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LA PREISTORIA PALEOLITICO E MESOLITICO Il termine Paleolitico (o età della pietra antica) corrisponde a un lunghissimo periodo della Preistoria, durato molti millenni, che in Lombardia è documentato quasi esclusivamente ai piedi delle Alpi o nel- le aree intorno all’alveo del Po. Recenti scoperte nelle zone appenniniche fuori dalla Lombardia potreb- bero fare ritenere di ritrovarlo in futuro anche in Oltrepò. Fu soprattutto nel periodo successivo, detto Mesolitico (8000-5000 circa a.C.), che le comunità uma- ne cacciatrici, in seguito a diverse condizioni climatiche createsi con la fine della glaciazione di Würm, si espansero sia nella zona alpina, sia nella pianura padana. L’Oltrepò non ha però ancora restituito re- sti di quest’epoca. IL NEOLITICO Il periodo che vide il passaggio da un tipo di vita basato sulla caccia e sulla raccolta a un'economia fondata sull’agricoltura e sull’allevamento è chiamato Neolitico (5000-2500 a.C. circa). Agricoltura, domesticazione, allevamento, tessitura, produzione di vasellame in ceramica e di asce in pietra levigata sono le grandi scoperte di questo periodo che rivoluzionarono la vita dell’uomo. È pro- prio una di queste scoperte, la ceramica, diversamente modellata e ornata a seconda dei vari momen- ti del Neolitico in cui venne prodotta, che fornisce un grande aiuto per la datazione delle culture. Convenzionalmente il Neolitico si divide in tre grossi periodi, con caratteristiche diverse: Inferiore/Antico: vasi decorati a impressioni ottenute sulla parete ancora cruda - vasi a peduccio, va- si troncoconici con cordoni e piedi a tacco, anse sormontate da bugnette, vasi “a tulipano”. Le varie culture sono definite: cultura della ceramica impressa, cultura del Vho di Piadena, cultura di Fiorano. Medio: vasi con orlo e collo a quattro angoli detti “vasi a bocca quadrata”. Superiore: piatti con orlo a tesa, scodelle carenate, vasi troncoconici in ceramica nero-lucida decora- ta talvolta da motivi graffiti; Cultura della Lagozza. Nell’Oltrepò Pavese è finora documentata solo la fase del Neolitico antico con vasi simili a quella del- la cultura del Vho di Piadena (Cremona).

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LA PREISTORIA

PALEOLITICO E MESOLITICO

Il termine Paleolitico (o età della pietra antica) corrisponde a un lunghissimo periodo della Preistoria,durato molti millenni, che in Lombardia è documentato quasi esclusivamente ai piedi delle Alpi o nel-le aree intorno all’alveo del Po. Recenti scoperte nelle zone appenniniche fuori dalla Lombardia potreb-bero fare ritenere di ritrovarlo in futuro anche in Oltrepò.Fu soprattutto nel periodo successivo, detto Mesolitico (8000-5000 circa a.C.), che le comunità uma-ne cacciatrici, in seguito a diverse condizioni climatiche createsi con la fine della glaciazione di Würm,si espansero sia nella zona alpina, sia nella pianura padana. L’Oltrepò non ha però ancora restituito re-sti di quest’epoca.

IL NEOLITICO

Il periodo che vide il passaggio da un tipo di vita basato sulla caccia e sulla raccolta a un'economiafondata sull’agricoltura e sull’allevamento è chiamato Neolitico (5000-2500 a.C. circa).Agricoltura, domesticazione, allevamento, tessitura, produzione di vasellame in ceramica e di asce inpietra levigata sono le grandi scoperte di questo periodo che rivoluzionarono la vita dell’uomo. È pro-prio una di queste scoperte, la ceramica, diversamente modellata e ornata a seconda dei vari momen-ti del Neolitico in cui venne prodotta, che fornisce un grande aiuto per la datazione delle culture.Convenzionalmente il Neolitico si divide in tre grossi periodi, con caratteristiche diverse:Inferiore/Antico: vasi decorati a impressioni ottenute sulla parete ancora cruda - vasi a peduccio, va-si troncoconici con cordoni e piedi a tacco, anse sormontate da bugnette, vasi “a tulipano”.Le varie culture sono definite: cultura della ceramica impressa, cultura del Vho di Piadena, cultura diFiorano.Medio: vasi con orlo e collo a quattro angoli detti “vasi a bocca quadrata”.Superiore: piatti con orlo a tesa, scodelle carenate, vasi troncoconici in ceramica nero-lucida decora-ta talvolta da motivi graffiti; Cultura della Lagozza.

Nell’Oltrepò Pavese è finora documentata solo la fase del Neolitico antico con vasi simili a quella del-la cultura del Vho di Piadena (Cremona).

LA PROTOSTORIA

LE ETÀ DEI METALLI

La prima età dei metalli o Eneolitico è caratteriz-zata da una grande scoperta diffusasi in Europacentro-occidentale a partire dal III millennio a.C.: ilrame.Altro fenomeno comune ad ampia parte dell’Europaè la diffusione di un vaso a forma di campana rove-sciata (vaso campaniforme) che probabilmente ac-compagnava i cercatori di metallo.Su questo periodo le conoscenze sono maggiori circagli aspetti funerari, mentre sono molto più scarsi i rin-venimenti relativi agli abitati.Successivamente l’uomo si rese conto che con l’ag-giunta di stagno al rame si poteva ottenere una legapiù resistente: il bronzo, la cui diffusione in Lombardiacoincide in gran parte con la cultura detta di Polada.Le culture dell’età del Bronzo si svilupparono nel pe-riodo che va dal XVIII al XII secolo a.C. e si distinguo-no per le diverse forme delle ceramiche e dei bronzi.A una grande esplosione demografica avvenuta neisecoli XVI e XII (età del Bronzo Medio e Recente), se-guì, dal XII secolo a.C., un momento di apparentespopolamento che è probabilmente il riflesso deimutamenti politici che avvennero in quest’epoca intutto il bacino del Mediterraneo (si pensi ad esem-pio al crollo della civiltà micenea). Dal XIII secoloa.C. si affermò definitivamente un cambiamen-to nel rito funebre: i corpi dei defunti nonvenivano più sepolti ma erano cremati e siseppellivano in terra solo le ceneri raccol-te in un vaso e accompagnate da altri og-getti di “corredo”.Questo rito permane nell’epoca successiva cheviene chiamata età del Ferro, per l’introduzione diquesto metallo che permetteva la fabbricazione di strumenti più resistenti.Le culture del Nord Italia, in questo periodo, si differenziarono tra loro e le aree geografiche della Lom-

