ma avete osato; e tanto basta perché Noi incoraggiamo cotesto generoso tentativo, e auspichiamo ch’esso sia coraggiosamente diretto verso le giovani leve della dirigenza imprenditoriale. Dovete suscitare e formare una nuova

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generazione di capi di aziende e di imprese, ai quali si possa riconoscere con piena ragione il titolo di cristiani, titolo che Noi crediamo equipollente, a livello terreno, a quello di ottimi capi.

Forse il momento è favorevole a questa fioritura di giovani dirigenti, ai quali l’essere cristiani non sia né peso, né rimprovero, ma sia impegno ed energia interiore ad una pienezza di integrità morale, di competenza, di dedizione, di apertura sociale, e sia fierezza di nuova e incomparabile testimonianza di fede, di carattere, di umanità. Favorevole perché a Noi sembra che di tali giovani, disponibili alla vocazione cristiana di capi nel mondo del lavoro organizzato moderno, vi sia buon numero oggi quando da ogni parte si vanno reclutando i migliori alunni della scuola superiore a ciò predisposti e quando lo smarrimento delle ideologie fino a ieri direttrici di tanta parte della pubblica opinione si fa maggiormente sentire.

Ed è favorevole anche per un altro motivo, che meriterebbe da solo un lungo discorso: la Chiesa è vicina anche a voi, Imprenditori e Dirigenti, non già per far scudo a se stessa della vostra potenza e della vostra ricchezza (ché anzi sapete come non sia mutato il suo linguaggio a tale proposito), ma per riconoscere nel suo complesso come buona, come avente valore in se stessa, come derivata da un disegno di Dio e a quello riferibile, la civiltà del lavoro, che anche per il vostro apporto si va sviluppando e perfezionando, e per confortare con parole, non già di adulazione, ma di incitamento la funzione indispensabile e, sotto certi aspetti, incomparabile, che a voi spetta in seno a detta civiltà, come ideatori del continuo rinnovamento di cui essa si alimenta, come propulsori delle forze economiche, come organizzatori dei complessi industriali, dove strumenti meccanici e braccia umane si coordinano e si potenziano a vicenda, e come consultori qualificati della vita sociale e politica, come promotori e mecenati delle moderne opere della cultura e della pubblica assistenza, e come testimoni di quanto di realizzare sia capace la libertà d’iniziativa, di rischio, d’amministrazione, equilibrata e integrata dall’attività dello Stato, guidata dai principii superiori d’un cristianesimo vivo.

È la dottrina del Concilio ecumenico che suggerisce apprezzamenti e voti come questi. E Noi siamo lieti di farvene saggio in questo incontro, nella fiducia che esso rinvigorisca a nuova fecondità di pensiero e di azione la vostra Unione, che ora nelle vostre persone siamo lieti di tutta salutare e benedire.

VISITA AI CANTIERI EDILI DI PIETRALATA

Mercoledì, 9 febbraio 1966

Devo esprimere anzitutto un ringraziamento. Sono molto lieto di questo incontro, come vedo che lo siete voi; e questa comune letizia deve appunto trasformarsi in espressione di gratitudine: a chi ha fatto l’invito cortese, di venire a visitare e a benedire le nuove costruzioni del Quartiere di Pietralata, cioè al Presidente dell’Istituto autonomo per le Case Popolari della Provincia di Roma, il Comm. Scognamiglio. Conoscendo quanto egli si occupi dell’opera, che gli è stata affidata, debbo veramente compiacermi con lui di fronte a voi tutti, per questa bella realizzazione, e specialmente per l’animo con cui serve il nobile scopo di dare casa, lavoro e tranquillità agli abitanti della Provincia.

Così debbo ringraziare tutti coloro che collaborano e hanno merito in questa impresa; e tutti voi, cari operai, per l’accoglienza che mi avete riservata, per il vostro numero, veramente consolante:

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certamente, se avessi trovato in cantiere poca gente, sarebbe stata minore la mia soddisfazione, mentre, trovare molti in una volta sola, è per me cagione di profonda letizia. Grazie ancora per le vostre parole, grazie per i doni che mi avete fatti con tanta bontà e cortesia, indicando con quale animo mi abbiate voluto ricevere: e questi doni, strumenti del vostro lavoro, li terrò assai cari per vostro ricordo.

IL COMPIACIMENTO DEL PAPA

In secondo luogo debbo esprimere il mio particolare compiacimento: all’Istituto delle Case Popolari, per l’opera altamente sociale e benefica, che esso svolge; alle Autorità e agli Istituti governativi, che presiedono a queste grandi cose: al Signor Ministro, ai collaboratori e promotori; a tutti gli altri, poi, come agli ingegneri, uno dei quali ha preso la parola; ebbene - sono certo, che vi associerete a questo mio pensiero - esprimo tutta la mia ammirazione per la grandiosità e la bellezza dell’iniziativa, per l’armonia che già dà all’occhio il piacere di contemplare una città nuova. Ma particolarmente con voi debbo felicitarmi, con voi che avete costruito queste case: tecnici e costruttori, maestranze e manovalanze, quanti avete insieme prestato la vostra opera nei vari settori del lavoro edilizio.

Costruire una casa non è facile, perché presenta tante complicazioni, tanti servizi che impegnano una quantità di categorie di lavoratori.

Quindi io sono proprio lieto di compiacermi con tutti, perché dal concerto delle loro fatiche, e dal sommarsi di tutti i disegni, di tutti i progetti, di tutti i finanziamenti, risulta una cosa veramente bella e benefica e moderna, quella di cui la nostra società ha tanto bisogno. E al compiacimento dovrei aggiungere l’auspicio che di queste opere Roma possa circondarsi; e che tutte quelle povere casupole, sorte specialmente dopo la guerra per opera di tutta la gente affluita nella Capitale, che si è costruita delle abitazioni misere e insufficienti, possano scomparire e la città, invece di essere circondata da un anello di case inabitabili, sia cinta da questa città nuova che fa vedere come il popolo italiano sappia davvero progredire sulla via delle belle novità e sappia dare alla sua gente le abitazioni di cui ha bisogno per la sua vita buona, sana, onesta. Con la casa sufficiente, pulita, comoda, accogliente, cambiano idee e sentimenti, si forma un nuovo senso sociale, una nuova sensibilità morale.

Fra questa cinta di case sorgerà pure presto la chiesa? Me lo auguro di cuore; e in auspicio di tale soave speranza, desidero che fra i doni che mi avete fatti, quelli religiosi come il calice e l’ostensorio siano destinati fin d’ora alla chiesa che sorgerà e che deve completare questa piccola città, la quale deve avere il suo cuore, il suo centro nella chiesa che costruiremo; in modo che possiate sempre vederli a ricordo di questo nostro incontro.

«PERCHÉ SONO VENUTO? . . .»

E questo pensiero che si rivolge alla chiesa mi suggerisce una riflessione che confido a voi, che più che un discorso è una domanda: perché sono venuto? per quale ragione?

Devo dire subito che questa mia venuta non nasconde alcun interesse; io non sono membro di nessuna società, non ho nessun beneficio e nessuna mira, direi, d’indole economica, materiale. Le mie ragioni sono d’altro ordine, diverse; voi potrete forse indovinare alcuni dei motivi che qui mi spingono. Ma sono due principalmente le circostanze, che - oltre l’invito - mi hanno spinto a venire qui fra voi. Una è il Concilio: avete inteso parlare del Concilio? Ebbene, è proprio il Concilio che mi manda, perché questa grande adunanza dei Vescovi di tutto il mondo si è molto occupata di voi, del lavoro, del popolo, dei bisogni sociali, del progresso, di questa fatica umana che deve essere

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considerata, valorizzata; e ci sono appunto pagine scritte dal Concilio che vi riguardano e sono in vostro favore, sono per voi, per il vostro onore, per la vostra libertà, per il vostro progresso, per tutto quello che potete legittimamente e umanamente desiderare.

Ve ne parleremo. E poi c’è un’altra ragione succedanea al Concilio, e cioè il Giubileo, che lo ha seguito: è la Chiesa che apre le braccia ai figli e dice: celebriamo questa novità, questo proposito di rinnovare cristianamente le nostre vite; vogliamoci bene, cerchiamo di riconciliarci con Dio, preghiamo insieme e promettiamo di essere bravi e buoni.

LA CHIESA È VICINA AI LAVORATORI

Però né l’una né l’altra ragione sarebbero forse state sufficienti per muovere i miei passi per venire qua; la vera ragione è questa: mi preme di farvi sapere, di farvi vedere che la Chiesa vi è vicina. Osservate, io credo che è la prima volta che il Papa entri in un cantiere di lavoro.

I Papi sono andati tante volte a vedere i lavoro finiti, a inaugurarli; così mi ricordo di aver visto una immagine, una delle prime fotografie del secolo scorso, in cui si vede Pio IX in visita al primo tronco ferroviario, costruito nei suoi Stati; ma allora il Papa era anche Sovrano temporale, civile. Molte volte i Papi si interessarono dei problemi del lavoro; moltissime volte ricevettero le schiere di lavoratori, da quelle guidate da Léon Harmel fino alle nostre ACLI. Il Papa parlò, accolse, beneficò, benedisse; ma, al tempo nostro almeno, non aveva mai visitato non solo i lavori in corso, ma i Lavoratori sul lavoro. È un primato che mi commuove, come quando sono stato per la prima volta in Palestina, in India, e per la prima volta in mezzo al concerto delle Nazioni; allo stesso modo per la prima volta ho voluto ora venire in mezzo a voi, in mezzo al mondo del lavoro, non soltanto alle opere del lavoro, ma a quelli che le creano, che le costruiscono, cioè agli operai, ai lavoratori, a coloro dalle cui mani, dalla cui fatica, dalla cui sapienza sorgono queste opere nuove.

Sono venuto per onorare il lavoro moderno: questa è una delle ragioni. Ma voi mi potreste ancora chiedere: ma perché questo? Non conosce il Papa i lavoratori? Certo che li conosco! I miei Predececsori, l’avete sentito anche voi spiegare tante volte, hanno scritto dei bellissimi documenti proprio per le classi lavoratrici. Avete sentito parlare della Rerum Novarum, della Mater et

Magistra, di queste encicliche, cioè di questi grandi documenti pontifici che sono la magna charta, i grandi statuti che dovrebbero guidare le vie ascensionali del lavoro moderno. Quindi i Papi non sono mai stati estranei ai problemi del lavoro; e poi ricevono anche pellegrinaggi di lavoratori. Ogni settimana ho dei gruppi che vengono a trovarmi. Pure questa mattina, all’udienza generale, ci sono stati diversi lavoratori. Ma sono gruppi, sono nuclei di lavoratori che si fanno avanti da sé e il Papa li accoglie. Ma sono tutti? Questo mondo del lavoro è così ristretto, come sono relativamente ristrette le folle che vengono a trovarmi, o non è il mondo del lavoro grande, grande come un mare, fino a coprire quasi tutta l’area della nostra società? Io pongo uno dei problemi più semplici, ma anche più gravi - lo potete ben comprendere - del mondo moderno, che costituisce la storia di tutti questi ultimi anni, dal secolo scorso fino adesso: che cosa è successo? È successo che il mondo del lavoro non va più verso la religione, verso la fede, verso la Chiesa; anzi, lo avrete sentito anche voi, lo provate forse anche voi, nelle vostre coscienze, nei vostri circoli, nelle vostre riunioni, c’è quasi un senso di distacco, di diffidenza: l’operaio moderno sente di essere fuori, di essere estraneo, quando non sia addirittura nemico; non c’è più questa simpatia, questa convivenza, questa trasfusione di esperienze vitali che venivano dalla Chiesa al mondo del lavoro e dal mondo del lavoro risalivano verso la Chiesa.

Il popolo d’una volta - lo sapete bene anche voi, se venite dalle campagne - alla Chiesa invece ci va volentieri; ma nel mondo del lavoro moderno si è prodotta questa scissione: Pio XI ha parlato perfino di apostasia del mondo del lavoro.

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Sarebbe un discorso molto lungo, ma io non lo faccio. Vi lascio invece una domanda: se siete intelligenti, se siete bravi, ponetevi voi, da voi stessi, questa domanda: perché non sentiamo più il bisogno di Cristo, perché non sentiamo più il bisogno di una osservanza religiosa, perché abbiamo tanta diffidenza e forse tanta antipatia per tutto il mondo della Chiesa, della religione e così via? Perché questa frattura? Cioè, perché non venite più voi, a trovare me? E se riflettete, nel silenzio delle vostre coscienze troverete tanto tanto da pensare, da giudicare, sul nostro mondo. Ma capirete almeno questo: il perché io sono venuto, che è molto semplice: perché voi non venite da me, io vengo da voi.

«. . . SONO VENUTO A CERCARVI . . .»

Sono venuto proprio a cercarvi, e quello che avviene adesso in questo bellissimo e grande quadro, non dev’essere che un piccolo simbolo. Io vengo a voi, e vedo in voi i rappresentanti di tutta l’immensa folla umana del mondo del lavoro; io vengo a cercarvi, per dirvi che la Chiesa vi è vicina, che noi vi comprendiamo, che noi vi amiamo, che siamo vostri amici. E non c’è nessuna ragione per dubitare di questo. Perché vorreste dubitarne? Che cosa abbiamo fatto contro di voi? Avete qualche cosa da obiettarci? Desiderate qualche cosa da noi? Perché non abbiamo altro desiderio che di soddisfare le vostre necessità, di elevare le vostre condizioni, di conoscere le vostre sofferenze, di scusare anche certe vostre intemperanze, certe vostre manifestazioni.

Non abbiamo che buoni sentimenti. Per me, venire tra voi, credete che sia stata una cosa difficile? È stata invece una gioia, io sono contentissimo, io vorrei venirci tutti i giorni e non solo in questo cantiere, ma, se avessi tempo, e se il Signore mi desse forza e facoltà di farlo, andrei a trovare tutti, ad uno ad uno, le vostre case, le vostre famiglie, i vostri figli. Nessuna ragione mi separa da voi, anzi verso di voi mi attrae una grande simpatia, un grande amore, una grande carità. E quello che voi tante volte credete che vi renda meno presentabili - vi conosco, sapete? - vi rende ancora più cari. Tante volte andando a Milano nelle officine tendevo la mano ai lavoratori, muratori o meccanici; se si tiravano indietro pensando che la loro mano non fosse presentabile, allora dicevo loro paternamente: «Ma dà qui la mano, che siamo amici!».

E quello che si dice della mano si può dire dei pensieri, e della vostra anima. Sappiamo comprendervi, sappiamo conoscervi, sappiamo scusare tante cose che sarebbero da correggere e che non sono approvabili; ma siccome vi vogliamo bene, tutto questo per noi è superabile.

E dirò ancora - in questo spero che voi mi comprendiate - l’ultima ragione per cui sono qui: è perché io sono il rappresentante del Signore, sono ministro suo, sono mandato, sono stato incaricato per una via che adesso non consideriamo, ma sono missionario, sono inviato per essere in mezzo agli uomini.

LA MISSIONE DEL PASTORE

Posso stare a casa mia? Posso dire: io sto alla finestra per vedere se capitano, a piazza San Pietro, questi operai, questi uomini della scienza, della tecnica, del mondo moderno? Sì, vengono molti. Ma gli altri? E se vedo che la grande moltitudine è lontana, e questa moltitudine - è forse quella di coloro che soffrono di più, che hanno più bisogno, che hanno più problemi interni, più angustie - non viene, non è mio dovere venire a trovarli? Non è mia missione, non è mio ministero venire in cerca di voi? Io non posso, figliuoli miei, io che sono rappresentante e successore del Pastore divino che va a cercare le sue pecorelle, non posso stare tranquillo, finché non sono venuto a contatto con voi per potervi dire che vi voglio bene, che non ho niente da chiedervi; avrei tutto da darvi, le mie parole, la mia cultura, voglio dire la verità di cui sono depositario, la bellezza della vita cristiana, la gioia di essere tra uomini, i quali hanno una speranza che oltrepassa il livello misero e breve di

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questa vita mortale. Io ho questa luce nelle mani e non verrò a portarvela? Voi ne avete il diritto e il bisogno. È purtroppo vero che qualcuno non ve lo riconosce, questo diritto, e dice, ad esempio, che basta ricevere la propria paga. No, figliuoli miei, la paga non basta, voi dovete ricevere qualche cosa di più. Come avete diritto alla scuola, alla farmacia, ai divertimenti, così avete diritto alla religione. Non siete uomini? Non siete anime? Non siete cristiani? Avete un’anima, e a questa chi penserà? Chi darà le parole vivificanti per il vostro spirito? Chi vi dirà: figliuoli miei, siete figli di Dio, siete esseri immortali, avete diritto alla libertà, alla giustizia, all’amore, alla verità che vi faccia vivere veramente da uomini, da figli di Dio?

E perché voi avete diritto alla parola che io porto e io ho il dovere di portarvela, ci siamo incontrati.

Vogliamo fare che questo incontro non sia l’ultimo, che non. si dica: è venuto il Papa e tutto è finito? No, bisogna che noi stabiliamo una corrente di buoni rapporti, di amicizia. Vi manderò i miei sacerdoti, i miei religiosi, per assistervi, non per imporvi niente, non per darvi fastidio. Chi vuole essere buon cristiano, chi vuole essere credente, chi vuol dare una speranza e una dignità alla propria vita, ha possibilità di accogliere questa parola e questa grazia, che il Signore ha lasciato al destino umano. Noi lo faremo, rispondete, ed ecco che allora faremo amicizia, ecco che allora il mondo del lavoro non sarà più quello triste, angosciato, attraversato da tante passioni, che lo rendono infelice, anche se è così grande e così degno di essere assistito ed amato.

Che possa essere un mondo sereno, forte, sano, tranquillo, cristiano e felice, come vi auguro. Che in voi rinasca la fiducia nella Chiesa, come in me l’amore per tutto il mondo moderno del lavoro. Ecco il mio voto, ecco la mia Benedizione Apostolica, che tutti vi abbraccia in Dio, insieme alle vostre dilette famiglie.

VISITA ALLA CENTRALE DEI SERVIZI PER LA NETTEZZA URBANA

Martedì, 15 febbraio 1966

Innanzi tutto il Santo Padre vuole rivolgere ai carissimi figli un saluto, diretto in primo luogo al Sindaco, primo Magistrato della Città, quegli che tutta la rappresenta, l’amministra e con la sua presenza conferma l’incontro che la città stessa intende fare col Papa.

Grazie anche all’Assessore che presiede il servizio della Nettezza Urbana. Egli, con le sue parole, ha illustrato un’organizzazione grande e sviluppata, sì che il Santo Padre è lieto dell’occasione per compiacersi del progresso dell’importante servizio nella città di Roma, sempre più perfezionato, ora, mediante macchine ed altre innovazioni, tutte cooperanti a vero progresso igienico e civile.

Il Papa ne è lieto anche perché vuole molto bene ai cari figliuoli addetti alla Nettezza Urbana e il sapere che essi impiegano strumenti moderni, più efficaci, che alleviano la fatica, Gli dà consolazione.

Egli poi ringrazia chi ha parlato per primo, e cioè l’interprete, il portavoce di tutti i netturbini di Roma, ai quali ricambia il saluto. Le ragioni per cui il Papa si è recato a visitare tanto cari figliuoli sono molteplici. Il Santo Padre ha il dovere e il diritto di far ciò ma una circostanza speciale ha affrettato la sua visita: poiché, come ha già avuto occasione di dire anche pochi giorni or sono, il

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Concilio si è premurato di inviare un messaggio a tutti i lavoratori del mondo, ed ha incaricato i Vescovi di farsene interpreti.

Il Papa non ha soltanto il peso del Pontificato Romano, ma anche quello di Vescovo di Roma; ufficio, questo, che lo rende loro padre, amico, guida e pastore. Egli viene ad annunciare, perciò, quanto il Concilio ha detto ai lavoratori, e questo messaggio il Santo Padre l’ha voluto particolarmente portare personalmente fra quei suoi figli, perché così si troveranno in condizioni migliori per accoglierlo. Non è un messaggio nuovo. I più anziani lo avranno sentito tante volte dall’umile e buon sacerdote, che fu loro cappellano ed amico per tanti anni, Don Ariodante Brandi, il quale sempre con l’esempio e l’insegnamento ripeteva loro: guardate che il vostro lavoro è una cosa grande, degna, deve essere amato e rispettato: il Papa è sicuro che nell’animo di ognuno dei suoi ascoltatori non vi è disagio di sorta, ma la fierezza, la coscienza di compiere un servizio grande ed utile.

E il Papa è venuto, a nome di tutti i Vescovi del mondo e Suo, e per personale ufficio a dare un annunzio che bisognerebbe spiegare a lungo: la dignità del lavoro, il lavoro dell’uomo è cosa meritevole di illimitata stima, di grande considerazione e di un rispetto senza confini. Dicendo ciò il Papa non enuncia cosa nuova: nel mondo moderno non si fa che ripeterlo. La Costituzione Italiana nel primo articolo rende omaggio al lavoro come alla pietra fondamentale di questo Paese, rinato dopo la guerra e chiamato alla vita moderna e democratica: la Repubblica Italiana, vi si legge, è fondata sul lavoro; ciò significa che il lavoro è la cosa più importante, più degna, più normale tra le manifestazioni della vita.

La dignità di questo enunciato sta proprio nella coincidenza tra quello che il mondo odierno pensa, l’Italia proclama e la Chiesa riconosce. Ci sono, infatti, due voci che si uniscono in una voce sola per dire: il lavoro merita di essere conosciuto come realtà immensamente degna. Pertanto, se la dottrina della Chiesa coincide con la mentalità, con la professione più caratteristica della vita moderna, cade una delle obiezioni più diffuse, più frequenti, più attive che si sono manifestate: quella che sentenzia e vuol far credere che la Chiesa non è per i lavoratori, che la Chiesa sta con le classi più fortunate, che la Chiesa ignora il verbo dei tempi moderni, non conosce l’operaio, il lavoratore!

Non è vero, non è vero! Ed il Papa è venuto appunto per proclamare davanti a questi lavoratori, con tutta la forza ed anche l’autorità del suo magistero, la dignità del lavoro umano.

Inoltre: non solo il messaggio della Chiesa coincide con quello che esalta il lavoro moderno, ma il suo messaggio ha qualcosa di originale, di superiore a tutta la contemporanea glorificazione del lavoro: la quale sovente è parziale e circoscritta.

C’è, infatti, chi vede nel lavoro soltanto l’aspetto economico, strumentalizzandolo e rendendolo simile ad una macchina, togliendogli il valore personale, sfruttandolo.

C’è, d’altra parte, chi considera unicamente l’aspetto sociale, a tal punto esaltandolo, da mettere nel cuore tanti sentimenti eccitati che non sempre sono buoni, perché accendono lo sdegno, la collera, la vendetta, la rivoluzione: dunque non portano alla pace del mondo del lavoro né all’ordine che dovrebbe regnare nei vari settori della fatica umana. È un’esaltazione a volte deprimente quella che da taluni vien fatta dell’opera umana, quando poi non sia addirittura livellatrice, affermando che il lavoro non va oltre il raggiungimento dello stipendio e dei godimenti materiali. La Chiesa invece ha una sua visione originale del mondo del lavoro che lo rende ancor più degno, ancor più grande.

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L’occhio del Papa, Pastore e Rappresentante di Cristo, vede qui non solo dei netturbini, non solo della gente che maneggia gli umili strumenti del mestiere, non solo dei giovani e dei padri di famiglia. Il suo occhio scorge in essi qualcosa di più, ed il Santo Padre vorrebbe che ognuno di loro capisse come non c’è nessuno che abbia dell’uomo concetto più grande di quello posseduto e insegnato dalla Chiesa.

La Chiesa vede in ciascuno di loro, dal piccolo fanciullo che il Papa ha davanti, all’ultimo dei netturbini di Roma, un figlio di Dio. Io sono obbligato ad inchinarmi - aggiunge Sua Santità - dinanzi ad ogni creatura umana che porta impressa sulla fronte l’immagine di Dio. In ciascuno di loro il Papa deve guardare un figlio di Dio, un fratello, un candidato a vita superiore, alla vita eterna.

Con rispetto indicibile Egli viene in mezzo ai lavoratori e dichiara a ciascuno la sua nobiltà, la sua vocazione alla grandezza, alla dignità, alla bellezza della vita umana, al suo destino trascendente ed eterno. Per questo quando si afferma la dignità del lavoro con voce cristiana, si lancia uno squillante grido di vittoria e di salvezza.

Pertanto, nel lavoro di quei diletti figli, a motivo della sua stessa missione, il Papa non soltanto considera, come farebbe un profano, il lato esteriore, materiale, ma l’utilità, il servizio, l’aspetto sociale. Pur esso è molto stimato dalla Chiesa. Che cosa sarebbe, infatti, la società, se non vi fossero i servizi più semplici e più modesti e faticosi, se non vi fossero i minatori, i soldati, i netturbini? Come sarebbe la nostra città? Per quali caratteristiche - il Santo Padre lo domanda anche al Sindaco - una città può dirsi civile? Non è forse quando è bella e pulita?

Il Papa riconosce quindi l’utilità del servizio civico e sociale di quanti lo ascoltano: lo esalta, lo onora e dice: bravi, coraggio, figliuoli, c’è chi vi stima molto!

Essi iniziano la loro fatica già nelle ore mattutine, quando le strade sono poco frequentate. Ma c’è un occhio che li vede, quello di Dio, del quale il Papa è il rappresentante e il messaggero. Iddio ha presenti la necessità, il carattere provvidenziale della loro opera, e il Santo Padre è venuto a darne loro testimonianza.

Come non rivivere qui, ad esempio, la bellezza dell’episodio evangelico allorché il Signore volle egli stesso curvarsi a lavare i piedi dei suoi discepoli? È un episodio di profondo senso sociale, che insegna ad onorare l’umiltà umana quando l’umiltà umana ha bisogno e merita di essere onorata.

Un altro aspetto dello stesso servizio non sfugge al Papa: la fatica, che è l’elemento ambiguo del lavoro. Essa, infatti, da una parte lo onora e dimostra l’apporto reale che le mani e i muscoli dell’uomo danno all’opera da compiere; dall’altra sembra indicare che il lavoro sia una pena, una cosa deprimente, nociva, e perciò lo si vorrebbe abolire.

Oggi, per fortuna, le macchine sono moltiplicate, sì da rendere più leggera e meno pesante la fatica fisica. Ma la macchina obbliga l’operaio a fare sempre lo stesso gesto, e la macchina ha bisogno di questa collaborazione umana, lieve forse come sforzo materiale, ma umiliante come peso morale. Ed ecco allora che lo sguardo cristiano sul lavoro considera anche questo aspetto.

Figliuoli e fratelli che soffrite per il vostro lavoro - dichiara il Santo Padre - sappiate che c’è Qualcuno che vi è stato collega: Nostro Signore Gesù Cristo volle essere anch’egli lavoratore; ha portato il peso della fatica fisica; le sue mani si sono incallite nel lavoro ed il suo stato sociale è disceso all’ultimo livello per dimostrarsi vostro collega, vostro compagno, vostro amico, vostro esempio. Il Signore inoltre ci ha insegnato che non è tanto la qualità del lavoro a rendere grande

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l’uomo, ma l’animo, le ragioni con cui è espletato. Esse trasfigurano la fatica umile e modesta rendendola immensamente grande e bella, degna davvero di riconoscimenti sia umani che trascendenti davanti allo sguardo di Dio.

Nella concezione cristiana del lavoro esiste quasi un rapporto direttamente proporzionale tra la durezza, l’umiltà dell’opera svolta e il suo valore di redenzione. Quanto più modesta, umile, sconosciuta e dimenticata appare una categoria agli uomini, tanto più, alla luce del cristianesimo, essa risulta degna d’essere chiamata al regno di Dio, ai premi superni. Il segreto consiste nell’affrontare il lavoro secondo lo spirito di Gesù, nel trasformarlo in una preghiera quotidiana. Ora la Chiesa appunto desidera aiutare questa incomparabile elevazione.

Sua Santità conclude rievocando per i carissimi ascoltatori le Beatitudini stabilite dal Redentore. Beati i poveri, beati coloro che piangono, beati coloro che soffrono, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati gli umili.

VISITA AD UN IMPORTANTE STABILIMENTO CHIMICO-FARMACEUTICO

Giovedì, 24 febbraio 1966

Il Santo Padre è lieto di incontrarsi con i diletti figli e ringraziarli della loro accoglienza. Ha desiderato di conoscerli, di prendere contatto con loro, e nel vederli così numerosi, così cordiali, sente una grande consolazione.

Vorrebbe che ognuno portasse nella sua vita il ricordo di essere stato personalmente salutato dal Papa, che è lì per loro e rivolge il Suo pensiero ad un complesso tanto imponente di lavoro e di comunità operosa.

Non credano che gli ecclesiastici vivano con gli occhi rivolti al passato, siano assenti alla nostra epoca e non la comprendano e non vogliano parteciparvi. Essi, invece, hanno gli occhi aperti, per ammirare i grandi complessi tecnici ed economici che assicurano la vita e il lavoro e poi, come è stato detto poco prima, lavorano non solo per sé, ma per produrre cose che vanno a beneficio della società e salvano tante esistenze umane; giacché nulla è più provvidenziale del farmaco per guarire malanni che altrimenti sarebbero fatali.

SEMPRE VIVO NELLA CHIESA L'AMORE AI LAVORATORI

Il Papa pertanto guarda con immensa simpatia al loro sforzo organizzato, scientifico, che tende a suscitare esteso bene per tutti.

Dovrebbe anche ricordare che ha conosciuto il conte Armenise, e proprio in un momento difficile della opera da lui svolta, verso la fine della guerra. Il conte si recò varie volte a trovarlo, e fu tanto buono da porre a disposizione Monte Cavo, che era di sua proprietà, dove, così, si svolse il Campo nazionale degli Scouts. E questo bastò perché il Papa avesse ammirazione per un uomo di così grande e geniale capacità lavorativa e di tanta bontà, tutto avendo in animo di rivolgere - oltre che per le sue imprese - a fare del bene agli altri, ed opere utili alla vita pubblica.

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Il Santo Padre sa che, tra le cose gentili previste, c’è una visita agli impianti. Egli non è qui competente e non si intende troppo di chimica, ma ne sa abbastanza per apprezzare, per compiacersi dello stabilimento che gareggia con tanti altri di Europa e del mondo.

Tuttavia, non è questa la vera ragione della visita. Il Papa è venuto, sì, perché ha trovato non solo le porte, e pur i cuori aperti, ma anche perché conosce la efficiente varietà delle maestranze.

Il reale motivo della sua presenza è che il Concilio, durato quattro anni con la partecipazione dei Vescovi di tutto il mondo - circa duemila e cinquecento - ha esaminato e discusso le cose della vita e della Chiesa, si è interessato dei lavoratori, dei fenomeni che riguardano l’esistenza; ha osservato, meditato e, in certo senso, sofferto guardando il panorama umano, la società, come adesso si attua e, in modo speciale, il fenomeno più notevole nella società moderna: il lavoro organizzato.

Dal lavoro artigianale od agricolo, personale, si è passati a sistemi di lavoro che interessano migliaia di persone innestate in grandi complessi, perché è sopravvenuto un elemento nuovo che prima mancava: la macchina, sostituitasi alle mani dell’uomo. Un secolo fa, ad esempio, l’Africa, eccettuata la zona vicina al Mediterraneo, non conosceva, nella maggioranza delle altre regioni, la ruota; e ciò significava non avere mezzi di trasporto, non avere strade, ed essere ancora a uno stadio di civiltà molto primitiva.

Ricordata l’importanza degli strumenti e degli attrezzi di lavoro, primo fra tutti l’aratro, il Papa illustra le conseguenze, e l’impulso, la spinta al progresso allorché alla macchina, prima manovrata dall’uomo, si poté applicare una energia; un risparmio ingente di fatica.

Ciò arreca grandi fenomeni, che di per sé sarebbero estranei non riguardando la Chiesa o la fede. Eppure il lavoro industriale tocca profondamente la psicologia dell’uomo, la sua mentalità, condizionata dall’ambiente in cui viviamo e dall’attività svolta.

LE TRASFORMAZIONI DELLE ATTIVITÀ UMANE

Ecco perché il Papa ha vivissimo interesse ai problemi del lavoro. Non solo i presenti risentono di questa condizione, ma tutta la popolazione dell’Italia e del mondo, si può dire, impegnata nel lavoro organizzato, scientifico, industriale, è, quindi, influenzata dalla macchina e dai fenomeni che la macchina produce.

Pertanto Colui che il Signore ha voluto fosse Maestro delle anime, Pastore dei popoli, Guida dei cristiani, è profondamente desideroso di sapere che cosa il lavoro produce nelle loro anime.

Il sorgere di uno stabilimento, di una centrale di lavoro, produce, come primo fenomeno, proprio la ricerca del lavoro. Il Santo Padre ricorda che, nel dopoguerra, allorché andava a portare qualche soccorso in zone depresse, più volte si incontrò con gente, con giovani che chiedevano ansiosamente lavoro, ma non erano preparati professionalmente.

Tanta gente ha lasciato i campi, la famiglia anche, per andare in città: la ricerca di lavoro, anzi, ha mosso milioni di persone, che si sono spostate, divenendo esuli, immigrati nelle grandi città ove non avevano conoscenze. Abbiamo assistito ed assistiamo al passaggio dalla società ove prevaleva il lavoro agricolo, all’altra, caratterizzata dal lavoro industriale. La Chiesa guarda con sollecitudine, con amore, e comprende; accompagna quanti cercano un tenore di esistenza più elevato; molto ha fatto per gli emigrati; e cerca sempre di seguirli e di proteggerli.

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Anche le donne passano in una nuova forma di vita, divengono direttamente responsabili in determinati settori, capaci di un lavoro diverso da quello domestico. La Chiesa fa il possibile per ridare una comunità all’operaio, all’operaia che ha lasciato la casa, la parrocchia, il paese, l’ambiente nativo, perché ci sia ancora qualcuno che accolga, conosca, sorregga, orienti.

Precedentemente il lavoro era basato sul contratto individuale e questa povera gente, che andava in mezzo alle folle della città, rimaneva tanto sola. Ora è diverso: ma sempre la Chiesa ha pianto su questi figli che ama, e fa tutto quello che può per ridare loro la casa spirituale, il tempio, le associazioni; apre loro le braccia, il cuore e desidera che nessuno si senta estraneo e forestiero nel nuovo ambiente.

ORGANIZZAZIONE MODERNA ED ESIGENZE SPIRITUALI D'OGNI TEMPO

Il lavoro moderno ha prodotto felicità?

La caratteristica saliente è che si è ingrandito, accentuato il fatto economico, come il salario, e gli aspetti sociali: la società si è suddivisa in classi, che non vanno d’accordo; l’attrito inasprisce e arroventa i rapporti tra gli uomini; e specialmente all’inizio del periodo industriale la lotta di classe è diventata comune, perché i rapporti di lavoro non erano regolati ed ancora non lo sono completamente.

«Vediamo - diceva Leone XIII - che la condizione di tanti operai è poco meno che una schiavitù»; da tale asprezza di rapporti è nato il proletariato. La Chiesa è stata calunniata, ma la verità è che essa, nelle sue sfere più autorizzate e rappresentative, ha guardato con cuore materno e si è avvicinata all’operaio che soffre ed ha riconosciuto legittimo il suo anelito per migliorare le sue condizioni, per adeguare il salario alle necessità familiari, per avere una casa, modesta ma decorosa. La Chiesa è alleata, è comprensiva di tutto questo impegno di elevazione sociale.

È quello che la Chiesa ha detto agli operai, invitandoli non a irose e sterili querimonie, che ritardano il progresso, ma a trattare; mentre agli imprenditori - tante volte il Papa ha avuto occasione di fare questo a Milano - ha ricordato che non basta il salario, ma che produttori e dirigenti devono mettersi a fianco dei lavoratori, e farsene non dei forzati, lontani strumenti, ma degli amici, dei collaboratori. Ecco l’ideale che la Chiesa ha sempre propugnato a vantaggio dell’economia generale e sociale. E questo processo di elevazione sociale ed economica la Chiesa lo rivendica per i lavoratori; ogni volta che c’è un’aspirazione legittima, onesta ed umana che deve essere accolta, essa lo proclama quale inalienabile diritto, e si pone vicina all’operaio.

«PIÙ STUDIO LA MATERIA, PIÙ TROVO LO SPIRITO»

C’è un altro fenomeno ancora: quali effetti sono prodotti dal lavoro industriale? Se l’uomo si mette a studiare, ad applicare le conquiste della sua scienza alle macchine, compie cose mirabili, e nasce in lui una grande soddisfazione di sé; così pensa di poter bastare a se stesso e che la ragione può essere soddisfatta dai risultati di una mentalità che potremmo definire matematica.

E tutto il resto potrebbe non esistere più; la vera filosofia della vita potrebbe essere la scienza; e allora si sente dire che la scienza è contro la fede.

La Chiesa dichiara di non aver prevenzioni contro la scienza; anzi, ha cercato sempre di favorirla e di stimolare il pensiero umano; la Religione Cristiana è sorgente di energie per pensare bene, per divenire coscienti, per capire le cose, per guardare che cosa veramente si deve conoscere e si deve fare.

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Ora, quando l’uomo dice che la scienza è tutto, la Chiesa risponde che la scienza è una scoperta perché a forza di osservare, di indagare finisce per scoprire, per vedere l’essenza delle cose e la loro reale natura. Un celebre scienziato affermava: più studio la materia più trovo lo spirito. Chi scruta nella materia vede che esistono delle leggi; questo mondo che sembrava opaco, inerte, è una meraviglia, e il Papa pensa che sarà proprio la scienza - che sembra allontanare le masse, gli uomini moderni, la gioventù da Dio - a ricondurli a Dio, allorché il mondo sarà veramente intelligente e dirà: io devo rendermi ragione di quanto vedo; non io ho creato questo: il mondo è creato da Uno che ha fatto piovere la sua sapienza su tutte le cose. E il Santo Padre cita Teilhard de Chardin, che ha dato una spiegazione dell’universo e, tra tante fantasie, tante cose inesatte, ha saputo leggere dentro le cose un principio intelligente che deve chiamarsi Iddio. La scienza stessa dunque obbliga ad essere religioso, e chi è intelligente deve inginocchiarsi e dire: qui c’è Dio. I lavoratori, perciò, che hanno dinanzi a sé aspetti meravigliosi e grandi del creato, si chiedono chi ha infuso un senso di superiore presenza. Sono chiamati per primi a questo colloquio gigantesco con l’universo, a leggerlo, a viverlo. Così un operaio modello saprà far sorgere dalle sue officine, dalle sue fatiche, dai suoi sudori, dalle sue speranze, un inno a Dio, il creatore e il padre di tutti. L’uomo si domanda perché si lavora, si ama, si muore: la scienza pone interrogativi, non dà risposte. Allora occorre un supplemento di sapienza: Dio che ha detto: io sono il Maestro, la Via, la Verità e la Vita, è quel Cristo del Vangelo che non è soffocato dal progresso, non è assente dai nostri dolori e dalle nostre aspirazioni. Egli ci aspetta, ci sente, ci parla e ci chiama: è nostro amico, nostro Redentore; ha santificato le lacrime umane, ha voluto bene ai fanciulli, ha perdonato ai peccatori, è stato operaio, e deve essere nostro esempio.

Il Santo Padre invita perciò tutti a cercare Cristo che ci ha amato e ha dato la vita per noi. Di Gesù ha portato un’immagine che esorta ad esser cristiani per esser felici.

L’Augusto Pontefice annunzia poi alcuni doni a ricordo della sua visita; il Crocifisso da conservare nell’ambiente di lavoro e, per ognuno dei presenti, un libretto composto dai loro colleghi; la pubblicazione su il Concilio e il mondo del lavoro; e una medaglia. Sua Santità conclude con una benedizione agli ascoltatori, alle famiglie, agli assenti, ai colleghi non soltanto in Roma ma in tutto il mondo e all’intera grande famiglia del lavoro, che benedice nel nome di Cristo.

FESTA DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO

OMELIA

Domenica, 1° maggio 1966

NEL QUADRO E NEI RIFLESSI DEL VANGELO

Eccoci a salutare il gruppo principale presente a questa celebrazione del primo maggio, festa del lavoro e dei Lavoratori, assurta, per disposizione del Papa Pio XII, di venerata memoria, Nostro grande predecessore e promotore di idee e di movimenti per la elevazione del popolo lavoratore, assurta a festa di San Giuseppe, artigiano e lavoratore lui pure, e in quale quadro e con quali riflessi! Il quadro del Vangelo, i riflessi, che attribuiscono a Cristo, a Cristo stesso, la sua qualifica sociale: «Figlio del fabbro» (Matth. 13, 55), la sua formazione umana, la sua professione economica, prima di quella messianica, quella anzi in funzione dispositiva e tipica di questa, a misteriosa e

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sconvolgente lezione sui valori, sulle virtù, sui requisiti preferenziali del regno messianico, offerto in primo luogo ai poveri, agli affaticati, agli umili, ai bisognosi di giustizia e di pace.

Salutiamo dunque, con tutti i Lavoratori presenti, il gruppo degli Aclisti romani, alla iniziativa dei quali dobbiamo questo religioso incontro. Li salutiamo di cuore, e diciamo loro la Nostra compiacenza per vederli così numerosi, così qualificati, così organizzati, così coscienti del titolo che li distingue, di Lavoratori cristiani. E profittiamo di questa occasione per assicurarli della Nostra affezione; per incoraggiare il loro movimento, che pensiamo sempre come provvida scuola di formazione al concetto cristiano del lavoro, e come fermento di coscienza morale e religiosa in seno alle varie categorie lavoratrici, a cui gli Aclisti appartengono; per dire loro la Nostra comprensione a riguardo delle difficoltà in cui si svolge la loro testimonianza cristiana, e dei problemi concreti, economici e professionali, che impegnano i vari settori operativi; per ringraziare i loro Assistenti ecclesiastici dell’amicizia che loro dimostrano e del ministero che loro dispensano; e per esortarli infine a perseverare con fedeltà e con fervore nella scelta generosa, da loro fatta, d’essere quelli che sono, Lavoratori cristiani.

STIMA E INTERESSE DELLA CHIESA

Noi abbiamo voluto, nei mesi scorsi, fare qualche visita personale ad alcuni caratteristici campi di lavoro di questa Nostra diocesi di Roma, per dimostrare con tali Nostre insolite apparizioni la stima e l’interesse che la Chiesa, specialmente in questo periodo dopo il Concilio, nutre sia per il lavoro moderno, per l’opera umana ingigantita nella sua potenza, nella sua abilità, nella sua organizzazione dalla meravigliosa tecnica scientifica in fase di sempre nuovi e prodigiosi sviluppi; sia, ed ancor più, per i Lavoratori del giorno d’oggi, che, inseriti nell'ingranaggio del lavoro industriale, sono esposti alle più esaltanti e insieme più pericolose conseguenze, sia sociali, che economiche, morali e religiose, che tutti conosciamo. Stima e interesse, che si estendono a tutti i più vasti ed i più vari campi di lavoro e di Lavoratori, e che, in questa festa dell’umile e grande loro Protettore ed esempio, S. Giuseppe, designato dalla Chiesa, e precostituito dal Vangelo stesso, al culto e alla fiducia dell’umanità impegnata nella fatica trasformatrice delle cose in beni utili alla vita, Noi rinnoviamo ed annunciamo, nel sentimento e nel voto della progrediente giustizia, della libertà ordinata e fraterna, della pace delle coscienze, degli ordinamenti sociali, dei popoli fra loro, e finalmente nella affermazione di quei superiori valori spirituali, che soli possono dare consistenza e pienezza ad ogni altra umana, temporale conquista. Siate voi, carissimi Lavoratori cristiani qui presenti, messaggeri di questi Nostri affettuosi ed augurali pensieri a tutti i vostri colleghi di lavoro.

EVOLUZIONE SOSTENUTA ED ANIMATA DAI PRINCIPII CRISTIANI

Questo diciamo tanto più volentieri a voi, Aclisti romani, perché vi sappiamo convinti e fiduciosi della sincerità e dell’efficacia proprie dell’assistenza che la Chiesa offre alle classi lavoratrici in quest’ora importantissima per esse, e non meno per la Chiesa; perché la grande evoluzione, ch’è in corso nella società moderna, raggiungerà fini realmente benefici e duraturi per l’uomo - per l’uomo artefice, protagonista, spettatore, vittima o vincitore del medesimo processo evolutivo -, se tale evoluzione sarà sostenuta ed animata da principii, da dottrine, da energie, che soltanto il cristianesimo può suggerire ed infondere. Sembra esagerata, sembra utopistica questa affermazione; ma siamo sicuri che essa è vera; la fede la proclama, la ragione la conferma, la storia la prova, la coscienza la sente e anche la scienza alla fine la scopre.

POSSENTE AZIONE DELINEATA DAL CONCILIO

Donde: dovere impellente per la Chiesa di offrire al mondo i tesori di verità, i servizi di carità, i carismi di grazia e di preghiera, di cui ella è depositaria e tuttora idonea ad un’effusione originale ed

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espressa, sì, in termini autentici e perciò soprannaturali, ma umanissimi, e cavati, si direbbe, da quel cuore umano medesimo, a cui sono diretti, tanta è la omogeneità, - l’incarnazione - del messaggio cristiano con lo spirito umano. Dovere, figli carissimi, che attende da voi libera e virile collaborazione: come potrebbe la Chiesa far giungere questo suo messaggio di salvezza nello sconfinato e complicato campo del lavoro, se non trovasse in voi, ed in altri come voi alfieri del nome cristiano, la schiera massiccia, ovvero i singoli testimoni capillari, che assumono per sé la missione apostolica della diffusione di tale messaggio, rendendola con la parola, con l’esempio, connaturata all’ambiente a cui è destinata? Si è detto, a ragione, che il Lavoratore deve essere l’apostolo del Lavoratore, e che il mondo del lavoro deve trovare nell’interno stesso della sua area spirituale e professionale i suoi capi morali, i suoi maestri, le sue guide. La Chiesa, in certa misura, quella misura che è chiamata apostolato d’ambiente, ammette, anzi promuove questa forma di espansione del suo messaggio; ed oggi più che mai, forte della parola del Concilio, ella invita i Laici ad assumere per sé questa funzione evangelizzatrice, altissima, degnissima, non disgiunta dalle cure temporali, bensì ad esse congiunta e quasi compenetrata. Grandi e molte parole ha detto il Concilio a questo riguardo: sarà bene conoscerle e sarà bene sentirne lo stimolo nuovo e potente ad un’azione spiritualizzata del mondo profano, perché da tale azione dipende in gran parte l’esito felice dello sforzo in corso verso una civiltà di’autentico benessere umano.

Questo vi dica, cari Lavoratori intelligenti e volonterosi, come la qualifica di «cristiani», che vi definisce, non è un pleonasmo decorativo, e non incidente sulla vostra coscienza, sulla vostra concezione della vita, e sulla vostra attività; né tanto meno una catena al piede, che frena e limita la vostra efficienza operativa, e neppure un titolo che autorizza ed immunizza collusioni, che annullino le sue proprie esigenze di pensiero e di azione; ma è qualifica quella di «cristiani», che dà a coloro che la portano con franchezza e con semplicità un fermento profondo negli animi, uno stimolo vivace nelle coscienze, uno stile superiore in tutto il comportamento personale e collettivo, privato e sociale, che marca un carattere, che infonde uno spirito, che scolpisce una vita.

LA NOBILTÀ, L’IMPEGNO, L’APOSTOLATO NEL NOME DI CRISTO

Ci compiacciamo con voi che tutto questo capite e professate; incoraggiamo le vostre iniziative, che vi portano di tanto in tanto a pause di rifornimento interiore, nei «Ritiri Operai», o nei vostri convegni di preghiera e di studio; vi diamo volentieri il Nostro plauso per la fedeltà, per la fermezza, per la coerenza, con cui vi professate Lavoratori cristiani; vi raccomandiamo ancora di onorare codesto degnissimo nome con un corrispondente spirito sociale, che vi dia sana e vigilante sensibilità dei vostri problemi del lavoro; vi renda abili, forti e leali, e sempre comprensivi del bene comune, nella tutela dei vostri interessi; capaci d’essere per tutti i vostri colleghi amici sinceri e sereni, ma non mai satelliti di altrui errate ideologie e di altrui metodi riprovevoli e in fondo antisociali.

Noi portiamo sempre nella memoria e nel cuore l’immagine di alcuni fra voi, veri tipi di Lavoratori cristiani, dalle braccia forti e impegnate in una rude e onesta fatica e dal cuore schietto; tipi che sanno che cos’è la sincerità, il dovere, il sacrificio necessario, l’amore vero, l’allegria sana, la vita buona, tipi dall’anima semplice e grande, che sentono il bisogno e la forza della fede, della preghiera, di Cristo; e che quando li incontriamo Noi possiamo guardarli in viso, come se già li conoscessimo, come amici di antica data, come silenziosi, ma poderosi costruttori della società e dei suoi complicati servizi. Sono muratori, sono minatori, sono tranvieri e ferrovieri, sono contadini, sono meccanici, sono netturbini, sono operai, sono tipografi, sono autisti, sono impiegati, sono lavoratori e sono lavoratrici in una parola: uomini veri e bravi cristiani. Ma forse non siete voi tutti così? Quale bellezza umana autentica! San Giuseppe, certo, vi guarda contento dall’alto, e vi protegge. Noi di cuore tutti vi benediciamo.

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CELEBRAZIONE DEL LXXV ANNIVERSARIO DELLA «RERUM NOVARUM»

OMELIA

Domenica, 22 maggio 1966

A Voi, Lavoratori, il Nostro saluto! A voi, che Ci rappresentate i vostri fratelli di fede e di lavoro di tutto il mondo, la Nostra affettuosa accoglienza! Siate i benvenuti! Siate fiduciosi di essere qui ricevuti come figli cari e fedeli! Come Lavoratori ben degni di portare le divise delle vostre fatiche e l’espressione delle vostre speranze al Papa, al Vicario visibile del Redentore del mondo, del vostro Divino Collega, il figlio del fabbro, Nostro Signore Gesù Cristo!

LE PREDILEZIONI DEL DIVINO COLLEGA

Perché siete venuti così numerosi da tanti diversi Paesi? Perché voi avete buona memoria; una memoria che si è trasmessa da alcune generazioni e che ricorda il 75° anniversario d’una grande parola, qui pronunciata, una parola magistrale, direttiva, liberatrice e profetica, del Nostro Predecessore d’immortale grandezza, Papa Leone XIII, circa la vostra sorte, circa la «questione degli operai», come allora si diceva, la questione sociale nascente dalle nuove ideologie e dalle nuove forme della produzione industriale e dell’economia moderna. Voi la ricordate quella parola; anzi tanto ne sapete valutare l’importanza, che col passare degli anni la sentite più forte e più vostra, veramente decisiva e orientatrice, e volentieri riconoscete che essa è stata una sorgente meravigliosa di pensiero e di azione; una sorgente, che ha generato una tradizione di dottrina, non solo nel mondo, ma qui, qui stesso, dando origine ad una serie di documenti pontifici di altissimo valore, quali l’Enciclica di Papa Pio XI «Quadragesimo anno», i Messaggi sociali di Papa Pio XII, l’Enciclica «Mater et Magistra» di Papa Giovanni XXIII. Voi comprendete benissimo che per camminare occorre la luce, per promuovere un progresso sociale occorre una dottrina - un’ideologia, come oggi si dice -; è il pensiero che guida la vita; e se il pensiero riflette la verità - la verità sull’uomo, sul mondo, sulla storia, su le cose - allora il cammino può procedere franco e spedito; se no, il cammino si fa o lento, o incerto, o duro, o aberrante. E comprendete che qui, da questa scuola, ch’è la Chiesa cattolica, da questa cattedra, ch’è il Magistero pontificio, viene la verità, che serve e salva l’uomo. Qui il Maestro della umanità, Cristo Signore, ci fa prima discepoli, e poi uomini sicuri e liberi, capaci di marciare sulle vie del vero progresso.

GRATITUDINE E FIDUCIA

La vostra venuta pertanto assume ai Nostri occhi il duplice significato d’un atto di riconoscenza e di una tacita interrogazione. Voi venite per ringraziare quel Papa ormai lontano, ma sempre ricordato e benefico; e professate fede, e convinzione, e impegno, e speranza in quella sua parola; e qui, donde essa partì, voi gli dite che quella parola, la «Rerum novarum», era vera e buona, ed è ancora viva ed operante; il tempo non l’ha esaurita, ma collaudata, tanto che voi la sentite ancora così attuale e feconda da derivarne coraggio per quei nuovi sviluppi dell’ordine sociale, a cui il mondo del lavoro è interessato. Di codesto atto di gratitudine e di fiducia, degno di uomini intelligenti e di figli fedeli, Noi vi ringraziamo, carissimi Lavoratori.

E poi Ci pare di sorprendere in fondo ai vostri animi una discreta domanda, quasi il bisogno di verificare quale eco abbia in questa sede quella parola di settantacinque anni fa. Risuona ancora? Ha tuttora lo stesso accento d’autorità, di profezia e d’amicizia? Sì, Lavoratori carissimi; se voi tendete l’orecchio, cioè fate attenzione a quanto oggi la Chiesa insegna, e fa per la vostra causa, sentirete

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che l’eco è fedele, anzi si è fatta voce più esplicita e più varia di motivi e di applicazioni. Tutto è stato detto e scritto in proposito; questa stessa celebrazione ha avuto ed avrà testimonianze autorevoli d’ogni genere circa la persistenza e lo sviluppo degli insegnamenti pontifici, provenienti dalla Enciclica leoniana; non solo una letteratura in proposito è scaturita e continua a produrre pagine meritevoli di considerazione e di divulgazione, ma si è formato un corpo di dottrine, interessanti l’economia, la sociologia, il diritto, l’etica, la storia, tutta la cultura in una parola, degne di prendere il nome di scuola sociale cristiana.

Se volessimo ridurre, a titolo di esempio e a ricordo di quest’ora significativa, in alcune proposizioni elementari l’eco della celebre Enciclica, Noi potremmo enunciare, fra gli altri, questi semplici, ma fondamentali assiomi:

CIÒ CHE LA CHIESA RITIENE UN DOVERE

- Primo. La Chiesa si è interessata a fondo della questione sociale. Nessuno la può rimproverare di assenza, di timidezza, di superficialità, d’incostanza. Essa ha sentito il grido di dolore del proletariato operaio, non solo, lo ha fatto proprio, non come fomite di odio e di vendetta, ma come esigenza di amore e di giustizia; e ancora prima di occuparsi degli altrui bisogni e degli altrui diritti, ha francamente riconosciuto il proprio nuovo dovere, che la storia delle vicende umane le poneva davanti: curarsi del mondo operaio, mettersi a fianco degli indifesi, e cercare con loro e per loro migliori condizioni di vita.

IL POPOLO: LA SUA COSCIENZA E LIBERTÀ

- Secondo. La Chiesa ha proclamato la dignità del lavoro, qualunque fosse, purché onesto, e vi ha tessuto meravigliosi ragionamenti. S’è parlato perfino d’una «teologia del lavoro» (cfr. Chenu), tanto nel pensiero della Chiesa l’attività umana, anche manuale ed esecutiva, è stata riconosciuta nelle sue più umane e più misteriose implicazioni. E del Lavoratore, della sua persona, della sua singola e numerica unità sperduta nella folla (che la Chiesa non chiama «massa», ma popolo), della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi inalienabili e sacrosanti diritti al pane, alla famiglia, all’educazione, alla speranza spirituale, alla professione religiosa, che cosa non ha detto e proclamato la Chiesa? Chi più di essa ha avuto stima, rispetto, cura, amore della vostra personalità, Lavoratori che Ci ascoltate?

GIUSTIZIA SOCIALE E UMANA CONVIVENZA

- Terzo assioma. La Chiesa ha fatto proprio, non solo nella dottrina speculativa (come sempre fu, da quando risuonò il messaggio evangelico, che proclamò beati coloro che hanno fame e sete di giustizia), ma anche nell’insegnamento pratico il principio del progresso della giustizia sociale (cfr. Summa Theol. II-IIæ, 58, 5) e cioè della necessità di promuovere l’attuazione del bene comune, riformando la norma legale vigente, quando essa non tenga conto sufficientemente dell’equa distribuzione dei vantaggi e dei pesi del vivere sociale (cfr. Jarlot, Doctrine pontificale et histoire, p. 178). Oltre il concetto di giustizia statica, sancita dal diritto positivo, e tutrice d’un dato ordine legale, un altro concetto di giustizia dinamica, derivato dalle esigenze del diritto naturale, il concetto di giustizia sociale è reso operante nello sviluppo dell’umana convivenza.

DISPENSATRICE E MINISTRA DI CARITÀ

- Quarto. La Chiesa non ha temuto di scendere dalla sfera religiosa sua propria a quella delle condizioni concrete della vita sociale. Come il Samaritano della parabola evangelica, la Chiesa scese dalla sua cavalcatura, cioè dall’ambito puramente cultuale, e si fece ministra di carità, non pur

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individuale, ma sociale. Si è curvata sul campo economico; ha parlato dei rapporti fra capitale e lavoro, si è pronunciata sul contratto di lavoro, sul salario, sull’assistenza, sul diritto familiare, sulla proprietà privata, sul risparmio, su cento questioni pratiche essenzialmente collegate con le oneste e legittime necessità della vita. La sua carità si è armata di esigenze progressive, che chiamò umane e cristiane, e perciò giuste. Vagliò aspirazioni e interessi delle classi meno abbienti, e non esitò a cavarne, con sapienza e con prudenza, ma altresì con coraggio antiveggente, nuovi diritti da soddisfare; ispirò ed ispira tuttora una legislazione contraria al privilegio e all’egoismo, e protettiva dei deboli, degli umili, dei diseredati. Anzi: intimò allo Stato d’intervenire, non per assorbire diritti e funzioni, che spettano in una libera società ai cittadini, sia singoli che associati, ma per proteggere la libertà e l’eguaglianza dei cittadini stessi, e per assumere in proprio l’esercizio di quelle attività che solo l’autorità pubblica può svolgere con migliore garanzia del bene comune.

IL DIRITTO DELL’ASSOCIAZIONE OPERAIA

- E quinto. La Chiesa riconobbe il diritto di associazione sindacale, lo difese, lo promosse, superando una certa preferenza teorica e storica per le forme corporative e per le associazioni miste; intravide non solo la forza del numero, che il fatto associativo doveva portare in una società orientata verso la democrazia, ma altresì la fecondità dell’ordine nuovo, che poteva scaturire dall’organizzazione operaia: la coscienza del lavoratore, della sua dignità e della sua posizione nel concerto sociale, il senso di disciplina e di solidarietà, lo stimolo al perfezionamento professionale e culturale, la capacità di partecipare al ciclo produttivo, non più come semplice strumento esecutivo, ma per qualche grado anche come elemento corresponsabile e cointeressato, e così via.

