Pagliano Franco - Araldica Del Cielo

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Propri età letteraria riserva ta © 1978 Compagn ia Generale Editoriale S.p.A.

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INTRODUZIONE

« L'idea di raccogliere gli emblemi dei nostri reparti aerei e di farne, con l'aggiunta di un adeguato commento, un volume che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere bellissimo, mi venne nel 1942, l'anno delle vi ttorie aeronavali di Mezzogi ugno e di Mez­zagosto. Credo che difficilmente Un aviatore sia riuscito a crearsi presso comandi, enti, reparti e colleghi una fama simile a quella che seppi procurarmi in quell'anno. Riuscii infatti a farmi conoscere dappertutto come il più valido e il più imperterrito rompiscatole dell'Arma. Perché non soltanto volevo i distintivi e la loro sto­ria, ma li volevo di determinate dimensioni, li volevo a colori o, come minimo, ne volevo due riproduzioni fotografiche chiare e nitide, in modo tale che se ne potesse rilevare ogni più minu to particolare. Date q ueste esigenze, la raccolta del materiale richiese diversi mesi e soltanto nella primavera del 1943 mi fu possibile passare tutto a Mario Guerri, allora il più abile e arguto pennello dell'a­viazione italiana, perché ridipingesse a colori tutti i distintivi. Il caro Guerri fu l'ultima vittima di quel lavoro. Lettere, telefona­te, appuntamenti, solleciti, non c'era giorno nel quale io non riuscissi a raggiungerlo, ovunque egli si trovasse. Per porre fine a quel tormento, Guerri sacrificò un'intera licenza e alla fine mi consegnò tutta la raccolta riprodotta con una fedeltà, un gusto e

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un amore che soltanto un artista con l'aviazione nel sangue poteva possedere. Il testo era già pronto e si trattava quindi soltanto di ottenere l'approvazione dei Superiori Comandi e di trovare un editore. Ho detto "soltanto" . Nulla meglio di questo avverbio potrebbe rivelare l'eccezionale candore del mio animo. Infatti, se è vero che non incontrai difficoltà insormontabili per trovare l'editore, ne incontrai invece talmente tante per ottenere la famosa ap­provazione, che il "25 luglio '43" mi piombò tra capo e collo mentre ancora stavo cercando di sapere quali fossero gli enti ai quali avrei dovuto rivolgermi per completare la serie dei sospi­ratI. "S'"l ».

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Quella che avete appena finito di leggere è l'introduzione scritta da mio padre Franco Pagliano al suo libro "Araldica del cielo". Da allora, cioè dall'.estate del 1943, testo e disegni ven­nero infilati in una cartellina gialla e rinchiusi in un cassetto. In seguito vi furono vari tentativi di pubblicare la raccolta di di­stintivi, ma era destino che la sua sede naturale fosse il buio dell'interno di un mobile. Sarebbe rimasta solo uno dei tanti ricordi se dopo molti anni non si fosse presentata una certa occasione. Questa occasione si chiama "Ali italiane" , una storia della nostra aviazione dai primordi ad oggi vista dal lato sporti­vo, militare, tecnico, commerciale, propagandistico. Infatti, quando è arrivato il momento di trovare un elemento comple­mentare all'opera mi sono ricordato del contenuto di quella cartellina gialla e, d'accordo con Giorgio Apostolo e Benedetto Pafi, gli altri due curatori di "Ali italiane", l'ho proposto. Ed è cosÌ che dopo 35 anni l'''Araldica del cielo" viene pubblicata.

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Il libro è scritto da un ufficiale pilota negli anni del secondo conflitto mondiale. Non so se mio padre, nel suo intimo, era convinto della necessità di quella guerra, ma sono certo che il suo dovere lo ha fatto fino in fondo, ed è soprattutto per questo, per il rispetto dovuto a chi è stato coerente con se stesso, che ho ritenuto opportuno non toccare nulla, né nel testo né nelle im­magini. Può darsi che qualche errore gli sia scappato, che qual­che giudizio sia troppo soggettivo, ma le téstimonianze storiche non devono essere manipolate per desiderio di eccessiva esat­tezza o per opportunismo politico. Franco Pagliano ha scritto diversi libri sull'aviazione italiana, ma "Araldica del cielo" assume per me un valore particolare perché mi permette, a nove anni dalla sua morte, di ricordarlo a chi lo ha conosciuto.

giugno 1978 MAURIZIO PAGLIANO

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Stemmi, insegne, distintivi e bla­soni, tutti lo sapete, son cose vec­chie. Se ne servivano gli dei, i guer­rieri antichi, gli imperatori, i re, se ne servivano paladini, signori, ca­valieri erranti, capitani di ventura, nobili e pirati. Se ne serviva in­somma tutta la gente che voleva es­sere conosciuta da distante. Con figure allegoriche, pali e bande, con scudi inquartati, grembiati, par­titi di uno e spaccati di tre, con motti

e colori, piume e dragoni, palme e leoni, da che il mondo è mondo gli uomini hanno voluto fare in modo che alloro nome s'accompagnasse il segno. E primi fra tutti l'h;mno volu­to gli uomini d'arme. Nessuna meraviglia quindi se l'ul­tima specie di guerrieri (last not least direbbe Shakespeare), abbia deciso di essere pari alle altre. Nes­suna meraviglia se sulle fusoliere delle macchine alate, come un

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tempo sulle gualdrappe dei focosi destrieri , un distintivo e un motto hanno fatto la loro apparizione tra ilverdolino della mimetizzazione. Anche gli aviatori vogliono essere conosciuti da distante. Nei primi . tempi l'araldica aero­nautica era impostata quasi sem­pre su basi altamente e nobilmente retoriche: profonde allegorie, motti latini, ali , Pegasi e pugnali, tutta roba seria, composta e impegnati ­va. A guardare un distintivo si pen­sava a un professore di liceo. A guardarlo bene si capiva che, per cavarlo fuori, il più col to tra i com­ponenti del reparto s'era dato da fare a lungo ed era ricorso, specie per il motto, all 'aiuto del cappella­no. Si capiva che a mensa si era discusso a lungo sull'argomento, proponendo, bocciando, ripropo­nendo e modificando, sino a che, approvato un determinato distinti­vo, questo era stato dipinto in ver­. nice sulle fusoliere. Col tempo le cose si sono andate modificando. I vecchi dis tin tivi, per retorici che fossero, sono rima­sti in vigore perché gloria e tradi­zione li avevano ormai consacrati. Ma il processo di formazione dei distintivi nuovi doveva per forza di cose risentire dei tempi , dei costu­mi, degli atteggiamenti e delle mentalità. Gli aviatori nuovi si so­no rifiutati di ponzare. Più volte sollecitati dai superiori comandi ad

adottare un distintivo, hanno pre­ferito attendere che questo nascesse da solo, che venisse fuori improvvi­samente da un avvenimento, da una figura, da una frase; che venis­se fuori dal cuore e non dal cervel­lo. Ne è nata un'araldica tutta nuova, spiritosa e spicciola, speri­colata e spontanea. Un'araldica in cui il dialetto, i cartoni animati, la fauna, la flora, e le barchette di car- · ta si sono mischiate a qualche su­perstite e umanistico motto latino e a qualche aquila spennacchiata. Non bisogna però credere che tutti i vecchi distintivi fossero ispirati ai nobili sentimenti derivanti dagli studi classici . C'era, si è detto, una certa prevalenza di grifoni , di elmi, leoni , pugnali e cavalli alati; ma non mancavano i soggetti più leg­geri, quelli ispirati dalla vita d'allo­ra, dalla moda e dalle immancabili ripicche tra reparto e reparto . Tutti si ricorderanno, ad esempio, che i bombardieri della Comina, q uelli con i q uali volava D'Annun­zio - inesauribile fonte di motti classici - avevano disegnato sulle carlinghe dei loro Caproni la serie completa degli assi. C'eran tutti, picche, fiori, cuori e quadri.

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La cosa non piacque ai cacciatori che si riunirono a consiglio; decre­tarono e un bel giorno apparvero in

campo con le snelle carlinghe dei loro apparecchi contrassegnate da questa coccarda tricolore:

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Le specialità non erano ancora na­te e già nascevano gli an tagonismi che però non si limitavano ai di­stintivi, ma si estendevano all'ar­dore combattivo, al valore, al desi­derio di affermazione e di supera­mento. Del resto anche nei tempi antichi qualche insegna e qualche motto nacquero da antagonismi; con la

aveva la testa calda e lo sfottimento non era ammesso. L'adozione di un'insegna con significato recondi­to, di un'insegna a doppio senso, comportava sempre richieste di spiegazioni, sfide, tenzoni e sangue. Quelli erano tempi in cui, forse per via della celata, nessuno sopporta­va la mosca al naso. Piuttosto si faceva partire anche il naso, ma la

differenza che la gente d'allora mosca doveva sparire.

