Pagliano Franco - Araldica Del Cielo
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Transcript of Pagliano Franco - Araldica Del Cielo
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Propri età letteraria riserva ta © 1978 Compagn ia Generale Editoriale S.p.A.
INTRODUZIONE
« L'idea di raccogliere gli emblemi dei nostri reparti aerei e di farne, con l'aggiunta di un adeguato commento, un volume che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere bellissimo, mi venne nel 1942, l'anno delle vi ttorie aeronavali di Mezzogi ugno e di Mezzagosto. Credo che difficilmente Un aviatore sia riuscito a crearsi presso comandi, enti, reparti e colleghi una fama simile a quella che seppi procurarmi in quell'anno. Riuscii infatti a farmi conoscere dappertutto come il più valido e il più imperterrito rompiscatole dell'Arma. Perché non soltanto volevo i distintivi e la loro storia, ma li volevo di determinate dimensioni, li volevo a colori o, come minimo, ne volevo due riproduzioni fotografiche chiare e nitide, in modo tale che se ne potesse rilevare ogni più minu to particolare. Date q ueste esigenze, la raccolta del materiale richiese diversi mesi e soltanto nella primavera del 1943 mi fu possibile passare tutto a Mario Guerri, allora il più abile e arguto pennello dell'aviazione italiana, perché ridipingesse a colori tutti i distintivi. Il caro Guerri fu l'ultima vittima di quel lavoro. Lettere, telefonate, appuntamenti, solleciti, non c'era giorno nel quale io non riuscissi a raggiungerlo, ovunque egli si trovasse. Per porre fine a quel tormento, Guerri sacrificò un'intera licenza e alla fine mi consegnò tutta la raccolta riprodotta con una fedeltà, un gusto e
un amore che soltanto un artista con l'aviazione nel sangue poteva possedere. Il testo era già pronto e si trattava quindi soltanto di ottenere l'approvazione dei Superiori Comandi e di trovare un editore. Ho detto "soltanto" . Nulla meglio di questo avverbio potrebbe rivelare l'eccezionale candore del mio animo. Infatti, se è vero che non incontrai difficoltà insormontabili per trovare l'editore, ne incontrai invece talmente tante per ottenere la famosa approvazione, che il "25 luglio '43" mi piombò tra capo e collo mentre ancora stavo cercando di sapere quali fossero gli enti ai quali avrei dovuto rivolgermi per completare la serie dei sospiratI. "S'"l ».
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Quella che avete appena finito di leggere è l'introduzione scritta da mio padre Franco Pagliano al suo libro "Araldica del cielo". Da allora, cioè dall'.estate del 1943, testo e disegni vennero infilati in una cartellina gialla e rinchiusi in un cassetto. In seguito vi furono vari tentativi di pubblicare la raccolta di distintivi, ma era destino che la sua sede naturale fosse il buio dell'interno di un mobile. Sarebbe rimasta solo uno dei tanti ricordi se dopo molti anni non si fosse presentata una certa occasione. Questa occasione si chiama "Ali italiane" , una storia della nostra aviazione dai primordi ad oggi vista dal lato sportivo, militare, tecnico, commerciale, propagandistico. Infatti, quando è arrivato il momento di trovare un elemento complementare all'opera mi sono ricordato del contenuto di quella cartellina gialla e, d'accordo con Giorgio Apostolo e Benedetto Pafi, gli altri due curatori di "Ali italiane", l'ho proposto. Ed è cosÌ che dopo 35 anni l'''Araldica del cielo" viene pubblicata.
Il libro è scritto da un ufficiale pilota negli anni del secondo conflitto mondiale. Non so se mio padre, nel suo intimo, era convinto della necessità di quella guerra, ma sono certo che il suo dovere lo ha fatto fino in fondo, ed è soprattutto per questo, per il rispetto dovuto a chi è stato coerente con se stesso, che ho ritenuto opportuno non toccare nulla, né nel testo né nelle immagini. Può darsi che qualche errore gli sia scappato, che qualche giudizio sia troppo soggettivo, ma le téstimonianze storiche non devono essere manipolate per desiderio di eccessiva esattezza o per opportunismo politico. Franco Pagliano ha scritto diversi libri sull'aviazione italiana, ma "Araldica del cielo" assume per me un valore particolare perché mi permette, a nove anni dalla sua morte, di ricordarlo a chi lo ha conosciuto.
giugno 1978 MAURIZIO PAGLIANO
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Stemmi, insegne, distintivi e blasoni, tutti lo sapete, son cose vecchie. Se ne servivano gli dei, i guerrieri antichi, gli imperatori, i re, se ne servivano paladini, signori, cavalieri erranti, capitani di ventura, nobili e pirati. Se ne serviva insomma tutta la gente che voleva essere conosciuta da distante. Con figure allegoriche, pali e bande, con scudi inquartati, grembiati, partiti di uno e spaccati di tre, con motti
e colori, piume e dragoni, palme e leoni, da che il mondo è mondo gli uomini hanno voluto fare in modo che alloro nome s'accompagnasse il segno. E primi fra tutti l'h;mno voluto gli uomini d'arme. Nessuna meraviglia quindi se l'ultima specie di guerrieri (last not least direbbe Shakespeare), abbia deciso di essere pari alle altre. Nessuna meraviglia se sulle fusoliere delle macchine alate, come un
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tempo sulle gualdrappe dei focosi destrieri , un distintivo e un motto hanno fatto la loro apparizione tra ilverdolino della mimetizzazione. Anche gli aviatori vogliono essere conosciuti da distante. Nei primi . tempi l'araldica aeronautica era impostata quasi sempre su basi altamente e nobilmente retoriche: profonde allegorie, motti latini, ali , Pegasi e pugnali, tutta roba seria, composta e impegnati va. A guardare un distintivo si pensava a un professore di liceo. A guardarlo bene si capiva che, per cavarlo fuori, il più col to tra i componenti del reparto s'era dato da fare a lungo ed era ricorso, specie per il motto, all 'aiuto del cappellano. Si capiva che a mensa si era discusso a lungo sull'argomento, proponendo, bocciando, riproponendo e modificando, sino a che, approvato un determinato distintivo, questo era stato dipinto in ver. nice sulle fusoliere. Col tempo le cose si sono andate modificando. I vecchi dis tin tivi, per retorici che fossero, sono rimasti in vigore perché gloria e tradizione li avevano ormai consacrati. Ma il processo di formazione dei distintivi nuovi doveva per forza di cose risentire dei tempi , dei costumi, degli atteggiamenti e delle mentalità. Gli aviatori nuovi si sono rifiutati di ponzare. Più volte sollecitati dai superiori comandi ad
adottare un distintivo, hanno preferito attendere che questo nascesse da solo, che venisse fuori improvvisamente da un avvenimento, da una figura, da una frase; che venisse fuori dal cuore e non dal cervello. Ne è nata un'araldica tutta nuova, spiritosa e spicciola, spericolata e spontanea. Un'araldica in cui il dialetto, i cartoni animati, la fauna, la flora, e le barchette di car- · ta si sono mischiate a qualche superstite e umanistico motto latino e a qualche aquila spennacchiata. Non bisogna però credere che tutti i vecchi distintivi fossero ispirati ai nobili sentimenti derivanti dagli studi classici . C'era, si è detto, una certa prevalenza di grifoni , di elmi, leoni , pugnali e cavalli alati; ma non mancavano i soggetti più leggeri, quelli ispirati dalla vita d'allora, dalla moda e dalle immancabili ripicche tra reparto e reparto . Tutti si ricorderanno, ad esempio, che i bombardieri della Comina, q uelli con i q uali volava D'Annunzio - inesauribile fonte di motti classici - avevano disegnato sulle carlinghe dei loro Caproni la serie completa degli assi. C'eran tutti, picche, fiori, cuori e quadri.
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La cosa non piacque ai cacciatori che si riunirono a consiglio; decretarono e un bel giorno apparvero in
campo con le snelle carlinghe dei loro apparecchi contrassegnate da questa coccarda tricolore:
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Le specialità non erano ancora nate e già nascevano gli an tagonismi che però non si limitavano ai distintivi, ma si estendevano all'ardore combattivo, al valore, al desiderio di affermazione e di superamento. Del resto anche nei tempi antichi qualche insegna e qualche motto nacquero da antagonismi; con la
aveva la testa calda e lo sfottimento non era ammesso. L'adozione di un'insegna con significato recondito, di un'insegna a doppio senso, comportava sempre richieste di spiegazioni, sfide, tenzoni e sangue. Quelli erano tempi in cui, forse per via della celata, nessuno sopportava la mosca al naso. Piuttosto si faceva partire anche il naso, ma la
differenza che la gente d'allora mosca doveva sparire.