IL MARXISMO NEGA LA PACE SOCIALE

- E poi un sesto assioma, quello più discusso e difficile. La Chiesa non aderì e non può aderire ai movimenti sociali, ideologici e politici, che, traendo la loro origine e la loro forza dal marxismo, ne hanno conservato i principî e i metodi negativi, per la concezione incompleta, propria del marxismo radicale, e perciò falsa, dell’uomo, della storia, del mondo. L’ateismo, ch’esso professa e promuove, non è in favore della concezione scientifica del cosmo e della civiltà, ma è una cecità, che l’uomo e la società alla fine scontano con le conseguenze più gravi. Il materialismo, che ne deriva, espone l’uomo ad esperienze e a tentazioni sommamente nocive; spegne la sua autentica spiritualità e la sua trascendente speranza. La lotta di classe, eretta a sistema, vulnera e impedisce la pace sociale; e sbocca fatalmente nella violenza e nella sopraffazione, portando all’abolizione della libertà, e conduce poi all’instaurazione d’un sistema pesantemente autoritario e tendenzialmente totalitario. Con questo la Chiesa non lascia cadere nessuna delle istanze vòlte alla giustizia e al progresso della classe lavoratrice; e sia ancora affermato che la Chiesa, rettificando questi errori e queste deviazioni, non esclude dal suo amore qualsiasi uomo e qualsiasi lavoratore.

Cose note, dunque, anche per una esperienza storica in atto, che non consente illusioni; ma cose dolorose, per la pressione ideologica e pratica, ch’esse esercitano proprio nel mondo del lavoro, di cui pretendono interpretare le aspirazioni e promuovere le rivendicazioni, generando così grandi difficoltà e grandi divisioni. Non ne vogliamo ora discutere, se non per ricordare che quella stessa parola, alla quale voi, Lavoratori Cristiani, oggi rendete testimonianza di onore e di riconoscenza, è quella che ci ammonisce a non mettere la nostra fiducia in ideologie errate e pericolose, e che ci invita piuttosto ad un’altra considerazione, che Noi poniamo alla fine di queste sintetiche osservazioni.

CRISTO VI ATTENDE, VI ACCOGLIE, VI UNISCE

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- E sia il Nostro settimo assioma, quale risulta a gran voce dall’Enciclica «Rerum novarum» e da quelle che la seguirono. Ed è l’indispensabile funzione che la religione ha nella promozione del progresso sociale e nella soluzione della famosa e ricorrente questione sociale. Non è funzione puramente strumentale, ma, diremmo, trasfiguratrice per i principi, le energie, i conforti, le speranze, che la religione - diciamo quella vera, quella fortunatamente nostra, quella cristiana - infonde in tutto il mondo del lavoro. Cristo, voi lo sapete, induce un’esperienza di Sé, della vita, della società, delle cose, del tempo, della giustizia e dell’amore, che non ha paragone, non ha definizione, se non quella della beatitudine da lui annunciata ai poveri, ai piangenti, ai perseguitati, agli onesti, agli affamati di giustizia e di amore.

Ebbene, Lavoratori carissimi, a Cristo Noi vi affidiamo. A Cristo Noi vi esortiamo, come a luce della vostra coscienza individuale e come a centro del movimento di Lavoratori Cristiani, al quale voi volete oggi dare dimensioni mondiali, e di cui Noi siamo lieti e fieri di salutare l’istituzione e di dare il Nostro paterno e fiducioso incoraggiamento. E affinché non vi manchi la sicurezza che Cristo vi attende, che Cristo vi accoglie, che Cristo vi unisce, che Cristo vi fortifica e vi santifica, sia su di voi dell’umile suo Vicario la Benedizione Apostolica.

DISCORSO A GRUPPI DI LAVORATORI E DI SPOSI CRISTIANI

Sabato, 18 giugno 1966

Rivolgendosi dapprima al gruppo di Lecco, l’Augusto Pontefice si dice lieto di salutare il grande pellegrinaggio di lavoratori, i quali festeggiano il 90° di fondazione della loro azienda, e sono venuti a Roma per avere col saluto augurale del loro antico Arcivescovo la benedizione del Vicario di Gesù Cristo.

Un vincolo di affetto - così Paolo VI - unisce il Papa a Lecco che ha visitato tante volte, ammirando il bellissimo paesaggio manzoniano, al quale si sono ora aggiunte le ciminiere delle industrie e fabbriche. Li incarica subito di interpretare il suo cordiale saluto alla città, alle autorità, alle loro famiglie, ai colleghi di lavoro, Speciali pensieri del Santo Padre sono per Monsignor Prevosto, per D. Aldo Farina e le Acli, per il centro turistico.

Sua Santità aggiunge l’espressione della propria letizia per questo 90°, che è un fatto storico, morale, sociale e civile degno di ammirazione; e augura che la cooperazione degli imprenditori e degli esecutori di lavoro faccia sempre più prospera la loro impresa, con spirito nuovo, affinché essa sia sempre più onorata ed efficiente.

Novant’anni! Quanto studio, quanto laborioso sforzo ed intelligente fatica nel lungo, ragguardevole periodo di tempo!

In così vasto insieme d’opere e di risultati, di intenti e trasformazioni, ecco la dottrina sociale della Chiesa ad indicare il carattere, gli obblighi, le funzioni dell’impresa e di quanti da essa traggono, con il lavoro, i mezzi di sussistenza. Tali insegnamenti parlano di giustizia, di equilibrio, di pace: e qui è il fondamento di quel progresso che il Pastore Supremo augura a tanto diletti suoi figli, formulando speciali voti che proprio essi abbiano ad attuare integralmente i principi d’unione e concordia stabiliti dal magistero della Chiesa. Ne conseguiranno preziosi risultati d’ordine, di pace, d’amore: un reale tesoro per conseguire piena e vera prosperità.

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Con l’auspicio che tali nobili mete possano essere da tutti raggiunte, il Santo Padre esprime felicitazioni all’Azienda, ai singoli dirigenti e dipendenti, unendo ancora nella sua più estesa benedizione le singole famiglie, specie i bambini ed i sofferenti, e l’intera città di Lecco.

Egualmente ricca di invocate copiose assistenze divine è la parola di Sua Santità per gli Sposi venuti a Roma e diretti a Pompei, in atto di viva riconoscenza al Signore per i doni ricevuti durante venticinque anni, - alcuni, anzi, per cinquant’anni - da famiglie che sentono e si gloriano d’essere cristiane.

Già nel vederli il Santo Padre rievoca il primo prodigio operato dal Redentore del mondo; fu a Cana, in un banchetto di sposi per i quali il generoso atto del Signore volle simboleggiare la sua immancabile assistenza a quanti intendono fondare una nuova famiglia secondo le leggi di Dio.

Per Sposi che possono considerarsi anziani arride quale grazia di completa felicità l’aver tenuto fede a quelle sacre leggi.

Dalla loro letizia familiare, da questa festa dei cuori può, infatti, trarsi come l’apologia della famiglia cristiana, del matrimonio che, oggi, è tanto discusso da quelli che credono di poter mutare questa pietra fondamentale della società.

L’unità e la stabilità - prosegue il Santo Padre - sono le colonne dell’istituto familiare, vivente in quanti ne fanno parte; ed il Vicario di Gesù Cristo li esorta ad essere essi medesimi gli apologisti ed i difensori della vera famiglia cristiana, basata appunto sulla unità e indissolubilità: leggi incomparabili, che essi onorano con il loro amore e che costituiscono la maggiore possibilità di essere felici.

La dignità della società ben ordinata esige tali leggi, che possono sembrare di ferro, e invece sono d’oro, vengono definite dure e invece sono salutari, anche se, talvolta, richiedono spirito di abnegazione e di sacrificio. Ma si tratta di leggi inoppugnabili; non sono state inventate o formulate dagli uomini, ma da Dio. E perciò, né ora sono, né mai potranno essere socialmente superate, come taluni affermano.

La natura della società umana esige siffatta unità e stabilità. Le due note sono indispensabili per la salvaguardia dell’istituto domestico, per la tutela e l’educazione dei figli; per la dignità stessa dell’uomo e della società; in una parola per l’esatto adempimento del carattere del matrimonio, elevato da Cristo alla superna dignità di Sacramento.

Adunque i cari pellegrini siano - ribadisce il Santo Padre - essi stessi gli apostoli zelanti e i testimoni esemplari dell’unità voluta e benedetta da Dio.

Perciò l’Augusto Pontefice invoca sui presenti, i loro figliuoli, su tutte le famiglie cristiane l’abbondanza delle divine grazie.

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SANTA MESSA AL CENTRO INDUSTRIALE DI COLLEFERRO

OMELIA

Domenica, 11 settembre 1966

Il Santo Padre inizia la sua Omelia rivolgendo un fervido saluto al Vescovo Diocesano, al Parroco, al Clero, ai Religiosi, alle Autorità e alle molte Personalità presenti, agli Imprenditori e Dirigenti a tutte le categorie e alle Associazioni dei diletti Lavoratori.

È la prima volta che Egli visita questa città, e ne riceve una impressione che ben potrebbe dirsi simbolica. Simbolo di che cosa? Dei tempi nuovi, di questo doloroso, faticato ma anche glorioso dopoguerra, che ha visto risorgere il Paese in opere grandi, buone, oneste e protese verso l’avvenire, per cui si viene sempre più affermando un’impronta, una fisionomia che non esisteva in passato e cioè: la caratteristica industriale, del lavoro organizzato, dell’uomo che. opera non da solo con le sue mani, ma con le macchine e in ragguardevoli comunità. È il lavoro moderno.

UNA CITTÀ SIMBOLO DEI TEMPI NUOVI

E così: volendo commemorare uno storico Documento proprio sulle condizioni dei lavoratori, il Papa si è chiesto dove cercare un incontro con il mondo operaio. La scelta è stata per Colleferro, ed Egli ne è lietissimo; ringrazia il Signore di poter qui salutare una rappresentanza tanto qualificata e appunto del lavoro industriale.

Perciò i lavoratori sono l’oggetto principale della sua visita: alle loro persone, a quanto essi compiono, a tutte le iniziative di assistenza e di sviluppo connesse con la loro fatica vanno le sollecitudini più ardenti del Padre delle anime.

I carissimi ascoltatori sanno che il motivo precipuo della presenza del Papa tra loro è per tributare onore e gratitudine ad un suo grande Predecessore: Leone XIII. Settantacinque anni or sono quel Pontefice pubblicò un documento, ormai a tutti noto, che si intitola Rerum novarum: la grande Enciclica che tratta della questione operaia, della questione sociale. È stato un gesto determinante, storico, con cui la, Chiesa si è impegnata alle questioni di quanti lavorano, e da allora essa di continuo si è interessata ai bisogni, alle aspirazioni, alle fatiche, difficoltà, lotte; in una parola sola: alle anime dei singoli lavoratori.

Partendo da questa memoria è agevole riassumere il movente della visita del Papa.

Perché sono venuto? La presenza lo dice più che il discorso: sono venuto per dirvi che la Chiesa ama il mondo del lavoro, ama i lavoratori, gli operai, tutti quelli che svolgono un’attività secondo il modo con cui il lavoro moderno è organizzato, e con la psicologia, le esigenze le angustie che esso porta con sé. Sono venuto ad assicurarvi dell’affetto, della solidarietà, dell’interesse che la Chiesa ha per voi.

LA CHIESA AMA I LAVORATORI

Qui forse potrebbe affacciarsi in taluno una qualche obiezione: di certo non più quella, per tanto tempo diffusa, che negava senz’altro la presenza della Chiesa nel mondo del lavoro. Le molte prove di questo suo raggiante apostolato risplendono ovunque, ed hanno dissipato la inconsistente accusa.

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Piuttosto qualcuno ancora potrebbe avanzare un dubbio: sì, riconosciamo che la Chiesa si interessa; tuttavia, in pratica, che cosa essa può fare non avendo mezzi, capacità e competenza nelle questioni economiche, nei problemi industriali, sociali, del lavoro?

La sua funzione è quella di pregare il Signore, di predicare il Vangelo, ma non di andare in mezzo ai lavoratori. Il suo è, dunque, un amore inefficace, dimostrativo, verbale. Orbene il dubbio dilegua quando si pensi al reale e fattivo atteggiamento. Se ne hanno prove eloquentissime e chiare. Si tratta - e lo si può dimostrare con tanti esempi - di una premura non soltanto teorica; e nemmeno può asserirsi che essa assuma forme antiquate, inefficienti, paternalistiche, per proteggere e beneficare. La Chiesa veglia sul popolo; ne illumina la coscienza e la forza; lo conduce ed aiuta a sentirsi libero, arbitro dei propri destini. Basta dare uno sguardo a quanto è stato compiuto attuando i dettami sociali della Chiesa; all’azione politica ispirata dai principi cristiani, per avere di tutto mirabile conferma.

INCOMPARABILE OPERA ATTIVA E RIGOGLIOSA

Noi vi conosciamo e desideriamo sempre più conoscervi. La Chiesa si è curvata sopra le vostre condizioni; ha esaminato i vostri problemi. Essa ancor oggi studia le condizioni di vita in cui siete; non ignora affatto le odierne esigenze dei lavoratori, soprattutto le trasformazioni sociali derivanti dalla macchina; sente i desideri e le domande per raggiungere una pienezza di giustizia e di armonia nella società.

Non ignorando affatto tali istanze, la Chiesa le esamina con tutta l’attenzione onesta e diligente; guarda in faccia le cose e cerca di comprendervi non soltanto nell’aspetto esteriore che può essere anche disciplinare e apparentemente ordinato, ma vi vede nel cuore, vi studia nel profondo della vostra psicologia. Quante volte, negli anni decorsi, andando in mezzo agli operai, soprattutto durante il ministero pastorale svolto nell’Arcidiocesi di Milano, è occorso al Papa di scorgere tanti volti di lavoratori silenziosi, muti, che sembrano soltanto osservare. In realtà non è che siano privi di un sentimento che non avvertono o che non vogliono esprimere. Sono diffidenti e perciò rimangono quasi intimiditi. Ebbene, la Chiesa spiega questo silenzio e questo riserbo. Essa arriva nell’intimo del cuore e coglie il risentimento per tutto quanto è ingiusto o il rammarico per cose non bene eseguite. Sa quindi rispondere all’interrogativo a proposito di chi realmente può bene guidare e ottenere tutto quanto è necessario non solo alla vita materiale, ma alla pace interiore.

LA PIÙ ALTA GUIDA E DIFESA

La Chiesa difende i lavoratori. Non sta semplicemente a guardare. Ha precisato la sua dottrina; ha speso la sua autorità per la tutela e la promozione dei lavoratori, ha fatto suoi i loro diritti alla dignità, alla mercede. Si schiera al di sopra d’ogni competizione e prende arditamente e risolutamente le loro difese. E ciò compie - si intende - senza voce rivoluzionaria, senza demagogici termini altisonanti, od ostili. Esercita, invece, tale difesa guardando le cose reali, giuste e possibili.

Si rifletta, poi, a quante opere la Chiesa ha suscitato per dare questa certezza e per venire incontro non soltanto con la parola, ma con i fatti concreti, con efficace organizzazione, alle tante necessità. Ogni giorno essa cura e sviluppa il coordinamento delle iniziative. Né va dimenticato che proprio la Chiesa - e ne parla diffusamente la Rerum novarum - propugna uno dei più grandi diritti della classe lavoratrice e cioè la libertà di associazione, l’elemento per sentirsi forza, per sentirsi popolo; e, in piena coerenza a questo principio, la Chiesa sempre più dispiega la sua attività illuminatrice e benefica.

LA IDEOLOGIA GIUSTA È QUELLA DI CRISTO

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Ancora un’altra mirabile realtà. La Chiesa parla ai lavoratori. Il Papa è venuto a Colleferro per commemorare una grande parola, pronunciata settantacinque anni or sono da Papa Leone. Che cosa vuol dire questo continuo discorso della Chiesa? Una grandissima cosa. Sono le idee a guidare la vita; esse fanno trionfare le buone cause; danno al popolo la sua forza e tracciano i sentieri del suo destino. C’è ormai una parola corrente che riassume tutto ciò: l’ideologia. Essa è necessaria alle conquiste dell’avvenire. Ora, sappiamo tutti che l’insegnamento della Chiesa non è parola d’interesse, di passione, di opportunismo. Vi dice - e oggi vi ripete -: bisogna avere un pensiero; un’«ideologia». Sono le idee che muovono il mondo.

Sbagliare, perciò, sulle ideologie è gravissimo. Ed è della più alta importanza attenersi alla buona, alla vera, a quella collaudata dalle esperienze della storia, su cui riposa - e dovrebbero pure ammetterlo coloro che non hanno la fortuna di condividerla - la luce del Vangelo; la luce del grande, umanissimo e divinissimo Maestro, Nostro Signore Gesù Cristo.

Egli ci insegna, nella realtà più completa e sublime, il valore della vita, la dignità del lavoro, la libertà umana e come deve essere intesa e impiegata, il mistero della fatica e del dolore che Gesù ha voluto assumere su di Sé con il sacrificio della Croce, indicandoci che, attraverso il dolore, è possibile trovare virtù e redenzione e, con questa, la speranza temporale e religiosa.

Tutto ciò proclama e insegna la Chiesa con l’autorità immensa che le deriva dal Magistero stesso di Cristo.

A suggello dunque del pio e fulgido incontro, tutti vogliano ricordare sempre che la Chiesa vuol bene ai lavoratori; li comprende; non ha alcun interesse di dominio. Vuole liberarli, elevarli e far loro capire i reali valori della vita; dare loro la gioia di essere uniti nell’amore e non nell’odio.

Ed aggiunge un’altra parola che nessuno, all’infuori di Essa, può pronunciare: al di là di questa vita si raggiunge, attraverso il sudore, le lacrime e le speranze di quaggiù, la vita superna e senza fine.

Per ottenere questo ineffabile dono a quanti Lo ascoltano, il Santo Padre rivolgerà ora speciale preghiera al Signore durante il Divin Sacrificio, auspicando ogni grazia per i Lavoratori e per quanti procurano ad essi i mezzi della quotidiana attività; per le famiglie di ciascuno; per l’intera cittadinanza di Colleferro.

Che la benedizione di Leone XIII e del suo Successore qui presente sia ognora sulla vostra terra per l’ordine cristiano: da lui, da voi sognato, nella fede e nell’amore.

DISCORSO AGLI ANZIANI DELLA SOCIETÀ O. M. DI BRESCIA

Sabato, 5 novembre 1966

Ci fa tanto piacere che siano presenti a questa udienza anche i numerosi e sempre diletti operai anziani della Società O. M. di Brescia. Vi diamo il Nostro paterno benvenuto, e Ci è caro assicurarvi che portiamo in cuore il ricordo delle vostre persone, della vostra operosità, della vostra bontà e schiettezza d’animo; e Ci commuove il pensiero che voi Ci amate, e pregate per Noi.

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Ve ne ringraziamo di cuore; e ricambiamo la vostra carità con un augurio di ogni bene, con una particolare preghiera per voi, per le vostre famiglie, per i vostri problemi e le vostre ansie, affinché il Signore, «Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione» (2 Cor. 1, 3) vi custodisca nella pace e nella serenità di una buona coscienza, lieta di aver fatto sempre il proprio dovere, nella vostra famiglia e nel vostro lavoro, portando alla società il contributo generoso di una vita spesa per gli ideali più alti, quelli che valgono davvero, assicurando onorabilità in terra, e il premio dell’eternità in Cielo.

Vi assista sempre il Signore; e in pegno delle sue compiacenze vi impartiamo la Nostra paterna Benedizione Apostolica, che estendiamo di tutto cuore al venerato e zelante Padre Marcolini, tanto benemerito della vostra assistenza spirituale.

DISCORSO VI AL PELLEGRINAGGIO DELL'UNIONE ITALIANA DEI PARRUCCHIERI

Lunedì, 21 novembre 1966

Diletti Figli,

Siamo assai lieti di accogliere il vostro pellegrinaggio, così numeroso, così caratteristico, così vario, e di darvi il Nostro benvenuto: Vi diciamo subito che siamo grati a Voi, e ai solerti organizzatori di questo incontro, per il pensiero che avete avuto per Noi, con un gesto di squisita cortesia, che Ci allieta e Ci commuove: siete infatti venuti a Roma per dirci, con la sola vostra presenza, quanto grande sia stata la vostra soddisfazione per il Breve Apostolico «Tonsoriam artem», del 20 luglio scorso, con cui abbiamo proclamato San Martino de Porres, Patrono dei Parrucchieri «per uomo e per signora», dei Barbieri e delle Categorie affini in Italia. Siete venuti per dirCi grazie, e dirCelo con la forza del vostro numero, con la schiettezza dei vostri sentimenti, con la spontaneità delle vostre parole. Un grazie che Ci ha fatto particolare piacere, non solo perché il sacrificio, che avete dovuto affrontare per gli assillanti impegni delle vostre giornate lavorative, lo rende più meritorio, ma perché esso riveste il significato di un atto di fede: la vostra contentezza nell’avere un Patrono tutto vostro Ci dice infatti lo spirito con cui compite il vostro lavoro, e l’intento, che avete, di avvalorarlo a contatto dell’esempio luminoso di un Santo.

Ve ne lodiamo di cuore; e, nell’accogliervi, il Nostro pensiero ritorna con immutato affetto ai parecchi incontri che abbiamo avuto, negli anni del Nostro pastorale ministero a Milano, con i vostri colleghi della Società Mutua dei Parrucchieri ed Affini, e soprattutto in occasione della celebrazione a S. Maria delle Grazie, in onore di Martino de Porres. E Ci piace dare atto qui, pubblicamente, alla benemerita Presidenza di quella Società, e agli ottimi Padri del Convento Domenicano delle Grazie, dello zelo encomiabile che essi hanno impiegato nel diffondere la devozione al Santo presso tutta la Categoria dei Parrucchieri e Barbieri, prima, e per ottenerne, poi, la proclamazione che voi, oggi, festeggiate.

Vorremmo avere più tempo a Nostra disposizione per effonderci a Nostro agio in una conversazione familiare, quale talora avviene con tono disteso e cordiale nei luoghi di lavoro, mentre attendete alla vostra quotidiana attività. Ma anche il pur brevissimo incontro di oggi Ci permette di dirvi cose, che Ci stanno particolarmente a cuore, e che vi affidiamo con paterna benevolenza, a ricordo del vostro bel pellegrinaggio.

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1. Vogliamo dirvi anzitutto che vi ammiriamo. Non crediamo, diletti Figli, che vi dobbiate meravigliare di questa parola; forse, in fondo, ve l’aspettavate, in premio della vostra fedeltà. Sì, vi ammiriamo: perché siete al servizio degli altri, e a totale servizio, anche in ore e in giorni in cui si potrebbe esigere quel maggior agio e quel doveroso riposo, di cui gli altri pur godono. La vostra fisionomia, è questa: servire, essere utili; e sempre col sorriso sulle labbra, sempre con i modi più compiti, diventati perfino proverbiali, sempre con rispetto e buon garbo, interessandovi ai discorsi e ai problemi degli altri, anche quando i vostri problemi, o affanni personali, o dolori familiari tumultuano in cuore, e non permetterebbero diversioni o evasioni. Eppure, in ogni circostanza, voi siete là, dimentichi dei vostri interessi per far piacere agli altri, servirli, essere ai loro ordini.

Non è un atteggiamento, questo, che merita non solo ammirazione, ma gratitudine? Non è una benemerenza che possiamo dire sociale, oltre che un intimo acquisto personale, che può fare di voi degli uomini sempre più coscienti della bellezza, della grandezza, del merito della vita umana, quando è spesa con un ideale generoso? Stimate la vostra professione anzitutto per questo: perché oltre la bravura, che richiede, oltre il contributo personale di buon gusto, che la rende anch’essa un’arte, è un ministero, un servizio: e tutto ciò che corrisponde a questo ideale, merita da Dio il premio, nella pace della coscienza per il dovere compiuto, qui in terra, e nella ricompensa della vita eterna, lassù in Cielo.

2. Vi diciamo di più. La vostra professione, per le ricche esperienze, ch’essa dischiude, per gli straordinari contatti umani, ch’essa facilita, per le innegabili correnti di simpatia, ch’essa stabilisce, può essere un singolare strumento di apostolato. Intendiamoci bene: non c’è bisogno di atteggiarsi a predicatori, a banditori di messaggi alti e sonori. Le pose, da qualunque parte vengano, in quanto sono pose, cioè forzate, artefatte, insincere, non ottengono risultato, sono anche controproducenti. Ma qui non si tratta di pose: si tratta di essere cristiani sinceri, coerenti, consapevoli. Si tratta di vivere il proprio battesimo, che, secondo l’insegnamento del Concilio ai laici, a tutti i laici, dà a ciascuno una missione «profetica», quella cioè di essere testimoni, di Gesù Cristo nel mondo, «perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale», come ha detto la Costituzione dogmatica sulla Chiesa (n. 33), e perché gli uomini «siano resi capaci di ben indirizzare tutto l’ordine temporale e di ordinarlo a Dio per mezzo di Cristo», come ha sottolineato il Decreto sull’apostolato dei laici (n. 7). Secondo il pensiero genuino del Concilio Ecumenico Vaticano II, i laici, per il fatto stesso che fanno parte della Chiesa, hanno di per sé il dovere di farle onore, edificando cristianamente il mondo circostante - con l’esempio, sempre, con la parola, quando è necessario -, perché scompaiano gli stridenti dissidi che talora si fanno avvertire tra la fede cristiana e le opere, che non le corrispondono, tra il pensiero e l’azione, tra l’ideale e la vita. Il già citato Decreto ha detto anche che il vero apostolo laico «cerca le occasioni per annunziare Cristo» (ibid. n. 6): e quali occasioni, le più impensate, le più adatte, le più efficaci, non sono offerte anche a voi, purché sappiate ricordarvi sempre - come certamente è in realtà - della vostra vocazione cristiana, che deve permeare anche il vostro lavoro, e renderlo utile per il Regno di Dio? Anche a questo vi incoraggiamo, certi di trovare in voi una risposta generosa, che vi orienti per tutta la vita.

3. In una parola, abbiate fede. Non si può dare un orientamento sicuro alla propria esistenza individuale, familiare, professionale, senza la fede; non si può mantenere integra la propria solidità interiore di uomini, specialmente di fronte alle crisi e alle tentazioni della vita, se non c’è una visione cristiana del mondo e degli avvenimenti, se non c’è un metro sicuro di giudizio sul perché ultimo e segreto di tutte le cose: e questo lo può dare solo la fede.

Abbiamo detto che questo vostro pellegrinaggio in onore al Santo vostro Patrono riveste un significato di fede: che lo sia oggi, che lo sia sempre! In questo vi sarà di aiuto la devozione, tenera e profonda, che nutrite per San Martino de Porres, per questo grande e umile Domenicano, lieto e

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sacrificato, generoso e ardente, che il Signore ha voluto porre tanto più in alto sul candelabro, quanto più grande fu il suo studio di abbassarsi, di nascondersi, di servire.

Egli vi insegnerà a unire la serenità dell’animo all’impegno quotidiano, arduo e pesante; a trovare il senso della vita nello spenderla per gli altri; vi insegnerà ad amare il prossimo, ma soprattutto ad amare Dio con tutte le forze dell’anima, e a restare a Lui fedeli nella pratica generosa della virtù cristiana, nella adesione costante alla Chiesa e al suo insegnamento, nella osservanza fedele dei doveri della vita liturgica e sacramentale, anche se questo vi può costare un qualche sacrificio.

Noi vi affidiamo alla sua intercessione: gli raccomandiamo il vostro lavoro, le vostre famiglie, le vostre gioie e le vostre pene, affinché vi ottenga la continua protezione del Signore. E a conferma di questi voti, e in pegno della Nostra benevolenza, di cuore impartiamo a voi, qui presenti, ai vostri Colleghi lontani, e a tutti i vostri cari, la propiziatrice Benedizione Apostolica.

DISCORSO AI DIRIGENTI E AI COLLABORATORI DELL’E.N.E.L.

Lunedì, 19 dicembre 1966

Salutiamo l’avvocato Vito Antonio Di Cagno, Presidente dell’ENEL, e lo ringraziamo per le nobili parole che Ci ha rivolte a nome di tutti i presenti.

Salutiamo con lui i membri del Consiglio di Amministrazione, e l’Unione Gruppi dei Lavoratori Anziani dell’ENEL.

E salutiamo di gran cuore voi, diletti dirigenti, impiegati e operai dell’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, che avete ricevuto un meritato riconoscimento per i 35 anni del vostro servizio. Agli elogi che vi sono stati rivolti in questi giorni dalle più alte Autorità dello Stato, vogliamo ora unire anche i Nostri, che sono come quelli di un padre verso figli tanto amati. Anche Noi siamo lieti di dirvi che i lunghi anni, in cui avete speso il meglio delle vostre energie al servizio della comunità nazionale, non sono perduti, perché il vostro impegno di cittadini onesti e di fedeli cristiani ha dato loro un valore altissimo, sacro, prezioso; è facendo Nostre le parole del Signore che possiamo promettervi soprattutto il premio più ambito, con quelle divine parole, piene di consolazione e di speranza: «Bravo, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti farò signore su molto: entra nella gioia del tuo padrone» (Matth. 25, 23).

Questa gioia Noi vorremmo che vi accompagnasse nel vostro ritorno alle usate occupazioni, dopo le cerimonie a cui avete assistito in questi giorni, che sono un po’ quelli, lasciateci dire amabilmente, del vostro trionfo, e che fosse con voi in tutti i giorni della vostra vita.

Proprio perché sembra a Noi che la vostra premiazione favorisca il raccoglimento di pensieri più alti, quasi come un esame di coscienza; proprio perché essa sembra a Noi avere una duplice fisionomia: di un consuntivo per il passato, e di un augurio per l’avvenire, Noi vi auguriamo che essa sia per ciascuno di voi vera e duratura fonte di gioia.

1. Questi 35 anni sono anzitutto un consuntivo: del lavoro compiuto, di esperienze fatte, di una maturazione professionale acquisita e perfezionata; consuntivo che porta con sé ricordi di incontri e di contatti fraterni con amici lontani nel tempo, forse ancora al vostro fianco, o forse dispersi

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altrove, o forse anche passati all’eternità. Ebbene, nella comprensibile commozione del momento, vi deve accompagnare, ripetiamo, una gioia virile, l’impagabile soddisfazione del dovere compiuto, l’intima consolazione di sapere che vi siete resi utili, col vostro lavoro, alla famiglia e alla società. Questa è la bellezza sacra del lavoro dell’uomo, della missione ch’egli è chiamato a svolgere nei brevi anni della sua vita operosa; e non importa se la sua occupazione avrà avuto grande rilievo, o se sia stata nascosta per l’intera vita come dal velo dell’anonimato, del poco o niente appariscente, dell’ordinario. Il Signore non giudica secondo ciò che si vede al di fuori, ma scruta il cuore, premia la generosità con cui si fa il proprio dovere, e la dedizione totale in esso impiegata. Beati siete voi, diletti figli, se - come non dubitiamo affatto - vi canta in cuore, ora e per sempre, questa letizia profonda di aver fatto tutto quello che potevate, e di averlo fatto bene; in tal modo, siatene certi, la vostra vita non sarà stata inutile, ma avrà scritto a caratteri d’oro il vostro nome nella oscura e incessante successione degli umili, che fanno grande la storia delle Nazioni.

Ecco, diletti Figli, il perché della gioia, che deve accompagnarvi in questo consuntivo degli anni spesi al servizio degli altri.

2. Ma il trentacinquennio, che avete maturato, è anche un augurio; è un programma di nuova alacrità di mente e di forze fisiche; è un rinnovato slancio verso il dovere che vi attende, per riprenderne gli obblighi con occhio luminoso e contento. Può anche darsi, anzi certamente avviene che il lavoro non soddisfi sempre: la sua monotonia, il suo peso quotidiano, le soddisfazioni avare e le responsabilità numerose, tutto concorre a renderlo pesante. La Rivelazione ci viene in soccorso in questo enigma spiegandoci che il peccato originale ha infranto l’ordine primigenio, voluto da Dio, e che, di conseguenza, l’attività umana ha perduto la sua originaria freschezza di opera di collaborazione con Dio stesso, mettendo in primo piano, che essa costa sacrificio, impone limitazioni, pesa quasi come un castigo. Ma la fatica, inerente al lavoro, diventa preziosa se accettata in penitenza della carne riottosa e in esercizio dello spirito obbediente al dovere, al volere di Dio; e allora il lavoro riacquista il suo slancio fervido, il suo significato profondo, la sua efficacia vitale di frutto proprio dell’uomo, della sua capacità inventiva, della sua ingegnosità; il lavoro non è più soltanto una pena, ma è anche un premio, uno stimolante invito, una novità che si rinnova ogni giorno.

Sia così anche per voi, diletti Figli. Voi avete la dignità e la responsabilità di assicurare alla società l’energia elettrica e la luce e tante altre applicazioni che da essa derivano, di generarla con i vostri potenti apparati che sfruttano le forze della natura, di diffonderla con una efficiente organizzazione, che si ramifica in ogni direzione, portando anche ai punti più sperduti l’impalpabile e terribile e provvida amica potenza, che illumina, e dà forza, vita e movimento. Se il lavoro umano è collaborazione all’opera creatrice di Dio, voi ne dovete avere la consapevolezza più gioiosa, perché date la luce, cosa quanto mai divina, aiutate l’uomo nelle sue necessità più preziose, gli rendete accogliente la casa, gli illuminate le tenebre, sostenete le sonanti macchine del suo quotidiano lavoro.

Quale fonte di gioia, di conforto, di soddisfazione per voi! Ce ne compiacciamo di cuore: e perché la vostra gioia sia piena, vi auguriamo, come Ci ispira il Nostro pastorale ministero, di avere sempre con voi, nelle vostre famiglie, la luce di Colui, che è la vita e la luce degli uomini (Io. 1, 4): Gesù Cristo, il Salvatore Divino, il Quale ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi viene dietro a me, non cammina nelle tenebre» (Io. 8, 12). La presenza della sua grazia vi illumini sempre, vi conforti nel declinare della lunga giornata della vita, vi sussurri le eterne certezze. Nel Suo Nome Noi vi benediciamo, e vi auguriamo ogni letizia, unitamente ai vostri cari, e ai diletti colleghi del vostro lavoro: pace e benedizione a tutti, in Cristo Gesù nostro Signore.

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DISCORSO AD UN GRUPPO DI LAVORATORI DELL'INDUSTRIA

Lunedì, 20 febbraio 1967

Noi dobbiamo innanzi tutto esprimere la Nostra compiacenza per la visita che voi Ci fate, e che Noi accogliamo con affettuosa riconoscenza. È la visita di persone che avviciniamo sempre molto volentieri, perché vengono da quel mondo del lavoro industriale, che è oggetto del massimo interesse, non solo da parte di chi lo promuove e di chi vi partecipa, e non solo da parte degli economisti, dei sociologi e dei politici, ma anche dei Pastori di anime, cioè da parte della Chiesa, che vede in cotesto mondo del lavoro esprimersi i problemi più gravi, più nuovi e più difficili, per non dire i più impegnativi, i più fecondi, ed anche i più belli della vita morale e spirituale del nostro tempo. Siamo sempre convinti che un’intesa fra il vostro mondo e quello nostro, quello della religione e della fede, non solo è possibile, ma è doverosa da una parte e dall’altra, e con reciproca soddisfazione; o per meglio dire con vostro vantaggio, professionale, sociale e morale. Voi certo sapete quanto la Chiesa, specialmente in questi ultimi tempi, ha parlato sulle questioni che interessano la vostra vita, non tanto per fare della speculazione teorica, o per dispensare parole di occasione e di proprio interesse, ma per entrare nel vivo dei vostri problemi e per offrirvi l'aiuto della sua esperienza, per sostenervi nelle vostre difficoltà, per darvi prova, in una parola, che essa vi comprende e vuole il vostro bene.

Dunque, siate i benvenuti, e sappiate che Chi siede a questo posto e ha il tremendo incarico di rappresentare il Signore Gesù guarda a voi sempre con grande simpatia ed è felice quando vi può avvicinare e vi pu6 dire una parola di luce e di conforto.

Poi dobbiamo dire una parola di soddisfazione e di incoraggiamento per coloro che hanno promosso i concorsi, ai quali voi avete preso parte e vi hanno guidati fino qua. Sappiamo che il merito va al periodico settimanale «La Gazzetta per i Lavoratori», e volentieri riconosciamo la bontà di tale iniziativa. Ci piace osservare che cotesto periodico, che Ci dicono avere finalità educative e di elevazione spirituale, non si contenta d’offrire le sue colonne alla lettura dei Lavoratori, ma prende a suo carico promuovere attività che vanno oltre la sfera strettamente professionale dei Lavoratori, e che intendono interessare la loro vita. Questo è saggio. Il lavoro industriale spesso impegna l’operaio ad una serie ristretta, esteriore, monotona di azioni, nelle quali l’uomo senza volerlo si assimila alla macchina ch’egli assiste e dirige, e nelle quali non si esplica che in minima parte il tesoro di qualità di cui l’animo umano è dotato. Succede allora che il lavoro, reso quasi meccanico e perciò spiritualmente insignificante, anche se impegna grande attenzione ed esige speciali abilità, si fa moralmente pesante, e non sazia lo spirito del lavoratore, il quale ha bisogno di evadere, di pensare ad altro, di rifarsi con lo svago del cinema o dello sport, sempre lasciando inerti e sepolte dentro di sé tante capacità, che nessuno sveglia, educa ed avvia a qualche geniale espressione.

Ecco il merito dei vostri concorsi: essi rivelano a voi stessi certe risorse che non mai verrebbero in evidenza, se appunto non vi fosse lo stimolo d’un determinato concorso. Perciò di cuore vi diciamo: bravi! per avere corrisposto all’invito, allo stimolo del concorso; e ,bravi diciamo doppiamente a voi che siete riusciti vincitori nei concorsi a voi proposti. Questi vi inducono a pensare, forse anche a studiare, poi a provare; e vi stimolano a cavare dal fondo del vostro animo, dai vostri ricordi, dalle vostre esperienze, dai vostri impulsi artistici (che non mancano a nessuno: chi è che non sa cantare? chi è che non crede d’aver lui la parola giusta per tante questioni?) un’espressione personale, un segno vivo della propria personalità.

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Una parola di particolare ammirazione diremo ai Lavoratori anziani dell’industria; a voi, che vediamo qui premiati, ed a tutti i vostri colleghi, che con voi hanno dato questa grande prova di morale valore: la fedeltà al lavoro! Resistere alla fatica, resistere alla monotonia degli orari e delle prestazioni lavorative, resistere con solidarietà per la causa comune dei Lavoratori, ma insieme con amore al proprio stabilimento, alla propria officina, al proprio mestiere, alla propria azienda, è merito che dev’essere riconosciuto, specialmente in tempi così inquieti come i nostri. Anche a voi, cari Lavoratori anziani, diremo: bravi! Facendo eco con questo elogio a quello che la società vi deve per il servizio positivo, perseverante, costruttivo, che voi le avete dato con la vostra paziente assiduità al compito a voi assegnato; e interpretando la soddisfazione fiera e silenziosa, che sale dalle vostre coscienze e che Noi pensiamo sia ispirata da Dio: la soddisfazione del dovere compiuto per tanti anni quanto è lunga la vita professionale. E se davvero è stato il dovere la legge di codesta vita professionale, e voi lo avete volonterosamente ed onestamente compiuto, sappiate che vi resta, appunto davanti a Dio, un credito, che la mercede economica non può soddisfare, il credito di quelle opere buone, che saranno il nostro unico bagaglio per l’ultimo viaggio, all’eternità!

Dunque: bravi tutti. E tanto più, se a codeste buone attività aggiungerete ciò che ne moltiplica il valore: l’intenzione religiosa, l’amor di Dio, ch’è, come sapete, la suprema vocazione ed il più grande precetto della nostra vita quaggiù.

Vi salutiamo tutti; e vi incarichiamo di portare il Nostro saluto alle vostre case, ai vostri colleghi di lavoro, alle vostre rispettive residenze; ed a tutti, anticipando l’augurio della buona Pasqua, diamo ora la Nostra cordiale Benedizione Apostolica.

DISCORSO ALL’AZIONE CATTOLICA E AI LAVORATORI

Lunedì, 1° maggio 1967

Salutiamo i partecipanti al Convegno nazionale dei Delegati Vescovili e dei Presidenti Diocesani di Azione Cattolica Italiana, qui presenti con la Presidenza Generale, l’Assistente Ecclesiastico Generale, i Dirigenti e gli Assistenti Centrali dei vari rami e movimenti.

Questa presenza, anche osservata nel suo quadro esteriore, merita considerazione ed elogio, e fa da sé sola l’apologia dell’Azione Cattolica. Rileviamo appena, senza i commenti che pur sarebbero dovuti: il vostro numero, risultato di lungo e fedele lavoro; il vostro carattere rappresentativo, che Ci procura il grande piacere di sentire vicino a Noi tutte le Diocesi Italiane; la composizione della vostra assemblea, nella quale confluiscono Laicato e Clero tipicamente articolati, cioè i Dirigenti organizzati e organizzatori con i loro Assistenti ecclesiastici diocesani; il vostro proposito di voler concludere i lavori del Convegno là dove spiritualmente cominciano, nel momento religioso, e dove idealmente finiscono, nel momento ecclesiale. Tutto questo è molto bello, . . . absque eo quod intrinsecus latet, senza dire di ciò che tutto questo contiene; vogliamo dire ciò che realmente siete nella Chiesa di Dio e ciò che effettivamente fate e vi proponete di fare. Dovremmo ancora una volta risalire alle ragioni dottrinali, che definiscono l’Azione Cattolica rispetto all’essenza e alla missione della Chiesa manche dopo il Concilio, e che non solo giustificano la sua esistenza, ma la esigono (cf. Apostolicam actuositatem, nn. 20-21; Christus Dominus, n. 17); e dovremmo ricordare qui lo svolgimento, compiuto o progettato, della vostra attività. Ciò che siete e ciò che fate: due punti fondamentali, da voi continuamente meditati e discussi, anche nel Convegno che ha impegnato, in questi giorni, la vostra attenzione ed i vostri propositi. Diremo soltanto, a questo riguardo, ciò che

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abbiamo avuto occasione di affermare anche recentemente circa la permanente validità della formula, che classifica l’Azione Cattolica come la collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico, una collaborazione diretta, qualificata, responsabile, organizzata, nella quale la vocazione all’apostolato, propria d’ogni cristiano, si realizza nella forma più impegnativa, e perciò più meritoria, e più degna dell’appoggio e della fiducia della Gerarchia, come pure della stima e della promozione da parte della comunità ecclesiale.

Se l’apostolato dei Laici ha avuto dal Concilio così ampio riconoscimento e incoraggiamento, l’Azione Cattolica deve più che mai sentirsene confortata, senza che da tale impulso conciliare si ritengano escluse altre forme di buona attività, sia individuali che associate, rivolte anch’esse alla dilatazione del regno di Dio; e senza che l’Azione Cattolica rinunci a perfezionare continuamente le sue strutture, i suoli programmi, la sua animazione ideale e spirituale. La Chiesa ha tuttora grande bisogno dell’Azione Cattolica; e come la Gerarchia cerca di sostenerla e di onorarla, di renderla sempre migliore ed efficiente, così il Laicato cattolico deve corrispondere alle aspettative che la Gerarchia ripone nella sua comunione di sentimenti, di intenti e di opere. Dipenderà non poco l’incremento della vita cristiana nel nostro tempo da questa specifica articolazione della Gerarchia col Laicato, che si chiama l’Azione Cattolica; e Noi confidiamo che voi, Figli carissimi, convaliderete con la prova dei fatti questo Nostro beneaugurante presagio. Questo si riferisce al «ciò che siete».

Quanto poi al «ciò che fate», Noi non abbiamo che da compiacerci di quanto voi stessi avete esposto nelle vostre discussioni, le quali Ci risultano, a quanto ne sappiamo, tutte ottimamente ispirate ed orientate; la relazione, in particolare, del Presidente Generale Ci è sembrata assai bene concepita, per l’ampiezza di vedute, per il realismo delle analisi, per la praticità delle conclusioni. Ecco un documento che dimostra come la connessione del Laicato con la Gerarchia, così stretta e così operante nello spirito e nella norma dell’Azione Cattolica, quando è cordiale e filiale, lungi dal mettere paraocchi e pastoie a chi ad essa appartiene, lo stimola e lo abilita a lucidità di pensiero, a franchezza di giudizio e di parola, a operosità coraggiosa e congeniale. Siamo certo più lieti Noi di dare al vostro caro e bravo Presidente questo riconoscimento, che forse lui di riceverlo, schivo e modesto qual è; ma voi tutti condividerete sicuramente questa Nostra fondata e affettuosa opinione.

Così che la Nostra raccomandazione, alla quale voi pure tanto tenete, può limitarsi ad un’esortazione che vi rimanda al vostro Convegno: date peso, date efficacia, date diffusione a quanto avete ascoltato, discusso e stabilito. L’Azione Cattolica non è un’accademia di parole vane; è una scuola di idee vere, è un’officina di propositi seri, è una palestra di addestramento pratico. Scuotete da voi lo stato di dubbio, d’incertezza, di timore; semplificate le divagazioni critiche; misurate le vostre forze e le vostre responsabilità; e, come esige la vostra definizione, passate all’azione; all’azione umile, metodica, coraggiosa; e sempre badate ai doveri ed ai valori spirituali che portate con voi, uniti a Cristo, uniti alla Chiesa, uniti fra di voi.

Ci piacerebbe, a questo punto, spingere la Nostra esortazione alla formazione della coscienza, che un membro dell’Azione Cattolica deve avere del processo storico e psicologico, attraverso il quale essa è giunta alla sua presente funzione nella vita religiosa e morale di questo Paese: fu difesa, difesa della Chiesa, difesa della fede, difesa dei diritti cattolici, al principio; ve lo dicono i primi passi di quelle iniziative e di quelle istituzioni, delle quali vi proponete di celebrare il centenario, che felicemente si collega con quello del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nell’anno che Noi abbiamo voluto chiamare «anno della fede». Poi, quasi istintivamente, divenne espansione, apostolato, diffusione dei principi cristiani; e subito un altro movimento subentrò, interno questo alle file e alle coscienze dei militanti per l’idea cattolica, un movimento di formazione, di educazione, di approfondimento spirituale, reclamato dalla logica dell’azione cattolica; essa non può essere tale se non è mossa interiormente da luce e da forza che solo lo stato di grazia e la spinta

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della Parola di Dio e l’esuberanza dell’amore a Cristo sanno produrre; era naturale che un fatto simile generasse il bisogno dell’unione, dell’organizzazione; e qualche periodo caratteristico di questo processo fu distinto particolarmente dal bisogno organizzativo e dalla «formazione dei quadri»; ed infine, come epilogo fortunato, il collegamento con la Gerarchia ecclesiastica e l’inserimento rinnovatore nei suoi piani apostolici e pastorali. Chi riflette a queste varie tappe dell’Azione Cattolica, che non si escludono l’una dall’altra, perché ciascuna porta con sé le aspirazioni e le conquiste delle altre, si accorge della intrinseca ricchezza del concetto e della esperienza dell’Azione Cattolica; ne fa suo alimento e suo entusiasmo e suo programma di vita, fino appunto a riprenderla, come voi oggi fate, come una vocazione, come una missione che il Signore propone alla vita di ognuno e al programma di tutti.

E allora, per esprimere con termini semplicissimi i sentimenti che sorgono nel Nostro animo alla vostra presenza, vogliamo racchiuderli in due indicazioni, quasi banali (ma sono evangeliche!) e apparentemente contrarie: Figli carissimi dell’Azione Cattolica, venite sempre vicino a Noi, che a voi guardiamo con tanta stima, tanta affezione, tanta speranza; vicino all’a Chiesa, vicino a quel Cristo, che Noi predichiamo e rappresentiamo; vicino, sempre vicino; il vostro affetto Ci è prezioso, la vostra fedeltà Ci è necessaria, la vostra comunione di tutto Ci ripaga. Questa la prima indicazione di marcia: venite, venite vicino. L’altra indicazione di marcia: andate, andate lontano, più lontano che potete, come vanno i missionari, nel mondo che vi circonda, nel mondo che si è staccato dalla fede e dalla vita cristiana; lontano, dove il Sacerdote non arriva, nel regno delle realtà temporali, che hanno bisogno d’essere penetrate dal soffio dello spirito; andate, perché Noi vi mandiamo e la carità di Cristo vi spinge e vi fortifica. Vicino e lontano, come i discepoli, come gli apostoli del Signore. Con la Nostra Benedizione Apostolica.

Ai lavoratori il Santo Padre rivolge il seguente benvenuto:

La presenza di altri gruppi rende preziosa per Noi questa Udienza. E fra questi, quello specialmente dei partecipanti al primo Congresso unitario dei movimenti dei Lavoratori della Gioventù di Azione Cattolica Italiana e delle Lavoratrici della Gioventù Femminile di Azione Cattolica Italiana. G.I.A.C. e G.F. Ci portano circa trecento esponenti responsabili diocesani di un’attività quanto mai importante ed interessante nascente da e per le leve giovanili del mondo del lavoro.

Visita più cara non potevamo ricevere oggi, primo maggio, festa del lavoro; festa per noi cattolici, che s’illumina della figura, dell’esempio, della protezione di San Giuseppe lavoratore, colui che fece qualificare Gesù come «figlio del fabbro», operaio perciò anche Lui, Cristo, il nostro Maestro di vita, il Redentore dell’umanità. O carissima Gioventù lavoratrice, che vieni a Noi nel giorno che apre dinanzi al Nostro sguardo gli immensi campi degli uomini impegnati nello sforzo di cavare il pane, di trarre le forze, di scoprire i segreti, di ricavare ricchezze dalla terra dura e nemica per gli oziosi, prodiga ed amica per chi la studia, la domina, la coltiva, la trasforma; nel giorno che ricorda a Noi i grandi problemi che travagliano e trasformano le classi lavoratrici e che accende in Noi l’interesse e l’amore per esse; o Gioventù già piena di ansie, di amarezze e di aspirazioni, accogli oggi il Nostro sincero saluto; portalo e fallo risonare là dove già è iniziata la tua fatica, dove la società a te si presenta nelle sue forme concrete ed ancora incomprensibili, dove la coscienza della tua vita si risveglia e comincia a misurarsi con i suoi diritti ed i suoi doveri; e reca tu, Gioventù libera e nuova, la testimonianza della comprensione, dell’affezione della Chiesa per il mondo del Lavoro!

Noi siamo felici di questo incontro per incoraggiare ancora una volta l’opera intesa ad introdurre con appropriata pedagogia cristiana la gioventù nel mondo del Lavoro stesso; a suscitare in essa la coscienza e l’energia morale affinché da sé sappia orientarsi, difendersi, affermarsi; a infondere nei giovani non lo sconforto, il rancore, d la volgarità, ma piuttosto la gioia di vivere e di operare, il

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senso dell’amicizia, della solidarietà e della giustizia sociale, l’amore al lavoro ed all’autodisciplina, l’apprezzamento dei valori morali e religiosi. È questa un’opera di grande merito e di grande urgenza; è un’opera delicata ed impegnativa; ma opera feconda di soddisfazioni per coloro che vi si consacrano seriamente; opera da cui la Chiesa, non meno che la società, attende, come dice il programma della presente riunione, d’essere costruita. Accompagniamo questi voti con la Nostra benedizione, ed invochiamo sulla Gioventù lavoratrice e su quanti con amore e con saggezza la assistono, la protezione dell’umile e grande fabbro di Nazareth, S. Giuseppe.

DISCORSO AD UN PELLEGRINAGGIO DI OPERAI NAPOLETANI

Sabato, 3 giugno 1967

Il Santo Padre è lieto di salutare, con i diletti pellegrini di Napoli, il Presule illustre che li accompagna e di salutarlo non solo come Arcivescovo di Napoli, ma anche come prossimo Cardinale di Santa Romana Chiesa. E questo dice la stima, l’affetto, la considerazione che il Papa ha per il loro Arcivescovo e come sia per Sua Santità cosa lieta e piena di speranza l’associarlo a quel Collegio Cardinalizio del quale il Sommo Pontefice si serve per essere consigliato, aiutato e confortato nell’esercizio della sua apostolica missione.

L’avere per sé, in tale ufficio, l’Arcivescovo di Napoli, è una cosa della quale il Papa conosce il pieno valore. Inoltre Napoli è una delle Chiese più antiche del mondo, perché risale, secondo una tradizione venerabile, all’epoca apostolica, ed il Santo Padre aveva riletto, proprio pochi giorni prima, che, quando l’Imperatore Costantino fece sorgere le prime basiliche romane, fondò anche, tramite Papa Silvestro, una chiesa a Capua, che era allora il capoluogo della Campania, e un’altra chiesa a Napoli, il che attesta come Napoli fosse già una grande città, la quale godeva del primo posto sia nella valutazione imperiale sia in quella della Chiesa che, dalle catacombe, veniva a respirare l’aria della libertà dei cittadini del regno di Dio.

Il Papa è quindi lieto che questo vincolo di parentela spirituale e di collaborazione con Napoli sia rinsaldato con l’atto - che Egli ritiene doveroso e felice - che pone a fianco del Sommo Pontefice il loro Arcivescovo; atto con il quale il Santo Padre ha inteso di onorare il clero napoletano, l’intera Campania e tutto il diletto popolo di Napoli, il quale può essere fiero di avere un tale Pastore e un tale Capo come guida spirituale.

Il Papa, rinnovando poi l’espressione della sua sollecitudine ai lavoratori presenti, dopo aver ricordato le origini della «Fiore» e posto in rilievo lo sforzo compiuto dai cinque fratelli Fiore per portare la loro Società a livello industriale nelle cinque sedi nelle quali essa opera, si compiace con essi che danno lavoro, pane, professione e diritto civile a folle di lavoratori nel mondo moderno.

Sua Santità rivolge poi il suo saluto, oltre che ai fondatori, ai dirigenti, a tutti coloro che nelle Officine Fiore svolgono la loro opera, ricordando che, se ancora persistesse il malinteso che la Chiesa non è favorevole al mondo del lavoro, proprio da questo incontro tutti possono vedere quanto, invece, la Chiesa ami i lavoratori, pensi ad essi, come li sostenga e quanto faccia per tutelare e promuovere la loro dignità di uomini, di cittadini della Terra e del Regno dei Cieli.

Vuole pure esprimere, il Santo Padre, la compiacenza che Gli arreca il sapere che essi sono operai del Mezzogiorno d’Italia: Egli ha conosciuto gli operai del Mezzogiorno ed ha avuto occasione di

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apprezzarli quando era a Milano, dove essi giungevano in sì gran numero, per le loro capacità di intelligenza, di assiduità, di disciplina e di organizzazione, per l’opera svolta nelle grandi officine della Regione Lombarda.

Il Mezzogiorno offre al mondo del lavoro braccia e menti di prim’ordine, ed il Papa tiene a rivendicare questa loro abilità e le loro doti, e lo fa con piena coscienza di dire il vero.

Le caratteristiche della «Fiore», il fenomeno da essa rappresentato di una rete di officine collegate lo rende pure molto pensoso. I suoi operai rappresentano infatti un lavoro organizzato, e cioè il lavoro moderno basato sulla molteplicità associata dei lavoratori, presupposto di ogni industria e fondamento di progresso, di sviluppo tecnico, sociale ed economico. Essi costituiscono quindi non solo una speranza per il Mezzogiorno, ma un esempio, dimostrando concretamente che la loro terra può essere altrettanto fertile di sviluppo industriale moderno quanto lo è qualsiasi altra d’Italia.

Il paterno elogio Sua Santità vuole estendere poi al Circolo Mediterraneo dei Sarti, con il quale ebbe contatti quando premiò a Milano il miglior sarto d’Italia.

Sua Santità vuole sottolineare poi un altro titolo per esprimere la letizia di quella visita, motivata dal fatto che essi sono credenti, cristiani, religiosi, e questo pone in evidenza un’altra caratteristica del popolo meridionale: la sua religiosità. Il Papa è lieto che essi ne portino la testimonianza, e desidera accoglierli non soltanto come lavoratori, ma come figli della Chiesa, e cioè con una corrente di maggiore simpatia, di carità, di colloquio personale con ciascuno; come il padre si intrattiene coi figli.

L’uomo moderno, assorbito dal lavoro, finisce per dimenticarsi di guardare in alto; e s’interessa più delle cose della terra, dei beni economici che di altro; perciò il Concilio, che è stato uno sforzo di rinnovamento della vita religiosa, ha voluto ricordare al mondo moderno che bisogna guardare anche il Cielo: là è la patria futura; siamo fatti per camminare sulla terra, non per strisciarvi; bisogna procurarsi il necessario ma non dimenticare che nella vita bisogna attendere alla ricerca superiore di Dio e dei beni spirituali.

Nel motto di San Benedetto «Ora et labora» è il segreto delle questioni sociali, morali e spirituali del nostro tempo, il quale, purtroppo, si caratterizza per aver invece separato queste due parole.

Il Santo Padre si augura pertanto che tutti i lavoratori sappiano unire alle loro quotidiane fatiche la fede che li fa cristiani e figli di Dio e dà speranze che trascendono il livello del tempo e i confini della materia: la parola della Fede entri dunque come un programma, e non come un peso, nei loro spiriti.

Conclude invitando i presenti ad essere portatori e messaggeri del suo saluto e della sua benedizione a tutti i loro colleghi, agli ammalati, ai vecchi e ai bambini.

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UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 20 marzo 1968

UN DIRITTO INSOPPRIMIBILE AL BENESSERE

Diletti Figli e Figlie!

La vostra vita Ci trova occupati da un pensiero, di cui crediamo bene dare conto anche a voi, come padre ai suoi, figli. È un anno (l’anniversario esatto cadeva ieri, 26 marzo), è un anno da che Noi abbiamo pubblicato la lettera-enciclica, che dalle parole iniziali s’intitola «Populorum progressio», rivolta alla Chiesa e al mondo per impegnare l’attenzione di tutti sopra un fatto caratteristico e capitale del nostro tempo, il risveglio cioè della coscienza dei popoli circa il bisogno di progredire, un risveglio che sembra scoprire una legge generale dell’umanità, quella d’essere di più, d’avere di più, di fruire di più dei beni che la vita ed il mondo mettono a disposizione dell’uomo. Questa idea di progresso non era nuova per le nazioni già civilizzate e sviluppate, tanto da costituire una di quelle formole magiche e mitiche di cui l’uomo moderno si compiaceva e si esaltava, come fosse una religione, una somma concezione dei tempi nuovi. Ma quando l’idea di progresso entrò nella psicologia delle popolazioni stagnanti nelle loro forme primitive, o imperfette di civiltà, prive cioè delle prodigiose risorse economiche e sociali derivanti dalle scoperte scientifiche (pensate, ad esempio, all’elettricità) e dall’applicazione delle risorse della natura alla macchina, a potenti strumenti cioè ausiliari del lavoro umano fino a moltiplicarne prodigiosamente il rendimento diminuendone in pari tempo la fatica, un’inquietudine enorme sollevò e solleva queste popolazioni, suscitando in esse il desiderio, il bisogno, il diritto a passare dal livello modesto, e spesso miserabile, del loro tenore di vita ad un livello più alto, più ricco, più degno, più umano. Questa aspirazione è tuttora in piena efficienza; essa fermenta nella maggior parte dell’umanità, producendo gli effetti molteplici, che tutti conosciamo: lo sforzo verso l’indipendenza, politica dapprima, economica e culturale poi, mettendo in evidenza condizioni alle volte tristissime di questi popoli nuovi, la fame, la malattia, l’ignoranza, l’incapacità a trasformarsi in meglio con le loro proprie forze; e insofferenti come essi sono d’ogni sfruttamento colonialista, non riconoscono talora nemmeno i vantaggi che l’epoca coloniale loro recò, e misurano così la loro inferiorità al confronto dei popoli progrediti, con sentimenti ribelli ad ogni forma di tutela da parte di popoli ricchi, e ostili a quello stesso benessere che si è fra loro prodotto per opera altrui, e ancor oggi detenuto da pochi, forestieri o indigeni che siano, a loro quasi esclusivo vantaggio.