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Invece adesso ci si limita , tra spe­cialità, a schermaglie di penna e di pennello. Di penna sulla stampa aeronau tica e di pennello sulle fu­soliere. L'esempio migliore di que­sto stato di cose lo si è avuto qual­che anno fa, quando più accesa era la polemica caccia-bombardamen­to e quando i "Sorci verdi" del 12° stormo B.T. (Bombardamento Terrestre) trionfavano dentro e fuori i confini. Li ricordate? Si trattava di un distintivo che, per piacevolezza di composIzIOne e chiarezza ,di significato, era desti­nato a incon trare il favore di tu tti e a rimanere celebre. Gli equipaggi del 12° che pa rteciparono a gare in­ternazionali e a voli da primato fe­cero veramente vedere i sorci verdi a tutto il mondo. Al trionfale arrivo all'aeroporto di Le Bourget, nella vittoriosa Istres-Damasco-Parigi del 1937, molti giornalisti stranieri giravano intorno ai bei trimotori

ita lia ni S-79, cercando invano di comprendere il significa to di quei tre sorcetti dall'espressione furbe­sca . A causa delle difficoltà linguisti­che era difficile dare spiegazioni: "Vous voyez? Les souris son t verts ... en Italie on dit que c'est difficile de voir des souris verts ... Mais les voila! On les vous a faits voir. .. " . Insomma: gli aviatori italiani con la loro brillante condotta di gara avevano compiuto qualcosa fuori dell' ordinario, facendo vedere agli altri concorrenti i sorci verdi in tut­ti i sensi, metaforicamente e mate­rialmente . Poi fu la volta dei sudamericani, dopo il magnifico volo tra l'I talia e l'America Latina dei tre S-79 T. "Hombre, que' monos son esos ra­tones vertes! Pero porque los ha­beis hechos vertes?". Equi rico­minciavano i guai. "Vea Usted ... es un poco dificil. En I talia se dice

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que es muy raro encontrar ratos vertes. Entonces... ". Ammirati all'estero, in patria non godevano di molta simpatia, anzi, stavano sullo stomaco a parecchia gente, anche perché quelli del 12° di tanto in tanto andavano a fare qualche bel passaggio radente sugli altri campi, per far vedere i sorci ver­di a q uelii che non li volevano ve­dere. A masticare amaro erano so­prattutto i cacciatori. Dapprima venne · fuori alle mense qualche stornello, si lanciarono frizzi, s'in­

crocIarono tra tavolo e tavolo le secche botte e le pronte risposte che sono caratteristiche dell 'ambiente aviatorio . Poi si cominciò a parlare di gattoni castigamatti, qualcuno si · battè sulla fronte, gridò fermi tutti, corse in stanza, prese una matita e dopo qualche giorno su tutti gli apparecchi del 20° gruppo caccia spiccava netto in campo azzurro un bel gattone nero che si lavorava agevolmente tre minuscoli sorcetti verdi. Questo simpaticissimo di­stintivo è passato poi al 51° stormo.

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• Le al tre specialità, però non so­no da meno. Si dice che chi pilota apparecchi più pesanti e più grossi abbia anche una mentalità e uno spirito conseguèntemente appesan­titi. Ma si tratta soltanto di un fru­sto luogo comune, di una diceria maligna che gli equipaggi del 105° gruppo aerosiluranti hanno smen­tito in modo categorico, piazzando sulle code dei loro grossi apparec­chi il cartello raffigurato qui sotto. lo non credo che, quando un cac­ciatore è in fase di attacco, possa aver modo di vedere i distintiyi e di leggere i motti che la sua prescelta vittima porta sulla coda. Ma in ve­

rità vi dico che, se dovesse capitare a me di incontrare un apparecchio difeso da una simile trovata, ebbe­ne, farei un bel cenno di saluto ai piloti e me ne tornerei indietro, ri­spettando un divieto cosÌ perento­riamente prescritto. Il guaio è che, tenuto conto dei molti colori e delle mal tissi me nazionali tà degli a vver­sari, bisognerebbe scrivere l'avver­timento in tutte le lingue. E allora la coda di un apparecchio, sia pure quella di un trimotore, non baste­rebbe più e bisognerebbe lo stesso applicare con rigore e con precisio­ne i famosi articoli 7/7 e 12/7 cui fa riferimento il cartello.

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• Avevamo detto che tra i pnml distintivi aeronautici dominavano nettamente i soggetti classici. Ma guardando attentamente tra le rac­col te della guerra 1915-18 ci siamo trovati di fronte a q uest 'omino che protesta. Dobbiamo francamente riconoscere che l'ornino ha ragione di protestare, perché la sua presen­za dimostra che anche nella scorsa guerra l'araldica aviatoria attinge­va a tutto e si trovava spesso chi non disdegnava di disegnare sulla prua del suo aereo una figuretta come q uesta che, se non sbaglio, è stata presa pari pari dalla coperti­na del volume "Come ti erudisco il pupo" di Oronzo Marginati . Un libro che allora fece furore, ma che

leggemmo soltanto in seguito per­ché in quel periodo ci era concesso di erudirci solo sul "Corriere dei Piccoli" .

• È quindi con una certa commo­zione che abbiamo trovato anche la fotografia di una fusoliera in legno su cui spiccava il familiare viso di Fortunello, le cui mirabolanti av­venture allietarono parte dellà no­stra infanzia. È strano che, almeno per q uanto ci risulta, nessuno degli aviatori del 1915-18 abbia preso ad insegna la Checca, che pure avreb­be avuto il suo bel significato ag­gressivo. Non era infatti la Checca, con i suoi poderosi calci doppi, a

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far sempre volare Fortunello oltre l'orizzonte azzurro delle tavole a colori? Ma forse questa avversità per la Checca è giustificata dal fat­to che i piloti d' allora iniziavano il loro addestramento su uno strano arnese che veniva appunto chiama­to "Checca". Si trattava di un si­mulacro di aeroplano avente il mo­tore troppo debole per alzarsi o le ali troppo piccole per sostentarsi o

addirittura motore debole e ali pic­cole, tutto insieme, per farla com­pleta. Gli aspiranti piloti si mettevano il casco e gli occhiali, si chiudevano bene il giubbotto, guardavano drit­to dinnanzi alla prua e.. . partivano storti. La "Checca" serviva appun­to per imparare a rullare, a partire e in un certo qual modo volare, ma sempre stando a terra .

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• Altro distintivo da noi pescato tra le vecchie raccolte è quello ri­prodotto qui di fianco. Confessia­mo che questo Cupido in cilindro e frac, con freccia sotto al braccio, gobba, numero portafortuna e oc­chi assassini, ci ha un po ' turbati. Ha in sé q ualcosa di peccaminoso che sta tra il tono di certe riviste leggere d'altri tempi e la vita di ta­barino. Si tratta di cose difficili a spiegarsi; ma è certo che quest'in­segna ci fa pensare a un ufficiale con monocolo, occhi cerchiati, col­letto altissimo, sorriso beffardo e appartamentino da scapolo. A uno di q uegli uomini che piacevano alle donne. È certo che chi aveva fregia­to il suo apparecchio d 'un simile distintivo, doveva essere un grande seduttore!

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• In compenso a tanta frivolezza abbiamo però potuto trovare anche questa bella e nobile testa di leone. Coloro che lo avevano scelto per distintivo non avevano certo dovu­to penare molto perché allora, an­che se non esisteva ancora la Metro Goldwin Mayer, c'era la réclame del Ferro-China Bisleri a portata di mano. Tuttavia dobbiamo onestamente riconoscere che un po' d'originalità avevano voluto mettercela lo stes­so. Infatti, volendo essere rappre­sentati da un animale veramente feroce, i nostri erano ricorsi ad un leone sì, ma ad un leone arrabbia­to, che è appunto la quintessenza della ferocia. Per quanto ci riguarda, dobbiamo dichiarare che delle insegne troppo impegnative abbiamo sempre avu­to un po' paura perché, a prescin­dere dal fatto che la serietà è sem­

pre una gran bella cosa, ci spaven­ta la sottigliezza del diaframma che divide il solenne dal ridicolo. Non è che il solenne dispiaccia; è che ba­sta un nonnulla perché il piu bel­l'effetto vada perduto. Tempo fa , mentre assistevamo a un drammone di Sardou, l'attore che fungeva da Re Sole, passeggiando solennemente per il palco nella scena madre del lavoro, inciampò malauguratamente nel ricco stra­scico della marchesa di Montespan e, per non cadere, saltellò con tin­tinnio di decorazioni e ondeggia­mento di parrucca. Poco mancò che, dalle sghignazzate del pubbli­co, si dovesse sospendere il lavoro. Questo, direte, non ha niente a che vedere con i distintivi aeronautici. Ma ha molto a che vedere col so­lenne e col ridicolo. Suvvia, un ap­parecchio che porti dipinta a prua un'aquila reale dalle ali spiegate, non può, proprio non può permet­tersi di cappottare in atterraggio. E dal momento che cappottare è sempre possibile, meglio dipingere sulla fusoli era un passerotto o un · pulcino, magari armato.

