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PALERMOCRONACA

� LXVSABATO 25 MAGGIO 2013

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LA LETTERADa assassino a pentito“Picciotti di Brancacciola mafia vi ruba la vita”Grigoli scrive ai ragazzi del suo quartiere“Vorrei offrire a voi quell’ultimo sorriso”

SALVO PALAZZOLO

Nel giorno della beatificazione didon Pino Puglisi ha voluto essercianche lui, Salvatore Grigoli, l’as-

sassino pentito del parroco di Brancac-cio. In quel 1993 era un sicario scelto del-la cosca dei Graviano, oggi è un collabora-tore di giustizia che sta scontando la suacondanna agli arresti domiciliari. E ha vo-luto esserci a modo suo in questa giorna-ta così particolare: ha scritto una letteraaccorata ai giovani delle periferie di Paler-mo. Perché certi delitti non accadano più.

«Nelle strade di Brancaccio sono di-ventato ragazzo, e poi uomo», scrive Gri-goli. «In quelle strade mi sono perso. Tan-ti ragazzi diventati uomini si sono persi,a Brancaccio. E credo che ancora oggimolti giovani abbiano smarrito la strada,ritenendo più utile seguire le parole difalsi amici, che promettono un futuro di

gloria, potere e denaro. Sono promesse alvento, sappiatelo: sono menzogne di uo-mini senza dignità, altro che uomini d’o-nore come loro amano chiamarsi».

Ha toni appassionati la lettera apertache l’ex killer di Cosa nostra ha affidato alsuo avvocato, l’avvocato Maria CarmelaGuarino: «Vorrei dirlo chiaramente ai ra-gazzi che come me sono cresciuti per lestrade di Brancaccio», scrive il collabo-rante: «Non cedete alle promesse dellamafia, non vendete la vostra vita, che èunica e preziosa. Ce lo ha insegnato il sa-cerdote Giuseppe Puglisi, che immagi-nava un futuro diverso per Brancaccio eper tutta Palermo. Un futuro di pace e se-renità, un futuro in mano ai giovani».

Grigoli guarda indietro, ai suoi annivissuti a Palermo: «Io e tanti altri ragazzidi Brancaccio non lo abbiamo capito, ab-biamo perso una grande occasione», di-ce: «Ma quel sacerdote santo annuncia-va per le strade di Palermo che un’altra

possibilità può esserci, per tutti, ancheper chi ha commesso un errore grave.Dio non fa mancare il suo amore a nessu-no. Questo vorrei allora dire — ecco l’ap-pello di Salvatore Grigoli — ai ragazzi diBrancaccio: non cedete, non rinunciateal vostro futuro. Vi prego, ascoltate que-ste parole. Non fatevi rubare la vita dallamafia, che è solo morte e disperazione.Sono sicuro che il beato Giuseppe Pugli-si prega per i nostri peccati, ci protegge eci sostiene nel difficile cammino della vi-ta. A me ha donato l’ultimo sorriso, cheadesso io vorrei offrire a tutti i ragazzi delmondo, perché nessun uomo possa piùtogliere la vita a un altro uomo».

Subito dopo l’arresto, avvenuto nel1997, Grigoli cominciò subito a parlarecon i giudici di Palermo. È rimasto per di-versi anni in carcere, in una struttura pro-tetta per i collaboratori di giustizia, poi haottenuto di scontare la pena agli arrestidomiciliari, dove dovrà restare per altri

cinque anni. «Le sue dichiarazioni han-no fatto luce su centinaia di omicidi e suinnumerevoli retroscena riguardanti ilpotere mafioso — spiega l’avvocato Gua-rino — Grigoli continua anche oggi a es-sere ascoltato dai magistrati, tutte le suedichiarazioni sono state riscontrate edunque ritenute attendibili».

La vita di Grigoli cominciò a cambiarequella sera del 15 settembre 1993, la seradel delitto Puglisi. «Grigoli è oggi un pen-tito nel vero senso del termine — diceMaria Carmela Guarino — ha fatto ancheun percorso interiore, che non ha maiostentato in pubblico, soprattutto perchiedere sconti di pena. Oggi SalvatoreGrigoli è un uomo diverso da quello divent’anni fa, un uomo che cerca di tra-smettere ai propri figli valori autentici. Evorrebbe trasmettere quello che oggisente anche ai giovani di Brancaccio cheancor oggi vivono fra tante difficoltà».

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LE SVOLTELe tappe della

nuova vita di Grigolisu “Repubblica”

A destra, l’arresto

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PALERMO � LXIXMARTEDÌ 14 MAGGIO 2013

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Romeo: “Mafia e Vangelosono incompatibiliè Puglisi il vero cristiano”

L’INTERVISTA

FABRIZIO LENTINI

(segue dalla prima pagina)

Eminenza, per Brancaccio padrePuglisi è stato ben più di un parro-co: una specie di eroe civile…

«Puglisi aiutava tutta la gente del quar-tiere, senza imporre a nessuno una co-razza di fede. Sosteneva la battaglia per lascuola media, ma non perché volesseuna scuola parrocchiale o un collegio re-ligioso: pretendeva che lo Stato costruis-se la sua scuola statale. C’era un vuotonell’assistenza sanitaria di base, e lui re-clamava l’apertura di un ambulatorio».

E non si inchinava ai boss. Oggi comeva nelle parrocchie? Si sente il peso del-la mafia?

«Il Vangelo è incompatibile con la ma-fia. E la mafia non può sopportare una ve-ra vita cristiana. I mafiosi possono soste-nere tante espressioni religiose prive dicontenuto, sotto forma di devozione e dipietà popolare, e così cercano di ma-scherare la propria appartenenza aun’organizzazione segreta».

Crede alla conversione di SalvatoreGrigoli, uno dei killer di padre Puglisi?

