Panico - Il Programma ACT - Pietro Spagnulo

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Pietro Spagnulo

Panico

Il programma ACT

Come superare il problema con la terapia

cognitivo comportamentale di terza

generazione

ECOMIND

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Introduzione

Questo libro si basa su un programma avanzato per il trattamento del disturbo di panico. Si chiama

ACT che vuol dire Acceptance and Commitment Therapy ed è l'ultima frontiera della ben nota

terapia cognitivo comportamentale. Nella precedente edizione di questo libro sono stato molto

attento ad esporre i principi dell'ACT e della terapia cognitivo comportamentale. In questa

edizione ho deciso invece di concentrarmi sulle cose da fare. Se il lettore ha interesse ad

approfondire gli aspetti scientifici degli argomenti qui trattati, ha a disposizione una quantità

considerevole di testi di altissimo livello. Ma si tratta di un campo specialistico. Qui è sufficiente

dire che l'ACT, insieme alla mindfulness hanno fatto avanzare la terapia cognitivo comportamentale

di un altro importante passo. E' la cosiddetta terza onda della terapia cognitivo comportamentale.

Gli elementi di novità riguardano il modo di affrontare la tematica dei pensieri e delle convinzioni e

la capacità di riconoscere il lavorio della mente in quanto tale. Da un punto di vista pratico, è ilmezzo più brillante per apprendere ad uscire dalle trappole della mente e rimettersi in viaggio nel

 proprio percorso vitale.

Ma veniamo al tema specifico di questo libro: il panico.

Dopo dodici anni di lavoro intensivo con il disturbo di panico, credo di aver seguito alcune

centinaia di persone che ne soffrivano in modo più o meno grave.

La scena è sempre la stessa.

All'inizio è tutto un disastro, la vita sembra composta esclusivamente da momenti di allarme o di

rinuncia rassicurante, il panico è una sciagura, e tutta l'attenzione sembra focalizzata sulla terribile

eventualità di avere altri attacchi di panico.

Poi, lentamente, man mano che le persone affette da questo disturbo apprendono ad affrontare il

 problema in modo concreto, man mano che acquistano confidenza con le proprie emozioni e le

 proprie sensazioni, le persone cominciano a vivere la propria vita e a sciogliere questa curiosatrappola mentale.

E allora cambia tutto.

 Non è più l'ansia al centro del mondo, ma è il mondo che si schiude con le sue gioie e i suoi dolori

e comincia ad essere vissuto in modo più aperto, intenso, vero.

Vorrei citare solo una frase di un mio paziente che ha concluso la terapia

alcuni anni fa. E' una frase bellissima che racchiude tutto il senso della terapia del panico:

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...e pensare che non mi muovevo di casa per paura dell'ansia. Ora so che di ansia

non si muore. Invece si muore rinunciando a vivere. Ma da quando ho capito questo,

da quando potrei stare in ansia senza problemi, da quando non ho più paura che mi

vengano gli attacchi di panico, curiosamente non mi vengono più neanche quelli...

Sì, il disturbo di panico non è altro che questo: la paura di avere attacchi di panico.

Consegnare la propria vita all'inutile missione di evitare che vengano attacchi di panico.

E questo comporta due sole possibili conseguenze: la fuga o il panico.

Un tempo avevo un po' timore di dire le cose in questo modo, con un po' di durezza e

sfacciataggine.

Ora so che tanto vale dirlo subito, perché tanto prima o poi bisogna rendersi conto che il panico

non è una condanna, ma una trappola mentale da cui si può uscire con un po' di impegno,curiosità, allenamento.

Di panico puoi guarire, e ti consiglio di farlo in fretta. Non dedicare più un solo istante della tua vita

a scappare dalla tua ansia. Affrontala, vivila, accogli le tue emozioni così come sono, non averne

 paura.

La guarigione dal disturbo di panico dipende solo da te, dalla tua motivazione a non occuparti più

del compito ingrato di fuggire dall'ansia.

Perché se le vai incontro, l'ansia ti sarà grata e ti lascerà in pace.

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Ansia, panico e Disturbo di Panico

Probabilmente sai già che una persona su tre ha avuto degli episodi di panico nel corso della

 propria vita. Ma solo una su cento sviluppa un disturbo di panico.

Infatti, le persone che non sviluppano il disturbo, dopo un episodio di panico lo rubricano come unfenomeno emotivo e non se ne fanno un problema. In pratica sono già guarite.

Chi soffre di Disturbo di panico, invece, comincia a mettere al centro della propria attenzione

questi episodi e comincia a sviluppare dapprima il timore, poi il terrore di averne degli altri.

Una componente essenziale del Disturbo di panico è l'idea che il panico sia un fenomeno

catastrofico del tutto incontrollabile con conseguenze devastanti e che si debba fare di tutto per 

non averne degli altri.

E' interessante notare che nessuno studioso si è dato la briga di definire quale sia il grado di ansia

che possa essere denominato panico. In psichiatria la distinzione è poco rilevante. Il panico è ansia

molto intensa. Comunque è ansia. E l'ansia è il modo con cui il nostro corpo si attiva quando si

sente in pericolo.

Ma c'è qualcosa che contraddistingue il panico dall'ansia.

E' una caratteristica amplificazione dell'ansia dovuta al fatto che l'ansia viene percepita come

estremamente pericolosa.

Si può ben capire come mai l'ansia diventa panico. Se uno stato di lieve allarme suscita la paura di

avere un attacco di panico, ciò non fa altro che aumentare l'ansia e con questa la paura di un

attacco imminente, fino al panico.

E il terrore di avere altri attacchi di panico che porta le persone ad avere attacchi di panico!

Ed è il terrore di avere nuovi attacchi di panico che porta le persone ad evitare situazioni e

circostanze che potrebbero attivare il panico, a cercare la compagnia di altre persone “di fiducia”

 per non sentirsi soli, a cercare la vicinanza di posti familiari, di presidi medici, ad evitare ogni

situazione che si presenti “senza vie di fuga”.

Insomma si entra in una trappola mentale per cui il panico alimenta se stesso o riduce la libertà di

azione.

Per superare il problema bisogna fare il contrario di quanto si fa comunemente.

Invece di temere il panico bisogna familiarizzarsi con le sensazioni di ansia e dunque ridimensionare

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sempre di più il problema.

Invece di cercare di controllare l'ansia in tutti i modi è importante apprendere ad avere ansia come

tutti.

Invece di fuggire da tutte le situazioni che generano ansia bisogna affrontarle.

Quando dico queste cose ai miei pazienti, loro in genere dicono: sì è vero, ma come faccio? Nonriesco a fare quello che dice lei, dottore.

E in effetti, all'inizio è vero. Per fare queste cose è necessario un certo allenamento con un buon

allenatore.

E allora, in sintesi, per superare il problema risolutamente, radicalmente e definitivamente bisogna

assolutamente apprendere a fare tre cose:

1. Capire che il panico non è una catastrofe

2. Apprendere a calmarsi

3. Fare un programma di esposizione

Bene, mettiamola così: puoi superare il problema e questi sono i tre passi indispensabili per farlo.

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PARTE I

Convincere la testa

In questa parte ci occuperemo della testa, cioè della nostra capacità di razionalizzare, spiegare,

classificare e organizzare i concetti.

E' difficile affrontare qualsiasi progetto, o prendere qualsiasi decisione se la nostra parte razionale

individua grossi ostacoli o incoerenze.

Per questa ragione, il nostro primo compito è di convincere il nostro cervello che uscire dal panico

è un progetto realistico e auspicabile.

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Superare le convinzioni distorte

Se siamo in qualche modo ancora un po' convinti che effettivamente nei momenti di panico possa

accaderci qualcosa di molto negativo, sarà difficile continuare questo programma. E' veramente

fondamentale sapere, almeno a livello di considerazione retrospettiva, ora, mentre non sei in ansia,

che le paure sperimentate durante un attacco di panico sono irragionevoli.

Se c'è il dubbio che quelle paure possano essere fondate, è impossibile andare avanti. La testa

dirà no! E non se ne farà nulla.

Pertanto vale veramente la pena ritornare su questo punto finché non sarai sufficientemente

convinto che nessuna delle paure sperimentate durante gli attacchi ha fondamento. O quanto meno

è essenziale convincersi che per nessuna di quelle paure, per quanto sconvolgente nel momento in

cui si prova, vale la pena di continuare a fuggire.

Ricorda: non stiamo mettendo in discussione l'intensità delle paure nei momenti di panico. Stiamo

solo mettendo in discussione la ragionevolezza di quelle paure!

Chi soffre di panico spesso confonde questi due livelli.

Quando chiedo a chi soffre di disturbo di panico quanto sia ragionevole la paura di morire o di

impazzire o qualsiasi altra paura, spesso mi sento rispondere: "lo so che non muoio, ma in queimomenti...". Ebbene, NON stiamo mettendo in discussione l'intensità della paura in quei momenti!

Probabilmente la reazione di queste persone dipende dal fatto che alcuni amici e parenti possono

aver sminuito le paure considerandole ridicole. E questo le ha ferite.

Ma è importante capire che il passo che stiamo compiendo ora non ha nulla a che fare con questo.

 Non stiamo svalutando, disprezzando, ridicolizzando le paure.

Stiamo solo dicendo: quelle paure, quanto sono ragionevoli?

Questo passo non significa superare la paura, ma è indispensabile per andare avanti nel

 programma.

Mettere in discussione le propriepaure

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Mettere in discussione le proprie paure non significa mettere in discussione l'intensità di una

 paura.

Significa valutare l'accuratezza di una paura.

Anche se una paura è estremamente intensa, noi abbiamo tutto il diritto di metterla in

discussione. Di valutarne la fondatezza.

Mettere in discussione una paura non significa superarla, ma aiuta ad affrontarla, e dunque a

superarla.

 Non temere mai di mettere in discussione le tue paure.

Ora che hai compilato il diario delle situazioni di ansia o evitamento, è opportuno fare un altro

esercizio.

Per ciascun episodio che hai descritto nel tuo diario dell'ansia, prova a dare un

punteggio, da 0 a 5 relativo a quanto veramente ti convince la tua paura.

Se, ad esempio, nel tuo diario sei fuggito via da una certa situazione per paura

di svenire, chiediti molto francamente, quanto ci credi veramente?

E' importante portare il grado di convincimento a meno di 2. Altrimenti è molto improbabile che tu

riesca a proseguire il programma. E' naturale evitare di fare certe cose se pensi veramente che tu

 possa morire!

Torna allora a leggere la prima parte di questo libro e prova a dare alle tue sensazioni una

spiegazione diversa. Ad esempio, è possibile che queste sensazioni possano dipendere dall'ansia enon dalla morte imminente?

E' essenziale chiarirsi le idee su questi aspetti preliminari, altrimenti la prosecuzione è letteralmente

impossibile. Molte persone non risolvono i loro problemi di panico solo perché in qualche modo

sono un po' convinte, anche a posteriori, che il panico possa comportare conseguenze disastrose.