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Invece adesso ci si limita , tra specialità, a schermaglie di penna e di pennello. Di penna sulla stampa aeronau tica e di pennello sulle fusoliere. L'esempio migliore di questo stato di cose lo si è avuto qualche anno fa, quando più accesa era la polemica caccia-bombardamento e quando i "Sorci verdi" del 12° stormo B.T. (Bombardamento Terrestre) trionfavano dentro e fuori i confini. Li ricordate? Si trattava di un distintivo che, per piacevolezza di composIzIOne e chiarezza ,di significato, era destinato a incon trare il favore di tu tti e a rimanere celebre. Gli equipaggi del 12° che pa rteciparono a gare internazionali e a voli da primato fecero veramente vedere i sorci verdi a tutto il mondo. Al trionfale arrivo all'aeroporto di Le Bourget, nella vittoriosa Istres-Damasco-Parigi del 1937, molti giornalisti stranieri giravano intorno ai bei trimotori
ita lia ni S-79, cercando invano di comprendere il significa to di quei tre sorcetti dall'espressione furbesca . A causa delle difficoltà linguistiche era difficile dare spiegazioni: "Vous voyez? Les souris son t verts ... en Italie on dit que c'est difficile de voir des souris verts ... Mais les voila! On les vous a faits voir. .. " . Insomma: gli aviatori italiani con la loro brillante condotta di gara avevano compiuto qualcosa fuori dell' ordinario, facendo vedere agli altri concorrenti i sorci verdi in tutti i sensi, metaforicamente e materialmente . Poi fu la volta dei sudamericani, dopo il magnifico volo tra l'I talia e l'America Latina dei tre S-79 T. "Hombre, que' monos son esos ratones vertes! Pero porque los habeis hechos vertes?". Equi ricominciavano i guai. "Vea Usted ... es un poco dificil. En I talia se dice
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que es muy raro encontrar ratos vertes. Entonces... ". Ammirati all'estero, in patria non godevano di molta simpatia, anzi, stavano sullo stomaco a parecchia gente, anche perché quelli del 12° di tanto in tanto andavano a fare qualche bel passaggio radente sugli altri campi, per far vedere i sorci verdi a q uelii che non li volevano vedere. A masticare amaro erano soprattutto i cacciatori. Dapprima venne · fuori alle mense qualche stornello, si lanciarono frizzi, s'in
crocIarono tra tavolo e tavolo le secche botte e le pronte risposte che sono caratteristiche dell 'ambiente aviatorio . Poi si cominciò a parlare di gattoni castigamatti, qualcuno si · battè sulla fronte, gridò fermi tutti, corse in stanza, prese una matita e dopo qualche giorno su tutti gli apparecchi del 20° gruppo caccia spiccava netto in campo azzurro un bel gattone nero che si lavorava agevolmente tre minuscoli sorcetti verdi. Questo simpaticissimo distintivo è passato poi al 51° stormo.
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• Le al tre specialità, però non sono da meno. Si dice che chi pilota apparecchi più pesanti e più grossi abbia anche una mentalità e uno spirito conseguèntemente appesantiti. Ma si tratta soltanto di un frusto luogo comune, di una diceria maligna che gli equipaggi del 105° gruppo aerosiluranti hanno smentito in modo categorico, piazzando sulle code dei loro grossi apparecchi il cartello raffigurato qui sotto. lo non credo che, quando un cacciatore è in fase di attacco, possa aver modo di vedere i distintiyi e di leggere i motti che la sua prescelta vittima porta sulla coda. Ma in ve
rità vi dico che, se dovesse capitare a me di incontrare un apparecchio difeso da una simile trovata, ebbene, farei un bel cenno di saluto ai piloti e me ne tornerei indietro, rispettando un divieto cosÌ perentoriamente prescritto. Il guaio è che, tenuto conto dei molti colori e delle mal tissi me nazionali tà degli a vversari, bisognerebbe scrivere l'avvertimento in tutte le lingue. E allora la coda di un apparecchio, sia pure quella di un trimotore, non basterebbe più e bisognerebbe lo stesso applicare con rigore e con precisione i famosi articoli 7/7 e 12/7 cui fa riferimento il cartello.
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• Avevamo detto che tra i pnml distintivi aeronautici dominavano nettamente i soggetti classici. Ma guardando attentamente tra le raccol te della guerra 1915-18 ci siamo trovati di fronte a q uest 'omino che protesta. Dobbiamo francamente riconoscere che l'ornino ha ragione di protestare, perché la sua presenza dimostra che anche nella scorsa guerra l'araldica aviatoria attingeva a tutto e si trovava spesso chi non disdegnava di disegnare sulla prua del suo aereo una figuretta come q uesta che, se non sbaglio, è stata presa pari pari dalla copertina del volume "Come ti erudisco il pupo" di Oronzo Marginati . Un libro che allora fece furore, ma che
leggemmo soltanto in seguito perché in quel periodo ci era concesso di erudirci solo sul "Corriere dei Piccoli" .
• È quindi con una certa commozione che abbiamo trovato anche la fotografia di una fusoliera in legno su cui spiccava il familiare viso di Fortunello, le cui mirabolanti avventure allietarono parte dellà nostra infanzia. È strano che, almeno per q uanto ci risulta, nessuno degli aviatori del 1915-18 abbia preso ad insegna la Checca, che pure avrebbe avuto il suo bel significato aggressivo. Non era infatti la Checca, con i suoi poderosi calci doppi, a
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far sempre volare Fortunello oltre l'orizzonte azzurro delle tavole a colori? Ma forse questa avversità per la Checca è giustificata dal fatto che i piloti d' allora iniziavano il loro addestramento su uno strano arnese che veniva appunto chiamato "Checca". Si trattava di un simulacro di aeroplano avente il motore troppo debole per alzarsi o le ali troppo piccole per sostentarsi o
addirittura motore debole e ali piccole, tutto insieme, per farla completa. Gli aspiranti piloti si mettevano il casco e gli occhiali, si chiudevano bene il giubbotto, guardavano dritto dinnanzi alla prua e.. . partivano storti. La "Checca" serviva appunto per imparare a rullare, a partire e in un certo qual modo volare, ma sempre stando a terra .
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• Altro distintivo da noi pescato tra le vecchie raccolte è quello riprodotto qui di fianco. Confessiamo che questo Cupido in cilindro e frac, con freccia sotto al braccio, gobba, numero portafortuna e occhi assassini, ci ha un po ' turbati. Ha in sé q ualcosa di peccaminoso che sta tra il tono di certe riviste leggere d'altri tempi e la vita di tabarino. Si tratta di cose difficili a spiegarsi; ma è certo che quest'insegna ci fa pensare a un ufficiale con monocolo, occhi cerchiati, colletto altissimo, sorriso beffardo e appartamentino da scapolo. A uno di q uegli uomini che piacevano alle donne. È certo che chi aveva fregiato il suo apparecchio d 'un simile distintivo, doveva essere un grande seduttore!
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• In compenso a tanta frivolezza abbiamo però potuto trovare anche questa bella e nobile testa di leone. Coloro che lo avevano scelto per distintivo non avevano certo dovuto penare molto perché allora, anche se non esisteva ancora la Metro Goldwin Mayer, c'era la réclame del Ferro-China Bisleri a portata di mano. Tuttavia dobbiamo onestamente riconoscere che un po' d'originalità avevano voluto mettercela lo stesso. Infatti, volendo essere rappresentati da un animale veramente feroce, i nostri erano ricorsi ad un leone sì, ma ad un leone arrabbiato, che è appunto la quintessenza della ferocia. Per quanto ci riguarda, dobbiamo dichiarare che delle insegne troppo impegnative abbiamo sempre avuto un po' paura perché, a prescindere dal fatto che la serietà è sem
pre una gran bella cosa, ci spaventa la sottigliezza del diaframma che divide il solenne dal ridicolo. Non è che il solenne dispiaccia; è che basta un nonnulla perché il piu bell'effetto vada perduto. Tempo fa , mentre assistevamo a un drammone di Sardou, l'attore che fungeva da Re Sole, passeggiando solennemente per il palco nella scena madre del lavoro, inciampò malauguratamente nel ricco strascico della marchesa di Montespan e, per non cadere, saltellò con tintinnio di decorazioni e ondeggiamento di parrucca. Poco mancò che, dalle sghignazzate del pubblico, si dovesse sospendere il lavoro. Questo, direte, non ha niente a che vedere con i distintivi aeronautici. Ma ha molto a che vedere col solenne e col ridicolo. Suvvia, un apparecchio che porti dipinta a prua un'aquila reale dalle ali spiegate, non può, proprio non può permettersi di cappottare in atterraggio. E dal momento che cappottare è sempre possibile, meglio dipingere sulla fusoli era un passerotto o un · pulcino, magari armato.