bardia Occidentale e del Piemonte furono prin-cipalmente interessate dalla cultura detta diGolasecca.Questa cultura perdurò, con diverse modalitànei vari secoli, da un primo periodo (Protogo-lasecca XI-IX secolo a.C.) fino a tutto il V seco-lo a.C.Fu un periodo di intensi scambi commercialitra i paesi nord-alpini e il mondo etrusco.L’Oltrepò Pavese, nell’età del Ferro, era abita-to da popolazioni liguri che vivevano in piccoliinsediamenti arroccati sulle sommità delle al-ture (castellieri) e partecipavano in varia misu-ra a tali commerci.Nel IV secolo a.C. l’Italia Settentrionale fu ca-ratterizzata dalla cultura celtica.Nella Lombardia occidentale predomina unapopolazione di ceppo celtico che aveva la pro-pria “capitale” nel sito dell’odierna Milano: gliInsubri, che furono sconfitti nel 222 a.C. daiRomani a Casteggio.

Stampo per realizzazione di oggetti in bronzo

Ricostruzione di un telaio verticale

EPOCA ROMANA

Lo scontro del 222 a.C. fu importantissimo per la conquista dell’Italia Setten-trionale, rafforzata dalla fondazione della colonia di Piacenza 218 a.C., da par-te dei Romani.Vanificò per un certo periodo gli effetti della vittoria l’arrivo del cartagineseAnnibale, che, dopo la battaglia sul Ticino si impossessò di Casteggio, cor-rompendo il prefetto locale, tal Dasio da Brindisi con 400 nummi d’oro, e fa-cendo della cittadina il granaio delle sue truppe stanziate al Trebbia. Nel 197a.C. i Romani riconquistarono Casteggio e la incendiarono per vendetta.Di questo periodo che va dal III al sec. a.C. i ritrovamenti archeologici non di-cono molto. È comunque un momento fondamentale nel quale le popolazio-ni celtiche, ormai pacificate, incontrano i coloni romani e ne assumono velo-cemente usi e costumi.I ritrovamenti di epoca romana più antichi riguardano la seconda metà del Isec.a.C., momento nel quale tutto l’Oltrepò è ormai romanizzato. Dal puntodi vista amministrativo la zona era ripartita tra quella di appartenenza alla colonia di Piacenza e quelleafferenti a Voghera e Tortona (prova di questo sono anche le tracce lasciate dalla suddivisione in par-celle del territorio agrario, la cosiddetta centuriazione, visibile in foto aerea anche ai nostri giorni).I Romani organizzarono il territorio costruendo strade (come la via Postumia), edificando centri urba-ni di una certa consistenza (quali Casteggio e Voghera) e ponendo, all’interno del territorio centuriatole cosiddette ville rustiche, ossia piccole imprese agricole, utilissime sia a livello economico per losfruttamento del territorio, sia a livello culturale per la diffusione delle usanze romane anche nellecampagne.I centri meglio noti grazie agli scavi archeologici sono Voghera e Casteggio.Voghera (Forum Iulium Iriensium) doveva avere un ruolo importante. La colonizzazione romana, avve-nuta dal II sec.a.C., diede l’impronta urbanistica alla città, la pianta quadrata che caratterizza tuttora ilcentro abitato. Con la decadenza dell’Impero romano la città si ridusse a villaggio, affacciato sulle rivedel torrente Staffora.Casteggio (l’antica Clastidium), sorgeva invece sulle rive del torrente Coppa e lungo la via Postumia.Le testimonianze archeologiche si concentrano nella parte bassa del paese dove sono state trovatecase, cimiteri e aree artigianali, ben separati per motivi igienici e di sicurezza. Gli abitanti di Casteg-gio e, in generale, quelli di tutto l’Oltrepò pavese dovevano godere di floride condizioni economichecome documentano gli oggetti di pregio, spesso anche di importazione, trovati negli scavi e i mate-

riali di lusso utilizzati nell’edilizia privata.Sembra lecito pensare che tale ricchezza derivassesoprattutto dallo sfruttamento delle risorse locali.L’intenso popolamento del retroterra pedecollinaretestimonia l’utilizzo del territorio a fini agricoli. Nonmancavano le produzioni artigianali (lavorazione del-l’argilla per la produzione di laterizi, per esempio aMassinigo in Valle Staffora, e di vasellame) e i com-merci, documentati oltre che da oggetti importati an-che da frequenti rinvenimenti di pesi da bilancia.

Fotografia aerea esemplificativa della centuriazione romana

Ritratto di Annibale

CASTEGGIO NELLA VIABILITÀ

Clastidium era inserita in un sistema di comunicazioni che la collegavano non solo alla grande via flu-viale del Po, ma anche ai principali centri romani circostanti: Forum Iulium Iriensium (Voghera), Pla-centia (Piacenza) e Ticinum (Pavia).Il piccolo centro sorgeva sicuramente lungo la via Postumia,la grande arteria stradale realizzata nel 148 a.C. dal consoleSpurio Postumio Albino per collegare Genova ad Aquileia. Ilricordo dell’antica via romana sembra sopravvivere, nel ter-ritorio casteggiano, attraverso il percorso della Romera, la“via dei Pellegrini”, che documenta l’ininterrotta frequenta-zione della strada dall’altomedioevo fino al secolo scorso.Lungo le strade i Romani installavano i miliari, piccole colon-ne in pietra che portavano incisa la distanza in miglia da Ro-ma, o da alcune importanti città dell’Impero.Un frammento di colonna miliaria, rinvenuto a Casteggioreca l’iscrizione NOBILIS CAESARIS III, ed è con buona pro-babilità riferibile a una delle strade che percorrevano il ter-ritorio.