Il superamento di queste convinzioni è fondamentale.

L'aiuto di un buon psicoterapeuta cognitivo comportamentale serve innanzitutto a liberarsi da

queste convinzioni erronee.

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Se invece ti senti già sufficientemente convinto che le paure, per quanto intense, non sono fondate,

allora vai avanti nel programma.

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Capire le proprie paure

Che le si giri e le si volti, le paure che attanagliano le persone che soffrono di disturbo di panico

sono sempre le stesse quattro:

1. paura di avere un grave malore, di svenire, di essere soffocati e/o di non essere soccorsi

2. paura di impazzire

3. paura di perdere il controllo

4. paura di comportarsi in modo imbarazzante davanti agli altri o di mostrare la propria debolezza

Alcune persone sono particolarmente prese da una di queste paure. Ma è molto frequente che dueo più di queste paure si combinino tra di loro.

Ad esempio, alcune persone iniziano a temere un grave malore, poi vedendo che non sono mai

morte, cominciano a preoccuparsi di mostrare quest'ansia davanti agli altri e dunque temono

esposizioni pubbliche. Altre persone cominciano a temere di impazzire. Poi non impazziscono ed

allora cominciano a temere di perdere il controllo e di fare cose assurde. E così via.

Bene, il primo compito di un programma di liberazione dal panico è di convincersi che nessuna diqueste paure merita tanta apprensione.

Paura di avere un grave malore, di svenire, di esseresoffocati e/o di non essere soccorsi.

E' la paura più diffusa, soprattutto all'inizio. E' comprensibile pensare questo all'inizio. Si tratta di

sensazioni intense di ansia con tremori, vertigini, senso di gambe molli, nodo alla gola, costrizione

toracica, etc. etc.

Ma perché poi crogiolarsi in questa paura?

E allora, diciamo subito che nessuno è mai morto per un attacco di panico in se stesso.

Cosa vuol dire in se stesso?

Vuol dire che tutti dobbiamo morire prima o poi e che nessuno può evitare il rischio di avere ungrave malore. Ma il panico non è una causa necessaria e sufficiente per avere queste conseguenze.

In altri termini, se siamo destinati ad un grave malore fisico o alla morte accidentale, l'evento

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tragico avverrà comunque e non accadrà certo per causa esclusiva del panico.

Ad esempio, se siamo prossimi ad un infarto, può bastare anche una piccola arrabbiatura per 

averlo. Oppure si può avere un infarto nel sonno. E lo stesso vale per gli ictus e tutti gli accidenti

vascolari. Non ci si preserva da questi eventi preservandosi dal panico. La prevenzione degli

accidenti vascolari ha ben altre basi: bisogna fare un'alimentazione corretta, non bisogna fumare,

 bisogna fare attività fisica e controllare la pressione.

Inoltre, anche in caso di infarto, è meglio cercare di star calmi o è meglio spaventarsi per il fatto di

essere spaventati?

Il programma cognitivo comportamentale, che include il training per apprendere a calmarsi, fa

 bene anche per gli accidenti cardiaci.

Una parola specifica per lo svenimento. Il panico attiva la vigilanza, non la riduce.

Queste paure derivano da alcune percezioni corporee che vengono interpretate malamente.

Ad esempio, durante un attacco di panico il cuore batte più in fretta e questo può essere

interpretato come un malore cardiaco. Ma è solo l'ansia che fa battere il cuore più in fretta.

Lo stesso discorso vale per lo svenimento. Alcune persone avvertono delle vertigini o un vuoto alla

testa. E queste percezioni vengono interpretate come possibili svenimenti imminenti. Le sensazioni

di vertigini e di vuoto dipendono invece da lievi stati d'ansia iniziali e dall'iper-ossigenazione per 

effetto della respirazione più intensa. Per procurarsi questa sensazione basta respirare

 profondamente per mezzo minuto.

Un'altra paura molto frequente è la paura di soffocare.

Spesso un “nodo alla gola” oppure un senso di oppressione toracica alimentano la convinzione che

si stia per soffocare. E' importante sapere che queste sensazioni dipendono dall'ansia e non da un

 problema respiratorio.

Paura di impazzire

 Nessuna persona al mondo è mai impazzita solo perché ha avuto un attacco di panico.

La “pazzia” è un modo popolare di chiamare la schizofrenia, una grave malattia psichiatrica che ha

 ben altre cause che il panico ed ha ben altre manifestazioni. Di panico non si impazzisce. Hai mai

conosciuto una persona che è impazzita perché ha avuto un attacco di panico? Sei mai impazzito o

impazzita dopo un attacco di panico?

Qui il problema è la confusione tra la “sensazione” di impazzire, e “impazzire” realmente.

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La sensazione di impazzire è legata ad una percezione diversa della realtà e di se stessi durante un

attacco di panico. Il panico è un fenomeno legato al meccanismo attacco fuga che è un

meccanismo ancestrale per la sopravvivenza. L'attivazione del meccanismo attacco fuga serve ad

attivare tutte le reazioni della persona al pericolo: aumento del battito cardiaco, aumento della

respirazione, muscoli tesi e pronti a reagire con la fuga o l'attacco. Un aspetto della reazione

attacco fuga è la concentrazione sul pericolo. Ebbene questa concentrazione (hai mai visto un

animale impaurito?) è la responsabile della sensazione strana di impazzire. In realtà si è super 

concentrati sul pericolo e dunque tutto il resto passa in secondo piano. La realtà viene percepitadiversamente e viene interpretata come il segno di un impazzimento.

Il modo migliore di fronteggiare questa situazione è di dirsi semplicemente: sono in ansia e di ansia

non si impazzisce.

Paura di perdere il controllo

Alcune persone temono che durante un attacco di panico potrebbero fare cose assurde come

 perdere il controllo dell'autovettura, lanciarsi da un balcone e così via.

In realtà il controllo è completamente conservato. La prova? Molte persone che hanno attacchi di

 panico mentre guidano, hanno la prontezza di fare manovre difficilissime e a volte spericolate per 

uscire dall'autostrada o fermarsi alla prima piazzola di emergenza. Si possono fare queste cose

senza controllo? No, no e no.

Il problema, piuttosto, è che molto più pericoloso cercare di uscire dall'autostrada o fermarsi in

corsia di emergenza che continuare dritti la propria strada, semmai rallentando e facendo gli

esercizi per calmarsi descritti più avanti.

Paura di far vedere agli altri di star male

Chi ha questa paura tende a non stare in compagnia degli altri in circostanze che potrebbero

determinare un attacco di panico. L'idea di sentirsi male davanti ai propri colleghi di lavoro, ad uncorteggiatore, agli amici, è percepita come devastante. E dunque la reazione è di evitare di uscire

con queste persone, evitare cene, ristoranti, luoghi pubblici.

 Nulla di più negativo.

L'isolamento non porta ad altro che all'amplificazione del problema e ad ulteriore frustrazione.

Bisogna correre il rischio di andare in ansia, apprendere a calmarsi e non stare lì a tragificare.

L'ansia, per quanto intensa, non dura molto. Qualsiasi situazione pubblica può essere affrontata

senza limitazioni se si accetta l'idea di poter stare in ansia. E' il rifiuto totale e radicale di questi

eventi che produce uno stato continuo di ansia anticipatoria e predisposizione al panico. Oppure

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l'evitamento, che è anche peggio.

Generalmente queste persone individuano una o due persone di “fiducia” che conoscono il

 problema. Tutte le altre sono “pericolose”.

Ma si può vivere così? Non è meglio rischiare di farsi vedere in ansia e vivere? Pensaci

seriamente.

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Come funziona la nostra mente

La mente è un organo potentissimo.

Grazie ad essa abbiamo realizzato conquiste scientifiche e tecnologiche straordinarie. I computer,

internet, viaggiare in aereo sono solo esempi della capacità della mente di realizzare sogni.

Ma la mente è anche all'origine della nostra sofferenza. E' proprio a causa della sua straordinaria

 potenza immaginativa e della sua capacità di effettuare collegamenti concettuali di ogni genere che

siamo capaci di creare dei mondi irreali che creano solo sofferenza e non aggiungono alcuna

conoscenza.

Questo avviene nel campo delle emozioni.

Quando la mente affronta le nostre emozioni come se si trattasse di sistemare la carburazione di un

motore cominciano i guai.

Il punto è che i problemi emozionali non si risolvono concettualmente, ma con l'esperienza

emotiva.

Le scoperte dell'ACT partono da qui. E per il panico non c'è nulla di più vero che questo: il panico

è l'effetto di un volo della mente.

Se offriamo a noi stessi l'opportunità di conoscere le nostre emozioni per quelle che sono, le

sensazioni fisiche per quelle che sono, ci accorgeremo che il panico non è altro che l'aggiunta della

nostra mente.

 Nella seconda parte, quando apprenderemo a calmarci, affronteremo praticamente proprio questo

 punto.

Per ora fai questo piccolo esperimento.

Immagina questa situazione.

Incontri per strada una persona a te molto cara, con la quale hai un buon rapporto, tu la saluti e lei

ti guarda, non ti risponde e passa oltre.

A cosa hai pensato? Che emozioni hai provato? Qual è l'idea negativa di te stesso che si è

attivata? Come ti sei sentito come persona?

Per capire il concetto devi fare l'esperimento. E' importante che tu ci metta un po' di impegno e

segua le istruzioni di questo esperimento.

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Ebbene, se hai seguito le istruzioni, hai avuto modo di sperimentare delle emozioni, delle

sensazioni, dei pensieri, solo per aver letto delle parole. Hai solo immaginato una situazione ed hai

 provato delle emozioni e, probabilmente hai espresso giudizi sul tuo conoscente o su te stesso.

Questa è la potenza della mente.

Per quanto possa apparirti strano, il tuo panico ha la stessa natura di questo esperimento.

La mente crea velocemente dei mondi immaginari. Siamo noi a scegliere se seguirli e quanto

seguirli. Nel caso del panico seguiamo questo mondo immaginario alla lettera, senza alcuna verifica

della sua accuratezza e scambiamo questo mondo immaginario con la realtà.

La buona notizia è che per conoscere l'accuratezza dei mondi immaginari che crea la nostra mente

non dobbiamo fare altro che conoscere direttamente ciò di cui la nostra mente parla. E nel nostro

caso si tratta di emozioni. Non dobbiamo fare altro che conoscere le nostre emozioni per quelle

che sono, non per quello che la nostra mente dice di esse.

Ma ora, un po' di pazienza...

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PARTE II

Convincere il corpo

In questa parte ci occuperemo del corpo, cioè della nostra componente affettiva, emotiva del

 panico. L'esperienza di ansia intenso o panico viene istintivamente affrontata con il tentativo di

controllare questa emozione. Purtroppo questo tentativo non solo è destinato all'insuccesso, ma

tende ad aggravare il problema.

Bisogna apprendere, all'opposto, a dialogare con il nostro corpo e a favorire la creazione di calma

con delle tecniche specifiche che non si basano sul tentativo di controllo, ma sulla capacità di

lasciare andare.