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• È facile predicar bene, vero? Ma prima di predicar bene devo confessare di aver razzolato molto male. E pensare che, fin da quando entrai in aeronautica, ero convinto di avere il senso del ridicolo! Ne ero tanto convinto che, essendo stato subito destinato al 7° stormo bombardamento, trovai modo di svolgere un'attivissima campagna con- ' tro il distintivo del mio nuovo reparto che, posso affermarlo con assoluta li bertà di COSCIenza, era ve
ramente brutto. Come potete vedere qui sopra, era composto da uno scudo azzurro al centro del quale una popputa donna bianca, pudicamente coperta di svolazzanti lini, levava in alto con leggiadria una bomba da 500 chilogrammi, pronta
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a lasciarla cadere sulla testa dei passanti. lo proposi di disegnare una donna nuda, parlai di campionato femminile di sollevamento pesi, dissi di cambiare l'oggetto che la donna teneva nelle mani e riuscii a creare, almeno nella mia squadriglia, un ambiente sfavorevole al di~ stintivo, che infine fu tolto dalle giubbe di volo. Se non che, qualche tempo dopo, capitò proprio alla nostra squadriglia di doversi improvvisamente trasferire per un'esercitazione di manovra. Ci dissero che sul nuovo campo avremmo trovato molti generali , che bisognava essere a posto in tutto, che qui, che là, insomma ci fecero capire che era necessario "vendere un po' di vasetti". All'ultimo momento, come sempre acca- , de, ci ordinarono di appiccicare sui giubbotti di volo il distintivo di reparto. Inutile dire che, per quanto si cercasse, non si riuscì a trovarne uno in tutta la squadriglia; l'unico che c'era lo aveva proprio il comandante del nostro reparto e questo lo autorizzava a dardeggiarmi di quando in quando certe occhiate che avrebbero dovuto incenerirmi sul colpo. D'altra parte il tempo per farli ricamare non c'era più, noi volevamo evitare che la cosa si tramutasse in una grana e decidemmo, tra subalterni, di scriverci sulle tute
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bianche estive, al posto del distintivo, un q ualcosa che lo sostituisse. Fui proprio io, considerato il maggior responsabile di quello stato di cose, a scrivere sul giubbotto di tutti gli appartenenti alla squadriglia con un lapis copiativo bagnato di saliva queste chiare parole esplicative: "Donna con bomba" . Sul campo di manovra un austero generale a due botte mi guardò il petto, ammiccò un poco, mi chiamò, lesse e, quando gli ebbi spiegato di che si trattava, scoppiò in una franca, aperta, simpaticissima risata che mi tolse di colpo paura e imbarazzo. A seguito di precisi accertamenti successivi posso garantirvi nel modo più assoluto che il successo di q uesta trovata assicurò al nostro reparto una popolarità e una stima che neppure la perfetta esecuzione delle manovre avrebbe potuto garantirci in maniera così unanime ed esplicita. Per quanto l'episodio che vi ho raccontato possa divertirvi nella sua autenticità, devo scusarmi per non avervi ancora detto quando, dove e perché io, pur atteggiandomi a saggio predicatore, abbia in materia di distintivi razzolato piuttosto male. La cosa mi capitò con l'aviazione legionari a in Spagna nel 1936, d urante il primo anno di guerra. Ero appena arrivato al reparto con il
grado di sottotenente pilota e, sembrandomi di essere stato accolto - forse a causa del mio aspetto da ragazzino - con una certa diffidenza , decisi di superare lo svantaggio iniziale con una q ualsiasi affermazione di forza. In volo non c'era niente da fare perché avevo da imparare da tutti. A terra, dal momento che la diffidenza c'era già, non mi conveniva far sfoggio di zelo se no era peggio. I primi stornelli che avevo improvvisato a mensa (avevo lavorato una settimana per "improvvisarli") erano stati un mezzo fiasco. Non mi restava quindi che tentare di disegnare un bel distintivo. Pensavo che, se questo mi fosse riuscito bene, l'affermazione ci sarebbe stata e avrei potuto vivere finalmente tranquillo. È superfluo dire che, preso dall 'entusiasmo della mia prima guerra, mi buttai a capofitto verso un soggetto serio. A un ' insegna spiritosa non pensai neppure. Ci voleva un'aquila con un paio d'ali larghe due metri , qualche cima nevosa e
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un bel motto. Non vi dico quanto lavorai e con quanta fede e quanta incompetenza nel disegno mi misi all'opera. Dormii poco, persi l'appetito, sciupai non so quanti fogli di carta e trascurai una brunetta tutto fuoco che mi fu prontamente soffiata da ·un collega, ma alla fine il distintivo venne fuori nuovo, originale , bellissimo. L'aquila e le cime nevose mi erano riuscite un po' male, ma le righe, il cartiglio e i caratteri del motto erano proprio perfetti. Ero cosÌ soddisfatto e cosÌ sicuro del mio lavoro, che volli addirittura riprodurlo su una tavoletta di compensato e trasformarlo in modo che venisse impresso a vernice bianca su tutti gli apparecchi. Tra l'altro speravo che nessuno si accorgesse e rivelasse che mi ero sfacciatamente ispirato al distintivo del corso "Falco" . Col cuore che mi batteva forte mi presen tai in sq uadriglia con il mio capolavoro avvolto in un giornale e quando vidi che tutti gli ufficiali erano arrivati , mi feci coraggio e dissi al comandante che , avendo avuto modo di constatare che il reparto non aveva distintivo, mi ero permesso di abbozzarne, anzi di
farne uno, non molto bello, ma significativo, pratico, adatto ... "Insomma, conclusi, eccolo". Al comandante, che era tanto buono, mancò certo il coraggio di dirmi apertamente quello che pensava. D'altra parte io, che senza aspettarmi esplosioni di gioia e manifestazioni in mio onore ero convinto di aver fatto un gran bel lavoro, aspettavo trepidante e non volevo più parlare prima che parlasse lui. Gli altri, intorno, guardavano senza aprir bocca. Insomma il mio distintivo era stato accolto con un silenzio glaciale che non prometteva nulla di buono. Fu allora che si fece avanti il vecchio Girardi. Prese in mano la tavoletta, la guardò con estrema attenzione ponderandone il contenuto, si tolse la pipa di bocca, socchiuse gli occhi, sputò e poi lesse lentamente: "Il mio orizzonte è il mondo" . Una pausa e poi vigliaccamente: "Ostrega che visibilità! " . Credo sia inutile dire che, dopo questa esclamazione, per affermarmi mi ci vollero molti mesi di lavoro serio, parecchie decine di azioni di bombardamento e una cannonata in un 'ala.
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• Per fortuna non tutti i distintivi spagnoli furono così brutti e così sfortunati come il · mio. È vero che ce ne furono anche di quelli che meritavano una sorte peggiore, ma in complesso si ebbe laggiù una fioritura di insegne nate spesso dal felice connubio del senso giornalisrico-aviatorio del non dimenticato Mario Massai, con il genuino spirito di reparto. Nacquero così i "Pipistrelli" che volavano di notte, i "Falchi delle Baleari" che piombavano sui ghiotti obbiettivi della costa occidentale, le "Linci" della ricognizione che scovavano i governativi perfino dove questi · non c'erano. Nacque quel gruppo di insegne spericolate o austere, significative o
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superficiali che gli aviatori legionari dipinsero sui loro velivoli. Tutti i reparti che si fregiavano di questi distintivi seppero compiere prodigi. Tutti. Spesso era proprio dai prodigi che il distintivo nasceva. Ma tra i tanti ci piace sceglierne tre che pi ù degli altri si affermarono. Nessuno ce ne vorrà male, ma sono fermamente convinto che è proprio a questi tre che spetta un'incontestabile primato. I combattenti difficilmente si sbagliano nei loro giudizi sugli altri combattenti. Sanno di che si tratta e sono in condizioni di vagliare e di giudicare con piena conoscenza di causa. Per questo siamo sicuri di non sollevare proteste con la nostra scelta. E adesso cominciamo.
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• Cominciamo col "Gamba di Ferro". È il distintivo più bello che l'aviazione abbia mai avuto. È nato da un episodio di valore e di eroismo. 12 ottobre 1937. Dal campo di Saragozza partono per una crociera di vigilanza sull'Ebro la 31 a e la 32a squadriglia del 6° gruppo, su diciotto Fiat CR-32. Il capitano Borgogno è in testa con cinque apparecchi; seguono il tenente Neri con una pattuglia di quattro, il capitano Botto con una di cinque e il tenente Molinari con una di quattro. Fa piuttosto freddo. L'Ebro è in piena. Intorno la campagna è gialla. Sembra quasi d'essere in Africa. D'un tratto Borgogno batte le ali; tutti proiettano sguardo e cuore in avanti e vedono otto bombardieri Katiuska con una ventina di Curtiss in scorta diretta e altrettanti Rata più alti. Tutti fremono, ma seguono compatti il comandante che manovra per portarsi in condizioni di vantaggio. I piloti tolgono le sicure, si inumidiscono le labbra con la lingua e si assestano bene sui seggiolini. Tra poco ci siamo. Ma, improvvisamente, dalla pattuglia di N eri un apparecchio si stacca e si butta a pesce sui bombardieri. Addio! Gli altri compagni gli si precipitano dietro quasi per agguantarlo e Borgogno, imprecando, è costretto ad iniziare subito
il combattimento contro i Curtiss e i Katiuska, sapendo di avere sulla testa una ventina di Rata. La sua sq uadriglia, la 31 a, comincia la giostra; butta giù un Curtiss, due dei nostri si scontrano, un altro apparecchio avversario va giù, poi cadono ancora due nostri e poi ancora due avversari. Le perdite sono pari, ma Borgogno è rimasto con cinque apparecchi contro sedici,
dato che i bombardieri hanno sganciato e se la sono squagliata. Vira, picchia e spara, ubriacando gli avversari sino a che questi non mettono la prua a levante e si allontanano. Chi ha salvato la 31 a dall'attacco
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dei Rata è stato Botto che li ha affrontati con la sua squadriglia, impedendo loro di interessarsi di quanto avveniva più in basso. Ha portato magistralmente la 32a in vantaggio di luce ed ha impegnato i venti avversari a 4500 metri di quota abbattendo il capo-formazione. I suoi gregari non sono da meno, fanno precipitare altri due Rata, un CR va giù, poi arriva la 31 a e allora altri otto avversari vengono abbattuti. Risultato: quindici a cinque. Botto è esultante, la giostra continua, gli altri non mollano, poi un colpo secco, un dolore acuto e l'apparecchio gli si mette in vite. Ernesto Botto si accorge con raccapriccio di avere la gamba destra maciullata, ma riesce con enorme sforzo a rimettere in linea l'aeroplano, sente l'anima che se ne va col sangue, stringe i denti, intravede il campo, vi dirige la prua, stringe i denti ancora di più, sempre di più, sino a farsi male, scivola d'ala e atterra quasi dissanguato. All 'ospedale gli tagliano la gamba, gli fanno dieci trasfusioni, lo tengono su come possono; non c'è italiano che non preghi per lui, non c'è aviatore legionario che, andando a Saragozza, non trovi il modo di raggiungere l'ospedale per vederlo o per chiedere sue notizie. Quando ritorna al campo vede che sugli aerei del reparto c'è un nuovo distintivo: una gamba di ferro.
