Paolo, ovvero il modernismo

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I NICCOLÒ MENCUCCI PAOLO OVVERO IL MODERNISMO

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Romanzo-saggio sulla comunicazione e sulla società modernista, è la storia di Paolo, intrappolato in quest'ossessione della comunicazione

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I

NICCOLÒ MENCUCCI

PAOLO

OVVERO IL MODERNISMO

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© MMXVI 50121 Firenze (FI)

ISBN 978–88–XXXXX–XX–X I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,

di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono concessi a tutti.

Questo libro non vale niente: è come la carta Con cui si avvolgono i salumi in macelleria Sono assolutamente consentite le fotocopie anche senza il permesso scritto dell’Editore.

Se emanano dalla stampa un odore di prosciutto, ve la siete cercata.

Prima edizione: marzo 2015

Seconda edizione: luglio 2015 Seconda edizione: maggio 2016

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Prefazione Di recente mi è arrivata questa lettera, a casa mia. In

genere non è un fatto così rilevante ricevere una lettera, nonostante non sia più nemmeno il tempo delle email; per me sì. Specie se è la prima che mi arriva quando non ho ancora avvisato nessuno del mio rinnovo di residenza.

E la cosa più strana è che il mittente ha solo il nomi-nativo; non c'è il cognome. È pressoché anonima. Non mi sento preoccupato, anzi, per certi versi sono rincuo-rato che qualcuno pensi a me, e mi consideri. Certo, c'è gente che preferirebbe non ricevere lettere del genere, e rimanersene nel proprio quieto vivere. Ma io non sono la gente. Sono uno scrittore, e devo affrontare certe scrit-ture. Cioè, mi considero uno scrittore per auto-procla-mazione, e non perché ho scritto e pubblicato romanzi o racconti; forse pubblicando quest'opera qualcosa di si-mile lo sarò. Mi andrebbe bene, per i tempi che corrono, anche la qualifica di scribacchino. Alla fine si ottiene sempre parte di quel che si vuole, mai il tutto. Non capi-sco nemmeno perché il postino mi abbia guardato con quello sguardo intimorito, quasi preoccupato per la mia sorte. Non c'è nulla da preoccuparsi, niente paura. Gliel'ho detto pure, ma lui non ha smesso di guardarmi in quella maniera. Saranno fatti suoi.

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"Carissimo Mi dispiace disturbarla in questi giorni; probabil-

mente sarà occupato a scrivere le sue opere. Non sapevo ci fosse dietro tutto questo lei. Pensavo fosse più interes-sato alla stesura di racconti, di monologhi e di romanzi di pura finzione, di narrativa. Non biografiche. Permette che le presenti. Sono quello che lei fa chiamare Paolo.

Sì, il protagonista di quelle avventure che ha raccon-tato nel suo libro. Non le scrivo per invitarla a fermare la pubblicazione, o a censurare alcuni paragrafi partico-lari, oppure per parlarle del fatto che sta pubblicando un'opera in cui lei viola totalmente la mia privacy, arri-vando addirittura a scoprire cosa ho sognato qualche notte fa. No, signor S., non è per questo che la scrivo. Le scrivo, solamente, per augurarle una buona fortuna, nei prossimi anni. Davvero, le auguro che non le capiti niente nel futuro imminente. E mi auspico un buon suc-cesso per la sua opera, tra l'altro di indubbia qualità e scrittura. Stia tranquillo. Non sono arrabbiato. E perché dovrei? Per il fatto che lei abbia abusato delle mie vi-cende personali, anche private? Per il fatto che abbia pubblicato particolari quali la mia questione lavorativa ed affettiva? E li abbia usati per la mera divulgazione di appunti universitari?

Non si preoccupi! Sarei molto tentato se nel futuro ci si potesse incontrare, a quattrocchi. E parlare. Il prima possibile. E sottolineo tra noi due, con lei solo. Con que-sto le dico "arrivederci".

P.S. Non mi chiamo Paolo! Dio! Il mio nome è Carlo!

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PAOLO OVVERO IL MODERNISMO

La comunicazione è una cosa meravigliosa

LUCA TOSCHI

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Antefatto Paolo viene a conoscenza di un nuovo mondo interes-

sante, ovvero quello dello sviluppo storico delle comu-nicazioni sociali.

Nell'evoluzione progressiva della civiltà questo svi-luppo ha portato alla nascita dei media, ovvero le comu-nicazioni tecnologiche più diverse, e dei mass media.

Paolo non credeva agli inizi che esistesse, e ora è affa-scinato da come sia pieno di trasmissioni, voci e suoni, immagini e video, filmati e giornali online, ovvero i si-stemi di comunicazione, i quali garantirono nel giro di pochi decenni una totale accessibilità all'informazione e alla conoscenza più complessa e varia, portando alla fine delle barriere ideologiche e pregiudizievoli createsi nei decenni (o secoli) precedenti.

Era tutto così vario, legato sempre all'esprimere idee, notizie e concetti. Un nuovo mondo per lui.

Paolo è entusiasta che tutti possono unirsi a vedere questi giochi di messaggi, uno diverso dall'altro, senza più sentirsi diversi, adesso riuniti sotto una massa indi-stinta, lì, nel suo tempo, ove vive Paolo.

Da questo si è generato il fenomeno della società (o cultura) di massa, si è formato un insieme ponderoso

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nella stragrande maggioranza delle fasce sociali medie (tra quelle alte e quelle basse), portando all'abbatti-mento delle distinzioni storiche tra classi.

Paolo comincia a documentarsi e a scoprirne la sua Storia, iniziata tra la Seconda e la Terza Rivoluzione In-dustriale, a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento.

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PARTE PRIMA Massificazione

“Signor Paolo, lei si crede dentro questa massa?” “...ma chi è lei?” “Sono un giornalista. Vorrei intervistarla.” “E chi l'ha chiamata?” “Nessuno. Volevo sapere solo se lei era...” “Ma non può intervistare qualche d'un altro?” “E perché dovrei?” “Tanto, io o un altro non siamo diversi al resto della gente, no? Siamo tutti uguali in un mondo così pieno di diversità!” “Credo di aver capito...” “Spero le valga come risposta.”

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Capitolo Primo Paolo ricorda di un certo signor Marx, che aveva stu-

diato anni prima e che gli riappare come un fantasma nella mente, dovuto al concetto di classe sociale, ravvisa-bile, appunto, nelle teorie filosofiche di Karl Marx, au-tore de “Il Capitale”.

A Paolo pare un saggio barbuto, che bofonchiava voci sulla “parità di classe”, sul “padronato sfruttatore”, e di classi chiuse tra loto: borghesi ricchi; proletari poveri, e sottoproletari inesistenti e delinquenti. Infatti Marx comprese, nella metà dell'Ottocento, l'esistenza di classi sociali chiuse tra di loro, bloccate all'accesso per motivi familiari ed economici (non si poteva diventare ricchi; vi si poteva solo nascere!) e non accessibili per le difficili disponibilità di arricchimento. La classe alta della bor-ghesia era detentrice del potere e dei mezzi di produ-zione industriale dell'epoca, e domina la classe più bassa, il proletariato, costretto a non essere più “homo faber” della propria produzione personale, della propria co-struzione artigianale, ma di farne parte integrante, con i mezzi meccanici, in maniera del tutto asettica e disuma-

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nizzante, quasi bloccato e piegato nella produzione in-cessante e continua (le ore di lavoro all’epoca erano in-torno alle 14-18 ore giornaliere, a volte anche notturne).

Nell’analisi di Marx non viene però messo in chiaro il rapporto sociale con la scala più bassa, i “sottoproletari”, privi di quel lavoro (seppure sottopagato) della fascia proletaria e di quella coscienza di classe, necessaria, se-condo Karl Marx, per un futuro riscatto verso la classe alta.

Tale fascia si presenta come del tutto lasciata a sé, senza sindacati né corporative che possano unificarle, portandola ad essere continuamente a contatto con la malavita, col disordine sociale e con la ghettizzazione.

Più tardi, in pieno Novecento, si noterà come questa fascia sia invece molto più estesa di quella rappresentata da Marx, e quindi molto più complessa e più rilevante nel panorama civile. Per Paolo le parole di Marx sono tanto belle, e infondono tanta voglia di combattere le classi, e di unirle in un'unica società! Una soluzione al “padronato sfruttatore” sembra palesarsi nella pubblica-zione delle idee marxiste nel celebre “Manifesto del Par-tito Comunista”: la formazione di una coscienza di classe; l’apertura delle classi sociali e un maggiore potere decisionale del proletariato, fino a soppiantare la bor-ghesia. “Lo spettro del Comunismo si aggira per Eu-ropa”, così riporta trionfalmente l'incipit dell'opera. No-nostante le premesse innovative, rivoluzionarie, una di-visione classista rimarrà purtroppo presente per tutto l’Ottocento: anche se con la Rivoluzione d’ottobre le idee marxiste verranno impiegate da Lenin per la crea-zione di una nuova società, all’insegna del Capitalismo, il regime natovi creerà una vera casta elitaria ancora più ristretta dell’antecedente classe borghese, portando alla

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formazione di una popolazione totalmente operaia/im-piegata e suddita.

La visione marxista è stata per certi versi una lettura sociologica con ambizioni profetiche; cosa alquanto as-surda, perché nella sociologia non si può prevedere il fu-turo! Si può solo descrivere ciò che è accaduto e ciò che avviene, il passato e il presente, forse nella speranza di prevenire eventuali danni in un futuro prossimo. Ma prevedere il futuro è impossibile. La Storia purtroppo fa ricredere Paolo, che capisce come sia impossibile preve-dere, ma possibile descrivere il mondo.

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Capitolo Secondo Le idee marxiste ad oggi sono considerate per certi

versi “datate”, e limitate alla propria epoca di ideazione e di stesura, (precisamente al fenomeno filosofico, scien-tifico e letterario del Positivismo di A. Comte, prima in Francia e successivamente in tutta l’Europa), propu-gnando l’ottimismo del progresso scientifico e tecnolo-gico della Seconda Rivoluzione Industriale.

Paolo nota che nella Storia ci fossero stati dei bor-ghesi, i quali volessero aiutare i poveri, ottimisti nella loro idea di progresso scientifico; erano però buonisti nel curare, con le loro ricchezze e la loro magnanimità, i di-sagi in cui vivevano i poveri, ma del tutto indifferenti a prevenire il malessere originario.

Per combattere la povertà e la miseria che affligge-vano le famiglie del ceto proletario molti cittadini bor-ghesi fecero nascere fin dalla prima metà dell’Ottocento diverse associazioni di beneficenza, che intervenivano principalmente nell’immediatezza delle sofferenze, dando alloggi e cibo a chi non poteva permetterselo (si vedano le workhouse londinesi, raccontate da C. Dic-kens in “Oliver Twist”), senza d'altronde toccare il

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cuore del problema, per trovare il modo con cui estin-guere il male.

Invece di bloccare l'emorragia, si preferisce tampo-nare la ferita. Dovevano probabilmente andare a giocare a golf dopo, altrimenti non si spiega questa contraddi-zione.

Seppur non molto accoglienti e di numero limitato alla richiesta effettiva (lo stesso romanzo ne fa una de-scrizione pietosa, molto crudele e forse eccessiva), erano una buona panacea ad un male di cui non si voleva cu-rare la radice, trovando l’origine di questo malessere, preferendo un attivismo buonista e “facile”, da benpen-santi: “scendendo dalle classi alte per incontrare quelle basse” (si veda “The Fabian Society” a cui vi fece parte anche il drammaturgo socialista G. B. Shaw).

E i socialisti? Paolo pensa che il socialismo sarà per la classe operaia il mezzo con cui rivendicherà la propria posizione. Già presente ben prima della pubblicazione del “Manifesto” (1848), era già frammentata in diverse dottrine (scientifiche, riformiste, utopiste...), interessan-dosi anche alla richiesta di “aprire” le classi, di “passar-vici”, di dare la possibilità ad un operaio di poter diven-tare un borghese, e di poter beneficiare di servizi mi-gliori, e di condizioni lavorative decisamente più sostan-ziose (riduzione di ore lavorative, divieto al lavoro mino-rile, istituzione di sindacati).

Non mancarono le lotte violente, le battaglie e il ter-rorismo anarchico-socialista.

Già. Non erano a golf, ed erano già migliori per que-sto dei borghesi, sebbene volessero essere scientifici, fi-nivano per essere utopisti. E anche violenti.

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Capitolo Terzo Paolo scopre come sia cambiata la società proletaria,

e tutti quei poveri disagiati. Ora è divenuta un'ambiziosa massa. Il passaggio dalla società proletaria, povera e sfruttata,

a quella di massa, meno povera e meno sfruttata, è con il crescente consumismo industriale, prima relegato alle sole classi ricche, come merce di lusso signorile e distinta alla restante popolazione.

Ora tutti potevano vestirsi come gran signori, man-giare le stesse cose dei padroni, vivere come gli altri bor-ghesi insomma.

Paolo, se nasceva in quell'epoca, poteva diventare come i borghesi, e comprare le loro vesti, il loro cibo e la vita loro, e diventare uguali a loro, identici, indistinti. “E il tempo del trionfo della quantità sulla qualità!”, diceva il filosofo F. Nietzsche; ed ebbe ragione se si pensa a come tutto questo omogenei la popolazione in gusti pre-confezionati e squisitamente accessibili solo per l'emula-zione a certi indicatori di ricchezza e benessere, magari reclamati dalla povertà in cui prima si viveva.

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Questa popolazione si scioglieva in una forma parti-colare, e si modificava in continuo, emanando un calore particolare.

Diventava la massa, ovvero il nuovo modello di classe unica, che si presenta, secondo le parole di Elias Can-netti, autore del monumentale “Massa e Potere” (1960), come un movimento “irrazionale, anonimo, caotico e be-stiale, unito solamente in concetti semplici, in idee o si-tuazioni dirette, senza riflessioni più complesse e indivi-duali, capace di essere innescato in tutta la sua violenza da una scarica, un moto proveniente dall'alto (dittatori, predicatori, politici demagoghi), che lo stimoli, e lo tra-sformi in un oceano distruttivo, una forza, priva di una mente, che travolge tutto, anche in pochi istanti”.

Paolo vede nella massa un miscuglio di esseri infero-citi, quasi qualcosa di violento e distruttivo.

La massa gli sembrava un cane rabbioso, eppure era facile da manovrare, da comandare dall'alto, con delle prede da rincorrere e smembrare.

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Capitolo Quarto Paolo presume che questa massa violenta, di cui co-

mincia ad aver paura, sia controllata dai grandi Poteri. La massa è facile da corrompere da queste scariche

violente, provenienti dai soggetti forti quali i “Poteri”, le autorità che gestiscono la massa, con un controllo sociale centralizzato e periferico (un esempio di comodo è nel censimento, per controllare la popolazione abitante).

Paolo immagina che questi grandi Poteri siano dei cerchi, delle enormi sfere il cui controllo si espande sulla circonferenza, diventando un occhio. Un occhio che vede tutto, segue tutto e decide tutto, e muove la bestia della massa a fare la loro caccia a chi è contro di loro, dentro e fuori.

Tale struttura è presente in ogni regime, in ogni tipo di ordinamento amministrativo, dalla monarchia alla oclocrazia, dalla dittatura alla democrazia.

Si veda la scuola, un perfetto organo di controllo so-ciale: nei regimi dittatoriali si presenta come un luogo in cui la cultura veniva limitata, censurata, per impedire la propaganda di idee reazionarie e contrarie alle imposi-zioni del governo dittatoriale, favorendo anche suddivi-sioni interne, discrimini e razzismi, poca riflessione e

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maggiore obbedienza allo Stato, alla Patria e al dittatore di turno.

Paolo, allora, si ritiene fortunato di non farne parte, e di decidere da solo di studiare; con quella bestia in giro, aizzata contro di lui certe cose che stava studiando al tempo avrebbe rischiato di non poterne studiare altre. E non perché non avrebbe più avuto la possibilità di leg-gere o studiare. Avrebbe perso ben altro; qualcosa di più caro.