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Apprendere a calmarsi

Le spiegazioni ed i concetti che abbiamo espresso fino a questo punto e gli esperimenti a cui

abbiamo lavorato finora possono convincere il cervello, ma non il corpo.

Abbiamo già notato quanto si possa essere convinti della irragionevolezza di certe paure, e altempo stesso avvertirle in modo molto intenso.

Abbiamo tenuto distinti questi due livelli apposta. Da un lato i nostri ragionamenti, dall'altro

l'intensità delle paure.

Ora ci tocca un lavoro più impegnativo. Non si tratta di convincere la testa, ma di convincere il

corpo.

La prima cosa da dire su questo argomento è che non bisogna confondere il concetto di “calmarsi”

con le “tecniche di rilassamento”. E' un errore in cui cadono anche molti terapeuti. Le tecniche di

rilassamento si adoperano per rilassarsi. Qui bisogna apprendere a calmarsi. Cioè a ridurre lo

stato di allarme. Non ha senso apprendere ad essere molto rilassati se poi non si è capaci di

ridurre lo stato di allarme o panico alla bisogna. Le tecniche per calmarsi possono avvalersi delle

tecniche di rilassamento, ma non coincidono con le tecniche di rilassamento. Apprendere a

calmarsi significa apprendere a farlo quando si è in ansia. Non serve a nulla essere completamente

rilassati durante una seduta di massaggi, di yoga, o di training autogeno se non si apprende acalmarsi durante un attacco di panico.

Molte persone mi hanno raccontato di aver praticato per anni yoga, training autogeno, massaggi

rilassanti o altre tecniche per rilassare il corpo e la mente. E lamentano la mancanza di risultati.

Ma è naturale che non ci siano risultati.

Se uno va da un massaggiatore, si sente a suo agio, si stende su un lettino e poi si rilassa fino adaddormentarsi, possiamo solo dire: buona notte e sogni d'oro.

Questo significa solo concedersi un momento di benessere, ma non curare il panico. Per calmarsi

durante un attacco di panico ci vuole ben altro.

E' di questo che parleremo ora.

 Nella parte precedente, dicevamo, ci siamo occupati di pensieri e convinzioni. Insomma ci siamo

occupati di convincere il cervello.

Per calmarsi bisogna convincere il corpo.

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Molte persone non sanno che il corpo è un nostro amico.

Le sue reazioni sono a fin di bene. E noi possiamo avere il massimo dal corpo se vogliamo bene al

corpo.

Quando il corpo è in allarme non bisogna rifiutarlo, trattarlo male, considerarlo un fenomeno di

malattia. Il corpo non sta facendo altro che mettere in moto tutto quello che sa fare per proteggerci

dal pericolo.

Per convincere il corpo che non ha bisogno di stare in allarme bisogna comunicare con i mezzi che

lui capisce.

E allora cominciamo con il dire che il corpo non capisce i ragionamenti astratti.

Il corpo, invece, capisce molto bene il nostro atteggiamento. Il nostro modo di porci rispetto al

mondo e a noi stessi.

Se il nostro atteggiamento è di rifiuto, controllo, tensione, il corpo capisce che fa bene a stare in

allarme.

Se il nostro atteggiamento è di apertura ed accoglimento, il corpo capisce che non c'è ragione di

stare in allarme.

E' tutto qui.

La prima regola dell'arte di calmarsi è di rinunciare a controllare l'ansia.

Ma ora cercheremo di capire meglio questo fenomeno e poi come metterlo in pratica.

Le illusioni della mente

Esistono due modi di apprendere.

Se tocchiamo un ferro da stiro e ci bruciamo, apprendiamo a nostre spese a non toccare il ferro

da stiro. In questo caso apprendiamo dall’esperienza diretta.

Se, invece, qualcuno ci dice che non bisogna toccare il ferro da stiro perché altrimenti ci

 bruceremo, noi apprendiamo grazie al linguaggio, cioè grazie a relazioni tra simboli, e senza

 provare alcun dolore.

La potenza del linguaggio consente dunque di generare previsioni anche molto accurate di ciò che

ci aspetta, senza dover subire le conseguenze di comportamenti pericolosi, dannosi, sgraditi,

inefficaci o inefficienti. Il linguaggio consente di stabilire delle regole di comportamento molto

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 precise, nonostante l’assenza di esperienza diretta.

In questo modo, non solo si progettano edifici, computer, automobili, aerei, farmaci, ed una

quantità di oggetti estremamente complicati ed utili, ma si programmano anche modalità di

relazione con gli altri, ciò che bisogna fare e non bisogna fare.

Un bambino apprende rapidamente che deve mangiare con le posate, non deve lanciare i giocattoli

contro i mobili o le persone, non deve sputare, urlare, attraversare da solo la strada. All’inizioquesti comportamenti dipendono dall’apprezzamento dei genitori, in seguito il bambino apprende

anche che certe regole sono effettivamente utili. Ad ogni modo, molti di questi comportamenti sono

regolati in larga misura dal linguaggio e dalla trasmissione di significati.

 Nel tempo diventiamo così abili a capire e generare regole e significati, da acquisire una fiducia

illimitata nella potenza del linguaggio.

Tuttavia, questa modalità di apprendimento ha un suo lato oscuro.

A volte è proprio la potenza del linguaggio a trarci in inganno.

La nostra capacità di derivare significati da altri significati, regole da altre regole, relazioni da altre

relazioni, è talmente estesa e penetrante, da indurci talvolta a comportarci in modo completamente

illogico e a perseverare in comportamenti palesemente inutili o distruttivi.

Questo apparente paradosso può essere facilmente compreso con un esempio che già

conosciamo.

Se in una certa circostanza, una persona avverte una sensazione di vertigine, e si convince che stia

accadendo qualcosa di brutto (svenimento), quale sarà la reazione?

Ansia, molta ansia.

Ma cosa ha generato l'ansia?

La vertigine?

 No!

L'ansia è generata dalla potenza della mente che ha immaginato una conseguenza della sensazione

di vertigine di tipo catastrofico. Non dalla vertigine in se stessa che è innocua.

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Il controllo come problema

Abbiamo visto che la mente è molto potente, e proprio per questo può anche essere molto

illusoria.

Come abbiamo visto, la nostra mente può partire da un piccolo evento insignificante e costruire unvero e proprio “film”. A quel punto, se entriamo nel film ci sentiremo come il personaggio del film.

E se nel film stiamo anticipando un evento catastrofico la reazione sarà di intensa ansia o panico.

Un altro film illusorio, cioè un’altra illusione della mente, può essere quella in cui immaginiamo di

 poter controllare i nostri pensieri, le emozioni e le sensazioni fisiche.

Come vedremo ora, però, quest'altro film non è meno catastrofico del primo.

Una persona va da uno psicologo per essere aiutata a controllare la propria ansia e gli dice: “Fa’ in

modo che io non provi più ansia.”

Lo psicologo, assolutamente folle, prende alla lettera questa richiesta, e per aiutare la persona a

raggiungere il suo obiettivo, decide di utilizzare una sua invenzione: un’apparecchiatura molto

complicata che è in grado di percepire anche la più piccola quantità di ansia.

Prende l’apparecchio, applica gli elettrodi sul corpo della persona, e le dice: “Per aiutarti a non provare

ansia, ora ti sottoporrò ad un training molto efficace. Questa macchina è in grado di percepire anche un

accenno minimo di ansia.” Poi lo psicologo, sempre più folle, mentre lega il paziente alla sedia con

delle strane manette metalliche, aggiunge raggiante di soddisfazione che se i sensori della macchina

dovessero percepire anche la più piccola sfumatura di ansia, produrranno una fortissima scarica di

corrente elettrica sulla sedia.

Cosa immagini che accada?

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Figura 1: Controllare l'ansia? 

Se questa storiella non ti è bastata, vuoi provare a fare un piccolo esperimento personale?

Bene, allora concentrati. Mettici tutto il tuo impegno. Non mollare un istante e segui la seguentesemplice istruzione:

 NON pensare, neanche per un istante, ad una mela bucata.

Cosa è accaduto? Non hai potuto non pensare a qualcosa senza pensarci, giusto?

Tutto il tuo impegno per non pensare alla mela bucata ti ha costretto a pensarci.

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Figura 2: Non pensare ad una mela bucata

Ma non è finita qui. Hai voglia di fare un altro piccolissimo esperimento?

Ora pensa a qualsiasi altra cosa che non abbia nulla a che fare con le mele e con i buchi.

Cosa è accaduto? Hai pensato a qualcosa che non avesse nulla a che fare con le mele e con i buchi?

Sicurissimo?

Bene, come fai a sapere di non aver pensato alle mele ed ai buchi?

Puoi saperlo solo in un modo: perché hai confrontato il tuo pensiero con la mela e con i buchi. E

 per effettuare questo confronto devi aver per forza pensato in qualche modo alla mela e ai buchi.

Conclusione: ogni tentativo di NON pensare a qualcosa non è altro che un modo di pensarci.

Gli umani hanno inventato tanti modi er illudersi di controllare i ro ri ensieri. Ecco una iccola

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 lista:

1. Dissimulazione

2. Distrazione

3. Evitamento

4. Rassicurazione

Dissimulazione

Entro certi limiti, noi apprendiamo a dissimulare le nostre emozioni, cioè a non mostrarle.

Apprendiamo questa abilità molto presto. Ad esempio, possiamo essere gentili con una persona

che detestiamo, oppure apparire indifferenti in una situazione che ci desta apprensione. A volte la

dissimulazione è semplicemente ipocrisia. Ma a volte si mente agli altri per mentire a se stessi.

Il caso di Carlo

Carlo è un signore sui quaranta anni molto energico e di successo nel suo lavoro impegnativo. Da

alcuni anni soffre di un Disturbo di Panico. Il pensiero che lo perseguita è che gli altri possano pensare

di lui che è una persona debole e incapace. Quando teme di avere un attacco di panico mette in scena

complicati comportamenti allo scopo di non far pensare agli altri che è in apprensione. Ad esempio, se è

al ristorante con qualcuno, dice di essersi dimenticato il cellulare in macchina e torna fuori per prendere

un po’ d’aria. Oppure, per evitare di andare a lavoro in auto da solo, si offre di accompagnare amici e

colleghi, con la scusa di voler “discutere di alcune cose importanti fuori dall’ufficio”.

 Al momento queste strategie sembrano funzionare. Sembra che tutti credano, incluso Carlo, che tutto

vada bene. Ma alla lunga, la reiterata finzione diventa una specie di prigione. E negli ultimi tempi, Carlo

comincia a percepire questa finzione come una umiliante sceneggiata e allora decide sempre più

spesso di non uscire e di non andare a lavoro.

In questo caso, il tentativo di dissimulazione ha per Carlo lo scopo di non far capire agli altri

quando si sente in ansia perché, nelle sue regole interne, avere l’ansia equivale ad un insuccesso

come persona. Ed in qualche modo Carlo prova a crederci anche lui.