COME SI COSTRUIVA UNA STRADA IN EPOCA ROMANA:

• si delineava la larghezza e si impiantavano i bordi (crepedi-nes), che dovevano contenere la sede stradale;

• tra essi si scavava un fossato, riempito da strati alterni dimateriale consistente, come pietrame, schegge di brecciao cocciame (statumen e rudus), e leggero, come sabbia,pozzolana o calcina (il nucleus);

• su questo fondo si ponevano i blocchi del lastricato strada-le, il summum dorsum, incastrandoli tra loro perché non simuovessero;

• ai lati venivano scavate due fosse per raccogliere l’acquache scivolava dal dorso stradale displuviato, cioè curvato a“schiena d’asino”.

Spesso i tratti stradali extraurbani non erano lastricati, ma inbattuto o in ciottoli (via glarea strata o glareata).

L’OLTREPÒ E IL MONDO DEI DEFUNTI

In Oltrepò sono state rinvenute numerose aree sepolcrali di epoca romana, di differente estensione:talvolta si tratta di tombe isolate, altre volte di vere e proprie aree cimiteriali.Sono attestati sia il rito dell’incinerazione che quello dell’inumazione.Nel territorio oltrepadano, e in particolare a Casteggio, l’uso di cremare i defunti, si prolunga fino al III-IV secolo d.C., momento nel quale generalmente in Italia Settentrionale, e nella zona pavese, l’inuma-zione è ormai prevalente.Per il momento non è possibile sapere se questo avvenisse per il forte conservatorismo delle fami-glie locali, legate ad abitudini del passato, o per una volontà di differenziare individui appartenenti adeterminati “clan” familiari, o per entrambe le cause congiunte.La caratteristica veramente peculiare della zona è l’ampio impiego di laterizi. Sono rare le sepolture infossa in nuda terra nelle necropoli oltrepadane, mentre sono frequenti vere e proprie piccole operearchitettoniche in muratura.Le epigrafi funerarie, costituivano un modo per assicurare al defunto un perenne ricordo, garantivanoil riconoscimento del luogo di sepoltura (proprio come le nostre lapidi), e spesso abbellivano la partecentrale di veri e propri recinti funerari, cioè aree sepolcrali private, talvolta monumentalizzate e de-stinate alla sepoltura di un individuo e della sua famiglia.

Disegno ricostruttivo di cerimonia funebre romana tratto da “A imitazione del lusso. La decorazione dei letti funebri di età romana in Lomellina”

a cura di Rosanina Invernizzi, Milano, 2005, p.11

Esempi di sepolture a inumazione e a cremazione dell’Area Pleba di Casteggio

LA VITA OLTRE LA MORTE

I CORREDI FUNERARI DELLE NECROPOLI ROMANE

L’insieme degli oggetti deposti in una tomba costituisce il corre-do, la cui analisi è di fondamentale importanza ai fini di una data-zione. Nelle tombe si ponevano gli oggetti cari al defunto, le cosedi uso più comune, o, al contrario quelle più preziose (i beni di fa-miglia) e tutto ciò che, secondo la concezione diffusa, poteva ser-vire nel mondo ultraterreno.Pur nella nuova collocazione funeraria, i manufatti continuano co-munque a rinviare alla loro sfera di origine: le suppellettili per lamensa o la cucina, talvolta riempite di cibo, gli attrezzi da lavoro,gli oggetti d’ornamento e quelli da toilette.Essi permettono talvolta di riconoscere il sesso del defunto e, incasi sia pur rari, l’attività svolta durante la vita. Così nelle tombe

maschili si possono trovare falcetti, roncole, coltelli in ferro, in quelle femminili specchi in bronzo o al-tri strumenti per l’igiene personale o il trucco e le fusaiole in argilla.Ma un corredo era formato anche da elementi di maggiore pregnanza simbolica. Tra questi le mone-te e le lucerne che, rispetto all’uso primario, hanno un significato simbolico.La moneta si collocava, al momento della cremazione o della sepoltura, a stretto contatto con il de-funto, spesso in bocca. Questo gesto serviva per garantire ai propri cari il passaggio nel mondo deimorti, pagando il pedaggio a Caronte, il traghettatore delle anime.Le lucerne avevano un significato importante nel rituale funerario, in quanto si trovavano a fianco delmorto quando veniva esposto. Ma non solo, la luce, cui il lume allude, crea un immediato contrastorispetto alle tenebre della morte. Proprio per questo in alcuni casi, questi manufatti erano posti rove-sciati nelle sepolture, a significare l’irreversibilità della morte.Nei corredi erano anche collocati oggetti che rimandano direttamente al rituale funerario, come legrappe e i chiodi in ferro, utilizzati come elementi di connessione di barelle per il trasporto dei defun-ti o di casse in legno, o i balsamari contenitori per gli unguenti, con i quali si cospargeva il corpo. Es-si sono numerosi, in genere, nei corredi femminili, quale corollario indispensabile per la toilette quo-tidiana, ma sono presenti anche in sepolture maschili.