Nei regimi democratici viene adottato un programma nazionale, imposto non da un governo ma da un Mini-stero istituzionale, che tende a poter garantire, in pochi anni e in un certo numero di lezioni, di materie e d'inse-gnamenti, una soddisfacente educazione basilare al fu-turo cittadino, (arricchibile attraverso livelli di istruzione superiori, accessibili a tutte le fasce) limitata principal-mente per questioni di tempo e di denaro, ma puntata per favorire un'educazione corretta e disciplinata alle leggi dello Stato.

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Capitolo Quinto Paolo ora sta leggendo, in casa sua, in una poltron-

cina. Le esigenze di accrescimento culturale ed educa-tivo aumentano grazie alla progressiva attenzione degli Stati all'insegnamento scolastico; tra le prime a voler ga-rantire alla popolazione un'istruzione basilare obbliga-toria è stata l'Inghilterra, agli inizi dell'epoca Vittoriana.

Paolo ricorda come la sua scuola gli abbia permesso di leggere, oltre ai saggi divulgativi, anche i romanzi d'e-vasione, e di poter comprare presso delle librerie in giro per la sua città qualsiasi volume desideri (o, in mancanza di pecunia, rivolgersi alla biblioteca locale, per un pre-stito), pur non considerandosi un topo di biblioteca, come certi intellettuali e tuttologi conosciuti.

Anche un interesse bibliofilo nasce nella società di massa, e nelle popolazioni meno colte e letterarie.

Oltre al libro, Paolo sta ascoltando anche la radio, e ha lasciato pure la televisione accesa, in soggiorno.

Grazie agli investimenti nel campo dell'editoria, aprendosi al pubblico meno erudito e più affamato di romanzi commerciali, e non di opere di saggistica buone per un lettore erudito, si affermano piccoli commerci ca-pillari come le biblioteche (o librerie) “circolari”, che

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svendevano in giro per i paesi libri ad ogni persona, la quale poi li diffondeva in giro, a macchia d'olio.

Anche il giornalismo ha il suo periodo d'oro, con la pubblicazione di quotidiani, giornali, cronache, riviste di costume, tabloid, giornali scandalistici, capaci di poter dare maggior diffusione di informazioni e notizie verso più destinatari.

Non dispiacerebbe a Paolo, un giorno, diventare un giornalista affermato. Anche se questo significherebbe dover sottostare alla logica della comunicazione.

Infatti i media tendono più ad un messaggio unidire-zionale, di un solo produttore, rivolto ad una massa: da-gli anni Venti sarà disponibile anche la Radio, ascoltabile e non leggibile, vantaggioso per una popolazione con una larga maggioranza di analfabeti, e in seguito anche la TV, così per poter essere più interessato anche alle pubblicità, agli sponsor trasmessi, che alle notizie. Forse Paolo la spegnerà, e preferirà dopo andare a comprare qualche giornale, in città.

O qualche altro libro.

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Capitolo Sesto Paolo si sente una persona moderna dentro il suo

mondo contemporaneo. Un modernista. Ancora prima della Rivoluzione Francese di fine Set-

tecento, il concetto di modernità nacque più d'un secolo prima, nel Seicento, durante i conflitti religiosi in Fran-cia, e ancora più addietro si possono trovare i segnali di questa svolta nell'organizzazione territoriale, nel Cin-quecento.

Paolo si chiede cosa si fosse prima della modernità. Se oggi ci si considera “esseri moderni”, come si era prima?

Lo studioso Max Weber notò che il passaggio dal Me-dioevo, dall'età antica, all'Età Moderna, alla modernità, fosse avvenuto con la formazione dell'etica protestante, con lo svilupparsi nelle terre nordiche della religione Protestante, la quale considera come segno benevolo della salvezza eterna il riuscire ad autorealizzarsi, a rag-giungere i propri obiettivi, personali e civili: “Bisogna raggiungere l'eccellenza del merito per le proprie capa-cità di affermarsi.”.

Alla sua domanda la mente di Paolo ritorna indietro nel tempo, prima del “Avanti figli della Patria”, prima

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del cardinale Richelieu; si trova ora all'interno di un'au-stera chiesa protestante, in cui gli uomini pregavano di avere la salvezza, e di diventare quello che vogliono es-sere.

Con il Protestantesimo ogni mercante od ogni com-merciante puntava all'autorealizzazione del proprio commercio, del proprio benestare, dando avvio ad un nuovo modo di fare economia, reinvestendo i guadagni nel proprio commercio, e nella propria società, contri-buendo ad essa, e anche a sé stessi.

In poche parole, è il principio del capitalismo mo-derno, chiaramente più idealista e meno materialista di come Marx, nell’Ottocento, andò a criticare aspramente.

Era il tempo del”homo economicus”, autore del pro-prio destino e delle proprie libertà.

Paolo pensa che fossero uomini strani, che credevano di raggiungere Dio con i guadagni di una vita. Sembra quasi che Dio, se all'inizio ti faccia avere delle ricchezze, poi le rivoglia indietro; un prestito, a scatola chiusa il più delle volte.

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Capitolo Settimo Paolo vede come le paci per questi uomini portarono

a dover pregare il Dio del proprio sovrano, e non quello di un altro, o almeno il proprio.

Si può intravvedere nella politica dell'epoca come questa auto- realizzazione personale sia ricercata anche per gli Stati, all'epoca agglomerati in Imperi la cui con-dotta era richiamante i precetti della religione cristiana (non si parla infatti di Europa per quel periodo, ma di Cristianità).

Nel 1555 Carlo V sancisse nella Pace di Augusta la proclamazione della legge “Cuius regio, eius religio”, in-centrata appunto sulla religione dominante, ma non più di un unico continente e di un mondo culturale, bensì di uno Stato. Era una limitazione territoriale, in cui “il pro-prio re (aveva) la propria religione”, da rispettare tra i sudditi di quel solo territorio (si poteva andare in altri regni se si era in disaccordo con la religione, a patto che venisse pagato un salasso economico molto sostan-zioso!).

Con questo primo passo si tentava di riconoscere un proprio popolo in un re, in un'immagine adatta ad una terra ben delineata, e quindi alla sua religione, la cui

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sfera di potere era legata a quella del sovrano, e non più direttamente governata dal Papa di turno.

Più tardi, quasi un secolo dopo, oltre a pregare si do-veva anche di rispettare gli uomini della propria terra, e ricordarsi degli altri popoli e delle loro credenze e leggi, anche se diverse dalla loro.

Nel 1648 con la Pace di Westfalia, firmata a Munster dal principe rappresentante della fazione cattolica, e ad Osnobrich dal principe della fazione protestante, venne conclusa la Guerra dei Trent'anni, ultima guerra reli-giosa combattuta in Europa, e si estese il concetto di “na-zionalità statale” non solo alla religione, ma anche al di-ritto, alle leggi civili e penali: lo Stato aveva le proprie leggi, e si rispettavano le leggi di quel solo Stato, anche se diverse da quello vicino.

Con la proclamazione delle leggi nazionali, dal 1648 si parla di periodo “post-Westfalia”, con i nuovi Stati Na-zionali. Paolo pensa che erano dei bei stati, quasi come i nostri.

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Capitolo Ottavo Il Razionalismo Seicentesco contribuì l'idea dell'af-

fermazione personale e sociale, cercando anche di indi-viduare il futuro di questa nuova società moderna e na-zionale, e dell'uomo.

Paolo denota quanto siano diversi questi due signori che sta studiando. Tra i più importanti autori e pensatori dell'epoca si distingue il filosofo razionalista Thomas Hobbes, che parla della paura, del timore come motore di questi stati nuovi, come se ci si volesse uccidere a vi-cenda alla prima ira.

Autore del “De Cive” (1642) e del “The Leviathan” (1651), la sua idea del progresso epocale si riassume in una visione pessimistica, del tutto confortante, della con-dizione umana, “le cui società nascono e si formano per il timore reciproco che accompagna la vita degli uomini, che li rapporta ad un sospetto, principio dei conflitti; non mai dalla benevolenza e dal desiderio di comu-nanza”.

Paolo preferisce il secondo: è più simpatico, e fortu-nato da Dio, come gli sembra, dato il nome Benedetto.

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Contemporaneo a Hobbes è l'olandese Baruch Spi-noza, razionalista mistico, autore del “Tractatus Theolo-gico-Politicus” (1677). Afferma all'inizio le stesse idee di Hobbes riguardo al movente della paura, del timore, come collante per una società, “ma tale unione va affron-tata non nel tentativo di impedirsi a vicenda di compiere il male, il conflitto, ma di fermare la solitudine, che ci distruggerebbe nell'anarchia individualista”.

Paolo presume in questo pensiero quindi che non è tanto la paura ma una volontà che porta a stare insieme, invece di essere soli, nelle proprie terre private.

Con l'unità sociale, ogni persona perderà la propria libertà di potersi, autonomamente, determinarsi, di vi-vere secondo proprie regole (già si è potuto vedere con l'introduzione della legge della Pace di Augusta, “cuius regio, eius religio”), però la proprietà privata verrà ga-rantita da ordini, leggi e corti giudiziarie (la stessa forma di proprietà privata verrà criticata aspramente da filosofi illuministi come J.J. Rousseau, “la cui prima apparizione di tale proprietà nacque quando un uomo, dopo aver re-cintato un pezzo di terra, disse che era suo”, e da K. Marx, “un furto alla proprietà condivisa, al popolo”).

Certo, Paolo capisce che non ci sarà alcuna libertà in più, però qualcosa insieme almeno si potrà fare.

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Capitolo Nono Paolo è intimorito da quell'insieme di uomini che si

erano riuniti per costruire quel gigante bestiale che ha di fronte. Sempre nella visione misantropa di Hobbes, il Leviatano si presenta come la personificazione micidiale e mostruosa della macchina dello Stato, dell'organizza-zione sistematica di ogni uomo nella composizione (fi-sica) di quel Gigante terribile: ogni persona è uguale agli altri all'interno del Corpo, il quale ognuno compone e struttura. Ogni persona è diversa dagli altri per la sua posizione nel Corpo, adibita a diverse funzioni (Mano, Busto, Gambe) e ogni essere fa parte di ogni organo, per questo differente l'uno dall'altro nelle funzioni di con-trollo e di struttura.

Paolo vede che c'è un uomo dove c'è il cervello, men-tre ognuno pensa a manovrare la propria parte, in ma-niera differente dall'altra.

Per evitare che l'organismo collassi a causa di un così grande numero di persone, viene posto nel Cervello la figura del Sovrano, il quale detiene il potere Assoluto, e la fiducia Assoluta di tutto l'organismo; un potere con-cesso dal “popolo” (nuovo termine politico, mettendo in disuso la voce “moltitudine”), a lui obbediente. Paolo

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nota in particolare per la divisione dei poteri, che ri-prende per certi versi la Pace di Augusta: il gigante regge in una mano una spada, simbolo del potere temporale, e nell'altra il pastorale, simbolo del potere religioso, a in-dicare che, secondo Hobbes, i due poteri non vanno se-parati.

Quanto potere doveva avere questo gigante! Quanta paura doveva incutere a chi provava a contrastarlo!

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Capitolo Decimo Paolo non teme più l'anarchia, ed è felice che ora gli

uomini sappiano cosa cercare: libertà, sicurezza e ric-chezza.

L'homo economicus è alla ricerca di tre basi per la propria sopravvivenza: ricchezza personale realizzata; si-curezza personale acquisita e libertà garantita.

Nel periodo post-Westfalia ogni Stato è a sé stante, riorganizzato in terreni privati, con l'abolizione, come in Inghilterra, dei “commons”, con proprie leggi e una de-terminata cultura: ogni suddito/individuo è un indivi-duo collettivo, non più disperso nell'anarchia, riscontra-bile forse nelle tribù primordiali; ora fa parte di un in-sieme, di una massa anonima e condiscende al monarca di turno. Ora è un popolo, in cerca di cose concrete, non più legato alle tribù folli e individualiste, ostili l'una all'altra. Fin dall'Antica Grecia era centrale la riflessione dell'uomo “sociale”, nella divisione naturale tra “my-thos” e “logos”, tra caos irrazionale e ordine razionale. Nel “mythos” si può ritrovare il termine delle “moltitu-dini”, detentrici di grandi poteri e libertà individuali, ma instabili a causa di una mancata coesione sociale interna,

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relegata a vincoli ideologici o culturali, propri delle cul-ture tribali o delle popolazioni in cui vige la teocrazia e il fondamentalismo religioso.

Paolo ora pensa che in quel preciso momento tutti quanti saranno su Internet: oggi tutti possono unirsi ad altri popoli, andare oltre le proprie terre, e sentirsi più uguali grazie alla Rete. Nell'oggi, dopo gli effetti della modernità nello sviluppo della società di massa, sembra ci sia un ritorno all'individualismo tanto temuto per le civiltà.

Si potrebbe riscontrare quest'involuzione nella cre-scita dei mezzi tecnologici ed informatici, come Internet e Web, ricche di grandi potenzialità, ma creatrici di illu-sioni nei confronti dell'utenza: l'illusione di poter deci-dere e volere senza limiti legali o culturali; l'illusione di avere una propria libertà personale, quasi ”assoluta”; l'il-lusione di ottenere anche informazioni e dati al di fuori dei limiti territoriali (traguardo inimmaginabile se si pensa che fino a qualche decennio prima le comunica-zioni erano filtrate dalle tecnologie mediatiche nazionali dell'epoca).

O no? A parte le illusioni, non sembra a Paolo che siano così simili tra loro questi popoli; sembrano diversi, in fondo.

Questo poter essere tutti “uguali” nelle scelte, nelle possibilità, negli accessi più disparati, in realtà nasconde l'amara consapevolezza di essere tutti “diversi”, per la cultura che si porta, per la provenienza linguistica e per le scelte inevitabilmente conformi alla nostra mentalità.

Paolo capisce come il mondo sia complesso e impos-sibile da sintetizzare; e pensa che sia meglio così.

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Capitolo Undicesimo Paolo capisce che ogni popolo ha le sue libertà, e il

suo desiderio a mantenerle. Nessuno vuole un re che li comandi a bacchetta; tutti vogliono essere da soli ma de-vono essere insieme allo stesso tempo.

Il pericolo dell'anarchia, del caos desolante, è sempre attivo, e nell'analisi antropologica delle diverse conce-zioni politiche, dalla monarchia fino alla dittatura, si è potuto constatare che il regime più efficace, più adatta-bile alla condizione umana, alle sue aspirazioni esisten-ziali, sia quello democratico.

Un regime molto difficile, perché a tratti utopico nel voler garantire a tutti le libertà generali, e la stessa Storia ha già portato alla luce i grandi difetti di una democrazia “radicale”, come quella di Pericle, di metà V secolo A. C.

È consigliabile allora che ci sia uno che guardi a tutti; un essere democratico, non radicale, e che non domini nessuno se non chi vuole seguirlo. La scelta della demo-crazia come regime giusto ed equilibrato viene riscattata con le teorie “sociologiche” di Alexis de Tocqueville, il quale, ispirato dalla democrazia americana, si rilevò otti-

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mista nell'evoluzione dei popoli verso l'eguaglianza de-mocratica, fermo restando in tensione per l'eccesso di individualismo a cui le persone “posso spingervisi, e di-ventare non più esseri in comune con altri, ma essere in dominio di altri, di una maggioranza che decide tutto su di lui, non per lui.”

E chi lo seguirà, come Paolo, non dovrà esserne schiacciato.

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Capitolo Dodicesimo Paolo conosce lo Stato, e sa che alla sua base c'è: un'e-

conomia ben strutturata; una conoscenza ricercata per controllare il bene e il male; una sicurezza dal male; un progresso del bene e un'uguaglianza di tutti su tutto.