Il risultato finale di questo comportamento è una vita sociale finta, limitata e dunque gravemente

insoddisfacente. Inoltre, proprio il tentativo costante di dissimulazione diviene per lui stesso la

“prova” che è una persona debole e incapace: “Mi sono ridotto a raccontare balle! Sono proprio

un debole.”

Ti è mai capitato di tentare di risolvere un disagio emotivo cercando di

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dissimulare le tue emozioni o i tuoi pensieri?

Se sì, quanto ha funzionato questa strategia nel lungo termine? Qual è il tuo

grado di soddisfazione dei risultati di questo comportamento?

Distrazione

La distrazione è un modo a volte molto potente per sviare la nostra mente. Hai mai visto il filmBlow? Il protagonista, un corriere della droga, quando trasportava chili di cocaina da un paese

all’altro, giunto all’aeroporto iniziava a fantasticare “nei minimi dettagli” i suoi incontri amorosi. In

questo modo non faceva trasparire la paura di essere scoperto, e dunque non faceva insospettire

gli agenti. Dunque riuscì per molto tempo a non finire in galera.

Se volontariamente portiamo la nostra attenzione su qualcosa, immaginandola o facendola, la

mente viene assorbita da questi eventi, e dunque è “distratta” dalle sue preoccupazioni.

Molte persone che soffrono di Disturbo di Panico utilizzano le più disparate forme di distrazione

 per non essere presi dai pensieri dell’ansia.

Alcuni iniziano a fare inutili telefonate, altri accendono lo stereo a tutto volume, altri ancora

cercano di pensare a cose futili, rilassanti o impegnative.

Il problema è che la distrazione funziona finché ci si distrae.

Il caso di Anna

 Anna è una giovane insegnante affetta da frequenti attacchi di panico quando è in strada da sola. Molto

intelligente e vivace, ha escogitato un modo molto efficace per distrarre la mente. Quando teme

l’avvicinarsi di un attacco di panico, entra immediatamente nel primo negozio disponibile e chiede ai

commessi di vedere una quantità di articoli che poi non compra mai. Maggiore è l’inutilità del negozio,

migliore è l’effetto. Ad esempio è felicissima di entrare in negozi di pipe o ricambi d’auto, perché sa

benissimo di non averne alcun bisogno. Nel corso di questa operazione si sente talmente ridicola ed in

colpa per scomodare dei commessi tanto premurosi, ben sapendo che non vorrà acquistare nulla, che

questo pensiero le fa dimenticare l’ansia.

Come si vede da questo esempio, la distrazione può essere uno strumento apparentemente molto

efficace di “controllo” delle emozioni. Ma a quale prezzo? La distrazione richiede uno sforzo

intenso e, soprattutto, dura solo il tempo in cui ci si distrae. Quando ci si distrae, inoltre, non solo

ci si allontana dalle emozioni e pensieri indesiderati, ma anche da ciò che è importante per la nostra

vita. La distrazione è a volte una sana risorsa, ma alla lunga crea danni.

Quando sei in ansia provi a distrarti?

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Se sì, cosa fai per distrarti?

Quanto ha funzionato questa strategia nel lungo termine? Qual è il tuo grado di

soddisfazione dei risultati di questo comportamento?

Evitamento

Torniamo a parlare di evitamento. Questa volta però lo faremo entrando nei dettagli dellaesperienza interiore. Evitare le situazioni e le circostanze che potrebbero suscitare emozioni

sgradite si chiama evitamento. L’evitamento ha il fascino dell’ovvietà. Se il ferro da stiro brucia,

non lo tocco. Evitare le occasioni di ansia appare come un modo semplice e indolore di affrontare

il problema “a monte”.

L’evitamento, inoltre, è un comportamento così familiare, per cui è veramente difficile sfuggire al

suo richiamo. Quando andiamo a ristorante non scegliamo le pietanze che non ci piacciono,

quando andiamo al cinema, non scegliamo i film che aborriamo.

Inoltre, l’evitamento è una soluzione ragionevole ed utile quando cerchiamo un aiuto a non fare

delle cose che ci piacciono molto. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Perché lottare contro

me stesso se, essendo a dieta, vedo un gelato in frigo e mi viene voglia di mangiarlo?

Semplicemente è meglio non comprarlo affatto.

Purtroppo, però, vi sono delle forme di evitamento che sono estremamente problematiche e

distruttive.

 Nota attentamente la differenza tra gli evitamenti di cui abbiamo parlato in precedenza ed i

seguenti: se ho paura dei leoni, non vado in Africa, se ho paura degli aerei, non volo, se ho paura

del traffico, non prendo l’auto, se ho paura delle malattie contagiose, non ho contatti con le

 persone.

Tutti questi evitamenti hanno due caratteristiche:

1. Questo tipo di evitamento non si limita ad una specifica e limitata azione, ma riguarda una classe

di azioni molto estesa. Ad esempio, se si intende evitare il traffico, si possono iniziare ad evitare

dapprima le strade molto trafficate, poi quelle che sono talvolta trafficate, poi quelle che

 potrebbero essere trafficate, per poi giungere a non prendere l’auto per nulla.

2. Questo tipo di evitamento riduce più o meno gravemente lo spazio di libertà personale. In altri

termini, l’evitamento determina la preclusione di uno spazio di azione importante per la vita di una

 persona. Di evitamento in evitamento, si finisce con l’evitare di vivere.

Il caso di Antonio

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 Antonio è un impiegato di cinquanta anni. Ricorda che da ragazzo visse una grande delusione

sentimentale che lo avrebbe “segnato per tutta la vita”. Vide la sua ragazza in compagnia del suo miglior 

amico sul molo di un porto turistico della sua città. Dopo qualche anno ha iniziato a soffrire di attacchi di

panico che non lo hanno mai abbandonato. In seguito si è sposato, ha avuto dei figli, e svolge una vita

tranquilla. Il problema è che è troppo tranquilla. La sua vita si è stabilizzata intorno a delle azioni molto

metodiche e ripetitive. Casa, lavoro (vicino casa), casa, fare la spesa (mai da solo), casa. La domenica:

chiesa (vicino casa), passeggiata, casa. Niente vacanze, niente viaggi, niente cene, niente cinema,

niente teatro, niente passeggiate in montagna, niente mare, niente corsi professionali, niente

avanzamenti di carriera, etc. etc.

La vita di Antonio, pur essendo apparentemente tranquilla, è fonte di grande insoddisfazione.

Antonio sa che avrebbe voluto fare tante cose per lui importanti. Gli piace il mare, gli piace il

teatro, gli piace conoscere culture diverse, e soprattutto gli sarebbe piaciuto molto mettere a frutto

il suo talento nelle materie economiche con dei corsi ed avanzamenti di carriera che, nella sua

amministrazione, sarebbero stati assolutamente possibili e auspicabili.

Antonio vive sostanzialmente nel rimpianto di ciò che “avrebbe potuto fare” e non ha fatto. Ed ora,

quando decide di venire a fare una terapia, ai vecchi problemi, si aggiunge anche il pensiero: avrei

dovuto farlo prima! Meglio non fare niente. Come si vede, per tentere sotto controllo la sua ansia,

Antonio ha scelto la strategia dell’evitamento a tutto campo.

Ci sono delle cose che non fai per timore di avere degli attacchi di panico o altro

tipo di disagio?Le cose che non fai sono importanti per la tua vita?

Il comportamento di evitamento ha risolto nel lungo termine il problema? Sei

interamente soddisfatto/a di questo modo di tenere sotto controllo l’ansia?

Rassicurazione

L'auto-rassicurazione procurata dalla ricerca di vie di fuga, ospedali, amici, persone che possano

aiutare o capire, o portando con sé dei farmaci, è un modo molto fatuo di risolvere il problema.

Costa un grande sforzo e, invece di procurare serenità, procura un costante stato di tensione per 

verificare che gli oggetti rassicuranti non sfuggano mai dal controllo.

Il caso di Marta

Marta è una donna molto forte e razionale che da alcuni anni soffre di attacchi di panico.

Nonostante il disturbo sembra non rinunciare a molto. Va a lavoro, a cena con gli amici, fa le sue

vacanze (senza allontanarsi troppo). Tuttavia ognuna di queste attività è preceduta da un intenso lavorio

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mentale e da un’attenta pianificazione. “Ho portato le pillole di benzodiazepine?”, “Su chi posso contare

in quel posto?”, “Mi siederò vicino ad una porta?”, etc.

Sebbene, apparentemente, Marta non si limiti molto nella sua vita, in realtà vive in un costante stato di

apprensione che non le fa godere nulla. Inoltre, alcune cose che sarebbero importanti per la sua vita,

non potendo essere precisamente programmabili, semplicemente vengono escluse dalla lista di

“fattibilità”.

Ci sono delle azioni, come ad esempio portare con te farmaci, accertarti che vi

siano vie di fuga o altre condizioni particolari, che svolgi prima di effettuare delle

attività?

Queste azioni hanno risolto nel lungo termine il tuo problema? Sei interamente

soddisfatto/a di questo modo di tenere sotto controllo l’ansia?

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Creare la calma

Come abbiamo visto, non possiamo creare vera calma cercando di controllare l'ansia. Molte

 persone sono convinte che la calma si ottenga eliminando o controllando l’ansia e i pensieri che

l’accompagnano.

Questa idea produce molti più danni di quanto si possa immaginare: se aderiamo alla convinzione

che si possa star calmi sforzandoci di controllare l’ansia entriamo nel circolo vizioso di ansia che

 produce altra ansia, di preoccupazione che produce altra preoccupazione, di tensione che produce

altra tensione.

Se, infatti, siamo convinti che bisogna “controllare” l’ansia con tutta la nostra forza, l’unica cosa

che otterremo sarà che tutta la nostra attenzione rimarrà concentrata nel tenere “ansiosamente”

l’ansia sotto controllo.

Come abbiamo visto, se la nostra principale preoccupazione è di non essere in ansia, non

facciamo altro che innescare un circolo vizioso di ansia che genera altra ansia.

Ma allora, come ci si può calmare?

Le due manopole

Immagina di avere a disposizione due manopole.

Una è la manopola dell’ansia.

Grazie ad essa puoi regolare l’ansia da 0 a 10, a tuo piacimento.

L’altra manopola è quella dell’accettazione con cui puoi decidere quanto puoi

accettare e lasciare andare una certa emozione così com'è senza fare nulla per 

tenerla sotto controllo.

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Figura 3: Le due manopole

Quale manopola decideresti di utilizzare?

Se hai scelto la manopola dell’ansia, su quale valore la posizioneresti?

 Ammettiamo che tu sia tentato di scegliere la manopola dell’ansia e di

posizionarla su 0. La tua scelta sarebbe comprensibile, ma c’è una cosa chedevi sapere.

La manopola dell’ansia non funziona! Gira a vuoto.