Lacrime e collera caratterizzano, per lo più, la psicologia di questi popoli giovani, che soffrono d’un male nuovo, prima inavvertito, oggi intollerabile, l’avvertenza della sperequazione economica e civile, che li separa e li umilia nel confronto dei popoli benestanti.

DIMENSIONE INTERNAZIONALE DI GRAVI PROBLEMI

È un problema cruciale e mondiale. Esso trasferisce la famosa questione sociale dall’interno delle singole società alla dimensione internazionale, alla umanità intera; e se la giustizia sociale - che promuove la trasformazione delle classi componenti una società verso una più equa distribuzione della ricchezza e della cultura, in modo che a nessuno manchi la sufficienza per vivere da uomo, ed a nessuno sia dato un esagerato ed egoistico godimento dei beni temporali quando altri ne siano penosamente privi - si applica sul piano delle relazioni fra nazione e nazione, si comprende la vastità e l’importanza dei problemi suscitati dal progresso moderno, quando oramai ogni popolo ne acquisti la nozione, e con la nozione la pretesa, per tanti versi legittima, d’esserne partecipe.

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Può la Chiesa disinteressarsi di questo gigantesco aspetto della vita umana contemporanea? La Chiesa certamente non è fatta per occuparsi della soluzione tecnica di questi problemi; vogliamo dire dei problemi economici e politici che riguardano la ammissione dei popoli in via di sviluppo al livello di sufficienza e di dignità che loro compete; ma questi stessi problemi derivano la loro forza logica ed umana da una concezione della vita umana, che solo la religione ad essi fornisce. E cioè: è la religione, quella cristiana fra tutte, che vede nel progresso umano una intenzione divina: Dio ha creato l’uomo perché fosse signore della terra, e la terra fosse a beneficio ordinato di tutti. È la religione che offre fondamento di giustizia alle rivendicazioni dei non abbienti, quando ricorda che tutti gli uomini sono figli d’uno stesso Padre celeste, e perciò fratelli. È la religione che sola può ricordare al ricco d’essere amministratore, e non padrone dispotico dei suoi beni, i cui frutti devono in qualche equa misura essere a profitto di chi ne abbisogna. È la religione cattolica, la nostra, che instaura la legge suprema della carità, chiaroveggente dei mali e dei bisogni del prossimo, e cogente, col soave e libero impero dell’amore, al soccorso altrui; ed è la religione di Cristo, della quale è principio e fine in questo mondo l’ordine, l’equilibrio, la concordia degli uomini, che ricorda essere lo sviluppo dei popoli il nome attuale della pace.

UNA PRESENZA DI GIUSTIZIA DI COMPRENSIONE E DI PACE

Potevamo Noi tacere, se così stanno le cose? Non potevamo. E perciò abbiamo parlato. È sembrato ad alcuni che la Nostra parola fosse aspra e ingiustificata verso quei sistemi economici, che di per sé non tendono a creare condizioni paritarie fra gli uomini, favorendo gli uni e obbligando gli altri a soffrire d’una perpetua condizione d’inferiorità; ma non è certo Nostra intenzione di disconoscere i termini naturali dei processi economici, né d’offendere coloro che ne sono i promotori, quando una visione non parziale, non egoista, ma globale, ‘ma umana inquadri tali processi nelle esigenze del bene comune. Così è sembrato ad altri che, denunciando Noi nel nome di Dio i gravissimi bisogni per cui soffre tanta parte dell’umanità, Noi aprissimo la via alla così detta teologia della rivoluzione e della violenza: lungi dal Nostro pensiero e dal Nostro linguaggio una simile aberrazione; cosa ben diversa dalla positiva, coraggiosa e energica attività necessaria, in molti casi per instaurare nuove forme di progresso sociale ed economico. Come pure è sembrato a molti, e fors’anche a voi che Ci ascoltate, che una così complessa e gigantesca questione, qual è quella della retta e decisa promozione del progresso del popoli, esulasse dall’interesse degli uomini singoli, dalla iniziativa privata e da quella dei corpi intermedi; e ciò è vero; questa è questione di chi governa le sorti della politica generale e delle relazioni internazionali; ma tuttavia essa può e deve interessare l’attenzione di tutti, dev’essere oggetto di opinione pubblica, deve entrare nella mentalità di tutti, dev’essere problema di coscienza d’ogni cristiano: le moderne comunicazioni hanno fatto nostro prossimo anche i lontanissimi; e dove è la fame, la miseria, l’impotenza a vivere da uomini liberi e degni, ivi è la chiamata alla nostra carità.

PROSEGUE IL LAVORO INTELLIGENTE E FERVOROSO

Quando voi beneficate le missioni, quando concorrete al soccorso della fame nel mondo: quando sostenete le opere che promuovono l’alfabetizzazione, eccetera, voi rispondete alla vocazione di questa carità universale, che mira al giusto progresso dei popoli.

Abbiamo voluto ricordarvi questo grande tema, a cui la Chiesa è impegnata, ed a cui attende con intelligente e fervorosa attività la Nostra Commissione Post-conciliare Iustitia et Pax (di cui vediamo qui presenti alcuni valorosi dirigenti), affinché sappiate come oggi palpita il cuore della Chiesa; e se il vostro batte all’unisono col suo; la Nostra Benedizione Apostolica vi è assicurata.

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Saluto alle Religiose della Congregazione Romana di San Domenico

Nous tenons à adresser un souhait particulier de bienvenue aux Religieuses de la Congrégation Romaine de Saint Dominique, réunies autour de leur nouvelle Prieure générale pour un chapitre spécial d’aggiornamento. Nous vous encourageons, chères Filles, à tout mettre en œuvre, dans la fidélité à votre vocation apostolique dominicaine, pour assurer le service d’éducation humaine et chrétienne qui vous est confié à travers le monde: promouvoir la formation d’une jeunesse, forte dans sa foi et soucieuse d’apostolat dans son milieu de vie. Aussi est-ce volontier que Nous louons vos efforts généreux de rénovation religieuse dans l’esprit du Concile et de l’Eglise et que Nous vous bénissons, toutes et chacune, de grand cœur.

Due pellegrinaggi della Jugoslavia

Il Nostro saluto si rivolge ora ai due gruppi di pellegrini venuti dalla Jugoslavia: ai fedeli della parrocchia di S. Antonio di Zagabria, e a quelli della Diocesi di Maribor.

Siate i benvenuti, Figli dilettissimi!

Ci recate con la vostra visita la viva eco del vostro Paese che Noi molto amiamo ed apprezziamo. E Ci recate insieme la prova del vostro amore e della vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa; amore e fedeltà che vi proponete certamente di rafforzare in questo odierno incontro col Successore di Pietro. Comprendete allora che il Nostro saluto non è un semplice gesto convenzionale, ma vuol dirvi invece tutta la Nostra soddisfazione di potervi accogliere, di assicurarvi del Nostro affetto e di promettervi l’assistenza delle Nostre preghiere.

Entrando oggi nella casa del Padre Comune, avete potuto gustare spiritualmente e quasi sensibilmente la gioia di appartenere alla grande universale famiglia della Chiesa Cattolica, e avrete ripetuto dentro di voi le parole. del Salmista: «Quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum» (Salmo 132, 1).

Ritornando alle vostre case, siate i testimoni di questa felice esperienza, e conservatela gelosamente come grazia grande nei vostri cuori; vi aiuterà a mantenervi saldi in quella fermezza di fede e di propositi di vita cristiana che siete venuti ad attingere alla Tomba di San Pietro.

A tal fine vi impartiamo di cuore la Nostra Apostolica Benedizione.

DISCORSO AGLI ASSISTENTI ECCLESIASTICI DELLE ACLI

Mercoledì, 24 aprile 1968

IL GRAVE E ASSIDUO IMPEGNO DELL'ASSISTENZA SPIRITUALE AL MONDO DEL LAVORO

Cari e venerati Confratelli,

Quale altra parola potremo Noi dirvi in questo brevissimo incontro, per tutto riassumere quello che sarebbe da dire a vostro riguardo, se non questa sola: perseverate! Sì, continuate nel vostro

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ministero di assistenza religiosa, di consiglio morale, di amicizia cristiana, di comprensione umana, di presenza vissuta, di dono di voi stessi alle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. Una reminiscenza evangelica sembra suffragare quest’unica Nostra esortazione: «Nessuno che mette mano all’aratro, e si volta indietro, è adatto al regno di Dio» (Luc. 9; 62).

Voi notate che il Nostro incitamento svela una certa diagnosi, più supposta che verificata, dei vostri animi; suppone cioè che voi sentiate la fatica del vostro ministero, e con la fatica la tentazione di abbandonarlo per dedicare l’opera vostra ad altro lavoro, di più facile impegno e di maggiore soddisfazione. L’assistenza spirituale al mondo del lavoro non è impresa leggera e di copioso rendimento; essa presenta oggi non poche difficoltà, d’ambiente soprattutto; e poi reclama impegno grave ed assiduo, offre sorprese impensate, tanto nel campo psicologico, che in quello sociale, esige un continuo aggiornamento di linguaggio e di metodo, non gode di larghi consensi e di facili collaborazioni, espone talvolta a solidarietà compromettenti, e incontra più spesso critiche che approvazioni, sia nell’opinione pubblica, che in quella cattolica. Intrapresa codesta assistenza con fervore e dedizione, espone a sbagli, a intemperanze, a sconfessioni; condotta invece con comoda moderazione autocritica e prudenziale, perde molto della sua efficacia ed è mal ripagata dalla stima e dalla fiducia di coloro a cui è destinata, così insinua nell’animo il dubbio d’essere opera vana e male concepita.

TESTIMONIANZA INCONFUTABILE DELL'ATTUALITÀ DEL VANGELO

Ebbene, cari Confratelli, qualunque sia l’esperienza desunta dal ministero che vi è stato affidato, non lo lasciate, non lo abbandonate, posponendolo ad altro più facile e più fecondo di risultati e di applausi; resistete, finché il mandato dei vostri superiori vi consegna in cotesto posto, alla lusinga d’altro impiego del vostro tempo e della vostra fatica. Non vi faremo l’apologia che il ministero sacerdotale, comunque esercitato nel mondo del lavoro, si merita; voi, del resto, potete farla a Noi stessi e ad altri, meglio di Noi, esperti come siete, non solo delle difficoltà d’un tale ministero, ma altresì dei bisogni che lo reclamano, dell’ampiezza del campo che gli è aperta davanti, dei frutti anche, che non di raro lo premiano e lo consolano. Noi vi ripeteremo un solo argomento, il quale basterebbe da solo a giustificare, anzi a reclamare la vostra operosa presenza in mezzo ai Lavoratori, ed è la testimonianza non verbale, non retorica, non occasionale, non puramente dimostrativa, ma reale, ma vissuta, ma sofferta, ma inconfutabile, dell’interesse, anzi dell’amore, che la Chiesa professa per le classi lavoratrici; diciamo di più, per il mondo dei poveri, per coloro che nel regno temporale hanno meno, spesso assai meno degli altri, ed hanno ancora fame e sete di giustizia, e che il Vangelo gratifica di promesse preferenziali al regno dei cieli. Voi siete gli amici dell’umile popolo; voi siete, in qualche maniera, i colleghi della sua pesante fatica; voi siete i fratelli maggiori che lo possono comprendere, guidare ed istruire; voi siete gli avvocati della giustizia, ch’esso per naturale, se non per legale diritto attende con crescente coscienza ed impazienza; voi siete i portatori della speranza umana e sovrumana, di cui solo il cristianesimo possiede i tesori per coloro che di speranza soffrono, vivono e muoiono (cfr. Mad. Delbrêl, Nous autres, gens des rues, p. 255, ss.).

«AVETE SCELTO LA PARTE MIGLIORE»

La realtà umana, sociale, morale, a cui si rivolge il vostro interesse pastorale, è ancora così grande, e, in molte situazioni tuttora così cruda e così implorante intelligenza e carità, da conferire al sacerdote, che in essa si immerge, un titolo primario, unitamente a quello del ministero sacramentale, della sua vocazione evangelica e della sua missione ecclesiale. Non temete: se sapete conservare come l’albero le sue radici, la comunione contemplativa e affettiva col mistero di presenza, di verità, di obbedienza e di grazia, proprio del sacerdozio cattolico, voi, consacrandovi all’apostolato dei Lavoratori, specialmente quando essi sono poveri, diseredati, soli, illusi ed

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esacerbati dalle loro condizioni di insicurezza, d’insufficienza, di inferiorità, voi, possiamo dire usurpando una parola di nostro Signore, «avete scelto la parte migliore» (Luc. 10, 42). La Chiesa è con voi.

Il Papa è con voi. Piuttosto resta da considerare il vostro posto e la vostra funzione in seno ad un corpo, di cui ora non parliamo, già costituito, nella sua propria organizzazione, qual è quello delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, e già maturo nelle sue esperienze e nei suoi programmi. Ma tutto questo è già in atto, e voi stessi ben sapete come un Assistente ecclesiastico non è un Dirigente - come si dice e si fa - democraticamente nominato; e sapete anche come un delicato, ma amichevole problema di competenze e di rapporti sia permanente in codeste Associazioni circa Dirigenti laici e Assistente ecclesiastico, e come esso esiga vicendevole comprensione e rispetto, ed elastica soluzione. Riconosciamo ai Dirigenti laici la priorità dell’iniziativa e della responsabilità; ma è fuori dubbio che quanto spetta all’Assistente ecclesiastico, è sempre di somma importanza, anche perché esso non è oggetto di contestazione da parte dei nostri Laici, Dirigenti o soci che siano, sì bene è ordinariamente desiderato e bene accolto, a loro guida morale e a loro conforto spirituale.

MIRABILE GUIDA ED ALTO CONFORTO MORALE E RELIGIOSO

Tocca innanzi tutto a voi, Assistenti, tener viva la specificazione cristiana dell’organizzazione e dell’intero suo movimento ideale; una specificazione che vuol essere non puramente nominale, ma reale, cioè aderente sia ai programmi delle Associazioni, sia agli animi, alle coscienze di quanti hanno l’onore e la fortuna di appartenervi. Il che vuol dire proporre al vostro ministero uno dei più grandi problemi spirituali e pastorali del nostro tempo: quello della vita religiosa del mondo del lavoro; problema che va dal modo di conservare una effettiva sopravvivenza alla pratica religiosa tradizionale, all’arte di rendere viva, cosciente, gradita l’assistenza comunitaria ai riti religiosi, alla santa Messa festiva, in modo particolare, alla cui partecipazione la riforma liturgica, mentre ravviva la coscienza della sua essenziale importanza, facilita a tutti l’adesione ed il godimento. È di oggi un denso articolo di Padre Spiazzi su «La fede religiosa nell’età tecnologica» nel quale si osserva: «Sono molti coloro che oggi ritengono che ci sia un insanabile contrasto tra lo spirito religioso e una mentalità dominata non solo dal senso storico di ciò che la tecnica può realizzare e ottenere, ma addirittura da una specie di idolatria della tecnica . . .» (Oss. Rom., p. 5). Sarà studio, sarà zelo di voi, Assistenti, analizzare e risolvere questo contrasto, che per fortuna trova nei bravi Soci delle ACLI frequenti e felici soluzioni.

LA CONDOTTA RESPONSABILE DEL LAVORATORE CRISTIANO

E quanto si dice del culto religioso deve essere esteso alla formazione della mentalità morale e sociale degli Aclisti stessi; non si creda che il vigilante richiamo alla valutazione morale delle cose e delle situazioni sia cosa pedante o superflua; compiuto con tatto, con saggezza, con tempestività esso può costituire un fattore pedagogico d’alto valore, che, lungi dall’annoiare o dall’inceppare la naturale tendenza del Lavoratore all’azione rapida e concreta, può risvegliare in lui il senso della sua dignità e lo stimolo al suo coraggio per una condotta libera e nobile, quale appunto a chi cristiano è chiamato si addice. Cosi può dire del richiamo, che può svilupparsi talora anche in corsi sistematici, alla dottrina sociale della Chiesa; dottrina che solo chi non ha l’occhio aperto alle verità proprie della concezione cristiana dell’uomo e della società, e agli insegnamenti copiosi e moderni del magistero ecclesiastico, può contestare come superata, o addirittura inesistente, o punto originale ed obbligante. Su questo punto voi, Assistenti, siete e dovete essere maestri; e trovate nell’abile e bene informato esercizio di cotesto servizio un merito particolare, quello della fiducia dei vostri assistiti, ben disposti a farsi da discepoli apostoli e da alunni seguaci ed amici. Ed a questo proposito lasciateci aggiungere una esortazione, che Ci sembra suggerita dalla natura del

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vostro ministero e dalla temperie psicologica spirituale e sociale del ‘momento presente: abbiate la fraterna franchezza di essere e di mostrarvi uomini di equilibrio; uomini, cioè, che «guardando in alto, a Gesù Cristo, - come sapientemente si esprime il vostro valoroso ed a Noi caro Assistente Nazionale, Mons. Cesare Pagani - stimolano a chiarire le ambivalenze e a non esasperare gratuiti carismatismi»; e a fare sempre delle ACLI un «centro di forze cristianamente ispirate e capaci di sostenere con i loro dibattiti, con le loro esperienze e con la loro azione il rinnovamento della nostra società» (cfr. M. R. - Agg. sociali, n. 4, 1968, p. 292).

PROSEGUIRE E RICOMINCIARE «IN NOMINE DOMINI»

Non vi pare, cari Confratelli, che in certi momenti della vita, a certe svolte degli avvenimenti, in certe ore di bilancio consuntivo e preventivo della nostra attività, tutto sembri essere messo in questione, e che una tempesta di dubbi, di timori, di noia e di stanchezza ci sorga dal fondo dello spirito con la divorante domanda della pseudosaggezza : «Cui bono?»: Vale la pena? a che giova? Ebbene, se questo fosse per voi uno di quei momenti, vi conforti a serenità, a fortezza, a perseveranza, la Nostra paterna risposta: sì, per la causa di Cristo nel mondo del lavoro, per il bene dei nostri cari Lavoratori, sì vale la pena di continuare, di ricominciare, in nomine Domini, con la Nostra Apostolica Benedizione.

UDIENZA GENERALE «LA PACE DI CRISTO ESULTI NEI VOSTRI CUORI»

Mercoledì, 1° maggio 1968

Mercoledì 1° maggio, solennità di San Giuseppe Artigiano e festa del lavoro, il Santo Padre accorda la settimanale udienza generale a grande moltitudine di fedeli e visitatori provenienti da tutti i continenti.

Nella sua Esortazione Paolo VI riafferma la particolare costante dilezione ed opera della Chiesa nell'elevare ed onorare i lavoratori di ogni categoria; e nell'offrire ad essi i mezzi per un completo benessere secondo lo spirito e l' insegnamento cristiano.

Diletti Figli e Figlie!

Eccoci a celebrare insieme il primo maggio, la festa del lavoro.

È una festa nuova, che ha trovato posto nel calendario religioso in questi ultimi tempi; ed è chiaro che la Chiesa, introducendola nella serie delle sue sacre celebrazioni, manifesta un'intenzione redentrice, quasi un desiderio di ricupero, e certamente uno scopo santificatore.

S'era prodotto un distacco in questi ultimi secoli fra la psicologia del lavoro e quella religiosa, un distacco che ha avuto grandi ripercussioni sociali, e che ancora tiene lontane dalla fede tante folle di uomini e di donne, che fanno del lavoro non solo la loro professione, ma altresì la loro qualifica spirituale, l'espressione della loro suprema concezione della vita, in opposizione a quella cristiana.

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È questo uno dei più grandi malintesi della società moderna, e che tutti oramai dovrebbero sapere risolvere da sé, non solo a lode della verità, ma a tutto vantaggio altresì del lavoro stesso e dei lavoratori, che della fatica e dell'attività produttiva portano nella loro vita l'impronta distintiva.

Infatti, per ciò che riguarda il lavoro, il pensiero cristiano, e per esso la Chiesa, lo considera come espressione delle facoltà umane, e non soltanto di quelle fisiche, ma altresì di quelle spirituali, che imprimono nell'opera manuale il segno della personalità umana, e perciò il suo progresso, la sua perfezione, e alla fine la sua utilità economica e sociale.

Il lavoro è l'esplicazione normale delle facoltà umane, fisiche, morali, spirituali! e riveste perciò la dignità, il talento, il genio perfettivo e produttivo dell'uomo. Ne esplica la sua fondamentale pedagogia, ne segna la statura del suo sviluppo. Obbedisce al disegno primigenio di Dio creatore, che volle l'uomo esploratore, conquistatore, dominatore della terra, dei suoi tesori, delle sue energie, dei suoi secreti.

Non è perciò il lavoro, di per sé, un castigo, una decadenza, un giogo di schiavo, come lo consideravano gli antichi, anche i migliori;ma è l'espressione del naturale bisogno dell'uomo di esercitare le sue forze e di misurarle con le difficoltà delle cose, per ridurle al suo servizio; è l'esplicazione libera e cosciente delle facoltà umane, delle mani dell'uomo guidate dalla sua intelligenza. È nobile perciò il lavoro, e, come ogni onesta attività umana, è sacro.

Qui, fra le tante, due interrogazioni fermano il facile corso di questi pensieri.

E cioè: che cosa dobbiamo dire del lavoro quando esso è pesante, oppressivo, inetto a raggiungere il suo primo risultato, il pane, la sufficienza economica per la vita? quando serve ad accrescere l'altrui ricchezza con lo stento e la miseria propria? quando si manifesta indice, e quasi suggello d'insuperabili e intollerabili sperequazioni economiche e sociali? La risposta teorica è facile, anche se nella pratica è spesso assai difficile; ma è risposta forte della sofferenza umana, una forza alla fine vittoriosa: bisogna rivendicare al lavoro condizioni migliori, progressivamente migliori; bisogna assicurare al lavoro una sua giustizia, che cambi al lavoro il suo volto dolorante e umiliato, e gli renda un volto veramente umano, forte, libero, lieto, irradiato dalla conquista dei beni non solo economici, sufficienti ad una vita degna e sana, ma altresì dei beni superiori della cultura, del ristoro, della legittima gioia di vivere e della speranza cristiana.

Molto è già stato fatto in questo senso, ma altro resta ancora da fare. Le grandi encicliche pontificie hanno alzato voce alta e grave a tale riguardo; e così quella dei Pastori e dei Maestri e degli Esponenti del Laicato cattolico.

Noi oggi ricordiamo queste magistrali parole, come quelle in cui risuona l'eco dei nostri testi liturgici. La Chiesa così onora il lavoro, e cammina anch'essa, non certo alla retroguardia, sulla via maestra della civiltà del vostro tempo.

L'altra questione, che sorge spontanea parlando del lavoro, è quella relativa alla nuova forma, che ha assunto il lavoro moderno, la forma industriale, quella delle macchine, quella della produzione massiccia, quella che ha trasformato la nostra società, marcando la distinzione e l'opposizione delle classi sociali.

Che cosa diremo? si è tanto detto, scritto, operato su questo tema, che non vorremmo apparire semplicisti nelle Nostre risposte. Ma voi conoscete l'elementare semplicità di questo Nostro colloquio. La prima risposta è questa: la Chiesa ammira e incoraggia questa potente espressione del lavoro moderno: perché mira a moltiplicare i beni economici in modo che tutti ne possano, in

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sufficiente misura, godere; e perché, potenziato dalla macchina, il lavoro è diventato meno gravoso sulle spalle dell'uomo (cfr. Danusso).

Potremmo anche dire: perché, organizzato com'è, il lavoro moderno produce nuovi rapporti sociali, nuova solidarietà, nuova amicizia fra chi vi attende, fra i lavoratori specialmente; e ciò è un bene, se davvero la solidarietà dell'amore li unisce e conferisce alla società un tessuto di rapporti umani più compatti e più coscienti, cioè li associa nella confluenza dapprima delle categorie proprie alle indispensabili divisioni funzionali del lavoro compresso e organizzato da compiere, e poi della tutela dei comuni interessi; ma insieme li forma alla concezione organica della società, che non deve risultare dall'urto di contrastanti e irriducibili avidità, ma dall'armonia dialettica della collaborazione ad un ordine giusto per tutti e della partecipazione ad un bene comune razionalmente distribuito. Speranza questa ancora in gran parte, ma anche realtà, che va maturandosi là dove la visione cristiana della società e il concetto sacro della persona umana, quale soltanto il Vangelo può alla fine definire e difendere, guadagnano la mentalità del moderno progresso.

Quante cose avremmo ancora da dire! ma questa risulta quasi da sé: la religione sta alla radice e sta al vertice del processo che fa grandeggiare sia il concetto, che la realtà del lavoro. Essa ha una sua dottrina anche per l'aspetto di fatica e di pena, che il lavoro non perde mai, e ricordandone l'infelice origine (cfr. Gen. 3, 19), ne rammenta il felice e sublime epilogo, il suo valore redentivo (cfr. Matt. 5, 6); e quasi l'insegnamento non bastasse a persuaderci dell'onore e dell'amore che al lavoro umano noi dobbiamo, essa, la nostra religione, un esempio e un protettore oggi ci offre, l'umile e grande San Giuseppe, maestro d'opera a quel Cristo dalle cui mani divine l'opera della creazione e della redenzione sortì.

Veneriamo Giuseppe, il fabbro di Nazareth; e nel suo nome salutiamo e benediciamo oggi tutti i Lavoratori.

E siccome, in un modo o in un altro, tali siete voi tutti, di cuore tutti vi benediciamo.

DISCORSO AI NETTURBINI DI FIRENZE

Domenica, 8 settembre 1968

Diletti figli di Firenze, cari Netturbini,

che ravvivate nel Nostro animo il mai spento ricordo di un Natale non lontano, vissuto insieme, nella sofferenza, ma anche nella fede, nell’amore, nella speranza; e che Ci fate pensare ad una Firenze sempre più bella, rinnovantesi ogni giorno nello splendore del suo magnifico volto anche per merito, certo non piccolo, della vostra quotidiana fatica: voi siete i benvenuti!

Vi raccogliete attorno al Vicario di Cristo per testimoniarGli la vostra filiale incondizionata adesione; e Noi siamo lieti di potervi contemplare così numerosi e fraternamente uniti, con occhio paterno e sentimenti di sincera commozione e gratitudine.

Desideriamo stringervi cordialmente la mano e rendere onore al vostro nome e al vostro servizio. Il vostro lavoro è essenziale e necessario, come le cose importanti a cui si è spesso disattenti: l’aria, l’acqua, la luce del sole. Un servizio pubblico: del quale, cioè, non potrebbe fare a meno la città,

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intesa non solo come complesso di edifici, di strade, di piazze, di giardini, ma anche come ordinato sistema di civile convivenza, ispirato ad alti valori umani.

Quando si parla di «nettezza urbana», o si usa il nome, familiare e simpaticamente modesto, di «Netturbini», si coglie piuttosto l’aspetto immediato del vostro servizio a vantaggio dell’urbe: aspetto che non può certo essere trascurato, rispondendo a ben precise e fondamentali esigenze, senza la cui soddisfazione la stessa urbanità e civiltà - sintesi degli accennati valori - sarebbero gravemente pregiudicate. Ma il vostro servizio contribuisce alla urbanità e alla civiltà anche in maniera più diretta, promovendo il decoro, il buon gusto, l’armonia, il limpido assetto delle cose e dell’ambiente che fanno cornice alla nostra vita: valori, pure questi, che aiutano l’uomo ad essere più uomo, realizzandosi in maniera confacente alla propria dignità.

Sappiamo che la visione della nobiltà del vostro servizio può essere offuscata dalla pesantezza e dalla monotonia delle prestazioni; dal dover realisticamente conoscere, della città, anche le macchie e le rughe. Senza dire di altri problemi che possono interessare la vostra categoria e le vostre care famiglie. Il Papa, peraltro, confida che le Sue precedenti parole, intese a mettere in luce quel personaggio importante che è il Netturbino, vi riescano di aiuto per superare, appunto, tali difficoltà; per rafforzarvi nella coscienza della vostra missione; per ottenervi, sempre, da parte di tutti, la riconoscenza, il rispetto, la collaborazione che ben meritate.

Ma c’è di più. La vostra appartenenza alle ACLI, che non possiamo non sottolineare con vivo compiacimento, Ci assicura che il vostro servizio è animato dallo spirito cristiano; e pertanto, quanto maggior onore e quanto maggior conforto ve ne deriva!

In detto spirito, le stesse dimensioni temporali della vostra attività sono sì assunte e fatte proprie dall’ordine della grazia, ma ne vengono anche completate e superate. Ed una luce ed una forza nuova scendono, in particolare, sui vostri sacrifici, giacché lo spirito cristiano, mentre dà energico impulso alla promozione della città terrena e del benessere temporale, fa al tempo stesso ricordare che, non avendo quaggiù stabile dimora, invano cerca l’uomo una soluzione vera e integrale ai propri problemi, se prescinde dal mistero del Regno eterno.

Vogliate accogliere, diletti figli, questi pensieri; ritornarci sopra con la vostra meditazione; servirvene anche nel vostro generoso e illuminato apostolato.

E vi accompagni la Nostra Benedizione, che di gran cuore impartiamo a voi e alle vostre famiglie, propiziatrice dei più eletti doni del Cielo.

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE NEL CENTRO SIDERURGICO DI TARANTO

OMELIA

Notte Santa, 24-25 dicembre 1968

PER CIASCUNO E PER TUTTI PADRE PASTORE FRATELLO AMICO

Figli! Fratelli! Amici! Uomini sconosciuti e già da Noi amati come reciprocamente legati - voi a Noi, Noi a voi - da una parentela superiore a quella del sangue, del territorio, della cultura; una

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parentela, ch’è una solidarietà di destini, una comunione di fede, esistente o da suscitare, una unità misteriosa, quella che ci fa cristiani, una sola cosa in Cristo!

Tutte le distanze sono superate, le differenze cadono, le diffidenze e le riserve si sciolgono; siamo insieme, come se non fossimo forestieri gli uni e gli altri; e questo specialmente con Noi, proprio perché siamo vostri, come lo è il Papa per tutti, per i cattolici, quali voi siete, specialmente: Padre, Pastore, Maestro, Fratello, Amico! Per ciascuno, per tutti.

Così adesso pensateci! Così ascoltateci!

Siamo qua venuti per voi, Lavoratori! Per voi Lavoratori di questo nuovo e colossale centro siderurgico; ed anche per gli altri delle officine e dei cantieri di questa Città e di questa Regione; e diciamo pure per tutti i Lavoratori dell’immenso e formidabile settore dell’Industria moderna (e non dimentichiamo neppure i Lavoratori dei campi, i Pescatori, gli Addetti ai cantieri navali, i Marinai, e quelli d’ogni altro campo dell’attività umana: voi ora tutti li rappresentate al Nostro sguardo).

Per voi, Lavoratori!

Ma prima che Noi vi parliamo, lasciateci essere cortesi e riconoscenti con tutti coloro che qui Ci hanno accolto e permesso di entrare. Noi Ci sentiamo obbligati a ringraziare le Autorità civili e militari, i Promotori e i Dirigenti di questa gigantesca impresa; così l’Arcivescovo e quanti spiritualmente e socialmente vi assistono; le vostre Rappresentanze; ed anche le vostre Famiglie, i vostri Figli, tutta la Popolazione di questa Città e di questa Regione. A tutti il Nostro saluto, il Nostro augurio ed anche la Nostra Benedizione. Il Natale riempie il cuore di voti buoni e felici per tutti.

AGLI OPERAI IL MESSAGGIO DI RINNOVAZIONE E DI SPERANZA DEL REDENTORE DEL MONDO

Ma ora a voi, Lavoratori, che cosa diremo nel breve momento concesso a questo nostro rapido incontro?

Vi parliamo col cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Ed è questa: Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e Noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo, che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo. Voi pensate e lavorate in una maniera tanto diversa da quella in cui pensa ed opera la Chiesa! Vi dicevamo, salutandovi, che siamo fratelli ed amici: ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. Una volta non era così. (Anni fa Noi parlammo di questo fenomeno a Torino). Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere. Non è questo il momento di spiegarvi perché. Ma per ora vi basti il fatto che Noi, proprio come Papa della Chiesa cattolica, come misero, ma autentico rappresentante di quel Cristo, della cui Natività noi questa notte celebriamo la memoria, anzi Ia spirituale rinnovazione, siamo venuti qua fra voi per dirvi che questa separazione fra il vostro mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere. Ripeteremo ancora una volta da questo centro siderurgico, che consideriamo ora espressione tipica del lavoro moderno, portato alle sue più alte manifestazioni industriali, d’ingegno, di scienza, di tecnica, di dimensioni economiche, di finalità sociali, che il messaggio cristiano non gli è estraneo, non gli è rifiutato; anzi diremo che quanto più l’opera umana qui si afferma nelle sue dimensioni di progresso scientifico, di potenza, di forza, di organizzazione,

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di utilità, di meraviglia - di modernità insomma - tanto più merita e reclama che Gesù, l’operaio profeta, il maestro e l’amico dell’umanità, il Salvatore del mondo, il Verbo di Dio, che si incarna nella nostra umana natura, l’Uomo del dolore e dell’amore, il Messia misterioso e arbitro della storia, annunci qui, e di qui al mondo, il suo messaggio di rinnovazione e di speranza.

LE CONQUISTE DELL’UMANITÀ SONO CONFERMA DELLA GRANDEZZA E DELL’INEFFABILE DISEGNO DI DIO

Lavoratori, che Ci ascoltate: Gesù, il Cristo, è per voi!

Ricordate e meditate: il Cristo del Vangelo, quello che la Chiesa cattolica vi presenta e vi offre, è per voi! Questa notte è con voi!

Non abbiate timore che questa presenza, questa alleanza, vissuta nella fede e nel costume, voglia mutare l’aspetto, la finalità, l’ordinamento d’un’impresa come questa, e d’altre simili; voglia cioè, come volgarmente si dice, clericalizzare il lavoro moderno dell’uomo, ovvero frenare la sua espansione, opporre la finalità religiosa della vita allo sviluppo dell’attività umana, il Vangelo al progresso scientifico, tecnico, economico e sociale.

Voi avete certamente sentito parlare del recente Concilio, nel quale la Chiesa ha espresso e precisato il suo pensiero a riguardo dei suoi rapporti col mondo contemporaneo. Ecco che cosa dice il Concilio: «I cristiani . . . non solo non pensano di contrapporre le conquiste dell’ingegno e dell’abilità dell’uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale sia rivale del Creatore; ma, al contrario, essi - i cristiani - sono piuttosto persuasi che le conquiste dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto d’un suo ineffabile disegno. E quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità individuale e collettiva» (Gaudium et spes, n. 34).

Questo vale per chi pone a confronto il cristianesimo con l’umanesimo del lavoro moderno; e vale specialmente per chi infonde in questo lavoro le risorse della scienza, della tecnica, dell’organizzazione industriale, e produce opere ciclopiche e perfette come quella in cui ci troviamo, ovvero domina in tal modo le leggi e le forze della natura da aprire agli ardimenti dell’uomo imprese impensabili e meravigliose, come quella che proprio durante questa notte porta tre uomini a girare nello spazio celeste intorno alla Luna. Onore ai pionieri dell’espansione dell’intelligenza e dell’attività dell’uomo! E gloria a Dio che sul volto dell’uomo irradia la sua luce e imprime alle facoltà umane la regale potestà di dominare le creature che lo circondano (cfr. Gen. 1, 20 ss.; cfr. S. IRENEO, Gloria Dei vivens homo).

È questo un pensiero, un principio, che dovrà sempre più diventare sorgente di meditazione per l’uomo moderno, e suscitare in lui non l’orgoglio e la tragedia di Prometeo, ma quel sentimento primordiale e dinamico di simpatia e di fiducia verso la natura, di cui siamo parte e in cui siamo esploratori (cfr. EINSTEIN, Cosmic Religion, New York, 1931, 52-53); sentimento che si chiama meraviglia - sentimento di gioventù e d’intelligenza -, e che passando dall’osservazione incantata delle cose alla ricerca suprema della loro origine diventa scoperta del mistero, diventa adorazione, diventa preghiera.

Cari Lavoratori! sono parole difficili? No; sono parole consolanti, e proprio per voi, che vivete in questo quadro, che sembra a prima vista un enigma formidabile, un intreccio di macchine e di energie incomprensibile, un regno della materia che dispiega certi suoi segreti, che voi trasformate con una lotta tremenda e abilissima in elemento utile ad altri lavori, perché sia poi utile al servizio e al bisogno dell’uomo. Voi avete davanti una visione estremamente realista, ma non materialista.

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Voi sapete come trattare la materia, che sembra ingrata e refrattaria ad ogni tentativo dell’arte umana; sapete trattarla e dominarla, perché, da un lato, siete diventati così intelligenti, voi e chi vi dirige, da scoprire le leggi nuove del mestiere umano, cioè dell’arte di dominare le cose, e, d’altro lato, avete scoperto, voi e i vostri maestri, le leggi nascoste nelle cose stesse: le leggi? Che cosa sono le leggi, se non pensieri? Pensieri nascosti nelle cose, pensieri imperativi che non solo le definiscono con i nostri nomi comuni, ferro, fuoco, o altro, ma che danno ad esse un loro essere particolare, un essere che da sé, è evidente, le cose non sanno darsi, un essere ricevuto, un essere che diciamo creato. Voi incontrate ad ogni fase del vostro immane lavoro questo essere creato, che VUOI dire pensato. Pensato da Chi? Voi, senza accorgervi, estraete dalle cose una risposta, una parola, una legge, un pensiero, ch’è dentro le cose; un pensiero che, a ben riflettere, ci porta a rintracciare la mano, la potenza, che diciamo?, la presenza, immanente e trascendente, cioè li dentro e li sopra, d’uno Spirito Pensante e Onnipotente, al quale siamo abituati a dare il nome, che ora Ci trema sulle labbra, il nome misterioso di Dio.

LAVORO E PREGHIERA HANNO UNA RADICE COMUNE ANCHE SE ESPRESSIONE DIVERSA

Cioè, cioè, cari Lavoratori! voi vedete come quando lavorate in questa officina è, in certo senso, come se foste in Chiesa; voi, senza pensarvi, voi qui venite a contatto con l’opera, col pensiero, con la presenza di Dio. Voi vedete come lavoro e preghiera hanno una radice comune, anche se espressione diversa. Voi, se siete intelligenti, se siete veri uomini, potete e dovete essere religiosi, qui, nei vostri immensi padiglioni del lavoro terrestre, senza altro fare che amare, pensare, ammirare il vostro faticoso lavoro.

Abbiamo detto faticoso; cioè abbiamo riconosciuto l’aspetto umano dell’opera vostra. Qui due mondi s’incontrano: la materia e l’uomo; la macchina, lo strumento, la struttura industriale da una parte, la mano, la fatica, la condizione di vita del lavoratore dall’altra. Il primo mondo, quello della materia, ha una sua segreta rivelazione spirituale e divina, Noi dicevamo, da fare a chi la sa cogliere; ma quest’altro mondo, che è l’uomo, impegnato nel lavoro, carico di fatica, e pieno lui stesso di sentimenti, di pensieri, di bisogni, di stanchezza, di dolore, quale sorte trova qui dentro? Qual è, in altri termini, la condizione del Lavoratore impegnato nell’organizzazione industriale? sarà macchina anche lui? puro strumento che vende la propria fatica per avere un pane, un pane da vivere; perché prima e dopo tutto, la vita è la cosa più importante d’ogni altra; l’uomo vale più della macchina e più della sua produzione. Sappiamo bene tutte queste cose, le quali hanno assunto, nel tempo passato e ancora assumono, nel tempo nostro, una importanza nuova, immensa, predominante; e hanno avuto la loro espressione in quel complesso di problemi e di lotte, che chiamiamo la questione sociale. Tutti sanno quali sono stati i fenomeni culturali, storici, sociali, economici, politici, nei quali la questione sociale si è posta e si pone. Non è in questo momento che se ne vuole parlare.

In questo momento a Noi, e certo a voi, preme di risolvere con qualche risposta, sia pure molto sommaria, l’obbiezione che Noi stessi abbiamo sollevato entrando qua dentro; e cioè: che cosa fa . il messaggero del Vangelo qua dentro? che cosa può dire il rappresentante di Cristo a questo vostro mondo del lavoro moderno? a voi, specialmente, lavoratori delle braccia, datori di quella fatica fisica, umile ed estenuante, che ancora nessuna macchina vale a sostituire?

Cari Lavoratori! sotto questo aspetto, quello umano, la Nostra parola diventa più facile, e quasi Ci erompe dal cuore perché Ci sembra di leggerla nel vostro cuore. Che cosa avete nel cuore? siete uomini: siete per questo felici? avete tutto quello che vi spetta come uomini e che voi profondamente desiderate? Questo certamente non può del tutto verificarsi; non lo è per alcuno; non lo è, forse tanto meno, per voi. Ciascuno porta in fondo al suo animo una sofferenza: siete miseri?

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siete veramente liberi? siete affamati di giustizia e di dignità? siete desiderosi di salute? bisognosi di amore? Avete nel cuore sentimenti di rancore e di odio? avete ansia di vendetta e di ribellione? Dov’è per voi la pace, la fratellanza, la solidarietà, l’amicizia, la lealtà, la bontà? dentro e fuori di voi?

LA CHIESA VI CONOSCE VI INTERPRETA VI DIFENDE IN PIENA GIUSTIZIA

Noi vi diremo una cosa, che dovrete ricordare: noi vi comprendiamo. Dicendo noi, diciamo la Chiesa. Sì, la Chiesa, come una madre, vi comprende. Non dite e non pensate mai che la Chiesa sia cieca ai vostri bisogni, sorda alle vostre voci. Ancora prima che voi abbiate coscienza di voi stessi, delle vostre condizioni reali, totali e profonde, la Chiesa vi conosce, vi studia, vi interpreta, vi difende. Anche più che voi talvolta non pensiate. Che direste se noi, la Chiesa, ci limitassimo a conoscere le passioni che hanno agitato in tanti modi le classi lavoratrici? Che cosa moveva queste passioni? Il desiderio, il bisogno di giustizia. La Chiesa non condivide le passioni classiste, quando queste esplodono in sentimenti di odio e in gesti di violenza; ma la Chiesa riconosce, sì, il bisogno di giustizia del popolo onesto, e lo difende, come può, e lo promuove. E badate bene: non di solo pane vive l’uomo, dice la Chiesa ripetendo le parole di Cristo; non di sola giustizia economica, di salario, di qualche benessere materiale, ha bisogno il Lavoratore, ma di giustizia civile e sociale. Ancora per questa rivendicazione la Chiesa vi comprende e vi aiuta. E di più: voi avete altri bisogni e altri diritti; a tutelare i quali la Chiesa molto spesso rimane l’unica vostra avvocata; i bisogni e i diritti dello spirito, quelli propri di figli di Dio, quelli di cittadini del regno delle anime, chiamate ai veri e superiori destini della pienezza della vera vita presente e di quella futura. Non siete voi elevati a questa eguaglianza, che supera ogni dislivello sociale? Anzi non siete fra tutti i preferiti del Vangelo, voi se piccoli, voi se poveri, voi se sofferenti, voi se oppressi, voi se assetati di giustizia, voi se capaci di gioia vera e di amore vero?

La Chiesa questo pensa e dice di voi e per voi. Ed è chiaro il perché. Perché la Chiesa è la continuazione di Cristo. La Chiesa è il tramite che porta attraverso i secoli e diffonde per tutta la terra la Parola del Signore, anzi la presenza, avvertita solo da chi crede, di Gesù, di quel Gesù, del quale questa notte commemoriamo e in noi, spiritualmente, rinnoviamo la nascita.

REALTÀ NECESSARIA E SUBLIME: CRISTO È PRESENTE FRA VOI

Dite una cosa: trovate strano, allora, trovate anacronista, trovate nemico il messaggio del Vangelo qui dentro? non vi sono uomini vivi, uomini sofferenti, uomini bisognosi di dignità, di pace, di amore qui dentro, che non comprendono il pericolo d’essere ridotti ad esseri di una «sola dimensione», quella di strumenti, e che non si accorgono proprio qui (vogliamo dire nel cuore del mondo industriale in grande stile), dove il pericolo di questa disumanizzazione è maggiore, proprio qui il soffio del Vangelo, come ossigeno di vita degna dell’uomo, è più che mai al suo posto, e la presenza umile e amorosa di Cristo è più che mai necessaria?

Ecco, figli carissimi, perché qua siamo venuti. Siamo venuti per voi. Siamo venuti, affinché la Nostra presenza vi dimostrasse la presenza consolatrice, salvatrice di Cristo in mezzo al mondo meraviglioso, ma vuoto di fede e di grazia, del lavoro moderno. Siamo venuti per lanciare di qui, come uno squillo di tromba risonante nel mondo, il beato annunzio del Natale all’umanità che sale, che studia, che lavora, che fatica, che soffre, che piange e che spera; e l’annuncio è quello degli Angeli di Bethleem: oggi è nato il Salvatore vostro, Cristo Signore.

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DISCORSO ALL'ASSEMBLEA DELL'ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL

LAVORO NEL 50° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE

Ginevra - Martedì, 10 giugno 1969

Signor Presidente, Signor Direttore Generale, Signori,

INTRODUZIONE

1. È per Noi un onore e una gioia partecipare ufficialmente a questa Assemblea, nell’ora solenne in cui l’Organizzazione Internazionale del Lavoro celebra il cinquantesimo anniversario della sua fondazione. Perché siamo qui? Noi non apparteniamo a questo organismo internazionale. Noi siamo estranei alle questioni specifiche, che trovano qui i loro uffici di studio e le loro sale di delibazione, e la Nostra missione spirituale non intende intervenire al di fuori del proprio dominio. Se Noi siamo qui, è, Signor Direttore, per rispondere all’invito che voi Ci avete così amabilmente rivolto. E Noi siamo felici di ringraziarvene pubblicamente, di dirvi come Noi abbiamo apprezzato questo atto così cortese, come Noi ne misuriamo la importanza, e di quale valore Ci appare il suo significato.

I. PER NULLA ESTRANEO ALLA GRANDE CAUSA DEL LAVORO, MA AMICO

2. Senza particolare competenza nelle discussioni tecniche sulla difesa e la promozione del lavoro umano, Noi non siamo tuttavia per nulla estranei a questa grande causa del lavoro, che costituisce la vostra ragion d’essere, e alla quale voi consacrate le vostre energie.

La Bibbia e il lavoro dell’uomo

3. Fin dalla sua prima pagina, la Bibbia di cui Noi siamo il messaggero ci presenta la creazione come originata dal lavoro del Creatore (cfr. Gen. 2, 7) e affidata al lavoro della creatura, il cui sforzo intelligente deve metterla in valore, perfezionarla per così dire nell’umanizzarla, al suo servizio (cfr. Gen. 1, 29 e Populorum progressio, 22). Così il lavoro è, secondo il pensiero divino, l’attività normale dell’uomo (cfr. Ps. 104, 23 ed Eccli. 7, 15), e rallegrarsi e gioire dei suoi frutti un dono di Dio (cfr. Eccli. 5, 18), giacché ciascuno è naturalmente retribuito secondo le sue opere (cfr. Ps. 62, 13 e 128, 2; Matth. 16, 27; 1 Cor. 15, 58; 2 Thess. 3, 10). Gesù Cristo e la dignità del lavoro 4. In tutte queste pagine della Bibbia, il lavoro appare come un dato fondamentale della condizione umana, al punto che, divenuto uno di noi (cfr. Io. 1, 14), il Figlio di Dio è divenuto anche allo stesso tempo un lavoratore, che si designava naturalmente nel suo ambiente con la professione dei suoi. Gesù è conosciuto come «il figlio del carpentiere» (Matth. 13, 55). Il lavoro dell’uomo acquistava da ciò i più alti titoli di nobiltà che si potessero immaginare, e voi li avete voluti presenti al posto d’onore, nella sede della vostra Organizzazione, con questo mirabile affresco di Maurice Denis consacrato alla dignità del lavoro, dove il Cristo annunzia la Buona Novella ai lavoratori che lo circondano, figli di Dio anch’essi e tutti fratelli.

I pionieri della giustizia sociale

5. Se non è compito Nostro evocare la storia, che ha visto nascere e affermarsi la vostra Organizzazione, Noi non possiamo per lo meno passare sotto silenzio, in questo Paese ospitale, l’opera di pionieri come Mons. Mermillod e l’Unione di Friburgo, l’ammirabile esempio dato

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dall’industriale protestante Daniel Le Grand, e la feconda iniziativa del cattolico Gaspard Decurtins, primo germe di una Conferenza internazionale sul lavoro. Come potremmo Noi anche dimenticare, Signori, che il vostro primo direttore desiderava, per il 40° anniversario dell’enciclica di Leone XIII sulle condizioni del lavoro, rendere omaggio agli operatori tenaci della giustizia sociale, e tra gli altri quelli che si rifanno all’enciclica Rerum novarum (citato da A. LE ROY, Catholicisme social et Organisation Internationale du Travail, Park, Spes, 1937, p. 16). E, facendo il bilancio di «Dieci anni di Organizzazione Internazionale del Lavoro», i funzionari dell’organismo Internazionale del Lavoro non esitavano a riconoscerlo: «Il grande movimento nato, nel seno della Chiesa Cattolica, dall’enciclica Rerum novarum, ha provato la sua fecondità» (Dix ans d’organisation Internationale du Travail, Genève, BIT 1931, p. 461).

Dalla «Rerum novarum» alla «Populorum progressio»

6. La simpatia della Chiesa per la vostra Organizzazione, come per il mondo del lavoro, non cessava fin da allora di manifestarsi, e particolarmente nell’enciclica Quadragesimo anno

di Pio XI (Enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, n. 24), nell’allocuzione di Pio XII al Consiglio d’Amministrazione dell’organismo Internazionale del Lavoro (Allocuzione del 19 novembre 1954), nella enciclica Mater et Magistra

di Giovanni XXIII che esprimeva il suo «cordiale apprezzamento per l’OIT . . . per il suo valido e prezioso contributo alla instaurazione nel mondo di un ordine economico-sociale informato a giustizia ed umanità, nel quale trovano la loro espressione anche le istanze legittime dei lavoratori» (Enc. Mater et Magistra, 15 maggio 1961, n. 103).

Noi stessi avevamo la gioia, al termine del Concilio ecumenico Vaticano secondo, di promulgare la Costituzione pastorale Gaudium et spes

elaborata dai Vescovi del mondo intero. La Chiesa vi riafferma il valore del «gigantesco sforzo dell’attività umana individuale e collettiva», la prevalenza del lavoro degli uomini sugli «altri elementi della vita economica, che non hanno valore che di strumenti», con i diritti imprescrittibili e i doveri che richiede un tale principio (Cost. Past. Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, nn. 34 e 67-68). La Nostra enciclica Populorum progressio, infine, si è adoperata a far prendere coscienza che «la questione sociale è diventata mondiale», con le conseguenze che ne derivano per lo sviluppo integrale e solidale dei popoli, lo sviluppo che è il «nuovo nome della pace» (Enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, nn. 3 e 76).

Osservatore e amico dell’OIT e delle altre Istituzioni ginevrine

7. Ve lo diciamo: Noi siamo un osservatore attento dell’opera che voi svolgete qui, di più, un ammiratore fervente dell’attività che spiegate, un collaboratore anche, felice di essere invitato a celebrare con voi l’esistenza, le funzioni, le realizzazioni e i meriti di questa istituzione mondiale, e di farlo da amico. E Noi non vogliamo dimenticare, in questa circostanza solenne, le altre istituzioni internazionali ginevrine, a cominciare dalla Croce Rossa, tutte istituzioni meritevoli e degne di elogi, alle quali Noi desideriamo estendere i Nostri saluti rispettosi e i Nostri voti ferventi.

Tempi e prove affrontate in nome di un nobile ideale

8. Per Noi che apparteniamo ad una Istituzione posta da duemila anni di fronte all’usura del tempo, questi cinquanta anni instancabilmente dedicati alla Organizzazione Internazionale del Lavoro sono la sorgente di feconde riflessioni. Tutti sanno che una tale durata è un fatto veramente singolare nella storia del nostro secolo. La fatale precarietà delle cose umane, che l’accelerazione della civiltà moderna ha reso più evidente e più divorante, non ha scosso la vostra istituzione, al cui ideale Noi vogliamo rendere omaggio : «una pace universale e duratura, fondata sulla giustizia sociale» (Constitution de l’OIT, Genève, BIT, 1968, Prefazione, p. 5). La prova subita dal fatto della scomparsa della Società delle Nazioni, alla quale era legata organicamente, dal fatto anche della

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nascita della Organizzazione delle Nazioni Unite in un altro continente, invece di toglierle le sue ragioni d’essere, le ha al contrario fornito l’occasione, con la celebre dichiarazione di Filadelfia, 25 anni fa, di confermarle e di precisarle, radicandone profondamente nella realtà del progresso della società: «Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro razza, la loro fede o il loro sesso, hanno il diritto di raggiungere il loro progresso materiale e il loro sviluppo spirituale nella libertà e la dignità, nella sicurezza economica e con uguali possibilità» (Ib. art. 2, p. 24).

Omaggio agli uomini e all’opera

9. Di cuore Noi Ci rallegriamo con voi della vitalità della vostra cinquantenaria, ma sempre giovane istituzione, dalla sua nascita nel 1919 con il trattato di pace di Versailles. Chi dirà i travagli, le fatiche, le veglie generatrici di tante decisioni coraggiose e benefiche per tutti i lavoratori, come per la vita dell’umanità, di tutti quelli che, non senza merito, le hanno consacrato con talento la loro attività? Tra tutti, Noi non possiamo omettere di nominare il suo primo direttore, Albert Thomas, e il suo attuale successore, David Morse. Noi non possiamo passare sotto silenzio il fatto che a loro richiesta, e quasi dalle origini, un sacerdote è sempre stato in mezzo a coloro che hanno costituito, costruito, sostenuto e servito questa insigne istituzione. Noi siamo riconoscenti verso tutti per l’opera compiuta, e Noi auguriamo che essa prosegua felicemente la sua missione così complessa quanto difficile ma veramente provvidenziale, per il più gran bene della società moderna.

II. L’OIT AL SERVIZIO DEI LAVORATORI

10. Voci meglio informate della Nostra diranno quale somma di attività l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha realizzato in cinquant’anni di esistenza, e quali risultati essa ha ottenuto con le sue 128 convenzioni e le sue 132 raccomandazioni.

Concezione moderna e cristiana: il primato dell’uomo

11. Ma come non sottolineare il fatto primordiale di una importanza capitale che manifesta questa impressionante documentazione? Qui - ed è un fatto decisivo nella storia della civiltà -, qui il lavoro dell’uomo è considerato degno di un interesse fondamentale. Non fu sempre così, si sa, nella storia già lunga dell’umanità. Si pensi alla concezione antica del lavoro (cfr. per es. CICERONE, De Officiis, 1, 42), al discredito che lo circondava, alla schiavitù che portava seco, questa orribile piaga, che bisogna purtroppo riconoscere che non è ancora completamente scomparsa dalla faccia della terra. La concezione moderna, di cui voi siete gli araldi e i difensori, è diversa. Essa è fondata su un principio fondamentale che il cristianesimo, da parte sua, ha singolarmente messo in luce: nel lavoro è l’uomo che è il primo. Che sia artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, manovale o intellettuale, è l’uomo che lavora, è per l’uomo che egli lavora. È dunque finita la priorità del lavoro sui lavoratori, la supremazia delle esigenze tecniche ed economiche sui bisogni umani. Mai più il lavoro al di sopra del lavoratore, mai più il lavoro contro il lavoratore, ma sempre il lavoro per il lavoratore, il lavoro al servizio dell’uomo, di ogni uomo e di tutto l’uomo.

Di fronte alla tecnica

12. Come non sarebbe impressionato l’osservatore nel vedere che questa concezione si è precisata nel momento teoricamente meno favorevole a questa affermazione del primato del fattore umano sul prodotto del lavoro, al momento stesso della introduzione progressiva della macchina che moltiplica a dismisura il rendimento del lavoro, e tende a rimpiazzarlo? Secondo una visione astratta delle cose, il lavoro eseguito ormai con la macchina e le sue energie, fornite non più dalle braccia dell’uomo, ma dalle formidabili forze segrete di una natura addomesticata, avrebbe dovuto prevalere, nella stima del mondo moderno, fino a far dimenticare il lavoratore, spesso liberato dal

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peso estenuante e umiliante di uno sforzo fisico sproporzionato al suo troppo debole rendimento. Ma di fatto non è così. Nell’ora stessa del trionfo della tecnica e dei suoi effetti giganteschi sulla produzione economica, è l’uomo che concentra su se stesso l’attenzione del filosofo, del sociologo e del politico. Perché non c’è in definitiva vera ricchezza che quella dell’uomo. Ora, tutti lo vedono, l’inserzione della tecnica nel processo dell’attività umana si farebbe a detrimento dell’uomo, se questi non ne rimanesse sempre il padrone, se non ne dominasse l’evoluzione. Se «bisogna in tutta giustizia riconoscere l’apporto insostituibile dell’organizzazione del lavoro e del progresso industriale nell’opera dello sviluppo» (Populorum progressio, n. 26), voi sapete meglio di qualunque altro i misfatti di quella che si è potuto chiamare la parcellizzazione del lavoro nella società industriale contemporanea (cfr. per es. G. FRIEDMANN, Où va le travail humain; e Le travail en miettes, Paris, Gallimard, 1950 e 1956). Invece di aiutare l’uomo a diventare più uomo, lo disumanizza; invece di rasserenarlo, lo soffoca sotto una cappa di pesante noia. Il lavoro rimane ambivalente, e la sua organizzazione rischia di spersonalizzare colui che lo compie, se questi, divenuto il suo schiavo, vi abdica intelligenza e libertà, fino a perdere la sua dignità (cfr. Mater et Magistra, n. 83 e Populorum progressio, n. 28). Tutti lo sanno, il lavoro, sorgente di frutti meravigliosi quando è veramente creatore, può invece (Ex. 1, 8-14), trascinato nel ciclo dell’arbitrario, dell’ingiustizia, della rapacità e della violenza, divenire un vero flagello sociale, come testimoniano quei campi di lavoro eretti ad istituzione, che sono stati l’onta del mondo civile.

Il compito salutare dell’OIT

13. Chi dirà il dramma talvolta terribile del lavoratore moderno, dilacerato nel suo duplice destino di grandioso realizzatore, in preda troppo spesso delle intollerabili sofferenze di una condizione miserabile e proletaria, in cui la mancanza di pane si unisce alla degradazione sociale per creare uno stato di vera insicurezza personale e familiare? Voi l’avete capito. È il lavoro, in quanto fatto umano, primo e fondamentale, che costituisce la radice vitale della vostra Organizzazione, e ne fa un albero magnifico, un albero che estende i suoi rami nel mondo intero, per il suo carattere internazionale, un albero che è un onore per il nostro tempo, un albero la cui radice sempre fertile lo spinge ad una attività continua ed organica. È questa stessa radice che vi proibisce di favorire interessi particolari, ma vi pone al servizio del bene comune. È essa che costituisce la vostra genialità e la sua fecondità; intervenire dappertutto e sempre per portare rimedio nei conflitti del lavoro, possibilmente prevenirli, soccorrere spontaneamente gli infortunati, elaborare nuove protezioni contro nuovi pericoli, migliorare la sorte dei lavoratori, rispettando l’equilibrio oggettivo delle reali possibilità economiche, lottare contro ogni segregazione generatrice di inferiorità, per qualunque motivo - schiavitù, casta, razza, religione, classe -, in una parola, difendere, verso e contro tutti, la libertà di tutti i lavoratori, far prevalere instancabilmente l’ideale della fraternità tra gli uomini, tutti uguali in dignità.