In conclusione, i principi dell'epoca della Modernità sono riassumibili in:

Economia: “strutturale, facente parte e dirigente dell'organizzazione di uno Stato; tutto ciò che è al di fuori dello Stato, e quindi dell'Economia, è da conside-rare “sovrastrutturale”. (Karl Marx, Das Kapital);

Conoscenza: la ricerca scientifica per lo sviluppo in-dustriale ed economico, e per la costruzione di una cul-tura universale proiettata al futuro, è necessaria all'evo-luzione umana verso il dominio sulla natura (che, a guar-dare le più recenti crisi ambientali e climatiche fomen-tate dalle associazioni no-global, c'è da riflettere...);

Sicurezza: la consapevolezza e il desiderio di cercare di vivere in un mondo sicuro comporta alla promulga-zione di leggi civili e penali, a rispetto dell'individuo e dello Stato;

Progresso: il miglioramento progressivo delle capa-cità nazionali col passare del tempo è necessario anche

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davanti alle crisi economiche e ai problemi di limitazioni tecnologica;

Uguaglianza: in uno Stato il cittadino deve sentirsi uguale davanti alla Giustizia; infatti devono essere messe allo stesso libello tutte le classi alte e basse (come la bor-ghesia tentò di compiere durante il periodo della Rivo-luzione Francese, sull'aristocrazia).

Paolo è sicuro che ci siano persone che la pensano come lui.

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PARTE SECONDA Popolo e Idee

“Signor Paolo, riguardo al popolo e alle ideologie?” “...mi può dire chi è lei?” “Sono un giornalista. Gliel'ho detto prima!” “O buon...cosa vuole?” “Risponda a questa domanda, le prego...” “E perché dovrei? Chi me lo impone?” “Ma i lettori! Gli ascoltatori e i telespettatori!” “Ma se invece di andare a rompere le scatole agli altri non rimanesse lei, e tutti gli altri come lei, nelle loro stanze, a farsi gli affari suoi, il mondo non sarebbe un posto migliore? Ora, la prego...vada a lavorare” “Ma io lavoro!” ” Chiamalo lavoro fare il rompi...”

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Capitolo Tredicesimo Paolo si ricorda come il “popolo” (termine coniato

nella sua accezione, correlata alla modernità, dall'opera “De Cive” di T. Hobbes) perde parte della propria indi-vidualità, della libertà personale, per ottenere sicurezza e autodeterminazione nell'arricchimento del proprio pa-trimonio.

Il “do ut des” è la logica con cui tu “dai” come popolo qualcosa allo stato “perché tu dia”, come Stato, qualcosa a me; tale logica sfocerà anche nelle nuove terminologie storiche della “folla”, indistinta, e della massa, a inizi Novecento.

Paolo vede che queste masse siano obbligate ad essere sempre in debito in continuazione a loro stessi per avere delle cose che non riescono mai ad avere, preferendo in-vece del risparmio di andare al mare, nei resort vicino alle spiagge o in montagna, o in qualche hotel lussuoso in mezzo alle foreste. Tutto al di sopra delle loro possi-bilità economiche e sociali.

Decisivo è il rapporto con la natura, vista come am-biente condiviso nella premodernità, in tutt'uno con essa.

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Con la Modernità si sviluppa la tecnologia capace di poter determinare il dominio dell'uomo sulla natura, come creatore ed inventore di nuovi paradigmi conosci-tivi. Paolo non vede in giro persone tanto attaccate alla Natura: se ne avessero l'opportunità, brucerebbero delle foreste per i loro campi da tennis o i loro golf club!

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Capitolo Quattordicesimo Paolo non dimentica facilmente, quando guarda nel

suo portafoglio, che il suo guadagno va in parte allo Stato per garantire il bene degli altri.

Ricordando le riflessioni e le teorie di Max Weber sull'etica protestante come fondo culturale alla nuova idea di lavoro, se nel Medioevo la fatica era legata all'am-biente familiare, alla propria autosufficienza individuale (contadino, lavoratore, servo della gleba), il lavoro mo-derno perde parte di questa autosufficienza ed indipen-denza nella produzione personale per favorire, con la di-pendenza lavorativa (impiegato, operaio) nella nuova realtà manifatturiera e industriale, la ricchezza personale e anche comune.

Paolo non è preoccupato, perché tanto deve solo stare al computer e far finta di faticare: oramai nessuno lavora più come i suoi nonni, che si spaccavano la schiena tutto il giorno.

Il mestiere dell'operaio ha l'acquisizione del senso della “fatica” (da cui “labor”, dal latino, che significa “fatica”), del sacrificio per il futuro della propria prole e per il sostegno personale.

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Tale sacrificio viene successivamente sfruttato dal “padronato sfruttatore”. Un termine che Paolo ha sen-tito troppe volte negli ultimi anni, soprattutto a causa dei sindacati.

Secondo J. Rifkin, verso la fine della modernità il la-voro fisico con lo sviluppo delle nuove tecnologie infor-matiche e virtuali sta tendendo verso l'estinzione, con il processo della “dematerializzazione del lavoro”, ormai più mentale ed intellettuale, e più improntato all'imma-terialità (si vedano i blog, Internet, i social e altro an-cora).

Un terzo del lavoro attuale è ancora ramificato nel “la-bor”, nella fisicità, ma due terzi no, di cui uno è intellet-tuale ripetitivo, e l'altro creativo, con una sempre mag-giore predominanza nelle tecniche informatiche.

Paolo spera un giorno lo paghino per poltrire a la-voro, come già succede in altri ambiti lavorativi, statali.

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Capitolo Quindicesimo Paolo sta andando a fare la spesa, e scopre di avere un

gran fiuto per gli sconti e per le offerte. Il senso stesso del profitto cambia nel tempo.

Nella religione cattolica la fatica diventava garanzia della beatitudine celestiale, purché non si perda la fede e si attenda la redenzione; nell'ottica borghese il lavoro dà garanzia immediata del valore della fatica, potendo sfogare i propri desideri con una retribuzione non mo-rale ma materiale, anche nel più completo sfruttamento.

A Paolo non interessava pregare, quando può avere tutto ciò di cui ha bisogno ora; e ancora di più negli anni successivi. Il denaro diventa il nuovo valore alla fatica, desacralizzando il senso stesso dell'attesa.

Paolo prende sempre più di quello per cui gli serva effettivamente, e quello che compra oggi forse, se gli va bene, lo usa domani, se gli va.

Si parla dunque di “soddisfazione sublimata” (ter-mine coniato da A. Gorz): il lavoro operaio non dà sod-disfazione personale, essendo obbligatorio ed imposto, e non permette di avere il prodotto come proprio, ma di una proprietà altrui; l'unica certezza è il denaro, che

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viene a sua volta speso nelle cose, negli oggetti che pos-sano riempire quel vuoto lasciato, fino a diventare una malattia, un virus, che comporti anche a ricorrere al cre-dito, alle cambiali e al debito. Una patologia degna di un libro di psichiatria.

Questa follia imperante si chiama “consumismo”, e oggi ancora trionfa, e oggi ancora miete molte vittime poco innocenti.

Paolo è un ottimo consumatore, come del resto tutti i suoi conoscenti. Probabilmente è malato come gli altri, ma almeno un po' innocente lo è.

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Capitolo Sedicesimo Paolo ripensa al progresso. Il progresso contemporaneo deriva dall'etica del la-

voro moderno, di uno sviluppo futuro della società, nel sacrificarsi per il bene del domani (come prevede la dot-trina progressista nelle politiche liberali, con la prefe-renza nelle riforme sociali e costruttive).

L'idea di progresso non è innata, ma si è creata nell'e-poca della Modernità, benché la Storia dimostri crisi ed involuzioni delle società, con ritorni al “medioevo” in fatto di scelte intolleranti e di eventi terribilmente cru-deli e difficili tutt'ora da comprendere.

Oggi non sarà un bel vedere, ma Paolo non se ne la-menta più di tanto; piuttosto Paolo non crede che tutto questo sia stato molto credibile per gente come un certo signor Platone.

Nell'antica Grecia il senso stesso del futuro era mal visto: con Platone, nella teoria della “degenerazione po-litica” (il passaggio dalla monarchia alla dittatura per ef-fetti interni critici ed individualistici), si guarda con no-stalgia il passato, “l'età dell'Oro”, e con pessimismo il futuro, ossessionandosi ad un presente che poco a poco distrugge ciò che era rimasto di quell'aurea età.

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Platone andava, quindi, a parlare della decadenza dei regimi futuri, e degli scritti che non servono a nulla. Ar-rivava persino, con “il mito di Theuth”, a negativizzare la scrittura, la grande potenza mnemonica e di trasmis-sione interculturale dello scritto: quest'ultima critica oggi è giudicata scorretta davanti alle molteplici possibi-lità di conoscenza nella divulga-zione, con dovute tradu-zioni, del sapere umano. Solo con Aristotele si poté in-travvedere un miglioramento ottimistico nel futuro, con la teoria “dei cicli storici”, sull'inevitabilità del ripro-porsi di eventi sia benigni sia maligni.

Paolo crede che, dopo l'allievo suo Aristotele, il ciclo dell'ottimismo non sia passato avanti per certi poeti ro-mani, molto suscettibili al tempo.

Nell'antica Roma il poeta augusteo Orazio parlava di un tempo “nemico dell'uomo, da cui non si può che aspettarci il peggio”, riprendendo in considerazione aspetti propri della dottrina filosofica epicurea, a cui lo stesso poeta/scienziato Lucrezio vi accennava nella sua visione apocalittica della fine del mondo.

In poche parole il tempo distrugge tutto!

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Capitolo Diciassettesimo Paolo però ha ragione. Già con Francis Bacon, (Paolo se lo ricorda perché in

italiano il suo cognome fa “pancetta”!) nel Seicento, c'era una più concreta affermazione del senso di pro-gresso nel futuro, dimostrando l'utilità della conoscenza per fini umanitari, a favore della collettività. Il senso del conoscere diventò utile per tutti, e questa deduzione era servita per il futuro. Nello stesso periodo si affermò uno dei primi modelli scientifici, basato sulla registrazione empirica delle esperienze reali come fondamento delle teorie scienti-fiche; il metodo deduttivo. Dalla pace di Westfalia, del 1648, lo Stato diventò decisivo nella vita degli uomini, disagiati nella condizione sempre più co-mune del dipendente privato sfruttato.

La gente ha comunque perso la possibilità di avere quello che un tempo produceva, vero, ma Paolo non ha problemi a sottolineare come quel barbuto di Marx non vedesse di buon occhio i disadattati, furiosi perché non potevano produrre nulla come i suoi cugini operai.

L'apertura verso il sociale, secondo le teorie di Kant, sfoceranno nell'idea di classe sociale marxista, del tutto

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privata di quella produzione artigianale medievale, pro-pria, ma unita nella sua “prossimità” verso gli altri simili nelle stesse condizioni economiche. La distinzione clas-sista non venne tenuta conto nell'analisi del “sottoprole-tariato” composto prevalente-mente da disadattati e cri-minali, privi dunque di quella produzione economica basilare per l'appartenenza alla struttura sociale, come nel caso del proletariato. Come classe estranea alla for-mazione sociale, il sottoproletario venne adoperata nella sostituzione o nell'occupazione lavorativa, in caso di au-menti di posti o di scioperi generali in cui fosse necessa-rio ricorrere ai cosiddetti “crumiri”, sostituti.

Nel senso di produzione, Marx divise il proletariato e il sottoproletariato in due arti: una “sana”, per via dell'e-tica lavorativa presente nel proletariato, e una “malata”, del tutto anarchica e ribelle, il cui istinto rivoluzionario fu alla base delle successive rivolte sociali.

A Paolo pareva che fossero sempre malati, di una ma-lattia che li rendeva sempre più arrabbiati, e che li por-tava più volte a sfogarsi. Tale divisione classista trovò la fine dopo queste ribellioni, con l'inaugurazione della so-cietà di massa, e della Sociologia, “l'analisi dei casi sociali per ottenere campioni di comportamento generale”.

Adesso non ci sono problemi. Ora sono tutti uniti.

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Capitolo Diciottesimo Paolo vede che il popolo è mosso da idee, e legge tutto

il mondo che lo circonda con queste ultime. L'ideologia si presenta in due accezioni, una generale,

ed una storicista: la prima è quella comune, e si tratta di una “visione convenzionale e voce della società, nelle sue speranze e nei suoi giudizi, nelle sue critiche e nelle sue paranoie”; la seconda è quella del “dettame politico e fi-losofico di un preciso momento storico”.

A Paolo sembra una scienza razionale da quanto è precisa e integrante con la società.

Il senso di ideologia nacque nel Settecento, nel secolo dei Lumi e della Ragione, con Destrutt de Tracy, il quale annunciava “la costruzione del proprio mondo con le proprie idee”, dando incentivo a idee come quella del dominio dell'uomo sulla Natura.

Era “La scienza delle idee”, come viene chiamata da Tracy, e a differenza della religione, “laica, sociale e con-creta”.

A cavallo tra il Settecento e l'Ottocento in Francia nacquero “les ideologes”, gli ideologi, i quali riassume-vano la loro conoscenza e il loro studio in una precisa ideologia; verranno criticati e condannati in due precisi

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casi: il caso di Napoleone, in cui venivano accusati “di mettere a rischio e in crisi il potere costituito”, otte-nendo anche l'appellativo di “ideologia cesarista”.

Probabilmente potranno essere visti come possibili anarchici dello Stato oppure dei mezzi predicatori da strada; l'importante per Paolo è che almeno non siano violenti.

Poi c'era il caso di Marx, che sottolinea l'abuso possi-bile delle ideologie per un maggiore controllo dello Stato, imponendo una visione ottimistica a priori, fatti-bile nella sua concretezza e considerata senza mezzi ter-mini “giusta” per gli insegnamenti dei predecessori.

Non può essere messa in dubbio o in critica, per quanto al momento non manifesti segni di proselitismo violento, come accadde nelle dittature totalitarie; deve essere creduta, come in un atto di fede religiosa, in un dogma.

Paolo dubita che il loro dire influenzerà così tanto la società. L'ideologia “è un complesso di idee e concetti che si influenzano reciprocamente”, e successivamente di-venterà anche “Welthashaung”, visione del mondo.

Tra i principali studiosi dell'ideologia, J. Bury, in “Storia dell'idea del progresso”, raccontava tutto lo svi-luppo dell'ideale deciso dall'ideologia dominante del Seicento (la borghesia) in una realtà in cui il concetto stesso di ideologia non esisteva prima.

Il teorico del postmoderno, F. Lyotard, presuppo-neva all'interno del suo “Saggio sul Postmoderno” (1979) la fine del concetto di ideologia, in critica aperta con le ideologie dominanti (comunismo e capitalismo), laddove si andava a valorizzare sempre di più la figura dell'individuo, nella sua esistenza, ritornando agli studi di Kant e Kierkeegard, fino ad approdare alla corrente

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dell'esistenzialismo del Novecento, con M. Heidegger, fino alla comunità virtuale del mondo informatico e di-gitale.

Infatti, come giustamente pensava Paolo, di ideologie cosa è rimasto, se sono tutte morte?

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PARTE TERZA Regime

“Signor Paolo? Riguardo al...” “Ancora lei? Dio, lei è peggio di un perseguitatore...” “Davvero?” “Eh, certo! Li conosco. O, almeno, li conosceva bene mio padre. Ha vissuto il regime, lui.” “Le posso chiedere qualcosa a riguardo di ciò?” “...” “Dovrebbe esserne grato che lei sia intervistato.” “Vabbè. Io credo che, tanto, caduto un regime, ne rina-sce un altro. Mio padre è nato in pieno regime. Aveva la mia età quando nacque la repubblica, che in realtà è sem-pre un regime. Ha un nome differente, ma la solfa è sem-pre la stessa. Credo sia un classico dell'umanità quella di non cambiare tanto facilmente il proprio passato, e di rimanere sulla stessa linea d'onda.”

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Capitolo Diciannovesimo Paolo intravvede un mostro mentre s'immagina

quello che sta leggendo in quel preciso istante, e sembra di averlo già intravvisto qualche tempo prima; forse prima stava vedendo un film su quei mostri marini, o su una guerra tra fazioni diverse.

La figura del Leviatano sarà dominante nella personi-ficazione dello Stato moderno, contrapposto all’anarchia naturale degli uomini e delle moltitudini indefinite, con-tro l’individualismo egoista e distruttore dell’ordine so-ciale.