 Al contrario, la manopola dell’accettazione può essere perfettamente funzionante

con un po’ di allenamento.

Come mai?

Alcuni aspetti dell’esperienza non possono essere scelti, altri sì.

Facciamo un esperimento.

Sii felice per trenta secondi.

Porta la tua attenzione al tuo stato d’animo per trenta secondi.

Con tutta probabilità non sei riuscito ad eseguire il primo comando, ma sei perfettamente in grado

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di eseguire il secondo.

In nessun modo puoi decidere “a comando” i tuoi sentimenti.

Puoi invece decidere di smettere di cercare di controllare una certa emozione.

Il paradosso è che proprio questo atteggiamento è quello che funziona per il corpo.

Ricordi? Ci eravamo chiesti come comunicare al corpo il concetto che non c'è pericolo: appunto,

l'unico modo è di lasciare andare le cose così come sono, senza cercare di controllarle.

Il corpo interpreta il tentativo di controllo come un avviso di pericolo e pertanto continua ad

attivare i meccanismi dell'ansia.

L'assenza di controllo comunica al corpo l'assenza di pericolo e pertanto il corpo si calma.

Ma per fare questo è necessario uno specifico allenamento.

Uno dei metodi più efficaci per creare uno stato di accettazione tranquilla delle proprie emozioni è

l'attenzione alla respirazione. L'essere umano conosce da millenni questo metodo. L'attenzione alla

respirazione. Grazie a questi esercizi apprendiamo a focalizzare l'attenzione su un elemento neutro

della nostra esperienza e poi ad estendere lo stesso atteggiamento di neutralità (assenza dicontrollo) a tutta la nostra esperienza.

Il risultato non si farà attendere e la calma sopraggiugerà.

Dicevamo da millenni. Sì, da millenni gli esseri umani hanno scoperto il potere calmante della

respirazione. La cultura orientale ho portato la scienza della respirazione a livelli altissimi. Lo yoga,

le centinaia di forme di meditazione, le arti marziali, tutti questi aspetti della cultura orientale hanno

una relazione con la focalizzazione dell'attenzione sul respiro.

 Non è necessario diventare dei fachiri per apprendere i rudimenti di quest'arte e utilizzarla per 

calmarsi durante gli attacchi di panico.

Respirazione lenta controllata

L'esercizio di respirazione lenta controllata non è un mero esercizio di respirazione, ma un esercizio

di attenzione al respiro.

 Nel corso dell'esercizio è essenziale manovrare la nostra attenzione in modo corretto.

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Comincia ad esercitarti nei momenti di calma. Poi potrai utilizzare il tuo apprendimento quando sei

in ansia o nei momenti di panico.

Trova un momento per te, un momento in cui nessuno ti disturbi.

Siedi su una sedia rigida, e assumi una posizione eretta con i piedi ben poggiati

sul pavimento.

Inizia a sentire il contatto dei piedi con il pavimento ed il contatto con la sedia. Lesensazioni di contatto e di temperatura.

Bene, ora inizia ad inspirare lentamente (aria dentro) gonfiando la pancia,

lentamente, per poi gonfiare il torace. Arriva fino al punto in cui hai quasi riempito

completamente i polmoni (non completamente, ma quasi). E trattieni il respiro

per qualche secondo.

Ora lascia andare l'aria. L'aria uscirà naturalmente dal naso senza alcuno sforzo

da parte tua.

Tieni presente che l'aria esce da sola, senza fatica. Lascia semplicemente che

l'aria esca, senza forzarla.

Rimani qualche secondo in quest'atteggiamento di relax dei muscoli toracici e

addominali.

E' importante respirare molto lentamente. Se senti la testa vuota o

sopraggiungono vertigini, vuol dire che stai respirando troppo velocemente. Inquesto caso devi rallentare ancora il ritmo del respiro.

Dicevamo che questo non è un esercizio di respirazione, ma un esercizio di attenzione al respiro.

Perché?

Perché è essenziale che per tutta la durata dell'esercizio la nostra attenzione sia interamente rivolta

al processo del respiro. Un buona regola è di portare l'attenzione esattamente dove va l'aria. Se

l'aria entra nella pancia portare l'attenzione alla pancia che si gonfia, quando l'aria entra nel torace

 portare l'attenzione al torace che si gonfia. Quando l'aria esce, portare l'attenzione al relax del

torace e della pancia.

Ma è importante una precisazione. Per quanto impegno ci mettiamo, è quasi impossibile tenere la

nostra attenzione fissa su un punto senza divagazioni.

Pertanto, quando diciamo che bisogna tenere tutta la nostra attenzione al respiro, in realtàintendiamo che quando la mente divaga (ed è normale che accada) bisogna solo notare che la

mente è altrove, e riportare l'attenzione al respiro.

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Il respiro paradosso

Se hai difficoltà a gonfiare la pancia quando l'aria entra, è probabile che adotti un tipo di respiro

detto paradosso.

Cerchiamo di capirci. Immagina che la pancia ed il torace siano un unico palloncino. Quando l'aria

entra il palloncino dovrebbe gonfiarsi. Quando l'aria esce, il palloncino si sgonfia senza alcuno

sforzo.

Alcune persone gonfiano il torace tirando però la pancia in dentro. In questo modo si usa solo la

 parte superiore del palloncino. E' importante apprendere ad usare tutto il palloncino.

Se tendi a respirare in questo modo, fai questo esercizio.

Prova a gonfiare la pancia e a sgonfiarla senza preoccuparti del respiro.

Gonfia la pancia e sgonfiala. Lentamente.

Ora associa l'inspirazione di aria al momento in cui gonfi la pancia. Ed associa l'espirazione quando

la pancia si sgonfia.

Esercitati con cura.

Per vedere come funziona la respirazione lenta controllata vai sul sito www.dlearningproject.com e

cerca il corso sulla respirazione lenta controllata.

Esegui questo esercizio ogni giorno anche più volte al giorno.

Quando ti sentirai abbastanza sicuro, esegui questo esercizio anche quando sei in ansia o nel

 panico.

Calmarsi ovunque e in qualsiasi situazione

La respirazione lenta controllata descritta nel capitolo precedente può essere considerata

l’allenamento quotidiano.

Bisogna tuttavia imparare ad applicare questo allenamento quando si prova ansia.

Per far questo è importante avere alcune informazioni ed acquisire alcuni strumenti.

Calmarsi mentre si è in ansia o in panico

Ai primi segni di ansia o di panico non perderti nei tuoi pensieri.

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Semplicemente comincia il tuo esercizio di respirazione lenta controllata portando tutta l'attenzione

al respiro.

 Naturalmente la mente tenderà a fuggire nuovamente verso i pensieri catastrofici. Nulla di grave. E

normale che accada. Devi semplicemente accorgertene, e riportare l'attenzione al respiro.

Ogni volta che la mente divaga e cattura la tua attenzione nel film catastrofico, il tuo compito è

semplicemente di accorgertene e di riportare l'attenzione al respiro. Dieci, cento, mille volte. Ilrisultato non si farà attendere. Può essere di grande aiuto dare un mome alla tendenza alla

divagazione catastrofica della mente. Ad esempio puoi dire a te stesso: "catastrofizzo", oppure

"film", oppure ancora "immaginazione", etc.

Dopo aver detto la parola a te stesso, ritorna con l'attenzione al respiro.

Calmarsi mentre si sta facendo qualcosa

 Nel corso del programma molte persone legittimamente si chiedono: ma come faccio ad applicare

l’esercizio di respirazione lenta controllata ad esempio mentre sto guidando? Non posso certo

chiudere gli occhi e concentrarmi sul respiro se devo anche guidare!

Certo, è esattamente così. Non è possibile compiere nessun'azione se la nostra attenzione non

include in qualche modo anche quello che stiamo facendo.

Ebbene, noi possiamo restringere ed allargare il campo dell’attenzione proprio come se fosse unraggio di luce che può essere puntiforme ed allargarsi fino ad essere diffuso.

Quando stiamo facendo qualcosa è indispensabile allenarsi ad allargare il campo dell'attenzione in

modo da includere anche ciò che stiamo facendo. In questo caso l'esercizio diventa: porta

l'attenzione al respiro e a quello che stai facendo.

E' importante esercitarsi a “sentire” il proprio respiro mentre si sta facendo un’altra cosa: parlare

con qualcuno, studiare, preparare da mangiare, guidare, etc.

Dopo un po’ ci si accorge che non solo la percezione del respiro non distrae da quel che si sta

facendo, ma che, anzi, migliora la capacità di concentrazione.

Dunque l’esercizio che abbiamo appreso diventa il seguente:

Se stai facendo qualcosa (guidando, parlando con qualcuno, etc.) e dei pensiericatastrofici si affacciano alla mente uniti ad ansia o altre emozioni più o meno

intense, continua a fare quel che stai facendo e, contemporaneamente, inizia a

sentire il respiro. Quando la mente viene catturata da pensieri, nota dove sta la

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mente, eventualmente esprimi a parole, dentro di te, il contenuto di questi

pensieri, ad esempio: “pensieri di preoccupazione”, e poi riporta l’attenzione sul

respiro e su quel che stai facendo.

Ora porta deliberatamente la tua attenzione al respiro, continuando

contemporaneamente a fare quel che stai facendo. Senti il respiro nella pancia,

ed eventualmente esegui alcuni cicli di respirazione volontaria e molto lenta,

partendo dal basso e poi riempiendo tutti i polmoni. E poi lascia uscire l’aria con

un semplice abbandono della tensione muscolare del torace. L’aria usciràdocilmente portando calma in tutto il corpo e nella mente.

Se emergono nuovamente pensieri catastrofici, riconosci il loro emergere e

torna con l’attenzione sul respiro e su quel che stai facendo.

Non lottare con i pensieri. Semplicemente nota il loro emergere ed il loro svanire.

Ricorda, il tuo compito non è di controllare le emozioni o i pensieri, ma di notare

dove sta la mente e accompagnare l’attenzione sul presente (il respiro e quelche stai facendo).

Se calmarsi risulta difficile

Per alcune persone le indicazioni date sinora risultano sufficienti. Per altre persone no. Non si tratta

di essere più o meno bravi. E' una questione di differenze individuali di sensibilità a certesensazioni. Per alcune persone, ad esempio, risulta difficile percepire il corpo. Semplicemente non

sono abituate. In questi casi è necessario dedicare maggiore cura a questo aspetto del programma.

Rilassamento corporeo

Se risulta difficile calmarti, puoi aggiungere alla respirazione lenta controllata l'esercizio di

rilassamento progressivo che consiste nel lasciare andare le tensioni del corpo ovunque le avverti.

Spesso il problema però non consiste nella difficoltà a lasciare andare le tensioni, ma nel nonriconoscerle.

Pertanto può essere utile questo esercizio che consente di apprendere a riconoscere le tensioni

muscolari e a lasciarle andare.

Rilassamento progressivo

Comincia dai piedi. Inarca per quanto puoi verso l'alto i piedi lasciando il tallone

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per terra e nota la tensione sulla tibia. Poi rilascia. Nota il senso di relax sulla

gamba.