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• È facile predicar bene, vero? Ma prima di predicar bene devo con­fessare di aver razzolato molto ma­le. E pensare che, fin da quando entrai in aeronautica, ero convinto di avere il senso del ridicolo! Ne ero tanto convinto che, essendo stato subito destinato al 7° stormo bom­bardamento, trovai modo di svol­gere un'attivissima campagna con- ' tro il distintivo del mio nuovo re­parto che, posso affermarlo con as­soluta li bertà di COSCIenza, era ve­

ramente brutto. Come potete vede­re qui sopra, era composto da uno scudo azzurro al centro del quale una popputa donna bianca, pudi­camente coperta di svolazzanti lini, levava in alto con leggiadria una bomba da 500 chilogrammi, pronta

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a lasciarla cadere sulla testa dei passanti. lo proposi di disegnare una donna nuda, parlai di campio­nato femminile di sollevamento pe­si, dissi di cambiare l'oggetto che la donna teneva nelle mani e riuscii a creare, almeno nella mia squadri­glia, un ambiente sfavorevole al di~ stintivo, che infine fu tolto dalle giubbe di volo. Se non che, qualche tempo dopo, capitò proprio alla nostra squadri­glia di doversi improvvisamente trasferire per un'esercitazione di manovra. Ci dissero che sul nuovo campo avremmo trovato molti ge­nerali , che bisognava essere a posto in tutto, che qui, che là, insomma ci fecero capire che era necessario "vendere un po' di vasetti". All'ul­timo momento, come sempre acca- , de, ci ordinarono di appiccicare sui giubbotti di volo il distintivo di re­parto. Inutile dire che, per quanto si cer­casse, non si riuscì a trovarne uno in tutta la squadriglia; l'unico che c'era lo aveva proprio il comandan­te del nostro reparto e questo lo au­torizzava a dardeggiarmi di quan­do in quando certe occhiate che avrebbero dovuto incenerirmi sul colpo. D'altra parte il tempo per farli ri­camare non c'era più, noi voleva­mo evitare che la cosa si tramutas­se in una grana e decidemmo, tra subalterni, di scriverci sulle tute

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bianche estive, al posto del distin­tivo, un q ualcosa che lo sostituisse. Fui proprio io, considerato il mag­gior responsabile di quello stato di cose, a scrivere sul giubbotto di tut­ti gli appartenenti alla squadriglia con un lapis copiativo bagnato di saliva queste chiare parole esplica­tive: "Donna con bomba" . Sul campo di manovra un austero generale a due botte mi guardò il petto, ammiccò un poco, mi chia­mò, lesse e, quando gli ebbi spiega­to di che si trattava, scoppiò in una franca, aperta, simpaticissima risa­ta che mi tolse di colpo paura e im­barazzo. A seguito di precisi accertamenti successivi posso garantirvi nel mo­do più assoluto che il successo di q uesta trovata assicurò al nostro reparto una popolarità e una stima che neppure la perfetta esecuzione delle manovre avrebbe potuto ga­rantirci in maniera così unanime ed esplicita. Per quanto l'episodio che vi ho rac­contato possa divertirvi nella sua autenticità, devo scusarmi per non avervi ancora detto quando, dove e perché io, pur atteggiandomi a saggio predicatore, abbia in mate­ria di distintivi razzolato piuttosto male. La cosa mi capitò con l'aviazione legionari a in Spagna nel 1936, d u­rante il primo anno di guerra. Ero appena arrivato al reparto con il

grado di sottotenente pilota e, sembrandomi di essere stato accol­to - forse a causa del mio aspetto da ragazzino - con una certa diffi­denza , decisi di superare lo svan­taggio iniziale con una q ualsiasi af­fermazione di forza. In volo non c'era niente da fare perché avevo da imparare da tutti. A terra, dal momento che la diffidenza c'era già, non mi conveniva far sfoggio di zelo se no era peggio. I primi stornelli che avevo improv­visato a mensa (avevo lavorato una settimana per "improvvisarli") erano stati un mezzo fiasco. Non mi restava quindi che tentare di di­segnare un bel distintivo. Pensavo che, se questo mi fosse riuscito be­ne, l'affermazione ci sarebbe stata e avrei potuto vivere finalmente tranquillo. È superfluo dire che, preso dall 'en­tusiasmo della mia prima guerra, mi buttai a capofitto verso un sog­getto serio. A un ' insegna spiritosa non pensai neppure. Ci voleva un'aquila con un paio d'ali larghe due metri , qualche cima nevosa e

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un bel motto. Non vi dico quanto lavorai e con quanta fede e quanta incompetenza nel disegno mi misi all'opera. Dormii poco, persi l'ap­petito, sciupai non so quanti fogli di carta e trascurai una brunetta tutto fuoco che mi fu prontamente soffiata da ·un collega, ma alla fine il distintivo venne fuori nuovo, ori­ginale , bellissimo. L'aquila e le cime nevose mi erano riuscite un po' male, ma le righe, il cartiglio e i caratteri del motto era­no proprio perfetti. Ero cosÌ soddi­sfatto e cosÌ sicuro del mio lavoro, che volli addirittura riprodurlo su una tavoletta di compensato e tra­sformarlo in modo che venisse im­presso a vernice bianca su tutti gli apparecchi. Tra l'altro speravo che nessuno si accorgesse e rivelasse che mi ero sfacciatamente ispirato al distintivo del corso "Falco" . Col cuore che mi batteva forte mi presen tai in sq uadriglia con il mio capolavoro avvolto in un giornale e quando vidi che tutti gli ufficiali erano arrivati , mi feci coraggio e dissi al comandante che , avendo avuto modo di constatare che il re­parto non aveva distintivo, mi ero permesso di abbozzarne, anzi di

farne uno, non molto bello, ma si­gnificativo, pratico, adatto ... "In­somma, conclusi, eccolo". Al comandante, che era tanto buo­no, mancò certo il coraggio di dir­mi apertamente quello che pensa­va. D'altra parte io, che senza aspettarmi esplosioni di gioia e manifestazioni in mio onore ero convinto di aver fatto un gran bel lavoro, aspettavo trepidante e non volevo più parlare prima che par­lasse lui. Gli altri, intorno, guarda­vano senza aprir bocca. Insomma il mio distintivo era stato accolto con un silenzio glaciale che non prometteva nulla di buono. Fu allora che si fece avanti il vec­chio Girardi. Prese in mano la ta­voletta, la guardò con estrema at­tenzione ponderandone il contenu­to, si tolse la pipa di bocca, soc­chiuse gli occhi, sputò e poi lesse lentamente: "Il mio orizzonte è il mondo" . Una pausa e poi vigliac­camente: "Ostrega che visibilità! " . Credo sia inutile dire che, dopo questa esclamazione, per affer­marmi mi ci vollero molti mesi di lavoro serio, parecchie decine di azioni di bombardamento e una cannonata in un 'ala.

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• Per fortuna non tutti i distintivi spagnoli furono così brutti e così sfortunati come il · mio. È vero che ce ne furono anche di quelli che meritavano una sorte peggiore, ma in complesso si ebbe laggiù una fio­ritura di insegne nate spesso dal fe­lice connubio del senso giorna­lisrico-aviatorio del non dimentica­to Mario Massai, con il genuino spirito di reparto. Nacquero così i "Pipistrelli" che volavano di notte, i "Falchi delle Baleari" che piombavano sui ghiotti obbiettivi della costa occi­dentale, le "Linci" della ricogni­zione che scovavano i governativi perfino dove questi · non c'erano. Nacque quel gruppo di insegne spericolate o austere, significative o

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superficiali che gli aviatori legiona­ri dipinsero sui loro velivoli. Tutti i reparti che si fregiavano di questi distintivi seppero compiere prodigi. Tutti. Spesso era proprio dai prodigi che il distintivo nasce­va. Ma tra i tanti ci piace sceglier­ne tre che pi ù degli altri si afferma­rono. Nessuno ce ne vorrà male, ma sono fermamente convinto che è proprio a questi tre che spetta un'incontestabile primato. I combattenti difficilmente si sba­gliano nei loro giudizi sugli altri combattenti. Sanno di che si tratta e sono in condizioni di vagliare e di giudicare con piena conoscenza di causa. Per questo siamo sicuri di non sollevare proteste con la nostra scelta. E adesso cominciamo.