A Paolo sembra che non sia nuovo come argomento, ma più simile alla realtà di quanto si creda.

Paolo adesso ha chiaro cosa fossero quelle immagini. Hobbes non prese in considerazione la tradizione

ebraica del Talmut nella rappresentazione del Leviatano, visto come una balena “onnipotente” e “possente”, ma mise in contrasto a questi la figura del Behemot, raffigu-razione dell’anarchia, dell’oclocrazia delle molti-tudini.

Il volere del “cervello”, sovrano del corpo del Levia-tano, viene esercitato con violenza e controllo soppres-sivo della polizia; uno “stato artificiale”, in cui le persone

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si riuniscono in un popolo privo della sua originaria in-dipendenza, ravvisabile nello “stato naturale” di Behe-mot, teso però all’individualismo.

Per Paolo sembrano come due persone: uno è un pazzo scatenato e l'altro un folle ossessionato, e proprio quest'ultimo sia preferibile al primo, un po' meno auto-lesionista e caotico.

Due persone simili nella loro pazzia, di cui solo una venne scelta come il male minore, opzione ormai basilare nell'umanità.

Si ricordi il concetto kantiano dell’indefinibile istinto umano, innato, controllato dalla struttura sociale, poli-tica e culturale che gli impedisce di prevalere.

La civiltà è la struttura di ordine imposto al di fuori della volontà innata dell’uomo, il cui fallimento, secondo Bauman, è nel trionfo del caos sull’ordine; al di fuori della politica anche l’economia è decisiva, e per impedire il default si ricorre al “pareggio di bilancio”, scelta quest’ultima di ispirazione neoliberista e contempora-nea. Paolo maledice il giorno in cui si è interessato ai mo-stri marini.

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Capitolo Ventesimo Paolo vive in uno stato che sta fallendo, e non si capa-

cita di come non ci siano soluzioni a far ripartire l'eco-nomia in generale.

Sembra inevitabile che uno Stato moderno debba es-sere in passivo nella propria economia, per garantire ol-tre al sostegno dei servizi, anche un oramai impossibile finanziamento alle produzioni industriali, come negli anni Trenta fu possibile con le teorie economiche di J. M Keynes, consigliere economico del Primo Ministro britannico, nonché ispiratore del New Deal del Presi-dente americano F. D. Roosevelt.

Non potendo lo Stato garantire il benessere, Paolo vede enti e proprietà finire sotto dei signori che vogliono far più bene alle casse proprie che alle casse altrui.

Oggi uno Stato non può più prendere in propria vece l’economia privata e sovvenzionarla per una rinnovata partenza del settore, a causa della povertà registrata negli ultimi decenni, e per i nuovi legami commerciali ed eco-nomico-politici presenti nelle grandi potenze mondiali.

Il mantenimento della difesa, dei servizi sanitari e so-ciali dell’istruzione completa, dei servizi pubblici dagli

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anni Cinquanta in poi provvede a “privatizzare” con due modalità di delega:

Deregolamentazione (deregulation), ovvero l’annul-lamento e la riduzione di diverse regole di controllo nella direzione di alcuni servizi, finanziati dalle aziende vincitrici di ap-palti e finanziamenti.

Sussidiarizzazione, ovvero la delega ad altri enti pub-blici, e non privati, di compiti ed obblighi statali, divi-dendosi in due tipologie: verticale, dallo Stato agli enti regionali, o comunali o civili; orizzontale, con l’aumento del numero di persone coinvolte nella gestione pubblica.

I difetti di questo “alleggerimento”, ed “impove-ri-mento”, sono ben visibili nell’abuso economico del fi-nanziamento (“creste”, “appalti economici e non rispet-tati”) e nella speculazione edilizia e di arricchi-mento.

Paolo sa purtroppo che non ci sono alternative se si ha dietro la schiena uno che ti ricatta, armato per giunta.

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Capitolo Ventunesimo Paolo ha un padre che è vissuto ai tempi della ditta-

tura: non gli manca di riferirgli diversi eventi tragici della sua giovinezza, quali l'essere controllati a vista d'occhio, il venire imprigionati in particolari strutture, l'essere ascoltati senza sapere di esserlo.

Lo Stato autoritario è quell’ente pubblico il cui potere è accentrato e chiuso a decentramenti e secondarietà, ar-rivando all’uso di un sistema di polizia violento, quasi emule dello Stato del Grande Fratello, figura dittatoriale del romanzo di G. Orwell, 1984.

Lo Stato totalitario è il punto massimo dell’accentra-mento politico di uno Stato, che si palesa in un Partito, in un Dittatore, “padre” di tutti gli individui a lui sud-diti.

Nell’Antica Grecia certi personaggi, se diventati troppo popolari e prossimi ad ottenere il plebiscito, ve-nivano ostracizzati dalle città-stato greche, esiliati, in un’assemblea popolare.

Oggi trionfa il concetto di “imprigionare”, e non più di “esiliare”, come forma di pena moderna, realizzato grazie al concetto di “Panopticon” di Bentham.

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Il “panottico” è una struttura architettonica circolare, in cui le celle sono poste nella circonferenza, al cui cen-tro si trova il sorvegliante, “invisibile”, imprevedibile.

Si può monitorare il prigioniero segregato nella cella, posta lungo la circonferenza del palazzo in perfetta sim-metria con le altre celle, senza saperlo, senza che scopra se è sorvegliato davvero oppure no.

Può essere ascoltato anche nei momenti più impensa-bili, e poter essere punito senza che lui possa impedirlo.

Tale figura sarà ripresa nel saggio “Sorvegliare e pu-nire” di M. Foucault, come struttura del potere autori-tario, che non scende più dall’alto verso il basso, ma la pervade totalmente, in una molteplicità di rapporti e re-lazioni senza ordine. A Paolo pare una brutta esistenza, che gli incute il timore: ora ha paura che da un momento all'altro qualcuno gli registri le telefonate, o lo guardi dalla finestra. Dal controllo poliziesco (usato anche nelle fabbriche moderne, sugli operai) si passa alla seduzione: secondo Bourdieu, la tecnica della seduzione pubblicita-ria si pone sul “controllo informatico e telefonico”. È una paranoia, pensa Paolo. Per sicurezza se sta comun-que davanti al televisore. Forse si rilasserà.

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Capitolo Ventiduesimo

Paolo stacca la televisione: ci sono troppe pubblicità

che cercano di invogliarlo a comprare, spendere, barat-tare e rateizzare i loro prodotti di bassa qualità.

Il controllo sedotto del prodotto e delle merci ricer-cate, e di mode conformi a tutta la massa, determina la nostra società, piegata alla ricerca informatica “falsa-mente personalizzata” e alla tensione imposta ad avere il “nuovo” per tutti, in linea con la direzione di gusto della società.

Non c’è più un obbligo coercitivo da Stato violento ed autoritario, ma una seduzione stimolata emotiva-mente, più difficile da evitare e da bloccare.

Paolo prova ad entrare nel Web, ma anche lì è pieno di maledette pubblicità e sponsor che non lo lasciano in pace.

Anche nell’uso esasperato dei social network e dei mezzi digitali, per essere sempre connessi e presenti, di-venta un accesso volontario ad essere controllati e moni-torati; una versione “soft” del monitoraggio storico, con-trapposto a quello “hard” della violenza oppressiva.

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A Paolo sembra di non avere alcun momento di li-bertà, se in ogni momento cercano di accollarti qualcosa, magari usando qualche tua informazione.

Prima per avere quello che volevano ti torturavano, ora cercano di sedurti.

Davvero, il destino dei padri ricade sempre sui propri figli.

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Capitolo Ventitreesimo Paolo non va dall'analista da tanto tempo: ha scoperto

un modo particolare di raccontare i propri eventi usando un avatar anonimo, senza essere controllati, e potendo dire in tutta tranquillità quello che si vuole.

Anche la confessione è alla base di questi mezzi infor-matici, espressi pubblicamente nei blog e nei social, in un anonimo inesistente, sempre rintracciabili e anche in-castratili in un modo o nell’altro.

Si cerca di esibire il proprio mondo interiore, mo-strandolo fino al segreto più inesprimibile, solo per to-gliersi la pena del senso di colpa generalizzandola alla collettività. Però Paolo non sente di stare meglio, anzi, teme che un giorno o l'altro qualcuno lo scoprirà e lo prenderà in giro per quello che ha scritto.

Il mondo trendy del commento dei social network ar-riva ad una pubblicità della confessione tale da violare la “sacralità” tradizionale posta nella confessione cattolica, nella psicanalisi laica e nella trasposizione autobiografica letteraria, funzionale alla conoscenza e alla catarsi. Se prima vi era garantita la segretezza personale, la ricerca razionale del senso nelle parole, tanto da impedire l’azione futura, in favore di una verità interiore legata a

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noi stessi, intoccabile, ora con la pubblicazione gratuita si perde la possibilità di acquisire una razionalizzazione del dolore e dell’esperienza, solo per venire accettati dalla comunità.

Forse è meglio per Paolo se ritorna dall'analista; lì paga e ha il segreto professionale, su Internet tutto è gra-tis, e senza segreti.

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Capitolo Ventiquattresimo Paolo vive in un paese che prima era sotto una ditta-

tura, e ora è in una democrazia. La sovranità nel regime democratico è prettamente le-

gato al popolo, una forza a tratti violenta che le appar-tiene. Qual è la differenza con la dittatura?

Un filosofo contemporaneo, L. Canfora, rivela dall’eziologia della parola, “demos” e “kratia”, che nella democrazia ateniese aveva un significato totalmente op-posto da quello tradizionale odierno del “potere del po-polo”; “la violenza sul popolo”, perché in origine vi era una dittatura sul “semos”, con Pericle, e veniva instau-rato il concetto di maggioranza, che impone la propria volontà su una minoranza, sul rischio che questa prenda il sopravvento.

Si chiama “dittatura della maggioranza”, ed è pre-sente in tutte le democrazie.

Per un lungo periodo la democrazia resta il governo della maggioranza, in contrasto con l’idea di libertà; all’inizio della modernità si cerca una soluzione a questo problema e la svolta arriva con una prima correzione: la democrazia rappresentativa. Non essendo possibile dar luogo ad una decisione unanime per qualsiasi occasione,

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vengono eletti dei rappresentanti del popolo, riuniti in un Parlamento, con la delega sulle decisioni. Questa è l’attuale decisione presa come modello universale; il di-fetto sta che una volta eletto il rappresentante, non esista un feedback, una riacquisizione delle promesse mante-nute, verso la popolazione elettorale.

Paolo ha notato infatti quanto, davanti alla nuova pos-sibilità del referendum, scarsi fossero i risultati.

In poche parole: prima si era davanti al rischio di es-sere comandati da una maggioranza oppressore della mi-noranza non eletta, poi da un rappresentante ipocrita e menzognere sui propri elettori, e alla fine dai Poteri Oc-culti che fanno il loro tempo.

Davanti a tutto questo, Paolo preferisce starsene zitto.

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Capitolo Venticinquesimo La democrazia in sé non ha un significato esatto, anzi,

viene anche usata a sproposito spesso (si veda la storia della Repubblica “Democratica” Tedesca, gestita dai so-vietici e dalle direttive di Mosca). A parte la critica al si-stema oppressivo delle maggioranze, la scelta di adottare il modello della democrazia rappresentativa risultò vin-cente e accettata quasi unanimemente.

Paolo allora chiede diverse risposte dagli avi del pas-sato. Il primo non fu molto ottimista sulla democrazia. Nell’Illuminismo uno dei principali oppositori della de-mocrazia rappresentativa fu J.J. Rousseau, nell’opera “Contratto Sociale” (1762), per il rischio di cadere in mani di pochi eletti che possono sfruttare ed abusare delle libertà concesse dalla popolazione. L’altro risolve questo disagio con una promessa, che, in fondo, tutti avranno dei diritti e delle sicurezze.

Nel 1835, A. de Tocqueville scrisse “Della Democra-zia in America”, uno studio sulla politica e il sistema de-mocratico dei giovani Stati Uniti, e sul funzionamento di questi. Questo studio cambiò l’idea di democrazia, riva-lutando sia la posizione rousseauiana sia tutte le tratta-

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zioni di tutto l’Ottocento. L’opera di Tocqueville è in-centrata sull’apertura verso il sociale e i legami tra le per-sone: la democrazia non è più il governo di tutti, ma ga-rantisce, anzi, deve garantire a tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità. Tale concezione della democrazia sarà quella dominante e più moderna. L'ultimo invece distrugge la speranza del suo predecessore, sottoli-neando come tutto ciò non ha senso se a comandare alla fine è il profitto e il guadagno. Il filosofo e sociologo del Novecento, T. Adorno, principale esponente della scuola di Francoforte, notò come esista un’eterna lotta tra il capitalismo e la democrazia, nella cui modernità l’una impedisce lo sviluppo dell’altra. Quando il capita-lismo viene esaltato al massimo e si sovrappone alla de-mocrazia ci si trova in regimi autoritari o totalitari. La stessa crisi del 2008 ha portato ad un crollo dei mercati in reazione all’eccesso di democrazia (nuove riforme, nuovi controlli fiscali e statali), che sembra stia ribal-tando la condizione precedente. In breve, se il capitali-smo sovrasta la democrazia si rischia la dittatura, se è l’opposto si rischia il crollo economico. L’ideale sarebbe l’equilibrio tra le parti. Paolo intanto ha acceso la televi-sione, e vede che l'ultimo avo abbia centrato perfetta-mente il guaio.

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Capitolo Ventiseiesimo Paolo teme il suo posto di lavoro. N. Streeck , allievo di Adorno, comprese la causa

della crisi attuale in un eccesso di garanzie, che porta-vano ad un alto tasso di sindacalizzazione dei dipendenti a una forte tutela (es. Articolo 18), nel privato, mentre il pubblico vi era un forte indebolimento dello stato so-ciale, succube dei grandi abusi e degli sprechi nel patri-monio della spesa pubblica, e dei grandi oneri nel rispet-tare il Welfare State, “lo stato di benessere” che garanti-sca la sopravvivenza a chi non può produrre un reddito (pensionati, studenti, disoccupati, poveri).

Paolo vive da precario, senza avere la sicurezza che il suo posto venga mantenuto o che quando sarà anziano possano mantenerlo dignitosamente.

Questo cortocircuito viene creato dalla reazione dei grandi affaristi (proprietari, industriali, dirigenti d’azien-da), messi troppo alle strette con nuove leggi, e dall’in-debolimento pubblico troppo gravoso.

Questa reazione ha destabilizzato l’equilibrio tra i due poteri creando:

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64 PAOLO, OVVERO IL MODERNISMO

Precariato, un contratto a tempo determinato, come forza opposta all’alto tasso di sindacalizzazione prece-dente. Deregolamentazione e sussidiarizzazione, come vie di fuga dall’indebitamento, cercando di risollevare l’economia statale con delega murate a privati o a enti pubblici minori. Delocalizzazione, dalla sede delle indu-strie locali in altri paesi, con la ricerca di zone dove pa-gare meno tasse e meno manodopera, con convenienza del patrimonio industriale (Est Europa, Cina, India, Africa) ma con danni all’occupazione nazionale.

Paolo ha paura inoltre che la sua azienda si trasferisca lontano dalla sua terra, portando anche ai suoi amici molti problemi, oltre che a lui. Questi tre fenomeni in risposta a questa destabilizzazione si riuniscono nel pro-cesso della de-democratizzazione, davanti ad una sem-pre pressante democrazia sovrastante il capitalismo e gli enti pubblici e privati. L'effetto di tipo politico alla de-democratizzazione è l’eliminazione di garanzie di carat-tere politico-democratico, quali la libertà di stampa e il controllo sui media, per ristabilire e riportare un ordine concreto di controllo sul caos.

Paolo è scocciato dall'idea che per impedire tutto ciò si debba perdere il sacrificio fatto dai suoi parenti nell'ottenimento dei diritti, solo perché c'è sempre uno che si senta in dovere di decidere al di sopra degli altri, e di pretendere l'impossibile ove è davvero impossibile.