DAL RITO FUNEBRE ALLA VITA QUOTIDIANA

Gli oggetti rinvenuti nei corredi, che garantivano ai defunti la so-pravvivenza nel mondo dei morti, consentono a noi, oggi, di rica-vare informazioni sul mondo dei vivi. I manufatti delle necropoli,infatti, sono generalmente ben conservati e ci permettono di in-tegrare, o ampliare, le conoscenze sui costumi della vita quotidia-na dei Romani dedotte dagli abitati.Il buono stato di conservazione dei reperti archeologici si lega adiversi fattori. Si trattava di oggetti selezionati appositamente peraccompagnare il morto nel viaggio oltremondano, scelti tra i piùpreziosi a lui appartenuti; inoltre essi erano collocati, contestual-mente alla deposizione del cadavere, all’interno di una sepoltura,che veniva immediatamente richiusa. Quindi, a meno che nonsiano intervenuti fenomeni di disturbo, come saccheggi o profa-nazioni di epoca successiva, ci sono giunti pressoché integri.Olle, spesso protette da coperchi, tegami, anforette per la con-servazione dei cibi, di tipo analogo a quelle rinvenute negli abita-ti, garantiscono la realtà del legame stretto tra mondo dei vivi equello dei morti.Inoltre le coppe, le patere, i bicchieri, le bottiglie (olpai) in cera-mica, trovati associati nelle tombe permettono di ricostruire il ser-vizio da mensa “tipo” del mondo romano, costituito appunto da al-meno un recipiente per versare liquidi, da uno per bere e uno per servire il cibo.Nel servizio da mensa romano, non mancavano neppure oggetti in vetro. Le tombe dell’Oltrepò con-sentono così di ricavare molte informazioni sull’uso del vetro, altrimenti destinate a sfuggirci per lascarsità dei rinvenimenti di questo tipo di materiale negli abitati. Questo materiale era assai utilizzatonel mondo romano per le sue caratteristiche che lo rendevano adatto alla conservazione dei cibi, non-ché per la bellezza degli esiti estetici ottenibili con la sua lavorazione. Anche gli unguenti e i balsamiforse si conservavano meglio all’interno di contenitori in vetro, data la frequenza di balsamari nelletombe femminili.

Balsamari in vetro

Olpe in vetro

LA TOILETTE DELLA DAMA ROMANAMoltissime informazioni si ricavano dalletombe sulla toilette di una donna romana.Assai comuni sono gli specchi in bronzo,con la superficie riflettente lucidata o rive-stita da un sottile strato di argento. Se netrovano sia di forma circolare che rettango-lare, forse in origine montati su supporti inlegno o comunque in materiale deperibile,mentre quelli più sofisticati avevano manicoin bronzo.Pinzette e spatole erano usate per la curadella persona e per la pulizia personale.Per mescolare polveri e unguenti tratti daibalsamari, si utilizzavano bastoncini in bron-zo o in vetro, di forma assai semplice. Comesupporto si adoperavano tavolette in pietra,usate anche dai medici per mescolare le pol-veri curative.Scatolette in vetro, in ceramica o in avorio ri-mandano al trucco, operazione che la damaromana compiva ogni giorno con grande cura.

Ve d i a m onel dettaglio come questa operazione veniva svolta: la matrona ro-mana andava a letto praticamente vestita indossando il perizoma,la fascia sorreggente il seno, la tunica e, in caso di freddo, una spe-cie di mantello. Al mattino doveva calzare solo i sandali e avvolger-si nella sopravveste. Non si lavava se non sommariamente. L'occu-pazione che richiedeva più tempo era l'acconciatura per la cui rea-lizzazione la dama aveva bisogno della ornatrix (la pettinatrice).Un altro compito dell'ornatrix era la depilazione e il trucco. La fac-cia e le braccia venivano imbiancate con biacca e gesso, le labbrae gli zigomi diventavano rossi grazie alla feccia di vino rosso o al-l'ocra; un po' di fuliggine serviva infine per annerire il contorno oc-chi. La matrona conservava l’occorrente per il trucco in un cofanet-to. Terminata l'acconciatura la signora si ingioiellava grazie al validoaiuto delle ornatrices.

Sui profumi…Si utilizzano due elementi per fare i profumi: il succo e l’essenza: il succo in genere consiste nei varitipi di olio, l’essenza negli odori. Un terzo elemento è il colore, da molti spesso trascurato: per otte-nerlo si aggiunge cinabro e ancusa.… fu semplicissima la ricetta del rhodinum fatto con l’aggiunta di succo d’uva (o di oliva) acerba, pe-tali di rosa, olio di zafferano, cinabro, calamo aromatico, miele, giunco profumato, fiore di sale o an-cusa, vino… Il più delicato tra tutti i profumi è il susinum, fatto di gigli, olio di ghiande, calamo aroma-tico, miele, cannella, zafferano, mirra…

(da Plinio, Naturalis Historia, XIII, 1-4)

Matrona e ancilla. Affresco da Pompei

Cofanetto da trucco di Pompei.Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Particolare dall’affresco con amorini profumieri. Pompei, Casa dei Vettii, I secolo d.C.da “Vita non brevis. Dal rito funebre alla vita quotidiana”, a cura di Rosanina Invernizzi, Milano, 2004, p.18

LE ABITAZIONI DI ETÀ ROMANA:DOMUS E VILLE RUSTICHE

Non sono molti i ritrovamenti di abitazioni romane nei centri dell’Oltrepò. Gliesempi più significativi vengono da Casteggio, si tratta per lo più di zone re-sidenziali con domus di piccole dimensioniPer quanto riguarda invece l’altra tipologia abitativa diffusa nel territorio, lavilla rustica, diversi ritrovamenti sono stati fatti, nel corso degli anni Novan-ta, nel territorio (per esempio a Castelletto di Branduzzo, Rovescala, Broni).Negli scavi di abitati di epoca romana in Oltrepò, sono stati trovati diversioggetti riferibili ad attività svolte quotidianamente degli antichi abitanti dellazona.Tali manufatti offrono informazioni su tutto ciò che riguardava la vita di tuttii giorni.In genere, per varie ragioni, i materiali provenienti dagli abitati antichi, sonoframmentari e lacunosi, sia per la lunga permanenza nel terreno, sia perchéciò che noi rinveniamo si riferisce all’ultimo momento di vita di una struttu-ra, prima del suo definitivo abbandono, dovuto spesso a eventi funesti, qua-li incendi, vicende belliche, o (come nel caso di Casteggio), esondazioni di corsi d’acqua.