Figura 4: Inarcare i piedi verso l'alto

Ora solleva i piedi da terra e tienili sollevati. Nota la tensione nell’addome. E poi

riappoggia i piedi per terra. Nota il senso di relax nell’addome.

Figura 5: Sollevare i piedi 

Ora spingi i piedi per terra come se volessi sollevarti e nota la tensione nei glutei

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Ora rilascia. E nota il senso di relax.

Figura 6: Spingere i piedi 

Ora solleva le spalle. E poi rilascia. Nota la sensazione di relax.

Figura 7: Sollevare le spalle

Stringi ora con forza le labbra e gli occhi. Nota la tensione e poi rilascia. Nota il

senso di relax.

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Figura 8: Contrarre occhi e bocca

Infine porta la tua attenzione a tutto il corpo e nota dove senti tensione.

Rilascia per quanto possibile quei punti.

Quando esegui la respirazione lenta controllata, nota anche se avverti tensione

da qualche parte nel corpo e lasciala andare.

 Nel box che segue riassumeremo i passaggi fondamentali per creare la calma.

Respirazione lenta controllataInizia ad inspirare volontariamente riempiendo innanzitutto la parte bassa del torace. Per far 

questo devi sollevare la parete anteriore dell’addome e lasciare che l’aria entri come a gonfiare

un palloncino.

Continua ad inspirare, molto lentamente, riempiendo ora il torace nella sua parte media.

Continua ad inspirare, molto lentamente, riempiendo infine la parte alta del torace, ma senzaalzare le spalle, e senza contrarle.

Alla fine della inspirazione, trattieni il respiro per almeno tre secondi.

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Poi lascia semplicemente andare l’aria, senza “soffiare” con forza, ma semplicemente come un

abbandono, un relax.

Attendi tre secondi e poi riprendi il ciclo.

E'importante che il respiro sia molto lento. Non bisogna assolutamente iperventilare. Se senti

giramenti di testa vuol dire che stai respirando troppo in fretta e devi rallentare.

Se avrai la costanza di praticare questo esercizio ogni giorno, dopo un po’ di tempo ti

accorgerai di riuscire ad indurre uno stato di calma senza molta difficoltà.

Ti accorgerai che le tue emozioni seguono docilmente il focus di attenzione ed il ritmo del

respiro. E che quanto più rimarrai in contatto con il respiro, tanto più sentirai uno stato di

 benefica calma.

rilassamento del corpo

Per alcune persone, tuttavia, può essere utile aggiungere ancora ulteriori accorgimenti.

Per aiutare l’efficacia della respirazione lenta controllata, se senti molta tensione, apprendi a

rilassare il corpo.

Se il corpo si rilassa, si rilassa anche la mente.

Per rilassare il corpo è importante apprendere ad abbandonare la tensione nei punti in cui

l’avverti. Se non ti accorgi della tensione nel corpo, contrai volontariamente alcune parti del

corpo e poi rilasciale.

Per far questo può aiutarti moltissimo un esercizio inventato da Jakobson che si chiama

rilassamento progressivo.

Puoi fare questo esercizio inizialmente disteso, ma poi puoi eseguirlo seduto, in piedi o in

qualsiasi altra circostanza.

Suggerimenti

 Non bisogna avere fretta di calmarsi. La calma sopraggiunge lentamente, ma non bisogna

abbandonare l’esercizio. Se si abbandona l’esercizio, bisogna riprendere ad eseguirlo partendo

dall’inizio. Eseguire l’esercizio ogni volta che ci si trova in ansia. Cogliere i momenti di ansiacome opportunità per esercitarsi. L’esercizio costante non mancherà di dare i suoi frutti.

Ricorda: questo esercizio funziona se viene eseguito!

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Ora riassumiamo tutti i punti affrontati fino a questo momento, in modo che tu possa non

tralasciarne alcuno.

Testare le nostre convinzioni

catastrofiche

Prima di apprendere a calmarsi è essenziale essere convinti che in caso di panico non accade

nulla di catastrofico. In caso contrario ogni tentativo di calmarsi è inutile.

Creare uno stato di calma1. Non combattere l’ansia e riconoscere di essere in ansia.

2. Rilevare le tensioni nel corpo e rilasciarle.

3. Compiere alcuni cicli respiratori volontariamente, lentamente, portando tutta l’attenzione sul

respiro, e riempiendo i polmoni dal basso verso l’alto, e poi espirando semplicemente

abbandonando ogni sforzo.

4. Continuare a tenere l’attenzione sul respiro, ma senza più guidarlo volontariamente, seguire

semplicemente il respiro così come avviene naturalmente.

5. Riconoscere le divagazioni spontanee della mente.

6. Riportare l’attenzione sul respiro.

7. Se si hanno difficoltà apprendere il rilassamento progressivo.

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PARTE III

Riprendere il controllo della nostra vita

In questa parte ci occuperemo di mettere in pratica tutto quello che abbiamo appreso finora, in

modo da rimetterci in gioco ed affrontare tutte le situazioni che finora abbiamo evitato.

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Valori e obiettivi

Abbiamo parlato di accettazione. Accettazione non significa rassegnazione.

Si tratta di due concetti completamente diversi.

Ciò che bisogna accettare è la nostra esperienza interiore. Così com'è, nel momento in cui è. Ogni

tentativo di respingere la nostra esperienza interiore è destinata al fallimento.

 Non bisogna invece rassegnarsi a non vivere la nostra vita, cioè non bisogna rinunciare alla nostra

vita, a ciò che è importante per noi.

Dunque, accettare i pensieri, le emozioni e le sensazioni è l’unica strada possibile per distogliere le

nostre energie ed il nostro tempo dalla inutile (e dannosa) lotta contro noi stessi, e per dirigerliinvece verso la nostra vita.

A questo punto del nostro programma lavoreremo insieme per individuare con maggiore

 precisione cosa è importante per noi stessi, in che direzione vogliamo andare.

Tutto il lavoro fatto per lottare contro l’ansia ed altre emozioni sgradite può averci allontanato dalla

nostra vita al punto di non sapere più cosa è importante per noi stessi.

Forse per lungo tempo abbiamo considerato che la cosa più importante fosse lottare contro

l’ansia, ed ora è possibile che ritornare a progettare la nostra vita possa apparirci poco familiare o

addirittura inconcepibile.

Sappiamo già che la mente è pronta a fare la seguente obiezione: “non ci si può occupare della

 propria vita in modo pieno se prima non si superano gli ostacoli. E l’ansia è un ostacolo.”

Sappiamo, d’altra parte, che proprio la lotta contro l’ansia è il più grande ostacolo ad occuparti

della tua vita.

Bene, ringraziamo allora la mente per questa obiezione, e facciamo la nostra scelta.

Vogliamo dedicarci alla lotta contro l’ansia o alla nostra vita?

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Figura 9: Fare la propria scelta

La mappa della vita

Questo capitolo è dedicato ad un interessante esercizio sperimentato dal gruppo di lavoro diSteven Hayes.

Grazie a questo esercizio avremo la possibilità di passare in rassegna tutte le aree della nostra vita

e dunque di mettere in evidenza i nostri valori per ciascuna di esse.

 Nella figura successiva vediamo la rappresentazione grafica dell'esercizio.

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Figura 10: La mappa della vita

 Naturalmente, questa non è l’unica mappa possibile.

Tra breve, il tuo compito sarà di costruire la tua mappa, in cui individuare innanzitutto le aree dellavita che ti interessano, e poi le direzioni che intendi dare alla tua vita per ciascuna area.

Ora esploreremo insieme ciascuna di queste aree, al fine di individuare i valori e gli obiettivi

importanti per te.

 Non sottovalutare questo importante lavoro personale. Stiamo parlando della tua vita. Sei tu a

decidere a cosa dare priorità ed importanza ed in che modo. Non lasciare che gli eventi decidano

 per te. Dice un antico detto orientale: “Se non sappiamo dove andare, andremo nella direzione

verso cui siamo voltati.”

Ma prima di costruire la tua mappa, prosegui nella lettura.

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Direzioni e mete

Il primo passo consiste nel considerare con attenzione la differenza tra valori e obiettivi.

I valori non sono delle cose che si ottengono, non si raggiungono, non si realizzano.

I valori sono le direzioni che intendiamo dare alla nostra vita, indipendentemente dai risultati.

Anche se la strada dei valori è lastricata da piccoli e grandi obiettivi, il loro raggiungimento non ha

nulla a che fare con la direzione che abbiamo imboccato.

Se andiamo verso Nord, siamo esattamente in quella direzione dopo un metro, dopo 100 metri e

dopo 100 chilometri.

Il Nord non si raggiunge mai, è una direzione.

Un valore è ad esempio l’onestà. L’onestà non si raggiunge, è una guida per le nostre scelte,giorno dopo giorno.

La sicurezza economica come valore è diversa dalla sicurezza economica come obiettivo. Anche

se non la si è raggiunta, è questo valore che può guidare le scelte finanziarie e lavorative. Se devo

scegliere tra un investimento molto remunerativo, ma molto rischioso, e un investimento a basso

rischio, ma poco remunerativo, se sono guidato dal valore della “sicurezza”, scelgo quest’ultimo.

All'opposto, se un nostro valore è di "mettere in gioco le nostre capacità", potremmo essere portati a scegliere l'investimento più rischioso, semmai perché siamo molto competenti di come

funziona il mercato azionario.

Allo stesso modo, la sfida intellettuale, il coraggio, la libertà, la solidarietà, etc. sono tutti dei

“valori” che, applicati alle diverse aree della vita, ci guidano nelle nostre decisioni e nella scelta dei

nostri obiettivi.

è di importanza “vitale” riappropriarci dei nostri valori. Sapere quanta importanza ha per noiciascuno di essi, in che direzione impegnare le nostre energie ed il nostro tempo.

I valori non sono delle categorie morali, né ciò che la società ci dice di fare. I valori sono ciò che

 più conta per noi. Solo se sappiamo impegnarci per ciò che per noi è importante sentiamo la

nostra vita piena e ricca.

Al contrario, come abbiamo visto, essere preda del bisogno immediato di sollievo dall’ansia,

oppure cercare in tutti i modi di evitarla, non fa altro che restringere il nostro campo d’azione, eaggiungere frustrazioni e insoddisfazioni.

Fuggire dalla sofferenza non è un valore, ma una trappola della mente che crea altra sofferenza.

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è venuto il momento di lavorare alla tua mappa.

 Al centro della mappa, scrivi in un cerchio: “la mia vita”. E fai partire da questo

cerchio dei rami su cui scrivere le aree della tua vita: ad esempio, famiglia,

lavoro, carriera, studio, relazioni, hobby, etc.

Per ogni ramo, fai partire altri rami.

Questi sono i tuoi valori, ciò che reputi importante in ciascuna delle aree della tua

vita.

Scrivi i tuoi valori su ciascun ramo.