Si ricordi che generalmente uno Stato fallisce quando non può garantire Ordine sul Caos, sia politico, sia eco-nomico, sia sociale. Questo processo lede le libertà indi-viduali, con lo scopo di ristabilire l’equilibrio di tutte le sfere, come fu il caso Mussolini, o la scelta controversa di Bush di iniziare una guerra contro il terrorismo subito dopo l’11 settembre.

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PARTE QUARTA Democrazia

“Signor Paolo?” “Oh, buon...” “No, non se ne vada! Volevo chiederle...” -” E basta! Non vede che sto andando al lavoro?” “Anch'io lavoro. Devo intervistarla!” “Ma perché io?” “Risponda e basta! Lo faccia per senso civico!” “Ma che diavolo sta dicendo?” “Ovvia! Su! Allora…lei, cosa ne pensa della demo-crazia?” “Perché dovrei risponderle?” “Risponda, la prego!” “Accidenti a lei e alla democrazia. Deve essere una bella cosa se dà a persone come lei la possibilità di rovinare la giornata a poveretti come me, senza poter essere castigate. In prigione si finisce poi noi! Ho ri-sposto bene alla sua domanda?

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Capitolo Ventisettesimo Paolo si ricorda che è quello che è grazie alla sua cul-

tura. Lo sviluppo delle comunicazioni, soprattutto in questo periodo, va di pari passo con lo sviluppo della democrazia. Paolo poteva diventare l'ultimo degli igno-ranti, e forse farsi governare da qualche squallido signo-rotto per tutta la vita.

Più la gente partecipa alla vita pubblica, più si realiz-zano mezzi di diffusione delle informazioni. In questo caso, la massa comincia ad elevarsi dal torpore popolare e volgare, pregiudicato delle classi alte, con un’effettiva cultura, cominciando a portare al timore i cosiddetti “Si-gnori”, per citare l’idea marxista della “dittatura del pro-letariato”. La massa in questo caso diventa una minaccia per i Poteri Forti.

Paolo sa che grazie alla diffusione della cultura può sapere ciò che prima non avrebbe mai potuto sapere.

Si ricorda che il processo di democratizzazione pre-vede la speranza di poter garantire l’informazione a tutti, e di acculturare, in favore della conoscenza e della de-mocrazia. Più comunicazione c’è, più informazione e più democrazia ci sono. Una maggiore informazione implica

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PARTE QUARTA 67

una maggiore libertà delle persone, dettata da un flusso più ampio di conoscenza.

Certo, Paolo non va al museo da parecchio tempo, e deve stare attento a non farsi abbindolare da certe ridu-zioni semplicistiche che vede alla televisione. Ma non se ne dispiace più di tanto.

A proposito sono rilevanti due voci del pensiero occi-dentale.

W. Benjamin, autore de “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproduzione tecnica (1935)”, nonché membro della Scuola di Francoforte, era noto per la sua posizione a favore della democratizzazione della cultura, ovvero nella diffusione in riproduzione seriale (a danno dell’anima dell’opera, la sua “aura”), la cui capacità di trasmissione del messaggio profondo dell’opera sarà de-terminante per l'acculturazione. La sensazione forte pro-vocata dallo stare davanti all’originale, come nei Musei (dapprima esisteva solo gallerie private o chiese sottopo-ste al controllo della Chiesa, e alla sua censura), però, si perde.

T. Adorno, altro membro della Scuola di Francoforte, in contrasto con la idea di Benjamin, si trova schierato dalla parte degli “apocalittici”, i quali mal vedevano nella massificazione un miglioramento dell’arte (come invece gli “integrati” facevano notare, con i cambiamenti basilari della modernità), data la tendenza della massa ad essere controllata dalle imposizioni autoritarie, come la sua cultura, definita dall’autore “industria culturale”.

Paolo sa però di sapere qualcosa di buono, che però è suo, e vero, non finto e ripetitivo.

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Capitolo Ventottesimo Paolo riprende a leggere il suo libro, che ha comprato

di recente in una piccola libreria mobile, la quale era ti-pica cent'anni fa trovare in giro.

L'acculturazione è lo spirito delle persone tese ad ap-prendere sempre di più, a scambiarsi le informazioni ac-quisite e a rielaborarle attraverso il proprio filtro sogget-tivo. È un fenomeno dapprima riservato alle sole classi elitarie ed intellettuali, padrone di una competenza lin-guistica e comunicativa di alto livello, superiore a quella dei ceti più bassi, di livello “infimo”. Di fatto la Lettera-tura è sempre stata appannaggio della classe alta e la Cronaca quella del ceto basso. Sempre nella Letteratura era d’uso acculturare attraverso la lettura, in particolare dei romanzi, dotati di grande potenza informativa e for-mativa, potendo infatti educare e istruite le persone con la sola lettura. Tra il Settecento e l’Ottocento era consi-derato come il mezzo di informazione più forte, seppure accessibile ai soli alfabetizzati, e quindi alle classi bene-stanti, data la mancanza di una effettiva istituzione sco-lastica. In una fase successiva, dal Diciannovesimo se-colo, diventa più facile la lettura con le “biblioteche cir-

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PARTE QUARTA 69

colanti” (si veda il paragrafo 5 del Capitolo Primo), pas-sando successivamente alle letture in pubblico, dando l’illusione della comunicazione di massa, anche se si parla ancora di “folle”, di moltitudini, ricordando che il termine nasce alla fine del secolo. Il romanzo che Paolo sta leggendo è piccolo, incentrato su pochi capitoli; il ro-manzo era prima pubblicato in piccoli fascicoli, e gli toc-cherà circolare a destra e a manca per ottenere gli altri episodi.

Nascevano infatti in quel periodo i romanzi “feuille-ton”, in Italia “ad appendice”; erano promossi in fondo al giornale, e pubblicati a puntate, e rendevano più co-moda la lettura e la sua diffusione, grazie al sostegno e agli investimenti nel campo dell’editoria e del giornali-smo. Il senso stesso della scrittura fa sì che i fatti restino, siano allora tramandati: la Storia nasce quando nasce la Cultura e il Sapere in modo permanente degli eventi ac-caduti, i quali non possono essere ricordati a lungo nella tradizione orale. A Paolo piace la storia narrata in quel romanzo: gli ispira un interesse a cercare, anche in sé stesso, ed era per lui molto strano, perché nessuno gli aveva dato prima questo interesse, ma solo i romanzi.

Paolo si ricorda del vecchio detto: “Verba volant, scripta manent”.

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Capitolo Ventinovesimo Paolo ora sta assistendo dalla terrazza di casa sua ad

una manifestazione sindacale. La distinzione più evidente tra la “folla” e la “massa”

è nella prossimità: se le persone si conoscono allora si identificano, in qualcosa, e nasce la “folla”; viceversa, se ogni persona è anonima alle altre, e adotta la stessa tipo-logia di comunicazione (la chat, il telefono, Internet) si parla di “massa”.

La prossimità che nasce all’interno della folla si svi-luppa in un’intimità tra gli operai, tra le persone, prima d’allora sconosciute agli altri, e prendono atto della pro-pria condizione universale, attraverso l’empatia e la soli-darietà, creano la cosiddetta “conoscenza di classe”, la quale modifica le persone, il comportamento dei lavora-tori, sulla loro situazione e la loro concezione di “indu-stria”.

È straordinario per Paolo come certe persone si sen-tano uniti nella stessa idea, solidali negli stessi problemi, pronti a risolverli formandosi in qualcosa di più di una massa, in una folla in cui la gente si conosce e si capisce.

Prima nelle campagne c’era una forte individualità, conquistata dalle Comuni medievali; con l’avvento

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PARTE QUARTA 71

dell’industrializzazione, la comunanza e la prossimità tra le persone nella fabbrica e nelle città dà vita al confronto nella stessa condizione esistenziale e alla rivendicazione di diritti fondamentali, quali la partecipazione, la rap-presentanza politica e l’aumento del salario e delle con-dizioni di vita e lavoro.

Davanti a questo nuovo fenomeno nacquero vari mezzi di comunicazione proletaria, più accessibili alle classi meno retribuite, come manifesti, libelli e volantini, e anche l’intellighenzia e vari membri della classe diri-gente si sentono in dovere di partecipare alla lotta del proletariato, magari in nome di un socialismo primor-diale. Peccato non sia così con Internet.

Paolo sa quanto sia facile nascondersi in una massa di avatar senza spina dorsale, identica nel loro parlare, ma anonima perfino a se stessa.

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Capitolo Trentesimo Il processo di massificazione è strutturato in tre fasi. Metà Ottocento - 1918: è il periodo di ascesa della

massa, che è violenta ed incontenibile. L’emotività sua caratteristica la rende instabile, capace di distruggere e rivoltarsi all’ordine precostituito (si ricordi il disagio della Grande Guerra, e delle successive crisi sociali scop-piate prima dell’avvento del Fascismo) e facilmente pro-vocabile da discorsi o da persone dotate di un grande carisma e di un’ottima abilità comunicativa, le quali pos-sono determinare la direzione della sua forza.

Quindi per Paolo prima la massa era un cane rab-bioso, capace di mordere chiunque stesse sui cosiddetti al proprio padrone, che nel mentre lo tramortiva e lo fu-stigava se non gli obbediva…

1918 -1953: è il periodo dei regimi di massa, di carat-tere totalitario, nei quali il potere carismatica trova la sua massima espressione nel controllo assolutistico delle masse. Questo periodo evidenza la debolezza delle masse di essere facilmente controllata, vittima dell’emo-tività e del furore popolare. E a questo controllo contri-buiscono in maniera fondamentale i mass media, nei quali non esiste un feedback, “un ritorno direzionale”,

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PARTE QUARTA 73

perché la comunicazione avviene in maniera gerarchica, unidirezionale, dal solo input, senza output: dall’alto al basso, dall’uno ai tanti.

Un esempio di mass media promotore di un top down gerarchica è nella radio, che diventa lo strumento prin-cipe di informazione: facile da seguire per le persone e funzionale per fini propagandistici e totalitari.

Un altro esempio è nella cinematografia, il quale, come la radio, non richiede determinate competenze e conoscenze; le illustrazioni e le immagini fungono da vei-colo immediato ed efficace di messaggi precisi, che in-fluenzano la realtà circoscritta, a volte anche deforman-dola, data la gestione da parte dei Poteri Forti, i quali determinano il loro impatto sulle masse (durante il pe-riodo fascista l’Istituto Luce e la EIAR detenevano il mo-nopolio assoluto della comunicazione cinematografica e radiofonica, avendo all’interno degli apparati diversi membri del Partito Fascista).

1954 - oggi: In assenza di totalitarismi, e in piena de-mocrazia, non si adotta la propaganda esplicita e trion-fante propria della prima metà del Novecento, ma una implicita, basata sulla seduzione piacente delle masse, come con le pubblicità televisive e le réclame radiofoni-che. Il controllo delle masse non avviene dunque più con la forza, ma con lo stimolo, dirigendole verso il consumo superfluo delle merci.

Adesso la massa sembra un cane viziato, coccolato fino all'esasperazione, ma allo stesso tempo più rognoso e cattivo del precedente, il quale era cattivo perché reso tale, con la cattiveria, e ora è peggio perché sedotto con una ipocrita bontà.

Oggi si è entrati in un’epoca di de-massificazione: partendo dai mass-media si è arrivati ai personal-media

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(come gli smartphone e tablet); la comunicazione di massa è sostituita dalla comunicazione reticolare, dove non è più valida la formula “uno ai tanti”, ma “tanti tra tanti altri”, come Internet.

La comunicazione si ritrova ad affrontare un processo di decentralizzazione del proprio controllo direttivo verso la massa.

Questa tipologia di comunicazione di massa necessita di strumenti per poter funzionare, altrimenti non esiste-rebbe: mentre la comunicazione individuale è circo-scritta alla sola persona, alla vita individuale, non lo è quella di massa.

Paolo vede nella massa un trasformarsi di continuo in altri esseri. E gli sembra più un'involuzione che un'evo-luzione.

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Capitolo Trentunesimo Ne “Le origini del Totalitarismo” H. Arendt, filosofo

e giornalista ebrea, s’interessa delle caratteristiche di un regime totalitario nel tempo della massificazione: “Il mondo contemporaneo ha disgregato il sistema di classe e anche il sistema di partiti che le rappresentavano. Gli individui di una massa informe si caratterizzano non tanto per la brutalità e la rozzezza, quanto all’isolamento e alla mancanza di relazioni sociali".

Paolo da un po' di tempo non intrattiene contatti con i suoi vecchi amici, e si sente quasi in isolamento, senza sapere cosa fare nella giornata.

Si ricordi che la massa è tale quando non esiste la ca-pacità di relazionarsi con gli altri e diventa debole nella possibilità di avere un’unità comunicativa propria, e pas-siva a quella omologante del totalitarismo.

Lo studio della massa nella sociologia positivista ha contribuito all’analisi della degenerazione del sistema, che per certi versi ha contribuito a diversi speculatori di abusare di questa decadenza, per indirizzarla verso dire-zioni autoritarie.

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Paolo potrebbe seguire uno spettacolo televisivo, po-trebbe andare allo stadio e mischiarsi con i tifosi; po-trebbe addirittura andare al bar e ubriacarsi, e sfogarsi.

Lo stesso M. Weber accenna all'elemento "avaluta-tivo” della Sociologia, che deve rimanere estranea a qual-siasi normatività del sistema studiato, non riducendosi alla strumentalizzazione pubblicitaria, alla quale rischia di esserne complice per gli studi.

La “brutalità” delle masse non si riduce alla sola vi-cenda “epicheggiante” settecentesca, degli analfabeti e dei violenti; oggi la violenza è imperante, negli stadi (stri-scioni ultrà) e nella gioventù (bullismo).

Forse è meglio se Paolo rimane a casa e si decida a fare ciò che lui vuole, e non di seguire gli altri.

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Capitolo Trentaduesimo La rivoluzione civile dal Settecento in poi non si deve

al processo di urbanizzazione delle comunità contadine, bensì all’aumento straordinario della popolazione, cre-sciuta del 35%, con il miglioramento delle cure mediche, e la loro disponibilità dal Novecento in poi, con la ridu-zione della mortalità infantile.

A contribuire l’accrescimento della ricerca scientifica due sono state le opere decisive: “L’origine delle specie” di C. Darwin, ispiratore della corrente evoluzionistica, e “Il Capitale” di Karl Marx, teorico del socialismo.

Paolo ha nel suo quartiere un vecchio manicomio, in cui qualche secolo prima venivano portate le persone, nell'ottica dei governanti dell'epoca, pericolose; anar-chici e sovversivi venivano visti come poco evoluti e in-civili, e quindi criminali, da curare. Entrambe le idee in-fatti furono mosse da idee egualitarie, purtroppo la prima viene interpretata come monito alla disegua-glianza e alla differenziazione sciale (celebre è il termine “darwinismo sociale”) e razziale (come si può vedere nell’opera di Andrè de Gobineau, “Saggio sulla disegua-glianza delle razze umane”, di stampo gerarchico-razzi-sta nella sua catalogazione delle razze di ogni continente

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in una scala di perfezione inesistente). Si arriva in questo crescendo fino all’affermazione di teorie antropologico-criminali con C. Lombroso, iniziatore della frenologia, ovvero l’anatomia del cervello criminale, il quale viene considerato tale per via di un comportamento “atavico anarchico non evoluto”. Paolo non riesce a capire come mai non ci sia una volta che ad essere curate siano per-sonaggi di un così grande perbenismo!

Sono tutte visioni distorte che contribuiscono a giu-stificare l’uso di metodi, propri della scuola comporta-mentista, per “ricostruire” la personalità dei soggetti “violenti ed incivili”, adottando una comunicazione po-vera, semplice come comune denominatore per tutti gli individui, dai colti ai volgari., a cui si aggiungono conte-nuti altrettanti semplicistici.

Se non altro Paolo può visitare quei locali, ora diven-tato zona di negozi, librerie e piccoli bistrot, con tanto di auditorium teatrale, posizionato proprio al centro del “panoptikon”.