STRUMENTI DA LAVORO · I dischi di macine in pietra erano macchine semplici, non molto diverse daquelle ancora in uso nelle nostre campagne fino a poco tempo fa, costituite da un basamento in mu-ratura, un perno centrale sul quale poggiava il disco e un contenitore per i semi, al quale era fissatauna leva, mossa da un animale.

Falcetti per la potatura, falci per la fienagione, piccoli coltelli a punta perincidere, coltelli a grossa lama per la macellazione, erano gli arnesi in fer-ro più comunemente usati nel mondo romano. L’Oltrepò non ha restitui-to moltissimi strumenti di questo tipo, ma comunque le coti in pietra rin-venute in alcuni scavi, e usate per affilare le lame, ne testimoniano l’uti-lizzo. Grossi pesi da telaio, di diverse forme, e fusaiole (piccoli dischi fo-rati per fare girare il fuso) attestano attività di filatura e tessitura svoltedalle donne. LA TAVOLA · Il servizio da tavola era in genere costituito dall’olpe (la bot-tiglia per il vino o l’acqua), dai bicchieri, in vetro o in ceramica, e dalle cop-pe, utilizzate sia per bere che per contenere salse e spezie con le qualiinsaporire le portate.Le patere, simili alle nostre fondine, erano utilizzate per lo più come piat-ti da portata. In genere gli antichi non si servivano, se non in casi ecce-zionali, di forchette o di posate: il cibo, quindi, doveva giungere sullamensa già tagliato e non troppo caldo.

L’ILLUMINAZIONE · Le lucerne sono gli oggetti comunemente utilizzati nel mondo antico per l’illumina-zione. Nel serbatoio veniva versato l’olio da bruciare, nel foro centrale era posto lo stoppino cui darefuoco.In età romana imperiale le lucerne, realizzate a matrice, portano spesso sul fondo un bollo a rilievo, unvero e proprio marchio di fabbrica, e sul disco una decorazione, spesso rappresentante scene di vitaquotidiana, oggetti d’uso, animali... GLI OGGETTI IN BRONZO · Fra i bronzetti figurati, particolarmente diffusi nel mondo romano, predomi-nano le immagini delle divinità, talora collocate in piccoli altari domestici.Nell’arredamento delle ricche case romane comparivano mobili in legno che recavano ornamentazioniin bronzo, come letti, tavoli, casse o scrigni. Le decorazioni potevano essere di vario genere: soggettifigurati, elementi vegetali, borchie, sempliciguarnizioni, serrature …Bene di lusso era anche il vasellame bronzeo,che rimaneva in uso a lungo e veniva ancheriparato in caso di danni provocati dall’usura.Ancora in bronzo potevano essere realizzatioggetti d’uso comune e quotidiano nelle case(come, ad esempio, gli aghi e gli specchi) od’ornamento (fibule, anelli, bracciali, pendentidi collane, spilloni…), strumenti impiegati nel-l’igiene personale o nelle cure mediche.L’abbondanza dei ritrovamenti in bronzo fatti aCasteggio e nelle ville rustiche del territoriodocumenta la ricchezza della zona in età ro-mana.

Esempio di domus romana

Olla con coperchio e olpein ceramica comune

Ricostruzione dell’utilizzo di una macina romana

LA CUCINA IN ETÀ ROMANA

La cucina-tipo di epoca romana era piuttosto semplice: con un pavimento in terra battuta, o, nei casipiù felici, in mattonelle di argilla cotta, era arredata semplicemente con un tavolaccio in legno usatocome piano di lavoro, scaffali per contenere i diversi recipienti e barattoli e un piano di cottura costi-tuito da una struttura in muratura con un arco per conservare la legna e una parte incavata su cui sifaceva il fuoco e si conservavano le braci. Potevano esserci, all’esterno delle abitazioni, dei forni perla cottura del pane o di grossi arrosti.Per quanto riguarda il vasellame, realizzato al tornio o a mano, si tratta in genere di oggetti piuttostopoveri, in genere in ceramica, più raramente in bronzo.Tra i manufatti più comuni l’olla, un vaso di forma variabile, piuttosto alto che poteva essere utilizzatoper bollire l’acqua o per cuocere carni, legumi, cereali bolliti, come le nostre pentole.Le olle servivano anche come barattoli da dispensa, in genere erano riempite di frutta. Le ciotole era-no utilizzate sia come coperchi che come contenitori o coppe. Talora, private del pomello, potevanoservire come imbuti.Vi erano poi piatti-tegame facenti le funzioni delle nostre padelle per la cottura più veloce di carni, diuova, eccetera.Un altro oggetto comune in cucina era il mortaio, un grosso piatto con tante pietruzze all’interno, usa-to per sminuzzare i cereali e per preparare salse. Non mancavano le botti per la conservazione di gros-si quantitativi di vino e le anfore per la conservazione di acqua, vino, frutta, salse di pesce (garum, li-quamen) di cui gli antichi erano ghiotti.I Romani conoscevano l’uso delle posate: grossi coltelli erano frequenti nelle cucine per tagliare car-ni e ingredienti vari, si conoscevano anche cucchiai e forchette, raramente usati però sulla tavola, do-ve i cibi arrivavano già tagliati.

Tre ricette di epoca romanaCome conservare a lungo l’uva. Raccogli dalla vite i grappoli di uva sana: fai ridurre di 1/3 l’acqua pio-vana e versala nel recipiente in cui disporrai l’uva. Impecia bene il vaso, chiudilo e sigillalo il coperchiocon il gesso, riponilo in un locale fresco, dove non penetra il sole e, quando lo vorrai, troverai l’uvafresca. L’acqua si darà agli ammalati invece dell’idromele. Se accomoderai l’uva con farina d’orzo latroverai perfettamente sana.