La sua vocazione: far progredire la coscienza morale dell’umanità

14. Tale è la vostra vocazione. La vostra azione non riposa, né sulla fatalità di una implacabile lotta tra quelli che forniscono il lavoro e quelli che lo eseguono, né sulla parzialità di difensori di interessi o di funzioni. È al contrario una partecipazione organica liberamente organizzata e socialmente disciplinata alle responsabilità e ai profitti del lavoro. Un solo scopo: né il denaro, né il potere, ma il bene dell’uomo. Più che una concezione economica, meglio che una concezione politica, è una concezione morale, umana, che vi ispira: la giustizia sociale da instaurare, giorno dopo giorno, liberamente e di comune accordo. Scoprendo sempre meglio tutto ciò che richiede il bene dei lavoratori, voi ne fate prendere a poco a poco coscienza e lo proponete come ideale. Di più, voi lo traducete in nuove regole di comportamento sociale, che si impongono come norme di diritto. Voi assicurate così il passaggio permanente dall’ordine ideale dei principi all’ordine giuridico, cioè al diritto positivo. In una parola voi affinate a poco a poco, fate progredire la

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coscienza .morale dell’umanità. Compito certamente arduo e delicato, ma così alto e necessario, che chiede la collaborazione di tutti i veri amici dell’uomo. Come non gli apporteremmo Noi la Nostra adesione e il Nostro appoggio?

Il suo strumento e il suo metodo: far collaborare le tre forze sociali

15. Sulla vostra strada, gli ostacoli da rimuovere e le difficoltà da superare non mancano. Ma voi l’avevate previsto, e per farvi fronte siete ricorsi ad uno strumento e ad un metodo che potrebbero bastare da soli per l’apologia della vostra istituzione. Il vostro strumento originale ed organico è di far convergere le tre forze che sono all’opera nella dinamica umana del lavoro moderno: gli uomini di governo, gli imprenditori e i lavoratori. E il vostro metodo - ormai tipico paradigma -, è di armonizzare queste tre forze, di farle non più opporsi (tra di loro), ma concorrere «in una collaborazione coraggiosa e feconda» (Allocuzione di Pio XII al Consiglio di Amministrazione del BIT., 19 novembre 1954), in un costante dialogo per lo studio e la soluzione di problemi sempre rinascenti e continuamente rinnovati.

Il suo scopo: la pace universale, per mezzo della giustizia sociale

16. Questa concezione moderna ed eccellente è degna di sostituire definitivamente quella che ha infelicemente dominato la nostra epoca: concezione dominata dall’efficacia ricercata attraverso agitazioni troppo spesso generatrici di nuove sofferenze e di nuove rovine, rischiando così di annullare, invece di consolidare, i risultati ottenuti a prezzo di lotte più d’una volta drammatiche. Bisogna proclamarlo solennemente: i conflitti del lavoro non saprebbero trovare il loro rimedio in disposizioni imposte artificiosamente, che privano fraudolentemente il lavoratore e tutta la sua comunità sociale della loro prima ed inalienabile prerogativa umana, la libertà. Essi non saprebbero più trovarlo del resto in situazioni che risultano dal solo e libero giuoco - come si dice - del determinismo dei fattori economici. Simili rimedi possono avere le apparenze della giustizia, ma non ne hanno l’umana realtà. È solo comprendendo le ragioni profonde di questi conflitti e venendo incontro alle giuste rivendicazioni che esprimono, che voi ne prevenite l’esplosione drammatica e ne evitate le conseguenze rovinose. Con Albert Thomas, ridiciamolo: «Il ‘sociale’ dovrà vincere ‘l’economico’. Dovrà regolarlo e condurlo, per meglio soddisfare alla giustizia» (Dix ans d’organisation Intevnationale du Travail, Genève, BIT., 1931, Préface, p. XIV). Perciò l’Organizzazione Internazionale del Lavoro appare oggi, nel campo chiuso del mondo moderno dove si affrontano pericolosamente gli interessi e le ideologie, come una strada aperta verso un migliore avvenire della umanità. Più di ogni altra istituzione forse, voi potete contribuirvi, semplicemente rimanendo attivamente e inventivamente fedeli al vostro ideale: la pace universale per mezzo della giustizia sociale.

III. VERSO L'AVVENIRE

17. È per questo che Noi siamo qui venuti per darvi il Nostro incoraggiamento e il Nostro accordo, per invitarvi anche a perseverare con tenacia nella vostra missione di giustizia e di pace, e per assicurarvi della Nostra umile, ma sincera solidarietà. Perché è in gioco la pace del mondo, l’avvenire dell’umanità. Questo avvenire non può costruirsi che nella pace fra tutte le famiglie umane in lavoro, tra le classi e tra i popoli, una pace che riposa su una giustizia sempre più perfetta fra tutti gli uomini (cfr. Encicl. Pacem in terris e Populorum progressio, n. 76).

Un’opera ogni giorno più urgente: il grido dell'umanità sofferente

18. In quest’ora contrastata della storia dell’umanità, piena di pericoli, ma ripiena di speranza, è a voi che spetta, in larga parte, costruire la giustizia, e così assicurare la pace. No, Signori, non

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credete la vostra opera finita, essa al contrario diviene ogni giorno più urgente. Quanti mali - e quali mali! - quante deficienze, abusi, ingiustizie, sofferenze, quanti pianti si levano ancora dal mondo del lavoro! PermetteteCi di essere davanti a voi l’interprete di tutti quelli che soffrono ingiustamente, che sono ingiustamente sfruttati, oltraggiosamente dileggiati nei loro corpi e nelle loro anime, avviliti da un lavoro degradante sistematicamente voluto, organizzato, imposto. Ascoltate questo grido di dolore che continua a salire dall’umanità sofferente!

Proclamare i diritti e farli rispettare

19. Coraggiosamente, instancabilmente, lottate contro gli abusi sempre rinascenti e le ingiustizie continuamente rinnovate, costringete gli interessi particolari a sottomettersi alla visione più ampia del bene comune, adattate le vecchie disposizioni ai nuovi bisogni: suscitatene nuove, impegnate le nazioni a ratificarle, e adoperate i mezzi per farle rispettare, perché, bisogna ripeterlo: «sarebbe vano proclamare dei diritti, se non si mettesse contemporaneamente tutto in opera per assicurare il dovere di rispettarli, da tutti, dappertutto e per tutti» (Messaggio alla Conferenza internazionale dei diritti dell’uomo a Teheran, 15 aprile 1968).

Difendere l’uomo contro se stesso

20. Osiamo aggiungerlo: è contro l’uomo che dovete difendere l’uomo, l’uomo minacciato di non essere altro che una parte di se stesso, ridotto, come si è detto, a una sola dimensione (cfr. per es. H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione). Bisogna ad ogni prezzo impedirgli di non essere che il fornitore meccanizzato di una macchina cieca, divoratrice della parte migliore di lui stesso, o di uno Stato che cerca di asservire tutte le energie al suo solo servizio. È l’uomo che dovete proteggere, un uomo travolto dalle forze formidabili che egli mette in opera e come inghiottito dal progresso gigantesco del suo lavoro, un uomo trascinato dallo slancio irresistibile delle sue invenzioni, e come stordito dal contrasto crescente tra il prodigioso aumento dei beni messi a sua disposizione, e la loro ripartizione così facilmente ingiusta tra gli uomini e tra i popoli. Il mito di Prometeo proietta la sua ombra inquietante sul dramma del nostro tempo, in cui la coscienza dell’uomo non arriva ad elevarsi al livello della sua attività e ad assumere le sue gravi responsabilità, nella fedeltà al disegno d’amore di Dio sul mondo. Avremmo perduto la lezione della tragica storia della torre di Babele, in cui la conquista della natura da parte dell’uomo dimentico di Dio si accompagna a una disintegrazione della società umana? (cfr. Gen. 11, 1-9).

Dall’avere di più all’essere di più: la partecipazione

21. Dominando tutte le forze dissolvitrici di contestazione e di babelizzazione, è la città degli uomini che bisogna costruire, una città il cui solo cemento durevole è l’amore fraterno, tra le razze e i popoli, come tra le classi e le generazioni. Attraverso i conflitti che dilaniano il nostro tempo, è, più che una rivendicazione di avere, un desiderio legittimo di essere che si afferma sempre più (cfr. Populorum progressio, nn. 1 e 8). Voi avete da cinquant’anni tessuto una trama sempre più fitta di disposizioni giuridiche che proteggono il lavoro degli uomini, delle donne, dei giovani, e gli assicurano una conveniente retribuzione. È necessario che adesso prendiate i mezzi per assicurare la partecipazione organica di tutti i lavoratori, non solo ai frutti del loro lavoro, ma anche alle responsabilità economiche e sociali da cui dipende il loro avvenire e quello dei loro figli (cfr. Gaudium et spes, n. 68).

Il diritto dei popoli allo sviluppo

22. È necessario anche che voi assicuriate la partecipazione di tutti i popoli alla costruzione del mondo, e vi preoccupiate da adesso dei meno favoriti, come ieri avevate per prima cura le categorie

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sociali più sfavorite. Il che significa che la vostra opera legislativa deve proseguire arditamente, e impegnarsi su strade risolutamente nuove, che assicurino il diritto solidale dei popoli al loro sviluppo integrale, che permettano singolarmente «a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino» (Populorum progressio, n. 65). È una sfida che vi è oggi lanciata all’alba del secondo decennio dello sviluppo. E vostro dovere rilevarlo. Tocca a voi prendere le decisioni che eviteranno la ricaduta di tante speranze e soffocheranno le tentazioni della violenza distruttrice. È necessario che voi esprimiate in regole di diritto la solidarietà che si afferma sempre più nella coscienza degli uomini. Come ieri voi avete assicurato con la vostra legislazione la protezione e la sopravvivenza del debole contro la potenza del forte - Lacordaire lo diceva: «Tra il forte e il debole, la libertà opprime, la legge libera» (52ª Conferenza di Notre-Dame, Quaresima 1845, in Œuvres, del P. Lacordaire, t. IV, Paris, Pousielgue, 1872, p. 494) -, è necessario ormai che voi freniate i diritti dei popoli forti, e favoriate lo sviluppo dei popoli deboli creandone le condizioni, non solo teoriche, ma pratiche, di un vero diritto internazionale del lavoro a livello dei popoli. Come ogni uomo, ogni popolo deve effettivamente, per mezzo del suo lavoro, svilupparsi, crescere in umanità, passare da condizioni meno umane a condizioni più umane (cfr. Populorum progressio, nn. 15 e 20). C’è bisogno di condizioni e di mezzi adatti, una volontà comune, di cui le vostre convenzioni liberamente elaborate tra governi, lavoratori e imprenditori, potrebbero e dovrebbero fornire progressivamente l’espressione. Parecchie organizzazioni specializzate lavorano già a costruire questa grande opera. È su questa strada che vi è necessario avanzare.

Una ragione di vipere per i giovani

23. Perciò, se gli ordinamenti tecnici sono indispensabili, essi non saprebbero portare i loro frutti senza questa coscienza del bene comune universale che anima e ispira la ricerca, e che sostiene lo sforzo, senza questo ideale che porta gli uni e gli altri a superarsi nella costruzione di un mondo fraterno. Questo mondo di domani, è ai giovani di oggi che spetterà di edificarlo, ma è a voi che spetta di prepararveli. Molti ricevono una formazione insufficiente, non hanno la possibilità reale di imparare un mestiere e di trovare un lavoro. Molti anche adempiono compiti per essi senza significato, la cui monotona ripetizione può sì procurare loro un profitto, ma non basta a dar loro una ragione di vivere e soddisfare la loro legittima aspirazione ad occupare, da uomini, il loro posto nella società. Chi non comprende, nei paesi ricchi, la loro angoscia dinanzi alla tecnocrazia invadente, il loro rifiuto di una società che non riesce ad integrarli, e nei paesi poveri, il loro lamento di non potere, per mancanza di preparazione sufficiente e di mezzi adatti, portare il loro generoso contributo ai compiti che li stimolano? Nell’attuale mutazione del mondo, la loro protesta risuona come un segnale di sofferenza e come un appello di giustizia. In seno alla crisi che scuote la civiltà moderna, l’attesa dei giovani è ansiosa e impaziente: sappiamo loro aprire le strade dell’avvenire, proporre loro dei compiti utili e prepararveli. C’è tanto da fare in questo campo. Voi siete ben coscienti, d’altronde, e Noi Ci felicitiamo con voi per aver inserito nell’ordine del giorno della vostra 53ª sessione lo studio di programmi speciali di impiego e di formazione della gioventù in via di sviluppo (Organisation Internationale du Travail, Rapport VIII, [1], Genève, BIT 1968).

CONCLUSIONE

La forza dello spirito di amore sorgente di speranza

24. Vasto programma, Signori, degno di suscitare il vostro entusiasmo e di galvanizzare tutte le vostre energie, nel servizio della grande causa che è la vostra - che è anche la Nostra -, quella dell’uomo. A questo pacifico combattimento i discepoli di Cristo intendono partecipare di vero cuore. Perché se è necessario che tutte le forze umane collaborino a questa promozione dell’uomo, bisogna mettere lo spirito al posto che gli spetta, il primo, perché lo Spirito è Amore. Chi non vede? Questa costruzione sorpassa le sole forze dell’uomo. Ma, il cristiano lo sa, egli non è solo con i suoi

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fratelli in questa opera d’amore, di giustizia e di pace, in cui egli vede la preparazione e la garanzia della città eterna che egli aspetta dalla grazia di Dio. L’uomo non è lasciato in balía di se stesso in mezzo a una folla solitaria. La città degli uomini che egli costruisce è quella di una famiglia di fratelli, di figli dello stesso Padre, sostenuti nei loro sforzi da una forza che li anima e li sostiene, la forza dello Spirito, forza misteriosa, ma reale, né magica, né totalmente estranea alla nostra esperienza storica e personale, perché essa si è espressa in parole umane. E la sua voce risuona più che altrove in questa casa aperta alle sofferenze e alle angosce dei lavoratori, come alle sue conquiste e alle sue prestigiose realizzazioni, una voce la cui eco ineffabile, oggi come ieri, non cessa né cesserà mai di suscitare la speranza degli uomini in lavoro: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi darò completo riposo». «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati!» (Matth., 11, 28 e 5, 6).

DISCORSO ALLA FEDERAZIONE DEI PORTIERI D'ALBERGO

Sabato, 29 novembre 1969

Siamo lieti di soffermarci stamane in mezzo a voi, cari Portieri di Albergo, che partecipate all’annuale Congresso del Consiglio Direttivo della vostra Federazione Italiana, organizzato in questi giorni a Roma dall’Associazione «Le Chiavi d’Oro»; vi diamo di cuore il Nostro benvenuto, con sincero affetto. I motivi di questa Nostra particolare soddisfazione nel vedervi qui oggi, sia pure per brevi istanti, sono molti.

Anzitutto perché, a quanto Ci risulta, non era ancor mai avvenuto che la categoria dei Portieri d’Albergo, in quanto tale, fosse ricevuta in Udienza dal Papa: se questo, a buon diritto, vi riempie di legittimo orgoglio perché quello di oggi è per voi, senz’altro, un avvenimento importante, degno di essere ricordato nelle vicende della vostra organizzazione, ciò d’altro canto colma di paterna gioia anche il Nostro cuore, che vuole aprirsi a tutti, come questa Casa è aperta a tutti quanti, nel mondo, guardano con fede, con amore, con rispetto al Papa e alla sua Cattedra di verità. Davvero, siamo ben lieti di accogliervi in una circostanza tanto significativa, per voi e per Noi.

Secondariamente, Ci fa piacere accogliere e segnalare tra voi i membri dell’Associazione Romana dei Portieri di Albergo, per dir loro il Nostro grazie. Sì, diletti figli, grazie della premura e della bontà con cui, come Ci è stato riferito, nell’esercizio della vostra particolare funzione sapete tenere i contatti con la Prefettura del Palazzo Apostolico, a cui è demandata l’organizzazione delle Nostre Udienze, e farvi tramite efficace delle aspirazioni che muovono la maggior parte dei turisti, ospiti dei vostri alberghi, a richiedere di vedere il Papa, assistendo agli incontri che Egli ha ogni mercoledì, e in altre occasioni, con le magnifiche assemblee di pellegrini di tutto il mondo. Le vostre informazioni li orientano, il vostro aiuto - che auspichiamo sempre disinteressato, per l’onore vostro e per l’edificazione degli altri - li agevola a conseguire lo scopo. Voi rendete perciò un buon servizio, meritevole di riconoscenza e di plauso, perché va al di là delle vostre strette incombenze e, se compiuto con buon spirito, si arricchisce di riflesso anche del frutto spirituale, che i vostri ospiti ne ricavano. Se saprete adempierlo sempre con rette disposizioni, voi ne avrete certamente la ricompensa dal Signore, che non lascia senza premio quanto è fatto nel suo Nome.

Infine, il terzo motivo che Ci rallegra nell’accogliervi è la possibilità che così Ci è offerta di incoraggiarvi nell’adempimento del vostro dovere. Immaginiamo quanto esso sia delicato e logorante, svolto, com’è, continuamente a contatto diretto con gli altri, sempre a disposizione degli

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altri, e con orari che limitano il tempo che dovete dedicare a voi e ai vostri cari; eppure voi lo sapete certo compiere così bene, con tanta gentilezza, con tanta sollecitudine, con tanto garbo, sempre pronti, sempre vigilanti, sempre sorridenti, che il cliente, lasciateCi pur dire, ha forse l’impressione di farvi un favore quando ve lo chiede. Non è così? Ebbene, diletti figli, questo continuo controllo su di voi stessi, questa premurosità sollecita, questo donarsi è un servizio di alto valore sociale, da cui i contemporanei hanno molto da imparare, in un tempo in cui si è raffreddata purtroppo la bontà nei cuori di molti, e ‘si parla più volentieri di diritti che di doveri; diciamo di più, questa vostra disponibilità è una ricchezza spirituale, che raffina e matura la vostra personalità umana, perché l’uomo raggiunge la sua vera statura nell’amore per gli altri; e, più ancora, tale disponibilità vi avvicina all’ideale cristiano e può essere fonte inesauribile di merito, perché vi aiuta a vivere nello spirito del Vangelo in conformità agli insegnamenti del Signore, il quale, nelle parabole, ha paragonato la vita umana all’impegno di fedeltà, di gentilezza e di carità dei servi gli uni verso gli altri (cfr. Luc. 12, 42-48; Matth. 24, 45-51); anzi vi rende simili a Colui, che è venuto non a farsi servire ma a servire (cfr. Matth. 20, 28), ed ha voluto farci capire che la sua gioia, in Cielo, sarà quella di far sedere i suoi servi, e passare tra di essi in qualità di ministro, Lui Padrone e Re, per essere a loro disposizione (cfr. Luc. 12, 37).

Vedete quali riflessi, umani, sociali, religiosi, ha la vostra umile incombenza quotidiana. Pur nelle legittime esigenze che dovete avere per voi, nel rispetto dovuto al vostro lavoro e alla vostra fatica, che esige ogni attenzione, sappiate compiere il vostro lavoro con questi sentimenti, per conferirgli un valore eterno, degno della vostra dignità di uomini, e della vostra coerenza di cristiani. Vi conforti in questi propositi la Nostra Apostolica Benedizione, che di tutto cuore vi impartiamo, ed estendiamo altresì ai membri della Federazione, e a tutte le vostre dilettissime famiglie.

ANGELUS DOMINI

Giovedì, 19 marzo 1970, festività di San Giuseppe

S. Giuseppe: protezione da invocare. La missione, che egli esercitò nel Vangelo, a favore di Maria e di Gesù nel quadro storico dell’Incarnazione, una missione di protezione, di difesa, di custodia, di sostentamento, dobbiamo sperare e implorare che l’umile, grande Santo la voglia continuare a vantaggio della Chiesa, ch’è il corpo mistico di Cristo, è Cristo che vive nella umanità e continua nella storia l’opera della redenzione. Come nel Vangelo dell’infanzia del Signore, la Chiesa ha bisogno di difesa e di essere conservata alla scuola di Nazareth, povera, laboriosa, ma viva e sempre cosciente e valida per la sua vocazione messianica. Ha bisogno di protezione per essere incolume e per operare nel mondo; e oggi ben si vede quanto grande sia questo bisogno; perciò invocheremo il patrocinio di San Giuseppe per la Chiesa tribolata, minacciata, sospettata, rifiutata.

Ma non ci basti invocare: dobbiamo imitare. E che Cristo abbia voluto essere protetto da un semplice artigiano, nell’umile nido della vita familiare ci insegna che ognuno lo può Cristo così proteggere nel regno delle pareti domestiche e nel mondo del lavoro; e ci persuade che tutti lo dobbiamo, per il fatto che tutti possiamo professare, cioè difendere ed affermare il nome cristiano nella nostra casa e nell’esercizio del nostro lavoro. La missione di San Giuseppe diventa la nostra: custodire e fare crescere Cristo in noi e d’intorno a noi.

Siamo così logicamente portati ad un pensiero particolare, ma per Noi tanto caro e importante: quello delle ACLI, cioè delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. o di altri Paesi: le

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vogliamo raccomandare tutte al loro Santo Protettore, affinché le sostenga e le benedica, e le renda sempre valide e fedeli nell’annuncio vissuto del nome di Cristo nell’ambito della famiglia e nel mondo del lavoro.

La Madonna è certamente con noi.

DISCORSO AD UN GRUPPO DI LAVORATORI ANZIANI DELL’INDUSTRIA

Giovedì, 5 febbraio 1970

Diletti Figli,

Siamo lietissimi di dedicare stamane un saluto di particolare affetto a voi, che costituite il gruppo dei vincitori dei vari concorsi indetti nello scorso anno dal settimanale «La Gazzetta per i Lavoratori». E ve lo porgiamo di gran cuore, perché il desiderio vostro di includere nel breve soggiorno-premio a Roma l’odierno incontro con l’umile Successore di Pietro, ci reca la consolazione di trovarci, sia pure per pochi momenti, tra una così eletta e ben qualificata rappresentanza del popolo lavoratore. Grazie, diletti figli, di questo vostro delicato pensiero. Ne profittiamo non soltanto per dire a voi la Nostra parola di elogio e di compiacimento, ma altresì per rivolgere il Nostro plauso più sincero a coloro che hanno promosso le gare a cui voi avete partecipato, e che veramente possono ascriversi tra le iniziative più opportune per elevare il clima spirituale e culturale dei lavoratori e valorizzare sempre più il loro apporto allo sviluppo delle aziende. Ma ci piace cogliere un altro consolantissimo significato da questo vostro incontro con Noi. La vostra presenza, diletti figli, ci dice che voi siete qui venuti per rendere omaggio al Papa, per testimoniare la vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa, e per partire da questa udienza rinfrancati nel proposito di forte e sincera vita cristiana. Viaggio-premio adunque, il vostro, ma anche viaggio di fede. Lasciate allora che rivolgiamo a voi la raccomandazione di amare sempre più questo incomparabile tesoro, di custodirlo gelosamente, e soprattutto di irradiarne la forza salutare intorno a voi. Ne ha bisogno in particolar modo il mondo del lavoro, percorso da tanti fermenti pericolosi e così pieno di pregiudizi nei confronti della Chiesa. Siate quindi di esempio e di guida a tanti vostri fratelli che hanno bisogno di luce, ed aiutateli a comprendere che la Chiesa è vicina ai lavoratori, li ama e partecipa alle loro ansie e alle loro legittime aspirazioni per la costruzione di un mondo più umano, più giusto, più degno dei figli di Dio. In tal modo voi avrete offerto alla società un prezioso contributo di sanità morale. Avrete professato a Cristo una testimonianza di inestimabile valore. Avrete meritato che la Chiesa guardi a voi come a figli fedeli e generosi, quali essa richiede in un periodo così travagliato della sua storia.Con questi voti e con effusione di cuore Noi impartiamo a tutti voi qui presenti, ai vostri dirigenti e a tutte le vostre famiglie la propiziatrice Apostolica Benedizione.

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UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Mercoledì, 22 aprile 1970

Chi entra in questa Basilica, se per la prima volta specialmente, subisce il fascino dell’edificio: la sua vastità, registrata perfino sul pavimento a confronto delle altre più grandi chiese del mondo, il suo carattere monumentale, la sontuosità di ogni sua parte, dappertutto uno sforzo di grandezza e di arte, la profondità dei suoi spazi, il trionfo in altezza e in bellezza della sua cupola, tutto attrae lo sguardo, tutto ferma lo spirito a sé. L’anima si effonde, si distrae. Impressioni d’ogni genere la incantano: ricordi storici, stimoli estetici, confronti architettonici, meraviglie strane, senso della costruzione perfetta e gigante . . . L’anima quasi si smarrisce: siamo in un museo? in una casa incomprensibile da ammirare, ma non da abitare? in un tempio incomprensibile? in un mondo di sogno, tanto più etereo, quanto più espresso in una magnifica solidità? Questa la prima soverchiante impressione. Poi l’anima ricerca se stessa: io sono qui per pregare; ma dove? ma come in questo splendido spazio che sembra non offrire raccoglimento, né riposo, né silenzio allo spirito? Dov’è il suo mistero? come stabilire una sinfonia fra le note di questo poema trionfante e le timide voci del mio cuore? come esprimere qui i miei umili desideri, i miei dolori, i miei dubbi, i miei gemiti, le mie ingenue giaculatorie? E ancora l’anima rimane perplessa e smarrita, e cerca nella complessa configurazione della Basilica un angolo, un rifugio, dove riprendere fiato e voce per mormorare un’orazione; e subito questa ricerca è soddisfatta: dovunque essa si volga, ivi è invito alla preghiera, ad una preghiera che si fa subito intensa e volante nel piano ideale della Basilica: qui è San Pietro, il testimonio della fede e il centro dell’unità e della carità; qui è la Chiesa, la Chiesa cattolica, la Chiesa universale, cioè di tutti, la mia Chiesa, per me, per il mio mondo, anzi per tutto il mondo; qui è Cristo, presente e invisibile, ma parlante del suo regno, della sua vita nei secoli, del suo cielo.

È un itinerario comune; chi entra con animo pio in questo mausoleo, che custodisce la tomba e le reliquie di San Pietro, lo percorre subito, con lieta fatica, con soddisfatto stupore, con ravvivato desiderio di andare oltre; e arriva alla domanda che noi ci poniamo: la Chiesa; che cosa fa la Chiesa? a che cosa serve la Chiesa? qual è la sua manifestazione caratteristica? qual è il suo momento essenziale? la sua attività piena, che giustifica e distingue la sua esistenza? La risposta sgorga dalle mura stesse della Basilica: la preghiera. La Chiesa è un’associazione di preghiera. La Chiesa è una societas Spiritus (Cfr. Phil. 2, 1; S. AUG., Sermo 71, 19; PL 38, 462). La Chiesa è l’umanità che ha trovato, mediante Cristo unico e sommo Sacerdote, il modo autentico per pregare, cioè per parlare a Dio, per parlare con Dio, per parlare di Dio. La Chiesa è la famiglia degli adoratori del Padre «in spirito e verità» (Io. 4. 23). Sarebbe interessante, a questo punto, ristudiare la ragione della coincidenza della parola «chiesa» attribuita all’edificio eretto per la preghiera e attribuita all’assemblea dei credenti, i quali sono «chiesa», dentro o fuori che siano dal tempio, che li raccoglie in preghiera. Si può allora notare, fra le altre cose, come l’edificio materiale, destinato a raccogliere i fedeli in orazione, possa, e in certa misura (qui resa maestosa) debba essere non solo luogo di preghiera, domus orationis, ma altresì segno di orazione, edificio spirituale e preghiera essa stessa, espressione di culto, arte per lo spirito; donde deriva la necessità pratica della costruzione di luoghi di culto per dare al popolo cristiano l’opportunità di riunirsi e di pregare, e deriva altresì il merito di quanti si adoperano per costruire quelle «chiese nuove», che devono accogliere e educare alla preghiera le comunità nuove che sono sprovviste delle loro indispensabili domus orationis, delle case dove riunirsi per celebrare la loro preghiera comunitaria.

Cioè: noi vorremmo in questo luogo e in questo momento ricordarvi l’appellativo che tanto bene definisce il cattolicesimo: Ecclesia orans, Chiesa che prega. Questo carattere squisitamente religioso della Chiesa è essenziale e provvidenziale per essa. Lo insegna il Concilio con la prima

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sua Costituzione sulla sacra Liturgia. E noi dobbiamo ricordare questo carattere della Chiesa, la sua necessità e la sua priorità. Che cosa sarebbe la Chiesa senza la sua preghiera? che cosa sarebbe il cristianesimo, che non insegnasse agli uomini come possono e devono comunicare con Dio? Un umanesimo filantropico? una sociologia puramente temporale? È noto come oggi vi sia la tendenza a tutto «secolarizzare», e come questa tendenza penetri anche nella psicologia dei cristiani; perfino nel clero e nei Religiosi. Ne abbiamo parlato altre volte; ma giova riparlarne, perché l’orazione oggi sta decadendo. Precisiamo subito: l’orazione comunitaria e liturgica sta riprendendo una sua diffusione, una sua partecipazione, una sua comprensione, che è certamente una benedizione per il nostro popolo e per il nostro tempo. Dobbiamo anzi portare avanti le prescrizioni della riforma liturgica in atto, le quali sono state volute dal Concilio, sono state studiate con sapiente e paziente cura dai migliori liturgisti della Chiesa e suggerite da ottimi esperti delle esigenze pastorali. Sarà la vita liturgica, bene curata, bene assorbita nelle coscienze e nelle abitudini del popolo cristiano quella che terrà vigile ed operante il senso religioso nel nostro tempo, così profano e così dissacrato, e che darà alla Chiesa una nuova primavera di vita religiosa e cristiana.

Ma dobbiamo nello stesso tempo lamentare che la preghiera personale diminuisce, minacciando così la liturgia stessa di impoverimento interiore, di ritualismo esteriore, di pratica puramente formale. Il sentimento religioso stesso può venir meno per la mancanza d’un duplice carattere indispensabile all’orazione: l’interiorità e l’individualità. Bisogna che ciascuno impari a pregare anche dentro di sé e da sé. Il cristiano deve avere una sua preghiera personale. Ogni anima è un tempio. «Non sapete - dice San Paolo - che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita dentro di voi?». E quando noi entriamo in questo tempio della nostra coscienza per adorarvi il Dio presente? saremmo noi delle anime vuote, sebbene cristiane, anime assenti da se stesse, dimentiche del misterioso e ineffabile appuntamento che Iddio, Iddio Uno e Trino, si degna offrire al nostro filiale e inebriato colloquio, proprio dentro di noi? Non ricordiamo noi la parola estrema del Signore, all’ultima cena: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà; e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui»? (Io. 14. 23) È la carità che prega (S. Agostino): abbiamo noi il cuore animato dalla carità, che ci abilita a questa intima preghiera personale? L’Ecclesia orans è un coro di singole voci vive, coscienti, amorose. Un’iniziativa spirituale interiore, una devozione personale, una meditazione elaborata col proprio cuore, un certo grado di contemplazione pensante e adorante, gemente e gaudiosa, questa è la domanda della Chiesa, che si rinnova e che ci vuole poi testimoni e apostoli. Ascoltiamo l’inno a Cristo, a Dio, che sale da questa Basilica e procuriamo di assecondarlo con la nostra propria umile voce. Ora e qui; e poi dappertutto e sempre. Con la Nostra Benedizione Apostolica.

Sacerdoti e seminaristi di Cecoslovacchia

Rivediamo qui volentieri Monsignor Carlo Skoupy, Vescovo di Brno, col quale già ci siamo intrattenuti in privata udienza lo scorso venerdì, e che ora ci porta il gruppo dei seminaristi cecoslovacchi e dei sacerdoti convittori del Pontificio Collegio Nepomuceno, entrato ormai nel quinto decennio della sua proficua esistenza. Siamo assai lieti di ricevervi, diletti figli, che vi preparate all’ordine sacro, e portate a compimento la vostra formazione spirituale e intellettuale qui a Roma, presso le sacre memorie degli Apostoli, per essere poi, fra i vostri connazionali, i continuatori di una tradizione ininterrotta di fedeltà e di amore alla Chiesa, i portatori ardenti e generosi della fiaccola del Vangelo, il sale della terra, la luce del mondo. Voi siete, voi sarete i collaboratori della Santissima Trinità nientemeno nell’edificazione della Chiesa: l’ha sottolineato il Concilio Vaticano II quando ha affermato che «i Presbiteri, in virtù della sacra Ordinazione e della missione che ricevono dai Vescovi, sono promossi al servizio di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo» (Presbyterorum ordinis, 1). Siate perciò sempre degni della missione, che a voi si affida, e mantenete intatti per tutta la vita, gli ideali

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di donazione e di fervore di questi anni: e un flusso incessante di grazia si diffonderà dalle vostre esistenze, e le renderà sempre più preziose per il bene di innumerevoli anime. Risponda a questi voti la Vergine Santissima con la sua materna protezione, mentre di cuore vi impartiamo la confortatrice Benedizione Apostolica, che estendiamo alle vostre care famiglie ed alle vostre dilette diocesi di origine.

Gli assistiti dall’ENAOLI

Ci è poi, molto gradito porgere il nostro paterno benvenuto ai 400 giovani dell’Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori Italiani (ENAOLI), i quali partecipano a Roma ai loro «Giuochi di Primavera», organizzati dal benemerito Ente. Salutiamo le personalità che li accompagnano, il Presidente Professor Giaccone, il Direttore Generale Dott. Pini, il Consigliere Ecclesiastico Mons. Bovone, e i qualificati rappresentanti dei Ministeri e delle Istituzioni, che seguono l’attività dell’ENAOLI, ed esprimiamo loro il nostro sincero apprezzamento per l’opera che svolgono, con saggezza e abnegazione, per il bene di codesta fiorente gioventù Ma a voi, soprattutto, desideriamo rivolgerci, per dirvi che vi seguiamo con tutto il nostro affetto da tanti anni: ci siete tanto vicini e cari, diletti figli, perché siete giovani; perché siete la speranza di un domani migliore, fondato su energie sane e generose, quali voi siete; perché siete pensosi del vostro avvenire, e, ormai preparati in questi anni di formazione tecnica e professionale, vi disponete a dare alla società l’apporto del vostro lavoro; perché sapete impiegare il tempo libero in queste nobili competizioni sportive, che certamente vi temprano l’animo, oltre che il fisico, all’esercizio di forti virtù; ma ci siete cari soprattutto perché il dolore vi ha precocemente visitati e voi siete cresciuti a questa impareggiabile scuola di nobiltà, che è la sofferenza, specie quella che tocca negli affetti più sacri, lasciando un’impronta di maturità e di fortezza d’animo che non si cancella più. Per questo vi ripetiamo la nostra stima, commossa e sincera, e vi incoraggiamo a mantenervi sempre fedeli ai principii che avete ricevuto. La Chiesa si aspetta molto, oggi, dai giovani: dalla loro esigenza di autenticità, dal loro coraggio, dalla loro lealtà, dal loro impegno. E noi vi invitiamo a fare onore alla Chiesa, come alla società, recando il vostro contributo di convinzioni e di opere, che è tanto necessario. A voi, ai vostri Cari, a quanti hanno contribuito egregiamente alla vostra formazione umana e cristiana, di cuore impartiamo l’Apostolica Benedizione, pegno della Nostra grande benevolenza.

Un particolare saluto desideriamo rivolgere anche al folto gruppo di bambine ed adolescenti ospiti dei Centri Medico-Sociali «Santa Zita» di Altopascio ed «Elena Guerra» di Pescia. Sappiamo, dilette figlie, che vi ha spinte a questa Udienza il desiderio di porgere l’omaggio della vostra devozione e del vostro affetto al Vicario di Cristo. È, questa, una testimonianza di fede che ci commuove profondamente e ci reca molto conforto. Vi ringraziamo di cuore, e insieme ringraziamo le buone Suore Oblate dello Spirito Santo, che vi assistono con tanto amore e dedizione. Vi assicuriamo la Nostra preghiera, con la quale chiediamo al Signore che esaudisca i vostri desideri e voglia trasformare in ricca sorgente di grazie e di meriti le fatiche di quanti si prodigano per il vostro bene. Nel ritornare alle vostre case, dite ai vostri cari, alle vostre compagne e a tutti quelli che non vi hanno potuto personalmente seguire, che il Papa li ha presenti insieme a voi nel Suo cuore e tutti paternamente benedice.

Nous sommes heureux de vous saluer, chers représentants de l’«Association sportive de la Préfecture de Police de Paris», et nous saluons les membres de vos familles qui vous ont accompagnés. A la rencontre amicale avec le groupe sportif des Agents de Ville de Rome vous avez voulu ajouter une rencontre de foi avec le Représentant de Pierre au centre de la chrétienté. Soyez-en félicités et remerciés. Puissiez-vous emporter de votre séjour romain une joie durable, celle qui résulte de la fraternité humaine et celle, plus profonde encore, qui est le fruit de la grande fraternité des enfants de Dieu dans le Christ. C’est en son nom que nous vous bénissons de grand cœur, et que nous bénissons aussi, avec ceux que vous représentez ici, tous ceux qui vous sont chers.

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Unas palabras de saludo, con nuestra bienvenida, para vosotros, Peregrinos de Guatemala, cuya devota participacion a esta audiencia agradecemos vivamente. Que vuestra presencia ante la Tumba de San Pedro sirva para alentar vuestros anhelos de vivir fielmente el cristianismo, cuya esencia en amor a Dios y a los hermanos los hombres. Que las gratias celestiales os acompaiien copiosas en vuestros caminos que os deseamos serenos y felices. Prenda de ellas es Nuestra Bendicion Apostolica.

E agora, aos queridos peregrinos de lingua portuguesa, urna palavra, para vos saudar, com muito afecto e estima: sede bem-vindos, todos! Em particular, um aceno d e simpatia ao Grupo Cora1 de Belo Horizonte, denominado «Madrigal Renascentista». Quisestes vir render homenagem ao Vigario de Cristo, na Nossa humilde pessoa: muito obrigado! Que Deus vos pague, com seus favores, a delicadeza do gesto; e que sempre, ao cantardes, possa a mensagem do belo, ser para vós e para os que a ouvem, meio de elevagáo espiritual, até ao Altíssimo, e fonte de serenidade espiritual, com a paz de consciência. Com estes votos, vos abencoamos, bem como aos vossos familiares, na pátria distante, o querido Brasil.

UDIENZA GENERALE

Sabato, 25 aprile 1970

Noi vi saluteremo con un grido di stagione, la stagione pasquale, che, come tutti sapete, mette sulle labbra della Chiesa questa esclamazione: alleluia! Alleluia diremo pertanto noi pure a voi, cari visitatori, invitandovi tutti a ripeterlo nel cuore con noi. È un grido di gioia, che esprime il sentimento, semplice e denso ad un tempo, di cui i cuori dei Fedeli traboccano nella celebrazione della festa della risurrezione di Cristo, per la memoria del fatto storico e reale che conclude la narrazione evangelica e per l’intelligenza, esultante ed accecata di luce, del mistero della redenzione e della vita nuova, che da Cristo ai cristiani si estende. Alleluia vuol dire: lode a Dio, ed esprime il gaudio e l’entusiasmo che sostiene ed accompagna, come un canto, il nostro ormai sicuro pellegrinaggio verso la pienezza dell’eterna vita (Cfr. S. AUG., Sermo 255; PL 38, 1186). Un’intenzione occasionale e un’intenzione pastorale suggeriscono a noi questa beatificante parola: noi vorremmo che voi, visitatori e pellegrini convenuti a questa Udienza generale straordinaria, aveste a provare un’interiore impressione di gioia, di quella gioia singolare, la quale ancor più sale dal di dentro dell’anima che non sia tanto provocata dalla sempre stupenda e impressionante visione dei monumenti dell’Urbe e dalla magnificenza di questa Basilica, ma dal fatto d’essere qui : la gioia d’essere in questa aula sontuosa ed immensa come in casa vostra, la gioia di sentirvi fedeli autentici, di sentirvi figli della santa Chiesa, la gioia d’avere raggiunto il polo dell’unità e della carità, la gioia di sapervi sopra la tomba di San Pietro, e perciò anche voi inseriti, come pietre vive, nel mistico edificio che Cristo sta misteriosamente costruendo (Cfr. 1 Petr. 2, 5). Alleluia! Noi vorremmo che tutti voi aveste a gustare questo momento di felicità spirituale, e che ne aveste a comprendere la verità, la singolarità, la profondità: essere qui, alleluia! Sono così rari i momenti in cui si può essere felici senza limiti, senza timori, senza rimorsi! Ricordate le strofe del salmo: «Io mi sono rallegrato quando mi hanno detto: andremo nella casa di Iahve!» (Ps. 121), il Dio delle vittorie. E ancora: «Quanto sono amabili le tue tende, o Dio dei cieli; gode e si effonde l’anima mia negli atri del Signore!» (Ps. 83). La religione, la fede, la grazia hanno questi istanti d’esultanza interiore, queste sorprese dello Spirito, questi preludi dolci e impetuosi della vita di Dio in noi. Sì, alleluia, in Cristo e nella Chiesa. «Gioia, gioia, pianti di gioia» (PASCAL).

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E se Noi ripetiamo questo grido di esuberante letizia, lo facciamo anche per un’intenzione pastorale. Non basta la gioia di un attimo di pienezza sensibile e spirituale insieme; la gioia dovrebbe essere perenne, anche se in un grado inferiore d’intensità. Il credente, colui ch’è riuscito a incontrare, sia pure nell’incognito del nostro pellegrinaggio terreno (Cfr. Luc. 24, 32) Cristo risorto, dovrebbe avere sempre dentro di sé il carisma del gaudio. Il gaudio, con la pace, è il primo frutto dello Spirito (Gal. 5, 22). E noi sappiamo che nel disegno divino della salvezza esiste un rapporto (che ora non precisiamo) fra lo Spirito e la Chiesa; ci basti ripetere la sentenza scultorea di S. Agostino: quantum quisque amat Ecclesiam, tantum habet Spiritum Sanctum, quanto uno ama la Chiesa, tanto possiede lo Spirito Santo (In Io. 32, 8; PL 35, 1635-1646). Per godere del carisma gaudioso dello Spirito, bisogna amare la Chiesa. Si è parlato del «senso della Chiesa»; noi vorremmo spingere più avanti questo fenomeno interiore, ed esortarvi ad avere «il gusto della Chiesa», che oggi, purtroppo, sembra venir meno in tanti che pur della Chiesa si atteggiano a riformatori: hanno gusto della contestazione, della critica, della emancipazione, della arbitraria concezione, e spesso della sua disgregazione e demolizione. No, non possono avere il «gusto della Chiesa», e fors’anche nemmeno l’amore. Una comprensione vera di ciò che è, di ciò che deve essere (Cfr. S. AUG., De moribus Ecclesiae, 1, 30; PL 32, 1336) noi non vediamo come codesti figli inquieti possono davvero in se stessi sperimentare. Noi vi auguriamo, Fratelli e Figli, che voi possiate sempre avere nel cuore, pensando alla Chiesa, alla sua storia, alle sue glorie, alle sue debolezze, ai suoi bisogni, alla sua vera rinascita postconciliare, avere sulle labbra e nel cuore il grido pasquale: alleluia! Vi esorta, vi assiste la Nostra Benedizione Apostolica.

La secolare fede della diocesi di Bergamo

Un cordiale benvenuto vogliamo adesso rivolgere al numeroso gruppo di pellegrini della diletta diocesi di Bergamo, illustre e benedetta patria di Papa Giovanni, guidati dallo zelante pastore, S. E. Mons. Clemente Gaddi. Avete voluto celebrare, carissimi figli, con un viaggio a Roma il cinquantesimo anniversario della fondazione del vostro settimanale diocesano «La Domenica del Popolo», che con le sue 25.000 copie dà il suo prezioso contributo di informazione e di formazione dei vari strati sociali della vasta diocesi. Ai redattori, ai sostenitori, ai lettori, a tutti i cari bergamaschi vogliamo esprimere il nostro paterno apprezzamento per tutto quello che il vostro settimanale (cattolico) da tanti anni ha operato, in mezzo a difficoltà e sacrifici, mentre auguriamo che esso possa ancora continuare la sua benemerita azione. Desideriamo anche ringraziarvi perché il vostro pellegrinaggio, il primo che viene ufficialmente a Roma durante il nostro pontificato, vuole anche essere un filiale atto di devozione alla nostra persona per il cinquantesimo anniversario della nostra ordinazione sacerdotale. Noi ben conosciamo il vostro secolare attaccamento, geloso e convinto, alla fede cristiana, trasmessavi dai padri, una fede forte come le vostre massicce montagne e serena come le vostre verdi pianure: portate sempre alta questa luce divina, e trasmettetela, insieme con le tipiche virtù della vostra gente, ai vostri figli. Come segno della Nostra benevolenza ed in auspicio di copiosi doni celesti volentieri impartiamo all’Ecc.mo vostro Pastore, a tutti i presenti, alle vostre famiglie e alla diocesi di Bergamo la propiziatrice Apostolica Benedizione.

Ferrovieri del compartimento di Ancona

Salutiamo i mille ferrovieri e operai del Compartimento delle Ferrovie dello Stato di Ancona, e i trecentocinquanta orfani di ferrovieri, assistiti nei Collegi dell’Opera di Previdenza del Ministero dei Trasporti di Senigallia e Porto San Giorgio. Li guidano i rispettivi Dirigenti compartimentali e l’Arcivescovo di Ancona, Monsignor Carlo Maccari, ai quali porgiamo il nostro più cordiale ringraziamento per aver organizzato, con la collaborazione del Cappellano, Padre Tesei, questo bell’incontro di anime. Grazie a voi, per la vostra venuta, come per tutte le iniziative spirituali che sapete organizzare nel corso dell’anno, tra le quali meritano un cenno particolare i bei presepi,

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allestiti in varie stazioni ferroviarie del Compartimento. E grazie a codesti carissimi giovanetti, venuti con voi a portarci l’attestazione della loro fede e della loro serietà nel prepararsi alla vita. La vostra presenza ci dice molte cose: ci parla della vostra onestà, del vostro affetto alla famiglia, delle vostre fatiche quotidiane e notturne nel compimento di uno dei più importanti, necessari e provvidi servizi della società; ci parla soprattutto del vostro impegno cristiano, della testimonianza che volete portare nel mondo del lavoro con l’esempio e con la parola, per fare onore alla Chiesa, alla sua materna presenza, al suo insegnamento per l’elevazione del mondo operaio e per il progresso dei popoli. Vi conforti in questa volontà la certezza che il Papa vi segue e vi incoraggia, mentre tutti vi benedice, abbracciando nella sua preghiera anche i vostri colleghi e i vostri familiari.

I «Villaggi della Famiglia»

Ora, un benvenuto tutto particolare alla nutrita rappresentanza di muratori e abitanti dei «Villaggi della Famiglia», iniziativa sociale altamente benemerita della città di Brescia e della Congregazione dei Padri Oratoriani della Pace. È venuto ad accompagnarli il Padre Ottorino Marcolini, che salutiamo di cuore. E salutiamo voi, cari bresciani, che col vostro lavoro portate un contributo prezioso ad una delle più urgenti necessità della odierna società: provvedere una casa, che risponda alla dignità umana e cristiana di chi vi abita. Vi esprimiamo tutto il nostro elogio, perché, con la vostra opera sapete dimostrare in forma concreta il vostro amore ai fratelli, e così rispondete fattivamente alle consegne del Concilio Vaticano II, nel quale si è anche sottolineato che l’abitazione è una esigenza delle famiglie (Apostolicam actuositatem, 11), anzi è un diritto dell’uomo (Gaudium et spes, 26), e il provvedervi rientra nei compiti della carità e dell’apostolato laicale (Apostolicam actuositatem, 8, 13). Il Signore vi ricompensi di tanta generosità, vi ricolmi della sua pace, e faccia delle vostre famiglie altrettante piccole Nazareth, ove regni l’amore reciproco, il timor di Dio e la pienezza della grazia celeste! È l’augurio che vi facciamo, con la Nostra Apostolica Benedizione, che impartiamo a voi, qui presenti, ai vostri cari e, specialmente, ai vostri bambini, agli ammalati, agli anziani.

Giovani dell’Azione Cattolica di Fano

Dobbiamo ora una parola di vivo plauso ad un gruppo assai distinto: sono i soci fondatori del Circolo giovanile di Azione Cattolica «San Giorgio» di Fano, che commemorano il quarantesimo di fondazione; con essi è il Nostro venerato Cardinale Giuseppe Paupini, il quale fu tra i fondatori di quel Circolo e anche il primo assistente ecclesiastico, prima di iniziare il suo alto servizio della Santa Sede. Ci ha procurato viva compiacenza l’apprendere i motivi, l’impegno, il sacrificio da cui ha preso vita il sodalizio, vedere com’esso mantenga intatti i propri ideali per la maturazione cristiana della gioventù, e, soprattutto, costatare come un’attività tanto provvida sia stata sempre benedetta dal Signore. Il traguardo raggiunto sia pegno di nuovi incrementi, di più ampi sviluppi, di instancabili iniziative, perché i giovani sono la parte prediletta della Chiesa e della società, e occorre perciò seguirli con particolare amore, con sapiente attenzione, con trepida sollecitudine. Tramandate loro la fiaccola ardente, che un giorno sapeste accendere con spirito soprannaturale, formati a una scuola di grande saggezza: e il Signore sarà con voi, sempre. Auspicio della sua protezione e del suo premio sia per voi, come per i diletti soci del Circolo, la Nostra Apostolica Benedizione.

La Pontificia Scuola «Mastai»

Meritevole di un particolare e cordiale saluto, si presenta a noi la Pontificia Scuola «Mastai» - Elementare e Media parificate - di Roma, che celebra il centenario della sua fondazione, e che ha voluto coronare la fausta ricorrenza con l’odierna devota visita al Papa. Ne accogliamo con

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profonda compiacenza Superiori ed Insegnanti, Alunni ed ex-Alunni qui convenuti in cospicuo gruppo, unitamente ai loro familiari. Mentre il nostro pensiero si eleva, reverente e grato, al Nostro Predecessore Pio IX di v. m., che tale Scuola promosse e di persona volle inaugurare il 14 ottobre 1869, desideriamo anzitutto esprimere un sincero plauso ai benemeriti Fratelli delle Scuole Cristiane, ai quali l’Istituzione fu affidata dallo stesso Sommo Pontefice, e che, nell’arco dei cento anni trascorsi, vi hanno dedicato cure sapienti e generose, sì da farne, per la serietà degli studi e per il fervore di apostolato, la più conosciuta ed apprezzata scuola del Rione Trasteverino.

Cari e venerati Religiosi! Noi guardiamo con viva riconoscenza alla missione a cui vi siete consacrati, l’educazione della gioventù; guardiamo alla fede, alla pietà e all’abnegazione che le danno vigore; guardiamo alla efficacia della vostra pedagogia e alla fiducia che sapete ottenere dalle famiglie, premurose della formazione dei loro figlioli; guardiamo ai frutti della vostra delicata e ardua attività, frutti invero abbondanti non solo nella quantità, ma nella qualità altresì, se la loro qualità deve desumersi dalla perseveranza della formazione impartita e dall’affezione, che i vostri alunni, anche diventati adulti, conservano per i loro maestri. Abbiate dunque il meritato elogio per la vostra appassionata opera di educatori e di apostoli, e siate da noi confortati nella costante dedizione a prodigarvi per il vero e duraturo bene della gioventù. E a voi, carissimi Alunni, siamo lieti di manifestare il Nostro affetto paterno. Sappiamo con quanta diligenza e forza di volontà procurate di accogliere e di seguire gli insegnamenti e gli esempi dei vostri maestri. Bravi! Ciò offre motivo di intimo gaudio al nostro cuore e ci suggerisce ogni migliore speranza per il vostro avvenire. Continuate ad applicarvi con serietà nella vostra formazione culturale e spirituale; siate sempre di esempio in mezzo ai vostri compagni; coltivate, come esorta San Paolo, le aspirazioni a «tutto quello che è vero, tutto quello che è onesto, tutto quello che è giusto, tutto quello che è santo, tutto quello che rende amabile: e il Signore della pace sarà con voi» (Phil. 4, 8-9). La Nostra Apostolica Benedizione avvalori i sentimenti e i propositi che la ricorrenza centenaria suscita nell’animo dei Superiori, degli Insegnanti, degli Alunni ed ex-Alunni della Pontificia Scuola «Mastai», sia conferma della Nostra incoraggiante benevolenza, e ottenga ad essi e alle rispettive famiglie i continui favori dell’assistenza celeste.

La società «Viticola Toscana»

Salutiamo ora con vivo compiacimento i partecipanti all’assemblea annuale della Società Agricola Immobiliare «Viticola Toscana», con sede in Pitigliano, che si svolge in questi giorni a Roma. Il nostro cordiale benvenuto va al suo Presidente, all’Amministratore Delegato, ai Consiglieri, ai Soci, ai loro familiari e agli addetti alle fattorie. La delicatezza dei sentimenti che vi ha portati a questa udienza non lascia insensibile il nostro animo; e ve ne esprimiamo un sincero ringraziamento, lieti dell’occasione che ci si offre per attestarvi la nostra stima e il nostro affetto. Non ignoriamo lo scopo della vostra Società, sorta per contribuire a risolvere, in modo più adeguato e moderno, i numerosi ed assillanti problemi dell’agricoltura. Auspichiamo pertanto che il vostro generoso e comune impegno sia coronato da fecondi risultati; e vi esortiamo altresì a continuare nel compimento del quotidiano dovere con serena fiducia, dando sempre un soffio interiore di alti e nobili pensieri al vostro lavoro, quelli cioè dell’onestà, dell’amicizia, della fratellanza e della operante solidarietà; ed avvalorando la vostra fatica con la professione franca e coraggiosa della fede cristiana, che oggi avete voluto attestare presso la tomba del Principe degli Apostoli. Noi vi accompagniamo col nostro cordiale incoraggiamento e con la preghiera, invocando su di voi, sulle vostre attività e su tutti i vostri cari, la continua assistenza del Signore, di cui vuol essere consolante pegno la Nostra Apostolica Benedizione.

Il concorso «Veritas» della diocesi di Grosseto

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Una parola di saluto vogliamo anche indirizzare ai cari studenti, vincitori del «Concorso Veritas» della Diocesi di Grosseto e dell’Abbazia dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane, accompagnati dall’Amministratore Apostolico Monsignor Primo Gasbarri, dal Provveditore agli Studi di Grosseto, Dott. Mariano Romano, dai presidi e dai docenti; come pure salutiamo i bambini dell’orfanotrofio maschile della stessa diocesi, retto dalle Suore di Maria Ausiliatrice. Mentre vi esprimiamo, carissimi figliuoli, il nostro vivo compiacimento perché questo viaggio a Roma è testimonianza e premio dell’applicazione da voi dimostrata nello studio della Religione, desideriamo in questa lieta occasione ripetervi le parole che San Giacomo rivolgeva ai cristiani del primo secolo: «Accogliete con dolcezza la parola che è stata seminata in voi, e che può salvare le anime vostre; mettete dunque in pratica la parola, e non vi limitate ad ascoltarla» (Iac. 1, 21-22).Date pertanto un concreto esempio di fede cristiana in mezzo ai vostri condiscepoli, in una gioiosa adesione al messaggio evangelico e in intima unione e amicizia col Cristo Redentore. Con questi auspici, volentieri vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Pensiero riconoscente alla città di Cagliari

Voi sapete che ieri io sono stato a Cagliari e ho visitato un villaggio per le famiglie bisognose, povere: si chiama il villaggio di Sant’Elia. È stata un’accoglienza cordialissima, bellissima. Io ero circondato da bambini, avevo davanti giovanotti, avevo tutte quelle famiglie intorno a me; sono andato a piedi anche in mezzo al quartiere, sono salito a visitare una casa dove c’era una famiglia poverissima e la mamma inferma con sei figli, e un padre, ottimo e laborioso, ma semidisoccupato.Un’accoglienza commovente; ho quasi dovuto difendermi dalle unanimi espressioni di cordialità, e sono partito pacificamente. Se voi leggete i giornali di questa mattina, anche quelli, anzi, purtroppo quelli, che si dicono i grandi giornali, vedete assolutamente travisata la notizia: dovrei dire che questa volta non sono giornali informatori, ma sono deformatori! Dobbiamo dare questa rettifica non solo per la verità, ma anche per l’onore di quella popolazione, non meno cordiale e cortese di tutta l’immensa folla cagliaritana e sarda incontrata nella Nostra visita.

DISCORSO AI PELLEGRINI CONVENUTI NELLA BASILICA VATICANA NELLA FESTA DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO

Venerdì, 1° maggio 1970

La vostra venuta coincide quest’oggi con il 1° maggio, giorno dedicato alla celebrazione del Lavoro, che, come tutti sanno, ha assunto nella società moderna una valutazione di primaria importanza, e che la Chiesa ha onorato con tanti suoi insegnamenti.Quali siano le dottrine, quali i problemi, quali gli avvenimenti che si riferiscono al Lavoro Noi adesso non intendiamo trattare. Solo ci basti invitare voi tutti a innalzare al Signore una speciale preghiera per il mondo del lavoro secondo alcune particolari intenzioni.Vogliamo pregare affinché il concetto del lavoro sia visto nel piano di Dio in ordine alla natura ed alla persona umana, la quale mediante il lavoro esplica il suo ingegno e le sue energie e perfeziona se stessa, e mediante il lavoro conquista il dominio delle cose e le pone al proprio servizio.Perciò pregheremo affinché il lavoro, e specialmente quello moderno che pone strumenti meravigliosi nelle mani dell’uomo, sia considerato come sintesi, non come contrasto fra il suo ingegno e la sua opera, e sia così in sempre più larga misura estesa l’efficienza dell’attività umana e insieme diminuita la fatica, così che l’uomo trovi nel lavoro la sorgente del progresso, cioè del benessere sia materiale che spirituale.Pregheremo parimente affinché la distinzione fra gli uomini, che deriva dalla diversa funzione esercitata nell’esecuzione e

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nell’incremento del loro operare, non li renda avversari fra loro, ma collaboratori, li educhi alla solidarietà, non alla separazione sociale, non accresca in loro l’egoismo e la lotta, ma piuttosto il senso dell’ordine reclamato dalla complessità dell’impresa e dal pubblico bene, e trovi il suo giusto e libero equilibrio nella saggia partecipazione alla responsabilità dell’organizzazione dell’impresa stessa e nell’equa distribuzione dei profitti economici e dei diritti civili.