«Questo giudizio può darlo solo Dio.

Io tante volte dubito vedendo certe per-sone raccontare con spavalderia i propridelitti. Quando Zaccheo si è pentito, hadetto: “Restituisco tutto ciò che ho ruba-to, anzi il doppio, e quel che resta lo daròai poveri”. Qui invece, se non ci fosse laconfisca dei beni, nessuno restituirebbeniente. Un vero pentimento dovrebbeportare a un cambiamento di vita».

Chiesa e mafia oggi sono in guerra?C’è chi ne dubita…

«Il conflitto c’è ed è forte. Certo, ci tro-viamo di fronte a forme nuove di mafia.Nei primi anni Novanta Cosa nostra vol-le sfidare lo Stato e le istituzioni. Fino al

maggio 1993, però, la Chiesa non era sta-ta toccata. Fin quando il Papa, nella Val-le dei templi, non gridò ai mafiosi: “Con-vertitevi”. Smascherandoli come per-sone che non vivono più una vita cri-stiana. La risposta fu immediata: a lugliole bombe contro le chiese di Roma, a set-tembre l’uccisione di Puglisi. Fu un at-tacco alla Chiesa come istituzione. Oggiè diverso: si è capito che quella strategianon paga. E si cercano altre forme di po-tere: quello economico, anzitutto».

Ma lei, dal suo osservatorio, la mafiala sente?

«Noto spesso un comportamento

mafioso, una cultura mafiosa che èpenetrata nella società. Le faccio unesempio: la mattina in cui ho ac-compagnato il nuovo parroco aBrancaccio, ho trovato davanti al-la chiesa, a ostruire la porta, ungiovane che fumava seduto suuna grossa motocicletta, attor-niato da tre ragazzi. Mi guardavain segno di sfida, come a dirmi:“Ma lei che c’è venuto a fare qui?».

È sicuro che la beatificazionedi Puglisi farà bene alla Chiesa?

Non c’è il rischio che qualche par-roco pensi: «Io non sono santo, non

posso avere il suo stesso coraggio»? «Non vedo questo rischio. Padre Pu-

glisi viene beatificato non per avere fat-to miracoli, ma per la sua coerenza di vi-ta cristiana. Per avere servito la gentestando accanto alla gente. Noi vogliamoproporre la santità nella quotidianità.Nei tre anni a Brancaccio don Pino nonha cambiato vita: ha mostrato la stessacoerenza di sempre, e il Signore gli ha fat-to suggellare con il martirio la vita di tut-ti i giorni. Proporlo come un modellouniversale non significa allontanarlo danoi, ma proiettare il Vangelo nella vitadella gente».

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Il santodel popolo

Don Pino non è beatoper qualche miracoloma per la sua coerenzadi vita: per avere servitola gente standole vicinosenza imporre a nessunouna corazza di fede

Da Acireale a PalermoIl cardinale Paolo Romeo,75 anni, di AcirealeNel 2007 è stato nominatoda Benedetto XVIarcivescovo di Palermosuccedendo a SalvatoreDe Giorgi: insieme oggicelebrano la cerimoniadi beatificazione di Puglisi

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PALERMO � LXXSABATO 25 MAGGIO 2013

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ALBUM

Don Pino, le donne, i ragazzi: e Palermo aprì gli occhiVent’anni di rinascita dai lenzuoli antimafia ai manifesti di Addiopizzo

ILSANTO LAICO

SIMONA MAFAI

Nella nostra quotidiana dispera-zione per le cose che non vanno,rischiamo di dimenticare gli

eventi positivi: positivi in sé, e positiviperché indicano con chiarezza un cam-mino, segnalando che una parte del per-corso è compiuto. Nel giorno in cui pa-dre Puglisi viene proclamato santo, pos-siamo tutti gioire, credenti e non cre-denti, per l’assunzione piena, da partedella Chiesa, della condanna alla mafia.

I processi di santificazione hannosempre un significato politico, e questonon fa eccezione. Non si può dimenti-care il macigno di indifferenza e nega-zionismo nei confronti della mafia cheha caratterizzato le gerarchie dellaChiesa nel secolo scorso. Da questo ma-cigno si è disarticolato negli ultimi de-cenni, e progressivamente, un nuovopercorso ecclesiale verso la strada cheoggi — con la santificazione di Puglisi —raggiunge una tappa, forse irreversibile.

Dal cardinale Ruffini che negava l’e-sistenza della mafia e dalle ambiguità (eforse complicità) dell’arcivescovo diMonreale, si giunge all’invocazione delcardinale Pappalardo sulla Saguntoespugnata (che non affronta però il “no-do Sicilia”), e solo tempo dopo arriva lanetta condanna di Papa Wojtyla adAgrigento: «Mafiosi... un giorno dovreterender conto delle vostre malefatte», finoalle forse più tiepide parole di Papa Rat-

zinger ai giovani di Palermo. Coraggio-si sollecitatori del nuovo percorso sonostati modesti uomini di Chiesa, che im-pavidamente per anni hanno sostenu-to in solitudine la lotta contro tutte lemafie (ricordiamo padre Diana, assas-sinato a Casal di Principe).

Molto è cambiato a Palermo. Donne,uomini, giovani si sono voluti sottrarre

all’arroganza e alla violenza del poteremafioso, anche denunciando le conni-venze dentro le istituzioni. Il riconosci-mento va ai magistrati più tenaci, aigiornalisti più coraggiosi, agli inse-gnanti che hanno creato e praticato unainedita pedagogia antimafiosa, alle as-sociazioni impegnate a ripulire le lorostesse file. Va alla popolazione più sem-

plice e anche meno politicizzata, cheperò non ha chiuso occhi né orecchie: ledonne che hanno esposto i lenzuolicontro la mafia (dalle palazzine dellaPalermo-bene ai vicoli della Kalsa),quelle che fecero un mese di digiuno inpiazza Castelnuovo mostrando giornoe notte i loro volti e la loro indignazione;i ragazzi che hanno incollato sui muri le

etichette di Addiopizzo.Una forza positiva che, pur alternan-

do momenti di vigorosa presenza a fasidi silenzio, c’è stata, c’è e si sente. Que-sta maggioranza di persone, che non la-sciano il monopolio della lotta alla ma-fia agli esperti o ai retori, farà lievitare larinascita civile di Palermo.