Torta fredda di asparagi. Prendi gli asparagi ben puliti e schiacciali nel mortaio, innaffiali con l’acqua,fanne una poltiglia e passala nel setaccio. Metti in un piatto i beccafichi svuotati delle interiora. Pestanel mortaio sei scrupoli di pepe, aggiungi in garum e trita bene, poi aggiungi un ciato di vino e uno dipassito. Metti nella pentola dove fai cuocere tutto in tre once di olio. Ungi bene una casseruola e me-scolaci sei uova con garum di vino, vuotaci la purea di asparagi e metti a cuocere sulla cenere calda.Versaci poi il composto e distendici i beccafichi. Fai cuocere: insaporisci col pepe e servi.

Prosciutto. Dopo avere lessato il prosciutto con molti fichi secchi e tre foglie di alloro, scotennalo, in-cidilo a tasselli, che riempi di miele. Rivesti poi come di una nuova pelle il prosciutto con una nuovapasta, fatta con farina e olio. Quando la sfoglia e cotta, levalo dal forno e servilo.

(da Apicio, L’arte culinaria, Manuale di gastronomia classicaa cura di G. Cazzamali, Milano, Bompiani, 1990)

Il mosaico della “cucina” di Marbella (fine I - II sec. d.C.) - da “Vita non brevis. Dal rito funebre alla vita quotidiana”, a cura di Rosanina Invernizzi, Milano, 2004, p.11

LA FINE DELL’IMPERO ROMANO

L’OLTREPÒ PAVESE IN EPOCA TARDOANTICA

Le nostre conoscenze sull’età tardoantica in Oltrepò sono ancora estremamente lacunose, sia per laframmentarietà della documentazione archeologica sia per la scarsa notorietà dei materiali conserva-ti nel museo. Ci troviamo, infatti, di fronte a testimonianze per lo più sporadiche che non permettonoancora la ricostruzione di un quadro storico completo.I dati ricavabili da scavi o rinvenimenti recenti, sia pur frammentari, consentono di riconoscere le trac-ce di una continuità di vita in alcuni insediamenti o ville rustiche in età tardoromana, almeno fino alIV-V secolo d.C. Alcuni di essi sono posti lungo le direttrici della viabilità romana, altri nella zona colli-nare.Per quanto riguarda i due principali centri urbani formatisi in età romana, Casteggio e Voghera, solonel primo caso siamo in grado di riconoscerne la vitalità in epoca tardoimperiale, grazie alle ultime in-dagini archeologiche. Ben pochi sono invece gli indizi per documentare una continuità tardoantica diVoghera, al di là della sopravvivenza del toponimo (Iria) negli itinerari stradali.

CASTEGGIO NEL PERIODO TARDOANTICO

La vitalità di Clastidium in epoca tardoantica, già indiziata da alcuni materiali provenienti dai ritrovamen-ti ottocenteschi, è stata chiaramente messa in evidenza dai più recenti scavi effettuati nel centro.L’indagine archeologica in via Emilia-Coralli ha rivelato una fase di riutilizzo, databile al III-IV secolo d.C.,di una domus romana costruita nel I secolo d.C.Lo scavo dell’area Quaglini ha dimostrato l’esistenza nel IV-V secolo d.C. di edifici residenziali di unacerta consistenza, dotati anche di pavimentazioni durevoli e di impianti di riscaldamento. Queste strut-ture vengono ancora ricostruite dopo una distruzione per incendio, databile con precisione alla secon-da metà del V secolo grazie alla presenza di un ripostiglio monetale. I materiali rinvenuti negli stratitardi attestano ancora l’esistenza di importazioni e quindi di commerci: è questo il caso della terra si-gillata chiara, delle lucerne e delle anfore, importate dall’Africa e dall’Oriente.Si può quindi supporre che Clastidium abbia goduto di prospere condizioni economiche almeno finverso la fine del V secolo, prima che le esondazioni dei locali torrenti seppellissero la zona bassa.Tra i vecchi ritrovamenti assai interessante è quello di una fibbia in bronzo, originariamente rivestita diuna laminetta aurea, datata al V-VI secolo, in una tomba messa in luce nel 1930 in località Masona:si tratta finora dell’unico elemento dell’orizzonte culturale “barbarico” proveniente con certezza dallazona.

Fotografia di scavo di una tomba tardoantica di Casteggio, area Quaglini

IL MEDIOEVO IN OLTREPÒ

Il territorio oltrepadano subì certamente le conseguen-ze del passaggio di eserciti nel periodo delle invasionibarbariche. Una leggenda molto romanzesca vorrebbeCasteggio distrutta dal re dei Goti, Totila nel 538 d.C.Nel 572 d.C. Pavia fu conquistata dai Longobardi, chene fecero la loro capitale. Non è nota la geografia am-ministrativa della provincia di Pavia in questo periodo. Ritrovamenti di epoca longobarda, sia pure di modestaentità, sono stati fatti in Oltrepò pavese nel territorio diRivanazzano; sono del tutto assenti testimonianze do-cumentarie scritte, alcuni toponimi (come i nomi deitorrenti Staffora e Bardonezza) costituiscono prove indi-ziarie della presenza di questo popolo.Nella successiva età carolingia il territorio pavese fu di-viso in Comitati. Ne esistevano diversi: il territorio a suddel fiume Po apparteneva, nella parte occidentale, allacontea di Tortona, la parte centrale e orientale (inseritanella Diocesi di Piacenza) non è noto se fosse ancorasotto l’influsso amministrativo piacentino come in epo-ca romana.Intorno all’anno Mille il Comune di Pavia cominciò aestendere la propria influenza sull’Oltrepò Pavese, dovegià il Vescovo e vari monasteri della città avevano este-so la propria signoria.Voghera, tra il X e il XII secolo era invece indipendenteda autorità esterne, fatta salva quella imperiale; era unacittà florida e dedita a diverse attività artigianali, come èdocumentato anche da ritrovamenti archeologici (come