Ancora bisogna pregare per la concordia fra le categorie sociali, anche nella fase sempre aperta della difesa dei rispettivi interessi, per la tutela e la promozione economica e morale delle classi sociali oggi meno favorite, e specialmente per la schiera ancora immensa degli umili, dei poveri, dei disagiati, dei bisognosi, degli oppressi, dei disoccupati, dei profughi, degli emigranti, dei lavoratori impegnati a fatiche estenuanti e malsane.Pregheremo specialmente per i giovani, quelli delle nuove leve del lavoro, affinché siano convenientemente istruiti e preparati, siano socialmente, moralmente e spiritualmente assistiti, in modo che essi sentano e vivano la dignità della loro condizione: non decadano nella volgarità e nel disgusto dell’ambiente, dove spesso la fatica, la disciplina, la promiscuità, il gregarismo li obbligano a vivere; possano integrare con l’educazione, la cultura, il risparmio, la ricreazione, l’amicizia, la preghiera, la pesante e monotona loro attività; e sappiano prepararsi alla felicità e al dovere dell’amore sano e della famiglia buona, ed insieme nutrire la coscienza del servizio leale e generoso alla comunità civile.Pregheremo anche per la donna introdotta oggi in ogni campo di lavoro, affinché, tanto dotata di umane qualità e tanto educabile ad ogni perfezionamento, ella possa dimostrare la sua capacità ed il suo valore, possa conservare la sua peculiare personalità spirituale e morale, e possa infondere negli ambienti nei quali presta l’opera sua quel senso del dovere, quella delicatezza pia, dignitosa e gentile di sentimento e di costume, ch’è propria della sua privilegiata natura.E infine una preghiera per ogni singolo lavoratore, perché ami il proprio lavoro, lo compia con dedizione, con dignità, con onestà, vi acquisti abilità e competenza, senta nel suo animo la parentela che lo unisce a Cristo lavoratore e salvatore, e sappia in sé alimentare quella coscienza religiosa e morale che lo rende vero uomo forte, diritto, generoso e libero, ed insieme sincero cristiano chiamato alla dignità, alla speranza e alla beatitudine del regno di Dio.San Giuseppe, oggi venerato come esempio e come protettore del mondo del lavoro, voglia avvalorare la nostra preghiera. A voi tutti la Nostra Benedizione.

Siamo debitori di un vivo ringraziamento ai cinquecento operai di Prato, venuti, insieme col loro Vescovo, a dirci tutto il loro affetto per il 50° anniversario del Nostro sacerdozio. Sappiamo bene che, per compiere questo atto gentile, avete voluto sostare appositamente a Roma, nel pellegrinaggio che vi porterà a Pompei: ne cogliamo occasione per raccomandarci alle preghiere, che eleverete in quel celebre santuario mariano. Avrete un ricordo per Noi, vero? Per le Nostre intenzioni nell’universale ministero pontificale, per il peso quotidiano della sollicitudo omnium Ecclesiarum, della sollecitudine per tutte le Chiese (2 Cor. 11, 28), per le sofferenze e le ansie del mondo. E Noi ricambieremo la vostra carità con una particolare invocazione al Signore e alla Vergine Santa per voi, per le vostre famiglie, per i vostri figli, per il vostro lavoro, e soprattutto perché continuiate ad essere figli fedeli della Chiesa, facendo onore, sempre, al nome cristiano. Vi accompagna la Nostra Apostolica Benedizione, che impartiamo a voi, al vostro zelantissimo Vescovo e, per il suo tramite, all’intera città e diocesi di Prato.

Un paterno saluto rivolgiamo ora al gruppo dei fedeli di Bozzolo e di Cicognara-Roncadello Po, venuti pellegrini a Roma a conclusione delle manifestazioni commemorative del loro venerato parroco, l’indimenticabile Don Primo Mazzolari.Siate i benvenuti, figli carissimi ! Se grande è la gioia vostra per questo odierno incontro col Papa, non minore è la consolazione che Noi stessi proviamo nel vedere i vincoli di affetto e di venerazione che ancora vi legano a colui che per tanti anni, con fede generosa e dedizione piena, fu guida e padre delle vostre anime. Niente più prezioso e desiderabile di questa intima unione spirituale tra clero e fedeli. Né potevate offrire alla memoria dello scomparso tributo più degno di questa pubblica testimonianza di amore e venerazione alla

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persona del Vicario di Cristo; testimonianza, nella quale ci piace ravvisare la conferma dei vostri impegni di vita cristiana e il proposito di rimanere «forti nella fede» (1 Petr. 5, 9).È questo il significato che Noi amiamo attribuire anche alla lampada che ci avete chiesto di benedire e di accendere, e che arderà perennemente sulla tomba del vostro antico parroco, mettendo in pratica in tal modo l’esortazione dell’apostolo Paolo: «Tenete viva la memoria dei vostri capi che vi hanno predicato la parola di Dio, e considerando quale è stata la fine della vita da essi vissuta, imitate la loro fede» (Hebr. 13, 7).Con questi sentimenti, aderiamo volentieri al vostro desiderio, e con effusione di cuore impartiamo a voi e a tutti i vostri cari la propiziatrice Apostolica Benedizione.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 24 giugno 1970

Il nostro studio su lo spirito del Concilio, quello spirito che deve formare in noi una nuova ed autentica mentalità cristiana e deve esprimersi in un nuovo stile di vita ecclesiale, ci porta facilmente al tema della povertà. Se ne è parlato molto. Aprì il discorso il Nostro venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII con il radiomessaggio ai cattolici di tutto il mondo, un mese prima del Concilio, accennando, fino d’allora, ai problemi che la Chiesa trova davanti a sé, dentro e fuori dell’ambito suo, e affermando che «la Chiesa si presenta qual è, e vuole essere, come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei Poveri» (A.A.S. 54 (1962), p. 682). Questa parola ebbe un’eco immensa. Era essa stessa eco d’una parola biblica, venuta da lontano, dal Profeta Isaia (Cfr. Is. 58, 6; 61, 1 ss.) e fatta propria da Gesù, nella sinagoga di Nazareth: «Io sono mandato per annunciare ai Poveri la buona novella» (Cfr. Luc. 4, 18). Tutti sappiamo quale importanza abbia in tutto il Vangelo il tema della povertà: a cominciare dal sermone delle beatitudini, nel quale i «Poveri di spirito» hanno il primo posto, non solo nel sermone, ma nel Regno dei cieli, per continuare nelle pagine dove gli umili, i piccoli, i sofferenti, i bisognosi sono magnificati come i cittadini preferiti del medesimo regno dei cieli (Matth. 18, 3) e come i rappresentanti viventi di Cristo stesso (Matth. 25, 40). L’esempio poi, e soprattutto, di Cristo è la grande apologia della povertà evangelica (Cfr. 2 Cor. 8, 9; S. AUG., Sermo 14; PL 38, 115). Sappiamo; e faremo bene a ricordarlo, proprio in omaggio a quella autenticità cristiana, che, auspice il Concilio, conforme aI genio spirituale del nostro tempo, noi tutti andiamo cercando.

PRINCIPIO TEOLOGICO E MORALE

Il tema è molto vasto; e Noi non pretendiamo affatto darvi qui svolgimento; solo lo ricordiamo, per la sua importanza teologica: la povertà evangelica comporta infatti una rettifica del nostro rapporto religioso, con Dio e con Cristo, a causa dell’esigenza primaria che questo rapporto afferma dei beni dello spirito nella classifica dei valori degni d’essere prefissi alla nostra esistenza, alla nostra ricerca e al nostro amore: «Cercate come prima cosa il regno di Dio» (Matth. 6, 33); e che svaluta - ecco la povertà! - nella graduatoria di stima verso i beni temporali, la ricchezza, la felicità presente, al confronto con il sommo Bene, che è Dio, e con il suo possesso, che è la nostra eterna felicità. L’umiltà dello spirito (S. AUG., Enarr. in Ps. 73; PL 36, 943) e la temperanza, e sovente il distacco, sia nel possesso, che nell’uso dei beni economici, costituiscono i due caratteri della povertà, che il Maestro divino ci ha insegnata con la sua dottrina e ancor più, come dicevamo, col suo esempio: Egli si è rivelato, socialmente, nella povertà. Come subito si vede, questo principio teologico, su cui si fonda la povertà cristiana, diventa un principio morale, informatore dell’ascetica cristiana: la povertà, vista nell’uomo, è, più che un dato di fatto, il risultato volontario d’una

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preferenza d’amore, scelta per Cristo e per il suo regno, con rinuncia, ch’è una liberazione, alla cupidigia della ricchezza, la quale comporta una serie di cure temporali e di vincoli terreni, occupando con prepotenza grande spazio nel cuore. Ricordiamo l’episodio evangelico del giovane ricco, il quale, posto nell’alternativa della sequela di Cristo, e dell’abbandono delle proprie ricchezze, preferisce queste a quella, mentre il Signore «lo guarda e lo ama» (Marc. 10, 21), e lo vede andarsene tristemente.

Ma il Concilio ci ha richiamato, ancor più che alla virtù personale della povertà, alla ricerca e alla pratica d’un’altra povertà, quella ecclesiale, quella che dev’essere praticata dalla Chiesa in quanto tale, come collettività riunita nel nome di Cristo. Vi è in una pagina del Concilio una parola grande a questo proposito; la citiamo anche tra le molte altre, che incontriamo su questo tema nei documenti conciliari; essa dice: «Lo spirito di povertà e di amore è infatti la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo» (Gaudium et spes, 88). Essa è una parola luminosa e vigorosa, che esce da una coscienza ecclesiale in pieno risveglio, avida di verità e di autenticità, e desiderosa di affrancarsi da costumanze storiche, che ora si dimostrassero difformi dal suo genio evangelico e dalla sua missione apostolica. Un esame critico, storico e morale, s’impone per dare alla Chiesa il suo volto genuino e moderno, in cui la presente generazione desidera riconoscere quello di Cristo. Chi ha parlato a questo proposito si è particolarmente soffermato sopra questa funzione della povertà ecclesiale, quella cioè di documentare la giusta visibilità della Chiesa (Cfr. CONGAR, Pour une Eglise servante et pauvre, p. 107). Così parlò specialmente il Card. Lercaro, alla fine della prima sessione del Concilio (6 dicembre 1962), insistendo su l’«aspetto», che la Chiesa oggi deve mostrare, agli uomini del nostro tempo in modo particolare, l’aspetto col quale si è rivelato il mistero di Cristo: l’aspetto morale della povertà, e l’aspetto sociologico della sua estrazione preferenziale fra i Poveri.

ESPERIENZE STORICHE

Tutti vediamo quale forza riformatrice abbia l’esaltazione di questo principio: la Chiesa dev’essere povera; non solo; la Chiesa deve apparire povera. Forse non tutti vedono quali giustificazioni possono darsi di aspetti diversi assunti storicamente dalla Chiesa nel corso della sua vita secolare e al contatto con particolari condizioni della civiltà; quando, ad esempio, l’aspetto della Chiesa apparve come quello d’una grande proprietaria terriera, essendo lei impegnata a rieducare le popolazioni al lavoro dei campi; ovvero come quello d’un potere civile, quando sfasciatosi questo, occorreva chi lo esercitasse con umana autorità; ovvero quando per esprimere il suo carattere sacro e il suo genio spirituale ornò di magnifici templi e di ricche vesti il suo culto; o per esercitare il suo ministero assicurò pane e decoro ai suoi ministri; o per dare impulso all’istruzione o all’assistenza del popolo fondò scuole e aperse ospedali; o ancora per immedesimarsi nella cultura di dati momenti storici parlò sovranamente il linguaggio dell’arte (Cfr. ad es. G. KURTH, Les origines de la civilisation moderne).

I MEZZI ECONOMICI E I FINI

Come si potrebbe, proprio ad onore dell’economia di povertà della Chiesa, facilmente dimostrare che le favolose ricchezze, che di tanto in tanto certa pubblica opinione le attribuisce, siano di ben diversa misura, spesso insufficienti ai bisogni modesti e legittimi della vita ordinaria, sia di tanti ecclesiastici e religiosi, sia di istituzioni benefiche e pastorali. Ma non vogliamo ora fare questa apologia. Accettiamo piuttosto l’istanza che gli uomini d’oggi, specialmente quelli che guardano la Chiesa dal di fuori, fanno affinché la Chiesa si manifesti quale dev’essere, non certo una potenza economica, non rivestita di apparenze agiate, non dedita a speculazioni finanziarie, non insensibile ai bisogni delle persone, delle categorie, delle nazioni nell’indigenza. Né vogliamo ora esplorare questo campo immenso del costume ecclesiale. Vi accenniamo appena, affinché sappiate che noi lo

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abbiamo presente e che già vi stiamo lavorando con graduali, ma non timide riforme. Noi notiamo con vigile attenzione come in un periodo come il nostro, tutto assorbito nella conquista, nel possesso, nel godimento dei beni economici, si avverta nella opinione pubblica, dentro e fuori della Chiesa, il desiderio, quasi il bisogno, di vedere la povertà del Vangelo e la si voglia ravvisare maggiormente là dove il Vangelo è predicato, è rappresentato; diciamo pure: nella Chiesa ufficiale, nella nostra stessa Sede Apostolica.

Siamo consapevoli di questa esigenza, interna ed esterna, del nostro ministero; e, con la grazia del Signore, come già molte cose sono state compiute in ordine alle rinunce temporali e alle riforme dello stile ecclesiale, così proseguiremo, col rispetto dovuto a legittime situazioni di fatto, ma con la fiducia d’essere compresi e aiutati dal popolo fedele, nel nostro sforzo di superare situazioni non conformi allo spirito e al bene della Chiesa autentica. La necessità dei «mezzi» economici e materiali, con le conseguenze ch’essa comporta: di cercarli, di richiederli, di amministrarli, non soverchi mai il concetto dei «fini», a cui essi devono servire e di cui deve sentire il freno del limite, la generosità dell’impiego, la spiritualità del significato. E alla scuola del divino Maestro ricorderemo tutti di amare simultaneamente la povertà ed i Poveri; la prima per farne austera norma di vita cristiana, i secondi per farne oggetto di particolare interesse, siano essi persone, classi, nazioni bisognose di amore e di aiuto. Anche di questo ci ha parlato il Concilio. Abbiamo cercato e cercheremo di ascoltarne la voce. Ma il discorso su la Chiesa dei Poveri dovrà continuare; per noi e per voi tutti, con la grazia del Signore. E con la Nostra Apostolica Benedizione.

Cappellani dell’ONARMO

Dobbiamo una parola di beneaugurante saluto e di paterno incoraggiamento ai numerosi Sacerdoti, partecipanti alla VI1 settimana di studio sulla pastorale nel mondo del lavoro, promossa dall’ONARMO. Bravi e generosi Cappellani del lavoro! Voi portate nel compimento del mandato, affidatovi dai rispettivi Vescovi, la testimonianza vissuta dell’interesse sincero che la Chiesa nutre per le categorie lavoratrici. Continuate con fermezza e fiducia, pur in mezzo alle immancabili difficoltà, a compiere il vostro zelante ministero, dedicando ad esso . le cure più vigili e generose, e promuovendone un sempre più efficiente inserimento organico nei programmi pastorali della Comunità ecclesiale.L’approfondimento del tema proposto alla vostra riflessione in questa settimana di studio: «l’apostolato sacerdotale nel mondo del lavoro, nel quadro della pastorale d’insieme della Chiesa locale», come apre vaste prospettive di coordinata attività, così possa stimolare il vostro impegno a seguire fedelmente l’orientamento e le direttive dei Sacri Pastori, con rispettoso amore, con devota obbedienza e con volonterosa collaborazione. Noi auguriamo alla vostra fatica il più fruttuoso e consolante successo, vi accompagniamo con le Nostre preghiere e di cuore vi benediciamo.

Sacerdoti di varie diocesi

Salutiamo ora i vari gruppi di sacerdoti provenienti dalle diocesi di Genova, di Milano, di Bologna, di Tortona, di Trento. Diletti figli sacerdoti! Sappiamo che alcuni di voi sono sacerdoti novelli, altri celebrano il decennale della loro ordinazione, altri ancora il 25°: sono circostanze, queste, piene di significato, che invitano ognuno di noi a riflettere sulla grandezza della vostra dignità di «ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (1 Cor. 4, 1), e sulle responsabilità che ne conseguono. Sappiamo anche che avete voluto celebrare queste date vicini al Vicario di Cristo, animati dal comune intento di protestargli la vostra filiale devozione. Vi ringraziamo di cuore per il delicato pensiero, che conferma in noi la convinzione che il Signore vi guarda con specialissimo amore. Vi diremo adunque: siate fedeli alla chiamata del Signore, siate generosi, siate fiduciosi nel vostro sacerdozio, senza mai assimilarvi al mondo, ma al mondo dedicando il vostro servizio pastorale, senza indulgere al suo spirito, ma sempre mantenendo intatta la vostra personalità e individualità

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sacerdotale e lasciandovi sempre dirigere, come figli di Dio, dallo Spirito di Dio: «Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, ii sunt filii Dei» (Rom. 8, 14). Noi vi saremo vicini con la Nostra preghiera, e mentre vi ringraziamo del dono che avete fatto di voi stessi alla Chiesa, vi impartiamo di cuore 1’Apostolica Benedizione.

Delegati del «Secours Catholique»

Nous nous tournons maintenant avec joie vers les Délégués diocésains du Secours catholique français, qui entourent leur bien aimé et si dévoué Secrétaire général, notre et votre cher Monseigneur Jean Rodhain. Chers Fils et chères Filles, votre pèlerinage à Rome, sur la tombe du premier pape Saint Pierre et sur celle du diacre Saint Laurent, illustre à merveille votre inséparable fidélité au Saint-Siège et aux pauvres. Dans notre société, qui laisse subsister tant de détresses, vous représentez, à un titre particulier, l’œil vigilant, le cœur affectueux, la main diligente de l’Eglise: «La charité ne passe jamais» (1 Cor. 13, 8). Dans l’amour sans frontières du Christ, vous rassemblez donateurs et bénéficiaires, et vous favorisez la rencontre et l’action solidaire de tous ceux qui veulent marcher sur les traces du bon Samaritain en vivant une charité quotidienne, généreuse et efficiente. De tout cœur Nous vous disons notre vive gratitude pour ce témoignage vrai d’amour chrétien. Et en attendant d’avoir la joie d’accueillir l’an prochain le grand rassemblement que vous êtes venus préparer ici en précurseurs, Nous vous exprimons, avec notre satisfaction, nos paternels encouragements.

Nous adressons aussi un salut spécial aux chers séminaristes de Dijon, à leur Supérieur, à leurs professeurs. Comme Nous Nous réjouissons, chers amis, de votre démarche filiale, de votre souci de prendre ici contact avec la longue histoire de l’Eglise et avec ceux qui, aujourd’hui, portent, avec Nous, la sollicitude de toutes les églises! Dans ces sentiments de communion confiante, vous chercherez à acquérir une connaissance approfondie du message du Christ dont vous serez, de façon spéciale, les hérauts, et à pénétrer dans son mystère dont vous deviendrez bientôt les dispensateurs. Un tel service requiert de vous, vous le savez, une consécration totale, mais vous vaut aussi la joie sans partage des amis du Christ. Qu’il vous guide sur le chemin où tant de saints prêtres nous ont précédés. En le lui demandant, Nous vous donnons de grand cœur, à tous, Notre affectueuse Bénédiction Apostolique.

Nous saluons avec une particulière affection les 200 adolescentes du Mouvement «Generazione nuova», actuellement en Congrès international à Rocca di Papa. Chères jeunes, vous êtes venues d’Italie, de France, de Belgique, d’Angleterre et de Portugal. Nous savons votre commune volonté de prendre au sérieux votre vie chrétienne, et de servir l’Eglise de votre mieux dans le monde nouveau qui se construit. Merci du beau témoignage que vous donnez déjà à tous .., et merci des vœux de fête que vous etes venues Nous apporter aujourd’hui. De tout coeur Nous vous bénissons, Nous bénissons tous les jeunes de votre Mouvement, vos familles, vos pays.

Il Nostro paterno saluto si rivolge anche ai ricoverati di un benemerito Ospedale Provinciale dell’Aquila, accompagnati dal Comm. Pasquale Santucci, Presidente della Amministrazione Provinciale, dai dirigenti, dai medici e dal personale di assistenza. Vogliamo augurarvi, carissimi figli, che possiate presto ritornare, ristabiliti e rinfrancati nel corpo e nello spirito, alla serenità delle vostre famiglie. A questo fine invochiamo sulle vostre persone, sui vostri cari, e su quanti hanno cura di voi, copiosi favori celesti, in pegno dei quali impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Vogliamo anche indirizzare una parola di saluto e di augurio ai dirigenti e ai giovani atleti del «XII Torneo di Calcio Industria e Sport», organizzato dalla Società Ottico-Meccanica Italiana. L’attività sportiva, alla quale dedicate con impegno il vostro tempo libero, sia per voi, carissimi figli, autentica palestra di sano e generoso agonismo, e di fraterna lealtà: giovi pertanto alla vostra

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formazione umana, al perfezionamento morale e all’equilibrio del vostro spirito (Cfr. Gaudium et spes, 61). Con questi voti, volentieri impartiamo a voi, ai vostri dirigenti e a tutte le persone care 1’Apostolica Benedizione.

Ein Wort herzlicher Begrüssung richten Wir noch an die Teilnehmer eines Schulungskurses vom «Internationalen Zentrum Pius des Zwölften» in Rocca di Papa. In lobenswerter Weise bemühen Sie sich, die wertvollen Anregungen, die das Konzil gab, in der Heiligung Ihres christlichen Alltags zu verwirklichen. Setzen Sie sich auch in Zukunft mit Nachdruck dafür ein, dass die Konzilsdokumente, diese unerschöpfliche Quelle tiefer religiöser Gedanken, aufmerksam gelesen und ihr Inhalt immer mehr bekannt werde.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 8 luglio 1970

Un altro carattere del Concilio, dopo quelli che abbiamo in precedenti udienze considerati, ha dato al Vaticano Secondo una sua nota speciale, ed è il carattere pastorale. Così lo ha voluto Papa Giovanni XXIII, il quale, fino dal suo discorso inaugurale, ha manifestato il proposito che il magistero del Concilio da lui convocato dovesse avere un’indole prevalentemente pastorale (A.A.S. 54 (1962), p. 585). Cosi è stato. Basta ricordare che uno dei documenti conciliari, l’ultimo ed il più diffuso, è intitolato «Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo»: è la Gaudium

et spes, ormai famosa. Così l’altra Costituzione principale, dogmatica questa: Lumen gentium

circa la Chiesa, richiama continuamente le nozioni ed i doveri della funzione pastorale (Lumen gentium, 26-27); come pure la Costituzione sulla sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium, 33-36; 43-46); come è ovvio che il contenuto del Decreto Christus Dominus, sull’ufficio dei Vescovi, riguardi principalmente il carattere pastorale della loro funzione (Christus Dominus, 16); e parimente quello sulla formazione sacerdotale Optatam totius

(Ad gentes, 5-6); quello sulle Missioni Ad gentes (Optatam totius, 12; 19-20); e così via.

L'ORIGINE DI VENERANDA NOZIONE

Sebbene questo vocabolo « pastorale » sia chiarissimo per l’uso continuo che se ne fa, giova ricordarne l’origine. Deriva dal linguaggio antico e classico: Omero chiamò i re pastori di popoli; deriva specialmente dal linguaggio biblico (Cfr. Ier. 31, 10; Ez. 34); ma prende per noi il suo tipico significato nel Vangelo, sulle labbra di Gesù, che ama definire se stesso: «Io sono il buon Pastore» (Io. 10, 11, 14; Matth. 15, 24; Luc. 15, 4-7; Hebr. 13, 20; 1 Petr. 2, 25), e deriva dall’attribuzione della funzione pastorale, tre volte ripetuta, che Cristo risorto riferisce a Pietro, come conseguenza e come prova del suo amore per Lui (Io. 21, 15-17): se mi ami, sii pastore del mio gregge. Dunque: la pastoralità non ha importanza soltanto nel Concilio, l’ha nel Vangelo; e questa coincidenza ci dimostra ancora una volta come sul Vangelo sia ricalcato il Concilio. Ma che cosa comporta questo concetto di pastoralità? l’analisi di esso meriterebbe una lunga meditazione. Riassumiamo. È fuori dubbio che la funzione pastorale comporta l’esercizio di un’autorità. Il Pastore è capo, è guida; è maestro, potremmo anche dire, se è vero ciò che dice Gesù, che il suo gregge ascolta e segue la sua voce di buon Pastore (Io. 10, 3-4). Un’autorità, che non è conferita dal gregge; una prerogativa, una responsabilità, un’iniziativa, che lo precede: ante eas vadit (Io. 10, 4), e che non si fa condurre da lui, come vorrebbe certa concezione dell’autorità. Ma subito una seconda nota, coesistente con quella dell’autorità, definisce il Pastore, nel disegno costituzionale evangelico; ed è quella del

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servizio. L’autorità, nel pensiero di Cristo, non è a beneficio di chi la esercita, ma a vantaggio di coloro ai quali si rivolge; non da loro, ma per loro.

Questa concezione è ciò che la giustifica (ricordiamo ancora una volta la celebre formula del Manzoni nel delineare il profilo ideale del Card. Federigo: «Non ci può essere giusta superiorità di uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio») (MANZONI, I Promessi Sposi, c. XXII). Ne abbiamo già e spesso parlato: l’autorità è un dovere, è un peso, è un debito, è un ministero verso gli altri, per condurli alla vita, di cui Dio l’ha resa dispensatrice (Tit. 1, 7; 1 Cor. 4, l-2; 1 Petr. 4, 10; Luc. 12, 42), ed a cui Dio vuole che essi possano giungere. È un canale; canale obbligato, necessario, ma salutare. Si chiama «cura d’anime». Questa è la funzione pastorale. E questo aspetto di «cura d’anime», nel quale si perfeziona il concetto della pastoralità, ci apre una nuova visione, ci indica una terza nota, oltre quelle dell’autorità e del servizio; la nota dell’amore: è un servizio compiuto per amore e con amore. E l’amore, se davvero è tale, porta subito alla sua espressione assoluta, il dono totale di sé, il sacrificio; proprio come Gesù ha detto ed ha fatto di Sé e propone ad esempio di chi nell’ufficio di Pastore lo seguirà: «Il buon Pastore dà la vita per il suo gregge» (Io, 11. 10).

GLI INEFFABILI VINCOLI DI CRISTO

Qui vi è compresa una duplice somma di requisiti pastorali; una somma soggettiva di virtù proprie di chi esercita la cura d’anime; e quante sono! La premura (ricordiamo la sollicitudo di San Paolo) (2 Cor. 11, 28), il disinteresse, l’umiltà, la tenerezza (cfr. ancora San Paolo nel commovente discorso ai Cristiani di Mileto) (Act. 20, 19); e poi la somma oggettiva delle esigenze dell’arte pastorale, cioè lo studio e l’esperienza di quanto interessa la cura d’anime, fino a classificare la funzione pastorale fra le scienze derivate dalla teologia; la teologia pastorale, nei cui tesori la psicologia (si veda, ad esempio, il libro terzo della famosa Regala pastoralis di San Gregorio Magno), e la sociologia, oggi tanto in voga, figurano con legittima dignità. Donde si conclude che la pastoralità non vuol dire empirismo e bonarietà nei rapporti comunitari, né tanto meno esclusione dal ricorso a principi dottrinali indispensabili per l’energia e la fecondità stessa dell’apostolato pastorale; ma significa piuttosto applicazione concreta, esistenziale delle verità teologiche e dei carismi spirituali all’apostolato, a quell’apostolato che arriva alle singole anime e alla comunità delle persone, e che, dicevamo, si chiama cura di anime. Tutto questo riguarda, voi ci direte, la gerarchia, il sacerdozio ministeriale, i Pastori, che nel Popolo di Dio sono investiti della specifica funzione di procurare ai Fedeli i doni della parola, della grazia, della carità comunitaria. È vero. Ed è questa la nostra responsabilità, piena e diretta, tanto più impegnativa quanto più prossimo è il grado che ci unisce alla Persona di Cristo e alla sua missione della salvezza.

Ma ricordate che il Concilio ha richiamato in onore di memoria e di esercizio anche il Sacerdozio comune dei Fedeli (Lumen gentium, 10-11), Sacerdozio regale, come proprio San Pietro lo chiama (1 Petr. 2, 5-9); ha svegliato in ogni cristiano il senso della sua responsabilità nel grande quadro della salvezza (Cfr. Lumen gentium, 30-34); ogni Fedele dev’essere missionario (Cfr. Ad gentes, 36); anzi ha riconosciuto che certe forme di apostolato non possono essere esercitate propriamente che dai Laici (Lumen gentium, 31; Gaudium et spes), dedicando all’apostolato dei Laici un intero Decreto (Apostolicam actuositatem). Si direbbe che il Concilio ha fatto propria la parola biblica: (Il Signore) «diede comandamenti a ciascuno a riguardo del suo prossimo (Eccli. 17, 12). Ha voluto creare un’atmosfera di pastoralità collettiva e scambievole; ha voluto stringere i vincoli operativi della carità che tutti ci unisce in Cristo; ha voluto ridare alla Chiesa, nelle sue moderne strutture, l’entusiasmo, la solidarietà, la sollecitudine della primitiva comunità cristiana (Cfr. Act. 4, 32 ss.). Operazione-cuore, potremmo dire in linguaggio pubblicitario, ha voluto essere il Concilio mettendo in tanta evidenza il suo carattere pastorale. Operazione nostra, dica ciascuno di noi. Con la Nostra Benedizione Apostolica.

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Il XXV de «La vie catholique»

Parmi tous les groupes qui se pressent autour de Nous et que Nous voudrions tant accueillir en particulier, il en est plusieurs qui méritent un salut tout spécial. Et d’abord, celui des amis de la Vie Catholique, avec son vaillant Directeur, Monsieur Georges Hourdin. Chers Fils et chères Filles, Nous sommes très sensible à la démarche significative qui vous conduit ici, à Rome, pour fêter le vingt-cinquième anniversaire de votre revue, avec les collaborateurs des autres publications, leurs lecteurs, leurs diffuseurs, leurs invités. Vous avez tenu en effet à manifester cette solidarité largement ouverte, véritablement catholique, qui vous est si chère et où se trouvent intégrés des pauvres, des vieillards, des handicapés, des militants de votre pays et du Tiers-Monde. Nous connaissons par ailleurs le zèle apostolique que vous déployez pour faire entendre la Bonne Nouvelle au sein des familles, toucher le coeur de nos contemporains, pénétrer de réflexion chrétienne toutes les situations. A chacun, vous voulez crier, comme l’Apôtre Pierre: «Elle est pour vous, la promesse - celle du salut, celle de l’Esprit-Saint - ainsi que pour vos enfants et pour tous ceux qui sont au loin» (Act. 2, 39). Vous ne prenez pas votre parti d’une Eglise coupée du monde. Gardez, chers amis, ce dynamisme missionnaire, fruit de l’espérance. Mais purifiez-le sans cesse, dans un souci de laisser transparaître l’authenticité de 1’Evangile qui transcende tout ordre humain, la vraie vocation de l’Eglise, l’objectivité des situations, le respect des personnes, l’amour «qui édifie», «qui ne se réjouit pas de l’injustice, mais qui place sa joie dans la vérité» (1 Cor. 10, 23; 13, 6).

Vous avez voulu mettre vos pas dans le sillage de ceux, qui, avant nous, se sont laissés conduire par l’Esprit-Saint: saint Paul, saint François, sainte Catherine de Sienne. Nous vous en félicitons: oui, méditez le message de ces témoins, tout leur message, pour pénétrer, avec eux, jusqu’au coeur de Dieu. Et vous voilà près de la tombe de saint-Pierre, à qui le Christ a confié la lourde charge d’être en son nom le Pasteur de tous. Priez pour Nous qui avons reçu du Seigneur cette responsabilité, qui est aussi une paternité spirituelle élargie à l’échelle du monde. Nous sommes heureux de saluer aussi le groupe des religieuses du Conseil général de l’Education des Filles de la Charité, assistées des experts en théologie et en pédagogie, qui depuis quelques jours se consacrent avec assiduité à réfléchir sur les aspects spécifiques de l’éducation catholique, dans le monde pluraliste où elles sont appelées à travailler. Quelle belle mission vous avez là dans l’Eglise, chères Filles de saint Vincent de Paul, quel magnifique service vous pouvez rendre à tous ces jeunes! Puissent-ils apprendre, avec vous, le dessein de Dieu sur leur vie; accueillir et approfondir une foi qui doit devenir personnelle, à la hauteur des exigences de leur culture; s’ouvrir aux besoins d’une société qui attend leur engagement humain et leur témoignage de chrétiens; fortifier leur espérance, et découvrir, à travers toute votre attitude éducatrice comme dans votre enseignement, l’appel de Jésus-Christ qui libère, qui éclaire, qui entraîne à l’amour et au service. Pour cette éducation de la foi, nos meilleurs vœux vous accompagnent avec nos paternels encouragements.

Nous Nous tournons encore vers les prêtres du mouvement des Focolari, venus des divers pays d’Europe retremper leur vocation, dans la prière et dans l’étude, à la lumière des documents conciliaires, avec le soutien d’une communauté active et ardente. Vous savez l’affection toute spéciale que Nous portons à ceux qui ont la grâce de dispenser aujourd’hui les mystères du Christ, et l’espérance que l’Eglise met en eux pour le service spirituel de tout le Peuple de Dieu.

Enfin bienvenue à vous tous, chers étudiants, rassemblés de tous les horizons, pour visiter cette belle cité de Rome, et participer à cette rencontre universelle de nos fils catholiques. Profitez de ces heureuses vacances pour découvrir, avec un œil attentif et un cœur accueillant, toute cette humanité et cette Eglise qui s’enracinent dans un passé méritoire, et se tournent avec espérance courageusement, avec l’aide du Seigneur. Le Christ vous fait signe à vous aussi: il vous invite à le rencontrer dans la foi et à le servir généreusement, en Lui-même et dans la personne de vos frères.

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A chacun d’entre vous, chers Fils et chères Filles, à chacune de vos familles, Nous donnons de grand cœur notre paternelle Bénédiction Apostolique.

Nuovi assistenti ecclesiastici delle ACLI

Una particolare parola di saluto vogliamo rivolgere al gruppo dei nuovi Assistenti Ecclesiastici delle ACLI, convenuti a Roma per frequentare un corso di preparazione presso l’apposita «Scuola Nazionale». Sappiamo che lo scopo di questi corsi - che lodevolmente si ripetono oramai da quindici anni - è di preparare i Sacerdoti, nuovi Assistenti, alla missione di apostolato nel mondo del lavoro: ci compiacciamo per la rinnovata realizzazione di tale provvida iniziativa, promossa dall’Ufficio Nazionale Assistenti ACLI. Il vostro compito, cari Sacerdoti, è delicato e importante: voi siete il segno visibile del legame, sempre crescente e solido, tra Chiesa e mondo del lavoro: voi testimoniate la sollecitudine della Chiesa per tutte le classi lavoratrici, operaie e contadine.

I lavoratori cristiani hanno bisogno del vostro aiuto, della vostra presenza sacerdotale, affinché la loro azione si animi di quei valori morali e religiosi di cui, come Sacerdoti, siete portatori, e diventi testimonianza cristiana di fronte a tutto il mondo del lavoro. La vostra missione, quindi, ha un ambito ben preciso, che si riferisce ai settori morale, spirituale e religioso delle Associazioni di lavoratori, nelle quali i vostri Vescovi vi hanno dato incarico di operare. La vostra azione dovrà essere rispettosa di quelle responsabilità che sono proprie del laicato, e dei lavoratori in particolare, di fronte agli impegni temporali; ma la vostra presenza dovrà tendere a dare ai lavoratori stessi sostegno spirituale e morale, garanzia dottrinale di fedeltà all’insegnamento della Chiesa, cura religiosa. In tal modo, i Sacerdoti Assistenti aiuteranno le ACLI a continuare ad essere fedeli alla loro ispirazione cristiana ed alle loro finalità originarie, per adempiere efficacemente il ruolo di forza di animazione cristiana del mondo del lavoro. Con questi sentimenti, voti e speranze, vi diamo la Nostra Apostolica Benedizione.

Artigiani Cristiani

Un paterno saluto rivolgiamo ora ai rappresentanti dell’Associazione Cristiana Artigiani Italiani convenuti a Roma per studiare gli attuali problemi della loro categoria. La Nostra parola, figli carissimi, vuol essere di sincero compiacimento e di incoraggiamento per l’azione che la vostra Associazione svolge in questo importante settore dell’artigianato italiano. Azione che merita tutta la nostra stima, perché, oltre a mantenere viva e fiorente una nobilissima tradizione italiana, favorisce l’elevazione artistica dei prodotti artigiani destinati al culto sacro e alla devozione personale. È quindi un grande servizio che voi rendete sia alla religione che all’arte, tanto più degno di apprezzamento in quanto - come voi stessi ci avete annunziato - il vostro impegno intende adeguarsi alle prospettive aperte dal rinnovamento liturgico post-conciliare. È chiaro che la produzione dell’artigianato sacro, rivolta a servire il culto e a fondere insieme bellezza e fede, per essere valida richiede non solo abilità artistica, ma altresì squisita sensibilità religiosa, dalla quale l’artigiano e l’artista sappiano trarre ispirazione per nuove e convenienti forme espressive. Perciò Noi formuliamo l’augurio che un profondo e sincero spirito cristiano abbia sempre a guidare e ad elevare tutte le vostre attività, come è tradizione della vostra benemerita organizzazione. Intanto Noi vi accompagniamo con la Nostra preghiera e di gran cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Pellegrini litùani

With pleasure and joy We see present here this morning a group of our Lithuanian sons and daughters. We know that you have gathered from many parts of the world and we welcome you with all our heart. It was just yesterday that We personally blessed your chapel in this Basilica and

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offered Mass there. On that occasion We did not fail to commend to the protection of our Mother of Mercy your dear country and its people. In Our prayerful remembrance our thoughts turned back to your past. We thought of the vicissitudes and glories of your history and gave thanks to God for the fidelity of your people to the Church and to this Apostolic See. We prayed for all of you, especially for the youth of today who are the hope of tomorrow. Once again this morning We wish to show Our special affection for you. Through you We send our greeting into your churches and homes, and to your families wherever they may be. Always close to you in suffering and in joy, We renew our prayer for you to remain ever faithful and confident. With the Apostle Peter we would charge you to “set your hope fully upon the grace that is coming to you at the revelation of Jesus Christ” (1 Petr. 1: 13). Most cordially We impart to your beloved clergy, religious and faithful Our special Apostolic Blessing.

We are happy to greet also in English the many students here this morning. Our brief word to you is one that the Council spoke to youth: “We exhort you to open your hearts to the dimensions of the world, to heed the appeals of your brothers, to place your youthful energies at their service”. On this occasion We assure you again: “The Church looks to you with confidence and love”.

A group of eminent Chinese Catholics from Thailand and Malaysia is, We know, present at this audience. We extend to you a special greeting, and we bless you with the prayer that you may receive the grace and strength to live according to the Good News which you have welcomed. Bring Our blessing with you to your dear ones and to all the communities from which you come.

We extend a special greeting to the representatives of the Firestone Tire and Rubber Company. While We are happy to welcome you to his audience We are also pleased to express Our appreciation for the worthy social and educational activities of your firm. We know that religious institutions are among those that have benefited from your help. We wish you great success in contributing to the advance of social justice and to the development of mankind.

We bid a warm welcome to the group of Catholics and Protestants from Scandinavia who have come to Rome on pilgrimage together. May your visit be a help to greater progress towards the unity desired by Christ. We promise you our prayers for yourselves and your families, and for fruitful results from your pilgrimage.

DISCORSO AD UN GRUPPO DI SACERDOTI ITALIANI DEDITI ALL’ASSISTENZA SPIRITUALE AI LAVORATORI EMIGRANTI

Mercoledì, 8 luglio 1970

Siamo molto grati al Signore di questo incontro con voi, carissimi Sacerdoti che vi state intensamente preparando ad assumere presto la cura spirituale degli emigranti, come missionari. Abbiamo visto con animo commosso che avete voluto mettere in relazione i cinquant’anni trascorsi da quando il Pontificio Collegio per l’Emigrazione fu messo dalla Santa Sede a disposizione del Clero italiano, col cinquantesimo anniversario del Nostro sacerdozio, e che in questa luce volete ricevere il Crocifisso, che vi qualificherà davanti agli Emigranti come padri, pastori, confidenti, consiglieri, amici, nel nome santo di Colui il quale, dalla Croce, apre le braccia per accogliere tutti gli uomini. Di Lui sarete i rappresentanti presso chi, sospinto da dure ragioni di lavoro in terra di diversa lingua e di costume estraneo, troverà in voi non solo il fratello a cui aprire il cuore, ma

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soprattutto il Ministro di Dio, deputato ufficialmente alla sua cura pastorale attraverso la Liturgia del Mistero eucaristico, l’annuncio della Parola e l’amministrazione dei sacramenti.

Questa impronta sacerdotale, l’abbiamo visto con vivo compiacimento, ha caratterizzato il vostro corso, con un programma di preghiera e di studio incentrato sulla vostra funzione sacerdotale. Ce ne congratuliamo con la solerte Direzione Nazionale delle Opere per le Migrazioni, della Conferenza Episcopale Italiana; e ci piace lasciarvi come ricordo di questa Udienza proprio l’esortazione affettuosa e paterna a compiere la vostra difficile missione da sacerdoti, da consacrati, unicamente e definitivamente, a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, modello di vita e di immolazione sacerdotale. Questo la Chiesa chiede a voi, carissimi, e questo vogliono da voi i buoni Emigranti, non altro. Siate tra di essi il richiamo costante alle realtà celesti, il conforto alle pene e alle fatiche quotidiane, l’aiuto che, anche quando deve soffermarsi su questioni di ordine materiale, sociale, economico, porta il segno dell’uomo di Dio.

A questo ha mirato il Concilio Vaticano II, quando ha raccomandato ai Vescovi l’assistenza religiosa per «gli emigranti, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti ai trasporti aerei, i nomadi ed altri simili categorie» (Christus Dominus, 18); questo ha voluto intendere in primo luogo il recente riordinamento di tutta l’ampia materia con l’Istruzione Apostolica «Pastoralis Migratorum cura» e la costituzione di un particolare organismo centrale a ciò espressamente deputato.Per tale effettiva rispondenza ai voti della Chiesa e della Santa Sede Noi vi ringraziamo di cuore; guardiamo a voi come si guarda a figli prediletti, che accorrono ove la Chiesa chiama, indicando questi sterminati e ancor troppo disertati campi di sacro ministero; vi seguiamo con la preghiera, invocando su di voi, sui vostri cari che abbandonate, e sulle anime che saranno vostre, la continua protezione del Cielo. E sia testimonianza di questi sentimenti la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

DISCORSO AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE CRISTIANA ARTIGIANI ITALIANI

Lunedì, 5 ottobre 1970

Dobbiamo il piacere di questo incontro all’Associazione Cristiana Artigiani Italiani che, traendo motivo dal 50° anniversario della Nostra Ordinazione Sacerdotale, ha avuto il delicato pensiero di promuovere una manifestazione di omaggio alla Nostra umile persona, accompagnandola con l’offerta di arredi liturgici, prodotti dall’artigianato italiano, da destinare alle chiese che sorgono nei nuovi quartieri popolari e nelle terre di Missione.Sono stati invitati a partecipare a così gentile e da Noi tanto apprezzata iniziativa, e vi hanno aderito con entusiasmo, i dirigenti e soci dell’anzidetta Organizzazione; le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura; le Commissioni Provinciali per l’Artigianato; le Casse Mutue Artigiane; le Confederazioni sindacali artigiane; gli Enti che operano nel settore artigiano.Figli carissimi! Vi apriamo il cuore e le braccia al più affettuoso e beneaugurante saluto, e vi ringraziamo della consolazione che ci procura la vostra presenza, come vi esprimiamo la Nostra sincera riconoscenza per i doni molteplici che avete voluto recarci e che sono segno tangibile della vostra sensibilità, della vostra generosità e della vostra devozione.

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Desideriamo anche esprimervi il Nostro compiacimento per la rinnovata professione di fedeltà a Cristo e alla Chiesa, che voi volete mantenere con propositi che tanto vi fanno onore. Noi vi incoraggiamo con tutto il cuore: anche dai luoghi di lavoro, ove l’uomo dona il meglio di sé, deve salire a Dio l’inno dell’amore, attraverso l’attività accettata come strumento di collaborazione alla divina opera creatrice, come mezzo di purificazione e di ascesi per la fatica quotidiana ch’essa comporta, e come vincolo di solidarietà verso i fratelli e la società. Sappiate, cari e valorosi artigiani, che il Papa vi segue nel vostro lavoro quotidiano, condivide le vostre legittime aspirazioni per prepararvi un avvenire sempre più sicuro e sereno, e conforta le vostre interiori disposizioni. Vorremmo che la Nostra voce giungesse, con voi, a tutti gli artigiani d’Italia, per attestare loro la sollecitudine assidua della Chiesa in favore della loro continua elevazione religiosa, morale e professionale. Ci è gradita l’occasione per rinnovare i Nostri voti per l’azione dell’Associazione Cristiana Artigiani Italiani, che promuove l’affermazione dei principi sociali cristiani nella vita, negli ordinamenti, nella legislazione artigiana; che intende realizzare il progresso economico e sociale dell’artigianato in una visione armonica e generale di tutta la complessa realtà socio-economica della comunità nazionale; che persegue i suoi nobili scopi di elevazione religiosa, morale, tecnica e sociale degli artigiani attraverso lo studio approfondito dei problemi ed esigenze, la formazione, l’assistenza capillare e competente.

Vorremmo, inoltre, che il ricordo dell’odierno incontro – suggerito dalla ricorrenza del Nostro Giubileo Sacerdotale – rimanesse impresso in ciascuno di voi, a conforto nel vostro impegno di uomini, di lavoratori, di cristiani. Abbiate viva la consapevolezza di questa triplice vocazione, che vi definisce nella vostra più sacra dignità. Da voi, artigiani cristiani, la Chiesa si aspetta la volonterosa e fedele applicazione dei principi della sua dottrina sociale, la quale esalta, come nessun’altra, la dignità della persona umana dei lavoratori, la loro grandezza davanti a Dio e al mondo. Da voi, artigiani cristiani, la stessa società attende un valido contributo per il proprio continuo progresso nell’ordine e nella giustizia, per il conseguimento del vero benessere individuale e collettivo.Possa la protezione di Dio assistere le vostre persone, le vostre famiglie, le vostre attività; possa alimentare tra voi una sempre più intensa e fattiva unione; possa conservare ed accrescere nell’esercizio degno e responsabile della vostra professione quelle virtù morali e civili che le conferiscono prestigio; possa la protezione di Dio tener acceso nei vostri cuori il senso religioso della vita.Con questi fervidi voti, che si accompagnano ai Nostri sentimenti di benevolenza e di gratitudine, scenda su di voi e sulle vostre dilette famiglie, sulla vostra Associazione e sull’intera categoria degli artigiani italiani, sulle Autorità e su quanti sono presenti a questo incontro, la Nostra propiziatrice Benedizione Apostolica.

UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Sabato, 20 marzo 1971

Siamo assai lieti di dare il Nostro benvenuto ai millecinquecento Maestri del Lavoro, e ai loro familiari, convenuti a Roma per partecipare all’annuale Convegno nazionale, promosso dalla omonima Federazione Italiana. Voi rappresentate davanti ai Nostri occhi tutti coloro che, come voi, sono stati insigniti della Stella al Merito del Lavoro per le particolari qualità professionali, umane e morali, di cui sono forniti, ed è perciò cosa assai gradita per Noi potervi attestare pubblicamente la Nostra stima e la Nostra benevolenza, per un riconoscimento così alto, che a buon diritto vi onora, coronando la vostra esistenza di buoni cittadini e di degni lavoratori. Ma la vostra presenza è altresì simbolica di un ben più vasto numero di persone: effettivamente, voi ci portate davanti l’immagine

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di tutto il mondo del lavoro, con la sua somma di attività, di fatiche, di aspirazioni, di benemerenze, di delusioni: mondo ampio e poliedrico, organizzato e volitivo, talora inquieto e tumultuoso, che non nasconde talora le sue diffidenze verso la Chiesa, ma che pure è fatto oggetto, da parte di essa, delle premure più vigili e attente. In questo giorno, che segue la festa liturgica di San Giuseppe, l’umile operaio di Nazareth, ci fa piacere, cogliendo questa occasione di riattestare la materna e continua sollecitudine della Chiesa per i lavoratori, per la difesa della loro dignità umana, e per la loro elevazione spirituale e morale; ne sono prova i più famosi documenti pontifici, ne fa fede l’impegno che essa ha attraverso apposite istituzioni internazionali e nazionali di seguirne e di favorirne lo sviluppo con ogni mezzo a sua disposizione.

Non è Nostra intenzione fare l’apologia di quanto ha compiuto e compie la Chiesa in questo settore; l’abbiamo fatto altre volte, sulla scia dei nostri Predecessori; del resto non ce n’è bisogno, perché tale posizione è chiara come la luce del sole, ed è ben sintetizzata da una frase del Concilio Vaticano II, che nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ha solennemente affermato che «il lavoro umano . . . è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo natura di mezzo. Tale lavoro, infatti, sia svolto indipendentemente che subordinatamente ad altri, procede immediatamente dalla persona, la quale imprime sulla natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Col suo lavoro, l’uomo abitualmente sostenta la vita propria e dei suoi familiari, si associa agli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità, e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione» (Gaudium et Spes, 67).

Grandi parole! Sintesi profonda, che getta un fascio di grande luce sulla dignità del lavoro umano!

Ed è appunto su questo valore pedagogico del lavoro sottolineato incessantemente dall’insegnamento e dalla pratica della Chiesa, che Noi vorremmo oggi insistere, per lasciare a voi, carissimi Maestri del Lavoro, un ricordo di questo Nostro incontro, a vostra consolazione, e a vostro incoraggiamento, per riprendere con rinnovato fervore, il corso monotono della vita di ogni giorno. Sì, il lavoro è pesante, è faticoso, è arduo; le moderne condizioni della vita industriale lo portano talora ad un livellamento di atti e di gesti, che sembra mortificare la persona umana; eppure esso, anche quando è svolto nella sfera più libera e creativa dell’iniziativa artigianale o artistica, reca sempre con sé un elemento di sofferenza e di pena. La fede cattolica ci insegna che queste sono le vestigia del peccato originale che ha trasformato il lavoro da un impulso gioioso e fecondo dell’uomo, creato da Dio per sottomettere la terra (Cfr. Gen. 1, 28), in un peso da portarsi con volontà riottosa e renitente, in una lotta continua contro la natura ostile, scardinata anch’essa dal suo equilibrio in conseguenza della ribellione dell’uomo a Dio: «Col sudore del tuo volto mangerai il pane» (Ibid. 3, 19).

Nella nuova economia della Redenzione, il lavoro trova però tutto il suo valore di ascesi e di perfezione spirituale: unito alla sofferenza di Cristo Gesù, il Quale volle essere operaio nell’umiltà della casa di Nazareth, il lavoratore - sia esso della mano e del braccio, come della penna, della mente, dell’insegnamento, ecc. - dà alla propria opera un valore altissimo: non è solo più la prosecuzione dell’attività creatrice di Dio, ma diventa mezzo di elevazione e di purificazione, di raffinamento interiore nella pace e nella pazienza, di elevazione del mondo, in comunione con tutti i fratelli che, attraverso l’apporto di ognuno, si porgono l’un l’altro la mano in un servizio indispensabile alla comunità umana.

Voi siete «Maestri» del lavoro: dovete dunque viverne, e insegnare agli altri la difficile arte di adoperarne tutte le ricchezze, insite per la propria maturazione umana e cristiana. Il lavoro sia per voi e per gli altri non impedimento, non ostacolo, non remora, bensì scalino per ascendere gradatamente e sicuramente nella comprensione del piano divino di amore verso tutti gli uomini,

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per portare il proprio contributo alla costruzione non solo della società terrena, ma di quella cristiana, cementata dalla carità e dalla fratellanza, sinceramente vissute.

È questo l’augurio che vi facciamo, assicurando a voi, e a tutti i vostri colleghi di lavoro che un posto di predilezione è riservato per voi nel Nostro cuore.

Assistenti e dirigenti dell’Azione Cattolica Ragazzi

Ed ora una parola di saluto ad altri gruppi di particolare rilievo, che distinguono questa affollata udienza.

Salutiamo anzitutto gli Assistenti e i Dirigenti Nazionali e Diocesani dell’Azione Cattolica Italiana dei Ragazzi, che hanno tenuto la prima assemblea nazionale dopo l’approvazione del nuovo Statuto della stessa Azione Cattolica.

Il vostro è un apostolato tanto necessario; e ci fa piacere costatare il senso di responsabilità con cui affrontate i problemi della vita dei giovanissimi. Oggi i ragazzi crescono prima, si dice; sono più vivaci, più intelligenti, più aperti, conoscono un mondo di cose attraverso le nuove forme della Scuola e per il tramite dei mezzi di comunicazione sociale. Ma proprio per questo hanno maggior bisogno di cure: si sviluppano in mezzo ai pericoli di un ambiente pluralistico, nel quale il bene e il male sono apertamente mischiati, e manca un criterio di buon giudizio perfino per gli adulti. Figuriamoci per i ragazzi, che devono essere guidati da mano amorevole, ma esperta e ferma, se non si vuole che le doti della loro intatta freschezza siano corrose, e forse irrimediabilmente avvelenate. Non comprendiamo quindi perché, da parte di certuni, anche dei nostri buoni Sacerdoti, si tenda a sottovalutare l’importanza della pastorale dei ragazzi, per dare la preferenza a quella in favore dei grandi: certo, è necessaria una gerarchia di valori. Però il metodo di Gesù, e quello dei grandi santi pedagogisti della Chiesa - pensiamo a un La Salle, a un Giovanni Bosco - non è stato questo: e la ricchezza dei risultati ne ha confermato la bontà. Occorre ritornare a centrare le proprie sollecitudini sulla formazione dell’adolescenza, compito che richiede sapienza, esperienza, tatto, buonsenso, forza di persuasione; oggi più che mai.

Un grande e meritato elogio a voi, che lo fate: non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà, ma raddoppiate i vostri sforzi per rivitalizzare anche questo importante settore dell’Azione Cattolica. Ve ne ringraziamo di cuore, e preghiamo il Signore per voi, affinché non vi manchi mai il suo aiuto.

Pellegrini di Reggio Emilia e Guastalla

Ed ora a voi, carissimi familiari dei Sacerdoti, dei Missionari, dei Religiosi e delle Religiose delle diocesi di Reggio Emilia e di Guastalla, venuti col vostro zelantissimo Vescovo, Monsignor Gilberto Baroni, in un pellegrinaggio così qualificato, così significativo. La vostra presenza ci commuove, non solo perché richiama alla memoria la soavità dei ricordi dei Nostri Genitori, ma soprattutto perché è una testimonianza, tanto più formidabile quanto silenziosa, di amore a Cristo e alla Chiesa.

Voi avete dato un figlio, una figlia al Signore; vi siete privati di cullare speranze terrene sull’avvenire di questi vostri figlioli, rinunziando, nella maggior parte dei casi, perfino alla dolcezza di averli con voi, alla sicurezza del vostro domani. Vi siete affidati alla Provvidenza, avete fatto conto su Dio solo! Come Abramo, come Elisabetta, come Maria Santissima.

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Il Signore, che non lascia senza la dovuta mercede anche un bicchier d’acqua dato ai suoi apostoli (Cfr. Matth. 10, 42), non mancherà di aprirvi la fonte delle sue consolazioni: già grandi, inesprimibili, ineffabili, fin da questa terra, ma soprattutto amplissime in Cielo. Il Papa vi ringrazia, comprendendo in un unico abbraccio voi e i vostri figlioli consacrati, e le vostre diocesi, che, in voi, offrono un aspetto così consolante della propria spirituale efficienza.

Suore Agostiniane

Dobbiamo infine una parola di benvenuto e di incoraggiamento alle duecento Suore Agostiniane d’Italia; esse rappresentano oltre mille consorelle di sei diverse Congregazioni agostiniane, e sono venute a Roma per un convegno di preghiere e di studio sul tema «Azione e contemplazione nella vita religiosa agostiniana, oggi». Avremmo voluto maggior tempo a disposizione, per dedicare un approfondito esame ad un argomento tanto interessante; ma fortunatamente avete per voi i testi del vostro grande Patrono e Istitutore, Sant’Agostino, le cui pagine sono come una sorgente di acqua viva e zampillante, profonda e quieta, per indirizzare la vostra vita sul duplice binario dell’apostolato in favore delle anime e della preminente vita di unione con Dio. Chi più di lui fu attivo nell’impegno quotidiano per l’edificazione della Chiesa; e chi meglio di lui fu attento alla voce del Maestro interiore, che parla nel fondo dell’anima in un segreto e continuo e amoroso colloquio? Quale esempio, quale scuola, quale forza per voi, che ne siete le figlie spirituali! (Cfr. la celebre Epistola 211; PL 33, 958, ss.) Vi ripeteremo le parole di S. Agostino alle monache da lui istruite: «Che il Signore vi dia la grazia d’osservare tutte queste cose con dilezione, come amatrici della bellezza spirituale, e come fragranti del profumo di Cristo per la vostra buona condotta, non come serve sotto la legge, ma come fatte libere sotto la grazia» (Ibid. 965).

Non lasciate pertanto consumare il prezioso alimento della vita interiore, da cui sola scaturisce la fecondità delle opere; oggi si è più portati a sottolineare queste a scapito di quella, con conseguenze purtroppo assai funeste. Sappiate compiere la felice, indispensabile sintesi, che garantisce pienezza di frutti alla vostra vita religiosa in seno alla Chiesa, al servizio del Redentore e delle anime acquistate dal suo Sangue prezioso. Con questa intenzione vi ricordiamo nelle Nostre preghiere, e vi assicuriamo la Nostra benevolenza.

Ai menzionati pellegrinaggi, e a tutti coloro che sono presenti a questa udienza, vada il Nostro pensiero beneaugurante, pieno di affetto e di sollecitudine. Il Signore vi accompagni sempre nelle vie della vita, mentre, in pegno dei suoi doni, di cuore impartiamo la Nostra propiziatrice Benedizione Apostolica.

UDIENZA AI LAVORATORI IN OCCASIONE DELLA SOLENNITA' DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO

Sabato, 1° maggio 1971

Noi salutiamo oggi i Nostri visitatori pensando che questo giorno è dedicato alla celebrazione del lavoro, che per noi cattolici trova la sua figurazione tipica in Cristo, il quale ha voluto essere classificato, entrando nell'anagrafe umana, come "figlio del fabbro", ed essere lui stesso operaio di. fatica fisica e manuale, obbediente a colui che allo stato civile fungeva da suo padre (putativo) e da suo maestro d'arte, S. Giuseppe;così nacque e visse Gesù in una sfera di attività dura, umile e povera, in una società primitiva, ma per altro intensamente carica di coscienza religiosa, quella

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propria del Popolo di Dio, fedele ad una secolare e storica tradizione di alleanza nella fede e nella legge ad una elezione divina, rivestito d'una dignità e d'una missione regale, e proteso sempre verso un indefinibile, ma meraviglioso futuro destino messianico, che solo l'oscuro giovane artigiano di Nazareth, Gesù, conosceva quale era realmente e come in lui stesse per realizzarsi.

Né più semplice e modesta potrebbe essere la scena sociologica in cui Cristo ha voluto apparire sul teatro della storia del mondo, né più densa e misteriosa di significato e di realtà trascendente. Per questo, contemplare il quadro, dove Gesù "di Nazareth, Re dei Giudei" si presenta al mondo, come lavoratore e come Messia prossimo a svelare e a compiere la sua missione salvatrice, è tema pieno d'interesse per noi, i quali avvertiamo la voluta inserzione di Gesù, accanto e soggetto a Giuseppe artigiano, nel mondo del lavoro umano, e possiamo derivare da questa apparizione di Cristo nel tempo e nel consorzio sociale una fecondissima meditazione.