Quali sono le cose importanti per te in una relazione sentimentale? L’onestà?

L’intimità? La sessualità? Il calore? E quali sono le cose importanti per te nel

lavoro? La sicurezza economica? Superare sfide difficili? La notorietà? Latranquillità? Il rapporto sereno con i colleghi?

Considera attentamente le tue scelte. Accade purtroppo frequentemente, quando si è preda

dell’evitamento, di confondere un mero ripiego, per un valore, una intenzione profonda.

Ad esempio, “un rapporto civile” è una scelta molto sospetta come valore che riguarda la relazione

con il partner. Come pure, “la distrazione”, nell’area degli hobby, probabilmente non è un valore,

ma una fuga dalla realtà.

Per ogni ramo, ora, dai un punteggio di importanza da 1 a 5.

Infine, dai un punteggio da 0 a 5 di quanto stai facendo in questa direzione.

Questo punteggio è la quantità del tuo impegno rispetto ad un tuo valore.

Per comprendere bene come svolgere l'esercizio guarda l'esempio seguente.

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Figura 11: Dare un punteggio a valori e impegno

Hai completato la tua mappa. Per ogni area della tua vita, hai dato un punteggio di importanza

relativa di ciò che reputi importante, ed hai dato un punteggio di quanto stai facendo per dirigerti in

questa direzione. In che area, e per quale valore ti sembra che stai facendo abbastanza? Ed in chearea e per quale valore, ti sembra che stai facendo troppo poco?

Questa mappa sarà la nostra guida per il prosieguo del programma.

Mettere in pratica la mappa

Se hai completato la tua mappa della vita, hai potuto notare in modo chiaro ed evidente in quali

aspetti è importante impegnarti per rendere la tua vita più ricca e soddisfacente.

Hai individuato le aree della tua vita ed i rispettivi valori.

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E' venuto il momento di pianificare delle azioni che vadano nella direzione di questi valori.

Ad esempio, se per te è importante mettere a frutto le tue capacità nel lavoro, potresti pianificare

delle azioni che vadano in questa direzione. Ad esempio, potrebbe essere importante effettuare un

maggior numero i colloqui di lavoro, eventualmente fuori dalla tua città di residenza, oppure seguire

un master nella tua materia.

Oppure, nell’area della famiglia, potrebbe essere per te importante dedicare più tempo eattenzione ai tuoi figli.

Oppure potrebbe essere un valore per te viaggiare, conoscere culture e posti diversi.

Cosa puoi fare concretamente in queste direzioni?

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Esposizione

Il Disturbo di Panico è caratterizzato da episodi di ansia intensa con pensieri catastrofici (paura di

morire, di avere un malore, di svenire, di impazzire, di perdere il controllo, di fare qualcosa di

imbarazzante) e dalla costante preoccupazione di avere un nuovo attacco e/o dal cambiamento

significativo dello stile di vita in funzione del timore di avere nuovi attacchi.

Come si vede, persino gli asettici criteri diagnostici del Disturbo di Panico sottolineano che la mera

evenienza di attacchi di panico non è sufficiente per porre la diagnosi del disturbo e che è

necessario che la persona sviluppi evitamenti o altri comportamenti al servizio del timore di questi

attacchi.

Come abbiamo visto, infatti, non sono gli attacchi in sé a determinare il problema, ma la risposta

della persona a questi eventi.

Se la risposta consiste nel programmare la propria vita sempre di più in funzione dell’evitamento,

del tentativo di controllo, insomma della lotta contro l’ansia e gli attacchi di panico, si determinano

le condizioni perché il disturbo si manifesti.

In questa sezione proponiamo tre tipi di esercizi di esposizione specifici per il panico.

Esposizione interocettiva

Frequentemente vi sono alcune sensazioni corporee che sono altamente temute in quanto legate

all’idea di avere un attacco di panico.

Alcuni esempi molto frequenti sono:

 palpitazioni e “batticuore”senso di fame d’aria

“vertigini” e sensazioni di sbandamento

senso di confusione

tremore

Ma possono esservi un gran numero di altre sensazioni più o meno definite che vengono

“interpretate” come l’inizio di un attacco di panico. Naturalmente, nel momento in cui queste

sensazioni compaiono, cresce il timore di avere un attacco di panico, l’ansia cresce, e dunque la previsione sembra avverarsi e ciò fa crescere l’ansia ulteriormente.

Il seguente esercizio consiste nella esposizione a queste sensazioni ed alla accettazione dei pensieri

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ed emozioni che eventualmente suscitano.

Individua il tipo di sensazione da te temuta maggiormente.

Definisci le azioni che possano attivare queste sensazioni.

 Ad esempio, è possibile avere una lieve tachicardia salendo le scale, avvertire la

fame d’aria respirando attraverso una cannuccia, avvertire un senso diconfusione o di vertigini respirando profondamente per alcuni secondi,

procurarsi dei lievi tremori con uno sforzo isometrico (come premere contro una

parete).

Porta la tua attenzione al respiro e al corpo, momento dopo momento, e svolgi

l’attività che stimola quelle sensazioni fisiche.

Durante l’esposizione, esegui la respirazione lenta controllata e rimani in

contatto con il respiro, aria dentro, aria fuori, momento dopo momento.

Dopo un po' non c’è alcuna necessità di controllare il respiro, o di manipolarlo.

Osserva il respiro esattamente come avviene. Nota in particolare le sensazioni

che provengono dalla pancia.

Nota e osserva le sensazioni corporee. In cosa precisamente consistono? Dove

le senti?

Nota e osserva l’eventuale insorgere di pensieri, emozioni e sensazioni di“urgenza” di uscire dalla situazione. Ripeti dentro di te i pensieri di “fuga” dalla

situazione appena li noti, facendoli precedere dalla espressione: “Sto avendo il

pensiero che…”

 Ad esempio: “Sto avendo il pensiero che mi verrà un attacco di panico”, Sto

avendo il pensiero che starò male”, “Sto avendo il pensiero che devo smettere

questo esercizio”, “Sto avendo il pensiero che non posso farcela”.

Quando la tua attività non desta più interesse, lasciala pure andare e,

continuando a rimanere in contatto con il respiro, porta la tua attenzione

sull’ambiente che ti circonda, momento dopo momento: ciò che ascolti e

percepisci.

Nota: questo esercizio deve essere svolto sotto supervisione medica in caso di

epilessia, disturbi dell’apparato respiratorio e del cuore.

Esposizione alle situazioni temute

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Tornando alla tua mappa della vita, quali sono le situazioni che hai evitato ed eviti, e che invece è

importante per te affrontare? Guidare l’auto? Viaggiare? Parlare in pubblico? Entrare in luoghi

chiusi o affollati? Andare a piedi in luoghi aperti?

Programma di esporti ad una di queste situazioni. Se ce ne sono diverse, scegli quella che è legata

ad un’area della vita in cui è più importante per te dare la direzione che tu vuoi.

Durante l’esposizione, esegui la respirazione lenta controllata e rimani in

contatto con il respiro, aria dentro, aria fuori, momento dopo momento.

Dopo un po' non c’è alcuna necessità di controllare il respiro, o di manipolarlo.

Osserva il respiro esattamente come avviene. Nota in particolare le sensazioni

che provengono dalla pancia.

Nota e osserva le sensazioni corporee. In cosa precisamente consistono? Dovele senti?

Nota e osserva l’eventuale insorgere di pensieri, emozioni e sensazioni di

“urgenza” di uscire dalla situazione. Ripeti dentro di te i pensieri di “fuga” dalla

situazione appena li noti, facendoli precedere dalla espressione: “Sto avendo il

pensiero che…”

 Ad esempio: “Sto avendo il pensiero che non ce la faccio”, “Sto avendo il

pensiero che devo uscire subito da qui”.

Terminata l’esposizione, mantieni l’attenzione al tuo presente, all’ambiente che ti

circonda, e alle sensazioni corporee.

Rinunciare agli “amuleti”

è possibile che tu attribuisca ad alcuni “oggetti speciali” la funzione di rassicurarti.

Vi sono moltissimi esempi possibili di questi “amuleti” personali: vie di fuga, ospedali, centri medici,

accompagnatori (sì, anche gli accompagnatori sono degli amuleti), scatoletta o boccettina di

farmaci. Sebbene possano apparire come dei piccoli vezzi senza molta importanza, in realtà, questi

oggetti rassicuranti sono un ostacolo serio al tuo programma.

La prova che non si tratta di azioni di poca importanza è data dal vigore con cui eventualmente stai

 protestando ora all’idea di sbarazzartene.

 Naturalmente sei tu a scegliere il tempo ed il luogo. Sei tu a dirigere il gioco. Ma liberarti dagli

amuleti è un obiettivo di grande importanza per sperimentare davvero un atteggiamento di

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accettazione dei tuoi pensieri, emozioni e sensazioni fisiche.

La rinuncia agli amuleti può essere programmata come le esposizioni precedenti.

Scegli il tempo ed il luogo, accertati che non hai “amuleti nascosti”, come ad esempio una stradina

secondaria da cui si può sempre “fuggire”, oppure un amico medico nella zona.

Durante l’esposizione, esegui la respirazione lenta controllata e rimani in

contatto con il respiro, aria dentro, aria fuori, momento dopo momento.

Dopo un po' non c’è alcuna necessità di controllare il respiro, o di manipolarlo.

Osserva il respiro esattamente come avviene. Nota in particolare le sensazioni

che provengono dalla pancia.

Nota e osserva le sensazioni corporee. In cosa precisamente consistono? Dove

le senti?

Nota e osserva l’eventuale insorgere di pensieri, emozioni e sensazioni di

“ricerca dell’amuleto” o di fuga. Ripeti dentro di te i pensieri di “fuga” dalla

situazione appena li noti, facendoli precedere dalla espressione: “Sto avendo il

pensiero che…”

 Ad esempio: “Sto avendo il pensiero che senza farmaci dietro non ce la faccio”,

“Sto avendo il pensiero che devo uscire subito da qui”.

Terminata l’esposizione, mantieni l’attenzione al tuo presente, all’ambiente che ti

circonda, e alle sensazioni corporee.

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Ancora “ostacoli” della mente

E' possibile, a questo punto, che la mente si metta subito in moto e presenti immediatamente una

serie di “ostacoli” al tuo piano.

Ad esempio, per fare dei colloqui di lavoro può essere necessario prendere l’auto, e la mente puòdirti: “Non puoi prendere l’auto, ti verrà un attacco di panico”, oppure: “Non puoi partecipare a

quel master, è troppo lontano”. Oppure, la tua mente potrebbe dirti: “Non puoi dedicarti al tuo

hobby, staresti continuamente a preoccuparti.” Etc. etc.

A questo punto è importante per te riconsiderare tutto il lavoro svolto fin qui ed il lavoro che stai

svolgendo giorno dopo giorno.

Grazie al tuo lavoro, probabilmente ti è più chiaro che il vero ostacolo non sono queste preoccupazioni, ma la tua risposta ad esse!