• "La cucaracha, la cucaracha, ya no puede caminar por que no tiene, por que le falta una pata para andar" . Ecco un distintivo a suon di musi~ ca, festoso, elettrizzante, accompagnato da visioni di corpi bruni che si scuotono, di anche che oscillano. Non dite che tutto questo non c'en_tra con l'aviazione e con gli aviatori, se no vi linciano. C'entra e come! La cucaracha è una danza tut
ta calore, tutta fuoco, è danza da donne con sangue a 90 gradi, come l'olio in uscita, danza saltellante, impetuosa. Sono stati i "moros", schierati con i nazionalisti, a dire che - quando i nostri caccia eran per aria - sembrava che ballassero la cucaracha. Il paragone piacque e, poiché le
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parole della canzone parlavano di una cucaracha, cioè di un bacarozzo, che non poteva camminare perché gli mancava una zampa, il bacarozzo fu immortalato quale insegna del 16° gruppo caccia. La "Cucaracha" nacque così e nacque bene perché parole, musica, paragone e senso, tutto era stato azzeccato in pieno. Quelli del gruppo andavano pazzi per il loro distintivo e lo onorarono con un bel numero di vittorie. È per questo che dal saxofono del bacarozzo elettrizzato escono minuscoli apparecchi rossi. Perchè la "Cucaracha" spesso suonava gli apparecchi rossi dell' izq uierda, ossia i governativi, li suonava danzando, sostituendo con le mitragliatrici il ritmo esasperante delle maracas.
• Altro bel distintivo spagnolo è quello del 23° gruppo caccia. Lo comandava il biondo Zotti, aviatore pron to di parole e di braccio, cacciatore nato, che portava nel sangue il senso del combattimento e del volo. Aviatore che soltanto in volo poteva concludere la sua esistenza.
. È caduto in una mattinata di nebbia sulle pendici dello Stromboli e l'aviazione ha perduto con lui uno
. di quegli uomini sui quali si sa di poter sempre contare. In Spagna aveva permeato il proprio gruppo
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del suo stile· fatto di eleganza, di tena~ia, di cavalleria e di schiettezza. Aveva sostenuto in poco tempo una trentina di vittoriosi combattimen ti ed era logico che scegliesse un'insegna chiaramente allusiva. Esistevano i precedenti degli assi di picche, di cuori, di fiori e di quadri. In questo caso fu scelto un asso di bastoni. Si rimaneva nel campo delle carte da gioco, ma a quelle francesi si erano preferite le napoletane, che avevano nel disegno più franco e più schietto un sapore nostrano. Nacque così l' "Asso di Bastoni" che nei cieli di Spagna prima e in quelli di altri fronti poi, parlò agli avversari con il linguaggio del nodoso randello. Allargandosi i quadri, 1""Asso di Bastoni" si è riunito ad un altro gruppo per formare il
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53° stormo. È quasi superfluo aggiungere che l'altro gruppo, il 153°, si è fregiato dell' "Asso di Spade" e che lo stormo ha radunato le due insegne in una coppia d'assi, buoni
a terra per la briscola, il tresette e lo scopone, buoni in cielo per giocare quel grande e tragico gioco che si chiama guerra e che ha per traguardo la vittoria o la morte .
• Quasi senza accorgercene, abbiamo parlato a lungo della caccia. Un'incursione nel campo del bombardamento è quindi necessaria. Abbiamo già detto che, quando si dice bombardieri, la gente è portata a pensare a gente compassata, profondamente seria, incapace di far capriole e di scherzare. Ancora una volta ci divertiamo a smentire. Guardate qui sotto:
Il primo distintivo lo ha adottato la 60a squadriglia del go stormo B.T.; l'al tro è q uello della 62a sq uadriglia. In entrambi brillano le stelle dell'Orsa e in entrambi traluce uno
. spirito arguto che i lunghi voli e le lunghe veglie notturne non hanno intorpidito. E notate che il go è uno degli stormi più provati, uno stormo che in Africa ha avuto tre componenti decorati di medaglia d'oro;
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uno degli stormi che quasi non hanno conosciuto riposo. Non per questo la gente che ha l'onore di appartenervi ha assunto delle arie. Si è lasciata rappresentare da un allegro topolino e da un grosso gufo tenebroso dal motto menefreghista, anche se non nuovo in aeronautica.
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• Molto piu posati sono stati invece quelli del 30° stormo che evidentemente avevano da regolare qualche vecchio conto con gli abitanti del mare. Vogliamo sperare che questo antagonismo non venga
. frainteso: gente meno seria avrebbe impresso sulla coda del pescecane i colori dell' U nion Jack, ma al 30° stormo sanno che in questi casi non ci si può confondere.
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• Altro reparto molto nobilmente composto è il 380 che, forse memore della sua lunga permanenza in Albania, ha scelto per emblema l'aquila bicipite di Scanderberg. Ma spicca al centro, tra le ali nere, la bianca croce di Savoia.
• Quelli del 430 stormo sono seri, sÌ, ma con un po' di umorismo.
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Tutto, nel loro distintivo, ha il carattere dell'ufficiosità. Ma hanno voluto che l'iscrizione contenesse la comica formula con cui si iniziano, In qualunque caso, le comunica
• Guardate invece quanta originalità c'è in questa culicide anofelina (vulgo zanzara) del 32° stormo! Questo sì che si chiama essere in gamba! Ben piantato sulle lunghe zampe questo artropode dittero
zioni via filo. Si tratti di un ordine di operazione o di una richiesta di pedalini, il fonogramma deve cominciare così: 43° aerostormo punto. Punto e ... basta.
• Una nota di rimprovero ai plagiari del 99° gruppo. Il caprone è infatti molto bello ed efficace, ma da molti lustri è l'insegna araldica delle officine aeronautiche Caproni. Forse speravano, i baldi equipaggi del 99°, che noi non ce ne accorgessimo? Oppure volevano evitare di spremersi il cervello?
(vedi enciclopedia) sfrutta sapientemente la proboscide a mò di frombola e lancia bombe sul bersaglio. Bella figura ci fanno, al paragone, quelli del 99° gruppo!
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• Un chiaro esempio dei pericoli insiti nei paragoni tra distintivi lo troviamo qui. Il 41 0 gruppo aerosiluranti è uno dei reparti piu in gamba che l'aeronautica abbia mai avuto. Un reparto che ha lavorato in condizioni molto dure, che ha subito perdite gravi e che ha conti
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nuato a lavorare e ad ottenere succeSSI.
Un bel distintivo gli spettava perciò di diri tto. Si è scelto quindi una specie di Belzebù con tanto di tridente e >tanto d'ali a pipistrello. Il soggetto, l'atteggiamento e il motto sono tali da incutere rispetto .
• Ma guardate che figura fa l'animoso Belzebù di fronte all'umoristica figuretta che appare qui a sinistra, trovata sulla coda di un apparecchio anonimo! Freme e schiuma il focosissimo signore delle tenebre e con gran battito d'ali precipita, pronto a scagliare l'arroventato tridente. Ma tanta cruda fierezza svanisce nel nulla di fronte alla domanda del Mago Bacù che è una chiara dichiarazione di menefreghismo: "Ma tu che vuoi?".
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• Passiamo ora ai reparti che si autosfottono per la velocità dei loro apparecchi. Il primo posto lo meritano il 106° e il 107° gruppo de14JO stormo da bombardamento. Si sono fatti rappresentare da una lumaca e da una tartaruga che, a sportelloni aperti e con tanto di
armi difensive in azione, mollano giù il loro carico di bombe. In quanto al ritorno, Dio provvederà. Si narra che, essendo lo' stormo destinato a operare in Egeo, si presentò un giorno a mensa lo spirito del filosofo Zenone che, visti i distintivi, cercò di tranquillizzare i
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bombardieri con il famoso argomento di Achille e della tartaruga. "Se voi, diceva, avete un po' di vantaggio sul vostro inseguitore e la vostra velocità è inferiore ecc. ecc." . Insomma, con un'eloquenza tutta particolare dimostrò che non avrebbero potuto essere raggiunti, Gli equipaggi lo ascoltarono in religioso silenzio e quando Zenone ebbe terminato di parlare, il capocalotta rispose a nome di tutti che la dimostrazione li aveva profondamente convinti e che tutti lo ringraziavano commossi. "Per potervi dar modo di spèrimentare dal vero l'esattezza della vostra argomentazione, concluse, abbiamo deciso di portarvi con noi alla prima azione per farvi vedere come ugualmente basti avere un po' di vantaggio perché il caccia avversario più veloce non possa in alcun caso raggiungerci e noi si riesca ad arrivare a casa tranquilli come se nulla fosse successo" . Si dice che questa dimostrazione non poté avere luogo, ma che il filosofo Zenone dimostrò ugualmente l'assoluta esattezza del suo argomento con una fuga precipitosa durante la quale, malgrado l'età; acquistò subito un vantaggio che gli inseguitori dello stormo non riuscirono a colmare, per quanto fossero convinti di essere molto più veloci di lui.
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• Non bisogna però credere che in aeronautica tu tti si ritengano così lenti: il 18° stormo, ad esempio, quando ha avuto in dotazione i Fiat BR-20, detti Cicogne, si è fatto disegnare un bellissimo distintivo che rappresenta appunto una cico
gna in piena azione. I compiti affidati non sono, in questo caso, di incremen to demografico. Ma gli equipaggi del 18° assicurano che, per quanto concerne quest'ultima parte, loro sono più che sufficienti.
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• Propongo che a tu tto il personale del 13° stormo B.T., rappresentato da questo fulmine rosso, venga concesso un encomio da iscriversi sulle carte personali con la seguente motivazione: "Quale componente di un reparto da bombardamente impegnato in guerra, trovava ugualmente il tempo per contribuire alla realizzazione di una serie completa di distintivi di reparto che, grazie al suo spirito e a quello dei suoi camerati, venivano tutti azzeccati". Non potete infatti negare che un encomio lo meri ta il personale della . 3a squadriglia per il cornutissimo diavolo. Ormai sono finiti i tempi in cui si cavalcavano rozzi manici di scopa. Ora i diavoli vanno a cavallo di
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grosse bombe e le fiamme dell'inferno sono, forse, alimentate a base di spezzoni incendiari al fosforo.