Padre Puglisi, prete di borgata, chemetteva i manifesti di Falcone e Borsel-lino nel centro di accoglienza e si occu-pava dei ragazzi emarginati, è stato ani-matore e simbolo di coloro che respin-gono la violenza. La violenza della ma-fia, e tutte le violenze del mondo.

Ho messo sugli scaffali, tra i libri, la fo-to del bambino americano ucciso a Bo-ston il 15 aprile da una bomba messa in

un cassonetto della spazzatura. Ha inmano un cartello su cui è scritto: «No al-le persone arrabbiate. Pace». Con il suosorriso infantile, un dentino mancante,lo sento vicino a noi. E tanto vicino an-che a padre Puglisi. Chi crede, può pen-sare che in cielo i due si incontrino e sidiano la mano.

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LA RIVOLTA CIVILELe donne del digiuno

manifesti di Addiopizzoe, a destra, don Puglisi

La Chiesa ha rimosso unmacigno di indifferenzaE padre Puglisi è statoanimatore e simbolo dichi respinge la violenza

NINO FASULLO

Pino Puglisi è un santo puro. Ha infattipraticato nella sua forma più alta eestrema l’insegnamento di Gesù:

«Amatevi tra di voi come vi ho amato io», ov-vero: fino a dare la vita per gli altri, per la città.Chi dà la vita in favore degli altri, dunque, fa

ciò che fece Gesù: nello stesso senso, nellastessa misura. È un suo vero discepolo. Per-ciò Puglisi è l’apparizione del Vangelo in Sici-lia. In lui finalmente i siciliani possono spec-chiarsi.

La santità di Puglisi, pertanto, non è costi-tuita dalla illibatezza della sua vita o dallevirtù che l’adornavano. È data invece dallasantità stessa di Dio («fonte di ogni santità»)

PALERMO � LXXISABATO 25 MAGGIO 2013

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L’amore, la libertàE con quel preteapparve il VangeloI mafiosi capirono: era la loro rovina

MARTIREPadre PinoPuglisiritrattodi sera incampagnaduranteuna gitacoi giovani

ILSANTO CRISTIANO

Il suo è il messaggio di Gesù:la vita va donata per la giustiziaPerciò oggi è il giorno di tuttii caduti per il riscatto della città

I sacerdoti uccisiMARTIRE A CIACULLINel 1916 padre GiorgioGennaro viene ucciso dalla“Alta maffia” dei Greco peravere denunciato ingerenze

VITTIME DEI LATIFONDISTITra il 1919 e il 1920 cadonogli arcipreti di Resuttanoe Gibellina, Costantino Stellae Stefano Caronia

che lo ha illuminato e sorretto nella decisio-ne di seguire Cristo fino alle estreme conse-guenze. La peculiarità della sua morte è tuttaqui. Egli riafferma al cospetto della città la vo-lontà di Dio che gli uomini vivano liberi, maisottomessi e rassegnati al dominio di altri uo-mini. Il 25 maggio i siciliani, ma non solo lo-ro, sapranno che don Pino, in obbedienza aDio, ha donato la vita per questo fine. Perciòegli non è un esempio di etica ma di Vangelo.Se non si dovesse cogliere la differenza, il par-roco di Brancaccio verrebbe ridotto a un co-mune, seppure stimabile, esemplare dellaragion pratica.

Ci si chiede: perché don Puglisi? Cosa c’e-ra in lui di nuovo e di diverso dagli altri che su-scitò nei mafiosi tanto terrore da ordinarne lasoppressione? Per comprenderlo basti con-siderare ciò che nella sinagoga di Cafarnaodisse a Gesù “l’indemoniato”, ovvero l’equi-valente dei mafiosi. Lo percepirono come ilprincipio della loro rovina: «Non sei venutoda amico ma per perderci». Perciò il messag-gio del parroco è lo stesso di Gesù: «La vitanon va conservata gelosamente per se stessi:vadonatagenerosamente per la giustizia e lalibertà degli altri». Il segno di don Pino è la

“morte per amore” della città. Perciò appare quanto meno incongruo le-

gare la beatificazione del parroco all’odiumfidei o evangelii dei mafiosi, peraltro battez-zati e religiosi. Come se il Vangelo avesse sen-so in rapporto all’odium e su di esso qualcu-no potesse lucrarsi il Paradiso. L’odium nonè mai causa di santità (evangelica) ma di mor-te. Perciò questa beatificazione è impagabilee forse irripetibile. Un’opportunità che nonpuò essere sprecata staccandola dalla purez-za insondabile del comandamento nuovo.

Ma oggi non è solo il giorno di padre Pugli-

si. È pure il giorno di tutti i trapassati dalpiombo mafioso sui quali Gesù di Nazaret ve-glia da 150 anni come la sentinella che atten-de il mattino. Né importa come siano caduti.Conta che portino lo stigma dell’ingiustiziasubita e l’alto titolo (cristiano) di avere af-frontato la morte facendo il proprio dovere infavore della città, per liberare i siciliani e l’Ita-lia dal giogo della criminalità organizzata.Una montagna di morti che anche la Chiesafinalmente può piangere e venerare — tutti,senza distinzione e discriminazione — insie-me a questo suo figlio povero e disarmato.Sono folla, come contarli? Falcone, Borselli-no, Rizzotto, Livatino, Zucchetto, Impastato,Mattarella... Don Puglisi è la loro corona. Imafiosi li uccisero, oggi la Chiesa li esalta:senza trionfalismi e incauti peana. Perché lastoria continua.