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• Cominciamo col "Gamba di Fer­ro". È il distintivo più bello che l'aviazione abbia mai avuto. È nato da un episodio di valore e di eroi­smo. 12 ottobre 1937. Dal campo di Sa­ragozza partono per una crociera di vigilanza sull'Ebro la 31 a e la 32a squadriglia del 6° gruppo, su diciotto Fiat CR-32. Il capitano Borgogno è in testa con cinque apparecchi; seguono il tenente Ne­ri con una pattuglia di quattro, il capitano Botto con una di cinque e il tenente Molinari con una di quattro. Fa piuttosto freddo. L'E­bro è in piena. Intorno la campa­gna è gialla. Sembra quasi d'essere in Africa. D'un tratto Borgogno batte le ali; tutti proiettano sguardo e cuore in avanti e vedono otto bombardieri Katiuska con una ventina di Cur­tiss in scorta diretta e altrettanti Rata più alti. Tutti fremono, ma seguono compatti il comandante che manovra per portarsi in condi­zioni di vantaggio. I piloti tolgono le sicure, si inumidiscono le labbra con la lingua e si assestano bene sui seggiolini. Tra poco ci siamo. Ma, improvvisamente, dalla pat­tuglia di N eri un apparecchio si stacca e si butta a pesce sui bom­bardieri. Addio! Gli altri compagni gli si precipitano dietro quasi per agguantarlo e Borgogno, impre­cando, è costretto ad iniziare subito

il combattimento contro i Curtiss e i Katiuska, sapendo di avere sulla testa una ventina di Rata. La sua sq uadriglia, la 31 a, comincia la gio­stra; butta giù un Curtiss, due dei nostri si scontrano, un altro appa­recchio avversario va giù, poi ca­dono ancora due nostri e poi anco­ra due avversari. Le perdite sono pari, ma Borgogno è rimasto con cinque apparecchi contro sedici,

dato che i bombardieri hanno sganciato e se la sono squagliata. Vira, picchia e spara, ubriacando gli avversari sino a che questi non mettono la prua a levante e si al­lontanano. Chi ha salvato la 31 a dall'attacco

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dei Rata è stato Botto che li ha af­frontati con la sua squadriglia, im­pedendo loro di interessarsi di quanto avveniva più in basso. Ha portato magistralmente la 32a in vantaggio di luce ed ha impegnato i venti avversari a 4500 metri di quo­ta abbattendo il capo-formazione. I suoi gregari non sono da meno, fanno precipitare altri due Rata, un CR va giù, poi arriva la 31 a e allora altri otto avversari vengono abbat­tuti. Risultato: quindici a cinque. Botto è esultante, la giostra conti­nua, gli altri non mollano, poi un colpo secco, un dolore acuto e l'ap­parecchio gli si mette in vite. Erne­sto Botto si accorge con raccapric­cio di avere la gamba destra ma­ciullata, ma riesce con enorme sforzo a rimettere in linea l'aero­plano, sente l'anima che se ne va col sangue, stringe i denti, intrave­de il campo, vi dirige la prua, stringe i denti ancora di più, sem­pre di più, sino a farsi male, scivola d'ala e atterra quasi dissanguato. All 'ospedale gli tagliano la gamba, gli fanno dieci trasfusioni, lo ten­gono su come possono; non c'è ita­liano che non preghi per lui, non c'è aviatore legionario che, andan­do a Saragozza, non trovi il modo di raggiungere l'ospedale per ve­derlo o per chiedere sue notizie. Quando ritorna al campo vede che sugli aerei del reparto c'è un nuovo distintivo: una gamba di ferro.

• "La cucaracha, la cucaracha, ya no puede caminar por que no tiene, por que le falta una pata para andar" . Ecco un distintivo a suon di musi~ ca, festoso, elettrizzante, accompa­gnato da visioni di corpi bruni che si scuotono, di anche che oscillano. Non dite che tutto questo non c'en_­tra con l'aviazione e con gli aviato­ri, se no vi linciano. C'entra e co­me! La cucaracha è una danza tut­

ta calore, tutta fuoco, è danza da donne con sangue a 90 gradi, come l'olio in uscita, danza saltellante, impetuosa. Sono stati i "moros", schierati con i nazionalisti, a dire che - quando i nostri caccia eran per aria - sem­brava che ballassero la cucaracha. Il paragone piacque e, poiché le

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parole della canzone parlavano di una cucaracha, cioè di un bacaroz­zo, che non poteva camminare per­ché gli mancava una zampa, il ba­carozzo fu immortalato quale inse­gna del 16° gruppo caccia. La "Cucaracha" nacque così e nacque bene perché parole, musi­ca, paragone e senso, tutto era sta­to azzeccato in pieno. Quelli del gruppo andavano pazzi per il loro distintivo e lo onorarono con un bel numero di vittorie. È per questo che dal saxofono del bacarozzo elettrizzato escono minuscoli appa­recchi rossi. Perchè la "Cucara­cha" spesso suonava gli apparecchi rossi dell' izq uierda, ossia i gover­nativi, li suonava danzando, sosti­tuendo con le mitragliatrici il ritmo esasperante delle maracas.

• Altro bel distintivo spagnolo è quello del 23° gruppo caccia. Lo comandava il biondo Zotti, aviato­re pron to di parole e di braccio, cacciatore nato, che portava nel sangue il senso del combattimento e del volo. Aviatore che soltanto in volo poteva concludere la sua esi­stenza.

. È caduto in una mattinata di neb­bia sulle pendici dello Stromboli e l'aviazione ha perduto con lui uno

. di quegli uomini sui quali si sa di poter sempre contare. In Spagna aveva permeato il proprio gruppo

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del suo stile· fatto di eleganza, di tena~ia, di cavalleria e di schiettez­za. Aveva sostenuto in poco tempo una trentina di vittoriosi combat­timen ti ed era logico che scegliesse un'insegna chiaramente allusiva. Esistevano i precedenti degli assi di picche, di cuori, di fiori e di quadri. In questo caso fu scelto un asso di bastoni. Si rimaneva nel campo delle carte da gioco, ma a quelle francesi si erano preferite le napole­tane, che avevano nel disegno più franco e più schietto un sapore no­strano. Nacque così l' "Asso di Bastoni" che nei cieli di Spagna prima e in quelli di altri fronti poi, parlò agli avversari con il linguaggio del no­doso randello. Allargandosi i qua­dri, 1""Asso di Bastoni" si è riunito ad un altro gruppo per formare il

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53° stormo. È quasi superfluo ag­giungere che l'altro gruppo, il 153°, si è fregiato dell' "Asso di Spade" e che lo stormo ha radunato le due insegne in una coppia d'assi, buoni

a terra per la briscola, il tresette e lo scopone, buoni in cielo per gio­care quel grande e tragico gioco che si chiama guerra e che ha per traguardo la vittoria o la morte .

• Quasi senza accorgercene, ab­biamo parlato a lungo della caccia. Un'incursione nel campo del bom­bardamento è quindi necessaria. Abbiamo già detto che, quando si dice bombardieri, la gente è porta­ta a pensare a gente compassata, profondamente seria, incapace di far capriole e di scherzare. Ancora una volta ci divertiamo a smentire. Guardate qui sotto:

Il primo distintivo lo ha adottato la 60a squadriglia del go stormo B.T.; l'al tro è q uello della 62a sq uadri­glia. In entrambi brillano le stelle dell'Orsa e in entrambi traluce uno

. spirito arguto che i lunghi voli e le lunghe veglie notturne non hanno intorpidito. E notate che il go è uno ­degli stormi più provati, uno stor­mo che in Africa ha avuto tre com­ponenti decorati di medaglia d'oro;

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uno degli stormi che quasi non hanno conosciuto riposo. Non per questo la gente che ha l'onore di appartenervi ha assunto delle arie. Si è lasciata rappresentare da un allegro topolino e da un grosso gufo tenebroso dal motto menefreghista, anche se non nuovo in aeronautica.

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• Molto piu posati sono stati inve­ce quelli del 30° stormo che eviden­temente avevano da regolare qual­che vecchio conto con gli abitanti del mare. Vogliamo sperare che questo antagonismo non venga

. frainteso: gente meno seria avrebbe impresso sulla coda del pescecane i colori dell' U nion Jack, ma al 30° stormo sanno che in questi casi non ci si può confondere.

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• Altro reparto molto nobilmente composto è il 380 che, forse memore della sua lunga permanenza in Al­bania, ha scelto per emblema l'a­quila bicipite di Scanderberg. Ma spicca al centro, tra le ali nere, la bianca croce di Savoia.

• Quelli del 430 stormo sono seri, sÌ, ma con un po' di umorismo.

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Tutto, nel loro distintivo, ha il ca­rattere dell'ufficiosità. Ma hanno voluto che l'iscrizione contenesse la comica formula con cui si iniziano, In qualunque caso, le comunica­

• Guardate invece quanta origina­lità c'è in questa culicide anofelina (vulgo zanzara) del 32° stormo! Questo sì che si chiama essere in gamba! Ben piantato sulle lunghe zampe questo artropode dittero

zioni via filo. Si tratti di un ordine di operazione o di una richiesta di pedalini, il fonogramma deve co­minciare così: 43° aerostormo pun­to. Punto e ... basta.