quello di Piazza Duomo). Una battuta di arresto fu data sicura-mente dall’arrivo del Barbarossa che occupò la città nel 1155 ela distrusse poi tre anni dopo.Nel 1164 Federico I emise un decreto imperiale che attribuì aPavia gran parte dell’Oltrepò. Rimaneva indipendente il Marche-sato dei Malaspina, che comprendeva gran parte del territoriomeridionale. Per il possesso di queste terre Pavia dovette lotta-re a lungo con i Comuni vicini, specie con Piacenza, raggiungen-do infine una certa stabilità di confini.I Pavesi esercitarono sul territorio un potere signorile, mante-nendo per secoli una posizione di privilegio rispetto agli abitantidelle campagne. I nobili pavesi vi possedevano beni fondiari,questa situazione sussisteva ancora nel XVIII secolo.In questo periodo vengono costruiti, dalle famiglie dominanti, di-versi castelli nel territorio.

Croce longobarda

Il Castello Malaspina di Oramala (Varzi, PV)

IL COLLEZIONISMO

Per collezionismo si intende la raccolta, la conservazione e l’esposizione a un pubblico più o meno ri-stretto di oggetti di qualsiasi origine e provenienza, seguendo uno scopo determinato: prestigio per-sonale, investimento economico, testimonianza di interesse per un’epoca storica, o una particolareforma d’arte o artigianato.Nelle antiche civiltà dell’Egitto, della Mesopotamia e della Grecia erano i santuari i principali centri diraccolta delle opere d’arte, destinate come offerte votive alla divinità locale. Molte di queste furono poiportate a Roma come bottino di guerra e sollecitarono la formazione, nella capitale, di un diffuso col-lezionismo d’arte e di un ampio mercato di opere per lo più greche. Dal Medioevo fino al Rinascimento fu il gusto per il prezioso (oreficerie, lavori in osso ed ebano, tes-suti) e per il raro (reliquie, curiosità naturali) a caratterizzare i tesori ecclesiastici e le collezioni laiche. Nel XVI e XVII secolo i prodotti della natura, dell’arte e della tecnica vennero raccolti senza distinzioniper soddisfare le esigenze di aggiornamento in ogni campo del sapere da parte degli uomini del tem-po (le cosiddette “Wunderkammern”, o “Camere delle meraviglie”).Il collezionismo moderno nasce però solo tra il Settecento e l’Ottocento, dopo l’Illuminismo e i con-seguenti rivolgimenti politici: la soppressione degli ordini religiosi, la decadenza dell’aristocrazia,l’emergere della nuova classe borghese furono tutti fattori che contribuirono alla creazione di un mer-cato d’arte di più vasta circolazione. Sulla base delle teorie illuministiche si andò, inoltre, affermandol’idea di pubblico godimento delle opere d’arte, che diede luogo alla nascita dei primi musei nelle gran-di capitali europee, alla quale molti privati contribuirono, donando le proprie collezioni.In Italia, solo dopo l’unità si cominciò ad avvertire il problema di conservazione dei beni culturali na-zionali. Nacquero i musei civici in seguito a donazioni di privati e alla confisca dei beni ecclesiastici.Un esempio a noi vicino, in questo senso, é il Museo di Pavia, nato da un lascito privato, e costante-mente arricchito da donazioni di cittadini.Ma il fenomeno del collezionismo privato continuò, come del resto sopravvive oggi. Anche nell’ambi-to del territorio pavese diverse furono le raccolte formatesi tra l’Ottocento e gli inizi del Novecento, divaria entità ma in genere non cospicue. Gli oggetti che le componevano erano principalmente le te-stimonianze archeologiche locali, ma non mancavano pezzi provenienti da altre zone dell’Italia (preva-lentemente dall’Etruria e dalla Magna Grecia) o dall’estero, frutto forse di viaggi. La scelta degli ogget-ti corrispondeva solitamente a un gusto estetico-antiquario. Veniva privilegiato il pezzo prestigioso,possibilmente intero o comunque in buone condizioni, fabbricato in materiale nobile (il bronzo, il ve-tro, la ceramica dipinta o decorata) o il reperto per qualche motivo “curioso”; erano molto amate lemonete.Anche il Museo di Casteggio, dopo la sua nascita, fu arricchito di reperti, di provenienza sia locale cheextraterritoriale, donati da privati che vollero legare il loro nome alla nuova istituzione.

Esempi di “Camere delle meraviglie”

AL DI LÀ DELLA VITA

LE SEPOLTURE DI ETÀ ROMANA

La sepoltura, oggi come in antico, è il momento più alto dell’espressione del rapporto tra i vivi e i mor-ti, l’occasione per rendere omaggio al defunto e assicurargli, tramite appositi riti, un riposo tranquillonell’Aldilà.Le fonti letterarie, epigrafiche e artistiche testimoniano il profondo senso religioso che, nel mondo an-tico, caratterizzava le manifestazioni sociali legate al rituale funerario e i ritrovamenti archeologici necostituiscono una conferma.La scoperta di una necropoli antica permette, infatti, di ricostruire oggi modi e riti di sepoltura e di in-dagare le credenze e le superstizioni legate agli usi funerari.La necessità di mantenere il ricordo del defunto, si accompagnava alla convinzione che questi conser-vasse una propria individualità anche nel mondo ultraterreno. Quindi si rendevano riconoscibili i luo-ghi di sepoltura con epigrafi, monumenti, segnacoli di vario tipo e si ponevano, all’interno delle tom-be, gli oggetti usati quotidianamente, quale garanzia di sopravvivenza.Nel mondo antico, esistevano principalmente due riti: quello dell’inumazione (la deposizione del cada-vere integro nel luogo di sepoltura) e l’incinerazione (la cremazione della salma e la successiva depo-sizione dei resti nella tomba). La scelta dell’uno o dell’altro rito dipendeva da diversi fattori: da tradi-zioni familiari, locali, culturali, o genericamente dall’uso dei tempi.Allo stesso modo il tipo di sepoltura, dalla semplice fossa in nuda terra alla struttura più complessa,costruita con coperture in mattoni, era legato a fattori di moda, ma anche, e soprattutto, alla reperi-bilità dei materiali.