Chissà, forse qualcuno continuerà a dire:attenti, padre Puglisi non era un prete anti-mafia. Ma che importa? I siciliani che voglio-no specchiarsi nel piccolo parroco di Bran-caccio ucciso dalla mafia non possono evi-tarsi due cose: la gloria evangelica e le solitu-dine dell’incomprensione.

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� LXXIIISABATO 25 MAGGIO 2013

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“Rifiutai l’obolo dei mafiosimi dissero: prete comunista”Brancaccio prima di Puglisi. La lite sulla festaROSARIO GIUÈ

QUANDO nel luglio del 1985, diritorno dai miei studi teologicialla Gregoriana di Roma, il car-

dinale Pappalardo mi propose di gui-dare la parrocchia di San Gaetano, nelcuore del quartiere Brancaccio, mi ri-cordo che eravamo seduti nel suo stu-

dio arcivescovile. Sul tavolo, l’immagi-ne di un crocifisso. Guardai quell’im-magine e dissi a me stesso: «Parlo escrivo di Chiesa e mafia, di una Chiesadi liberazione impegnata nel territo-rio, non posso dire di no». E così accet-tai. Quando a settembre arrivai, insie-me ad alcuni provammo a fare un’in-chiesta sui bisogni del quartiere. Gi-rammo di casa in casa, sulla base di unformulario. Emersero sentimenti di

rassegnazione e di vergogna, misti aldesiderio di riscatto e di cambiamen-to. Essere “di Brancaccio”, nella se-conda metà degli anni Ottanta, era vis-suto come un triste marchio. Le stradee diverse famiglie di Brancaccio eranostate martoriate della guerra di mafia.Era molto difficile sentire usare, inpubblico, la parola “mafia”. Ma in pri-vato non era così.

Dare voce alla voglia di riscatto, ri-prendersi la dignità violata: questo erail modo più concreto per vivere in quelterritorio più umanamente e, insieme,testimoniare fiducia e speranza. Spe-rimentare una Chiesa più povera, cre-dibile e liberante era la via. Non pren-dere soldi per le celebrazioni dellemesse né per altri sacramenti, nono-stante le insistenze. Ma cosa altro fare?La prima cosa era costruire una corre-sponsabilità. Non il prete da solo, mainsieme. Così dopo pochi mesi, te-nemmo libere elezioni, con le schede,del Consiglio parrocchiale pastorale.Come parroco non prendevo alcunadecisione importante se prima nonfosse stata sottoposta al vaglio delConsiglio. Era la via di una Chiesa me-no clericale.

Uno dei primi e più gravi problemivenne dal rapporto con il Comitato deifesteggiamenti di San Gaetano, chevoleva fare a qualsiasi costo la festaesterna che non esisteva da più ditrent’anni. Perché organizzarla bensapendo che le feste di quartiere a Pa-lermo in quel tempo erano spesso inmano a personaggi legati a interessiequivoci? Invece le pressioni divenne-

ro forti e insistenti, anche economi-che, con segnali di ogni tipo. Unoscontro duro. Ma le feste patronali nonsi fecero, cosa che continuò con donPuglisi.

Chi non digeriva per nulla il fattoche la comunità parrocchiale fosseimpegnata a sperimentare il Vangelocome un processo di liberazione inte-grale nel territorio era il Consiglio diquartiere. Molti suoi membri si senti-vano scavalcati dal Consiglio pastora-le che, a loro avviso, prendeva impro-priamente iniziative anche dialogan-do con l’amministrazione comunale.Il loro immobilismo doveva essere pu-re il nostro. Il loro silenzio doveva es-sere anche il nostro. Vi furono richiamivivaci nel corso di incontri pubblici epessimi segnali in privato. Pubblicam-mo un dossier — “Ricostruire Bran-caccio” — elencando le opere pubbli-che necessarie: il recupero del parco diMaredolce, il superamento del pas-saggio a livello, la costruzione dellascuola media e l’acquisto dei pianter-reni di via Hazon che diventò poi unabattaglia anche per don Puglisi.

Ma le nostre energie più attente del-la comunità erano necessariamente

dedite a rinnovare il linguaggio dellacatechesi e della predicazione, alla cu-ra della liturgia anche valorizzando ilcoro, alla formazione teologica, allaspiritualità con i ritiri a Pagliarelli o aGibilmanna. Si avviarono piccole co-munità ecclesiali di base, che si riuni-vano in abitazioni dove ci si confron-tava sul Vangelo per incarnarlo stori-camente. L’uscire dalla sacrestia mivalse, in ambienti para-mafiosi, il tito-lo di “prete comunista”.

Di queste e altre cose parlai con Pi-no Puglisi quando mi venne a trovarea casa, nel settembre del ’90. Dopo treanni la mafia lo ha crocifisso. Pier Pao-lo Pasolini, in omaggio a Papa Giovan-ni XXIII, scriveva: «Non serve fare san-to chi è santo». Ma oggi è momento dicommozione di popolo per la beatifi-cazione del parroco di Brancaccio. Ilmio augurio è che la vicenda di don Pu-glisi, di questo vero cristiano, di questoprete che respirava lo spirito del Con-cilio, sia come una lettera dello Spiritodi Dio alla Chiesa di Palermo e allaChiesa italiana per rinnovarci insie-me, come persone e, più ancora, comeistituzioni.