• Una nota di rimprovero ai pla­giari del 99° gruppo. Il caprone è infatti molto bello ed efficace, ma da molti lustri è l'insegna araldica delle officine aeronautiche Capro­ni. Forse speravano, i baldi equi­paggi del 99°, che noi non ce ne accorgessimo? Oppure volevano evitare di spremersi il cervello?

(vedi enciclopedia) sfrutta sapien­temente la proboscide a mò di frombola e lancia bombe sul bersa­glio. Bella figura ci fanno, al paragone, quelli del 99° gruppo!

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• Un chiaro esempio dei pericoli insiti nei paragoni tra distintivi lo troviamo qui. Il 41 0 gruppo aerosi­luranti è uno dei reparti piu in gamba che l'aeronautica abbia mai avuto. Un reparto che ha lavorato in condizioni molto dure, che ha subito perdite gravi e che ha conti­

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nuato a lavorare e ad ottenere suc­ceSSI.

Un bel distintivo gli spettava per­ciò di diri tto. Si è scelto quindi una specie di Belzebù con tanto di tri­dente e >tanto d'ali a pipistrello. Il soggetto, l'atteggiamento e il motto sono tali da incutere rispetto .

• Ma guardate che figura fa l'ani­moso Belzebù di fronte all'umori­stica figuretta che appare qui a si­nistra, trovata sulla coda di un ap­parecchio anonimo! Freme e schiuma il focosissimo signore delle tenebre e con gran battito d'ali precipita, pronto a scagliare l'arro­ventato tridente. Ma tanta cruda fierezza svanisce nel nulla di fronte alla domanda del Mago Bacù che è una chiara dichiarazione di mene­freghismo: "Ma tu che vuoi?".

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• Passiamo ora ai reparti che si autosfottono per la velocità dei loro apparecchi. Il primo posto lo meri­tano il 106° e il 107° gruppo de14JO stormo da bombardamento. Si so­no fatti rappresentare da una lu­maca e da una tartaruga che, a sportelloni aperti e con tanto di

armi difensive in azione, mollano giù il loro carico di bombe. In quanto al ritorno, Dio provvederà. Si narra che, essendo lo' stormo de­stinato a operare in Egeo, si pre­sentò un giorno a mensa lo spirito del filosofo Zenone che, visti i di­stintivi, cercò di tranquillizzare i

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bombardieri con il famoso argo­mento di Achille e della tartaruga. "Se voi, diceva, avete un po' di vantaggio sul vostro inseguitore e la vostra velocità è inferiore ecc. ecc." . Insomma, con un'eloquenza tut­ta particolare dimostrò che non avrebbero potuto essere raggiunti, Gli equipaggi lo ascoltarono in re­ligioso silenzio e quando Zenone ebbe terminato di parlare, il capo­calotta rispose a nome di tutti che la dimostrazione li aveva profon­damente convinti e che tutti lo rin­graziavano commossi. "Per potervi dar modo di spèrimentare dal vero l'esattezza della vostra argomenta­zione, concluse, abbiamo deciso di portarvi con noi alla prima azione per farvi vedere come ugualmente basti avere un po' di vantaggio perché il caccia avversario più ve­loce non possa in alcun caso rag­giungerci e noi si riesca ad arrivare a casa tranquilli come se nulla fosse successo" . Si dice che questa dimostrazione non poté avere luogo, ma che il fi­losofo Zenone dimostrò ugualmen­te l'assoluta esattezza del suo ar­gomento con una fuga precipitosa durante la quale, malgrado l'età; acquistò subito un vantaggio che gli inseguitori dello stormo non riu­scirono a colmare, per quanto fos­sero convinti di essere molto più ve­loci di lui.

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• Non bisogna però credere che in aeronautica tu tti si ritengano così lenti: il 18° stormo, ad esempio, quando ha avuto in dotazione i Fiat BR-20, detti Cicogne, si è fatto disegnare un bellissimo distintivo che rappresenta appunto una cico­

gna in piena azione. I compiti affi­dati non sono, in questo caso, di incremen to demografico. Ma gli equipaggi del 18° assicurano che, per quanto concerne quest'ultima parte, loro sono più che sufficienti.

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• Propongo che a tu tto il personale del 13° stormo B.T., rappresentato da questo fulmine rosso, venga concesso un encomio da iscriversi sulle carte personali con la seguen­te motivazione: "Quale componente di un reparto da bombardamente impegnato in guerra, trovava ugualmente il tem­po per contribuire alla realizzazio­ne di una serie completa di distin­tivi di reparto che, grazie al suo spirito e a quello dei suoi camerati, venivano tutti azzeccati". Non potete infatti negare che un encomio lo meri ta il personale della . 3a squadriglia per il cornutissimo diavolo. Ormai sono finiti i tempi in cui si cavalcavano rozzi manici di scopa. Ora i diavoli vanno a cavallo di

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grosse bombe e le fiamme dell'in­ferno sono, forse, alimentate a base di spezzoni incendiari al fosforo.

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• Il Pluto della 4a squadriglia è pronto a far la festa al tafano av­versario. La sua espressione de­nuncia chiaramente la gioiosa an­sietà di chi è pronto a fare un buon colpo. Non diversa deve essere l'e­spressione dei puntatori di squa­driglia quando entrano nel tra­guardo i ghiotti obiettivi nemici.

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• L 'anatroccolo della l a è invece di carattere litigioso. Basta guarda­re l'aspetto truce che assume nel tirarsi su le maniche per capire che tra poco getterà via il berrettino e~I\\

j farà un vero macello, con strilli, spari, stelle, schiamazzi e grande gioia degli spettatori. , \ )

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• La Sa sq uadriglia vuole invece differenziarsi in tutto dagli altri e si è attaccata al domino. Notate che i numeri delle tavolette da gioco formano appunto il totale di S. Cinque: Sa squadriglia. Che pro­fonda allegoria!

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~ Ed ora andiamo a dare uno sguardo in casa della ricogn-izione marittima. È questa una casa au­stera, una casa di antiche e nobili tradizioni che risalgono alla guerra 1915-18 e addirittura agli anni che

la precedettero. È opportuno quin­di adottare un linguaggio consono alle tradizioni che caratterizzano la specialità, la cui posatezza risulta chiara dalla visione di dis6ntivi di questo genere:

Guardandoli non si può fare a meno di pensare alla nostra flotta e a un tenente di vascello osserva­tore, alto composto, gentilissimo. Guardandoli bisogna confessare che ci si sente presi da un vago senso di soggezione. Con mosse furtive ci mettiamo a posto il nodo della cravatta, ci abbottoniamo le

tasche, ci puliamo la punta della scarpa destra sul polpaccio sinistro e assumiamo un aspetto il più pos­sibile disinvolto. Il tenente di va­scello osservatore Vitali di San Mariano, ormai irrimediabilmente materializzato dalla nostra fanta­SIa, Cl accompagna cortesemente nella visi ta.

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• "Il primo distintivo, quello del­l'artiglio, è della 1430 squadriglia da ricognizione marittima. Que­st'altro come vedete, è quello della 144a " .

"La l44a ? Ah sì, ricordo, q uella del golfo di Bomba, vero?". "Intendete dire della baia di Mene­lao ... Non ricordo con esattezza, può darsi. Quando siete stato a Menelao?" .

,"Nel '40, signor Vitali, esattamente nel luglio del '40. Ricordo che, per una malaugurata coincidenza, mi

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trovai a Bomba, anzi a Menelao, insieme agli inglesi. Eran piovuti giù da non so dove e facevano il diavolo a quattro sugli idrovolanti in rada, mentre a terra ci mangia­vamo le mani perché le mitragliere, sapete, erano poche e sembrava che, prese dall'emozione, balbet­tassero alquan to" . "Ah sì? Un episodio molto interes­sante!". "Molto interessante no, ma san co­se che si ricordano. E, scusate, si­gnor Vitali , avete qualche altro di­stintivo?" "Oh sì, ce ne sono molti altri; ma hanno quasi tutti un carattere me­no serio. Sono un po' l'espressione di quella solita scapigliatura che non si addice a queste cose. Volete vederli?" . "Volentieri, ve ne sarei veramente grato" .

• Ci fermiamo divertiti di fronte a questo anatroccolo della 287a , co­piato sano sano da Disney, ma non

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per questo meno divertente e indo­vinato nell'atteggiamento. Notan­doil nostro interesse, il tenente di vascello Vitali di San Mariano sor­ride con una piega della bocca tra l'ironico e il beffardo. "Vedo che q ues te cose vi piacciono, .sIgnore " .