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Capitolo Trentatreesimo Paolo non ha grandi doti comunicative. Fin dagli albori dei mass media si tenta di imporre il

linguaggio nazionale per contrastare quella “rozzezza” della prima fase accennata da H. Arendt, ravvisabile nella “limitata” competenza propria dei parlanti dialet-tali, omologando attraverso una lingua semplice e com-prensibile tutti gli ascoltatori e i telespettatori, acqui-sendo un’elementare competenza linguistica, perdendo però il bagaglio culturale del dialetto natio.

A Paolo tocca passare dal dialetto alla lingua nazio-nale per farsi comprendere alle poste o agli uffici.

L’approccio educativo diventa ambiguo se la cultura stessa diventa “unilaterale”, riduttiva e poco stimolante, senza contribuire alla costruzione all'educazione di una personalità intellettuale, unica, in difesa della pressante propaganda dei governi autoritari e delle pubblicità con-sumistiche. A volte Paolo finisce per usare termini locali, e di fare magre figure davanti alle persone colte che la-vorano in quei luoghi; alla fine non gli cambia nulla, per-ché per Paolo non è importante come dire, ma cosa dire.

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In particolare, lo studioso O. y Gassed sottolinea nella sua opera principale, “La ribellione delle masse”, l’im-portanza dell’educazione di queste, di “condurre” (ter-mine proprio dell’etimologia latina, “ex-duco”) verso una direzione, filo- governativa, oppure industriale con-sumistica. Tra l'altro, non mancano a Paolo le volte in cui si sente ripetere le stesse frasi dagli stessi impiegati delle poste, manco fossero delle macchinette.

Se l’indirizzo della propaganda è quello di instillare una maniera comportamentale verso l’altrui, lo straniero (si pensi ai moti propagandistici durante il Fascismo di odio subito dopo l’embargo dell’Inghilterra), un com-portamento giusto perché voluto e fatto credere dal dit-tatore, nello stimolo delle pubblicità si vanno a creare invece dei “bisogni illusori”, che propongono modi di vivere più piacevoli di quelli precedenti, quindi deside-rabili (già nell’Ottocento era tipico mostrare la mercan-zia in vetrine colorate).

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Capitolo Trentaquattresimo Paolo ha speso una fortuna per un oggetto da colle-

zione che ora ritiene paccottiglia. Dal Novecento in poi, con il miglioramento delle condizioni di lavoro e con l’arricchimento dello stipendio, si sviluppa la ricerca di comprare, di vivere “bene”, secondo la moda dell'epoca dei grandi magazzini, schiavizzando nel consumismo delle merci tutta la massa dei lavoratori. Paolo sta male-dicendo la pubblicità, quando il primo che dovrebbe maledire è proprio lui, che si è dimenticato ancora una volta di essere lui stesso il possessore dei propri soldi. A. Gorz notò come il lavoro in sé non indichi più la fatica (come vuole l’etimologia effettiva di “labor”), l’autopro-duzione e la soddisfazione personale, ma diventi un gua-dagno effimero, sprecato in rateizzazioni e in cambiali che diano la garanzia di essere come tutti quanti, simili cioè ai ricchi benestanti. F. Veden parlò di questo rischio nella società contemporanea: l’uomo vuole mostrarsi agiato, di far parte di una buona società, per essere di-versi dagli altri, e di finire allora in uno “sciovinismo” culturale materialista. Se poi si fa fregare così dalle pub-blicità, allora non si deve lamentare Paolo di essere preso in giro dal padre, un artigiano parsimonioso.

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PARTE QUINTA Dittatura

“Signor Paolo?” “Cosa vuole! Sono appena uscito dal lavoro...” “Lei prima ha detto che suo padre è vissuto durante il regime, giusto?” “E con questo?” “Sulla dittatura?” “Oh, cielo! Ma non le avevo risposto prima?” “Sul regime, ma non sulla dittatura.” “Ma non le bastava?” “Risponda!” “Vedo che è fissato a farmi le domande, eh? Lei è pro-prio un incubo, lo sa? Bene. Vuole sapere cosa ne penso? Penso che la dittatura sia come un incubo, da cui però non si riesce a risvegliarsi. Va bene? Le auguro una buona serata. E una buona nottata.” “Anche a lei...”

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Capitolo Trentacinquesimo Paolo sogna quella notte di essere un re, a cui tutti

obbediscono ciecamente e nessuno può opporsi a lui. Il potere governativo, dapprima di ogni regime demo-

cratico, si imponeva attraverso un riconoscimento esterno, dall’Alto, dal Dio. Un esempio si può intravve-dere nella monarchia assoluta del Roi Soleil, tra il Sei e il Settecento, il quale si considerava “eletto dal Signore” e per questo intoccabile e a cui è impossibile opporsi. Su-bito dopo Paolo viene detronizzato, quando il popolo capisce che non gli serve uno che crede di essere re per un Dio in cielo.

Successivamente, in età contemporanea, tale ricono-scimento viene non dall’esterno e da figure ambigue, ma dall’interno, dagli elettori, dal popolo; con questo cam-bio di indirizzo muta a sua volta il modo di rapportarsi con la sudditanza, ora elettorato.

Allora Paolo si improvvisa dittatore e con radio e ci-nematografo, facendo sia il radiocronista sia l'attore, rie-sce stavolta a farsi volere dal pubblico.

I mezzi di comunicazione diventano essenziali per cercare di indirizzare questa forza, il popolo, alle proprie direttive, controllandolo, come una massa piegabile alle

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proprie parole, alla propria forma di comunicazione, verso fini personali, opportunistici, per rinforzare e con-fermare all’unanimità l’idea dell’omologazione totaliz-zante, propria della dittatura.

Molteplici sono i mezzi di comunicazione che na-scono agli inizi del Novecento: la radio, il cinegiornale, i giornali e i quotidiani (già presenti nel secolo prece-dente, rinnovati con una maggiore diffusione verso le classi meno abbienti).

Questi diventano centrali nella missione propagandi-stica della macchina dittatoriale: nel fascismo italiano la EIAR e Cinecittà erano due mezzi importanti per la dif-fusione delle idee fasciste e delle imposizioni filo-gover-native (anche se il cinema, prettamente privato sia nella produzione sia nella regia, si rivelerà meno incisivo del giornale, perché più incentrato nei racconti di evasione, di fantasia e di intrattenimento, come per i “film dei te-lefoni bianchi”).

Sembra che Paolo stia avendo successo: forse avrà un futuro come dittatore del suo sogno.

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Capitolo Trentaseiesimo Paolo, da dittatore, deve però impedire che questo so-

gno si diriga verso la fine, come accadde alla sua prece-dente monarchia.

La censura si attiva davanti alla possibilità di uno Stato di controllare con il monopolio un ambito comu-nicativo, come si vede nelle leggi contro i giornali “sov-versivi”, in favore di un monito reazionario contrario al passato, “ai chiari di luna del secolo diciannovesimo” (F. T. Marinetti, fautore del Futurismo).

Allora Paolo impone la sua veste, le sue leggi, le sue idee e la sua scuola, per lui "buona".

Anche la vestemica fascista si imponeva come di-stacco totale alla cultura ottocentesca della borghesia, con abiti militareschi, uniformi nel loro colore scuro, nero, nella divisa e negli scarponi, per formare un’unita, tra il popolo e lo Stato Fascista.

Interessante è notare come l’uso di un abito confor-mista negli ambiti istituzionali ritorni ancora oggi nei grembiuli delle scuole primarie, dall’asilo alla scuola ele-mentare.

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Paolo fa anche il giornalista per il suo giornale, e chi non scrive come lui, o chi meglio, viene castigato, all'i-stante. Giornali e cinema venivano controllati con pre-cise leggi ed enti falsamente “privati” a causa della diffi-coltà evidente nel poter far accedere ai mezzi di comuni-cazione principali solo gli idonei al Partito, come fu pos-sibile per i radiocronisti della EIAR, tutti tesserati e mo-nitorati dalla dirigenza.

Un esempio, sempre in Italia, fu l’agenzia Stefani, fon-data dallo Stato per modulare una normatività (usando speciali, e impossibili da contraffare, copie in velina) la diffusione e la pubblicazione delle notizie, nella “giusta” maniera, con chiare limitazioni e omissioni (durante la dittatura era tassativamente vietato far pubblicare arti-coli di cronaca nera o di guerra, specie se critici verso la situazione dell’esercito italiano).

Questo aspetto della cronaca nera censurata ad oggi è paradossale: l’eccessiva spettacolarizzazione della morte, della strage e dell’orrore ha comportato allo spettatore non un senso di compartecipata empatia o un tentativo giusto di confronto personale, ma un distacco straniante, piacevole per la sua facilità con cui rende le persone di-sinteressate alla morte altrui, non essendo legata al pro-prio ambiente.

Coloro che invece si ribellavano alla pubblicazione censurata e limitata del Partito venivano prontamente mandati al confino, o sottoposti alla tortura; erano azioni giustificati davanti alla bontà della situazione generale del Governo, confermata dagli stessi organi di stampa.

Però Paolo ha qualche scrupolo nel voler attuare certe pene ai ribelli del sistema, se non qualche senso di colpa. È per questo che più volte ha rischiato di essere spode-stato.

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Capitolo Trentasettesimo Con il trionfo dell'immagine e della fotogenia c'è un

ritorno anacronistico ed involutivo alla pratica dell'ora-lità, da oltre un secolo messa in secondo piano grazie allo straordinario potere riconosciuto alla scrittura nei secoli precedenti.

Paolo deve curarsi anche dell'immagine personale, e controllare attentamente se mostrava evidenti difetti tali da minare la sua posizione.

Il messaggio delle immagini, come della parola, è di-retto, e non così tanto limitato come potrebbe essere a causa della grande varietà di culture presenti del mondo: il senso di un'immagine, forte e violenta, può portare alle stesse idee anche persone del tutto estranee alla propria cultura di origine (si veda l'orrore delle macabre esecu-zioni ordite dai membri dell'ISIS, difficili da digerire e da razionalizzare).

Paolo è obbligato a mostrarsi per quello che non è: talmente perfetto da non tralasciare la vista ai suoi punti neri, che lo rendono vero, e non finto, come le sue foto-grafie.

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Immagini del genere sono fondamentali nei regimi dittatoriali, i quali puntano al condizionamento della so-cietà con la propaganda di idee leggere, tradizionali, con figure realistiche e verosimili, ma eroiche nel loro idillio ideologico, assoggettate alla idea del Partito dominante.

Questo rinnovo della tradizione (si veda "Dio, Patria e Famiglia", celebre motto fascista) viene compiuto in antitesi con le contemporanee avanguardie per poter confermare, nella loro semplicità disarmante, i valori che conservano la massa, e la rendono unità, sotto il segno della propria ideologia. Paolo ricorda alla massa cosa per lui sia importante, ma nessuno lo ascolta, o s'interessa minimamente del suo discorso.

Page 89: Paolo, ovvero il modernismo

Capitolo Trentottesimo Paolo si ricorda allora come essenziale per la sua si-

tuazione sia il parlare, e come lo è sempre stato negli ul-timi anni (per la scrittura poteva fare a meno, per ora).

L'oralità s'impone storicamente in diverse fasi: nella prima fase, in pieno Neolitico, l'oralità era l'unico mezzo di comunicazione, in assenza della scrittura vera e pro-pria; nella seconda fase si sviluppa la scrittura solo nelle classi abbienti, elitarie, mentre la popolazione ancora basa la sua conoscenza con l'ascolto e la memoria delle leggende e dei miti (i racconti biblici prima della trascri-zione, ad esempio), per tutta l'Età Antica; nella terza fase, dal Seicento fino al Novecento, si conferma la scrit-tura anche per le classi meno abbienti, con la letteratura romanzesca e di consumo e l'istruzione obbligatoria (quest'ultima nata nel tardo Ottocento, con due secoli di ritardo) anche in funzione di un maggiore controllo e del raggiungimento degli obiettivi propri dei nuovi Stati Na-zionali (censimento, catasto...).

Nel passato era centrale e privilegiata la figura dello scriba, estranea al lavoro fisico pesante e schiavista, su-periore per la sua qualità di conoscitore e di studioso.

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Dalla seconda metà dell'Ottocento si cercherà di sconfessare la figura elitaria dello scriba, nell'interesse di una maggiore accessibilità degli studi anche alle classi proletarie, nella speranza di Marx, essendo l'accultura-zione "rivoluzionaria, e fondatrice di democrazia, e di li-bertà".

Se ascoltano Paolo, non ci saranno problemi che si creino delle idee strambe.

Difetto di fondo dell'oralità è la difficoltà della tra-smissione, facilmente modificabile e inaffidabile, devia-bile dai "maligni" conoscitori della comunicazione, quindi pericolosa se abusata da personaggi capaci di pie-gare la parola al proprio cospetto ed interesse.

Per Paolo basta solo che sentano quello che devono sapere, senza andare ad indagare o a controllare libri o scartoffie varie.

La stessa ridondanza di termini, di parole e di sin-tagmi comporta ad una svalutazione del loro valore se-mantico, fissandolo in un messaggio povero, semplice e controllato, sicuro e diretto.

Paolo non sarà un erudito, ma quello che dice basta per campare.

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Capitolo Trentanovesimo Paolo, nella sua veste secondaria di giornalista, ha vi-

sto come una notizia debba essere nuova, originale, e non ricorsiva, banale. Nel campo dell'informazione si trova una scala di incidenza, che varia da uno a zero: il grado è dipendente da un proporzionale tasso di impre-vedibilità dell'evento comunicativo, che se è una novità scuote la conoscenza dello spettatore, del tutto incredulo alla novità. Un esempio può essere la scoperta della morte di un personaggio, inaspettata (grado uno), op-pure l'ennesima conferma di un evento pubblico, preve-dibile (grado zero). Dato che i più recenti eventi accaduti sono squallidi, Paolo decide di farli passare per spetta-coli, o casi unici, per poter vendere meglio i suoi giornali e per avere anche una fama personale, magari in crescita.

È tipico nell'editoria e nel giornalismo giocare su que-sta scala, arrivando a rendere imprevedibile, con una dose massiccia di spettacolarizzazione, anche eventi fu-tili ed effimeri, quasi in emulazione con le pratiche pas-sate di propaganda fascista (una banale mietitura diventa spettacolare se eseguita dal Duce in persona).

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92 PAOLO, OVVERO IL MODERNISMO

Importanti nel passato erano i loghi di ogni ideologia: da una parte erano sostenitori di una novità, di un rin-novo che avrebbe spazzato via il passato, in favore di un progresso positivo e giusto; dall'altro riproponevano squallidamente la vecchia tradizione, estremizzandola anche con razzismi e xenofobie, solo per ottenere con-senso. Oggi, con la pubblicità, si adotta una tecnica si-mile, più moderata, solo per vendere, pur veicolando in alcuni casi veri e propri messaggi pericolosi per la loro seduzione (uomini virilissimi, donne focose, atteggia-menti forti, diretti...)

Da qui il termine "libera multitudo", adottato in un numero della rivista nazista "Seghel", propagandatrice di una famiglia, di un lavoro e di un modo di vivere "na-zista, ariano". Lo stesso M. Weber, contemporaneo all'a-scesa di Hitler, notò tre punti focali di quest'evento: il fatto, la storia che non si studia, ma si fa, direttamente, senza rifletterci sopra; il fato, il destino di una civiltà, do-minatrice e promotrice di iperattività; il fasto, la rappresentazione iconografica di questo de-stino ineluttabile.

Per fortuna che Paolo non sia uno come Hitler, altri-menti si sarebbe dannato da subito, lasciando follie come quelle di un “destino ineluttabile”.

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Capitolo Quarantesimo Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa

(i già citati radio, cinema, giornale e gazzetta...) nel corso del Novecento, in particolare negli anni Sessanta, grazie alla quasi totale diffusione della televisione nelle case dei cittadini per via del boom economico, il mezzo di tra-smissione raggiunge l’apice, incentivando anche la diffu-sione di messaggi filo governativi.

Paolo appare in continuazione alla televisione, dando sempre più risalto alla sua persona, e cercando anche di far credere agli altri quello che lui vuole.