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IL RICORDO

L’ex parroco: “La gente nonusava in pubblico la parolamafia e si dibatteva travergogna e voglia di riscatto”

DEGRADO E RIBELLIONEGli scantinati di via HazonIn alto, un corteo antimafiaper le vie di Brancacciodopo le stragi del 1992

PALERMO � LXXVISABATO 25 MAGGIO 2013

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La lunga marcia di Brancaccioalla conquista della normalità

ALESSANDRA ZINITI

In piazza Anita Garibaldi, laddovevent’anni fa Giuseppe Grigoli sparòalla nuca a don Pino Puglisi, una Fiat

Uno, una Panda e una vecchia Giuliettaoccupano quello che per molti abitantidi questa Palermo ancora dimenticata èormai un luogo sacro. «Nelle altre partidel mondo, dove muore un martire, co-struiscono una cattedrale — dice Mau-rizio Artale, l’animatore del centro Pa-dre nostro — qui ci parcheggiano lemacchine». Ma non sarà così ancora permolto. Il giorno dopo la beatificazionedi padre Puglisi anche parte di piazzaAnita Garibaldi avrà resi i suoi onori:dissuasori, fioriere, una statua in legnodi don Pino per dare un segno di visibi-lità a tutto il quartiere. Perché vent’annidopo, per fortuna ma soprattutto per

merito del sacrificio di don Puglisi,Brancaccio non è più quella terra di nes-suno in cui i Graviano e i loro uomini“governavano” a 360 gradi la vita delquartiere. Molti degli obiettivi dell’a-zione del sacerdote oggi sono realtà: cisono la scuola media, l’auditorium, ilteatro, il centro sportivo polivalente, equesto è già un successo. Ma la vera vit-toria è il fatto che queste strutture non

sono deserte, la gente di Brancaccio leriempie, le cerca, ne usufruisce e ringra-zia gli operatori del centro Padre nostro.

Don Puglisi venne ucciso perché iboss non tolleravano quella sua “vel-leità” di togliere i ragazzini dalla strada,di distrarre la futura manovalanza ma-fiosa dalla sua carriera criminale, e og-gi sono centinaia i ragazzini che gioca-no nei campi di calcetto, di pallavolo o

di basket. Un tappeto verde come quel-lo del centro polivalente, a due passidalla parrocchia, i bambini di Brancac-cio non l’avevano mai visto prima. Ti gi-ri dall’altra parte, guardi il campo dibocce e vedi gli anziani pazientementein attesa del loro turno.

Don Pino è lì attorno, nel grande ma-nifesto affisso al balcone della nuovasede del centro Padre nostro, nella scul-

tura della piazza di Brancaccio. Volevatante cose, don Pino, per quel suo quar-tiere martoriato, e più di tutte la scuola:oggi in via Francesco Panzera in un edi-ficio bianco quasi avveniristico a frontedella vecchia edilizia di Brancaccio 400ragazzi frequentano le 18 classi della“3P”. La via San Ciro, teatro di decine diagguati, oggi è il luogo dell’aggregazio-ne culturale della borgata: l’auditorium

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Scuola, campetti, auditorium. Nel nome di PuglisiCentinaia di ragazzinifanno calcetto e basketi nonni giocano a boccee imparano Internet

dedicato a un’altra delle piccole vittimedi Cosa nostra, Giuseppe Di Matteo, of-fre alla gente del quartiere momenti diaggregazione, di apertura al mondo.C’è la palestra telematica dove i nipotiinsegnano ai nonni ad usare Internet e,da qualche mese, c’è persino il teatro:sedie moderne, pareti rosso fuoco, pro-scenio modernissimo e la direzione ar-tistica del giovane attore Carlo D’Au-bert. E la biblioteca, e il parco Robinsonper i bambini e la casa di accoglienzaper mamme e figli vittime di violenze eabusi e il centro ricreativo per anziani.

Nella nuova sede del centro Padrenostro sono in tanti a sbracciarsi: ci so-no i trenta volontari che lavorano assie-me a Maurizio Artale, ma ci sono ancheuna ventina di detenuti che accettanodi venire a lavorare qui per scontare unapena alternativa alla detenzione. E cisono tanti extracomunitari, anche lorodetenuti. Hanno diritto al permessopremio ma non hanno una famiglia cuiessere affidati e allora vengono qui,stanno tutta la giornata, mangiano eaiutano a distribuire ai poveri del quar-tiere le primizie dell’orto urbano di viaNicolò Nuccio, anche quelle coltivateda un volontario e offerte.

Un unico neo, quello della palestradel quartiere. «Da quando il Comunepretende il pagamento del bigliettod’ingresso, non ci va nessuno — diceArtale — ed è un gran peccato perché leattrezzature erano state donate a noi. Lìci sono solo sei o sette precari che il Co-mune paga per niente. E pensare chetutto quello che noi offriamo al quartie-re è gratis».

PASSI AVANTIUn campo sportivoe la scuola media

IL REPORTAGEALBUM

PALERMO � LXXVIIISABATO 25 MAGGIO 2013

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Le voci del popolo di don Pino“Ti prego, fammi avere un lavoro”

«Ricordati di me in paradiso» oppure«Sono incinta, aiutami tu a dirlo aimiei genitori», o ancora «Sei un puntofisso nel mio cammino che è pieno ditrappole e pazzi. Prega per me». Unaragazza madre lo ringrazia perché il fi-

danzato ha accettato il bambino. Unacoetanea, pochi giorni fa, gli si rivolgeperché «non voglio essere bocciata».

Nell’ultimo anno la crisi si fa sentiree aumentano le richieste di un impie-go: «Sto cercando un lavoro migliore,

non voglio più essere un commessosupersfruttato». Insomma, Puglisiviene venerato già come beato e c’è chigli chiede la grazia di un miracolo.