"Sì, lo confesso: mi piacciono. A voi no?" . "Oh Dio, sono cose graziose, ma le trovo un po' comuni". "Certo un'ancora e un'ala sono molto più originali". Il nostro accompagnatore incassa la botta senza accusare, da perfetto uomo di mondo. Fa q ualche passo, poi si ferma, sorride simpaticamen­te e dice calmo: "Vedo che noi stiamo scivolando verso le sabbie mobili dell'ironia. È meglio che la smettiamo, se no finiremo per scaz­zottarci prima della fine della vi­sita". Ha detto proprio la parola "scazzottarci". Evviva! Il ghiaccio è rotto, ridiamo entrambi e conti­nuiamo allegri la nostra rassegna. N asce così la collaborazione aero­navale. Naturalmente Vitali ci tiene a met­ter meglio in luce quei distintivi che, a suo modo di vedere, unisco­no il serio al faceto. È evidente che secondo lui un distintivo, per po­tersi chiamare tale, deve contenere almeno un'aq uila. Difa tti si ferma di fronte all'insegna della l83 a

squadriglia.

"Guarda questo, mi dice, questo è per me un distintivo passabile. È scherzosò, c'è un'aquila che pesca un sommergibile, ma non manca di dignità".

Si aVVIcma, inquadra con un mo­vimento dell'indice lo scudo, come si fa di fronte ai quadri quando si vuoI far rilevare un dettaglio inte­ressante. lo socchiudo le palpebre, inclino la testa, mi allontano un po', ma negli occhi mi rimane un senso di disapprovazione. "Ho capito" dice Vitali "per te ci vogliono delle cose diverse. Ti ac­contento subito. Per te se non c'è qualcosa di questo genere non c'è niente da fare. Eccotelo allora un

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bel distintivo! Non manca niente. C'è il ciuccio, gli uccelli, le ali, il binocolo, il mare e c'è anche la rea­zione che viene fuori da un punto .. innominabile. Sei contento?".

È chiaro che Vitali non mi capisce. Protesto. Dico che certe cose non piacciono neppure a me, che è dif­ficile spiegarsi, che un distintivo deve avere determinati requisiti, che non è affatto necessario buttar­si tutti verso un lato o tutti verso l'altro. Ci vuole dell'inventiva, del­lo spirito, della capacità nel dise­gno, ci vogliono tante cose che non possono essere ridotte ad uno schema. Insomma, ci vuole un bel distintivo!

• Questo della 187a squadriglia, ad esempio, è un buon distintivo. È sobrio, ben disegnato e abbastanza significativo. Si potrà osservare che il tema della lumaca non è nuovo . Ma anche i Cant. Z. 501 della squadriglia sono tutt'altro che nuovi. Bisogna averci volato su per ore e ore per capire se la lumaca è significativa o meno. Ore ed ore sul mare, con gli occhi fuori della testa, proprio come lumache, nel tentati­vo di scovare sotto la superficie mutevole dell'acqua la sagoma oblunga del sommergibile. E una volta scovato, sotto con le 160 A.S., che son fatte apposta! Qualche buon colpo è stato fatto dai vecchi, lenti e gloriosi "mammaiut", che non hanno voluto andare in pen­sione. E se il loro distintivo non è nuovo, a nessuno più che a loro es­so spetta di diritto.

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• Poi viene l'airone San Tommaso della 'W8a . Anche qui un distintivo di disegno franco e con motto che, senza essere classico, è incisivo e appropriatissimo. Sicuro! "Non

credo se non vedo", anche se per vedere bisogna aver fegato e farsi sotto alle navi, e rimanervi sino a quando è necessario, perché biso­gna vedere e veder bene!

• La 197a non varia di molto. L'ai ­rone ha preso un altro aspetto, ma è evidente che ha gli stessi scopi di quello della 288a . Ormai credo di esser riuscito a far capire a Vitali com'è ch'io la penso a proposito dei distintivi. Sto per accomiatarmi, quando lui mi ferma e mi dice: "A­spetta che qui c'è ancora qualco­sa". Guardo e inorridisco. "E que­sto che cos'è? Ma è orribile! Ma come può venire in mente di fare

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una cosa simile? Ma che cosa mI rappresenta tutto questo?". Vitali mi lascia dire, anzi intervie­ne abilmente perché io rincari la dose. E io sotto a tirar fuori altri aggettivi , indignato, convinto di es­sere nel giusto. Non ho ancora ri­preso fiato dopo l'ultima parola che Vitali, facendo finta di niente, as­sume un'aria distratta e, dato uno sguardo al distintivo che vedete qui a destra, dice brevemente: "Sai, lo ha fatto un pilota".

• E adesso riprendiamo con la caccia. Abbiamo già visto come l'a­raldica di questa specialità vanti una serie di emblemi vivaci e origi­nali che ben rappresentano lo spiri­to e l'estro dei nostri cacciatori. Presentiamo per primo il pulcino del 2° gruppo C.T. (Caccia Terre­stre) che pigola allegro e procede a passo fiero con un fucile mitraglia­tore sotto l'ala. È il pulcino dei ra­gazzi di Quarantotti e di Scarpetta, l'insegna scherzosa di gente che ha fatto la guerra sul serio. Tanto sul serio che entrambi i comandanti sono scomparsi in combattimento, dimostrando che si può essere aqui­le anche fregiandosi di un modesto pulcino.

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• Subito dopo ci vuole un distinti­vo classico. Quello del lO stormo C.T. ci sembra particolarmente adatto per antichità e nobiltà. La figura in bianco e nero richiama al­

la mente le xilografie di De Carolis e i tre verbi del motto sono presi da "La Nave" di D'Annunzio. Ab­biamo notato che molti reparti da caccia invidiano al lO stormo il suo emblema e non possiamo che in­chinarci di fronte al chiaro signifi­cato di un sentimento del genere. VuoI dire che il distintivo piace .

• Ma ciò che noi, da allievi, ab­biamo veramente invidiato non era un distintivo, ma chi lo portava. Venivano a volte sul nostro campo

30scuola i "Diavoli Rossi" del gruppo C.T. e piombavano giù rombando, tanto era facile, se­guendone le evoluzioni, vedere tut­ti i dettagli dell'insegna che porta-_

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vano dipinta sulle loro fusoliere. Quelle sì che erano umiliazioni! Noi dovevamo sudar freddo per fa­re una modesta virata in linea di volo e quelli arrivavano in forma­zione, picchiavano sino a sfiorare l'erba del campo, poi su, due viti in cabrata, una scivolata d 'ala e ... avevano atterrato. Noi allievi rimanevamo a guardarli con aria cretina, guardavamo il diavolo rosso che portavano sul petto e almeno per tre giorni parla­vamo di donne, di letteratura, di storia naturale, di mineralogia, di tutto insomma, ma di volo no. Par­lar di volo dopo quello che aveva­mo visto era impossibile e noi, an­che se accecati dall'invidia, da una sana invidia, avevamo il buon sen­so sufficiente per capirlo. Quelli non erano piloti, erano mo­stri!

perché loro bimbi non abbiano paura.

• Diabolico, ma nobile, è l'em­blema del 160° gruppo caccia. An­che se la storia della salamandra e del fuoco non è vera, bisogna rico­noscere che è ben trovata. Non è

• Tanto per rimanere nel campo del diabolico, eccovi la strega scelta come distintivo di reparto dal 167° gruppo intercettori: vola in ciabat­te nel nero della notte a ca vallo di una' scopa, con un nero corvo sulla gobba. Truce d'aspetto essa aguzza nell'o­scurità gli occhietti a capocchie di spillo e stride più della cornacchia, mentre nello sforzo stridono anche le sue magre giunture. I piloti ap­partenenti al 167°, quando ritorna­no a casa, si tolgono il distintivo

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® Supplemento al n. 6 di «Ali italiane»

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cosa facile poter disporre di un animale che, per le sue abitudini, si presti gentilmente ad essere sfrut­tato quale efficace distintivo di re­parto. Ma devodare una delusione al per­sonale del 1600 gruppo. Sulla fac­ciata della caserma dei pompieri di

una città che non ricordo, ho visto dipinto, un po' più pacchianamen­te s'intende, un distintivo del gene­re . E,per quanto possa essere spia­cevole, bisogna ammettere che pompieri hanno diritto a fregiarsi di quest'insegna più di qualsiasi al­tra persona al mondo.

• Bene, molto bene il 1540 gruppo che mette a segno grosse frecce su un pollo di evidente nazionalità nemica. E chissà come sarà gustoso il motivo per cui gli hanno messo

gli stivali! lo confesso di non averlo capito e di non aver neppure capito perché, invece di perdere penne, il pollo inglese perda foglie. Forse una distrazione del disegnatore .

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• Il distintivo del 24° gruppo mi salva dalla necessi tà di dover fare lo spiritoso per forza. Ringrazio di cuore i piloti e gli specialisti del 24° .

• Ottimamente anche il 3° stormo caccia, la cui gente non si smenti­sce mai . Guardate in faccia la ve­spa e vedrete che non possono es­servi dubbi sulle sue intenzioni , in­dipendentemente dalle armi ante­riori e posteriori di cui è dotata. Quello che porta sul sedere è alme­no un pungiglione da 37. E poi di­cono che i nostri cacciatori difetta­no d'armamento!