La quale meditazione diventa attuale, proprio per il fatto che Egli, Gesù, il Messia, il Salvatore dell'umanità, volle essere lavoratore, soggetto all'umiltà e alla fatica dell'opera manuale, classificato come membro d'una onesta e umile categoria sociale, e personifica così l'umanità nella sua espressione più semplice e primitiva, più naturale e più necessaria, più bisognosa e più meritevole dell'ascensione pluriforme, economica, sociale, spirituale, a cui la vita dell'uomo è destinata.

Siamo così invitati a onorare il lavoro, che vediamo assunto alla scuola di S. Giuseppe da nostro Signore Gesù Cristo. sì, onoriamo il lavoro, programma stabilito da Dio creatore alla vita dell'uomo, affinché egli "s'impadronisca della terra", "la coltivi e la custodisca"; titolo perciò della sovranità dell'uomo sulla creazione, e della sua vocazione a portare a compimento il mondo creato, estraendo da esso le ricchezze, le energie, le virtualità, che vi sono nascoste, e a coordinarle al vantaggio e al progresso della propria vita, destinata così a scoprire Dio nell'opera sua tutta imbevuta della sua sapienza.

Onoriamo il lavoro, che esplora, domina e feconda la creazione. Onoriamo il lavoro, tramutato in fatica, dopo il peccato del primo uomo, quasi castigo espiatore, e sforzo e lotta con una terra diventata nemica, che solo a prezzo di sudore darà pane al suo mortale padrone, ma restituirà poi col sudore una ricuperata grandezza, un merito nuovo della difficile e dura sua attività. Onoriamo il lavoro che ha in sé la virtù della penitenza e della riabilitazione, la nobiltà del dolore, il superamento dell'egoismo, il segreto dell'amore.

E onoriamo il lavoro che rende fratelli gli uomini, li educa alla cooperazione, gli stimola alla solidarietà, li fortifica alla conquista non solo delle cose, ma altresì della speranza, della libertà, della felicità, e offre loro così la base della moderna vita sociale. Onoriamo il lavoro nelle sue impensabili, meravigliose, continue conquiste, quando febbrilmente animato dal pensiero scientifico, cioè capace di rintracciare il recondito pensiero divino nelle cose, impugna strumenti prodigiosi, che lo sollevano in grande parte dalla durezza della fatica fisica, e gli infondono un'incalcolabile efficienza, tanto da convertire l'antica stanchezza in gaudente ebbrezza, e fino anche in trepidante timore . . .

E poi il lavoratore noi dobbiamo onorare. Oggi, sua festa. Non vediamo noi riflessa nella sua curva figura, nella sua sofferta pazienza, l'immagine di Cristo che lavorò, che stentò, che conobbe il dolore, che subì l'ingiustizia, che portò la Croce e che subì la morte precoce? Non ascoltiamo noi oggi la chiamata che a lui il Signore, come ad ogni tribolato e affaticato, rivolse per l'incontro con Lui, solo vero consolatore?

Non salutiamo noi oggi il suo risveglio da un secolare torpore ed il suo avvento nella sfera dell'eguaglianza e della libertà? E non vediamo delinearsi nel suo forte e sudato profilo il tipo

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dell'uomo autentico, che infonde nell'inevitabile e faticosa attività la sua energia, la sua personalità e ne trae il prezzo della sua indipendenza e il dono del benessere per la sua casa e per la sua città? e di più, che nella fecondità del connubio dell'opera sua con le inerti ed ignare e recondite risorse della terra fa scaturire i segni d'una Provvidenza che dà il pane quotidiano, reso sacro dalla fatica e dalla preghiera, a chi col lavoro lo ha meritato? Figli e Fratelli! questa è la grande poesia della nostra vita terrena; la grande realtà.

Se un giorno nella storia (e ancora non è del tutto tramontato), questa palingenesi del mondo del lavoro, si aprì nel furore della lotta fra l'uomo povero e l'uomo ricco, fra la classe disarmata della folla sterminata degli uomini segnati dalla fatica e quella privilegiata per goderne e per l'esercizio di altre funzioni sociali, ricordiamo che tale non dev'essere la norma necessaria della dialettica sociale, sì bene la virile e giusta difesa dei sacrosanti diritti umani, la promozione delle legittime aspirazioni, ma sempre nel preciso intento di tutti della collaborazione delle classi sociali, della mutua partecipazione al progresso economico e civile, nell'equa distribuzione dei benefici risultanti dal comune lavoro, nella concordia solidale gioconda fra uomini figli d'uno stesso Paese, e fratelli della medesima patria, ch'è la terra universa.

Ricordiamolo noi, specialmente; noi cristiani, noi cattolici, che abbiamo la fortuna di non restringere l'orizzonte della vita nel cerchio temporale ed economico, ma di aprirlo al cielo dello spirito, al colloquio con Dio Padre e alla fede trasfigurante della parola di Cristo! e sappiamo trarre, Figli e Fratelli carissimi, l'ispirazione corroborante esaltante per portare pace e giustizia al mondo - al mondo operaio, specialmente -, non dalla scelta equivoca di dottrine contestabili, o di formule imbevute di materialismo e di odio, ma dall'urgenza sentita e vissuta della carità, umile e forte, che quel Cristo dal Quale traiamo la qualifica e la consegna, ci ha insegnato con la parola e con l'esempio, e ci ha infuso con il suo Spirito vivificante.

REGINA COELI

Domenica, 16 maggio 1971

Noi oggi abbiamo in San Pietro ricordato una storica parola liberatrice di Papa Leone XIII, Nostro grande predecessore, per la classe operaia, e abbiamo rinnovato il proposito di continuare nello sforzo cristiano per ogni dovuta giustizia al lavoro umano, alla sua dignità, alla sua libertà, alla sua promozione civile e spirituale.

Questo programma è già in corso nella società moderna, ma esige ancora molto impegno perché sempre nuovi problemi sorgono dal fatto che oggi tutti, in modo e misura diversi, sono obbligati al lavoro, e non tutti lo trovano e sono disoccupati, non tutti lo possono compiere in maniera sicura e adeguatamente retribuita ed assistita; e tutti poi aspirano a ricavare dalle loro fatiche maggiori diritti e maggiori soddisfazioni. Molti poi hanno idee sbagliate su questo grande problema del nostro tempo: e alcuni non ammettono che il lavoratore possa aspirare a nuove e migliori condizioni di vita; ed altri credono ancora che la causa del lavoro non possa progredire senza un perpetuo e violento conflitto sociale.

È il dramma del nostro tempo; e per la sua soluzione noi credenti dobbiamo innanzitutto pregare.

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Noi dunque pregheremo per i lavoratori che soffrono ancora e sudano in una fatica dura, rischiosa, malsana; pregheremo per i disoccupati e per i poveri.

Poi pregheremo affinché il lavoro, invece di convertire la legittima tutela degli interessi particolari in odio profondo, in lotta permanente e insanabile, in demagogia rivolta al disordine pubblico, e alla finale sopraffazione degli uni sopra gli altri, ci sia invece scuola di comune rispetto e ci conduca a maggiore giustizia, alla fratellanza, al bene comune, alla pace.

Pregheremo perché, su l’esempio di Gesù Cristo, sappiamo amare e compiere bene il nostro lavoro, studiando non solo di ricavarne pane e mercede e benessere, ma altresì di scoprirvi un certo incontro con i segreti della creazione e quindi una vocazione al progresso, all’incontro con Dio.

Per questo, sì, infine pregheremo, affinché il lavoro non sia chiuso nella visuale materialistica ed atea, ma sia aperto agli orizzonti dello spirito, della preghiera, della ricompensa eterna.

Così, salutando i fratelli nel lavoro, nella fatica, nella speranza, preghiamo.

80° ANNIVERSARIO DELLA «RERUM NOVARUM»

OMELIA

Domenica, 16 maggio 1971

Il momento di religiosa riflessione, che la celebrazione del rito sacro a Noi concede, è innanzi tutto rivolto a definire lo scopo di questa solenne e semplice cerimonia.

Lo scopo, voi lo sapete, è commemorativo. Noi vogliamo cioè insieme ricordare un avvenimento, che ebbe a suo tempo ed in quello successivo grande importanza; vogliamo dire la pubblicazione da parte del Nostro sempre venerato e grande predecessore, Papa Leone XIII, di un documento ufficiale e di carattere universale, cioè di una Lettera Enciclica, riguardante le condizioni sociali di quel tempo, di ottanta anni fa, e più precisamente la «questione operaia», cioè il genere di vita economica, morale, sociale, riservato allora ai lavoratori, dopo il primo periodo dell’applicazione della macchina industriale nel campo del lavoro. Si moltiplicò la produzione e la ricchezza da un lato, si creò una moltitudine di lavoratori, poveri e soggetti, dall’altro; si delinearono in forma nuova le classi della società, divise ed opposte da enormi sperequazioni economiche; si polarizzò intorno a due termini, capitale e lavoro, questa paradossale situazione, l’associazione necessaria, cospirante ad un’opera comune, la produzione, e la dissociazione degli animi e degli interessi fino alla lotta sistematica fra coloro ch’erano impegnati nel fatto produttivo, creando così una società stretta allo stesso tempo ad una inevitabile collaborazione ed a un inevitabile conflitto. Il Papa vide allora due fenomeni salienti: vide che questo spontaneo statuto fondamentale della nuova società in via di formazione, uno statuto di lotta permanente e quindi di avversione congenita tra i membri d’uno stesso popolo, era sbagliato rispetto all’armonia, alla concordia, all’equilibrio, alla pace, che devono fare la sua vitalità e la sua felicità; e vide che questo stato di cose comportava per ciò stesso qualche radicale ingiustizia, e soprattutto non solo tollerava, ma spesso imponeva all’immensa classe dei lavoratori condizioni inumane di vita, incalcolabili disagi e sofferenze, disuguaglianze inique rispetto ai comuni diritti, una specie di condanna a un genere di vita umiliante e privo di libertà e di speranza.

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PAROLA LIBERATRICE E PROFETICA

E perciò parlò. La Chiesa e il Papa stesso avevano già altre volte denunciato gli errori sociali, di idee specialmente, che venivano generando nei tempi nuovi, quelli appunto del lavoro industriale, gravi inconvenienti; ma quella volta la parola fu più forte, più chiara, più diretta; oggi possiamo dire fu liberatrice e profetica.

Ed ecco allora un secondo scopo di questa cerimonia; essa vuol essere non soltanto commemorativa, ma anche giustificativa. Perché il Papa parlò? Ne aveva il diritto? Ne aveva la competenza? sì, rispondiamo, perché ne aveva il dovere. Qui si tratterebbe di giustificare questo intervento della Chiesa e del Papa nelle questioni sociali, che sono di natura loro questioni temporali, questioni di questa terra, dalle quali sembra esulare la competenza di chi trae la sua ragion d’essere da Cristo, che dichiarò il suo regno non essere di questo mondo. Ma, a ben guardare, non si trattava per il Papa del regno di questo mondo, diciamo semplicemente della politica; si trattava degli uomini che compongono questo regno, si trattava dei criteri di sapienza e di giustizia che devono ispirarlo; e sotto questo aspetto la voce del Papa, che si faceva avvocato dei poveri, costretti a rimanere poveri nel processo generatore della nuova ricchezza, degli umili e degli sfruttati, non era altro che l’eco della voce di Cristo, il quale si è fatto centro di tutti coloro che sono tribolati ed oppressi per consolarli e per redimerli; della voce di Cristo che proclamò beati i poveri e gli affamati di giustizia, e che volle personificarsi in ogni essere umano, piccolo, debole, sofferente, disgraziato, assumendo sopra di sé il debito di una ricompensa smisurata per chiunque avesse avuto cuore e rimedio per ogni sorta di umana miseria.

DIRITTO-DOVERE FORTE ED URGENTE

Il che vuol dire un diritto-dovere del Papa, che rappresenta Cristo, della Chiesa tutta, ch’è pure il Corpo mistico di Cristo, anzi d’ogni autentico cristiano, dichiarato fratello d’ogni altro uomo, di occuparsi, di prodigarsi per il bene del prossimo; diritto-dovere tanto più forte ed urgente quanto più grave e pietosa è la condizione del prossimo nel bisogno.

E vuol dire ancora che la Chiesa, nei suoi ministri e nei suoi membri, è l’alleata per vocazione nativa dell’umanità indigente e paziente; perché la salvezza di tutti è la sua missione, e perché tutti hanno bisogno d’essere salvati; ma la sua preferenza è per chi ha bisogno, anche nel campo temporale, di essere aiutato e difeso. Il bisogno umano è il titolo primario del suo amore. Povera normalmente essa stessa, la Chiesa, amando e soffrendo insieme con gli affamati di pane e di giustizia, trova in qualche modo in se stessa la prodigiosa virtù di Gesù che moltiplicò i pani per la folla e svelò la dignità d’ogni vivente per misero e piccolo che questi fosse. E trova le parole gravi e talvolta minacciose, anche se sempre materne, per i ricchi e per i potenti, quando la indifferenza, l’egoismo, la prepotenza fanno loro dimenticare la fondamentale eguaglianza e l’universale fratellanza degli uomini, e consentono loro di confiscare a proprio esclusivo profitto i beni della terra, specialmente se questi sono frutto dell’altrui sudore e dell’altrui sacrificio.

Vi sarebbero molte cose da dire e da spiegare a questo riguardo circa la fedeltà o l’inadempienza degli uomini di Chiesa a questo riguardo; ma ora basta a noi raccogliere la testimonianza del grande documento, che da ottanta anni grida nella storia moderna questo messaggio di giustizia sociale e di umano dovere, e lo grida con perseveranza, con operosità, con amore, e lo fa echeggiare nelle pagine dell’ultimo Concilio, nel quale l’unica gloria terrena che la Chiesa rivendica a sé è quella di servire gli uomini, che essa sola, a bene osservare, con titolo inoppugnabile proclama fratelli.

LA CHIESA SEMPRE MADRE E MAESTRA DEI LAVORATORI

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Notiamo così un altro scopo di questa commemorazione, ed è quello di continuare. Di continuare, diciamo, nell’affermazione della scuola sociale cattolica. La inesauribile fecondità dei principi. teologici, filosofici, antropologici, dai quali trae la sua sorgente e la validità del suo insegnamento, l’imperativo evangelico e storico della sua tradizione, la formidabile tempesta di teorie, di ideologie, di fatti sociali e politici dalla quale siamo avvolti e investiti, la persistenza, anzi la recrudescenza e l’insorgenza di gravi problemi sociali, e, non fosse altro, la ammissione del pluralismo delle opinioni e dei sistemi in vista della sempre dinamica formazione d’un progressivo ordine sociale, autorizzano la Chiesa e obbligano i suoi figli cattolici a interloquire con una loro propria dottrina sociale moderna, che alla luce di eterne e sempre vive verità sappia interpretare le esperienze dei tempi nuovi nel senso della difesa e della promozione dell’uomo incamminandolo verso i suoi veri destini temporali ed eterni.

Continuare. È ciò che Noi abbiamo, con ben più modesta parola, cercato di fare riascoltando quella che, or sono ottanta armi, Leone XIII annunciava alla Chiesa ed al mondo, mediante la Nostra Lettera Apostolica, ieri pubblicata e indirizzata al Card. Roy, Presidente del Consiglio dei Laici e della Commissione Pontificia per la Giustizia e la Pace, vale a dire a questi nuovi organi della Chiesa per la diffusione universale e apostolica della dottrina cattolica in materia sociale. Sono semplici pagine aperte alla vostra riflessione specialmente, cari Lavoratori cristiani, affinché abbiate qualche buona e meditata indicazione per il vostro cammino onesto e legittimo verso le nuove conquiste alle quali aspirate; affinché abbiate fiducia nella Chiesa non solo come guida che talvolta interviene nella disputa dei vostri problemi per preservarvi da facili e seducenti illusioni, o da pause di amarezza e di scoraggiamento, ma davvero, come Madre e Maestra, per sostenervi, per incitarvi, per difendervi, per rendervi capaci di conseguire conquiste di carattere economico, ma di carattere veramente umano, spirituale e religioso: e finalmente affinché non abbiate a credere né superato, né inefficiente, né bisognoso d’equivoche integrazioni il nome cristiano, che vi qualifica e vi onora. Fedeltà, fiducia, unione, sia questa la nostra celebrazione della «Rerum novarum», nel progresso dell’opera e nella letizia della speranza.

DISCORSO AI SACERDOTI INCARICATI DELL’ASSISTENZA AI LAVORATORI

Sabato, 4 dicembre 1971

Ci fa veramente piacere ricevere oggi, sia pure per brevi istanti, il vostro gruppo, carissimi sacerdoti, incaricati, su scala regionale, della Pastorale del mondo del lavoro. Il Convegno Nazionale, a cui avete partecipato, è la concreta risposta all’auspicio emerso, nello scorso settembre, dalla riunione dei Vescovi italiani, delegati dalle Conferenze Episcopali regionali per questo specifico settore: ed è quindi un segno di vitalità nella comunità ecclesiale italiana, di docilità alle indicazioni della Gerarchia, di prontezza nell’adeguarsi alle crescenti esigenze di una pastorale, che deve inserirsi organicamente e con pieno diritto nella complessa pastorale d’insieme del giorno d’oggi.

LA CURA SPIRITUALE DEI LAVORATORI

Per questo siamo assai lieti della vostra presenza; ma ne abbiamo piacere soprattutto perché è la prima volta, dopo la decisione del Consiglio di Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, che ci incontriamo con un gruppo qualificato di sacerdoti, che si dedicano unicamente e specificamente alla cura spirituale dei lavoratori. Sappiamo che le vostre cure si dirigono per ora al settore

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dell’industria, della terra e del commercio. Ma il vostro scopo, a cui vi preparate intensamente, sarà quello di animare, in seno alle vostre rispettive regioni, altri sacerdoti, la cui missione, affidata dai Vescovi, sia quella di fornire assistenza pastorale a tutti i lavoratori, senza nessuna distinzione, perché in tutti voi vedete il fratello da amare - ogni uomo è mio fratello! - l’uomo che porta nella dignità della sua persona il suggello della somiglianza divina, impressagli da Dio creatore e redentore. A questi lavoratori, alle loro iniziative e organizzazioni voi guardate per dare una formazione religiosa, morale e sociale, per interessarvi di loro, dei loro problemi, delle loro sfiducie, delle loro speranze.

È evidente che, nel quadro di questa azione pastorale attenta alla globalità dei problemi e coordinata nelle sue varie implicanze, che tutta la Chiesa deve svolgere nel mondo del lavoro, acquistano un rilievo tutto particolare le associazioni laicali e i gruppi sacerdotali.

I laici, col loro sforzo, o personale o congiunto, sono chiamati a collaborare alla pastorale nel mondo ove lavorano, e danno nell’azione sociale la testimonianza cristiana, a cui li abilita e consacra la grazia del Battesimo e della Cresima, che li rende partecipi della vita della Chiesa e direttamente responsabili della salvezza dei fratelli mediante l’apostolato e il buon esempio.

DUE TEMI SPECIFICI: LA GIOVENTÙ, IL CLERO

Accanto a loro, animatore e guida, il gruppo sacerdotale presta la sua assistenza pastorale ai lavoratori secondo le linee che abbiamo sopra descritte: ad esso, che è momento essenziale nella pastorale della Chiesa, soprattutto nella nostra era tecnologica e in questo momento di tensioni e di incertezze, spetta il compito essenzialmente sacerdotale di formazione cristiana, di assistenza fraterna, di cura spirituale a quanti, da ogni parte, si rivolgono al sacerdote per averne l’aiuto che sostiene, la parola che illumina, il ministero che salva. In questa visuale, molto ampia, che rompe in certo modo schemi tradizionali e abitudini di comodo, voi avete giustamente rivolto l’attenzione, in questo Congresso, a due temi specifici: la gioventù e il clero; la gioventù, come primo e più urgente soggetto della collaborazione dei laici; il clero, per la sua specifica vocazione. Effettivamente, è necessario dedicare premure assidue e specialissime anzitutto ai giovani che si avviano al lavoro, e devono essere preparati, fin dal loro primo, e forse brusco contatto, diciamo così, con l’ambiente lavorativo, a prendere coscienza della responsabilità di essere in esso testimoni della loro fede, in tale momento di delicato e travagliato e maturante trapasso psicologico e sociologico. Dei giovani è l’avvenire! Essi, col loro entusiasmo e col loro ottimismo, possono e devono essere i primi collaboratori del sacerdote; bisogna lavorare guardando profeticamente al domani, e i giovani, cristianamente formati, saranno dell’avvenire il tessuto connettivo più consistente, da cui dipende la sanità e l’ordine, non che del mondo del lavoro, anche della famiglia e della società intera. Con la vostra scelta, avete dimostrato di aver visto giusto, di aver guardato lontano.

Inoltre, è altrettanto indilazionabile il problema della sensibilizzazione del clero e dei seminaristi alla pastorale del mondo del lavoro, affinché ne conoscano il significato, il fine e i metodi, la tengano nel dovuto onore, dandovi tempo e sacrificio e fatica e pensiero, con un diretto impegno di evangelizzazione e di comprensione.

L’ORA È IMPORTANTE E GRAVE

I due temi si integrano l’uno con l’altro; essi, inoltre, sia pure sotto una speciale e limitata angolazione, presentano anche singolare consonanza con gli argomenti trattati nel recente Sinodo dei Vescovi. Tutto questo ci dice quanto siate attenti ai segni dei tempi, e come grande sia la vostra volontà di animare sempre più a fondo, da veri sacerdoti, le forme della pastorale, perché anche le forze del lavoro vi trovino la loro degna collocazione, e siano chiamate a rendere pienamente, a

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fruttificare per la mercede del Regno di Dio, secondo la volontà del Signore che, secondo la parabola evangelica, tutti invita, a ogni ora del giorno, a operare per la sua vigna, e non vuole che alcuno rimanga in ozio (Cfr. Matth. 20, 1-8).

Impegnatevi a fondo, carissimi sacerdoti. L’ora è importante, l’ora è grave: il padrone della vigna chiederà più stretto conto a noi, come avremo faticato per le moltitudini dei lavoratori. La folla innumerevole e spesso anonima dei lavoratori in ogni settore ci guarda e ci giudica: che cosa abbiamo fatto per loro? Come è stata messa in pratica la dottrina sociale della Chiesa? Come sono stati vissuti i documenti pontifici, dalla Rerum novarum

alla Octogesima adveniens? Molto, sì, moltissimo, è stato compiuto, ma molto resta ancora da fare. Il buon seme del Vangelo deve portare frutti maggiori anche là, ove anime forti, menti aperte, forze generose, talora frustrate o deluse, chiedono a buon diritto di avere una cura adeguata, di essere aiutate a conoscere meglio il Vangelo, e stimare di più la loro dignità umana, che da esso trae la sua difesa e la sua grandezza.

Siate consapevoli della necessità della vostra missione, e collaborate perché, sotto la guida sapiente dei Vescovi, le forze vive delle vostre rispettive diocesi si muovano sempre più per permeare della parola di Cristo il mondo del lavoro, e per portarvi la testimonianza della fede, della speranza, dell’amore. A tanto vi incoraggia la Nostra Benedizione Apostolica, che di cuore vi impartiamo, assicurandovi una preghiera, affinché il Signore allieti e fecondi i vostri sforzi e i vostri propositi.

Un decalogo per efficiente attività

Nel corso della importante udienza il Santo Padre desidera precisare, in maniera evidente, alcuni punti. E li espone in un’ampia premessa al già riportato Discorso.

Il Papa, salutando con sentita cordialità i presenti, nota che la assistenza ecclesiastica al mondo del lavoro in Italia esce da una fase difficile, dalla quale tuttavia è scaturita una conseguenza positiva: quella di una linea di azione diretta a tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione, e assunta in proprio dalla stessa Conferenza Episcopale italiana.

Dopo aver ricordato la passione con cui, fin dal primo dopoguerra, il problema della formazione cristiana dei lavoratori è affrontato dal clero, Sua Santità si dice lieto di trovare davanti a sé un gruppo di sacerdoti - tra i quali molti veterani - pronto a intraprendere una nuova fase della grande e impegnativa missione. Dobbiamo portare Cristo alla classe operaia, per quanto travagliata. Cristo non deve essere estraneo a questa manifestazione della società. Se voi dovete dedicarvi toto corde e con urgenza evangelica a questo apostolato di grandissimo impegno e responsabilità. Se la situazione presenta difficoltà, non è questo un motivo per lasciarsi scoraggiare.

Io spero in voi, dichiara Paolo VI. Dare la propria esistenza per questa causa, merita! Qualcuno si domanderà: ma i risultati? I risultati non dobbiamo mai pretenderli. Agiamo, perché sentiamo il grande dovere di farlo. Ai risultati penserà il Signore. Paolo VI aggiunge di sentire con profonda partecipazione personale la visita e si dice obbligatissimo verso i sacerdoti, per la loro disponibilità e il loro impegno.

Quindi il Papa espone ai presenti una sua riflessione personale, particolarmente attuale nella circostanza. Perché non cercare di riassumere in un decalogo, in una serie di punti, le linee di azione di una pastorale del lavoro?

1. Bisogna avvicinare i lavoratori. Se il parroco, centro della pastorale tradizionale, può, in un certo senso, attendere che i fedeli cerchino lui, quando si tratta dei lavoratori, portati continuamente lontano dalle necessità sociali e professionali, dev’essere il sacerdote a cercarli, andando loro

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incontro nelle fabbriche, nei campi, negli uffici, nelle officine, là dove è possibile avvicinarli ed introdurli al messaggio di Cristo. Quella del sacerdote specializzato in questa missione, dev’essere l’opera di un pastore pellegrino che cerca la pecorella, non tanto smarrita, quanto lontana. Solo così si potrà esercitare quella formazione cristiana dei lavoratori, che spesso, poich0 presupposta, viene trascurata.

2. Bisogna comprendere i lavoratori. Non si può trattare con essi partendo da basi improvvisate, empiriche, generiche. Bisogna avvertire anzitutto che il mondo dei lavoratori nei riguardi dei «portatori della parola» si sente estraneo, forse intimidito, per una certa sua coscienza di inferiorità, per un suo stato di frustrazione e di oppressione che lo caratterizza. Bisogna saperlo; e sapere che cosa pensano i lavoratori. Il loro desiderio di uguaglianza, di partecipazione, di conoscenza si traduce spesso in un’aspirazione rivoluzionaria, che esprime più un’ansia di riabilitazione, che un proposito eversivo. L’anima della classe operaia è complessa, è sofferente. Bisogna conoscerla e comprenderla, per scoprire i punti che già in essa sono in sintonia con il Vangelo e portare la luce e la forza che viene dalla parola di Cristo, per la soluzione dei suoi problemi. Donde l’opportunità dello studio personale, dei convegni, di tutto ciò che può approfondire nel sacerdote questa dote di comprensione e di sintonizzazione.

3. Conoscere le ideologie che pervadono il mondo del lavoro. Oltre al dramma psicologico e spirituale dei lavoratori, questo aspetto merita per se stesso una speciale attenzione. Da un secolo a questa parte molte ideologie lontane dalla visione evangelica della vita vengono a incidere sul mondo del lavoro e lo pervadono, spesso avvelenandolo. Materialismo, determinismo, fatalismo, idee rivoluzionarie, filosofie negatrici di Dio hanno compiuto la loro opera, creando un ambiente non pacifico, di lotte sistematiche, di odio, di rappresaglia, di rivincita, di atteggiamenti, al limite, antisociali. Bisogna sapere donde certe manifestazioni traggono la loro linfa, per poter svolgere l’opera risanatrice, capace di portare avanti l’uomo e la rivendicazione dei suoi diritti in forma che non si ritorca contro lui stesso e la società.

4. Sentirsi certi di avere un messaggio autosufficiente e originale. Talvolta il dubbio entra nell’animo di chi dev’essere portatore della parola di Cristo. Ne nasce un’autocontestazione, che svuota l’apostolo di ogni ‘energia conquistatrice. Perché metter in discussione se stessi, quando la parola di Cristo è una realtà che non teme contraddizioni o smentite dalla storia? Questa certezza va alimentata attraverso l’approfondimento e la verifica, nello studio e nella preghiera, così che l’apostolo che scende in campo aperto si senta corazzato dalle sue convinzioni di fondo e pronto a tutto osare per comunicare a quanti ne hanno fame e sete.

5. Farsi sentire non colonialisti ma apostoli. L’atteggiamento del sacerdote presso i lavoratori non può essere quello di chi tenta di catturare persone con scopi temporali o contingenti. Dev’essere l’amore disinteressato a guidarlo. Per questo cercherà di assumere fin dove è possibile le maniere stesse del loro vivere nella società, che è un modo per far sentire fin dove giunge l’amore: siamo loro colleghi, condividiamo la loro vita, vogliamo loro bene, desideriamo portare loro pace e conforto, tanto più quanto più sono poveri, indifesi, sofferenti, forse umiliati.

6. Approfondire la teologia del lavoro. È tutto un campo da esplorare, per portare avanti anche concettualmente l’incontro della nostra fede con le realtà materiali, sociali, economiche e la loro evoluzione. Il mistero della materia e della vita umana, il mistero del lavoro, mediante il quale l’uomo vince la resistenza della materia e diventa dominatore di ciò che spesso quantitativamente lo sorpassa, il mistero della natura, la rivelazione di Dio che è possibile intravedere in queste realtà, la gioia, l’entusiasmo, l’ammirazione che si deve a ciò che riempie la creazione, come parola che esprime la gloria di Dio, il silenzio che nasce dal mistero: sono tutti temi che meritano di essere esplorati a fondo, affinché gli uomini della fatica, i protagonisti del processo di trasformazione del

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mondo, vedano nella loro opera il profondo nesso che li ricollega a Dio e che li nobilita, al di là della sofferenza e dei limiti della vicenda quotidiana.

7. Sviluppare la coscienza morale. I temi della libertà e della giustizia trovano immediata eco nei lavoratori. L’apostolo deve farsi portatore di questi valori, così che si trasmetta agli uomini del lavoro il giusto senso del bene e del male, secondo la verità cristiana, anche andando contro corrente. La classe lavoratrice è sensibilissima a tutto ciò che è giusto. È importante che si renda conto che i canoni della giustizia hanno radice nel Vangelo del Signore.

8. Sviluppare la coscienza sociale. La nostra vita è avvelenata da un senso sociale negativo, che tende a distruggere e a contestare ogni cosa. È anche deteriorata da un permanere di senso individualistico, che impedisce alla coscienza di percepire le corresponsabilità e i sacrifici necessari per il bene comune. Questa coscienza sociale rientra nella coscienza morale, ma si specifica per il suo rapporto con l’ambito particolare entro il quale si svolge tutta la vita del lavoratore, al quale deve essere portata una forza ideale che lo metta in grado di agire responsabilmente e cristianamente.

9. Azione. Bisogna agire. Non basta insegnare teoricamente, costruire corpi di dottrina, lasciando poi che ciascuno rimanga nella sua ignavia. Bisogna diffondere un ottimismo dinamico, per intraprendere veramente insieme l’edificazione di una società nuova.

10. Far presente Cristo. Per un cristiano, per un sacerdote, è sempre Lui, il Signore l’autore di ogni cosa elevata, consistente, trasformatrice nell’ambito delle coscienze. Ai lavoratori, a questa gente autentica, bisogna proporre Cristo e il suo interrogativo: vuoi? Spesso la risposta è di una generosità sorprendente. Soltanto l’incontro con Cristo è la grande forza religiosa capace di mutare in meglio l’intimo sentire dell’uomo.

In questo decalogo semplice, ispirato all’esperienza e all’osservazione di tanti fenomeni che toccano la classe lavoratrice, Paolo VI riassume i principali pensieri, che egli ritiene importanti per un’efficace e organica azione pastorale. Quanto espone poco dopo nel Discorso, acquista forza nuova alla luce di questi principi. L’esortazione a valorizzare le associazioni laicali e i gruppi sacerdotali, per una collaborazione comune allo sforzo pastorale dei vescovi, l’insistenza sulla preparazione dei giovani lavoratori e dei futuri sacerdoti, l’invito a proseguire nello sforzo comune di affinamento dello spirito e della tecnica pastorale, hanno, nelle parole pronunciate precedentemente, una base solida di pratici consigli.

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO

OMELIA

Lunedì, 1° maggio 1972

Primo maggio: festa del lavoro!

Quale grande tema di studio e di parola!

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Tema attuale, fondamentale, costituzionale! riguarda in pieno l’attività umana (Cfr. Gaudium et Spes, 33, ss.).

Tema fecondo, percorre la storia, la scienza, la tecnica, la economia, la sociologia, la morale, la politica, la cultura, la civiltà.

E tema antropologico, teologico, spirituale, ed ora, con l’apparizione di San Giuseppe in mezzo alla festa del lavoro, tema liturgico.

Tema dunque centrale nel fenomeno mondiale dello sviluppo e del progresso umano; e perciò tema controverso, esplosivo, risolutivo.

Quando se n’è parlato; quanto se ne parla! Anche la Chiesa quali studi, quali documenti, quali esperimenti, quali sforzi e quali opere vi ha profusi!

Accenniamo soltanto a questo tema, affinché, se ve ne fosse bisogno, vi abbiate a pensare, ed abbiate coscienza dell’interesse, dell’importanza, della complessità del tema che s’intitola al lavoro, e abbiate a comprendere come esso supponga ed insieme produca una concezione generale della vita: siamo nel tempo moderno, celebrativo quant’altri mai dell’operare umano, che chiamiamo lavoro. A voi questo studio, che ben sapete quanto la Chiesa, dicevamo, lo alimenti di dottrina e di esempio.

È troppo breve questo momento perché noi ne parliamo. E sapete? Se noi ne dovessimo parlare, preferiremmo parlare dei Lavoratori, piuttosto che del Lavoro in se stesso; cioè degli esseri umani, delle Persone, che sono impegnate nel lavoro; e fra queste sceglieremmo quelle che al lavoro danno la mano, voglio dire la fatica fisica, l’esecuzione, piuttosto che quelle (per altro ben degne esse pure del nostro interessamento) che lo preparano con gli studi e lo dirigono. E qui, in questo momento brevissimo, nemmeno con la parola vogliamo venire a colloquio con il mondo sterminato dei Lavoratori, ma con un altro mezzo di comunicazione sociale, un mezzo silenzioso, e forse non da tutti percepibile: la simpatia.

Sì, oggi noi rivolgiamo verso tutti i Lavoratori questa corrente spirituale e cordiale: la simpatia. Questa onda, invisibile per sé e imponderabile, ha tuttavia la sua realtà e la sua efficacia. La nostra simpatia, che è quella della Chiesa, quella di chi si dichiara discepolo del Vangelo, si effonde su tutti i Lavoratori; vorremmo che loro lo sapessero, anzi che in qualche modo la sentissero. Voce del silenzio; ma voce vera.

Tanto spesso negli ambienti del lavoro è invece diffusa l’opinione contraria: la Chiesa non ha simpatia per la gente che lavora, che tanto spesso è la gente delle classi umili, la povera gente. La Chiesa, si dice, non ci conosce, la Chiesa sta con i ricchi, con i potenti. La Chiesa è conservatrice, la Chiesa predica i doveri dei deboli e i diritti dei forti. La Chiesa si occupa dei valori morali e religiosi, e si disinteressa dei valori economici e temporali. La Chiesa cerca i suoi interessi, i suoi privilegi; è avara, è egoista, non pensa a noi, Lavoratori subordinati, sfruttati, abbandonati.

E quando i fatti dicono il contrario? Allora altre obiezioni si oppongono all’interpretazione giusta del contegno amico e solidale della Chiesa verso la gente del lavoro. Spesso questa gente del lavoro dubita e diffida delle parole e dei gesti benevoli della Chiesa: così ella fa, si pensa e si dice, perché ha paura del popolo lavoratore; ci usa belle maniere, alcuni dicono, per prenderci e per paralizzare le nostre rivendicazioni, o anche per strumentalizzare il nostro numero, per illudere la nostra mentalità semplice e priva di alta cultura, per frenare lo slancio delle nostre ormai irresistibili conquiste sociali: o meno per tenere in piedi tutto il castello della religione, a cui noi non crediamo

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più . . . E questa diffidenza si fa spesso e subito opposizione, odio, lotta e maledizione. Pur troppo. Lo sanno quei Paesi dove prevale l’ateismo e dove esso è diventato programma. Si potrebbe continuare.

Eppure la Chiesa non può, non vuole guardare al Lavoratore, proprio in quanto tale, senza questo sentimento inestinguibile di simpatia. Lo voglia o no, lo sappia o no, il Lavoratore è oggetto, da parte della Chiesa di Cristo, di simpatia. Che cosa vuol dire simpatia? Oh! vuol dire molte cose, che tutti conosciamo! Vuol dire, innanzi tutto, partecipazione alla sofferenza altrui; vuol dire affinità morale, vuol dire comprensione; vuol dire predisposizione alla stima, al favore, all’amicizia, al servizio, all’amore.

La Chiesa possiede un tale sentimento?

Sì, figli e fratelli; sì, sappiatelo, voi tutti Lavoratori, ai quali arrivasse l’eco di questa semplice professione di simpatia, di questo silenzioso discorso.

Se noi vi dicessimo i motivi di questo profondo sentimento, il discorso non sarebbe più silenzioso, ma sarebbe lungo da non finire più. La Chiesa ha simpatia nel Lavoratore, innanzi tutto, perché ne vede e ne proclama la dignità di uomo, di fratello eguale ad ogni altro uomo, di persona inviolabile sul cui volto è stampata una sembianza divina. E ciò tanto più (badate: non tanto meno!) quanto sono più marcati su cotesto volto il bisogno, la debolezza, la sofferenza, l’offesa, l’ansia di abilitazione e di liberazione. La fatica, la povertà, l’insicurezza, lo sfruttamento, ed anche qualche eventuale inferiorità sono titoli per la simpatia della Chiesa.

E alle tante altre ragioni che fanno scaturire nel cuore della Chiesa questa simpatia per la folla innumerevole degli uomini che a causa del lavoro sudano, soffrono, ed oggi attendono ed esigono, queste due alla fine aggiungiamo, che tutte riassumono; prima: anche Cristo fu uomo del lavoro manuale; fu soggetto alla fatica alla scuola di Giuseppe, fu chiamato «il figlio del fabbro» (Marc. 6, 3), fu collega vostro, Lavoratori numero uno e numero ultimo, perché diede la vita, il sangue, per tutti salvare. E seconda: è proprio di Cristo il grido che ancora passa nei secoli e sul mondo: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed Io vi sosterrò» (Matth. 11, 28).

Questa è la simpatia di Cristo, della Chiesa, ancor oggi per il mondo lavoratore.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Quarto centenario di San Pio V

Il nostro saluto si rivolge ora al pellegrinaggio della diocesi di Alessandria, guidato dal suo venerato Pastore, Monsignor Giuseppe Almici. Sappiamo che questo pellegrinaggio rientra nel quadro delle celebrazioni del quarto centenario della morte di San Pio V, l’alessandrino, Religioso Domenicano e poi Cardinale Antonio Michele Ghislieri, ed ha lo scopo non soltanto di venerare le reliquie del Santo custodite nella Basilica di S. Maria Maggiore, ma altresì di «videre Petrum», e porgergli l’omaggio della propria fedeltà e devozione filiale. Grazie, figlioli, della vostra visita! Grazie del conforto che ci procurate col vostro affetto, con la vostra pietà e soprattutto con la vostra testimonianza di fedeltà a Cristo e al suo Vicario in terra. Diremo: camminate sulla via che vi è stata luminosamente indicata dal vostro grande concittadino e nostro Predecessore, sempre fedeli delle belle tradizioni cattoliche della vostra terra e sempre più saldi in quella fermezza di fede e di attaccamento alla Sede Apostolica, che tanto vi onora.

A tal fine impartiamo con effusione di cuore a voi e a tutti i vostri cari l’Apostolica Benedizione.

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Cooperativa «La Famiglia» di Brescia

Siamo lieti di incontrarci, una volta ancora, con i membri della Cooperativa «La Famiglia», di Brescia: sono circa quattrocento muratori, tra i quali si trovano anche quelli che lavorano nel villaggio che abbiamo auspicato si costruisse in Acilia. Vi salutiamo con affetto, e con voi salutiamo il Padre Marcolini, il quale si occupa con tanta dedizione della vostra Cooperativa. Conosciamo l’impegno che ponete nel realizzare le vostre opere e nel costruire quella che a noi sta tanto a cuore, ad Acilia. Seguiamo con interesse la vostra attività, che ha acquistato già tante benemerenze, destinate, così speriamo, ad accrescersi sempre più; e vi diciamo la benevolenza, la gratitudine, il compiacimento che la vostra presenza suscita in noi, come tutto quanto ha attinenza con la nostra cara terra bresciana.

Voi sapete mettere a frutto, con un impegno di lavoro comunitario, le istanze del nostro tempo, ove c’è bisogno di braccia generose, che si mettano al servizio del prossimo, privo di casa, di sostegno, di appoggio fraterno. Che San Giuseppe, Patrono dei lavoratori, protegga e dia incremento alle vostre attività! Noi lo preghiamo per voi e per le vostre famiglie, affinché a tutti ottenga dal Signore prosperità, pace e letizia di spirito. Con la nostra Apostolica Benedizione.

Studenti della regione parigina

Nous souhaitons particulièrement la bienvenue aux élèves de la région parisienne, venus, avec leurs professeurs et parents, prendre sur place une connaissance visuelle et concrète de tette histoire romaine qui a déjà enchanté leur imagination dans leur classe de cinquième. Chers enfants, vous trouvez ici, n’est-ce-pas, des souvenirs émouvants de tette civilisation romaine. Il nous est très utile de bien la connaitre: elle a contribué à la nôtre; son expérience, avec ses grandeurs et ses misères, nous fait réfléchir, éclaire notre route. Vous trouvez aussi, dans les catacombes en particulier, la joie sereine, le dynamisme et le courage des premiers chrétiens qui, au sein de la vieille Rome, ont su faire briller leur foi au Christ et leur amour fraternel. Vous êtes invités vous aussi, chers amis, à mettre au service du monde qui doit sans cesse se renouveler, les talents humains et chrétiens que le Seigneur a donnés à votre jeunesse. Pour vous encourager dans cette voie, en union avec l’Apôtre Pierre mort tout près d’ici, Nous vous donnons notre paternelle Bénédiction Apostolique.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 10 maggio 1972

Prima che si concluda il periodo pasquale diamo ancora un pensiero alla Pasqua, sempre ricordando l’importanza che essa occupa nel sistema dottrinale cristiano, nel ciclo liturgico della Chiesa, nella nostra vita spirituale. «Occorre che noi riconosciamo, scrive uno dei più dotti liturgisti contemporanei, nel mistero pasquale il centro della nostra esistenza cristiana» (J. S. JUNGMANN, Tradit. lit. 346).

INFUSIONE DI VITA NUOVA

Se così è, dobbiamo cercare quale sia effettivamente il nostro rapporto primo ed essenziale con questo mistero pasquale; come cioè noi ne diventiamo partecipi, come esso si rifletta in noi nel suo duplice aspetto di morte e di vita, sia nel segno che nella sua mistica realtà. Questo primo rapporto,

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sappiamo bene, è stabilito dal battesimo, che riproduce nel cristiano simbolicamente ed efficacemente il mistero pasquale, il mistero della morte e della risurrezione di Cristo, il mistero della nostra salvezza. È nota a tutti la dottrina di San Paolo: «Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, nella morte di lui siamo stati battezzati - egli scrive ai Romani -; siamo stati sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché, come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita» (Rom. 6, 3-4). Ecco la Pasqua: muore e risorge Cristo; nascono, redenti dal peccato originale, i cristiani. Nasce il corpo mistico di Cristo, nasce la Chiesa. Dunque: «La finalità del battesimo è in primo luogo ecclesiale, e non escatologica, ciò che spiega il battesimo dei bambini» (A. HAMMAN, Baptême, p. 137).

Sarà molto istruttivo e molto utile per la nostra concezione della vita cristiana fissare il pensiero in questo punto focale della nostra fede: la risurrezione del Signore, la Pasqua, è diventata per noi, mediante il battesimo, l’infusione della vita nuova, soprannaturale, la quale si svolge, possiamo dire, in una sfera propriamente teologica, dominata dalle relazioni vitali e ineffabili con Dio Padre, con Cristo Salvatore, con lo Spirito Santo ed animatore; e nello stesso tempo in una sfera sociologica, nella comunione ecclesiale, fraterna e gerarchica, la Chiesa. Ancora S. Paolo ce lo insegna: «Tutti noi in un solo corpo siamo stati battezzati» (1 Cor. 12, 13).

L'APPARTENENZA ALLA CHIESA

Questa appartenenza alla Chiesa dovrebbe essere, nel ricordo e nella pratica, il frutto della nostra celebrazione pasquale.

Apparteniamo alla Chiesa. Non è un’appartenenza qualunque, esteriore, puramente formale, consistente in una celebrazione passeggera, che ci lascia quelli di prima. È questo un avvertimento che troviamo nelle esortazioni ai neofiti nella Chiesa primitiva, in occasione, ad esempio, della deposizione delle vesti candide, di cui erano ornati i neo-battezzati, durante la prima settimana dopo la Pasqua, fino alla così detta Domenica in Albis (cioè in vestibus albis depositis). Con la Pasqua e con il Battesimo che la inserisce nella vita dell’uomo (e, aggiungiamo, con gli altri sacramenti che ne fanno rivivere la grazia, come la Penitenza, sacramento esso pure di reviviscenza, e come l’Eucaristia, sacramento che alimenta la fede con la pienezza della carità), è inaugurata una nuova esistenza che deve avere carattere di stabilità. Ce lo ricorda S. Agostino, parlando ai fanciulli circa i sacramenti da loro appena ricevuti: «Ciò che tu vedi, passa; ma ciò che è stato significato ed è invisibile, non passa, rimane» (S. AUG. Sermo 227; PL 38, 1001). La prima esigenza di chi è diventato cristiano è la costanza, è la perseveranza; essa ci è ricordata e confortata dalla ricorrenza settimanale della domenica, con i suoi obblighi religiosi e la sua rinnovazione festiva del giorno del Signore, della Pasqua. La stabilità! Quanto impegna il cristiano! L’educazione vi è intimamente collegata; ch’è quanto dire che un cristiano dev’essere fedele (non è questa qualifica un sinonimo di cristiano?), dev’essere coerente, dev’essere forte, dev’essere franco, dev’essere umilmente fiero di definirsi tale, e pronto, ove occorra, alla testimonianza del proprio titolo privilegiato di cristiano. Scrive S. Pietro nella sua prima lettera per infondere coraggio ai primi fedeli già provati dall’impopolarità e dalle incipienti persecuzioni: «Che nessuno di voi tolleri d’essere ritenuto come un delinquente . . . Ma se siete maltrattati perché cristiani, non arrossite; date piuttosto gloria a Dio per questo nome» (1 Petr. 4, 15-16).

LE ESIGENZE INALIENABILI DELLA SEQUELA DI CRISTO

Quale coscienza profonda e forte dovrebbe generare in noi la novità della vita cristiana, quale originalità di stile nella forma mentis, nella mentalità, nel costume, nel rapporto sociale!

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Oggi questa concezione caratteristica dell’appartenenza a Cristo e alla società visibile e spirituale da Lui fondata, la quale attualizza la presenza e la missione di Lui nella storia, in seno all’umanità, cioè alla Chiesa, non è sempre di moda. Anzi è contraddetta. Per il fatto che essa, la Chiesa, vive nel mondo e per il mondo, si diffonde l’opinione, anzi l’idea che la Chiesa deve diluirsi nel mondo, assimilarsi al costume ambientale, accogliere ideologie e abitudini correnti nella società profana; deve secolarizzarsi.

Si parla assai oggi della secolarizzazione nella Chiesa, fino a professarla come una rinnovazione, come una liberazione, come una penetrazione del messaggio cristiano nella società moderna. Anche noi avremmo molto da dire in proposito, sì, per dare alla vita ecclesiale forme e norme corrispondenti ai bisogni dei tempi, e per aprire alla testimonianza della fede e all’effusione della carità le vie nuove e genuine della perenne vitalità della Chiesa vivente. Ma non senza ricordare ai fedeli le esigenze inalienabili della sequela di Cristo, e quelle vigenti e responsabili ch’essa reca con sé.

Ci limitiamo ora a raccomandare a tutti di vivere il mistero pasquale, con il senso di Cristo e con il senso della Chiesa che gli è dovuto.

E con la nostra Benedizione Apostolica.

I corsi di perfezionamento dell’IRI

Rivolgiamo un cordiale saluto ai partecipanti ai Corsi di perfezionamento promossi dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale per i quadri tecnici delle Nazioni in via di sviluppo.

Ben volentieri, cari Signori, abbiamo accolto il desiderio che avete avuto di visitarci prima di ripartire per i vostri rispettivi Paesi, e ve ne ringraziamo di cuore. Voi avete trascorso mesi estremamente fruttuosi durante i Corsi cui avete partecipato. Il vostro soggiorno qui in Italia vi ha arricchito di preziose esperienze, permettendovi di perfezionare il vostro sapere teorico e pratico e mettendovi così in condizione di servire meglio il bene comune delle Nazioni alle quali appartenete. Noi ci rallegriamo con voi, e ci auguriamo che, attraverso la vostra fattiva collaborazione, i vostri Paesi possano più facilmente raggiungere quel livello di vita migliore verso cui dirigono coraggiosamente i loro sforzi. Non occorre certo ricordarvi che il vero sviluppo di un popolo non è di ordine puramente materiale, ma si costruisce fondandolo sulle solide e sicure basi dei valori spirituali. Lavorate dunque per offrire alle vostre comunità un maggiore benessere e più ampie possibilità di espansione; ma nello stesso tempo preoccupatevi di assicurare il massimo rispetto dei valori morali e religiosi.

Formulando questi voti per voi, per le vostre famiglie e per le vostre Nazioni, noi vi invochiamo di gran cuore le più elette benedizioni del Signore.

Sull’addestramento professionale

Salutiamo ora, con grande e cordialissimo affetto, i cinquecento giovani, che frequentano i Centri di Istruzione e di Addestramento Professionale aderenti alla omonima Federazione Italiana (F.I.C.I.A.P.). Sono con loro il Presidente Don Pilla, il Direttore Generale del Ministero del Lavoro, Dott. Ghergo, gli Insegnanti e i familiari. A tutti il nostro benvenuto!

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Voi rappresentate davanti ai nostri occhi i diecimila giovani, che nelle Scuole della vostra Federazione trovano la possibilità di qualificarsi professionalmente per prendere domani, ben preparati, il proprio posto nella società. L’istituzione a cui appartenete risponde ai segni dei tempi, sia perché dà alla gioventù uno strumento oggi indispensabile per potersi affermare nel lavoro e, quindi, nella vita, sia perché congiunge e avvalora gli sforzi delle varie scuole, insieme consociate, in un’azione di mutuo sostegno e perfezionamento, di cui e le scuole stesse e specialmente gli allievi non possono che avvantaggiarsi per conseguire i propri ideali.

Tale intento comunitario e formativo incoraggiamo di gran cuore; e a voi, qui presenti, come a tutti i vostri coetanei dei vari Centri di addestramento, di cuore impartiamo la nostra Benedizione.

Gli ospiti della Casa di riposo di Firenze

Tra i gruppi presenti stamane a questa Udienza, ve n’è uno che desta nel nostro cuore sentimenti del tutto particolari: sono i 75 ospiti della Casa di riposo, costruita a Firenze, per nostro desiderio, a ricordo della visita che facemmo nella notte di Natale del 1966 a quella Città, che stava vigorosamente sollevandosi dalle conseguenze della tragica alluvione del novembre dello stesso anno. Vi salutiamo con grande affetto, e con voi diamo il benvenuto al costruttore dell’edificio, Ing. Boldrini, al primario Prof. Sesti che disinteressatamente vi assiste, e alle Figlie della Carità alle quali è affidata la direzione della Casa. Voi ci portate il saluto di tutti gli altri ospiti, che con voi hanno trovato in essa un’oasi di serenità; soprattutto ci rinnovate il ricordo di quelle indimenticabili ore passate a Firenze, ancora segnata dalle vive cicatrici della rovina subita, in un Natale di preghiera, di commozione, di speranza, in cui ci sentimmo tutti più intensamente uniti nel vincolo dell’amore di Cristo, nato per noi nella povertà e nell’abbandono per fare di noi i figli di Dio.

Sappiamo bene, per diretta informazione, che siete contenti di trovarvi nella Casa costruita per voi; e soprattutto ci rallegriamo per il tono che in essa regna: tono di semplicità, di letizia e di fraterna carità, che si esplica nel mutuo rispetto e nella cordiale collaborazione, fatta di piccole attenzioni che rendono leggero il peso degli anni e serena la coabitazione. Ci piace perciò pensare alla vostra Casa come a un fiore gentile, spuntato come una promessa di pace tra il fango e le rovine di quel doloroso avvenimento, e come un segno della bontà e della Provvidenza del Signore, che prova noi suoi figli solo per renderci più puri e più buoni, più aperti alla dolcezza e alla compassione, più maturi nella nostra fede e nella nostra fortezza cristiana.

Vi ringraziamo della testimonianza che date; e specialmente vi diciamo la nostra riconoscenza per la delicatezza, con cui tutti gli ospiti della Casa hanno preparato un ricco tesoro spirituale in previsione di questo pellegrinaggio. Dite ai cari amici, restati a Firenze, che il Papa è rimasto commosso della loro generosità, li segue con tanto affetto, li pensa nelle sue preghiere quotidiane. A tutti la nostra Benedizione.

I pionieri della bonifica delle Paludi Pontine

Con sincera gioia salutiamo stamane i membri dell’Associazione tra i Pionieri della Bonifica delle Paludi Pontine, venuti da ogni parte d’Italia a porgerci il loro omaggio insieme alle autorità religiose e civili della provincia pontina.

La vostra presenza, figli carissimi, richiama alla nostra mente l’opera altamente benemerita, ormai lontana nel tempo ma ancor presente nella memoria degli italiani, che voi avete svolto per sottrarre le terre dell’agro pontino dal loro secolare stato di insalubrità e di abbandono. Ciò facendo, voi ponevate le sicure basi del prospero avvenire di quella zona. La vostra fu allora un’impresa coraggiosa per la quale furono necessari sforzi e disagi a non finire; ma guardando ora gli sviluppi

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di quella regione con la sua fiorente agricoltura e i suoi numerosi complessi industriali in atto, voi potete rendervi conto del valore dei vostri sacrifici. Vorremmo che la vostra esperienza servisse di ammaestramento e di stimolo, ai giovani soprattutto, che in un’epoca come la nostra hanno più che mai bisogno di questi esempi di coraggio, di tenacia, di intraprendenza, per affrontare con fiducia il loro avvenire.

Accogliete pertanto i sentimenti della nostra simpatia e della nostra stima, figli carissimi; e mentre vi ringraziamo per la visita graditissima, di cuore impartiamo a voi qui presenti e a tutti i vostri cari la confortatrice Apostolica Benedizione.

Giovani indiane

India is a country for whose ancient traditions we have very high esteem, and which we had the great pleasure of visiting on the occasion of the International Eucharistic Congress in Bombay. Today we welcome most cordially the group of fifty pilgrims from Kerala. You are here in Europe that you may learn to be better able to serve your country and all your fellowmen. May God assist you in your studies and in your future service, and may he bestow his graces abundantly on you and on all the dear people of India.

Insegnanti e studenti svedesi

To the group of teachers and students from Framnäs in Sweden we give a special welcome. We hope that your visit to Rome will be a memorable one and the occasion of receiving many spiritual graces. It is our prayer that you will always experience the powerful assistance of God in your own lives and in your work for others, and that you will constantly be grateful for the blessings he will bestow.

I dirigenti di «Radio Popular» nella Spagna

Nos complacemos en dirigir un saludo especial a los dirigentes y miembros de la «Cadena de Ondas Populares Españolas», emisoras dependientes del Episcopado: Os agradecemos de corazón esta visita que nos haceis acompañados de monseñor Antonio Montero.

En vísperas de la Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales, os exhortamos de un modo particular a continuar con entusiasmo vuestra noble y cristiana misión de informar, orientar y proclamar la verdad con espíritu apostólico y voluntad de servicio; tratando de reavivar siempre en los ánimos de los oyentes la actualidad perenne del mensaje de Cristo y fomentando sentimientos de amor y de paz.

En prenda de la divina asistencia, impartimos a vosotros y a vuestros radioyentes nuestra paternal Bendición Apostólica.

Pellegrini dell’arcidiocesi di Colonia

Ein wort besonderer Begrüssung richten Wir an den Pilgerzug der Lesergemeinde der "Kirchenzeitung für das Erzbistum Köln". Liebe Söhne und Töchter! Wir heissen Sie alle herzlich willkommen. Sie kommen von Köln. Vor vielen Jahren waren auch Wir als junger Priester im "heiligen Köln" und bewunderten staunend Ihren herrlichen Dom. Dieser Dom ist Symbol für die jahrhundertealte christliche Vergangenheit Ihrer Heimat. Sie sind in dieses heilige Erbe eingetreten. Bleiben Sie darum stets treu Ihrem katholischen Glauben, der den Ruhm Ihrer Stadt und Ihres Landes in die ganze Welt getragen hat. Bemühen Sie sich aber auch als mündige Christen, Ihren

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Glauben durch ein vorbildliches christliches Leben in die Tat umzusetzen. Dazu erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden von Herzen den Apostolischen Segen.

Folta delegazione dei prediletti dal Signore

Grande è il conforto - così il Santo Padre nell’aula della Benedizione, dopo l’udienza generale - che ci recate con la vostra affettuosa e numerosa presenza - siete 1600! - carissimi bambini, che recentemente avete fatto la Prima Comunione, e voi, studenti di varie parti d’Italia, tutti convenuti con i vostri Sacerdoti, Catechisti e Insegnanti per esprimerci i vostri sentimenti.

Come è già avvenuto nelle scorse settimane, per altri giovani, ci fa tanto piacere soffermarci, sia pure un istante, tra di voi: e vorremmo quasi che il tempo si fermasse, dopo l’intenso succedersi dei nostri impegni in questa mattinata, per dedicarci a tutto nostro agio ai vostri singoli gruppi, e dirvi la nostra benevolenza, esprimervi la nostra speranza.

Sì, speranza! Voi, infatti, siete la promessa del domani! Voi siete la speranza della Chiesa e della società! Nel guardarvi, pensiamo con trepidazione, ma al tempo stesso con fiducia, a quello che sarete, a ciò che Dio chiederà a ciascuno. Nelle vie che la vita vi schiude, e alle quali state preparandovi nel compimento dei vostri doveri quotidiani, ciascuno di voi ha segnata la propria missione: nella professione, nel lavoro, nella famiglia, nella società, nella Chiesa! Dovrete dare il vostro contributo, con profonda consapevolezza che il Signore ve ne chiederà conto. E questa missione voi la state preparando oggi, con la serietà del vostro impegno di cristiani, con la diligenza della vostra applicazione allo studio. Quale responsabilità, ma anche quale grandezza hanno gli anni, splendidi e promettenti, che state vivendo!