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• Il Pluto della 4a squadriglia è pronto a far la festa al tafano avversario. La sua espressione denuncia chiaramente la gioiosa ansietà di chi è pronto a fare un buon colpo. Non diversa deve essere l'espressione dei puntatori di squadriglia quando entrano nel traguardo i ghiotti obiettivi nemici.
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• L 'anatroccolo della l a è invece di carattere litigioso. Basta guardare l'aspetto truce che assume nel tirarsi su le maniche per capire che tra poco getterà via il berrettino e~I\\
j farà un vero macello, con strilli, spari, stelle, schiamazzi e grande gioia degli spettatori. , \ )
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• La Sa sq uadriglia vuole invece differenziarsi in tutto dagli altri e si è attaccata al domino. Notate che i numeri delle tavolette da gioco formano appunto il totale di S. Cinque: Sa squadriglia. Che profonda allegoria!
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~ Ed ora andiamo a dare uno sguardo in casa della ricogn-izione marittima. È questa una casa austera, una casa di antiche e nobili tradizioni che risalgono alla guerra 1915-18 e addirittura agli anni che
la precedettero. È opportuno quindi adottare un linguaggio consono alle tradizioni che caratterizzano la specialità, la cui posatezza risulta chiara dalla visione di dis6ntivi di questo genere:
Guardandoli non si può fare a meno di pensare alla nostra flotta e a un tenente di vascello osservatore, alto composto, gentilissimo. Guardandoli bisogna confessare che ci si sente presi da un vago senso di soggezione. Con mosse furtive ci mettiamo a posto il nodo della cravatta, ci abbottoniamo le
tasche, ci puliamo la punta della scarpa destra sul polpaccio sinistro e assumiamo un aspetto il più possibile disinvolto. Il tenente di vascello osservatore Vitali di San Mariano, ormai irrimediabilmente materializzato dalla nostra fantaSIa, Cl accompagna cortesemente nella visi ta.
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• "Il primo distintivo, quello dell'artiglio, è della 1430 squadriglia da ricognizione marittima. Quest'altro come vedete, è quello della 144a " .
"La l44a ? Ah sì, ricordo, q uella del golfo di Bomba, vero?". "Intendete dire della baia di Menelao ... Non ricordo con esattezza, può darsi. Quando siete stato a Menelao?" .
,"Nel '40, signor Vitali, esattamente nel luglio del '40. Ricordo che, per una malaugurata coincidenza, mi
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trovai a Bomba, anzi a Menelao, insieme agli inglesi. Eran piovuti giù da non so dove e facevano il diavolo a quattro sugli idrovolanti in rada, mentre a terra ci mangiavamo le mani perché le mitragliere, sapete, erano poche e sembrava che, prese dall'emozione, balbettassero alquan to" . "Ah sì? Un episodio molto interessante!". "Molto interessante no, ma san cose che si ricordano. E, scusate, signor Vitali , avete qualche altro distintivo?" "Oh sì, ce ne sono molti altri; ma hanno quasi tutti un carattere meno serio. Sono un po' l'espressione di quella solita scapigliatura che non si addice a queste cose. Volete vederli?" . "Volentieri, ve ne sarei veramente grato" .
• Ci fermiamo divertiti di fronte a questo anatroccolo della 287a , copiato sano sano da Disney, ma non
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per questo meno divertente e indovinato nell'atteggiamento. Notandoil nostro interesse, il tenente di vascello Vitali di San Mariano sorride con una piega della bocca tra l'ironico e il beffardo. "Vedo che q ues te cose vi piacciono, .sIgnore " .
"Sì, lo confesso: mi piacciono. A voi no?" . "Oh Dio, sono cose graziose, ma le trovo un po' comuni". "Certo un'ancora e un'ala sono molto più originali". Il nostro accompagnatore incassa la botta senza accusare, da perfetto uomo di mondo. Fa q ualche passo, poi si ferma, sorride simpaticamente e dice calmo: "Vedo che noi stiamo scivolando verso le sabbie mobili dell'ironia. È meglio che la smettiamo, se no finiremo per scazzottarci prima della fine della visita". Ha detto proprio la parola "scazzottarci". Evviva! Il ghiaccio è rotto, ridiamo entrambi e continuiamo allegri la nostra rassegna. N asce così la collaborazione aeronavale. Naturalmente Vitali ci tiene a metter meglio in luce quei distintivi che, a suo modo di vedere, uniscono il serio al faceto. È evidente che secondo lui un distintivo, per potersi chiamare tale, deve contenere almeno un'aq uila. Difa tti si ferma di fronte all'insegna della l83 a
squadriglia.
"Guarda questo, mi dice, questo è per me un distintivo passabile. È scherzosò, c'è un'aquila che pesca un sommergibile, ma non manca di dignità".
Si aVVIcma, inquadra con un movimento dell'indice lo scudo, come si fa di fronte ai quadri quando si vuoI far rilevare un dettaglio interessante. lo socchiudo le palpebre, inclino la testa, mi allontano un po', ma negli occhi mi rimane un senso di disapprovazione. "Ho capito" dice Vitali "per te ci vogliono delle cose diverse. Ti accontento subito. Per te se non c'è qualcosa di questo genere non c'è niente da fare. Eccotelo allora un
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bel distintivo! Non manca niente. C'è il ciuccio, gli uccelli, le ali, il binocolo, il mare e c'è anche la reazione che viene fuori da un punto .. innominabile. Sei contento?".
È chiaro che Vitali non mi capisce. Protesto. Dico che certe cose non piacciono neppure a me, che è difficile spiegarsi, che un distintivo deve avere determinati requisiti, che non è affatto necessario buttarsi tutti verso un lato o tutti verso l'altro. Ci vuole dell'inventiva, dello spirito, della capacità nel disegno, ci vogliono tante cose che non possono essere ridotte ad uno schema. Insomma, ci vuole un bel distintivo!
• Questo della 187a squadriglia, ad esempio, è un buon distintivo. È sobrio, ben disegnato e abbastanza significativo. Si potrà osservare che il tema della lumaca non è nuovo . Ma anche i Cant. Z. 501 della squadriglia sono tutt'altro che nuovi. Bisogna averci volato su per ore e ore per capire se la lumaca è significativa o meno. Ore ed ore sul mare, con gli occhi fuori della testa, proprio come lumache, nel tentativo di scovare sotto la superficie mutevole dell'acqua la sagoma oblunga del sommergibile. E una volta scovato, sotto con le 160 A.S., che son fatte apposta! Qualche buon colpo è stato fatto dai vecchi, lenti e gloriosi "mammaiut", che non hanno voluto andare in pensione. E se il loro distintivo non è nuovo, a nessuno più che a loro esso spetta di diritto.
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• Poi viene l'airone San Tommaso della 'W8a . Anche qui un distintivo di disegno franco e con motto che, senza essere classico, è incisivo e appropriatissimo. Sicuro! "Non
credo se non vedo", anche se per vedere bisogna aver fegato e farsi sotto alle navi, e rimanervi sino a quando è necessario, perché bisogna vedere e veder bene!
• La 197a non varia di molto. L'ai rone ha preso un altro aspetto, ma è evidente che ha gli stessi scopi di quello della 288a . Ormai credo di esser riuscito a far capire a Vitali com'è ch'io la penso a proposito dei distintivi. Sto per accomiatarmi, quando lui mi ferma e mi dice: "Aspetta che qui c'è ancora qualcosa". Guardo e inorridisco. "E questo che cos'è? Ma è orribile! Ma come può venire in mente di fare
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una cosa simile? Ma che cosa mI rappresenta tutto questo?". Vitali mi lascia dire, anzi interviene abilmente perché io rincari la dose. E io sotto a tirar fuori altri aggettivi , indignato, convinto di essere nel giusto. Non ho ancora ripreso fiato dopo l'ultima parola che Vitali, facendo finta di niente, assume un'aria distratta e, dato uno sguardo al distintivo che vedete qui a destra, dice brevemente: "Sai, lo ha fatto un pilota".
• E adesso riprendiamo con la caccia. Abbiamo già visto come l'araldica di questa specialità vanti una serie di emblemi vivaci e originali che ben rappresentano lo spirito e l'estro dei nostri cacciatori. Presentiamo per primo il pulcino del 2° gruppo C.T. (Caccia Terrestre) che pigola allegro e procede a passo fiero con un fucile mitragliatore sotto l'ala. È il pulcino dei ragazzi di Quarantotti e di Scarpetta, l'insegna scherzosa di gente che ha fatto la guerra sul serio. Tanto sul serio che entrambi i comandanti sono scomparsi in combattimento, dimostrando che si può essere aquile anche fregiandosi di un modesto pulcino.
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• Subito dopo ci vuole un distintivo classico. Quello del lO stormo C.T. ci sembra particolarmente adatto per antichità e nobiltà. La figura in bianco e nero richiama al
la mente le xilografie di De Carolis e i tre verbi del motto sono presi da "La Nave" di D'Annunzio. Abbiamo notato che molti reparti da caccia invidiano al lO stormo il suo emblema e non possiamo che inchinarci di fronte al chiaro significato di un sentimento del genere. VuoI dire che il distintivo piace .