• Tra gli intercettori notturni un bel gufo armato di trombone, ap­pollaiato in, guardia su una falce di luna, non poteva mancare. i\1a la 377a non si è accontentata di que­sto. Ha fatto anche un distintivo­medaglia, con il recto e con il verso. Il recto è q uello che vedete; il verso porta invece un motto tratto da una nostalgica canzone: "lo alla notte non posso dormire" .

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• "Tu alla notte non devi dormire!" ruggisce però il leone del comando intercettori notturni (già emblema del 15° s torma) che, per essere il distintivo adottato dai Signori Su­periori e da molti altri reparti della specialità, si investe di autorità. E in questo caso ha il diritto di imporsi, perché il suo motto non ammette

repliche: "Nec in somno quies" . A proposito di motti latini, lo sape­vate che la R.A.F. ne ha uno sul suo distintivo ufficiale? Sicuro! Sot­to l'aquila della R.A.F. sta scritto: " Per ardua ad astra". Si vede che non tutto ciò che Giulio Cesare ha insegnato ai Britanni è stato di­menticato.

*** • Distintivo con spiegazione. Nel­ ultimando i preparativi di partenza l'estate del 1941, all'inizio delle su un campo albanese. ostilità con la Russia, il 22° gruppo I piloti pensano alle trojke, alle ba­C.T., privo di insegna araldica, sta lalaike, ai Rata e al libero amore.

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chio che con la sua presènza ha spaventato gli avversari. Gli l1).et­tono una marsina rattoppata, un cravattino, un cilindro sfondato e un bel panciotto. Ma c'è ancora q ualcosa che non va. La "Cucara­cha" i velivoli rossi li suonava; e noi? Perplessità tra le subalternaglia; teste tra le mani, meningi che si spremono, gente che non pensa ad altro. Poi, di colpo, la decisione. La "Cucaracha" i rossi se li suonava? E lo "Spauracchio" se li fuma. Gli schiaffano una bella pipa in bocca e le stelle rosse che ne escono rappre­sentano appunto gli aeroplani av­versari che il gruppo si è fumato il 27 agosto. N ulla di più sintetico, di più argu­to, di più significativo.

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C'è gente che viene dalla "Cucara­cha", gente che viene dall"'Asso di Bastoni", gente che viene da tutti i più bei reparti da caccia dell'aero­nautica. Ed è logico che ognuno in­sista per adottare un distintivo che ricordi il suo vecchio reparto, al quale ognuno è affezionato. Dopo qualche giorno arriva l'ordi­ne di partenza. Il gruppo fa un sal­to a Bucarest, si rifornisce e rag­giunge il fronte. 27 agosto: alla prima crociera sulle linee i nostri incontrano una nuvola di Rata e di Katiuska.Figuriamoci! Si cono­scono fin dai tempi della Spagna e sono come cani e gatti. N e nasce una tremenda zuffa e, uno dopo l'altro, otto avversari vanno giù. Un debutto coi fiocchi. Ma nei giorni successivi sul nostro fronte non si riesce più a trovare un aeroplano nemico, manco a pagar­lo a peso d'oro. Quelli del 22° gruppo cercano Invano, SI mnervo­siscono, capiscono che hanno fatto male ad agir così, che il primo giorno avrebbero dovuto essere più cauti. Con tutta quella foga hanno spaventato gli uccellacci nemici e adesso non riusciranno più a spa­rare nemmeno un colpo di mitra­gliatrice. "Come hai detto? Spaventato gli uccellacci nemici? Forza ragazzi che il distintivo è nato!". Sul vec­chio triangolo bianco della "Cuca­racha" viene disegnato lo spaurac­

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suona i nemici, chi li fuma, ma il 54° stormo se li mangia. Tra unghioni, zanne e sguardo c'è in questa tigre tutto quanto è ne­cessario per un cartellone pubblici­tario. Ma è evidente che quelli del 54°" sono superiori a queste cose. Manifesto o non manifesto, loro vogliono fare paura. E, a q uanto ci risulta dal loro diario storico ci so­no riusciti .

• Un altro reparto che evidente­mente vuole fare paura all'inimico • Sia lode all'autore del distintivo è il 54° stormo caccia. L'aspetto di del 13° gruppo caccia. Questo s'è q uesta tigre è tale da non lasciar scelto ad emblema un Don Chi­dubbi sulle sue intenzioni. C'è chi sciotte in piena azione. U n Don

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Chisciotte partito a lancia in resta e a testa sotto (il suo Ronzinante non compare ma si intuisce) per abbat­tere, in nome di Dulcinea gentile e nello spirito delle nobili leggi della cavalleria, ogni forza malefica. Il grande pazzo ebbe, è vero, la di­savventura dei mulini a vento. Ma quelli del 13° no. Potete star tran­quilli. Quando quelli del 13° partono a te­sta sotto, lo fanno come in occasio­

ne del tentativo di sbarco effettuato dagli inglesi a Tobruk nel settem­bre del '42. Con le bombe in resta si buttarono all'assalto delle unità leggere inglesi che incrociavano al largo della rada e fecero una sara­banda che valse loro la citazione a bollettino. "A testa sotto". Che ne direste, va­lorosi piloti del 13°, di questo motto inciso sullo scudo del vostro segali­gno cavaliere?

... 1f. ...

• Qui c'è il modesto distintivo di uno stormo superbo: il 50° d'assal­to. Il motto è veneto, si potrebbe pensare per via di quella lunga permanenza a Treviso che prece­dette il trasferimento del reparto a Bengasi, ancor prima della guerra. Ma siamo in grado di smentire la supposizione perché distintivo e motto nacq uero tre anni prima in Spagna. Solo dopo è passato al 50°. È uno stormo dove i "cannoni" pul­lulano. Erano arrivati alla Berka con i loro vecchi Ba-65, ma poco prima della guerra giunse l'ordine di far partire i piloti per l'I tali a, dove ritirarono nuovi apparecchi, rientrando in Africa al gran com­pleto giusto in tempo per iniziare la giostra. Ma loro la giostra avevano

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imparato a farla sul Ba-65 e, quan­do si accorsero che con i nuovi ae­roplani non c'era possibilità di far la guerra come la volevano fare lo­ro, puntarono i piedi ed ottennero

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di ricostituire un gruppo sul vec­chio apparecchio. Un gruppo che si è coperto di gloria. Sono ragazzi audaci quelli del 50°; audaci, spacconi, generosi, turbo­lenti e, dal punto di vista aviatorio, perfetti. Innamorati della loro spe­cialità come di una bella donna. Innamorati al punto da provocare violente reazioni negli altri reparti,

reazioni che hanno portato alla creazione di uno stornello piccante che veniva cantato a mensa o sotto tenda sul vecchio motivo di "Se non ci conoscete". Eccolo: "Assai to, assalto, assaI to, son di­ventato pazzo, assalto, assalto, as­salto, assaltateci ... ". E gli stornelli, voi lo sapete, SI

chiudono sempre in rima.

• Aviatori, giù il cappello! Il caval­ numeri grossi che girano un po' lino rampante di Francesco Barac­ dappertutto; ma si tratta di vittorie ca scalpita impetuoso sugli emble­ italiane, di vittorie valutate col si­mi dei due gruppi che formano il 4° stema del contagocce, con la do­stormo caccia, l'erede delle tradi­ cumentazione fotografica alla ma­zioni della specialità, il più vitto­ no, con la meticolosità, la pignole­rioso stormo d'Italia. ria e la dignità che sono vanto dei Centinaia di combattimenti, 2 me­ nostri cacciatori. È lo stormo degli daglie d'oro, cinquecento vittorie. "Assi", intendendo per "Assi" i Sembrano poche a chi è abituato ai campioni del valore.