Vi aiuti il Signore a non passarli invano. Noi preghiamo per voi, affinché dall’amicizia con Cristo sappiate trarre la forza per essere sempre all’altezza di tale compito: lo diciamo a voi, che avete ricevuto per la prima volta Gesù nell’Eucaristia, e che dovete mantenere intatta la fragranza di quell’incontro; lo diciamo a voi, studenti medi e superiori, per i quali la vita sacramentale e la cultura religiosa devono essere il cardine della vostra formazione, affinché troviate nel Cristo la sorgente di luce per la vostra intelligenza e di energia per la vostra volontà, per non abbandonarvi al conformismo dei pavidi e dei deboli, ma andare contro corrente, se necessario, perché non si sviliscano le vostre meravigliose energie, e la vostra giovinezza sia sempre illuminata dalla luce e dalla gioia.

È questo l’augurio che vi facciamo; con la nostra Benedizione Apostolica, che estendiamo ai vostri cari, alle vostre scuole e a quanti con voi si preparano alla vita.

Sanitari specialisti per la cura della tubercolosi

Accogliamo volentieri un gruppo di giovani Sanitari di diverse A Nazioni, i quali stanno frequentando, presso l’Ospedale Sanatoriale «Carlo Forlanini» un Corso speciale di Epidemiologia e di Lotta contro la Tubercolosi, che si tiene sotto gli auspici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del competente Ministero Italiano.

Il saluto che vi rivolgiamo vuol essere non solo un ringraziamento per la visita, ma anche un incoraggiamento della qualificata attività, alla quale vi siete indirizzati. Sono studi specialistici quelli che ora vi impegnano e che vi riporteranno alle cliniche ed agli ospedali con quelle aggiornate cognizioni ed esperienze che l’odierno progresso scientifico mirabilmente suggerisce e propone. Sappiamo quanta strada abbiano percorso le discipline del settore, da voi prescelto, dopo

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le conquiste, per larga parte risolutive, del nostro secolo per debellare un male che, se in passato mieteva numerosissime vittime, non cessa di esser tuttora un flagello sociale.

Questo riferimento, che abbiamo fatto al valore della ricerca, vi dica il nostro apprezzamento e la nostra stima per la vostra arte, che è missione nobilissima di servizio e - nella misura in cui si ispira e conforma al convincimento religioso - assume spirituale rilievo e si fa donazione ai fratelli, nel nome di Colui che è il Padre comune degli uomini.

Su di voi e sul vostro lavoro invochiamo, in segno di benevolenza, l’abbondanza dei celesti favori, ed in tale augurio intendiamo comprendere gli insegnanti, i collaboratori e le vostre famiglie

INCONTRI NELL’ANNIVERSARIO DEL TRANSITO DI PAPA GIOVANNI XXIII

Sabato, 3 giugno 1972

1. La luminosa figura di Francesco Olgiati

Noi accogliamo in questa Udienza con particolare commozione il gruppo milanese degli ex-allievi della scuola di Propaganda, fondata dal compianto Monsignor Francesco Olgiati, vanto della diocesi ambrosiana; salutiamo di gran cuore tutti i presenti, e, tra le personalità intervenute, ci piace di nominare il venerato Monsignor Carlo Colombo, Presidente dell’Istituto di Studi Superiori «Giuseppe Toniolo», e il Rettore Magnifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Prof. Giuseppe Lazzati.

Questo gruppo intende rievocare con noi la pia, la mesta, la luminosa memoria del tanto venerato e compianto Monsignor Francesco Olgiati, nella ricorrenza del decennio della sua morte, avvenuta a Milano il 21 maggio 1962, quando ancora noi eravamo colà investiti del ministero pastorale. Pia, piissima memoria, come quella d’un Sacerdote tutto dedito a Cristo e al servizio della Chiesa con ammirabile pienezza religiosa, quale bella figura di uomo di fede, di prete, di fratello, amico, maestro, esempio per il Clero Italiano e per innumerevoli anime, giovanili specialmente, fidate alla sua guida, alla sua saggezza, alla sua tonificante e gioconda conversazione; mesta memoria, perché era a tutti carissimo ed ha lasciato un incolmabile vuoto in quanti cuori, in quante opere sperimentarono la bontà della sua cura, della sua assistenza, e ricordandolo viene alle labbra il nome di padre per lui, di orfani per i suoi spirituali clienti; e memoria luminosa infine, perché il tempo trascorso non la spegne, ma la fa piuttosto davanti a noi grandeggiare, come incomparabile collaboratore e fratello del fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Padre Agostino Gemelli, entrambi iscritti ormai nella storia della cultura cattolica italiana, e ognora meritevoli che le nuove generazioni attingano alle fonti del loro pensiero e della loro opera.

Sì, luminosa figura quella dell’ottimo, instancabile Monsignor Olgiati, fecondissimo, pur negli stenti della malferma salute, di attività, di parola e di scritti, quasi a catena lungo tutto il corso della sua vita di Sacerdote, di Professore, d’uomo di azione.

Noi confidiamo che un tale patrimonio di studio, di lavoro, di esempio non vada perduto, e non solo in questa circostanza abbia una degna celebrazione, ma altresì ottenga poi un accurato inventario, un’opportuna conservazione, e un progressivo sviluppo. Monsignor Olgiati merita d’essere ancora maestro. E non diremo di più, in questo troppo breve istante a noi concesso per tributare alla sua

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cara e compianta figura il nostro cordiale omaggio di venerazione, di ammirazione, di riconoscenza, e di quella affezione che circola fra noi pellegrini nel tempo e la «turba magna» già accolta nella definitiva comunione dei Santi.

Ma, quasi a suo nome, sicuri d’interpretare il suo cuore, raccomanderemo a voi ciò ch’egli ebbe di più caro, perché più prezioso per l’incremento della causa di Cristo in questo Paese; due cose: l’Azione Cattolica, quella formatrice e promotrice d’una Gioventù veramente forte, pura e cristiana; e l’Università Cattolica, le cui dimensioni stesse sembrano esigere più che mai chi la sostenga, la benefichi ed anche le consacri la vita. Monsignor Olgiati ne sarà felice e ricompenserà dal Cielo.

Nel ricordo comune di lui, impartiamo a tutti voi una particolare Benedizione Apostolica.

* * *

2. Apostolato di religiose fra le lavoratrici

Un particolare saluto vogliamo ora riservare alle Religiose alunne della Scuola di formazione socio-pastorale di Verona per religiose addette all’apostolato tra le lavoratrici.

La vostra presenza, figlie carissime, a fianco delle donne operaie, è una nuova testimonianza delle sollecitudini della Chiesa a favore delle classi lavoratrici. Quando poi si rifletta alle condizioni di disagio in cui molto spesso si trova la donna nel suo ambiente di lavoro, ai pericoli morali e spirituali ai quali essa è particolarmente esposta a motivo delle strettezze familiari, della fatica, della promiscuità, si comprende allora facilmente la necessità e l’urgenza dell’apostolato che la Chiesa intende affidarvi. Nella vostra condizione di donne e di religiose, voi siete particolarmente adatte per offrire assistenza alle lavoratrici, affinché abbiano a conservare la loro dignità umana e cristiana. Non è certamente un compito facile quello che dovete affrontare, essendo, il vostro, un apostolato che si estende dalla fabbrica alla parrocchia, alla famiglia, e si propone di raggiungere la donna lavoratrice in ogni circostanza della sua vita. In tutto questo noi vi raccomanderemo di svolgere la vostra delicata missione sempre alla luce della vostra vocazione di anime consacrate a Dio. Il servizio che voi prestate al prossimo non deve essere altro che il fiorire all’esterno dell’amore che voi portate a Dio, a cui vi siete indissolubilmente congiunte. Questo la Chiesa chiede a voi, figliole; e questo vogliono soprattutto da voi le lavoratrici, le quali desiderano, sì, trovare in voi le sorelle a cui aprire spontaneamente il cuore, ma ancor più vogliono vedere in voi anime elette, distaccate dal mondo e sublimate dal continuo contatto con Dio.

In questo senso noi formuliamo i nostri voti; e mentre vi assicuriamo un particolare ricordo nella preghiera, invocando su di voi tutte, sulla vostra Scuola, e sulle anime che vi saranno affidate la continua protezione del Cielo, volentieri vi impartiamo la nostra Apostolica Benedizione.

* * *

3. La virtù evangelica della povertà

Ci piace rivolgere ora un saluto particolare alle Suore Agostiniane di vita apostolica, convenute a Roma da varie regioni d’Italia, con le Consorelle di altri Paesi, in occasione del loro III Congresso.

La vostra presenza devota, Figlie carissime, la comune appartenenza alla grande famiglia di S. Agostino ed il tema stesso che studiate in questi giorni, dànno una nota caratteristica all’incontro, che, anche se breve, vuol essere un momento di spirituale comunione di sentimenti e pensieri. Non possiamo certo, pur desiderandolo, attingere e proporvi dal tesoro degli scritti del Santo Dottore,

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che è vostro padre e maestro, le indicazioni più adatte a conforto delle vostre riflessioni. Ma come dimenticare che la povertà - virtù genuinamente evangelica, virtù che autentica la sequela di Cristo secondo l’ideale della vita religiosa - trova nelle pagine del Santo un insegnamento che, mentre la inquadra nella sua funzione di strumento per conseguire la carità perfetta, si fa monito ed anche rimprovero verso chi, avendo scelto la vita comune - la socialis vita, com’egli la chiama - non si decide a rinunciare al proprium? (Cfr. S. AUG. Sermo 356; PL 39, 1580) «La carità, di cui l’Apostolo ha scritto che non cerca le cose sue, va intesa nel senso che antepone le cose comuni alle proprie, e non le proprie alle comuni. Perciò, quanto più vi preoccuperete delle cose comuni anziché delle vostre, tanto più saprete di aver progredito»: sono espressioni della sua Regola, che è la vostra regola (Cap. VIII).

Ecco alcune tracce, che suggeriamo non soltanto per la circostanza del Convegno, ma anche per l’orientamento che qualifica, in concreto, la vostra azione. L’impegno, che portate nelle opere di assistenza, nell’insegnamento scolastico, nella collaborazione missionaria, riceverà dalla pratica della povertà una intrinseca elevazione, che ne garantirà l’efficacia. Confermiamo i nostri voti con una speciale Benedizione, che volentieri estendiamo alle Consorelle con le quali condividete la quotidiana fatica.

* * *

4. Artigiane della pace e della solidarietà

Par l'entremise de votre Aumônier, vous avez manifesté le désir de Nous rencontrer à l’occasion de la première réunion annuelle de l’Association «Shape Officers». Nous espérons que ces rencontres puissent contribuer à fortifier ces liens d’estime et d’amitié si bénéfiques à notre époque.

Pour Nous, vous le savez, cette fraternité entre les peuples doit devenir une réalité, dans le respect des droits de chacun et aussi dans une solidarité effective qui les tournent les uns et les autres vers les tâches urgentes du développement à accomplir à tous égards, particulièrement près des faibles, des pauvres, des opprimés. Nous ressentons vivement les actes d’injustice et de violence, si contraires à l’évangile, à la dignité humaine et au bien commun de la société à construire. Nous vous invitons à être vous aussi, à votre manière, des témoins, des artisans de la paix et de la solidarité.

Sur chacun d’entre vous, sur vos familles et ceux qui vous sont chers, Nous invoquons de grand cœur les Bénédictions du Seigneur.

* * *

5. Il vero progresso delle popolazioni rurali

Ci fa molto piacere accogliere in voi, cari Signori, i distinti membri del Comitato Generale dell’«International Catholic Rural Association» (I.C.R.A.). Anzitutto ci felicitiamo per la vostra recente nomina a tale incarico, e vi assicuriamo tutta la nostra stima e il nostro incoraggiamento per l’opera, a cui siete chiamati a dedicare il vostro talento. Non è opera facile, lo sappiamo. Il mondo agricolo è dappertutto in crisi, e specialmente nei Paesi in via di sviluppo: si tratta di andare di pari passo con i progressi della civiltà della tecnica e dell’industria, di studiare i problemi rurali a livello e con collegamento internazionali, di sensibilizzare la popolazione rurale al ruolo di primaria importanza ch’essa ha nell’economia generale, e di darle peraltro la possibilità e i mezzi di attendere a codesta sua responsabilità, perché possa contribuire all’elevazione generale delle condizioni di vita dei propri Paesi.

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Ci fa piacere apprendere che siete animati dai migliori propositi, e che ispirate la vostra azione agli insegnamenti pontifici e alla dottrina della Chiesa: del resto, l’I.C.R.A. è nata come risposta alla «Mater et Magistra» del nostro venerato Predecessore Giovanni XXIII, di cui oggi ricordiamo il nono anniversario del pio transito. Il Signore ricompensi e avvalori i vostri sforzi! Invocando sulla vostra attività e sulle organizzazioni che rappresentate, il suo costante aiuto, di cuore vi benediciamo.

As we extend our special welcome to the new members of the General Committee of the International Catholic Rural Association we are pleased to assure you of the deep interest we have in your activities. We hope that your term of office will be fruitful and that all your endeavours will be blessed by God. In a particular way we invoke the Lord’s assistance on all that you will do to uphold and clarify the role of agriculture and of the agricultural population in regard to development. Be assured of our prayerful support.

DISCORSO AI SACERDOTI PARTECIPANTI AD UN CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI A FRASCATI

Mercoledì, 30 agosto 1972

Abbiamo desiderato molto di accogliervi e di riservarvi un posto a particolare in questa mattinata di Udienze, carissimi Sacerdoti del Gruppo Nazionale per la pastorale nel mondo del lavoro, per dirvi, come già il 4 dicembre dello scorso anno, tutta l’attenzione con cui seguiamo il vostro apostolato, l’incoraggiamento che vi dedichiamo, le speranze che riponiamo in voi.

Voi state partecipando ad un corso di Esercizi spirituali, a Frascati, predicati da Monsignor Alfredo Ancel, Vescovo Ausiliare di Lione, che salutiamo con affettuosa deferenza insieme con Monsignor Santo Quadri, responsabile del vostro Gruppo sacerdotale. L’occasione, che qui vi ha portati, ci dice meglio di ogni parola che voi, pur immersi a fondo nell’azione, volete porre le basi insostituibili della sua fecondità nella preghiera, nel raccoglimento, e nella riflessione dei grandi temi della fede: avete fatto come gli apostoli, ai piedi di Cristo, per riposare spiritualmente con Lui in solitudine (Cfr. Marc. 6, 31), e da questo contatto vivificante trarre la forza e il vigore per le fatiche, che vi attendono. E questo ci dice inoltre che avete preso molto sul serio quanto abbiamo voluto raccomandarvi nell’incontro già ricordato.

Carissimi fratelli! Quale consolazione ci procura questa testimonianza di soda pietà e di impegno concreto e generoso davanti a Dio, davanti a voi stessi, e davanti ai lavoratori, per il cui ministero siete specializzati! Non abbiamo bisogno di ricordarvi quanto ci stia a cuore la vostra presenza, umile, fattiva, instancabile, aperta, fraterna nel mondo del lavoro: in questo mondo fatto di uomini, di nostri amici e fratelli, che hanno una mente che si interroga e un’anima che si appassiona ai problemi propri e dei colleghi; un mondo permeato da fermenti di ribellione, sì, ma anche maturo a sentire le proprie responsabilità, nella misura in cui si sente compreso e aiutato nelle sue aspirazioni a una vita più consona alla propria dignità umana; un mondo che per una serie di preconcetti storici e dottrinali è stato e rimane per tanta parte diffidente, se non ostile, verso la Chiesa, ma, quando si veda accostare con animo sincero da noi sacerdoti, è disposto in modo sorprendente ad allacciare un dialogo, che può portare a frutti insperati.

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Non dobbiamo lasciar cadere inerti le braccia di fronte agli smisurati problemi, ch’esso pone alla tradizionale concezione dei metodi pastorali, ma studiare, ma impegnarci, ma dedicarci totalmente alla loro soluzione, per portarvi il contributo che la Chiesa della dottrina sociale pontificia, la Chiesa del Concilio Vaticano II, la Chiesa del Sinodo dei Vescovi, con gigantesco sforzo cerca di introdurre in questo settore, come il piccolo lievito nella grande massa da fermentare.

La preghiera vi sosterrà nelle difficoltà, che un tale compito comporta; il ricorso alla fonte inesauribile della pietà eucaristica e mariana saprà darvi forza, unitarietà, coerenza, nei vostri tentativi volonterosi e audaci, che stanno organizzandosi da parte vostra con tanta buona volontà, e con tanto, diciamo pure, eroismo; Cristo è con voi, vive con voi, si serve di voi, per entrare a contatto di quelle moltitudini, la cui fatica quotidiana è tutta un grido, forse inconsapevole, verso la sua presenza, verso la sua bontà, verso la sua grazia. Siate presso di esse i suoi araldi, i suoi testimoni, i suoi portavoce; la luce che avete attinto da questi esercizi vi accompagni nei giorni che verranno, per portare avanti l’opera sua. È un’opera, ripetiamo, che ci è particolarmente cara, perché corrisponde alle ansie del Cuore di Cristo per la salvezza di questo mondo, da Lui salvato.

Sappiateci sempre accanto a voi con l’affetto, e col ricordo all’Altare del Signore; e la nostra Apostolica Benedizione vi accompagni, come espressione della speranza che riponiamo in tutti voi.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 1° maggio 1973

Oggi, Festa del Lavoro, alla quale il nostro venerato Predecessore Papa Pio XII volle attribuire un carattere religioso, quasi a sublimare il suo carattere economico-sociale, quante, quante cose sarebbero da ricordare in questo nostro incontro, che non può dimenticare il tema dominante della festa, il lavoro cioè, e non può rinunciare al tentativo di inquadrarne l’idea nel disegno spirituale e religioso della vita cristiana.

La brevità stessa di questa nostra familiare conversazione impone una sintesi. Concentriamo i nostri pensieri in un solo punto focale: onorare il lavoro.

1. Sì, onoriamo dapprima il lavoro, sotto l’aspetto soggettivo, come un’esigenza naturale dell’essere umano. L’uomo è un essere virtuale, implicito, bisognoso di sviluppo e di perfezionamento. Questo sviluppo e questo perfezionamento non avviene in forma dovuta ed in misura soddisfacente da sé, quasi per crescita vegetativa; avviene mediante l’attività dell’uomo, un’attività razionale, ordinata, che mette in esercizio le forze e le facoltà umane; questo esercizio è il lavoro. È l’operosità, è la scuola, è la ginnastica, è la fatica. L’uomo non raggiunge la sua dimensione vera senza il lavoro, ch’è legge benefica e grave per tutti noi. Guai all’ozio, alla pigrizia, allo spreco del tempo, all’impiego vano e superfluo delle proprie capacità. Ogni uomo deve essere in qualche modo intelligente e volenteroso lavoratore. Onoriamo nel lavoro ciò che lo fa grande, nobile, meritorio: il dovere. E riconosciamo nel lavoro un programma immancabile e irrinunciabile della nostra vita: il diritto al lavoro (Cfr. Gen. 2, 15; Matth. 20, 6; Gaudium et Spes, 33-37).

2. Riconosciamo sinceramente un altro aspetto del lavoro: l’aspetto, diciamo così, penale. Il lavoro non è sempre piacevole. È insito nella natura stessa del lavoro un effetto sgradevole: la fatica, lo sforzo, la stanchezza; e poi il fatto ch’esso è dovere, è obbedienza, è necessità ci ricorda che

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l’attività umana porta in se stessa un castigo derivato da un fallo antico, il peccato originale, di cui noi portiamo ancora la triste eredità: «col sudore del tuo volto mangerai il tuo pane», disse Dio Creatore ad Adamo peccatore; ricordate? (Gen. 3, 17-19); tanto che S. Paolo, lanciando un principio perenne di deontologia e di economia sociale, scrisse, in una delle prime lettere, chiaro e tondo ai Tessalonicesi: «se uno non vuole lavorare, neppure deve mangiare» (2 Thess. 3, 10). Sì, il lavoro è gravoso, talvolta penoso, rischioso. Onoriamo il lavoratore che soffre. Onoriamo il lavoratore fiaccato, spesso umiliato, sfruttato. E cerchiamo di asciugare il suo sudore, procurando che esso sia alleviato, risparmiato; e anche confortando la pena di lui come titolo d’una maggiore dignità umana e come segno non vano di simiglianza a Cristo paziente.

3. Onoriamo il lavoro nel suo aspetto economico. Cioè come dominatore della natura, e trasformatore delle cose in beni utili all’uomo. Il fenomeno è universale e gigantesco. Oggi l’uomo pensante è venuto in soccorso all’uomo faticante: gli ha inventati e dati tali strumenti, che mentre questi alleggeriscono, fino quasi ad annullarla, la fatica fisica, ne moltiplicano a dismisura l’efficienza. È il prodigio caratteristico del nostro tempo, della civiltà moderna: il connubio della scienza e della tecnica, dal quale provengono i frutti ciclopici dell’industria e i ritrovati meravigliosi della nostra cultura. È una gloria questa, che noi dobbiamo spiritualmente riconoscere e esaltare. La vita della società moderna ormai ne dipende; e poi l’opera dell’uomo così vi risplende, che noi dovremo onorare in lui quella somiglianza divina che il Padre ha infuso, creandola, nell’anima umana. Sì, dovremo esaltare e benedire questo fenomeno, estremamente complesso, fecondo, potente, e sempre nuovo, dell’attività organizzata e strumentalizzata dall’industria e dalla tecnica, non come un’apostasia naturalista dell’uomo fattosi adoratore della terra, ma come uno sforzo dell’uomo che, mediante una sua sapienza celeste, la mente umana, estrae da essa, la terra, i doni ivi infusi dal Pensiero creatore (vedi la bella lapide murata alla diga del Tirso, in Sardegna).

4. Tutto bello dunque il lavoro trionfante che qualifica la nostra età? vi è un altro aspetto, ed è il più importante che noi dobbiamo considerare nel lavoro, ed è l’aspetto sociale. Questo è più degno di ogni altro del nostro onore, perché riguarda il valore prioritario relativo al lavoro, ed è l’uomo. L’uomo lavoratore, per antonomasia; l’uomo che mediante lo sviluppo industriale ha moltiplicato oltre ogni attesa i membri della società, li ha divisi in classi, e, come tutti sappiamo, ha fatto della società non una famiglia, ma un inevitabile campo di lotta, perciò sovente senza concordia, senza pace, senz’amore. I grandi valori del progresso, il pane, la libertà, la gioia di vivere, sono in perpetua contestazione, se il grande torrente di ricchezza, che scaturisce dal nuovo lavoro conquistatore e produttore, è confiscato da un duplice egoismo: quello che ripone nei beni temporali il solo e maggiore fine dell’uomo fine supremo a se stesso, errore ideologico, materialista; e quello che fa programma costitutivo della vita comunitaria la lotta radicale, esclusivista, fra le varie classi fra loro per il monopolio della ricchezza; errore sociale ed economico. Ma questo aspetto sociale del lavoro merita ad ogni modo il nostro onore ed il nostro interesse, anche perché noi pensiamo che un dovere cristiano, pari alle dimensioni del bisogno, reclama nel mondo del lavoro il nostro impegno di saggezza e di carità, la nostra testimonianza di fraternità e di esperienza storica e psicologica. Noi crediamo che i rimedi alle tensioni sociali presenti esistano; e con speranza già vediamo delinearsi alcune vie di felici soluzioni, alle quali vogliamo, oggi specialmente, augurare successo.

5. Ed una di queste vie ci presenta un ultimo aspetto del lavoro, quello religioso. Una volta esso rappresentava la formula individuale e collettiva dell’operosità umana: ora et labora; prega e lavora. Questa formula ha il vantaggio di considerare l’attività nostra in tutta la sua possibile estensione, e di conferirle una dignità, una onestà, una razionalità, una forza e una pace, che il lavoro, di natura sua rivolto al regno temporale, da solo non può raggiungere, e che illuminato, sorretto, integrato dalla preghiera può facilmente godere.

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Lasciamo alla vostra meditazione esplorare queste vaste regioni del pensiero e dell’esperienza; e in nome di Cristo, divino lavoratore, tutti vi benediciamo.

Pellegrini di Alba

Dobbiamo ora un saluto al pellegrinaggio della diocesi di Alba, guidato dal Vescovo, Monsignor Luigi Bongianino, che ci fa tanto piacere rivedere, insieme con i rappresentanti del Clero e delle benemerite Congregazioni religiose colà operanti, e con le forze del laicato cattolico, dei fedeli delle varie parrocchie e dei lavoratori delle industrie locali. Siate i benvenuti a questo tonificante incontro di anime, presso il Sepolcro di Pietro!

Facciamo voti che questa opportunità di ritrovarvi in preghiera al centro della fede cristiana, in consonanza di propositi e d’intenti, vi infonda nuova generosità nel fare onore al nome cristiano. Sappiamo che la vostra diocesi si è sempre distinta per il numero e per la formazione dei suoi sacerdoti, per la solidità della vita parrocchiale e dell’insegnamento catechistico, per l’attività di azione cattolica; è stato tracciato un solco, è stata lasciata un’orma che dovete impegnarvi a seguire, perché le nuove generazioni ricevano e tengano alta la fiaccola della fede, nella serietà e nella laboriosità alla vita, nella letizia dei cuori. Il Signore vi accompagni sempre, vi renda docili alla sua grazia, vi stimoli alla cooperazione apostolica e missionaria, renda feconda di opere e di meriti la vostra vita diocesana! Con questi voti, impartiamo a voi, presenti, ed all’intera diocesi albese la nostra particolare Benedizione.

Catechiste parrocchiali di Verona

È presente all'udienza un gruppo assai numeroso di Catechiste Parrocchiali della diocesi di Verona, le quali, guidate dal caro e venerato Monsignore Giuseppe Carraro, sono venute a farci visita per ascoltare da noi una parola di incoraggiamento e di augurio.

Rispondiamo volentieri al vostro desiderio, perché sappiamo che il pellegrinaggio a Roma vi è costato non poco sacrificio e, più ancora, vi costa sacrificio l’attività catechistica, che svolgete nelle parrocchie e nei centri pastorali della diocesi. Voi siete, in gran maggioranza, operaie, ed alla fatica quotidiana nelle fabbriche e negli opifici avete voluto aggiungere, con lodevole spirito di generosità, un’altra e più meritoria fatica nella Chiesa, che è - come ha ricordato il Concilio, riprendendo due suggestive immagini di S. Paolo - il «campo di Dio» e l’«edificio di Dio» (Lumen Gentium, 6). Come potremmo, inoltre, dimenticare la scuola diocesana, che vi ha preparate al ministero di catechiste? È giunta al suo tredicesimo anno di vita, ha un’originale fisionomia ed assolve una preziosa funzione nella Comunità ecclesiale Veronese. Ne diamo meritata lode al degnissimo Pastore, che l’ha istituita, ed ai Sacerdoti e alle Religiose Canossiane, che curano la formazione delle alunne. Auspichiamo che da questa scuola scaturiscano sempre più fresche energie per alimentare la vita spirituale dell’antica Chiesa di S. Zeno, il Patrono di cui ricorre il XVI centenario della morte e che fu tra i massimi evangelizzatori della regione. Il ricordo della sua opera missionaria deve stimolarvi a collaborare con impegno all’opera della educazione cristiana, dando così coerente sviluppo alla tradizione religiosa, che onora la vostra terra. Vi sia di conforto la Benedizione Apostolica, che estendiamo ai vostri maestri, alunni e familiari.

Centro di addestramento professionale

Ed ora, un particolare saluto ai numerosi allievi della «Federazione Italiana Centri di Istruzione e di Addestramento Professionale».

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Desideriamo esprimere, anzitutto, il nostro apprezzamento per le finalità, umane e cristiane, della vostra Federazione, la quale intende promuovere tutte quelle iniziative atte alla istruzione e alla formazione integrale dei giovani nel campo del lavoro. Con questo essa intende anche rispondere ad un pressante invito del Concilio Vaticano secondo, il quale ha così affermato: «Occorre fare ogni sforzo affinché quelli che ne sono capaci possano ascendere agli studi superiori; ma in tale maniera che, per quanto è possibile, essi possano occuparsi nella umana società di quelle funzioni, compiti e servizi che sono consentanei alle loro attitudini naturali e alle competenze acquisite» (Gaudium et Spes, 60).

Con lo sguardo rivolto a queste ampie prospettive, preparatevi, figli carissimi, con serio impegno alla vostra professione, per essere cittadini coscienti di dover offrire un fattivo e positivo contributo alla società; ma, specialmente, siate e mostratevi sempre cristiani coerenti, capaci di dare, con costante generosità, una testimonianza di vita, ispirata alle esigenze del messaggio evangelico.

Con questi voti ed in pegno della nostra benevolenza impartiamo a voi, ai responsabili della Federazione, a tutti i vostri cari l’Apostolica Benedizione.

Ammalati di Saint-Brieuc

Chers Fils du Centre Hospitalier de Saint-Brieuc,

Nous savons que depuis deux années vous prépariez votre pèlerinage: dans la joie de venir, pour la première fois, tout près du Successeur de l’Apôtre Pierre; mais aussi dans la générosité, car vous avez voulu assumer une part de votre voyage par des économies patiemment répétées; surtout, vous avez laissé grandir dans vos cœurs chrétiens l’amour de l’Eglise du Christ! Si en ce moment vous etes comblés de bonheur spirituel, croyez bien que notre joie est à la mesure de la votre.

A la suite de Jésus, l’Eglise veut donner son cceur et ses activités, en priorité aux souffrants. Et le Rape, autant qu’il le peut, ouvre largement sa maison à ceux qui ont mystérieusement recu la Croix du Christ en partage. Puissiez-vous, avec l’aide certaine du Seigneur, retourner vers votre maison de Saint-Brieuc avec une espérance toute nouvelle, une espérance puisée au cceur de l’.Eglise et qui rayonnera sur votre vie, camme les phares si indispensables aux jolies cotes de votre Bretagne! Chers fils, votre présence dans l’Eglise mais aussi dans la société, est sacrée. Votre présence est un appel à la solidarité, au courage, à la foi! Votre présence est porteuse de simplicité, de paix, de joie meme! Nous ne craignons pas de vous le dire, la sainteté chrétienne est possible pour vous aussi. Et nous rendons un hommage très particulier aux responsables, aux aumoniers, aux religieuses qui sont à votre service, et vous aident, jour après jour, à développer vos possibilités humaines, à etre de vrais disciples de Jésus. En vous, le Christ nous donne des signes émouvants du dépassement de la souffrance humaine. En vous, le Christ déploie la force de sa résurrection.

Avant de passer au milieu de vous, à l’exemple du Sauveur, Nous appelons sur vos personnes, sur ceux qui vous entourent avec une délicatesse remarquable, sur tous ceux que vous aimez ou que vous représentez ici, la Bénédiction du Seigneur.

Pellegrinaggio di Biella

Partecipano all'udienza odierna numerosi pellegrini della diocesi di Biella, venuti a Roma in occasione del secondo centenario della istituzione della loro diocesi, per manifestare la loro fede indefettibile in Cristo e la loro costante devozione alla Cattedra di Pietro. Sono guidati dai Pastore della diocesi stessa, il venerato Monsignore Vittorio Piola; e sappiamo che li accompagnano i loro

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Presuli Monsignore Carlo Rossi, già Vescovo di Biella, e Monsignore Giovanni Picco, già Vescovo Ausiliare di Vercelli, insieme a numerose autorità civili della zona.

Anche noi, figli carissimi, siamo profondamente lieti di questo incontro. Vi riceviamo, quindi, con animo paterno, e nel gradire il vostro devoto ed affettuoso omaggio, sentiamo di raccogliere la testimonianza di fede e di carità che la vostra intera diocesi ha saputo offrire in questi due secoli di generosa e fattiva vitalità.

Ai membri di questa eletta porzione della Chiesa di Dio, e in particolar modo a voi qui presenti, giunga il nostro affettuoso saluto. Esso vuol essere in pari tempo un’esortazione a corrispondere alla gioia ecclesiale di questa fausta ricorrenza, con un intensificato impegno di fedeltà, di unità attiva e feconda dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici attorno al loro Vescovo, quale è nelle belle tradizioni della vostra Chiesa, per il suo migliore avvenire. Un avvenire che noi auspichiamo sereno e prospero, sotto la protezione della Vergine Santissima che, dal suo Santuario di Oropa, veglia da secoli sulle sorti della Chiesa biellese. Non è senza un particolare motivo questo richiamo alla vostra celeste Protettrice. Avete voluto, infatti, presentarci, perché sia da noi benedetto, un imponente ed artistico cero che, portato a Lourdes con un pellegrinaggio di malati, avrà la sua sede definitiva nel Santuario di Oropa a ricordo di questa centenaria ricorrenza. Ben volentieri aderiamo al vostro desiderio, e vorremmo che questo cero, che d’ora innanzi brillerà nel vostro celebre Santuario, fosse il segno di un rinnovato patto di fedeltà e di amore fra noi e la Gran Madre di Dio, come sarà certamente un segno della protezione che Ella non lascerà mancare a chi vorrà volenterosamente seguire le sue orme sulla via della onestà, della purezza, della santità e della grazia.

Avvalori questi nostri voti paterni la Benedizione Apostolica che ora di cuore impartiamo a voi qui presenti, a cominciare dai degnissimi e a noi carissimi Vescovi, e che amiamo estendere a tutti i vostri condiocesani spiritualmente uniti con voi in questo incontro col Vicario di Cristo.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 27 marzo 1974

Avevamo intenzione di ricevere stamane i vostri numerosi gruppi, ma purtroppo, nonostante il nostro desiderio, una indisposizione ce lo impedisce. Ce ne dispiace specialmente per voi, venuti a portarci il dono della vostra presenza, che tanto ci conforta.Vi auguriamo ogni bene, nell’adempimento generoso dei vostri quotidiani doveri; vi seguiamo con la preghiera, che invoca su di voi dal Signore ogni dono di fortezza, di grazia, di pace; e di cuore vi impartiamo la nostra benedizione, ch’è rivolta anche a tutti i vostri Cari lontani.

Chers Fils et chères Filles de langue française,Sans pouvoir vous parler plus longuement, Nous vous saluons cordialement. Nous souhaitons que ce séjour romain fortifie votre sens chrétien et votre amour de l’Eglise. A vous-memes, et à tous ceux qui vous sont chers, Nous donnons la Bénédiction Apostolique.

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We are happy to extend to all of you-our sons and daughters and our friends-the expression of our affection in Christ the Lord. We invoke his graces upon you, and in his name give you our Apostolic Blessing.

Von Herzen erteilen Wir den vielen Pilgern aus den Ländern deutscher Sprache Unseren Apostolischen Segen. Es sind auch alle Andachtsgegenstande geweiht, die Sie bei sich haben.Unas palabras de saludo y bienvenida para todos nuestros oyentes de lengua española y portuguesa.

Lamentando no poder recibiros hoy corno habríamos deseado, os impartimos la Bendición Apostólica, que extendemos a vuestros familiares.

Al termine dei saluti, il Papa imparte a tutti la Benedizione Apostolica. Prima di ritirarsi, si è infine intrattenuto brevemente alla finestra, per rispondere al rinnovato saluto della moltitudine.Ed ecco il testo dei successivi saluti che il Santo Padre si proponeva di pronunciare, se gli fosse stato possibile dar corso alla consueta udienza generale.

Centri d’istruzione professionale

Diamo ora un saluto particolare al gruppo proveniente dai Centri di istruzione e di addestramento professionale, curati dall’apposita Federazione Italiana (F.I.C.I.A.P.). La vostra presenza è, anche quest’anno, molto numerosa; come siamo informati, si tratta prevalentemente di allieve di benemerite scuole, venute soprattutto dal meridione d’Italia: e quindi ci offrite quest’anno e un nuovo aspetto della molteplice attività dei Centri, e una diversa rappresentanza di quei trentamila giovani e signorine che, sotto la guida di esperti maestri, si preparano ad una qualificazione professionale che sarà loro utile, anzi indispensabile, per inserirsi con piena maturità e responsabilità nel mondo del lavoro.Ci fa piacere apprendere che questa preparazione, compiuta nel raggio capillare di innumerevoli scuole, si svolge appunto dando un sicuro e approfondito orientamento cristiano alle istanze fondamentali della vostra giovane vita. Sappiamo inoltre che intervenite liberamente a corsi di esercizi spirituali, organizzati per voi, e che siete aperti alle esigenze della collaborazione missionaria. Bravi, giovani carissimi! Così facendo voi dimostrate di aver compreso che solo nella luce del Vangelo l’uomo trova le indicazioni necessarie per vivere la propria esistenza secondo il piano di Dio, per dare al proprio lavoro il suo significato di collaborazione all’ordine creato, e di consacrazione delle realtà terrestri, di redenzione della fatica inerente al lavoro, rendendola fruttuosa nella comunione col Mistero della salvezza, operata mediante la Croce.Vi auguriamo di dare sempre alla vostra vita il suo significato autentico di risposta generosa a Dio che ci chiama, e di amore concreto e operoso ai fratelli: e tutti vi benediciamo di cuore, unitamente ai vostri familiari e a quanti si occupano della vostra formazione spirituale e professionale.

Giovani liceali alsaziani

Chers fils de l’Alsace,Vous êtes presque huit cents dans tette rencontre de famille!Et nous savons qui vous etes: des jeunes lycéens, accompagnés de leurs aumoniers, de leurs parents et de leurs professeurs. Nous vous félicitons d’avoir pris ensemble le chemin de Rome pour vivre un temps fort de votre appartenance joyeuse et attive à l’Eglise du Christ.Si l’ambiance contemporaine est trop souvent imprégnée d’intolérance et d’agressivité, vous refusez d’eri etre complices! C’est pourquoi vous avez choisi camme thème de votre pèlerinage: «L’Eglise, lieu de réconciliation». Les chrétiens ont en effet besoin de reprendre souvent conscicnce qu’ils sont disciples du Christ «doux et humble de cœur». Nous souhaitons vivement que vous emportiez dans les communautés humaines et spirituelles auxquelles vous appartenez tette flamme fragile et merveilleuse de la charité évangélique dont l’Apôtre Paul rappelait le primat à la communauté chrétienne de Corinthe, sans

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tesse tentée par les coteries et les divisions (1 Cor. 13, l-8). C’est dans ces sentiments que nous vous accordons de tout cœur notre Bénédiction Apostolique.

Novelli sacerdoti di Propaganda Fide

We extend our congratulations and good wishes to the newlyordained priest from Propaganda College, whom we welcome here today with their families and with the superiors and staff of the College. Beloved sons, you are beginning a new chapter in your lives. It will be your great privilege to help evangelize your own countries. You will go forth in obedience to Christ’s command to teach all nations, baptizing them in the name of the Father and of the Son and of the Holy Spirit. Your zeal and generous selfsacrifice will help to spread the faith among some, and to deepen it in others. May Christ your divine Master always go with you.

Concertisti musicali d’America

We great also the students from America who belong to a number of musical bands. Welcome to Rome. We hope that your stay here help you to develop your talents in the service of your fellow men. We are always pleased to welcome young people, and we are grateful to you for coming to see us.

Pellegrini dell’Associazione cattolica della Thailandia

We give a special welcome to the pilgrims from the Catholic Association of Thailand. Thank you for coming to see us.We send our greetings also to your families at home. May your stay in the Eternal City be an enjoyable one, and may you benefit from the cultural and spiritual riches to be found here.Pellegrini tedeschi convenuti a Roma per la beatificazione di Liborio Wagner Von herzen begrüßen Wir heute die vielen Pilger aus Deutschland.Sie wohnten am vergangenen Sonntag der Seligsprechung Ihres Landsmannes bei, des Priesters und Martyrers Liborius Wagner. Wir freuen Uns mit Ihnen und beglückwünschen Sie, daß Deutschland, das der Kirche schon so viele heilige Männer und Frauen geschenkt hat, im Glanze eines neuen Seligen aufstrahlt.

Der selige Liborius lebte in einer Zeit der Glaubensnot, aber auch der Glaubensfreude und des Bekennermuttes. Er gehörte zu den vielen unbekannten Priestern der damaligen schweren Glaubenskrise, die auf das Lehramt der Kirche hörten und darum ihren Gläubigen die unveränderlichen Glaubenswahrheiten einheitlich lehrten.So erfüllten sie die unsicher und schwankend gewordenen Christen mit neuer Zuversicht und begeisterten die Menschen für den heiligen katholischen Glauben.Es steht ferner geschichtlich fest, daß der neue Selige wegen seiner Treue zur Kirche und zum Papst, dem Nachfolger des heiligen Petrus, des Märtyrertodes sterben mußte. Denn er war davon überzeugt: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia, wo Petrus, der Papst, ist, dort ist die Kirche».Möge der selige Liborius Wagner uns allen in drangvoller Gegenwart leuchtendes Vorbild und mächtiger Fürsprecher sein! Dazu erteilen Wir allen Anwesenden von Herzen Unseren Apostolischen Segen.

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UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 1° maggio 1974

La nostra riflessione, quest’oggi 1° Maggio, si rivolge con grande interesse verso il lavoro, tema immenso e oggetto di tanti studi e di non finite controversie. Noi ci limitiamo, in questa sede, a qualche citazione, che riprendiamo semplicemente dal Concilio, con intenzione chiarificatrice ed elogiativa. Rimane certamente nel nostro ricordo e nella nostra esperienza la sentenza di Dio a punizione di Adamo, dopo il primo fatale peccato: «ti guadagnerai il pane col sudore della tua fronte» (Gen. 3, 19), sentenza che aggrava e inasprisce il rapporto fra l’uomo e le cose necessarie alla sua vita; il rapporto non sarà più facile e giocondo, ma sarà stentato e faticoso; lo sappiamo, anche dopo l’invenzione meravigliosa, propria dell’uomo moderno, di strumenti potenti e perfezionatissimi, che diminuiscono, ma alla fine non annullano la fatica dell’uomo dominatore della natura per la propria utilità. Il lavoro è quindi maledetto? No; è l’uomo che subisce il castigo dello sforzo penoso; non, per sé, il lavoro, che rientra nel disegno provvido e sapiente di Dio in ordine all’esercizio delle facoltà umane e al progressivo umano sviluppo. Dice infatti il Concilio: «l’attività umana, individuale e collettiva, ossia quel poderoso sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno di Dio . . Gli uomini . . . col loro lavoro prolungano l’opera del Creatore, . . . e dànno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia» (Gaudium et Spes, 33). Sia dunque promosso e benedetto il lavoro, e sia consolato l’uomo che lo compie, non senza grave suo sforzo e copioso sudore.

Un’altra citazione del Concilio ci istruisce sulle finalità superiori e trascendenti del lavoro. Noi ci domandiamo: il lavoro è fine a se stesso? È chiaro che no. Il lavoro tende direttamente al profitto economico, il quale a sua volta tende alla soddisfazione dei bisogni umani. Alcuni si fermano a questa visione immediata del lavoro, e ne fanno la sorgente della liberazione umana, diventata la parola-vertice e magica di tanti movimenti ideologici, sociali, economici e politici, ed anche perfino spirituali e religiosi. Può dunque qualificarsi il lavoro come la sorgente della liberazione umana, cioè delle somme aspirazioni della vita?La domanda, buona e legittima in radice, in quanto riconosce nel lavoro e nella prosperità economica, che ne può derivare, uno dei coefficienti indispensabili alle necessità e alla dignità della vita umana, non è soddisfacente nella sua risposta, se questa si limita ai beni temporali, che possono scaturire dal lavoro orientato alla soddisfazione materialista o edonista dei desideri dell’uomo. Dice il Concilio : «Alcuni attendono dai soli sforzi umani una vera e propria liberazione del genere umano e sono persuasi che il futuro regno dell’uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del loro cuore . . . Con tutto ciò diventano sempre più numerosi quelli che, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, si pongono o avvertono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: che cosa è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che nonostante tanto progresso continuano a sussistere? . . . nella luce di Cristo . . . il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e per aiutare a trovare la soluzione dei principali problemi del nostro tempo» (Gaudium et Spes, 10).

Così il Concilio. Noi possiamo concludere con un’osservazione: la filosofia della vita, che restringesse nel solo lavoro rivolto al possesso del mondo esteriore e materiale la sua sapienza, non sarebbe sufficiente, non sarebbe soddisfacente, e alla fine non sarebbe invulnerabile dalla critica del pensiero, dall’esperienza della storia; e fin da ora dalla parola, sì, veramente liberatrice, di Cristo: «Non di solo pane vive l’uomo, ma d’ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Matth. 4. 4).Il

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lavoro, cioè l’attività dell’uomo, solo tesa al possesso e al dominio del benessere temporale, ha bisogno d’un elemento complementare indispensabile, quello autentico dello spirito, quello della fede, quello del dono della vita soprannaturale. L’antica formula di San Benedetto è sempre valida: ora et labora; prega e lavora; è la formula, sempre moderna, della vita cristiana, quale noi oggi auguriamo a tutto il mondo del lavoro, con la nostra Benedizione Apostolica.Vorremmo oggi, 1° Maggio, festa del lavoro, entrata anche nel nostro calendario liturgico, cioè del pensiero e del culto cattolico, mandare un saluto a tutti i Lavoratori.Vorremmo far sentire a tutti, con umile ma sincera affezione, che la Chiesa pensa a loro. Essa guarda alla loro aspirazione di giustizia e di progresso con solidale simpatia.

Essa teme soltanto che l’ansia della loro lotta metta lo spirito di odio, di vendetta, di violenza nei loro cuori, e chiuda sopra i loro occhi la visione vera e totale dei beni spirituali, che non meno di quelli economici, sono necessari alla loro vita e sono degni della loro condizione sociale: Cristo fu povero, Cristo fu egli pure lavoratore, Cristo ha incontrato l’opposizione e l’incomprensione dei suoi contemporanei, Cristo ha sofferto ed è morto per liberare noi tutti dai nostri peccati, e per renderci tutti fratelli, ed eredi d’una vita immortale, che supera i confini di questa nostra vita mortale presente. ssa, la Chiesa, mantiene e svolge le parole e le promesse, che i Papi, specialmente da un secolo ad oggi, hanno pronunciate per la causa giusta e rinnovatrice delle classi operaie.Essa oggi vi saluta e vi benedice nei vostri posti di lavoro: vede tanti di voi impegnati in fatiche molto dure ed estenuanti; la fatica fisica è la vostra prova ed il vostro onore.Vede altri di voi addetti a imprese rischiose, che spesso richiedono un coraggio acrobatico e una straordinaria padronanza di sé, che merita il plauso di tutti. Vede molti di voi occupati in lavori monotoni ed alienanti, ed ammira la vostra bravura e la vostra pazienza.E quanti di voi passano la loro giornata in officine accecanti ed assordanti; quanti sono obbligati a lavori notturni e a turni di lavoro che rompono ogni ritmo tranquillo alle vostre giornate: la Chiesa non vi dimentica.

E ancora quanti non ricavano più dall’austera e georgica vita dei campi un benessere sufficiente ad un’esistenza civile, non inferiore a quella dei compaesani che hanno preferito il lavoro industriale e più sicuramente retribuito: la Chiesa è ancora con i laboriosi coltivatori della terra e allevatori di armenti e di greggi.E vediamo i mille e mille di voi, che hanno lasciato la casa e la patria per cercare all’estero un ingrato lavoro e un po’ di fortuna: cari esuli, la Chiesa pensa agli emigranti.Vediamo le vostre famiglie ancora in povere case, spesso con figli senza scuola vicina, e prive della sufficiente assistenza sanitaria e sociale di cui avrebbero bisogno: la Chiesa è sempre casa per la vostra famiglia cristiana ed onesta.Vediamo le vostre chiese quasi abbandonate, le vostre parrocchie dalle campane talvolta senza voce, e le vostre feste locali quasi deserte.Vediamo spesso voi tutti affascinati da idee, spesso venute da lontano, col fascino della rivolta, ma senza garanzia di verità e di felicità . . .Lavoratori! oggi noi guardiamo a voi con nessun altro interesse che la vostra giustizia, la vostra prosperità, la vostra fedeltà a Cristo, nostro Salvatore e nostra pace.È vicino a noi un vostro collega e vostro protettore, San Giuseppe, che insegnò a Gesù il mestiere del fabbro; e con lui, sempre nel nome di Cristo, tutti vi salutiamo e vi benediciamo.

L’Apostolato della Preghiera

Our special greeting goes to the National Secretaries of the Apostleship of Prayer who have assembled in Rome. We are mindful of the efforts and accomplishments of your Association to promote holiness through the daily offering of one’s life to God.As we encourage you to persevere in the love of Jesus Christ and in authentic Christian prayer, we thank you and all our beloved sons and daughters who are especially mindful of the intentions of our universal ministry. We are happy to repeat with Saint Paul: “Pray perseveringly, be attentive to prayer, and pray in a spirit of thanksgiving. Pray for us too . . .” (Col. 4, 2-3). With our Apostolic Blessing in the Lord.

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Pellegrinaggio de «La Vie Montante»

Avec une joie particulière, Nous accueillons les quatre mille représentants de «La Vie Montante» qui Nous entourent aujourd’hui, ainsi que le cher Monseigneur Caillot qui donne à ce mouvement tout son dévouement pastoral.Amis très chers, Nous nous sentons proche de vous et de ceux que vous représentez ici! De vous surtout, qui souffrez moralement; de vous qui vous sentez isolés ou incompris; de vous qui, ayant porté le poids du jour et de la chaleur, n’avez plus la force d’antan mais ne manquez cependant ni de courage ni d’énergie.Il n’y a point, vous le savez, « d’âge de la retraite » pour accomplir la volonté de Dieu, qui est que nous devenions des saints!Tous les âges de la vie ont donc leur manière de répondre à l’amour du Christ et de lui rendre témoignage. L’Eglise, elle, a le grave devoir et le souci de faire que chacun trouve en elle sa place pour répondre à cet appel. Si l’accomplissement de la vie ne réalise jamais parfaitement l’idéal des commencements, il doit nous permettre de reconnaître combien, mystérieusement, «tout est grâce». L’essentiel devient alors, selon le mot de Saint Paul, «d’achever en nous ce qui manque aux souffrances du Christ pour son corps qui est l’Eglise» (Col. 1, 23).

La sanctification par la prière, les sacrements, la charité fraternelle, voilà l’action spirituelle par excellence, l’achèvem.ent du Corps Mystique du Christ. Vivez, chers amis, ce dogme de la «Communion des Saints». Puissions-nous tous y trouver cet élan qui s’épanouira un jour - c’est un point essentiel de notre foi – en vie éternelle.Grâce à cette communion spirituelle, invisible, beaucoup peuvent compter aujourd’hui sur le témoignage des membres de «La Vie Montante». D’abord vos compagnons et compagnes du troisième âge, qui attendent votre soutien, votre amitié, votre apostolat, à une heure où le recul leur permet souvent de redécouvrir l’essentiel.Vos familles, vos paroisses, l’Eglise locale peuvent apprécier les multiples services que permet votre disponibilité, la sagesse de votre regard et de votre expérience, l’exemple de votre foi et de votre piété. A vous tous, présents à Rome près des tombeaux des Apôtres, comme à tous les membres de votre mouvement, qui vous sont particulièrement unis en ces jours par la prière, Nous disons notre confiance, l’espérance que Nous mettons dans votre sens de l’Eglise, dans votre dynamisme spirituel, et apostolique, et Nous vous donnons de grand cœur notre affectueuse Bénédiction Apostolique.

SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE

OMELIA

19 marzo 1975

Onoriamo San Giuseppe, «lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Matth. 1, 16). Noi oggi lo onoreremo come colui che Iddio scelse per dare al Verbo di Dio, che si fa uomo, il nido, la genealogia storica, la casa, l'ambiente sociale, la professione, il custode, la parentela, in una parola, la famiglia, questa cellula primaria della società, comunità d'amore, liberamente costituita, indivisibile, esclusiva, perpetua, mediante la quale l'uomo e la donna si rivelano reciprocamente complementari, e destinati a trasmettere il dono naturale e divino della vita ad altri esseri umani, i loro figli. Gesù, Figlio di Dio, ha avuto una sua famiglia umana, per cui apparve e fu insieme Figlio dell'uomo; e con questa sua scelta ratificò, canonizzò, santificò questo nostro comune istituto

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generatore dell'esistenza umana, sopra il quale la nostra preghiera e la nostra meditazione antepone oggi la pia, la silenziosa, la esemplare figura di San Giuseppe.

Veramente noi dobbiamo fare subito un'osservazione fondamentale sopra questo Santo personaggio, destinato a fungere da padre legale, non naturale, di Gesù, la cui generazione umana avvenne in modo singolarissimo, prodigioso, per opera dello Spirito Santo, nel seno di Maria, la Vergine Madre di Dio, Gesù suo vero figlio, e solo ufficialmente, com'era creduto (Luc. 3, 33; Marc. 6, 3; Matth. 13, 55), «figlio del fabbro», Giuseppe. Qui si aprirebbe alla nostra considerazione la storia personale di lui, il suo dramma sentimentale, il suo «romanzo», che rasentò il crollo del suo amore, che con intuito privilegiato aveva scelto Maria, la «piena di grazia», cioè la più bella, la più amabile fra tutte le donne, come sua futura sposa, quando seppe ch'ella non era più sua; ella stava per diventare madre; ed egli ch'era uomo buono, «giusto» lo dice il Vangelo, capace cioè di sacrificare il suo amore all'ignoto destino della fidanzata, pensava di lasciarla senza fare clamore, sacrificando ciò che aveva di più caro nella vita, il suo amore per l'incomparabile Fanciulla.

Ma Giuseppe, anche lui, sebbene umile artigiano, era un privilegiato; aveva il carisma dei sogni rivelatori; ed uno, il primo registrato nel Vangelo, fu questo: «Giuseppe figlio di David, non abbi timore ad accogliere Maria come tua consorte, poiché quello che è nato in lei è opera dello Spirito Santo. Darà alla luce un figlio, e tu gli metterai nome Gesù; poiché Egli salverà il suo popolo dai loro peccati» (Matth. 1, 20-21); cioè sarà il Salvatore, sarà il Messia, «l'Emmanuele, che vuol dire il Dio con noi» (Ibid. 23). Giuseppe obbedì: felice, ed insieme generoso nel sacrificio umano che gli era chiesto. Egli sarà padre del nascituro non carne, sed caritate, scrive Sant'Agostino (S. AUGUSTINI Serm. 52, 20; PL 38, 351); marito, custode, testimonio, della immacolata verginità e insieme della divina maternità di Maria (Cfr. IDEM Serm. 225; PL 38, 1096). Situazione unica, miracolosa, che mette in evidenza la santità personale non solo della Madonna, ma insieme quella del modesto, ma sublime suo sposo, Giuseppe, il Santo che la Chiesa presenta, pur durante il tirocinio quaresimale, alla nostra festosa venerazione. Ed eccoci allora davanti alla «sacra Famiglia»!

Sì, care, carissime Famiglie cristiane, da noi oggi convocate a questa celebrazione, lieti di vedere che molti Pellegrini e Fedeli vi fanno corona. Sì, noi dobbiamo esprimere con fervore nuovo, con coscienza nuova il nostro culto a questo quadro, che il Vangelo ci pone davanti: Giuseppe, con Maria, e Gesù, bimbo, fanciullo, giovane con loro. Il quadro è tipico. Ogni Famiglia vi può essere rispecchiata. L'amore domestico, il più completo, il più bello secondo natura, irradia dall'umile scena evangelica, e subito si effonde in una luce nuova ed abbagliante: l'amore acquista splendore soprannaturale. La scena si trasforma: Cristo vi ha il sopravvento; le figure umane che gli sono vicine assumono la rappresentanza dell'umanità nuova, la Chiesa; Cristo è lo Sposo; Sposa è la Chiesa; il quadro del tempo si apre sul mistero dell'oltre-tempo; la storia del mondo si fa apocalittica, escatologica; beato chi ne sa fin d'ora intravedere la luce vivificante; la vita presente si trasfigura in quella futura ed eterna: la nostra casa, la nostra famiglia si farà paradiso.

Figli carissimi, ascoltateci. Accogliere come programma la vita cristiana diventa oggi un esercizio forte. L'abitudine tradizionale delle nostre case, ordinate, semplici ed austere, buone e felici, non regge più da se stessa. Il costume pubblico presidio delle virtù domestiche e sociali, è in via di mutamento, e, sotto certi aspetti, in via di dissoluzione. La legalità sembra, e non sempre è sufficiente alle esigenze della moralità. La famiglia è messa in discussione nelle sue leggi fondamentali: l'unità, l'esclusività, la perennità. Tocca a voi, Sposi cristiani; a voi, Famiglie benedette dal carisma sacramentale; a voi, fedeli d'una religione che ha nell'amore, nel vero amore evangelico la sua espressione più alta e più sacra, più generosa e più felice, a voi riscoprire la vostra vocazione e la vostra fortuna; a voi preservare il carattere incomparabilmente umano e spontaneamente religioso della famiglia cristiana; a voi rigenerare nei vostri figli e nella società il

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senso dello spirito che solleva al suo livello la carne. San Giuseppe vi insegni come. Noi oggi a tal fine insieme lo invocheremo.

Aux foyers ici présents, et à tous ceux qu'ils représentent, Nous adressons nos encouragements et nos voeux affectueux. Prenez courage, vivez dans l'espérance! Malgré toutes les difficultés que nous connaissons, l'amour fidèle, chaste et généreux que vous vous donnez entre époux, et le climat d'amour dont vous faites bénéficier vos enfants, ne sauraient demeurer stériles: ils viennent de l'amour de Dieu et vous y conduisent. L'Eglise et la société comptent sur le rayonnement de votre foyer. Priez le Seigneur, invoquez Marie et Joseph, pour que la force de Dieu et sa joie vous accompagnent toujours!

On this solemnity of Saint Joseph, patron of the universal Church, our thoughts go out to all Catholic families throughout the World. As you endeavour with God's grate to fulfil your destiny and live fully your lofty vocation as Christian husbands and wives and fathers and mothers, we send you the expression of our own paterna1 love and deep affection in the Lord. We pray that, in the realization ad acceptance of your dignity and of your sacramenta1 charism, you will find great strength, deep joy and unending love.

Unas palabras de saluto para todos vosotros, los componentes de los grupos familiares de lengua española, que participais en este atto liturgico. Que la espiritualidad del Año Santo os enseñe a cultivar con esmero las virtudes específicas que caracterizan a las familias cristianas. Defended el núcleo familiar contra toda insidia de disgregación y haced reinar en él la paz y el amor de Cristo.

Heute am Hochfest des heiligen Joseph ein Wort herzlicher Begrüssung an alle anwesenden Pilger aus den Ländern deutscher Sprache. Der heilige Joseph ist das erhabene Worbild für alle christlichen Familien durch seine tiefe, gesunde Frömmigkeit, durch seine Treue gegenüber dem ihm anvertrauten Gotteskind und zur allerseligsten Jungfrau Maria, durch sein unersch5tterliches Gottvertrauen in allen Prüfungen des Lebens. Liebe Sohne und Tochter! Habet allezeit ein grosses Vertrauen auf die mächtige Fürsprache des heiligen Joseph!

FESTA DI SAN GIUSEPPE ARTIGIANO

OMELIA

1° maggio 1975

La buona educazione cristiana, che trova nella Sacra Scrittura le sue abituali espressioni, mette nel nostro cuore e sulle nostre labbra, parole cordiali di saluto per questa religiosa riunione: che la grazia e la pace (Rom. 1, 7) del Signore sia con voi! Siate i benvenuti a questo spirituale convegno! La nostra voce vuole aprirsi oggi specialmente verso di voi (Cfr. 2 Cor. 6, 11), Lavoratori, che sempre abbiamo avuto presenti nella nostra stima e nel nostro ministero. Grazie per la vostra presenza! non è quella di forestieri, ma quella di fratelli e di figli, per i quali sentiamo il dovere, un grato dovere, di particolare affezione e di speciale considerazione. Grazie, carissimi; e con voi siano salutati quanti altri fedeli di Roma, o pellegrini qua venuti in occasione dell'Anno Santo; a tutti il nostro riconoscente e benedicente saluto!