• Ma ciò che noi, da allievi, abbiamo veramente invidiato non era un distintivo, ma chi lo portava. Venivano a volte sul nostro campo
30scuola i "Diavoli Rossi" del gruppo C.T. e piombavano giù rombando, tanto era facile, seguendone le evoluzioni, vedere tutti i dettagli dell'insegna che porta-_
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vano dipinta sulle loro fusoliere. Quelle sì che erano umiliazioni! Noi dovevamo sudar freddo per fare una modesta virata in linea di volo e quelli arrivavano in formazione, picchiavano sino a sfiorare l'erba del campo, poi su, due viti in cabrata, una scivolata d 'ala e ... avevano atterrato. Noi allievi rimanevamo a guardarli con aria cretina, guardavamo il diavolo rosso che portavano sul petto e almeno per tre giorni parlavamo di donne, di letteratura, di storia naturale, di mineralogia, di tutto insomma, ma di volo no. Parlar di volo dopo quello che avevamo visto era impossibile e noi, anche se accecati dall'invidia, da una sana invidia, avevamo il buon senso sufficiente per capirlo. Quelli non erano piloti, erano mostri!
perché loro bimbi non abbiano paura.
• Diabolico, ma nobile, è l'emblema del 160° gruppo caccia. Anche se la storia della salamandra e del fuoco non è vera, bisogna riconoscere che è ben trovata. Non è
• Tanto per rimanere nel campo del diabolico, eccovi la strega scelta come distintivo di reparto dal 167° gruppo intercettori: vola in ciabatte nel nero della notte a ca vallo di una' scopa, con un nero corvo sulla gobba. Truce d'aspetto essa aguzza nell'oscurità gli occhietti a capocchie di spillo e stride più della cornacchia, mentre nello sforzo stridono anche le sue magre giunture. I piloti appartenenti al 167°, quando ritornano a casa, si tolgono il distintivo
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® Supplemento al n. 6 di «Ali italiane»
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cosa facile poter disporre di un animale che, per le sue abitudini, si presti gentilmente ad essere sfruttato quale efficace distintivo di reparto. Ma devodare una delusione al personale del 1600 gruppo. Sulla facciata della caserma dei pompieri di
una città che non ricordo, ho visto dipinto, un po' più pacchianamente s'intende, un distintivo del genere . E,per quanto possa essere spiacevole, bisogna ammettere che pompieri hanno diritto a fregiarsi di quest'insegna più di qualsiasi altra persona al mondo.
• Bene, molto bene il 1540 gruppo che mette a segno grosse frecce su un pollo di evidente nazionalità nemica. E chissà come sarà gustoso il motivo per cui gli hanno messo
gli stivali! lo confesso di non averlo capito e di non aver neppure capito perché, invece di perdere penne, il pollo inglese perda foglie. Forse una distrazione del disegnatore .
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• Il distintivo del 24° gruppo mi salva dalla necessi tà di dover fare lo spiritoso per forza. Ringrazio di cuore i piloti e gli specialisti del 24° .
• Ottimamente anche il 3° stormo caccia, la cui gente non si smentisce mai . Guardate in faccia la vespa e vedrete che non possono esservi dubbi sulle sue intenzioni , indipendentemente dalle armi anteriori e posteriori di cui è dotata. Quello che porta sul sedere è almeno un pungiglione da 37. E poi dicono che i nostri cacciatori difettano d'armamento!
• Tra gli intercettori notturni un bel gufo armato di trombone, appollaiato in, guardia su una falce di luna, non poteva mancare. i\1a la 377a non si è accontentata di questo. Ha fatto anche un distintivomedaglia, con il recto e con il verso. Il recto è q uello che vedete; il verso porta invece un motto tratto da una nostalgica canzone: "lo alla notte non posso dormire" .
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• "Tu alla notte non devi dormire!" ruggisce però il leone del comando intercettori notturni (già emblema del 15° s torma) che, per essere il distintivo adottato dai Signori Superiori e da molti altri reparti della specialità, si investe di autorità. E in questo caso ha il diritto di imporsi, perché il suo motto non ammette
repliche: "Nec in somno quies" . A proposito di motti latini, lo sapevate che la R.A.F. ne ha uno sul suo distintivo ufficiale? Sicuro! Sotto l'aquila della R.A.F. sta scritto: " Per ardua ad astra". Si vede che non tutto ciò che Giulio Cesare ha insegnato ai Britanni è stato dimenticato.
*** • Distintivo con spiegazione. Nel ultimando i preparativi di partenza l'estate del 1941, all'inizio delle su un campo albanese. ostilità con la Russia, il 22° gruppo I piloti pensano alle trojke, alle baC.T., privo di insegna araldica, sta lalaike, ai Rata e al libero amore.
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chio che con la sua presènza ha spaventato gli avversari. Gli l1).ettono una marsina rattoppata, un cravattino, un cilindro sfondato e un bel panciotto. Ma c'è ancora q ualcosa che non va. La "Cucaracha" i velivoli rossi li suonava; e noi? Perplessità tra le subalternaglia; teste tra le mani, meningi che si spremono, gente che non pensa ad altro. Poi, di colpo, la decisione. La "Cucaracha" i rossi se li suonava? E lo "Spauracchio" se li fuma. Gli schiaffano una bella pipa in bocca e le stelle rosse che ne escono rappresentano appunto gli aeroplani avversari che il gruppo si è fumato il 27 agosto. N ulla di più sintetico, di più arguto, di più significativo.
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C'è gente che viene dalla "Cucaracha", gente che viene dall"'Asso di Bastoni", gente che viene da tutti i più bei reparti da caccia dell'aeronautica. Ed è logico che ognuno insista per adottare un distintivo che ricordi il suo vecchio reparto, al quale ognuno è affezionato. Dopo qualche giorno arriva l'ordine di partenza. Il gruppo fa un salto a Bucarest, si rifornisce e raggiunge il fronte. 27 agosto: alla prima crociera sulle linee i nostri incontrano una nuvola di Rata e di Katiuska.Figuriamoci! Si conoscono fin dai tempi della Spagna e sono come cani e gatti. N e nasce una tremenda zuffa e, uno dopo l'altro, otto avversari vanno giù. Un debutto coi fiocchi. Ma nei giorni successivi sul nostro fronte non si riesce più a trovare un aeroplano nemico, manco a pagarlo a peso d'oro. Quelli del 22° gruppo cercano Invano, SI mnervosiscono, capiscono che hanno fatto male ad agir così, che il primo giorno avrebbero dovuto essere più cauti. Con tutta quella foga hanno spaventato gli uccellacci nemici e adesso non riusciranno più a sparare nemmeno un colpo di mitragliatrice. "Come hai detto? Spaventato gli uccellacci nemici? Forza ragazzi che il distintivo è nato!". Sul vecchio triangolo bianco della "Cucaracha" viene disegnato lo spaurac
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suona i nemici, chi li fuma, ma il 54° stormo se li mangia. Tra unghioni, zanne e sguardo c'è in questa tigre tutto quanto è necessario per un cartellone pubblicitario. Ma è evidente che quelli del 54°" sono superiori a queste cose. Manifesto o non manifesto, loro vogliono fare paura. E, a q uanto ci risulta dal loro diario storico ci sono riusciti .
• Un altro reparto che evidentemente vuole fare paura all'inimico • Sia lode all'autore del distintivo è il 54° stormo caccia. L'aspetto di del 13° gruppo caccia. Questo s'è q uesta tigre è tale da non lasciar scelto ad emblema un Don Chidubbi sulle sue intenzioni. C'è chi sciotte in piena azione. U n Don
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Chisciotte partito a lancia in resta e a testa sotto (il suo Ronzinante non compare ma si intuisce) per abbattere, in nome di Dulcinea gentile e nello spirito delle nobili leggi della cavalleria, ogni forza malefica. Il grande pazzo ebbe, è vero, la disavventura dei mulini a vento. Ma quelli del 13° no. Potete star tranquilli. Quando quelli del 13° partono a testa sotto, lo fanno come in occasio
ne del tentativo di sbarco effettuato dagli inglesi a Tobruk nel settembre del '42. Con le bombe in resta si buttarono all'assalto delle unità leggere inglesi che incrociavano al largo della rada e fecero una sarabanda che valse loro la citazione a bollettino. "A testa sotto". Che ne direste, valorosi piloti del 13°, di questo motto inciso sullo scudo del vostro segaligno cavaliere?
... 1f. ...
• Qui c'è il modesto distintivo di uno stormo superbo: il 50° d'assalto. Il motto è veneto, si potrebbe pensare per via di quella lunga permanenza a Treviso che precedette il trasferimento del reparto a Bengasi, ancor prima della guerra. Ma siamo in grado di smentire la supposizione perché distintivo e motto nacq uero tre anni prima in Spagna. Solo dopo è passato al 50°. È uno stormo dove i "cannoni" pullulano. Erano arrivati alla Berka con i loro vecchi Ba-65, ma poco prima della guerra giunse l'ordine di far partire i piloti per l'I tali a, dove ritirarono nuovi apparecchi, rientrando in Africa al gran completo giusto in tempo per iniziare la giostra. Ma loro la giostra avevano
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imparato a farla sul Ba-65 e, quando si accorsero che con i nuovi aeroplani non c'era possibilità di far la guerra come la volevano fare loro, puntarono i piedi ed ottennero
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di ricostituire un gruppo sul vecchio apparecchio. Un gruppo che si è coperto di gloria. Sono ragazzi audaci quelli del 50°; audaci, spacconi, generosi, turbolenti e, dal punto di vista aviatorio, perfetti. Innamorati della loro specialità come di una bella donna. Innamorati al punto da provocare violente reazioni negli altri reparti,
reazioni che hanno portato alla creazione di uno stornello piccante che veniva cantato a mensa o sotto tenda sul vecchio motivo di "Se non ci conoscete". Eccolo: "Assai to, assalto, assaI to, son diventato pazzo, assalto, assalto, assalto, assaltateci ... ". E gli stornelli, voi lo sapete, SI
chiudono sempre in rima.