I tipi di sepoltura attestati nel cimitero dell’Area Pleba di Casteggio

Inumazione Cremazione

IL MATERIALE LAPIDEO NELLE SEPOLTURELa sepoltura all’interno di sarcofagi, già praticata nel mondo greco e in altre civiltà del Mediterraneo, si diffu-se nella cultura romana particolarmente dal II secolo d.C., quando il rito dell’inumazione cominciò gradata-mente a soppiantare quello della cremazione.Gli esemplari più preziosi erano in marmo e decorati a rilievo, con motivi ornamentali, figure o scene che ave-vano un contenuto simbolico legato all’ideologia funeraria pagana e alla mitologia dell’Oltretomba. Vi erano,però, anche casse più semplici, prive di decorazione, magari solo contrassegnate da un’iscrizione con il no-me del defunto, e realizzate in pietre meno pregiate.L’uso dei sarcofagi e molti elementi del repertorio figurativo passarono al mondo cristiano: ovviamente la sim-bologia funeraria fu adattata ai diversi contenuti della nuova religione. Per la loro forma particolare, dopo lafine della civiltà antica, vennero spesso riutilizzati come vasche per fontane o come abbeveratoi per animali(è il caso avvenuto alla maggior parte dei sarcofagi conosciuti nell’Oltrepò).Nelle necropoli le tombe potevano essere contrassegnate da segnacoli in superficie, come stele, cippi, are,monumenti funerari più o meno complessi, che recavano iscrizioni con il nome del defunto, o dei defunti, edisposizioni legate alle volontà testamentarie: tale usanza è ampiamente attestata a Casteggio e nell’Oltre-pò. Un cippo funerario è il celebre monumento di Atilia Secundina, rinvenuto nel 1789 in via Roma e oggiconservato a Pavia nel palazzo centrale dell’Università. Di forma quadrangolare, dotato di una cuspide sor-montata da una pigna, reca la dedica di Marcus Labikanus alla moglie Atilia Secundina, morta all’età di dicias-sette anni, e ai suoceri.Il monumento è importante perché conferma l’appartenenza amministrativa del territorio di Casteggio alla co-lonia di Piacenza.Un altro cippo, forse anch’esso originariamente con terminazione cuspidata, venne ritrovato nel 1957, nelterritorio extraurbano di Casteggio, nella necropoli della Fornace Locatelli. L’iscrizione, che riporta le dimen-sioni dell’area sepolcrale, reca la dedica di Laria Amabilis al marito Marcus Petronius, decurione di Placentia:si tratta di un’altra importante attestazione del legame amministrativo fra Clastidium e il centro emiliano. Nell’Oltrepò sono attestate anche stele funerarie con i ritratti dei defunti (per esempio, a Pietra de’ Giorgi,reimpiegate nella chiesa di S. Maria Assunta; a Torre degli Alberi, nel castello dei conti Dal Verme).Un frammento di ara funeraria è probabilmente il blocco in pietra calcarea proveniente da Tronconero, riuti-lizzato come vera di pozzo. Su di esso sono scolpiti, a bassorilievo, un coltello sacrificale e un mestolo perle libagioni. Il monumento a cui il frammento era pertinente era probabilmente costituito da un basamentosormontato da un corpo quadrangolare con fascia decorata nella parte superiore ed eventuale coronamento.

Iscrizione di C. Calusius PhiloIl frammento forse pertinente a una stele funeraria, in arenaria locale,fino al 1974 era murato nel cortile dell’Arcipretura. Si tratta di un pez-zo di reimpiego, tagliato lungo il bordo destro, la cui provenienza daClastidium è altamente probabile. La lettura più recente propone il testo:

C(aio) Calusi[o C(ai) lib(erto)]Philo [---]C(aius) Calusius [C(ai) f(ilius) ---]testam[ento]fieri iu[ssit---]

Caio Calusio figlio di Caio ordinò che venisse fatto testamento a favo-re del liberto di Caio, Caio Calusio Filo

Iscrizione di Publilius ExsoratusFu ritrovata nel 1857 nell’antico alveo del torrente Coppa, allora già deviato, in scavi peril prelievo di ghiaia; gli stessi scavi misero in luce anche i piloni di un ponte romano. Eraprecedentemente murata nel “Voltone” del palazzo comunale. La lettura più recente propone il seguente testo:

[_P]ublilius / Exsoratus / locum sibi / et suis / in fron / tem p(edes) XX / in agrump(edes) XXV / et Secun / dae Uriae / Boiae l(ibertabus).

Publilio Exorato (predispose) una sepoltura di 20 piedi verso la strada e di 25 piedi ver-so la campagna per sé e per le sue (liberte) Seconda Uria Boia (le dimensioni del recinto funerario corrispondevano a circa 6 x 7,50m).

Calco di iscrizioneL’iscrizione, rinvenuta nel 1909 fra iresti di un edificio romano in via Emi-lia, era probabilmente pertinente a unmonumento funerario. Nonostante lalacunosità e la frammentarietà del te-sto, ha una notevole interessa docu-mentario perché riporta il toponimoClastidium, confermando la coinci-

denza del centro antico con la località attuale. Il calco con-servato in museo è diventato ora assai importante, per-ché l’originale, che stava nel cortile dell’Università di Pa-via, è stato rubato nell’estate 1998.