Ciò ha portato alla nascita del termine “civiltà dell’im-magine” (Eco), di pura effimerità e semplicità, priva di profondità e complessità. Il sociologo F. Lyotard, tra i massimi teorici del postmodernismo, notò come la veri-dicità dell’informazione e del fatto non fosse più propria della scrittura (si pensi alla tautologia, "La notizia deve essere vera; l'ho letta nel giornale!”), ma dell’oralità, e dell’immagine, (“Deve essere vera, la notizia; l'ho sentita alla televisione!”), invece più deformata di un testo cen-surato.

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Infatti Paolo non riesce più ad andare avanti con ra-dio e giornali; ha optato per la televisione per poter es-sere capito all'istante, divulgando più velocemente le sue idee.

Non è più nella ragione, nel pensiero dello scritto, ma nell’immagine, nella rappresentazione diretta ed imme-diata che si ritrova l’individuo medio, ancora più assog-gettato ai messaggi impliciti nella pubblicità.

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Capitolo Quarantunesimo Paolo si è risvegliato. Dopo quel sogno ha le idee un

poco più chiare su quello che può fare un sistema di po-tere.

In questo periodo postindustriale, con l’isolamento "da teledipendenza" delle famiglie, si individua un pos-sibile primo passo verso la de-massificazione, ovvero il processo di individualizzazione della massa, estraniata dalla realtà, impedita di “aggiornarsi” ad essa.

La visione unica, però, dello stesso mezzo denota un sempre presente processo di massificazione della mecca-nica razionale, dovendo recepire in maniera omologante e monotematica informazioni per la maggior parte edul-corate, “precotte”, prive di criticità interna per la loro facilità, e questo rende ancora più certo il processo di individualizzazione sociale.

Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta questa esplo-sione televisiva ha portato ad un'accentuazione del con-sumismo, dopo i ricordati casi d’isolamento dalle comu-nità, di semplificazione critica e di una consequenziale esigenza di divertimento ed evasione da una realtà “ne-gativizzata”.

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Si ricorda come la pubblicità nel periodo bellico non avesse un’esigenza economica, data l’imposizione storica del prodotto nel mercato commerciale, all'epoca molto meno variegato, ma una ricerca di consenso, per idee au-toritarie (la “Venere con dollaro”, foto-montaggio dei repubblichini contro l’avanzata degli Americani).

Un esempio della potenza comunicativa ed ideologica della pubblicità nel consumismo è nel voler etichettare il consumatore “probo, onesto”, perché sostiene il com-mercio. Ora Paolo avrà sempre meno piacere a guardare la televisione, e le sue pubblicità, che tra l'altro non gli hanno dato altro che invidia verso chi possiede quegli oggetti, quelle macchine e quelle altre cose che solo ora capisce che non servano a nulla.

B. Veblen, sociologo di fine Ottocento, scrisse una magistrale opera saggistica, “La teoria della classe agiata” (1899), in cui per primo analizzò il disagio pro-vocato dal consumismo, in America (in Europa molte nazioni avevano adottato politiche autarchiche fino al se-condo dopoguerra), e dei primi difetti dell’economia li-berista, funzionale nell’arricchimento, ma critica nell’ar-ricchire anche il divario del reddito (J. Stiglitz).

Veblen sottolinea l’interesse personale degli individui a voler palesare ciò che sono da ciò che hanno, dalle pro-prie proprietà (cibo, vestiti, auto) e non al valore delle persone. Ci si riduce quindi all’invidia verso i ricchi, alla gelosia del possesso.

Da qui si nota la perversione di un sistema ambiguo, che trent’anni dopo, affronterà la più grande crisi (1929), per poi rinnovarsi e crollare (1987), e poi rinno-varsi, e finire come adesso (2008).

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Capitolo Quarantaduesimo È il titolo di un saggio di J. Rifkin riguardante la ten-

denza generale nel campo occupazionale al lavoro intel-lettuale, da epoca postindustriale qual è, piuttosto del la-voro di fatica (labor), propria dell’epoca industriale.

Paolo ora può lavorare con pochissima fatica perso-nale: da quando l'hanno messo nella zona uffici, ora può dedicarsi alla scrittura, al controllo e anche a comprare qualche cosina su Internet, che tanto non gli è urgente, e che può benissimo buttarlo, per quanto costi poco. Tale evoluzione mentale comporta all’involuzione mate-riale nella produzione consumistica, e alla crisi di com-mercio in atto oggi. Già a suo tempo il filosofo francese A. Gorz parlava di "lavoro immateriale", da settore ter-ziario, e ciò darà importanza ai lavoratori del futuro l’uso della propria creatività, della propria intelligenza. Si pre-cisa che i consumatori "difettosi" sono coloro che non riescono a mantenere in attività il ciclo di produzione e consumazione a causa di una mancanza personale di soldi e di nuovi stimoli.

Gardeil racconta nel saggio “La società opulenta” della mania della civiltà di non più consumare per uso, ma per abuso, per distruggere soltanto, sperperare e

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98 PAOLO, OVVERO IL MODERNISMO

sprecare, per poi consumare ancora, svalutando il pro-dotto e dando invece valore alla spesa in sé.

È l’estremizzazione del consumismo, con la crescente disistima delle attività del passato, come l’agricoltura oggi continuata dalle precedenti generazioni, residuale davanti alla più pressante innovazione meccanica degli automi.

Paolo non sarà mica uno che sperpera i suoi guadagni con così grande facilità?

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PARTE SESTA Postmoderno

“Signor...” “Eeeeee! Basta! Sono stanco!” “Si calmi! Volevo farle un'ultima domanda!” “Come?” “Sì. Dopo la smetto.” “Davvero? Non mi romperà più le scatole?” “Sì. Mi parli del postmodernismo.” “Come? Può ripetere? “Post-mo-der-ni-smo.” “Ah. Non le saprei rispondere.” “Come? Mi prende in giro?” “Certo! È questo il postmodernismo.” “Ma che...” “È una comica. Sappiamo tutto. Abbiamo tutto. E non possiamo far nulla di nuovo. Dovremmo disperarci di questo, e invece ce la prendiamo con leggerezza, diver-tendoci del passato. Meglio ridere che piangere! E ora se ne vada o non la farò ridere...” “Ma lei fa solo ridere.”

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Capitolo Quarantatreesimo Paolo sta riflettendo in questo momento su cosa stia

succedendo in questi ultimi anni in questo paese. La “Great Devide” è la spaccatura, lo spartiacque, tra

due epoche storiche: un esempio è l’invenzione e l’intro-duzione della scrittura, che divide la Preistoria dalla Sto-ria, oppure l’invenzione della produzione industriale, a cavallo tra il Sette e l’Ottocento.

L’attuale stacco tra il mondo analogico e quello digi-tale è stato uno degli elementi più importanti che ha comportato ad una crisi, tra la modernità e la postmo-dernità, oggi concluso.

Il termine “postmodernismo” nasce per convenzione nel 1977, ma solo nell’opera di J. F. Lyotard, “La condi-zione postmoderna”, pubblicata due anni dopo, si tro-verà la prima teorizzazione del concetto.

Paolo capisce che ci sono persone che prima erano dipendenti dello Stato, e non erano retribuiti bene, e ora hanno la licenza in concessione e non sanno più cosa si-gnifichi essere retribuiti. Ci sono persone che prima pro-gettavano qualsiasi cosa (dalla casa al libro) in maniera semplice e concreta, e ora intrappolano gli abitanti e i lettori in dei labirinti ricolmi di soperchierie.

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PARTE SESTA 101

In questa nuova epoca i primi segnali di questa nuovo visione del mondo si possono vedere nel passaggio dal “monopolio” alla “liberalizzazione”, sia nell’ambito commerciale ed industriale, sia nell’ambito delle teleco-municazioni e delle trasmissioni mediatiche, fino alla creazione di un nuovo modo di concepire l’arte contem-poranea (principalmente l’architettura, non più razio-nale e precisa, ma “barocca”, ricca di fronzoli ed orpelli). Paolo non ha problemi a chiedersi cosa diavolo stia suc-cedendo in questo paese.

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Capitolo Quarantaquattresimo Paolo è oramai stanco di seguire sempre le stesse

sciocchezze televisive. Le nuove telecomunicazioni impongono nuovi modi

di concepire il medium trasmissivo: la radio diventa un medium “caldo”, in costante evoluzione, la cui atten-zione può essere anche ridotta, nello studio, nel dialogo.

Quando era piccolo a Paolo piaceva ascoltare la mu-sica rock durante la produzione e la correzione dei com-piti (se poi riusciva a finirli...).

La televisione, invece, si trasforma in uno “freddo”, di alto interesse visivo, tanto da impedire alcuna comu-nicazione secondaria, togliendo lo spettatore (o più) dalla realtà circostante (si è già parlato al paragrafo 40 del processo di "demassificazione").

Ora Paolo deve sorbirsi dei predicatori da strapazzo che parlano del nulla, degli “artisti” incapaci di fare an-che le cose più semplici rivendicando una loro tecnica artistica, e altro ancora.

Già l'evoluzione epocale e le sue modifiche erano state accorte, come forma di meccanismo, da filosofi e studiosi, pur lontani temporalmente dalla nostra età.

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PARTE SESTA 103

Il filosofo F. Nietzsche fu il primo che notò il senso di un cambiamento nella Storia, e si pose il dilemma di ri-considerare alla luce di ciò il senso stesso della Storia, allontanandosi quindi dalla visione del fu filosofo W. Hegel, di una Storia tesa alle "magnifiche sorti e progres-sive", dopo la svalutazione degli illuministi settecente-schi, che anteponevano alla Storia precedente dei con-notati di solo furore religioso, in virtù della loro Ragione.

Il filosofo esistenzialista Heidegger invece diede im-portanza all'evento storico e temporale in sé, anche nell'esperienza artistica. Venne visto come un'espres-sione della nascita dell'arte; l'opera vale solo nel mo-mento in cui viene creata, lasciando solo un materiale in cui l'evento è passato. In poche parole quello che si pos-siede della Storia è solo la memoria degli eventi, la loro testimonianza.

E per questo che il postmodernismo rompe i legami con il passato, "monotono", creando un hic et nunc denso di piaceri, e di divertimento evasivo, come si può vedere anche nelle trasmissioni mediatiche odierne.

A Paolo è venuta voglia di tornare a letto, e di ascol-tarsi le vecchie musiche della sua infanzia.

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Capitolo Quarantacinquesimo Paolo è stanco di sentire sempre tutti questi rumori

ridondanti. Nella comunicazione la ridondanza e il ru-more sono due fenomeni disturbanti ormai usuali nel pa-norama: il primo comporta alla ripetizione ossessiva dei termini e dei messaggi; il secondo all'interferenza tra i più diversi messaggi, anche con aggiunte inerenti (come ad esempio una risata, dopo un'affermazione).

Nel postmodernismo questi due difetti diventano virtù: l'eccesso di elementi decorativi, ridondanti, nella loro esuberanza, eccessivi, chiaramente fanno "rumore", caos, spaccatura col passato ordinato e preciso.

Il passato nell'ottica postmoderna è riassunto in tre elementi, legati tra di loro: l'ideologia (come a sua volta la religione) è stata fatta credere come garante di una di-rezione univoca delle sorti storiche, lasciando alla fine un vuoto di disperazione e di scetticismo verso la Storia in generale (si veda per l'occasione il saggio breve "Oltre il Varco", sull'ideologia nella Guerra Fredda). Le ideo-logie in cui Paolo credeva quando era giovane sono tutte crollate, e non c’era da stupirsene se a governarle erano gli stessi nemici di cui tanto andavano a “perseguitare”.

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PARTE SESTA 105

La Storia è stata creduta come una direttrice eterna delle causalità umane, come se tutto dovesse avere un senso compiuto, per il benessere degli individui e della collettività. Da qui il concetto delle "gradi narrazioni", ovvero degli ordini generali in cui riassumere un'intera epoca, e a cui poter determinare dei collegamenti con il passato (come la credenza di essere ancora "figli" della Rivoluzione Francese ed Industriale).

Il filosofo J. Derrida fu tra i primi a screditare queste "grandi narrazioni", decostruendole e "staccandole" dal contemporaneo, distaccato in realtà dal suo passato. Scardinando questo sistema si scopre una tendenza ope-rante all'individualizzazione, contro la collettività, verso una ricerca di sé stesso che però tende al fallimento, ve-nendo a scoprire invece debolezze e fragilità non confor-tate o aiutate da altri, le quali si dirigono verso l'annulla-mento del sé. Paolo capisce di non essere più un figlio delle grandi rivoluzioni; semmai gli altri sono figli di qualcosa...

L'etica nel lavoro è stata un pilastro e una vittoria nel secolo precedente, per il bene comune, che oggi sta ve-nendo a mancare per colpa della crisi economica, in ri-chiesta di lavoratori "precari" e sottopagati, non più di-fesi dalle ideologie "sindacaliste", oggi più passive verso le attività finanziarie. Il lavoro che promettevano queste ultime è finito per venire garantito a chi non ci ha mai creduto, e a chi neppure sapeva della loro esistenza.

Paolo davanti agli eventi della Storia non sa cosa fare.

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Capitolo Quarantaseiesimo Paolo si è ricordato in quell’occasione, fortunata-

mente, di non essere un tronista. Nell'epoca postmoderna il comportamento indivi-

duale tende ad affermare il proprio sé, il proprio egoi-smo, a discapito della solidarietà e dell'aiuto altrui.

Lo studioso e cineasta suicida G. Debord scrisse "La società dello spettacolo" (1967) puntualizzando sulla tensione contemporanea della società opulenta nel mer-cificare l'individuo, nel valorizzarlo solo da un punto di vista meramente economico.

I mass media prima adottarono una meccanica co-strittiva ed ideologica per la pubblicità monopolistica e per la propaganda politica. Adesso seducono, con l'esal-tazione dell'individuo, per vendere prodotti economici e merci. Mentre stava trascorrendo quel pomeriggio libero in un bar della città, vennero incontro a Paolo due si-gnori della televisione. Viene adottata una strategia di la-voro e vendita puntata per essere approvata, accettata da più gente possibile; la concorrenza è tale da portare a identificare l'imbonitore, di vario genere (un giornalista, uno showman, un presentatore, un inviato speciale...)

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PARTE SESTA 107

come una merce da mettere in bella vista, da dover ven-dere a tutti i costi. Avrebbero offerto a Paolo, questi due signori, l’accesso ad un programma televisivo se avesse accettato la parte di un tronista, davanti ad uno stuolo di belle fanciulle. Paolo rispose con sincerità, disinteressan-dosene altamente. Loro ribatterono sul punto, garanten-dogli un lauto guadagno. Questa mercificazione diventa causa della consequenziale spettacolarizzazione di questi "uomini merce", messa in onda e "usata" per un mag-giore audience e una maggiore rendita pubblicitaria.

Per quanto Paolo cercò di tralasciare la questione, loro continuavano a impuntarsi, dicendo che era una cosa che fanno tutti in questo mondo.

Il dramma scatta quando avviene l'identificazione dello spettatore con la "realtà artificiale" dei media, de-viandola con la finzione: da notare come cinquant'anni fa prima si usasse la finzione per intendere un mondo esterno, il reale, "positivo, solare", edulcorato dalla tele-visione, fittizia, negando il Male (si consiglia la lettura, in merito, della Peste di A. Camus).

Oggi invece è l'esatto opposto, a favore della finzione "positiva" in una realtà "negativa".

Paolo li fece capire allora che il mondo non è come loro pensano sia.

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Capitolo Quarantasettesimo Paolo fino a poco tempo fa esagerava ad essere così

estroverso verso gli altri. Per alcuni decenni non era mai stata perseguitata pe-

nalmente una certa tipologia di pubblicità, chiamata "su-bliminale", il cui montaggio permetteva di introdurre nella trasmissione di un qualsiasi spot dei fotogrammi la cui velocità impedisse la normale visione, ma potesse es-sere registrata dal cervello, in maniera inconscia, instil-lando dei meccanismi di azione tali da obbligarli a com-prare certi prodotti. Si parla di simboli, scenari, imma-gini facili da essere recepiti per la loro genericità, dato che sarebbe impossibile fissare mentalmente un messag-gio imperativo, diretto.