Anche il Centro Padre Nostro ha ri-cevuto centinaia di lettere e poesie. È

frequentato da centinaia di ragazzi delquartiere Brancaccio ed è animato davolontari, proponendo ogni giornoattività di doposcuola e di formazionealla legalità. È nato per i giovani, pro-prio per coloro che Puglisi aveva più acuore. «L’amicizia è chi crede in noi edè disposto a fidarsi di noi», scrivono iragazzi nei messaggi dedicati al sacer-dote. Molte le poesie ispirate al sorri-so di don Pino. Una arriva pure da undetenuto del carcere Pagliarelli, Euge-nio Scordati: «Flagellato da ogive de-pose le mani lasciando ai posteri ilsentiero dell’onestà e legalità. Un di-vin sacrificio liberando vittime al piz-

zo, destinati in quell’abisso ove regnal’omertà e la disonestà».

E poi ci sono i bambini, per i qualiPuglisi è una specie di Robin Hood.Lasciano disegni colorati e poesie, co-me quella in siciliano dedicata a Bran-caccio da Carmelo Marretta: «Di ’stuquartieri di povira genti spicca lu nomidi qualchi “putenti”. “Putenti” si fa pidiri, sulu stannu cu Diu un si po’ falli-ri, comu ’ddu preti nicu di statura magranni di cori».

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C’è chi invoca un miracolo. E chi gli dice solo: grazie

PENSIERI E PAROLEIl busto di don Pino

Puglisi a BrancaccioAccanto, il prete a

una festa in mascheraSopra, un messaggiolasciato dai visitatori

La chiesa ha riempitoquattro registriin 15 anni. Dai bambinidisegni e poesie

ALBUM

ADRIANA FALSONE

Dal ringraziamento per il suo«saldo no» alla mafia fino allagrazia richiesta per guarire da

una malattia, per far avere un lavoro aun familiare, perfino per trovare l’a-more. I messaggi dedicati in questi an-ni a padre Pino Puglisi e lasciati nei re-gistri della parrocchia di San Gaetanoe al Centro Padre Nostro raccontanoslanci e devozione per il sacerdote-beato. Il primo libro della chiesa (“E seognuno fa qualcosa”) parte dal 15 set-tembre 1998, cinque anni dopo l’as-sassinio. Parrocchiani, visitatori, fe-deli, curiosi che sono entrati in chiesae hanno messo nero su bianco un pen-siero. Quello che colpisce immediata-mente è il registro iniziale dei messag-gi: tutti, indistintamente, ringrazianoPuglisi per il suo esempio. C’è chi glidedica un pensiero di Elvis Presleysull’amore, chi assicura «Noi ci sia-mo», chi gli esprime gratitudine peraverlo salvato dalla strada.

Non tutti hanno fede in Dio, comeLeonardo che scrive: «Non sono cre-dente ma ci lega un profondo amoreper l’uomo e per il perdono». Ma tuttiricordano il suo impegno: «La lottacontro la mafia che hai insegnato aigiovani — aggiunge Luigi — è il con-tributo che hai dato a noi siciliani».

La parrocchia di San Gaetano è arri-vata al quarto libro, e le richieste sonocambiate. Adesso si chiede una grazia:

I MESSAGGI

PALERMO � LXXXSABATO 25 MAGGIO 2013

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ALBUM

La lezione al suo braccio destro“Siamo in tanti, non avere paura”

SARA SCARAFIA

Il vice parroco trentenne alzagli occhi dal piatto: «Parrì, ioho paura». Padre Pino Puglisi

ha appena chiesto a GregorioPorcaro, sacerdote da poche set-timane, di occuparsi dei giovanidi Brancaccio. «Non li vedi i lorosguardi? Tu dici sempre che biso-gna farsi come gli altri. Devo di-ventare un delinquente?». «Sì —gli risponde Puglisi — devi entra-re nel branco». Sul tavolo ci sonoi resti del pranzo. Gregorio sospi-ra. Il parroco gli porge uno stuzzi-cadenti: «Spezzalo», gli dice. Poigliene dà altri due: «Spezzali», in-siste. Quindi gli passa l’intero fa-scio di stecchini: «Adesso spezzaquesti». Ma stavolta Porcaro nonce la fa: «Parrì, ma che mi vuoi di-re?». «Che non sei solo», gli ri-sponde don Pino.

«Quella volta capii davvero co-sa significa il detto “L’unione fa laforza”. E capii quanto è difficile ilfarsi come gli altri per imparare illoro linguaggio: il più grande in-segnamento che padre Puglisi ciabbia lasciato». Porcaro — oggiinsegnante, marito e padre diMatteo, 17 anni, e Marco, che neha 14 — sfoglia l’album dei ricor-di: non celebra più la messa, maporta avanti il suo “sacerdoziolaico” andando in giro a raccon-tare l’uomo il cui insegnamento

lo aiutò a vincere prima la paura,poi la vanità, quando dovette sce-gliere davanti a un figlio in arrivose lasciare lo status di “prete sim-bolo” per seguire il suo cuore.

Porcaro racconta il prete delquale fu il braccio destro nell’ul-timo anno prima dell’omicidio.«Lo conobbi a otto anni, quandoera vice parroco a Valdesi dove vi-

vevo. Un giorno giocavo a pallo-ne con i miei amici e lui ci disse:“Ciao, sono padre Puglisi”. Padredi chi? Gli rispondemmo noi.Non era vestito da prete».

L’intera infanzia di Porcarotrascorre assieme a qual parrocodalle mani e orecchie enormi,con la casa invasa da cinquemilalibri che sistema pure dentro il

forno. Poi l’adolescenza li allon-tana. «Lo rincontrai davanti allacattedrale, quando avevovent’anni». Porcaro è in crisi: nonsa cosa fare della sua vita e passaquattro ore con Puglisi. «Miascoltò e basta. Poco dopo decisidi farmi prete».