• Aviatori, giù il cappello! Il caval numeri grossi che girano un po' lino rampante di Francesco Barac dappertutto; ma si tratta di vittorie ca scalpita impetuoso sugli emble italiane, di vittorie valutate col simi dei due gruppi che formano il 4° stema del contagocce, con la dostormo caccia, l'erede delle tradi cumentazione fotografica alla mazioni della specialità, il più vitto no, con la meticolosità, la pignolerioso stormo d'Italia. ria e la dignità che sono vanto dei Centinaia di combattimenti, 2 me nostri cacciatori. È lo stormo degli daglie d'oro, cinquecento vittorie. "Assi", intendendo per "Assi" i Sembrano poche a chi è abituato ai campioni del valore.
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--• Il distintivo del 150° gruppo cac Quando a un reparto un nomignocia è di q uelli che non possono es lo sostituisce un cognome, vuoI dire sere compresi se non se conosce la che il più è fatto. Gigi era trentino, storia. E la sua storia è questa: era biondo, era alto, era sempre "Gigi tre osei" era un ufficiale di pronto al volo, al canto e all'amore complemento. Era precisamente il comè le creature felici. 9igi era in sottotenente pilota Luigi Caneppe gamba. Era tanto in gamba che, le, un aliantista olimpionico che - q ualche tempo dopo, dovettero tradopo essersi laureato in ingegneria sferirlo ad un gruppo di nuova aeronautica - aveva conseguito il formazione perché addestrasse il brevetto di pilota militare ed era personale giovane. Col nuovo capitato al 150° gruppo quando gruppo partì per la guerra, comquesto si trovava a Caselle Torine battè in Tunisia, prese la prima se. S'era presentato al reparto por medaglia, poi fu trasferito in Africa tando sulla tuta il distintivo di col 2° stormo, continuò a combataliantista in possesso del brevetto tere e tornò infine a Caselle per un C. Tre aquile stilizzate, stilizzate al periodo di riposo. punto che avevano dovuto chieder Ma durante il riposo si lasciò un gli che cosa diavolo fossero. "Tre giorno prendere la mano dal cavalosei" aveva risposto Caneppele nel lo rosso dell'entusiasmo e, salito su suo bel dialetto; e da quel giorno un biplano, si mise a fare a gara era diventato per tutti "Gigi tre con le rondini. Le rondini, lo sapeosei". te, volano basse e si posano sui fili;
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Gigi cercò di posarsi sui fili a sua volta, ma era più pesante delle rondini e ne venne fuori una scassata, un rapporto incidente di volo, una busta gialla di arresti e un trasferimento ad un reparto di idrovolanti in cui bisognava volar piatti per forza. I n questi casi non si transige. Chi giudica e punisce, dimentica che ai suoi tempi ha fatto anche lui le puntate, o ricorda di averle fatte e di essere andato a finir dentro. Pensa che quelli erano bei tempi, si lascia per un momento prendere la mano dalla nostalgia, poi si scuote, ridiventa burbero e prende "i provvedimenti del caso". Sotto sotto però sorride al pensiero che, · se quell'altro non è un pollo, alla caccia ci tornerà lo stesso. E Gigi ci tornò. Ci tornò qualche _ tempo dopo nella maniera meno ortodossa e più impensata, ma ci tornò. Il suo vecchio gruppo, il 150°, si trasferiva in Africa. Su uno dei campi tappa il comandante era sceso dall'apparecchio, era andato a far pipì, aveva dato disposizioni
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per il rifornimento e stava attendendo l'ordine di partenza, quando si vide arrivare davanti Gigi. Un Gigi irriconoscibile, demoralizzato e abbattuto, un Gigi che si dava pugni in testa e diceva che lì sarebbe morto di inedia. "Comandante, portatemi con voi in Africa". "I n Africa? Ma che sei matto?". "Comandante, sono matto. Ma portatemi con voi in Africa; rinsavirò". "Ma come vuoi che faccia?". "Fate come volete, comandante, ma non lasciatemi qui" . "No senti: adesso tu rimani qui, vuoI dire che ti richiederò e raggiungerai il gruppo laggiù". "Comandante non chiedete niente, portatemi con voi subito." "Sub'ItO.? E' una l l'' "S'lparo a.. comandante; è una parola, una sola, bellissima: Subito! Sentite come è bella?". "Eh, lo sento! Ma poi chi li sente i signori superiori?". "Comandante, li sentiremo insieme, li sentiremo con tutto il gruppo schierato, li sentiremo come vorrete voi, ma adesso portatemi in Africa!". E così per ore intere, al circolo, a mensa, in cameretta, sul pra
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to, al comando, dovunque il co nuare a fare la guerra, scrivere una mandante andasse l'altro gli stava .dichiarazione giustificativa, attacdietro e continuava quella lagna. carsi a tutte le "maniglie" possibili. A volte, lo sapete, ci si mette di La guerra continua, il suo gruppo mezzo il diavolo. Mentre il gruppo fa miracoli, ottiene una citazione a è lì in attesa di spiccare l'ultimo bollettino e finalmente la burrasca balzo, si ammala uno degli ufficiali; si ·placa. Gigi rimarrà con loro. il comandarite lotta con se stesso, Rimarrà con loro continuando a riflette, scuote la testa, vede che l'uf combattere con quell' en tusiasmo ficiale non guarisce, ci ripensa, poi che non può essere descritto a parodi colpo decide e dice a Gigi di te le, perché con certe cose non ci si nersi pronto a partire. Gigi si può misurare a parole. Rimarrà schiaffa sull'attenti di fronte al co con loro sino a quando, durante un mandante, lo abbraccia con gli oc volo di trasferimento su un campo chi, lo bacia con il pensiero, schizza avanzato, volo per il quale si era in cameretta, fa fagotto e l'indo offerto volontario perché era indimani all'alba parte per l'Africa. spensabile trasportarvi subito gli La bomba scoppia qualche mese specialisti del gruppo, cadrà nel dopo, mentre il 1500 è in piena atti tentativo di portare a termine a vità di guerra. Gigi, che porta sem qualunque costo la missione che gli pre il suo vecchio distintivo di era stata affidata. Buona parte dealiantista, è il più audace, il più in gli specialisti si salva grazie al suo stancabile, il più valoroso pilota del sacrificio. reparto . I "tre osei" sono sempre in Dopo la sua scomparsa, il sottotevolo con lui, e attaccano, mitra nente Di Robilant, che era l'ufficiagliano, giostrano, s'impennano, le sul cui apparecchio Gigi si era picchiano, battono ormai qualsiasi trasferito in Africa e sul quale avetipo di rondine che sorvoli la gialla va combattuto, volle ricordarlo facrosta del deserto. cendo disegnare sull' apparecchio • Iniz i;:, Quando scoppia la bomba, Gigi è stesso i famosi "treosei". Subito tivi di 0 -':
preoccupato per il comandante. Va dopo, con l'aggiunta di un nome, di da osser a finire che, se fanno tanto di im una palma e di qualche duna, nac più antic puntarsi, gli fanno sal tare la pro q ue spontaneo e bellissimo il di gloriosa -~ mozione. Il comandante è preoc stintivo del 1500 gruppo caccia, i glia del cupato per sé e per Gigi. Va a finire cui piloti hanno voluto fare in mo Nata ne. che se fanno tanto di impuntarsi, lo do che "Gigi tre osei" rimanesse Moizo, trasferiscono un'41tra volta. In ogni sempre con loro, anche dopo l'ul traverso modo non può far altro che conti- timo, definitivo trasferimento. 1915-1 8.
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1-. AScrIlSERENISSIMA..
• Iniziamo la rassegna dei distintivi di cui si fregiano i nostri reparti da osservazione aerea (O.A.) con il più antico tra di essi. Quello della gloriosa "Serenissima", la squadriglia .del volo su Vienna. Nata nel 1911 con i voli libici di Moizo, di Piazza e di Gavotti, attraverso le prove della guerra 1915-18, quelle della campagna
etiopica e quelle della guerra di Spagna, la ricognizione terres tre è giunta ai duri giorni del secondo conflitto mondiale vantando un indiscusso primato di operosità e di gloria. C'è il malvezzo di chiamarla "la Cenerentola" e nessuno, a quel che ci risulta, ha sfruttato l'idea per un distintivo che ricordi questo soprannome.
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• Lo stilizzatissimo Pegaso del 61 u
gruppo vuoI certo esprimere, col suo dinamico atteggiamento, lo slancio e il senso di generosa dedizione che animano i suoi equipaggi. Non rimproverateci l'uso di queste frasi grosse di cui del resto non abbiamo abusato. Tutti gli aviatori e tutti i combattenti conoscono lo slancio e la dedizione. Ma negli equipaggi della ricognizione terrestre queste virtù sono esaltate
dalla natura dei compiti che essi sono chiamati ad assolvere. Non tutti sanno che cosa voglia dire andate a bassa quota sulle linee nemiche e rimanervi per cercare, per vedere, fotografare, annotare e riferire, indipendentemen te dall'inferno scatenato da terra e dal cielo. Ma chi lo sa, ne siamo certi, ci lascerà passare quelle poche parole grosse che abbiamo usato per la ricognizione terrestre .
.MEMENTO EXTOL.(.E.R.~
ANIMAM
grupP'=
• Vi presentiamo ora la ferocissima lince del 50 gruppo O.A. che ha occhi per vedere e zanne per mordere. Non si può escludere che chi l'ha disegnata volesse alludere alle ricognizioni offensive, al cosiddetto "lavoro straordinario" della specia
lità. Si tratta di cancare a bordo bombe e spezzoni per scaricarli, con il contorno di qualche raffica di mitraglia, su ciò che si trova di più importante nel corso della missione esplorativa. Un lavoro di un certo interesse, che ai ricognitori piace
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sempre perché dà loro modo di far • La 1273 ha adottato un distintiqualcosa di diverso dal solito. Ve vo a rebus. Non ve lo possiamo dere e mordere; questo vuoI dire, a spiegare per via delle signore che nostro avviso, il distintivo del 5° altrimenti arrossirebbero. Cercate
. pIace
gruppo.
te....