Non sempre, quando cominciava a parlare di se stesso e delle sue esperienze, Paolo notava piacere o interesse nelle altre persone che lo stavano ascoltando.

Con il passaggio dai mass-media ai personal-media la pubblicità e il messaggio vengono indirizzati non più alla massa, ma all'individuo personale, con applicazioni, so-cial e comunicazioni mobili. Questo alimenta caratteri asociali, quali narcisismo, egoismo, disinteresse verso il reale e totale alienazione nell'illusione.

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Ci sono stati casi in cui, anzi, fidandosi di certi sog-getti, Paolo si è ritrovato quasi in balia di loro, sotto una specie di ricatto diabolico.

L'esasperata estroversione è simbolo di questo mo-mento: il soggetto punta tanto al proprio ego da doverlo mostrare in tutte le occasioni, in tutti i momenti, per auto-affermarsi, e ottenere ciò che vuole.

Paolo nota in continuazione delle persone che sono circondate da sconosciuti e amici anche se parlano, senza mai ascoltare gli altri, di sé, delle proprie storie, delle proprie scempiaggini.

A sua volta c'è una propensione all'involuzione natu-rale, al ritorno del "buon selvaggio" rousseauiano in contrapposizione all'uomo civilizzato, "mascherato" in un altro all'infuori di sé stesso (si vedano i pensieri di Nietzsche e di Pirandello).

Chissà se quei soggetti avranno la malaugurata sorte di finire in pasto a certi squali della maldicenza.

A Paolo non gli interessa, e va avanti.

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Capitolo Quarantottesimo Paolo ha avuto una breve crisi di coscienza, riguardo

al suo rapporto con gli altri. L'intimità viene raccontata nel mondo odierno in ma-

niera fin troppo esplicita. Può diventare un'arma a dop-pia taglio, per chi possa sfruttarti.

La propria esperienza personale diventa una merce per riconoscersi, per farsi valere; certi racconti dovreb-bero rimanere personali, nascosti agli altri, celati, come forma di personale identità. A delle cene Paolo si è sen-tito un po’ impacciato, silenzioso, e ascolta con molta tranquillità i dialoghi degli altri conviviali; non sa mai cosa chiedere, come iniziare un dialogo. Questo un po’ lo ha messo a disagio, non sapendo come affrontare dav-vero l’inizio di un rapporto sociale.

Il farsi amare diventa la giustificazione totale nel con-dividere le proprie esperienze personali, tralasciando la privatezza, la segretezza di certi argomenti che dovreb-bero rimanere nel privato (si veda il paragrafo 22 per maggiore chiarezza). Lo sfruttamento della propria inti-mità si riduce ad un guadagno effimero, con la perdita della propria identità. Poi Paolo ha cominciato ad attac-care bottone, parlando delle stesse cose, e facilmente da

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PARTE SESTA 111

una persona, ne parlava con due, e infine con tutti. L'in-fluenza di questo metodo comportamentale può essere dovuto allo sviluppo massiccio dell'educazione media-tica piuttosto di quella scolastica.

Paolo si è ricordato che in fondo, davanti a tutto ciò, l’essenziale sta nel fatto di mettere, sì, in mostra sé stessi, ma con modestia e umiltà, senza dover abusare di sé stessi, e rivolgendosi con garbo verso gli altri.

Paolo ora ha ben chiaro alcune cose sull’intimità, o almeno spera.

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PARTE SETTIMA Comunità

“Ah, signor Paolo?” “No.…” “Mi spiace, ma devo chiederle un ultimo argomento. Le prometto che è l'ultima volta davvero.” “Lo spero.” “Cosa pensa della comunità?” “Ne penso bene. Ma il problema è un altro.” “E quale?” “Sono le persone. Penso male di loro.” “È misantropo?” “No.…ma cosa dovrei pensare di certa gente che conti-nua a chiamarmi Paolo quando mi chiamo Carlo?” “Come? Lei non si chiama Paolo? Ma il mio datore m'ha detto che lei si chiamasse...” “E come si chiama, il suo datore di lavoro?”

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Capitolo Quarantanovesimo Paolo a volte è una persona razionale, ma quando gli

partono i nervi ragiona poco, e diventa molto emotivo, irrazionale.

Da precisare il concetto di razionalità ed irrazionalità, ovvero la conoscenza del mondo intellegibile e quello non intellegibile. La prima è di derivazione illuministica e positivistica, mentre la seconda è decadentista e sensi-sta, con il “pessimismo ermeneutico”, dell'impossibilità della conoscenza totalizzante, che la contraddistingue, e il tentativo di “simbiosi vitalistica”, contraria al distacco intellettuale razionalista. Per quasi un secolo si era ba-sato il mondo sulla ragione, denigrando l'emozione e il sentimento. Oggi c'è un ritorno all'irrazionalità.

Infatti, Paolo, di recente, sente voglia di rimanere il più lontano possibile dalle persone, per evitare di per-dere il controllo e di essere allontanato a sua volta.

Lo studioso F. Tonnies, nell'opera “Comunità e so-cietà” (1897), guardava all'insieme delle società e dei gruppi sociali e prima di tutto alla comunità: alla base c'è la costituzione di leggi e norme costruttive per un gruppo sociale, ma non per una comunità.

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Nella comunità c'era una maggiore unione tra l'uomo e la natura, e una maggiore espressione dell'istinto, con “legami di sangue” (non necessariamente familiari, ma anche amicali), forti e decisi.

Paolo proviene da un paese la cui maggioranza della popolazione aveva un'età media di ottant'anni. C'è tutt'ora un grande legame tra le persone, ed era perico-loso violarlo.

L'ostracizzazione e l'allontanamento dalla comunità comportava ad una morte sociale e culturale, in assenza di punti di riferimento. “Blut und baden” sono due ter-mini che identificano “il sangue e il suolo”, prima usati dai pre-romantici, in richiamo alla comunità medievale e alle tradizioni culturali e locali, poi dai nazisti, come esal-tazione di una cultura unica, distinta e superiore alle al-tre, da chiudersi con le altre, impedendo lo scambio.

Lo studioso V. Tunner affrontava la questione cam-biando il ragionamento di Tonnies, con “comunitas” a “societas”: la prima non è scomparsa nella società, ma viene tramandata culturalmente ed etnicamente tra gli uomini (come quando si abita in campagna).

Per Bauman la comunità è anche “interiore”, impron-tata nella mente dell'individuo, la quale viene ricostruita con le influenze esterne, in altre comunità, col con-fronto, l'arricchimento e la valorizzazione della propria identità culturale.

Per fortuna non si è dimenticato di quella gente, che gli aveva insegnato quanto sia importante far sapere agli altri cosa si pensa. Per bene.

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Capitolo Cinquantesimo Paolo trova poco sensato dover sentirsi solo. Ha la famiglia, ha gli amici e ha un amore. Ha perso

il lavoro di recente, per motivi diversi, ma non si sente povero. In un certo senso è ricco, pur sarcasticamente parlando, davanti alla realtà della sua condizione.

L'insieme delle conoscenze che si crea fin dalla tenera età, con le più varie relazioni amicali e familiari, è alla base dell'esistenza dell'individuo, e della propria uma-nità, dipendenti alla fine degli altri, e del loro aiuto. Bau-rdieu era contrario a questo capitale, considerato “una questione di classe”, un modo di chiudersi in classi so-ciali, negando paradossalmente il senso umanitario del termine. Paolo ora deve affrontare questo periodo di di-soccupazione. Non è però nelle condizioni di dover ri-tornare alla casa materna, come è capitato a diversi suoi amici, anche loro licenziati per la crisi economica.

Con la perdita del senso della comunità si va a dimen-ticare l'importanza delle nuove generazioni; nel mondo odierno sono ormai diffusi i giovani definiti “Not in Em-ployment Education or Training” (N.E.E.T), tra i quin-dici e i ventinove anni, senza un lavoro e uno studio ap-plicato e senza un'attività che garantisca l'indipendenza

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116 PAOLO, OVVERO IL MODERNISMO

dai legami familiari. Altrimenti finirebbero per essere “a carico” della famiglia, se non dello Stato, o peggio della Caritas. Paolo ha studiato quando era giovane. Ora spera solo di essere preso da qualche altra azienda. Alla peggio finirà come quei ragazzi che stanno nelle case occupate, e passano le giornate a fumare marijuana e ad ascoltare musica rock, parlando di politica e di populismo.

M. Mafiesaulie parla di questa tendenza giovanile, ad aggregarsi a comunità non tradizionali, come quelle già citate, bensì “totali”, gergali e quartieristiche, non sem-pre educande di un giusto modo di vivere.

La ricerca di punti di riferimento al di fuori della tra-dizione autoritaria del “Padre” si ritrova in questa ten-denza, non più sviluppata nel Complesso di Edipo, ma di Telemaco, in attesa del ritorno del padre Ulisse, dal mare, “in ricerca della sua autorità”. Pericolosi sono i “miti” della generazione, dogmatici, senza verità con-creta, che portano ad imitare ingenuamente certe perso-nalità, irreali, non vere.

Paolo li conosce, e sa che non sono dei disadattati. Lo sa perché un pomeriggio ha preferito passare qualche ora tra loro. Non tutti stanno così male.

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Postfazione È la prima volta che scrivo un breve romanzo adope-

rando i miei appunti e alcuni racconticini, nati per svago puro, tra un paragrafo e l'altro. Se volete sapere chi dia-volo sia questo "Paolo", basti notare come si vuole far chiamare alla fine della lettera: "Carlo". Non Paolo, ma Carlo. È una storia degna della mia distrazione. Avevo preso spunto dal nome del nostro professore di Storia della Comunicazione, ma alle prime lezioni feci confu-sione e mi appuntai sulla mia testaccia il nome "Paolo", non "Carlo" (se fossi stato più attento…).

E così nacque questo personaggio, il quale, spero, possa aiutare i lettori universitari nello studio di questa materia. E, spero, non mi ritorca contro. Non adesso.

Già precedentemente avevo pubblicato in formato Word gli appunti, corredandoli con questi racconti brevi, piccole epigrafi utili per poter riassumere, con leg-gerezza, le tematiche centrali di questo corso. I primi tempi nessuno li lesse, ma, grazie ad un amico, il quale li pubblicò integralmente come post su Facebook, notai un certo successo di pubblico.

L'idea del romanzo l'ho avuta di recente, dopo aver revisionato gli ultimi appunti (che, per inciso, non sono

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completi; la responsabilità non è mia in caso di lacune o imprecisioni, ma del lettore). Era come un romanzo breve.

E allora presi la decisione di rielaborare il tutto come se fosse una storia. È stata una grande fortuna che i rac-conti fossero facilmente mescolabili al corpo degli ap-punti, quasi incastrabili, come pezzi di un puzzle. La qualità chiaramente non sarà quella di un romanzo di narrativa, del quale probabilmente sarete abituati e as-suefatti. Come apologia alla mia stupidità vorrei preci-sare che questo libro sia solo un gioco di scrittura, un esercizio di stile, e nulla più.

Al massimo un buon modo per studiare. La storia funziona così: da una parte c'è la leggera li-

nea narrativa delle avventure di Paolo, correlate delle in-terviste “impossibili” fatte da un imprecisato giornalista (il quale non riesco più a contattare da un certo tempo), e dall'altra delle precisazioni a scopo saggistico, per chi deve studiare o per chi vuole solamente conoscere alcuni argomenti sociologici.

Mi auguro di aver centrato con umorismo e con bo-nomia il mio intento, molto ambizioso: quello di allegge-rire il carico di studio con una storia piacevole e stimo-lante.

E dopo aver precisato tutto quanto, ora devo solo spe-rare di non incontrare mai questo "Paolo". Probabil-mente non lo riconoscerò dal nome. Probabilmente lui mi riconoscerà. E probabilmente mi farà capire che in futuro sia meglio evitare di entrare nella vita altrui.

NICCOLO’ MENCUCCI

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Bibliografia breve I seguenti libri sono stati adoperati per la stesura

delle note intratestuali: ● Stato di crisi, Bauman Zygmunt; Bordoni Carlo,

2015, Einaudi ● Libera multitudo. La demassificazione in una

società senza classi, Bordoni Carlo, 2008, Franco Angeli

● I media siamo noi. La società trasformata dai mezzi di comunicazione, Codeluppi Vanni, FrancoAngeli, 2014

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Indice

Prefazione 3

Antefatto 6

PARTE PRIMA 8

Capitolo Primo 9

Capitolo Secondo 12

Capitolo Terzo 14

Capitolo Quarto 16

Capitolo Quinto 18

Capitolo Sesto 20

Capitolo Settimo 22

Capitolo Ottavo 24

Capitolo Nono 26

Capitolo Decimo 28

Capitolo Undicesimo 30

Capitolo Dodicesimo 32

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PARTE SECONDA 34

Capitolo Tredicesimo 35

Capitolo Quattordicesimo 37

Capitolo Quindicesimo 39

Capitolo Sedicesimo 41

Capitolo Diciassettesimo 43

Capitolo Diciottesimo 45

PARTE TERZA 48

Capitolo Diciannovesimo 49

Capitolo Ventesimo 51

Capitolo Ventunesimo 53

Capitolo Ventiduesimo 55

Capitolo Ventitreesimo 57

Capitolo Ventiquattresimo 59

Capitolo Venticinquesimo 61

Capitolo Ventiseiesimo 63

PARTE QUARTA 65

Capitolo Ventisettesimo 66

Capitolo Ventottesimo 68

Capitolo Ventinovesimo 70

Capitolo Trentesimo 72

Capitolo Trentunesimo 75

Capitolo Trentaduesimo 77

Capitolo Trentatreesimo 79

Capitolo Trentaquattresimo 81

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PARTE QUINTA 82

Capitolo Trentacinquesimo 83

Capitolo Trentaseiesimo 85

Capitolo Trentasettesimo 87

Capitolo Trentottesimo 89

Capitolo Trentanovesimo 91

Capitolo Quarantesimo 93

Capitolo Quarantunesimo 95

Capitolo Quarantaduesimo 97

PARTE SESTA 99

Capitolo Quarantatreesimo 100

Capitolo Quarantaquattresimo 102

Capitolo Quarantacinquesimo 104

Capitolo Quarantaseiesimo 106

Capitolo Quarantasettesimo 108

Capitolo Quarantottesimo 110

PARTE SETTIMA 112

Capitolo Quarantanovesimo 113

Capitolo Cinquantesimo 115

Postfazione 117

Bibliografia breve 119

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“Per questo testo divisi il tempo in tre momenti: il camuffamento; l’evasione e il rinnovo. Durante la stesura degli appunti di sociologia della comunicazione, per evitare che, nella pubblicazione online, il professore andasse a cercarla e, a sua volta, a cercarmi, decisi di re-darla come un romanzo (tra l’altro è anche il titolo del saggio di Pen-nac che stavo leggendo al tempo); questo era il camuffamento. Du-rante la elaborazione al computer, per svago e anche come antistress, creai dal nulla un personaggio, un po’ simile a me, col nome del pro-fessore (o almeno il nome che credevo avesse): Paolo; questa era l’evasione, intesa in senso letterario, usando il racconto fiabesco, si-mile al Marcovaldo di Calvino e al Fantozzi di Villaggio. E poi, ve-dendo che il racconto era in sintona con gli appunti, li legai ad essi, saltando da trama ad appunto, quasi come si trattasse di due narra-tori: il rinnovo della struttura narrativa e romanzesca. Se ha funzio-nato però dovrò vedere l’accoglienza dei lettori, se benigna o meno…”

NICCOLO’ MENCUCCI

Niccolò Mencucci (Arezzo, 1994) ha esordito per la NeP Edizioni con la raccolta di racconti e scritti “Un ragazzo dalle belle parole”, e con “Il Carlo. Dialogo con un artista”. Presso il corso di Scienze Umanistiche per la Comunicazione dell’Università di Firenze è cura-tore della collana P.U.F (Prontuari Universitari Fiorentini). In copertina: Tarsila do Amaral, Pintura pré-modernista