Qual è la tua risposta a questi pensieri, a queste emozioni ed a queste sensazioni?

In che direzione va la tua risposta? Va verso le cose che per te sono importanti nella vita, oppure

se ne allontana?

Rispondi alle seguenti domande:

Cosa ti suggeriscono queste preoccupazioni? In che direzione ti portano? Ti indirizzano

verso i tuoi valori, oppure ti catturano in una lotta contro la sofferenza?

 In che direzione sei andato quando hai dato ascolto ai loro suggerimenti? Verso i tuoi valori,

o verso le preoccupazioni?

Cosa ti suggeriscono i tuoi valori?

Che suggerimento daresti tu a qualcuno che ami? Cosa suggeriresti di fare ai tuoi figli?

La mente è una vigorosa macchina del linguaggio. E la funzione del linguaggio è di allontanarci dalla

esperienza diretta per proiettarci in una realtà virtuale che, nonostante la sua vividezza, non è quella

che noi vediamo, ascoltiamo, odoriamo e tocchiamo nella nostra esperienza presente. Possiamo

renderci conto della funzione della macchina del linguaggio pensando a quante cose incredibili è in

grado di fare la nostra mente. Strade, ponti, grattacieli, automobili, aerei, computer, le esplorazioni

nello spazio, l’utilizzazione dell’energia nucleare, l’esplorazione della genetica umana, le leggi dello

stato, sono tutti esempi di come il linguaggio possa progettare realtà al momento inesistenti.

Tutto questo può essere dunque molto efficace ed efficiente quando i progettisti di computer, gli

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architetti, gli ingegneri, gli educatori ed i genitori devono poter “vedere”, “manipolare” e

“trasmettere” cose che al momento non esistono e non sono sperimentabili fisicamente.

Tuttavia, la potenza del linguaggio diventa molto limitante quando l’allontanamento dalla nostra

esperienza diretta è proprio la fonte dei nostri problemi.

Quando si soffre di ansia, il vero problema è che noi ci precludiamo ogni esperienza dell’ansia per 

quella che è, e dunque temiamo qualcosa che ha costruito il linguaggio, non la cosa in sé.

Questa costruzione della mente non è in se stessa buona o cattiva, è semplicemente il modo in cui

la mente organizza le relazioni tra le cose. E' grazie a questa capacità della mente che siamo in

grado di generare infinite frasi, infiniti significati, infiniti progetti, e di trasmetterli ad altri e a

comprenderli.

Ringraziamo allora il lavoro della mente, senza prenderlo necessariamente alla lettera.

E osserviamo la nostra realtà in modo diretto.

Un esempio della potenza illusoria del linguaggio è la parola “ma” utilizzata per descrivere una

relazione di contrapposizione tra due eventi.

Possiamo allora notare che se gli eventi contrapposti sono pensieri, emozioni e sensazioni, si

genera una regola per cui viene potentemente deformata l’esperienza diretta: viene esclusa la

 possibilità che i due elementi convivano, sebbene essi siano evidentemente entrambi oggetto della

esperienza.

La persona sperimenta ed esprime entrambi gli eventi, il linguaggio dice: o l’uno, o l’altro.

Consideriamo le seguenti espressioni:

“Vorrei prendere l’auto, ma ho paura.”

“Ce la sto mettendo tutta a volermi bene, ma la rabbia è forte.”

“Mi piacerebbe avere qualche desiderio anche minimo, ma sono disperato.”

“Vorrei smettere di comportarmi così, ma temo di non farcela.”

“Provo a continuare, ma sento una gran stanchezza.”

“Vorrei dirgli delle cose carine, ma sento un peso qui, sullo stomaco.”

Qui il linguaggio fa il suo lavoro presentandoci una realtà dalla coerenza stringente (quanto

arbitraria) in cui se c’è una cosa non c’è l’altra: “O prendo l’auto, oppure ho paura”, ne consegue

che siccome ho paura, allora non prendo l’auto!

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Molto interessante, e quasi comico, è il terzo esempio in cui l’espressione “Mi piacerebbe avere

un qualche desiderio anche minimo” è chiaramente un desiderio, ma viene negato dal “ma” della

espressione contrapposta: se sono disperato, non sto avendo un pensiero di desiderio!

Prova ora a fare il seguente esercizio.

Individua delle aree della tua vita in cui sarebbe utile per te impegnarti di più, e

nota se nelle tue eventuali obiezioni è presente la parola “ma”.

Sostituisci tutti i “ma” con la parola “e”.

 Ad esempio:

“Vorrei prendere l’auto, e ho paura.”

“Ce la sto mettendo tutta a volermi bene, e la rabbia è forte.”

“Mi piacerebbe avere qualche desiderio anche minimo, e sono disperato.”

“Vorrei smettere di comportarmi così, e temo di non farcela.”

“Provo a continuare, e sento una gran stanchezza.”

“Vorrei dirgli delle cose carine,e

sento un peso qui, sullo stomaco.”

Come ti risuonano queste frasi?

Grazie a questo esercizio, abbiamo scelto intenzionalmente di descrivere una realtà molto più

vicina all’esperienza diretta, invece di essere subalterni all’arbitrarietà di una rete di relazioni.

Queste frasi inoltre hanno un pregio: descrivono abbastanza accuratamente il valoredell’esposizione.

L’esposizione (che è il contrario dell’evitamento) consiste, infatti, nell’affrontare intenzionalmente

alcune azioni, circostanze o situazioni esterne, e di provare ansia.

Molto prima che nascesse questo tipo di programma, l’esposizione si è imposta come strumento

terapeutico di grande efficacia per il trattamento di molti problemi psicologici, ed in particolare per 

i problemi di ansia, e pur essendo parte dello strumentario tecnico della psicoterapiacomportamentale, non esiste praticamente alcun modello di psicoterapia che non ne riconosca

l’importanza. Nel corso degli anni si sono accumulate numerosissime prove della sua efficacia, e

non è un caso che anche nelle più recenti espressioni della terapia cogntivo comportamentale

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l’esposizione abbia un ruolo centrale.

L’esposizione ha lo scopo di:

1. Distogliere le nostre energie dalla lotta inutile e dannosa contro l’ansia, ed impegnarci per la

nostra vita, per ciò che è veramente importante per noi.

2. Assumere un atteggiamento di accettazione e consapevolezza della nostra realtà interna, invecedi fuggirla.

3. Apprendere a riconoscere i processi della nostra mente e a distinguerci da essi.

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Le “ricadute” ovvero cadere, ricadere,

rialzarsi e camminare

Il valore di questo programma dipende esclusivamente dalla sua concreta applicazione.

I concetti espressi non aiutano nessuno se non sono “sperimentati” nella propria vita, perché

rimarrebbero quelli che sono: altri contenuti del linguaggio.

L’esperienza diretta dei propri pensieri, delle proprie emozioni e delle sensazioni fisiche, l’impegno

a dare una direzione alla propria vita in funzione dei propri valori ed obiettivi, non si apprendono

così come si apprende la matematica o l’astronomia. Non sono formule o concetti da “capire” una

volta per tutte e dunque da considerare acquisiti.

Il lavoro personale suggerito da questo programma vive nel momento presente in cui si sperimenta.

Da questo punto di vista persino le “ricadute”, che costituiscono uno dei maggiori spauracchi di chi

ha superato un problema psicologico, non sono quelle che sembrano.

Ricadiamo ogni giorno. Ogni giorno gli automatismi del linguaggio ci presentano le loro regole.

I pensieri dell’ansia sono sempre gli stessi.

Siamo noi a cambiare il modo di rapportarci ad essi.

La capacità di accogliere gli eventi psicologici per quelli che sono è una modalità che esiste nel

momento in cui ce ne ricordiamo.

Se non ce ne ricordiamo, ricadiamo nella trappola del linguaggio.

Ma così come ricadiamo, così possiamo ricordarci di tornare al presente della nostra esperienza,viverla per quella che è, con le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue sensazioni.

Anche nel mezzo della più catastrofica delle “ricadute”, possiamo scegliere se aderire

acriticamente alle regole del linguaggio che dipingono la nostra esperienza come una “ricaduta”

clinica, cioè un episodio clinicamente rilevante di nuova manifestazione della malattia.

Il punto ora non è di determinare se questo quadro sia vero o falso. Infatti, dal punto di vista

medico è esattamente vero.

Dal punto di vista di ciò che possiamo fare noi, non è né vero, né falso: la “ricaduta” è solo una

concettualizzazione dell’esperienza, non l’esperienza in se stessa.

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E se ci facciamo catturare interamente da questa concettualizzazione, nel senso che ci allontaniamo

dalla nostra esperienza diretta, possiamo essere interamente catturati da altri pensieri come: non ce

l’ho fatta, sono ricaduto ancora una volta, devo imparare a controllarmi meglio, non ce la farò mai

a superare definitivamente questo problema, sono un fallimento, etc. etc.

Cosa fare allora?

 Non si tratta di rifiutare questi pensieri. Non si tratta di cercare di non averli o di eliminarli dalla

nostra coscienza. Non si tratta di mettersi a lottare contro se stessi.

Si tratta, piuttosto, di riconoscere ed accettare la presenza di questi pensieri e riconoscerli come

 pensieri, momento dopo momento. Riconoscere ed accettare le emozioni per quelle che sono,

anche se si tratta di estremo sconforto. Tornare in contatto con il corpo, con le sensazioni, e con le

nostre azioni, nel presente, momento dopo momento. E scegliere di impegnare la nostra vita nella

direzione che noi vogliamo darle.

L’obiezione più frequente a questi suggerimenti è che una cosa è dire ed una cosa è fare. Che non

 può essere così semplice. Che non è così facile. Che se c’è una ricaduta, vuol dire che il problema

non è stato superato. Che la tecnica non funziona. E così via.

Dobbiamo ricordare, allora, che la strada suggerita in questo programma non è una “tecnica”.

 Nel senso che questo programma non è stato congegnato per riparare definitivamente dei guasti, o

 per eliminare il dolore dalla nostra vita.

Questo programma è un invito a riconoscere il nostro spazio di libertà.

Anche nella più grande sofferenza c’è la possibilità di effettuare delle scelte.

E ciò che scegliamo, in ogni momento della nostra vita, spetta a ciascuno di noi.

Le ricadute

Avere una ricaduta non è una condanna, non è un segno di sconfitta, non è un fallimento.

Le ricadute possono derivare da momenti di stress durante i quali si riattivano vecchi

automatismi.

Allo stesso modo in cui abbiamo appreso a sostituire gli automatismi con delle risposte

costruttive, possiamo farlo ora!

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Conclusioni

Contrariamente a quanto suggerito dal titolo, non c'è una conclusione di questo programma. Come

non c'è una conclusione al tuo percorso. Il tuo percorso si determina giorno dopo giorno. Ed ogni

giorno hai da imparare qualcosa.

Questo è un programma che dura tutta la vita. Perché ha a che fare con la tua libertà di scelta.

Scegli la tua libertà.