Porcaro passa sei anni in semi-nario: vuole fare il missionario e

va spesso in Bangladesh. Diventadiacono il 18 luglio del 1992, allavigilia della strage di via D’Ame-lio. Qualche settimana dopo, Pu-glisi — che da due anni è a Bran-caccio — gli chiede di aiutarlo.«Gli dissi di no. Volevo andare inmissione. Lui rispose: “Va bene”.Ma insistette per farmi vederedove lavorava. Mi portò in una

specie di scantinato dove viveva-no in quattordici. Resistetti pochiminuti per la troppa puzza.Quando uscì, Puglisi mi guardò emi disse: “Il Terzo mondo è anchequi”. Rimasi con lui».

È il 1992, e Porcaro lavora conPuglisi nel quartiere. «Per con-quistare la fiducia dei ragazzi do-vetti usare le maniere forti: peresempio, sbattendo al muro unodi loro che si era rifiutato di salu-tarmi. Ma poi, giorno dopo gior-no, li avvicinammo tutti. Fu Pu-glisi a salvare le loro vite: un gior-no chiese ai ragazzi di spiegargli ilsenso del detto “a megghiu paro-la è quella che non si dice”. Disseloro che la parola che non si pro-nunciava a Brancaccio era “futu-ro”. Oggi gli ormai ex ragazzi sonouomini: carabinieri, magistrati,poliziotti, insegnanti. Padre Pu-glisi sapeva o no fare i miracoli?».

Quando parla di quella notte disettembre, gli occhi gli si bagna-no. A vent’anni dall’omicidio sirimprovera ancora: «Non ho ca-pito quanto fosse in pericolo. E saperché? Per una vita ho ripetutoche aveva perso il sorriso, invecemi sono accorto che non era vero.Ho appena visto per la prima vol-ta le foto del matrimonio di suanipote, che celebrò poche oreprima di morire. Il suo sorriso eralo stesso di sempre. Lo stesso sor-riso di Gesù».

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L’ex vice parrocoPorcaro: “Mi disseche uno stecchinosi può spezzare, unintero fascio no”

INSEGNANTE E PAPÀGregorio Porcaro oggiA sinistra, l’alloragiovane sacerdoteassieme a padre PinoPuglisi e al cardinaleSalvatore Pappalardo

LA TESTIMONIANZA

PALERMO � LXXXIIISABATO 25 MAGGIO 2013

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“Grazie, parrino: senza di te sarei in galera”Da picciotto a testimone di giustizia. “Mi ha cambiato la vita in un’ora”

ILCASO

CLAUDIA BRUNETTO

«Se vivi a Brancaccio, respiri aria dimafia ancora prima di nascere.Volevo essere un uomo d’onore.

Non avevo altri modelli. Se non avessi in-contrato don Puglisi, oggi sarei uno di queiquarantenni che a Brancaccio comandanooppure sarei a marcire in carcere». Giusep-pe Carini, nella località segreta dove oggi vi-ve in quanto testimone di giustizia, se lo ri-corda ancora il momento in cui raccontò adon Pino che fin da bambino sognava di di-ventare un padrino, «uno di quelli che si fan-no rispettare e che tengono in pugno il desti-no di un intero quartiere». Che fra i suoi pa-renti «alcuni erano spariti per lupara biancae con altri in odor di mafia andavamo in piz-zeria il sabato sera o giocavamo a pallone».

È una sera d’estate. Lui e Puglisi sono sot-to casa di Carini, in via Brancaccio, nella vec-chia Fiat Uno del parroco: «Mi ascoltava insilenzio — racconta — poi disse che doveva-mo trovare il modo di interrompere quelpercorso che nella mia vita sembrava segna-to. Che non potevo essere un uomo senzasperanza, senza futuro».

Quando Carini conosce Puglisi, ha 21 an-ni e da poco si è iscritto alla facoltà di Medi-cina. Fino a quel momento è cresciuto instrada a Brancaccio con tanti altri aspirantipicciotti. Si diverte a togliere i tappi deglipneumatici dalle auto parcheggiate o spara-re con la pistola d’aria compressa controqualche bersaglio rimediato in giro. «La miavita — dice — è cambiata in un’ora. Un ami-

co mi consiglia di conoscere il nuovo parro-co di San Gaetano. Dopo qualche titubanzadecido di andare, e lui mi propone di dedi-care un’ora alla settimana ai bambini di stra-da, agli ultimi. Accetto, ma mi vergogno del-l’impegno preso. Temo il giudizio dei com-pari, temo il loro sguardo di rimprovero,penso di tradirli».

Così non va mai in parrocchia a piedi perpaura di essere visto. Prende l’autobus o at-tende un passaggio in motorino. Più volte èsul punto di fare un passo indietro. «Vivevouna forte contraddizione — racconta — fre-quentavo ancora “quella gente” e anche la

parrocchia. Non sapevo da che parte stare.Un piede dentro e un piede fuori. Puglisi miascoltava. Il suo sguardo, il suo sorriso con-tavano più di mille parole. Sapeva sempre dipiù di quello che io stesso osavo confessar-gli».

Dopo l’omicidio del parroco, Carini è unteste chiave al processo contro i fratelli Gra-viano. Da allora vive come un fantasma: hacambiato cinque regioni, otto città e diecicase. A Palermo è tornato soltanto una volta,senza passare però da Brancaccio. Ha un la-voro precario nel sociale e ogni giorno si ri-corda l’insegnamento di quel prete di peri-

feria che «voleva cambiare le cose con pic-coli gesti quotidiani».

«Puglisi — dice — mi ha fatto vedere Bran-caccio in modo diverso. Con lui notavo tuttoquello che non andava e che mi faceva male.Sui bambini scommetteva tutto, e credevache partendo da loro si potesse cambiare lamentalità mafiosa del quartiere. Questomessaggio rimane ancora oggi vivo nel miolavoro». Della beatificazione è contento:«Quando ci penso, sorrido. E sono certo cheanche don Pino, alla notizia, avrebbe spara-to, incredulo, una delle sue battute».