(.' ~ ~~~ /l'~~,==IWJ -Il,'-.7
di farlo voi con garbo ed eleganza.
*** • Bellissimo lo scorpione che appare sui velivoli della 353 sq uadriglia con Antares sulla groppa. Da ragazzo avevo una simpatia speciale per Antares e scrissi sulla costellazione dello Scorpione una bellissima poesia che però nessuno volle mai pubblicare. A tradimento vi rifilo gli ultimi versi: . O rosso Antares quando tu scompan io ti attendo sereno perché so che tornerai a splendere nel mIO cielo .
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• Distintivo scostumato. Almeno i grado, con documentazione fotosoldatacci della l27 a si erano trin grafica alla mano e con testimocerati dietro al mistero del rebus; nianza di almeno cento persone, di ma quelli del 64° gruppo non han dimostrarvi che ben sei anni fa, no proprio nessuna considerazione. quella parolina che esce dalla bocMa non sapete, sciagurati, che con ca del vostro topolino io l'avevo q uesto vostro distintivo rischiate di già scritta sulla coda del mio appafarmi perdere l'occasione di vende recchio, grande così. re il presente volume in tutte le case dove ci son ragazze da mari to? Anche ammesso che il libraio lo presenti ad un severo padre di famiglia, imbonendolo come un piazzista, dicendogli che si tratta di una cosa scherzosa, piacevole, conveniente, adatta per tutti i sessi e per tutte le età, al momento in cui il padre severo - sfogliando il volume - arriva a questa pagina, "Tè!" gli dice e gli fa lo stesso gesto del vo
24"SQVADRIGLIA OA. LA SCALIGERA
stro topolino, andandosene poi • Mi dispiace aver ridotto il sobrio · scandalizza to. distintivo della 24a squadriglia a E poi, un'altra cosa. lo sono in formato francobollo, ma dovevo
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stiamo ~ ~'...
fortuna :. vestito I" te pilota motto di~~·_-......._
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one, di ~ anni fa,
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pur sfogarmi con gli scostumati del 64° gruppo. E poi, ad esser sincero, come avrei potuto cavarmela con un distintivo così austero? Non potevo mica stendere una biografia di Cangrande Della Scala!
• Ancora Donald Duck! Adesso stiamo esagerando con Disney! Per fortuna il personale della 118a ha vestito l'anatroccolo da sottotenente pilota e lo ha nazionalizzato col motto dialettale "Guardu e t' lu disu" che è breve e non manca di efficacia. Ma se Disney dovesse chiedere i diritti d'autore, sai quante trattenute verrebbero fuori sulle buste stipendio degli originalissimi disegnatori del reparto!
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• Anche Diogene sono andati a pescare quelli della 123a ! Ciò è poco rispettoso , ma non si può dire che non abbiano ragione. Entrambi girano infatti al solo scopo di cercare l'uomo. Protestiamo però energicamente per la bottiglietta di cognac che il celebre filosofo greco si porta dietro, appesa al bastone, anche perché ce ne sfugge l'eventuale significato recondito. Avremmo preferito la sola lanterna o la lanterna e un nodoso bastone. Ma, dopo la protesta, non possiamo fare a meno di concedere venti ventesimi all'autore del motto e a quello degli eloquenti puntini sospensivi che lo seguono.
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• Il personale del 63° gruppo O.A. to trova che un soggetto o un disenon avrebbe diritto a fregiarsi di gno già sfruttati in altra sede si prequesto stupendo "Occhio di Lince" stano ad essere impiegati come dise non avesse dimostrato di saper stintivi, deve o non deve servirsene? fare ricognizioni dappertutto, su Risposta: sino a che è possibile, è mare, su terra, in collina, in pianu meglio essere originali. Ma piuttora e anche tra le pagine delle vec sto che mettere in giro delle "pechie riviste sudamericane. cionate" come quelle che ci sono Se non che, senza essere ricognito arrivate da qualche parte e che noi ri, tra quelle stesse pagine abbiamo non abbiamo pubblicato rischianfinito per metterci il naso anche noi do l'odio eterno degli autori, piuted abbiamo scoperto che "Occhio tosto che mettere in giro delle cose di Lince" è né più né meno che il decisamente brutte, è meglio chiuclassico "Patorusù", delizia di tutti dere un occhio e scopiazzare un i marmocchi dell ' America Latina. po '. Ci sarà certo meno gusto, ma Rimane adesso da stabilire una co si vedranno emblemi che, come sa: q uando il personale di un repar- questo, fanno bene agli occhi!
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• Il piratesco distintivo del 1300
gruppo lo ha disegnato un valoroso aerosilurante, il tenente Lo Prieno, che è scomparso in azione come tanti altri del suo celebre reparto. Lo Prieno aveva le mani abili e forti; ma una di queste mani se l'era disgraziatamente fratturata proprio nei giorni in cui c'era del lavoro duro per tutti. Era quindi a riposo quando arrivò l'ordine per una di quelle azioni al largo delle coste algerine dalle quali era più facile non tornare che tornare. Ma Lo Prieno non poteva rimanere a terra. Si presentò al comandante,
disse che quella volta toccava a lui, che stava benissimo e per dimostrarlo strinse i denti, soffocò il dolore e articolò la mano. PartI con altri cinque, incontrarono una nuvola di cacciatori avversari, si difesero tutti strenuamente, lottarono nel grigio cielo invernale sul mare grigio e l' apparecchio di Lo Prieno non rientrò alla base. La mano che lui era riuscito ad articolare in presenza del comandante per poter avere il permesso di partecipare a quell'azione, era la stessa mano che aveva disegnato questo distintivo.
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• Questa è l'insegna dell'unico stormo italiano la cui bandiera sia stata, sino ad oggi, decorata della medaglia d'oro al valor mili tare: il 36°. Un vecchio stormo da bombardamento che si è trasformato in guerra in stormo aerosiluranti e che, alla sua prima azione, il 27 settem bre 1941, perse sette eq ui paggi durante gli attacchi effettuati a sud della Sardegna contro forze navali inglesi di scorta a un convoglio diretto a Malta. La nave da battaglia "Nelson" incassò un siluro che la costrinse a rientrare a Gibilterra. L'S-79 che fece il colpo era quello del maggiore Buri. Venne colpito anche un piroscafo, poi affondato, e furono danneggiate varie altre unità da guerra e da trasporto. In q uel giorno scomparvero con i loro eq ui paggi il colonnello Sei dI, i
capitani Verna, Tomasino e Rotolo, i tenenti Barro, Deslex e il sottotenente Morelli. A meno di un anno di distanza, durante il grande e vittorioso scontro aeronavale del giugno 1942, i nuovi equipaggi del 36° stormo vollero essere all'altezza delle tradizioni del loro magnifico reparto e contribuirono a ridurre a mal partito le formazioni navali inglesi. Dagli attacchi non rientrarono gli apparecchi del colonnello Farina, del maggiore Turba, del capitano Simeoni e quelli dei tenenti Leonardo, Abate, Zanelli e Bedosti. Oltre a quella concessa alla bandiera il 36° stormo annovera poi tra la sua gente altre sette medaglie d'oro. Mai la presenza di un'aquila in un distintivo di reparto è così giustificata come in questo caso.
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• Parlare dei "Quattro gatti",della nostra prima squadriglia di aerosiluranti entrata in azione ad Alessandria nella notte del 15 agosto 1940, sembra inutile. Tutti sanno che la sparuta rappresentanza di questa specialità si è scelta da sola quella definizione scherzosa, atta a rappresentare l'esiguità del numero. Dalla definizione è nato il distintivo della 278a .
• L'aviazione da trasporto, consi guerra in specialità di sacrificio, è derata in pace come una specialità rappresentata dal bel distintivo didi "pacchia" e trasformatasi in segnato a suo tempo per la
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L.A.T.I. da Boccasile, distintivo ·al quale mol ti equipaggi si sono affezionati perché con questo hanno sorvolato gli oceani e fatto conoscere al mondo la perfetta organizzazione delle linee transcontinentali italiane. Abbiamo detto noi stessi che si tratta di un bel distintivo. Ma che
ai trasporti, dopo che la stampa aeronautica aveva lanciato l'azzeccato nome di "Marsupiali" con il quale venivano definiti i loro grossi apparecchi, che ai trasporti nessuno abbia pensato a disegnare un bel canguro con il marsupio traboccante di materiali d'ogni genere, questo è imperdonabile.
• Avete visto? Mi sembrava di saperlo! Nel fermo intento di restituirmi la botta, Vitali di San Mariano era scomparso subito dopo avermi mostrato lo strano distintivo dell'85° gruppo da ricognizione marittima. Ma non avevamo finito. C'era ancora quello della 171 a
squadriglia che ripete piacevolmente il motivo dell'airone, caro alla specialità che vola su apparecchi Cant. Z-506, conosciuti appunto sotto il nome di Aironi.
Il lavoro è finito. Naturalmente non è completo perché non volevamo fare una raccolta ufficiale dei distintivi di tutti i reparti, raccolta che sarebbe stata noiosa per voi e per noi. Alcuni distintivi potrebbero esserci sfuggiti, altri non li abbiamo inclusi di proposito perché, diciamolo francamente, erano proprio brutti e pubblicandoli avremmo finito per far danno ai reparti che li avevano adottati. Ci sono aquile, costellazioni, cani, uccelli, bombe e pugnali. C'è anche qualche topo, alcune belve e poi pesci, forche, torri, e orologi. Gli aviatori che sono stati gli ispiratori e gli autori dei distintivi non presentati in questa breve rassegna ci perdoneranno.
giugno 1943 FRANCO PAGLIANO
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