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Ma questa sacra celebrazione, vi diremo con semplice sincerità, mette nel nostro animo una certa trepidazione. Perché? perché essa, questa celebrazione, si qualifica da due note, che, a prima vista, non sembrano facilmente consonanti; prima nota: oggi è il primo Maggio, e sappiamo quale risonanza abbia una tale data nell'opinione comune, specialmente nel mondo del lavoro: è la festa del lavoro! seconda nota: codesta riunione riveste un carattere religioso, sia perché essa è rivolta al culto di S. Giuseppe, artigiano, padre putativo di Gesù e vostro particolare patrono, Lavoratori, sia perché questo rito sacro si collega con quelli del giubileo, che fa di questo 1975 un anno santo, un anno dedicato alla revisione spirituale e morale delle nostre coscienze, per metterle in ordine, di fronte a Dio e alla Chiesa, e richiama alle basiliche romane, fra le quali San Pietro, quei credenti, che, sulla tomba del primo Apostolo, Martire e Vescovo di Roma e della Chiesa cattolica, vogliono professarsi fedeli e implorare perdono e fortezza per rimettersi in forma nuova e felice a vivere da uomini buoni e da veri cristiani.

Vanno d'accordo queste due note, profana l'una, religiosa l'altra? ovvero la loro sinfonia costituisce una stonatura? una forzatura artificiale? Si può forse conservare al primo maggio il suo carattere di festa del lavoro, ed insieme infondervi i sentimenti spirituali, propri d'una memoria liturgica in onore di S. Giuseppe, e insieme d'una celebrazione giubilare? La vostra presenza vince ogni dubbio e risponde: sì! Sì, Fratelli e Figli carissimi; noi raccogliamo codesta franca risposta; e vi diciamo che, dopo avervi molto pensato, noi la troviamo risposta vera e sapiente. Avremmo anzi molte, moltissime cose, da riferirvi a questo proposito. Ma bastino ora pochissime e semplicissime osservazioni. La prima però è un'osservazione capitale; ed è questa: come mai si può storicamente e logicamente sostenere che vi sia un'opposizione fra l'esaltazione del concetto del lavoro, quale oggi voi dovete avere nei vostri animi, e il compimento d'un atto religioso, altamente qualificato, qual è uno speciale atto di culto al Santo operaio di Nazareth, e unito alla celebrazione del giubileo, proprio di quest'anno santo? sono due atti contrari? si escludono l'uno dall'altro?

Ben lo sappiamo che la mentalità circa il lavoro, diffusa nel mondo moderno, si è affermata spesso come suprema e come esclusiva; ma sappiamo anche, e voi tutti sapete, che codesta mentalità professionale, codesta idealità operativa, cioè il lavoro, tanto è più alta, tanto è più degna, noi aggiungeremo, tanto è più sacra, quanto più si integra nella concezione superiore e globale della vita, nel riconoscimento del primo posto, che nella scala dei valori occupa l'uomo. L'uomo è primo. È l'uomo che produce il lavoro; e il lavoro, ch'è lo sforzo per dominare la terra, tende a servire l'uomo. Se così non fosse, l'uomo ritornerebbe schiavo; e il lavoro segnerebbe al livello materialista la statura, lo sviluppo, la dignità dell'uomo. Ora se l'uomo, cioè la vita nostra, è il primo valore, noi non possiamo decapitare l'uomo negandogli la sua essenziale proiezione verso la trascendenza; diciamo semplicemente: verso Dio, verso il mistero che tutto sostiene e tutto spiega; sì, Dio; che ha fatto dell'uomo un lavoratore, cioè un suo collaboratore (Cfr. 1 Cor. 3, 8) ma obbligandolo, dopo la prima fatale caduta, a guadagnarsi con sudore, con fatica, il suo pane, cioè il suo nutrimento, il suo perfezionamento, appunto in questo rapporto di forza dell'opera umana con il mondo da conquistare e da ridurre a strumento utilitario e a fonte di vita.

Il lavoro: pena e premio dell'attività umana. Così che in questa visione superiore, ch'è la vera, il lavoro ha di per sé un altro rapporto, ed è quello essenzialmente religioso; l'hanno ben compreso i monaci medioevali, tuttora maestri di vita, condensando in una felicissima formula tutto il loro programma: ora et labora, prega e lavora. Così è, così è, fratelli; e perciò questo nostro modo di celebrare il primo maggio non deforma l'aspetto celebrativo del lavoro umano, ma gli conferisce una spiritualità animatrice e redentrice. Noi dobbiamo comprendere questa parentela tra il lavoro e la religione, una parentela che riflette l'alleanza misteriosa, ma reale e confortante della causalità umana con la provvidenziale e paterna causalità divina. Finché il mondo del lavoro non saprà affrancarsi dalla suggestione radicalmente materialista ed ombrosamente laicista, dalla quale oggi è quasi allucinato, come se essa soltanto avesse fondamento scientifico e razionale e come se essa

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costituisse una liberazione, la liberazione di chi cammina senza sapere dove, e rappresentasse la formula obbligata e risolutiva dell'evoluzione sociale contemporanea, solo stimolo efficace e fecondo di civile progresso, noi non avremo una sociologia organica veramente umana, né tanto meno cristiana, ma una pesante convivenza organizzata da complicati ed impersonali ingranaggi economici e legali, non una società veramente libera, naturale e fraterna. Bisogna ridare le ali, ora spesso mozzate, al lavoratore, affinché riacquisti la sua vera e piena forma umana e la sua nativa levitazione; le ali dello spirito, della fede, della preghiera; gli orizzonti della speranza, della fraternità, della giustizia, della comunità e della pace.

Noi conosciamo le cento obiezioni a questo nostro sogno augurale; e prima fra esse quella che accusa la religione di inutilità, anzi di ostacolo al positivo progresso della civiltà. Nessuno di voi, noi pensiamo, può essere convinto di questo vecchio aforisma: «la religione, oppio del popolo», smentito dalla storia, intendiamo dalla storia animata dal Vangelo; aforisma superato dalla documentazione delle dottrine della Chiesa, tutte impregnate di amore per il popolo, e oggi più che mai testimoniate dall'impegno dei suoi figli e dei suoi santi. Potremmo, se volessimo polemizzare, ritorcere l'obiezione, chiedendo se l'impiego sistematico dell'odio, della rivolta, della violenza, della lotta contro membri d'una medesima società reclamato da rivendicazioni puramente positiviste, non abbia forse maggiormente ritardato le legittime e auspicate conquiste del mondo del lavoro esecutivo, suscitando contro le sue aspirazioni rigidi antagonismi ed implacabili egoismi. E potremmo, a questo proposito, ripetere le parole del nostro compianto e venerato Predecessore, Papa Giovanni XIII, il quale, proprio in un suo discorso di primo maggio, nel '59, citava parole sue, pubblicate qualche anno prima, a Venezia, per scongiurare, egli diceva, «il pericolo che penetri nelle menti lo specioso assioma che, per fare la giustizia sociale, per soccorrere i miseri d'ogni categoria,... bisogna assolutamente associarsi coi negatori di Dio e gli oppressori delle libertà umane» (Cfr. AAS 51, 1959, p. 358).

Ma vogliamo in questo felice momento raccogliere i nostri animi a più sereni pensieri. Lasciate, Figli carissimi, che noi salutiamo in voi tutto il mondo del lavoro e che lo assicuriamo della nostra affezione e della nostra cristiana amicizia. Lasciate che il nostro pensiero particolare si rivolga in modo speciale a tutti quelli che soffrono per la pesantezza e per la insalubrità della loro fatica, per la insicurezza della loro occupazione, per la insufficienza delle loro abitazioni e delle loro retribuzioni. Soffriamo con loro e vorremmo essere in grado di aiutarli! Noi osiamo invocare per tutte codeste pene e codeste insufficienze l'opera sollecita e intelligente delle autorità competenti, ed esprimiamo il nostro incoraggiamento e il nostro elogio per quanti dedicano cure e mezzi per dare ai lavoratori condizioni sempre più giuste e più stabili per la loro attività e per il loro benessere. E per voi, carissimi, e per quanti, Sacerdoti e Laici, vi vogliono bene, e, nel nome di Cristo e dell'umana solidarietà, sono a voi di conforto e di aiuto, oggi innalziamo al Signore la nostra preghiera e imploriamo da Lui, auspice il vostro collega e protettore San Giuseppe, una grande consolatrice benedizione.

Nous voulons saluer maintenant les pèlerins venus de France et des pays d'expression française. A travers eux, Nous adressons aussi notre salut cordial à tous ceux qu'ils représentent, en particulier à tous ceux qui travaillent pour assurer au monde le pain et le mieux-être. Que Saint Joseph soit leur modèle et les protège, et Nous, de grand cœur, Nous les bénissons.

As we honour Saint Joseph and extol his role as a worker and a just man, we likewise proclaim the dignity of al1 those like him who are engaged in honest labour and toil. To all the Christian workers of the World we say: «May the peace of Christ reign in your hearts, because it is for this that you were called . . .» (Col. 3, 14). We pray that you will be faithful to your responsibility in building a

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better World, and that the Lord will indeed give you joy and satisfaction as you fulfil your high vocation of service. And «do everything in the name of the Lord Jesus» (Ibid. 3, 17).

Unser herzlicher Gruß den Pilgern deutscher Sprache. Josef ist der bescheidene und gerechte Mann. Er verdiente sein Brot durch seiner Hände Arbeit. Er ist unser aller Vorbild beim Aufbau einer gerechten und friedvollen Welt. Er ist unser Fürsprecher in unseren kleinen und großen Anliegen, in unseren irdischen Nöten und auf unserem Weg zum ewigen Heil.

Dirigimos ahora nuestra palabra a todos vosotros, amadisimos peregrinos de lengua española. Que San José, a quien hoy veneramos corno ejemplo y protector del mundo del trabajo, os ayude a descubrir a Jesucristo en vuestra actividad diaria y en vuestra relación con los hermanos. Así lo pedimos de todo corazón.

DISCORSO A 25.000 LAVORATORI DELLA REGIONE CAMPANIA

Sabato, 21 giugno 1975

Venerabili Fratelli e carissimi Figli,

Non possiamo tacere la nostra gioia e la nostra commozione nel ricevere qui, presso la tomba del Principe degli Apostoli, il vostro pellegrinaggio giubilare, che per il suo numero straordinario costituisce un avvenimento singolare di questo Anno Santo, pur nel flusso dei gruppi sempre più numerosi di pellegrini che varcano senza posa le soglie di questa Basilica.

A voi tutti, cari lavoratori, il nostro affettuoso saluto; e con voi salutiamo il caro e venerato Cardinale Arcivescovo Corrado Ursi e gli altri zelanti Pastori della regione Campana, come pure salutiamo volentieri i Cappellani dell’ONARMO e il Gruppo Sacerdotale della Pastorale del Lavoro, ai quali va in gran parte il merito di questa grandiosa iniziativa.

Il desiderio che vi ha spinti a realizzare il vostro pellegrinaggio nell’anniversario della nostra elezione al Pontificato, rivela una chiara attestazione di venerazione che va, sì, alla nostra umile persona, ma soprattutto al nostro servizio apostolico nella Chiesa, alla sede di Pietro, centro della cattolicità.

Grazie, adunque, della vostra visita e del conforto che ci avete procurato col vostro filiale omaggio: omaggio tanto più apprezzato da noi, perché è testimonianza cristiana che giunge dalle vostre terre, ricche di bellezze naturali ma anche di tradizioni religiose, e perché proviene dal mondo del lavoro, verso il quale la Chiesa non cessa di rivolgere le sue premurose sollecitudini.

Accogliendovi col cuore che a tutti si apre e con tutti condivide le aspirazioni, i voti, le speranze di questo Anno Giubilare, che voi con tanto fervore state celebrando, desideriamo lasciarvi qualche pensiero come ricordo di questo odierno incontro.

E il primo pensiero non può essere altro che un invito alla fede. È la fede, non altro, che vi ha tratti a Roma, a sottoporvi a molti disagi, per varcare la Porta Santa e accedere alle fonti della grazia, dischiuse dal Giubileo a tutti gli uomini di buona volontà: e allora fate onore alla vostra fede cristiana, e custoditela come il tesoro più bello e più prezioso della vostra vita. L’uomo moderno,

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assorbito dal lavoro, molto spesso, pur troppo, finisce per dimenticarsi di guardare in alto; e si interessa sempre più delle cose della terra e dei beni economici più che di ogni altro. Perciò il Giubileo, che è uno sforzo di rinnovamento della vita religiosa, vuol ricordare al mondo moderato che bisogna guardare anche il Cielo. È necessario certamente procurarsi l’onesto sostentamento della vita, ma non bisogna dimenticare che nella vita si deve attendere anche e soprattutto alla ricerca superiore di Dio e dei beni spirituali. Nel motto di San Benedetto «Ora et labora» è il segreto per risolvere le questioni sociali, morali, spirituali del nostro tempo, il quale, pur troppo, si caratterizza per aver invece separate queste due parole. Voi, cari lavoratori, sappiate unire alle vostre quotidiane fatiche sempre la fede che vi fa cristiani e figli di Dio e dà speranze che trascendono il livello del tempo e i confini della materia; essa entri come un programma, e non come un peso, nel tessuto della vostra vita individuale e familiare, e nelle varie forme di attività alle quali ciascuno di voi è chiamato.

Vi diremo ancora: amate il vostro lavoro. È ben vero che esso non sempre vi soddisfa: la sua monotonia, i disagi quotidiani che comporta, le soddisfazioni avare e le responsabilità numerose, tutto concorre a renderlo pesante. Si dovrà certamente cercare con ogni mezzo di alleviare quanto è possibile queste vostre pene. Ma le fatiche inevitabili, inerenti al lavoro stesso, diventano preziose e feconde s’e sono accettate con pazienza e con fede, come esercizio di spirito obbediente al dovere e al volere di Dio: se cioè saprete fare della vostra fatica un omaggio filiale, schietto e affettuoso a Dio Padre che è nei Cieli; uno strumento di redenzione, unendolo alle fatiche, alle sofferenze, alla croce di Gesù Cristo Nostro Signore; un contributo di solidarietà offerto ai fratelli in spirito di leale servizio. Il lavoro così riacquisterà il suo slancio fervido, il suo significato profondo; non sarà più soltanto una pena, ma anche un premio; non sarà solo sorgente di progresso, ma anche fonte di gioia, di conforto, e di tanta soddisfazione per voi.

Infine siate promotori della concordia e della fratellanza nel vostro ambiente di lavoro. L’Anno Santo ci parla appunto di riconciliazione. Bisogna che gli uomini diventino fratelli; bisogna che sappiano perdonarsi e volersi bene; bisogna che collaborino sempre più fra di loro per la costruzione di un mondo più umano, più giusto, più solidale. La distinzione che deriva loro dalle diverse funzioni svolte nella società, non li renda avversari tra loro, ma collaboratori, non accresca in loro l’egoismo e la lotta, ma li educhi al senso della responsabilità. Con ciò non si nega la legittimità della difesa dei rispettivi interessi, per la tutela e la promozione economica e sociale delle classi oggi meno favorite, e specialmente per la schiera ancora immensa degli umili, dei poveri, dei disagiati, degli oppressi, dei disoccupati, dei lavoratori impegnati in fatiche estenuanti e malsane. Ma noli che abbiamo la ventura di non restringere l’orizzonte della vita nel cerchio temporale ed economico, ma di aprirlo al cielo dello spirito e alla fede trasfigurante nella parola di Cristo, sappiamo trarre l’ispirazione per portare la pace e la giustizia al mondo - al mondo operaio, specialmente - non dall’istinto della violenza e da ideologie imbevute di materialismo o di odio, ma dall’urgenza sentita e vissuta della carità cristiana, che Gesù Cristo ci ha insegnato con la parola e con l’esempio, e ci ha infuso con lo Spirito vivificatore.

Ecco i pensieri che vi lasciamo come ricordo del vostro pellegrinaggio giubilare. Vorremmo che, tornati alle vostre case, recaste a tutti i vostri cari e a tutti i vostri compagni di lavoro il nostro saluto; dite loro che li portiamo nel cuore e che raccomandiamo a Dio nella quotidiana preghiera le loro aspirazioni, le loro sofferenze, le loro fatiche, invocando ogni più bella gioia di una vita operosa e serena.

E tutti abbracciando con affetto, impartiamo la nostra particolare Benedizione Apostolica nel nome del Signore.

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DISCORSO AL PELLEGRINAGGIO GIUBILARE DEI FIORENTINI

Venerdì, 14 novembre 1975

Salutiamo con particolare compiacimento i pellegrini dell’Arcidiocesi di Firenze con il loro venerato Pastore, il Signor Cardinale Ermenegildo Florit, che li ha guidati a Roma per la celebrazione dell’Anno Santo e qui li accompagna per una visita tanto deferente e devota.

Sono molti, Fratelli e Figli carissimi, i motivi che ispirano la gioia dell’odierno incontro : voi ci portate il saluto di una Città, la quale nella storia della civiltà umana e, dunque, a livello universale ha valore emblematico, tale da costituire per tutti un costante punto di riferimento, ma che anche nella storia cristiana ed ecclesiastica, per l’esempio di santità di tanti suoi figli, ha scritto pagine memorabili e imperiture. Per questo Firenze ci è cara, e tuttora noi ricordiamo il viaggio che vi compimmo nel Natale del 1966, in un momento drammatico. Ma Firenze - vogliamo aggiungere - ha un legame speciale con l’Anno Santo, non soltanto per le memorie che del primo Giubileo ci hanno lasciato i suoi cronisti, ma anche soprattutto per la testimonianza che di esso ha lasciato il suo figlio più illustre, Dante, la cui poesia è voce di inconfondibile religiosità cristiana, è respiro di un’anima che confessa e vive la sua fede cattolica.

Ecco avvertite come, attraverso la figura di Dante Alighieri, approdiamo, quasi per naturale trapasso, all’argomento spirituale del Giubileo. Lasciamo ai dotti la questione se Dante sia venuto veramente a Roma come pellegrino nel 1300; ma, almeno con la sua fantasia, egli ha visto e descritto l’esercito molto, ossia la gente che passava l’anno del giubileo, su per lo ponte, mentre dall’un lato tutti hanno la fronte / verso il castello e vanno a Santo Pietro (Cfr. DANTE, Inferno, XVIII, vv. 28-33).

Egli, inoltre, ha intenzionalmente collocato il suo itinerario ultraterreno nella Settimana Santa dello stesso 1300: cioè, ha saputo individuare, appunto nella centralità del mistero pasquale che la Chiesa attualizza e rinnova nella sua liturgia, i due momenti che sono essenziali nella vita di ogni cristiano: morire con Cristo al peccato; risorgere con Cristo alla vita divina della grazia. Provate a mettere a confronto questi stessi elementi con la tematica giubilare del rinnovamento e della riconciliazione, e troverete immediatamente una concordanza di fondo, che per nulla deflette dall’interna e perenne dinamica che deve qualificare l’esistenza cristiana (Cfr. Col. 3, 1-4; Eph. 2, 5-6; 4, 22-24). La lezione del Giubileo 1975 è tutta qui, uguale a quella del primo Giubileo, sicché a noi che, sulla traccia della «Commedia» dantesca, ve l’abbiamo riproposta, non resta che raccomandarla alla vostra riflessione, aggiungendo una semplice, ma tanto fiduciosa e sincera parola di incoraggiamento e di augurio.

Possa la Chiesa di Firenze conoscere ancora - se vale l’auspicio del nomen-omen - una nuova e rigogliosa stagione di fioritura, possa far germogliare altri fiori e frutti di spiritualità evangelica, diffondendone non solo nella comunità ecclesiale italiana, ma in tutta la santa Chiesa di Dio, il profumo e lo splendore.

A voi qui presenti, ai concittadini ed a tutti i condiocesani impartiamo con memore benevolenza la nostra Benedizione Apostolica.

Ai rappresentanti della comunità di Nomadelfia

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Associamo alla gioia

di questa Udienza, con un particolare saluto, il gruppo delle famiglie della

comunità di Nomadelfia, venute a Roma per il loro pellegrinaggio giubilare. Siamo tanto grati di questa visita; e auspichiamo che, traendo nuova forza dallo spirito di rinnovamento proprio dell’Anno Santo, di cui avete ripercorso le tappe, voi possiate continuare a spendere generosamente la vostra vita nel servizio dei vostri ideali cristiani, nella fede profondamente vissuta in unione con la Chiesa e col Papa, nell’amore operoso dei fratelli per i quali vi prodigate. A tutti la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Ai membri dell’Associazione Cristiana Artigiani Italiani

Un particolare saluto desideriamo rivolgere anche ai membri dell’«Associazione Cristiana Artigiani Italiani» (ACAI), i quali si sono riuniti in questi giorni a Roma per celebrare insieme l’Anno Santo e per riflettere sul tema «Evangelizzazione e Promozione Umana».

Vi diciamo, figli carissimi, la nostra letizia per tale incontro, e nel ricordarvi le finalità della vostra benemerita Associazione, amiamo sottolineare come l’uomo con la propria attività collabora al completamento della divina creazione e, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all’opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth (Cfr. Gaudium et Spes, 67).

Impegnatevi a realizzare la vostra presenza cristiana tra i colleghi e nei vari ambienti nei quali esplicate la vostra preziosa ed insostituibile attività, testimoniando, in particolare, una costante adesione alla Fede cattolica e una carità generosa e solidale verso tutti.

Con questi voti, vi rinnoviamo la Nostra benevolenza e vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Ai partecipanti al congresso dell’Associazione Internazionale di propaganda culturale

Nunc mens nostra convertitur ad praeclaros viros, qui hisce diebus coetibus intersunt Conventus humanismo renovando, quem Academia omnium gentium universis litteris propagandis hac in alma Urbe indixit.

Salvere libenter iubemus vos, ornatissimi viri, ac liceat vehementer gratulari de argumento vobis ad disputandum proposito, quod quidem, cum conexas habeat summi momenti quaestiones spectantes ad amicitiam inter omnes populos condendam confirmandamque, putamus praecipuis nostrorum temporum necessitatibus plane respondere.

Pro dolor, plerique hodie, mirificis rei technicae incrementis capti, animum ad praestantiora humanae vitae bona minus advertunt, Deo supremo fine ac divina lege posthabitis. Quare periculum est ne humanismus invalescat, quo homines, similiter ac machinae ab se inventae, algidi, duri et amoris expertes exsistant. Quae cum ita sint, vota facimus, ne umquam promovere desistatis quidquid ad eam spiritualium bonorum aestimationem conducat, in qua solummodo humana dignitas ac verus civilis cultus innititur. Haec ominati vobis vestrisque laboribus fausta, laeta ac salutaria omnia a Deo precamur.

Ai partecipanti al «Raduno del Mare»

Diamo infine un cordialissimo benvenuto al pellegrinaggio dei Partecipanti al «Raduno del Mare»: sono gli appartenenti all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, alla Lega Navale Italiana e alla Mariponave, convenuti a questa Udienza insieme con i loro familiari.

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La vostra presenza, cari figli, ci è motivo di paterno compiacimento, portandoci l’attestazione della fede e dell’impegno cristiano in seno alle Associazioni da voi qui rappresentate. La celebrazione dell’Anno Santo confermi e rafforzi i vostri buoni propositi e apporti frutti duraturi di riconciliazione con Dio e di spirituale rinnovamento per una costante crescita nella vita soprannaturale della grazia e per un’incessante dilatazione degli spazi della carità fraterna. Così noi speriamo ed auspichiamo: con la nostra Apostolica Benedizione.

Alle Missionarie della Carità, discepole di Madre Teresa

On the occasion of the twenty-fifth anniversary of the foundation of the Missionaries of Charity, we extend a special welcome to Mother Teresa and to a group of her Sisters. Beloved Religious and daughter of the Church, we are pleased to extol in your presence and before the entire People of God the value of your consecration to Jesus Christ. It is our earnest hope today that you will know ever more intimately the love of Christ your Spouse, and that you will experience how his love is all-consuming, all-satisfying, all-fulfilling. And we know that, in experiencing the love of Jesus, you find that his love is likewise all-embracing, For in loving Christ you love his brethren, his poor-all those who need his love and yours; and you are moved to lay down your lives, in sacrifice and immolation, for those whom you are called to serve with a special intensity of Christian charity. Only you, beloved daughters in Jesus Christ, only you as Religious can make this gift to the Church and give this witness to the world. Yes, you are consecrated to the love of Jesus. “Although you have never seen him, you love him and rejoice with inexpressible joy” (1 Petr. 1, 8). And yet, you do see him every day in his suffering members and needy brethren. May then this love and joy be your life for ever!

ANGELUS DOMINI

Domenica, 12 settembre 1976

Le vacanze estive sono finite. Un nuovo periodo di operosità ricomincia per tutti. Ciascuno fa il preventivo circa l’impiego del tempo che viene. Noi lo faremo in ordine alla nostra vita cristiana. Come sempre è difficile fare programmi riassuntivi; più difficile è poi attenersi a quelli fatti. Ma i buoni propositi non sono mai superflui.

Il primo proposito che può derivare da una pausa del lavoro ordinario, come quella che a molti di noi è stata concessa, è quello di dare senso e valore spirituale alla consueta fatica. Vi è certo chi nel periodo delle ferie estive ha cercato ristoro non solo alle forze fisiche, ma ha dato risveglio alla facile sonnolenza dello spirito, aggravato com’è di solito dagli impegni della vita esteriore. E questo risveglio dovrebbe entrare nel preventivo di tutti per il tempo che viene: tenere accesa la lampada interiore e personale della coscienza pensante, giudicante e pregante. Sì, vigilare e pregare, come ci ha detto il Signore.

E poi, secondo proposito, lavorare sodo. L’azione ordinata e forte dà anch’essa senso e valore al tempo fuggente. Siamo poi in una fase storica di necessaria e comune austerità; non dispiaccia, a noi cristiani specialmente, accettare le esigenze. Superiamo la ricorrente tentazione della vita facile, comoda, egoista. Onoriamo il lavoro col lavoro. E procuriamo di avere sempre il senso di chi ha meno di noi ed ha bisogno di spontaneo, fraterno soccorso. L’antico precetto dell’elemosina deve

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perfezionarsi e svilupparsi in pedagogia di solidarietà sociale, organica e funzionale: ricordiamo: «È più bello dare, che ricevere» (Act. 20, 35).

Ed ecco allora un terzo proposito per questo sognato programma d’imminente attuazione: vediamo se è possibile promuovere, a tutti i livelli comunitari, la concordia, la convergenza ideale e operativa, l’armonia sociale, l’amore, piuttosto che la lotta, la divisione, la pluralità contestatrice; cerchiamo la pace. «Beati gli operatori di pace - dice il Signore -, perché essi saranno chiamati figli di Dio» (Matth. 5, 9).

Divagazioni queste di tranquille notti d’estate? Forse. Ma non vane prospettive per la severa stagione che ci attende. Maria, laboriosa e silenziosa, ci è maestra.

ANGELUS DOMINI

Domenica, 22 agosto 1976

Sono finite le vacanze? per molti sì; per altri, che ancora non ne hanno goduto, o tra poco ritorneranno alla consueta operosità, si pensa egualmente al dopo-vacanze, cioè agli impegni del nuovo ciclo di lavoro nel proprio contesto scolastico, professionale e sociale.

Con quale animo? Stanco, incerto, sfiduciato, ribelle, come quello che non ama la fatica che lo attende, e vorrebbe eludere la legge dell’impegno quotidiano, diventata più molesta dopo la tregua evasiva e beata delle ferie estive? Questo, se è psicologicamente comprensibile, non deve essere per «gli operai della vigna» del Signore, che siamo noi tutti, ammissibile. Viviamo sotto l’insegna del lavoro. Abbiamo tutti coscienza che la vita è dovere; e tutti sappiamo che la nostra attività vale per l’ideale che la illumina e per l’energia con cui essa è eseguita. Anche un modesto programma di esistenza può darle senso e valore, se compiuto con amore buono e forte. Noi cristiani non dovremmo mai dimenticare questa possibilità di dare merito superiore alla nostra operosità, anche se umile e nascosta, animandola di fede e di carità (Cfr. Luc. 16, 10; Matth. 10, 42; Marc. 12, 43).

Diciamo questo pensando a certi aspetti moralmente tristi del nostro tempo, che possono insinuare pessimismo nel nostro animo, e acquiescenza, e perfino viltà nella nostra condotta, come sono tanti avvenimenti contrari ai propositi di pace, di giustizia, di umanità a cui s’è pure impegnata la convivenza civile del nostro tempo. Anche dalla scena pubblica della vita contemporanea vengono ora molti esempi contraddittori e deprimenti.

Ma non ci dobbiamo rassegnare alla inguaribile debolezza della natura umana. Dobbiamo innanzitutto difendere in noi stessi la fiducia delle sempre possibili rivincite del bene. Chi prega sperimenta questa fiducia. Dobbiamo poi esplorare il problema pratico della Provvidenza e dell’economia della Croce, la quale sa trarre conseguenze buone anche da premesse negative, e può rimandare all’ultimo giorno la discriminazione vittoriosa del bene dal male (Cfr. Matth. 13, 29). Ciò che importa ora è crescere la potenzialità operativa del bene. Bisogna essere più forti, più attivi, e più buoni; e tutti così. Questo può essere un proposito conclusivo delle vacanze. E ci aiuti la Madonna ad attuarlo.

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DISCORSO AI DIRIGENTI E AI FUNZIONARI DEL

CENTRO INTERNAZIONALE DI PERFEZIONAMENTO TECNICO E PROFESSIONALE DI TORINO

Mercoledì, 15 settembre 1976

Siamo lieti di accogliere oggi i dirigenti del «Centro Internazionale di Perfezionamento Professionale e Tecnico di Torino» e i membri del Comitato Italiano che lo fiancheggia.

A tale Centro, dipendente dalla benemerita «Organisation Internazionale du Travail», abbiamo voluto offrire tre borse di studio, le quali permettano a studenti provenienti da Paesi in via di sviluppo di seguire speciali corsi di formazione, mediante i quali prepararsi adeguatamente a svolgere gli impegnativi compiti richiesti dalle esigenze delle loro nazioni di origine.

Abbiamo voluto in tal modo dare un segno concreto della costante attenzione con cui la Chiesa segue le iniziative dirette alla promozione dell’individuo e della comunità, alla luce di quanto affermato dal Concilio Vaticano II: «il fine ultimo e fondamentale di tale sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni prodotti né nella sola ricerca del profitto o del predominio economico, bensì nel servizio dell’uomo, dell’uomo integralmente considerato, tenendo cioè conto delle sue necessità di ordine materiale e delle sue esigenze per la vita intellettuale, morale, spirituale e religiosa; diciamo di ciascuno uomo, e di ciascun gruppo umano, di qualsiasi razza o zona del mondo» (Gaudium et Spes, 64).

Denominando poi le tre borse col titolo di tre Encicliche «Mater et Magistra», «Pacem in Terris» e «Populorum Progressio», abbiamo desiderato sottolineare il fecondo legame che deve esistere tra la competenza tecnica e la concezione globale della persona umana.

Vivamente ci auguriamo che il Centro costituisca un autentico luogo di maturazione delle doti intellettuali e delle capacità professionali dei giovani che lo frequentano. In tal modo essi sapranno poi mettersi pienamente al servizio delle loro comunità di appartenenza, e il Centro avrà partecipato a un’effettiva opera di solidarietà internazionale.

DISCORSO AL CONSIGLIO NAZIONALE DEL MOVIMENTO CRISTIANO LAVORATORI

Sabato, 4 dicembre 1976

Rivolgiamo il nostro saluto ai membri del Consiglio Nazionale del Movimento Cristiano Lavoratori, radunati in Roma per discutere il programma di attività del prossimo anno 1977, con particolare riferimento ai problemi culturali, della formazione, dell’azione sociale, dello sviluppo dei servizi nei settori dell’assistenza, dell’istruzione professionale e dell’emigrazione.

Esprimiamo anzitutto viva gratitudine ai dirigenti e a voi tutti per un gesto di fedeltà alla Chiesa e di devozione alla Cattedra di Pietro e, ben conoscendo la vostra disponibilità a ricercare la soluzione dei non facili problemi del mondo del lavoro, attingendo, come punto insostituibile di orientamento

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al messaggio cristiano, così come viene proposto dal Magistero della Chiesa, volentieri cogliamo l’occasione per rivolgervi una parola di incoraggiamento a proseguire nel compito tanto delicato affidato a ciascuno di voi, in ordine alla effettiva realizzazione delle iniziative promosse.

Conosciamo le non poche difficoltà incontrate dal vostro Movimento, specialmente nell’impegno di portare in atto la formazione delle coscienze dei giovani lavoratori, unitamente al contributo di idee e di proposte per venire incontro alle esigenze emergenti nelle varie categorie lavoratrici.

Il Vostro desiderio di essere componente operaia cosciente e responsabile del mondo del lavoro e, ad un tempo, componente cristiana del mondo dei lavoratori, non può non avere la nostra piena fiducia, anche se ancora una volta riteniamo doveroso di rinnovare la nostra speranza a che le varie espressioni comunitarie dei lavoratori cristiani esistenti in Italia ritrovino nella necessaria chiarezza un esemplare e vigoroso cammino unitario, caratterizzato da una vera fedeltà sia a Cristo e alla Chiesa come al mondo del lavoro.

Ci piace, inoltre, in questa circostanza, ripetere quanto è grande l’interesse della Chiesa per il mondo del lavoro, che alcuni vorrebbero vedere quasi distaccato dal cristianesimo, ma che, invece, noi consideriamo parte privilegiata del Popolo di Dio, la quale opera per realizzare una più vasta ed effettiva giustizia sociale.

La vostra azione e la vostra presenza nel mondo del lavoro, cristianamente ispirate, mentre costituiscono valido apporto al progresso civile e alla promozione umana dei lavoratori, diventano anche forma attuale ed efficace di evangelizzazione.

Vi esortiamo, quindi, a perseverare nel vostro impegno con questa duplice prospettiva, che giustifica il vostro Movimento e lo rende elemento vivo ed importante dell’intera comunità ecclesiale.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

DISCORSO AI CONGRESSISTI DELL’UCID

Sabato, 12 febbraio 1977

Illustri Signori,

In occasione del Congresso Nazionale, che la vostra associazione, l’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, ha organizzato nella ricorrenza del trentesimo anniversario della sua costituzione, voi avete espresso il desiderio di poterci recare la testimonianza del vostro attaccamento alla Sede di San Pietro. Aderendo volentieri alla vostra cortese richiesta, siamo lieti di darvi ora il benvenuto nella nostra dimora.

Il Movimento, a cui appartenete, si è proposto fin dalle sue origini l’importante missione di testimoniare i valori cristiani nel mondo dell’economia e del lavoro, realizzando una presenza che, grazie ad una sincera preoccupazione di servizio e di efficienza, contribuisse a diffondere le energie del Vangelo in un settore della vita sociale attraversato da tensioni particolarmente vivaci. Il fine istituzionale, che vi siete proposto, risponde pienamente al ruolo vostro di laici cristiani,

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responsabilmente inseriti nell’attività temporale. L’impegno vostro specifico sarà dunque quello di animare cristianamente le strutture, entro le quali si svolge la vostra attività imprenditoriale e dirigenziale, avvalendovi a tal fine delle notevoli possibilità che le vostre qualità personali nonché la funzione aziendale e la posizione sociale ricoperta vi offrono.

In questi giorni voi vi siete raccolti per riflettere insieme sui problemi nuovi, che il processo evolutivo in atto nella società pone a voi non solo come operatori economici, ma in particolare come cristiani, e cioè come credenti che devono sentirsi chiamati a proporre nel loro ambiente un modello stimolante di pratica attuazione del Vangelo. Siamo certi che non avrete mancato di istituire un coraggioso confronto tra l’azione fin qui svolta e le esigenze emergenti della dottrina sociale della Chiesa, disponendo gli animi ad una leale verifica sia dei risultati positivi che delle eventuali carenze e ritardi.

Noi profittiamo della circostanza per presentarvi la nostra paterna esortazione ad un sempre più generoso impegno nell’adempimento dei vostri specifici doveri dirigenziali, in spirito di collaborazione e di solidarietà con tutte le parti sociali. In un’ora difficile come l’attuale, è indispensabile che ognuno faccia appello al meglio delle proprie risorse morali e professionali. All’esortazione uniamo l’augurio: che la vostra testimonianza cristiana contribuisca veramente a diffondere nell’ambiente imprenditoriale la convinzione della destinazione universale dei beni creati, i quali «devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, ch’è inseparabile dalla carità» (Gaudium et Spes, 69, § 1). Possa il vostro esempio stimolare ad un uso dei redditi disponibili non arbitrario né egoistico; possa soprattutto l’impostazione da voi data all’attività nell’impresa fare di questa una comunità di persone, nella quale ognuno si senta valorizzato nella propria dignità, mediante una responsabile partecipazione all’opera comune.

Accompagniamo i nostri voti con l’Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a voi, alle vostre famiglie e a tutti coloro che, insieme con voi, collaborano nell’impresa per il progresso economico e sociale della Nazione.

REGINA COELI

Domenica, 1° maggio 1977

Oggi: anche per noi è festa del lavoro. È grande festa. Anzi per noi vuol essere una festa celebrata in una visione totale di questo fatto proprio della vita umana; non solo considerato nel suo aspetto di pena e di fatica (Gen. 3, 17); non solo come tema di contrasto permanente fra gli uomini cittadini d’una medesima terra; non solo come mezzo di conquista d’un benessere economico e temporale; ma come adempimento d’un disegno integrale e perfettivo delle facoltà umane e del progresso sociale, secondo un disegno redentore e nobilitante di Dio sulla vita umana, come ha precisato anche il Concilio (Cfr. Gaudium et Spes, 33 ss.).

Preghiamo perciò affinché l’ingegno dell’uomo «sapiens» presieda sempre al cammino e allo sforzo dell’uomo pensatore e lavoratore; preghiamo affinché i frutti del lavoro non siano preda dell’egoismo ingiusto e del vano piacere; preghiamo affinché la giustizia governi sempre con progrediente ordinamento il profitto dell’attività consociata degli uomini; e preghiamo affinché essi, gli uomini, non costringano le loro superiori aspirazioni soltanto ai beni di questo mondo, ma

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sappiano sorpassarne gli angusti confini, e desiderare e conquistare i beni superiori dello Spirito, anzi quelli eterni delle divine promesse.

E preghiamo, Fratelli, per tutti coloro che desiderano lavorare, e soffrono per la disoccupazione e per l’insicurezza del loro impiego; preghiamo per i Lavoratori, a cui manca la sufficienza del pane e la dignità delle loro prestazioni. Preghiamo per quanti soffrono nelle membra e nello spirito, affinché possano avere conforto da una fraterna solidarietà. Preghiamo per il superamento delle tante difficoltà sociali e per la pace comune nella giustizia e nell’amore.

L’umile Donna di Nazareth, con lo Sposo S. Giuseppe, artigiano pure lui, tutti ci assistano e ci affratellino in Cristo Lavoratore e Signore.

ANGELUS DOMINI

Domenica, 21 agosto 1977

Il calendario ci richiama alla fine delle vacanze ed il barometro segna cattivo tempo; ma noi dobbiamo riprendere il consueto ritmo delle nostre occupazioni con animo nuovo e forte. La pausa estiva, se pur breve e distratta, deve almeno avere rinvigorito lo spirito a pensieri buoni e sereni; bisogna tradurre in buona volontà di lavoro, di servizio, di efficienza morale la conclusione delle nostre vacanze, qualunque ne sia stato il breve periodo. Bisogna operare con fedeltà e con energia, bisogna essere ottimisti, noi cristiani specialmente; troppo prezioso è il tempo per non viverlo in tensione di coscienza, in pressione di dovere, in ansia di molto e bene operare.

È superata l’età in cui l’ideale dell’esistenza era il quieto vivere; e insopportabile per noi deve essere il pessimismo disfattista oggi di moda, ovvero l’astuzia del consumare giorni e forze nell’eludere gli impegni a cui siamo obbligati; migliore l’età della gioventù generosa e forte che si prefigga di compiere, oltre lo stretto dovere, una opera buona, libera e volontaria, ogni giorno. Noi siamo accerchiati da necessità operative enormi; tutta la società ha bisogno di sostegni vigorosi, ed in grande parte prestati senza altro compenso che la soddisfazione di aiutare chi soffre, nel nome silenzioso, ma operante e beatificante di Cristo.

Senza affanno, senza pubblicità, procuri ognuno di noi d’infondere questa «buona volontà», caratteristica e doverosa per ogni fedele, nella sfera, anche se umile e nascosta, della propria attività, «portando frutto, come dice S. Paolo, in ogni opera buona» (Col. 1, 10).

Così, col nostro augurio e con la nostra Benedizione.

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ANGELUS DOMINI

Domenica, 28 agosto 1977

Se in questo pensiero domenicale noi teniamo conto, come di solito facciamo, del rapporto fra l’ispirazione religiosa festiva e l’esperienza del nostro tempo stagionale, noi siamo obbligati a concentrare il nostro interesse sul grande problema del lavoro, che, a vacanze finite, riprende il primo posto nell’attività della maggior parte dei componenti della nostra società.

Il lavoro! Il lavoro! Esso si pone al centro della nostra mentalità, e oggi della nostra filosofia, sia speculativa, che pratica. Vi sarebbero discussioni senza fine da fare. E tutte segnate dalla inquietudine che caratterizza la società moderna.

Limitiamoci ad accennare ad alcuni punti, per noi cristiani, fondamentali:

Primo: il lavoro comporta la conseguenza di una pena: la fatica, il sudore, lo sforzo fra l’attività umana e il dominio, che rende utile l’ambiente del nostro operare (Gen 3, 19). Noi dobbiamo subito accettare questa condizione dell’attività umana, e amare il lavoro, il lavoro proprio, condizione dello sviluppo non solo economico, ma civile e spirituale dell’umana esistenza. Il lavoro è il programma sia personale, che collettivo dell’umanità. Bisogna accettarlo, volerlo, promuoverlo con tutta la nostra intelligenza, con tutto il nostro impegno. Niente vita oziosa e niente vita che scarica ogni fatica sulle spalle altrui.

Secondo: bisogna procurare lavoro per tutti. La disoccupazione deve essere problema da risolvere, specialmente per i giovani. Sappiamo bene che è difficilissimo problema, ma esige soluzione. Benedetti coloro che vi consacrano talento, denaro, impegno. Tutti dobbiamo essere alleati a chi opera per dare lavoro utile, sano, disciplinato, nuovo alla nuova generazione; la speranza del nostro mondo vi è collegata.

E terzo: fare del lavoro una libera alleanza tra le classi sociali; interessi contrastanti esistono, certamente, ma devono diventare sempre più complementari per un bene comune, per un ordine sociale, libero ma non egoista, non in perpetuo contrasto. La religione ci assista: ora et labora.

Ritornando al lavoro, invochiamo la protezione di Maria umile lavoratrice e Regina del Cielo.

UDIENZA GENERALE

Mercoledì 1° febbraio 1978

TENACE IMPEGNO PER IL BENE SOCIALE

LA VITA CRISTIANA è una vocazione sociale. Questa affermazione sembra eccessiva, e ammette in pratica una diversa formulazione; e cioè: la vita cristiana è una vita personale, interiore; per trovare la sua autenticità deve isolarsi, farsi solitaria, difendersi dal contagio di contatti profani, idealizzarsi in un’espressione individuale e fuggire le tentazioni della conversazione esteriore,

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immunizzarsi dall’ influsso della moda e del costume sociale. Ed è vero, ma non tutto vero, perché l’ uomo ha bisogno degli altri, anzi ha il dovere di occuparsi degli altri, è obbligato al grande precetto dell’amore, il quale ha estensione ben più ampia di quella circoscritta all’amore della famiglia, della parentela, della cittadinanza; il che comporta una dilatazione della sfera dell’amore istintivo, dell’amore naturale, dell’ amore, possiamo dire, egoista. Anche il monaco, cioè colui che saggiamente antepone a tutto la ricerca della perfezione personale, e rinuncia a tal fine ai rapporti sociali non indispensabili, deve trovare spazio nel proprio spirito per il prossimo, da amare e da servire, in qualche forma, in modo che sia salva la formula del precetto evangelico della carità per tutti, anche per i nemici (Matth. 5, 44-48.).

Noi dovremo perciò ricordarci di questa legge sovrana, caratteristica del cristianesimo vivo, non puramente consuetudinario, o praticato in modo da renderlo un antidoto ai fastidi e ai pesi della convivenza sociale. Dobbiamo guardarci dalle tentazioni di antisocialità, che la vita vissuta può generare anche in quelli che si propongono un programma onesto di convivenza sociale, ma si difendono dalle noie e dalle obbligazioni che il rapporto comunitario può portare con sé. È questo forse per molti cristiani dabbene il momento di una tentazione antisociale, perché è questo un momento in cui la società è in fase di cambiamento; e, buono o discutibile che sia, il cambiamento può produrre un senso di molestia, o di offesa, il quale spinge l’ individuo o alla reazione, o alla indifferenza della norma disturbatrice, nuova e prevalente. La vita comunitaria sembra diventare insopportabile. Vi è pericolo d’ uno « sciopero » dei buoni cittadini, che si limitano a subire la loro appartenenza alla collettività, ma con lo studio di sfuggire silenziosamente a quegli oneri che contrastano con l’ interesse proprio, con le abitudini proprie, con le idee proprie.

Se questa fosse una tentazione anche per noi, vediamo di superarla con uno sforzo di buona volontà sociale. E mettiamo nel nostro programma propositi tanto più vigilanti, tanto più operosi per il bene sociale quanto più questo sembra escluso dai nostri gusti e dai nostri interessi. Il bene, battezzato dal segno cristiano, deve farsi tanto più sollecito della propria presenza, della propria ingegnosità, della propria generosità quanto meno le condizioni esteriori sono propizie alla sua accoglienza e al suo sviluppo. Ripetiamo: « vince in bono malum ». Il cristiano, anche se l’ inquadramento sociale tende a ridurlo al silenzio, a farne un numero della massa, a spegnere in lui la scintilla della sua fede e del suo amore, possiede sempre in se stesso un principio originale di bontà e di azione, che spesso, come l’ esempio dei Santi e dei buoni ci insegna, ha saputo trarre dal contrasto dei tempi l’idea e la forza per attestarsi in forma nuova e per tutti salutare. La saggezza sarà quindi non nella fuga e nella rassegnata rinunzia, ma nella tacita e tenace presenza in quell’ ambiente sociale che non sembra propizio alla buona riuscita dell’ iniziativa cristiana. « Patientia vobis necessaria est, la pazienza è a voi necessaria »(Hebr. 10, 36. 101), noi ripeteremo per quei nostri amici e fedeli, che sperimentano talvolta le difficoltà dell’ azione nel campo dell’ attività libera ed onesta, che pur dovrebbe essere aperto alla buona volontà di tutti.

Coraggio quindi, con la nostra Apostolica Benedizione.

Saluti

Ai partecipanti ad un corso per direttori e promotori di Esercizi

SIAMO LIETI di accogliere i partecipanti al Corso per direttori e promotori di Esercizi, direttori spirituali e formatori, che si sta svolgendo presso il Centro di Spiritualità Ignaziana, qui a Roma.

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Nell’esprimervi la nostra gratitudine per la testimonianza di deferente ossequio, che la vostra visita ci reca, figli carissimi, desideriamo manifestarvi il nostro apprezzamento sincero per l’impegno, da voi posto, nell’assimilare più compiutamente l’ispirazione profonda degli Esercizi ignaziani, dai quali tanto bene è sempre venuto alle anime. La loro utilità non è diminuita col passare del tempo. Oggi, anzi, in un mondo che assorbe e distrae col ritmo vorticoso dell’attività esteriore e col fascino sottile di sempre nuove stimolazioni sensibili, la possibilità di concedersi una pausa di silenzio, di riflessione e di preghiera, che consenta di recuperare se stessi dall’interno e di disporre in libertà di spirito del proprio destino al cospetto di Dio, è cosa che va rivelandosi sempre più necessaria ed urgente. Per l’uomo e per il cristiano.

Voi questo avete capito e vi state lodevolmente impegnando per poter svolgere in modo qualificato questo nobilissimo servizio ecclesiale. Vi sostenga e solleciti sul cammino intrapreso la Benedizione Apostolica, che di cuore a tutti impartiamo.

Agli Allievi de11’ 83” Corso di Vigilanza della Scuola dell’Aeronautica Militare « VAM » di Viterbo

RIVOLGIAMO un particolare saluto al folto gruppo di Avieri della Scuola Centrale di Vigilanza Aeronautica Militare di Viterbo, accompagnati da Ufficiali, Sottufficiali e dal loro Cappellano. Figli carissimi, abbiamo per voi soprattutto una parola di augurio, che vi riguarda sia in quanto giovani sia in quanto membri di una scuola militare: auspichiamo cordialmente per voi, come per tutti, un sereno e costruttivo futuro di pace e di prosperità. Siate sempre garanti e servitori del dovere e della pace, con la viva coscienza che essa rappresenta il trionfo della vita e di tutte le migliori possibilità umane. Anche la disciplina propria della vostra condizione non ha, crediamo, altro scopo più nobile che educare a livelli sempre più profondi di equilibrio e di autocontrollo, indice sicuro di maturità personale e collettiva. E poiché tale traguardo è irraggiungibile senza il sigillo del « Dio della pace », (Cfr. 1 Cor. 14, 33) confermiamo i nostri voti invocando la sua corroborante assistenza mediante la propiziatrice Benedizione Apostolica.

All’ Assemblea Generale dell’ Istituto « Vita et Pax in Christo Iesu »

QUEREMOS RESERVAR una especial palabra de saludo para los miembros aquí presentes del Instituto « Vita et Pax in Christo Iesu », acompañados de su fundador, el Reverendo Don Cornelio Urtasun. Sabemos bien, amadas hijas, que habéis terminado recientemente una etapa importante al concluir la Segunda Asamblea General de vuestro Instituto. Conocemos también el entusiasmo con el que os dedicais a las tareas educativas, a la asistencia sanitaria, a la ayuda social, sobre todo en el campo de la emigración, así como al apostolado de la prensa y del arte litúrgico. Os exhortamos a proseguir con redoblado empeño en vuestros propósitos de perfección personal y de irradiación de los valores cristianos en los diversos ambientes. Os aliente siempre la plegaria que por vosotras elevamos al Señor y la Bendición Apostólica que de corazón impartimos a vosotras, a vuestro Fundador y a todos los miembros del Instituto.

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UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 3 maggio 1978

Non sapremmo, a prima vista, dire perché si presentino al nostro spirito le parole del Vangelo di San Matteo, al capo quinto, nel celebre capitolo del discorso di Cristo sul monte, dove sono detti «beati gli affamati e gli assetati della giustizia, perché saranno saziati». E si presentano queste benedette parole e questo incontro con voi, carissimi nostri visitatori, forse perché la vostra presenza ravviva in noi l’avvertenza del disagio morale e sociale, ch’è nel mondo d’oggi, donde voi venite; e qui davanti a noi i vostri animi tesi e fiduciosi denunciano a noi la fame e la sete che li affligge, ch’è la fame e la sete, propria della nostra società, risultanti dalle condizioni, sia abituali e sia contingenti, della vita presente; e ciò per motivi contrari, che cospirano ad eguale risultato, l’inquietudine, provocata in alcuni dal benessere stesso di cui godono e di cui, più che gustare la soddisfazione, sentono lo stimolo dell’insufficienza; è questa per essi la fame e la sete ad avere di più, e tale inquietudine è provocata in altri, a maggior ragione, dall’insufficienza di ciò che posseggono, o dalla fragilità della loro posizione nell’instabile e vacillante concerto sociale, insufficienza che si esprime nella fame e nella sete, di cui ci parla il Vangelo, e che esso, Parola di Cristo, qualifica di beatitudine: «Beati voi, ripetiamo, affamati e assetati di giustizia, perché sarete saziati» (Matth. 5, 6).

Che cosa diremo di queste parole evangeliche?

Innanzitutto che esse riflettono, in diversa forma e in diversa misura, una realtà essenziale e psicologica, che possiamo dire comune, di tutti cioè, quella derivante fondamentalmente dalla natura stessa dell’uomo. L’uomo, si deve riconoscere, è un essere incompleto, che anche se è soddisfatto, non è mai sazio; è un essere così fatto da essere sempre tormentato da fame e da sete, da desideri, che reclamerebbero maggiore soddisfazione. L’uomo è come Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe, ch’egli definisce, nella Bibbia, il figlio che cresce, il rampollo che sale (Gen. 49, 22). Il senso positivo di questa tendenza a desiderare, a crescere, ad avere, è che ciò sia secondo giustizia, cioè secondo un disegno divino inscritto nella natura ideale dell’uomo, quale Dio creatore ha implicitamente inserito nella concezione tipica, cioè buona dell’uomo stesso: rintracciare questo disegno in via di perfezione segna la linea di sviluppo, cioè la fame e la sete di giustizia assegnata da Dio alla sorte dell’uomo: è la «giustizia» implicita che l’uomo deve desiderare e portare ad un esplicito compimento; è la promessa evangelica che sta al termine di questa beatitudine.

La fame e la sete di questa perfezione saranno, nell’economia evangelica, finalmente saziate; e la fame e la sete di tale perfezione già costituiscono beatitudine. E che cosa è la giustizia, che il Vangelo pone come oggetto della fame e della sete dell’uomo evangelico? È ciò che deve essere, e ancora perfettamente non è. È ciò che la scienza morale definisce il dovere, l’obbligazione morale, la legge da eseguire, la volontà divina da compiere; è il desiderabile in forza d’un intervento divino, per via di logica razionale, ovvero anche per via di ispirazione carismatica. Ed anche questo fondamentale coefficiente della vita morale può avere una applicazione alla vita spirituale ed effettiva dell’uomo: il dovere può essere il peso dell’anima, e può avere la sua energia. Cristo decide e proclama: beati coloro che hanno fame e sete di questo impegno della vita umana, del compimento cioè del proprio dovere, fino al sacrificio di sé, perché tale compimento risolverà in beatitudine la fedeltà al dovere compiuto. Qui è il Vangelo, con la sua promessa e, possiamo dire, con la concomitante beatitudine.

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Già il solo volere, ciò che il Vangelo designa per fame e per sete, possiede la virtù miracolosa di anticipare la beatitudine, la contentezza della fedeltà alla giustizia. Questo è grande conforto per noi. La pace dello spirito ci può essere anticipata già nella fase preparatoria del compimento del nostro dovere, ch’è appunto la fase del desiderio, del proposito, del buon volere. E sovente avviene che questa iniziale aspirazione alla giustizia modifica nelle anime generose l’orientamento generale dei desideri insoddisfatti, che rendono infelice l’esistenza, perché tali desideri sono egoisti, non sono secondo la «giustizia», che nel Vangelo raggiunge e realizza l’amore. Questo solo ha il segreto della beatitudine, oggi, nella vita presente; domani, in quella futura, escatologica e misteriosa sì, ma garantita dalla promessa infallibile di Cristo.

Così sia, con la nostra Benedizione Apostolica.

Ai membri dell’associazione «Gemellaggio Austriaci-Italiani»

Einen besonderen WillkommensgruB richten Wir an die anwesenden Mitglieder der»Osterreichisch-Italienischen Gesellschaft «. Seien Sie sich, sehr geehrte Damen und Herren, in der Pflege der gegenseitigen Beziehungen zwischen den beiden Nachbarlandern stets deren gemeinsamer christlicher Grundlage bewuBt. Diese gilt es heute vor allem zu verteidigen, zu fordern und fiir Europa fruchtbar zu machen. Dazu bestarke Sie Unser Apostolischer Segen!

Ad un gruppo di Sacerdoti, Assistenti Parrocchiali dell’Azione Cattolica Ragazzi

Un saluto tutto particolare va al gruppo di Sacerdoti, Assistenti Parrocchiali dell’Azione Cattolica Ragazzi, venuti a Roma per il loro secondo Convegno Nazionale.

Figli dilettissimi, la nostra parola per voi vuol essere di plauso sincero e soprattutto di cordiale incoraggiamento per il vostro delicato e importante ministero pastorale. Voi aiutate la crescita della vita cristiana in coloro che saranno la Chiesa di domani. Siatene fieri, ma anche trepidi, così che il vostro impegno assicuri frutti abbondanti e saporosi per l’edificazione della comunità ecclesiale.

Avvaloriamo questo auspicio con la nostra paterna Benedizione Apostolica.

Ai membri dell’Associazione «Artefici del Lavoro Italiano nel Mondo»

Rivolgiamo ora il nostro cordiale saluto al folto gruppo di industriali e di operatori commerciali, facenti parte dell’Associazione «Artefici del Lavoro Italiano nel Mondo», i quali, trovandosi a Roma con i loro familiari per un loro convegno, hanno voluto farci visita.

Vi esprimiamo sincera gratitudine per questo vostro gesto premuroso e, soprattutto, per i principi cristiani, a cui ispirate il vostro lavoro nel mondo. Volentieri ricambiamo il delicato pensiero col fervido auspicio che codesto incontro di studio serva non solo ad accrescere le conoscenze attinenti la vostra specifica attività professionale, ma valga anche a stimolare in voi la coscienza di un servizio sociale sempre più rispondente alle esigenze della giustizia e del progresso umano.

Vi accompagni in tale impegno di civile solidarietà la nostra speciale Benedizione Apostolica, che estendiamo a tutti i vostri cari di famiglia.

Ai membri dell’«Association chrétienne des Classes moyennes»

Le diocèse de Gand, en Belgique, est aussi représenté aujourd’hui par les pèlerins de l’«Association chrétienne des Classes moyennes». A tous, Nous souhaitons que leur passage à Rome fortifie leur

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sens de l’Eglise, et les aide à la servir toujours mieux dans leur cher pays. Nous vous bénissons de grand cœur, ainsi que ceux qui vous sont chers.

Ai Granatieri di Friburgo

Nous saluons chaleureusement le contingent des Grenadiers de Fribourg. Vous savez, chers amis, cambien Nous apprécions le dévouement de vos compatriotes de notre Garde Suisse, que vous avez plaisir à retrouver à Rome! Nous vous disons nos encouragements et vous souhaitons un bon pèlerinage aux tombeaux des saints Apôtres. De grand cœur Nous vous donnons, ainsi qu’à vos familles, notre Bénédiction Apostolique.

Ad un gruppo di professori e di studenti della «Fundación Universitaria Española»

Saludamos ahora con profunda estima a los miembros del Patronato, profesores y estudiantes, de la «Fundación Universitaria Española», que han querido venir a renovarnos su homenaje de devoción y ofrecernos un recuerdo, fruto de sus actividades específicas.

Os agradecemos, amados hijos, esta visita. Sabemos que la vuestra es una entidad con finalidades benéfico-docentes, que busca dar a conocer, promover y revalorizar la cultura e historia española, especialmente en su sentido católico.

Os invitamos a ser cada vez más fieles a la inspiración cristiana en vuestras tareas, sabiendo conjugar el rico patrimonio religioso de vuestro País con una proyección actualizada del mismo, que dé hoy nuevo impulso a la inserción de los católicos en el entramado de vuestra sociedad. Con estos nuestros votos ardientes, invocamos sobre vosotros la constante bendición del Altísimo

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