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Giuseppe CariniAll’inizio ero laceratoda una contraddizionefrequentavo i mafiosie anche la parrocchiaDon Pino mi ascoltavama sapeva sempre più diquel che gli confessavo

Le lettureLA STORIASu Giuseppe Carini“Il miracolo di donPuglisi” di RobertoMistretta (Anordest)

LA BEATIFICAZIONE“Pino Puglisi profetae martire beato” diVincenzo Bertolone(San Paolo edizioni)

IL PERSONAGGIO“Pino Puglisi. Pretepovero e santo” diTorcivia e Caldarella(Il pozzo di Giacobbe)

ALBUM

LA GITA AL FIUMEPuglisi con un gruppo di ragazzi

MARIO DI CARO

FORSE è stato quel sorriso of-ferto agli assassini, ripreso esottolineato dalle cineprese,

o forse il fatto di aver incarnatol’immagine dell’anti-Don Abbon-dio, oppure è stato lo shock per laprima volta di una tonaca insan-guinata. Fatto sta che padre Pugli-si ha stregato l’immaginario discrittori e registi al pari di Falconee Borsellino: la sua storia di prete difrontiera è diventata drammatur-gia, ha bucato lo schermo, ha pas-sato la ribalta e ha restituito all’im-maginario degli spettatori la para-bola del parroco che osò sfidare lamafia del far west Brancaccio.

E, se non bastasse ripetere l’e-lenco di libri, film, fiction, spetta-coli teatrali e persino cartoni ani-mati che hanno provato a rico-struire passione e morte di don Pi-no, ci sono autorevoli testimo-nianze sul fascino mediatico diquesta figura. Luca Zingaretti, peresempio, era già il commissariopiù amato d’Italia, ma sul set di “Al-la luce del sole” non ebbe timore adammetterlo: «Mi sento piccolo difronte a questo personaggio. Il ri-schio è di non essere all’altezza».Possibile? Certo, se è vero che unpoeta come Mario Luzi, un Nobelmancato, autore per il TeatroBiondo de “Il fiore del dolore”,confessò di essersi «invaghitoemotivamente del personaggio».

Un personaggio che ha affasci-nato anche gli attori comici. Ficar-ra e Picone, nel 2007, portarono sulpalco del Festival di Sanremo la

storia di «zio Pino malato d’amo-re». E Ugo Dighero, che interpretòpadre Puglisi nella fiction “Bran-caccio”, rivela ancora oggi emo-zione e un coinvolgimento parti-colare: «La cosa che mi colpì di luifu la semplicità e la pacatezza conla quale ruppe gli schemi in manie-ra devastante. Per me fu un’avven-tura straordinaria interpretare unpersonaggio di quella levatura».

Insomma, la tragedia del pretecoraggio ha una potenza dramma-turgica che può essere sviluppatasu più fronti mediatici, una tramache passa attraverso snodi assaighiotti per uno sceneggiatore: lamissione impossibile di combat-tere la mafia da una parrocchia, il

degrado di Brancaccio e il suo es-sere confine rispetto alla presuntacittà-bene, il gelo della Chiesa, leprime minacce, la solitudine, lapacatezza disarmante, il vigoredelle omelie, la consapevolezza diessere un bersaglio, la morte. NéPirandello né Verga: il personag-gio padre Puglisi guarda più aEschilo, una sorta di Ettore che vaincontro alla morte con la forza delgiusto, lasciando cento Astianattein lacrime. Niente gattopardismi,niente corde pazze, meglio un sor-riso e una parola giusta ai ragazzidel quartiere.

«Forse suscita questo interesseperché era un prete — dice il regi-sta Roberto Faenza, autore di “Alla

luce del sole” e adesso produttoredi un documentario su padre Pu-glisi che andrà in onda stasera suRaiUno — o perché per la primavolta s’è visto un sacerdote anti-mafia, in una città dove lo Stato èrappresentato più che altro daquesti parroci di frontiera. Spessoin Sicilia la Chiesa non s’è schiera-ta contro la mafia, e per questo pa-dre Puglisi è diventato un simbolodi riscatto popolare». Ma non c’è ilrischio che affrontando un perso-naggio di questo tipo alla fine ven-ga fuori un “santino” poco aderen-te a una realtà più complicata? «Ilrischio esiste — ammette il regista— io mi sono indignato quando hovisto una fiction che beatificavapiù che raccontare».

L’ultimo arrivato è questo do-cumentario di Filippo Macelloni,con don Puglisi raccontato dagli exallievi. «Una testimonianza —

conclude Faenza — che il suo inse-gnamento è ancora vivo». Lo stes-so messaggio di “Alla luce del sole”quando, dopo l’omicidio, Zinga-retti-Puglisi appariva a uno deisuoi allievi sui banchi della parroc-chia: un sorriso lungo vent’anniche sullo schermo non s’è piùspento.

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ALBUMPALERMO � LXXXIVSABATO 25 MAGGIO 2013

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I MEDIA

Film, cartoni animati, fiction tvcosì “3P” ha bucato lo schermoZingaretti: “Di fronte a lui mi sento piccolo”

IL CARTONE ANIMATOPadre Puglisi con un gruppo di ragazzi di Brancaccionel cartoon “La missione di 3P” di Rosalba Vitellaro

L’opera di Faenzaper il cinema, quelladi Luzi per il teatroil testo di Ficarrae Picone a Sanremo

LA FICTION TV DI GIANFRANCO ALBANOBeppe Fiorello e Ugo Dighero in “Brancaccio”

IL FILM DI ROBERTO FAENZALuca Zingaretti in “Alla luce del sole”