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--• Il distintivo del 150° gruppo cac­ Quando a un reparto un nomigno­cia è di q uelli che non possono es­ lo sostituisce un cognome, vuoI dire sere compresi se non se conosce la che il più è fatto. Gigi era trentino, storia. E la sua storia è questa: era biondo, era alto, era sempre "Gigi tre osei" era un ufficiale di pronto al volo, al canto e all'amore complemento. Era precisamente il comè le creature felici. 9igi era in sottotenente pilota Luigi Caneppe­ gamba. Era tanto in gamba che, le, un aliantista olimpionico che - q ualche tempo dopo, dovettero tra­dopo essersi laureato in ingegneria sferirlo ad un gruppo di nuova aeronautica - aveva conseguito il formazione perché addestrasse il brevetto di pilota militare ed era personale giovane. Col nuovo capitato al 150° gruppo quando gruppo partì per la guerra, com­questo si trovava a Caselle Torine­ battè in Tunisia, prese la prima se. S'era presentato al reparto por­ medaglia, poi fu trasferito in Africa tando sulla tuta il distintivo di col 2° stormo, continuò a combat­aliantista in possesso del brevetto tere e tornò infine a Caselle per un C. Tre aquile stilizzate, stilizzate al periodo di riposo. punto che avevano dovuto chieder­ Ma durante il riposo si lasciò un gli che cosa diavolo fossero. "Tre giorno prendere la mano dal caval­osei" aveva risposto Caneppele nel lo rosso dell'entusiasmo e, salito su suo bel dialetto; e da quel giorno un biplano, si mise a fare a gara era diventato per tutti "Gigi tre con le rondini. Le rondini, lo sape­osei". te, volano basse e si posano sui fili;

li

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-

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Gigi cercò di posarsi sui fili a sua volta, ma era più pesante delle rondini e ne venne fuori una scas­sata, un rapporto incidente di volo, una busta gialla di arresti e un tra­sferimento ad un reparto di idrovo­lanti in cui bisognava volar piatti per forza. I n questi casi non si transige. Chi giudica e punisce, dimentica che ai suoi tempi ha fatto anche lui le puntate, o ricorda di averle fatte e di essere andato a finir dentro. Pensa che quelli erano bei tempi, si lascia per un momento prendere la mano dalla nostalgia, poi si scuote, ridiventa burbero e prende "i prov­vedimenti del caso". Sotto sotto però sorride al pensiero che, · se quell'altro non è un pollo, alla cac­cia ci tornerà lo stesso. E Gigi ci tornò. Ci tornò qualche _ tempo dopo nella maniera meno ortodossa e più impensata, ma ci tornò. Il suo vecchio gruppo, il 150°, si trasferiva in Africa. Su uno dei campi tappa il comandante era sceso dall'apparecchio, era andato a far pipì, aveva dato disposizioni

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per il rifornimento e stava atten­dendo l'ordine di partenza, quando si vide arrivare davanti Gigi. Un Gigi irriconoscibile, demoralizzato e abbattuto, un Gigi che si dava pugni in testa e diceva che lì sareb­be morto di inedia. "Comandante, portatemi con voi in Africa". "I n Africa? Ma che sei matto?". "Co­mandante, sono matto. Ma porta­temi con voi in Africa; rinsavirò". "Ma come vuoi che faccia?". "Fate come volete, comandante, ma non lasciatemi qui" . "No senti: adesso tu rimani qui, vuoI dire che ti ri­chiederò e raggiungerai il gruppo laggiù". "Comandante non chiede­te niente, portatemi con voi subi­to." "Sub'ItO.? E' una l l'' "S'lparo a.. comandante; è una parola, una so­la, bellissima: Subito! Sentite come è bella?". "Eh, lo sento! Ma poi chi li sente i signori superiori?". "Co­mandante, li sentiremo insieme, li sentiremo con tutto il gruppo schierato, li sentiremo come vorre­te voi, ma adesso portatemi in Afri­ca!". E così per ore intere, al circo­lo, a mensa, in cameretta, sul pra­

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to, al comando, dovunque il co­ nuare a fare la guerra, scrivere una mandante andasse l'altro gli stava .dichiarazione giustificativa, attac­dietro e continuava quella lagna. carsi a tutte le "maniglie" possibili. A volte, lo sapete, ci si mette di La guerra continua, il suo gruppo mezzo il diavolo. Mentre il gruppo fa miracoli, ottiene una citazione a è lì in attesa di spiccare l'ultimo bollettino e finalmente la burrasca balzo, si ammala uno degli ufficiali; si ·placa. Gigi rimarrà con loro. il comandarite lotta con se stesso, Rimarrà con loro continuando a riflette, scuote la testa, vede che l'uf­ combattere con quell' en tusiasmo ficiale non guarisce, ci ripensa, poi che non può essere descritto a paro­di colpo decide e dice a Gigi di te­ le, perché con certe cose non ci si nersi pronto a partire. Gigi si può misurare a parole. Rimarrà schiaffa sull'attenti di fronte al co­ con loro sino a quando, durante un mandante, lo abbraccia con gli oc­ volo di trasferimento su un campo chi, lo bacia con il pensiero, schizza avanzato, volo per il quale si era in cameretta, fa fagotto e l'indo­ offerto volontario perché era indi­mani all'alba parte per l'Africa. spensabile trasportarvi subito gli La bomba scoppia qualche mese specialisti del gruppo, cadrà nel dopo, mentre il 1500 è in piena atti ­ tentativo di portare a termine a vità di guerra. Gigi, che porta sem­ qualunque costo la missione che gli pre il suo vecchio distintivo di era stata affidata. Buona parte de­aliantista, è il più audace, il più in­ gli specialisti si salva grazie al suo stancabile, il più valoroso pilota del sacrificio. reparto . I "tre osei" sono sempre in Dopo la sua scomparsa, il sottote­volo con lui, e attaccano, mitra­ nente Di Robilant, che era l'ufficia­gliano, giostrano, s'impennano, le sul cui apparecchio Gigi si era picchiano, battono ormai qualsiasi trasferito in Africa e sul quale ave­tipo di rondine che sorvoli la gialla va combattuto, volle ricordarlo fa­crosta del deserto. cendo disegnare sull' apparecchio • Iniz i;:, Quando scoppia la bomba, Gigi è stesso i famosi "treosei". Subito tivi di 0 -':

preoccupato per il comandante. Va dopo, con l'aggiunta di un nome, di da osser a finire che, se fanno tanto di im­ una palma e di qualche duna, nac­ più antic puntarsi, gli fanno sal tare la pro­ q ue spontaneo e bellissimo il di­ gloriosa -~ mozione. Il comandante è preoc­ stintivo del 1500 gruppo caccia, i glia del cupato per sé e per Gigi. Va a finire cui piloti hanno voluto fare in mo­ Nata ne. che se fanno tanto di impuntarsi, lo do che "Gigi tre osei" rimanesse Moizo, trasferiscono un'41tra volta. In ogni sempre con loro, anche dopo l'ul­ traverso modo non può far altro che conti- timo, definitivo trasferimento. 1915-1 8.

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1-. AScrIlSERENISSIMA..

• Iniziamo la rassegna dei distin­tivi di cui si fregiano i nostri reparti da osservazione aerea (O.A.) con il più antico tra di essi. Quello della gloriosa "Serenissima", la squadri­glia .del volo su Vienna. Nata nel 1911 con i voli libici di Moizo, di Piazza e di Gavotti, at­traverso le prove della guerra 1915-18, quelle della campagna

etiopica e quelle della guerra di Spagna, la ricognizione terres tre è giunta ai duri giorni del secondo conflitto mondiale vantando un in­discusso primato di operosità e di gloria. C'è il malvezzo di chiamarla "la Cenerentola" e nessuno, a quel che ci risulta, ha sfruttato l'idea per un distintivo che ricordi questo so­prannome.

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• Lo stilizzatissimo Pegaso del 61 u

gruppo vuoI certo esprimere, col suo dinamico atteggiamento, lo slancio e il senso di generosa dedi­zione che animano i suoi equipag­gi. Non rimproverateci l'uso di queste frasi grosse di cui del resto non abbiamo abusato. Tutti gli aviatori e tutti i combattenti cono­scono lo slancio e la dedizione. Ma negli equipaggi della ricognizione terrestre queste virtù sono esaltate

dalla natura dei compiti che essi sono chiamati ad assolvere. Non tutti sanno che cosa voglia dire an­date a bassa quota sulle linee ne­miche e rimanervi per cercare, per vedere, fotografare, annotare e rife­rire, indipendentemen te dall'infer­no scatenato da terra e dal cielo. Ma chi lo sa, ne siamo certi, ci la­scerà passare quelle poche parole grosse che abbiamo usato per la ri­cognizione terrestre .

.MEMENTO EXTOL.(.E.R.~

ANIMAM

grupP'=

• Vi presentiamo ora la ferocissi­ma lince del 50 gruppo O.A. che ha occhi per vedere e zanne per mor­dere. Non si può escludere che chi l'ha disegnata volesse alludere alle ricognizioni offensive, al cosiddetto "lavoro straordinario" della specia­

lità. Si tratta di cancare a bordo bombe e spezzoni per scaricarli, con il contorno di qualche raffica di mitraglia, su ciò che si trova di più importante nel corso della missione esplorativa. Un lavoro di un certo interesse, che ai ricognitori piace

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sempre perché dà loro modo di far • La 1273 ha adottato un distinti­qualcosa di diverso dal solito. Ve­ vo a rebus. Non ve lo possiamo dere e mordere; questo vuoI dire, a spiegare per via delle signore che nostro avviso, il distintivo del 5° altrimenti arrossirebbero. Cercate

. pIace

gruppo.

te....

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di farlo voi con garbo ed eleganza.

*** • Bellissimo lo scorpione che ap­pare sui velivoli della 353 sq uadri­glia con Antares sulla groppa. Da ragazzo avevo una simpatia specia­le per Antares e scrissi sulla costel­lazione dello Scorpione una bellis­sima poesia che però nessuno volle mai pubblicare. A tradimento vi ri­filo gli ultimi versi: . O rosso Antares quando tu scom­pan io ti attendo sereno perché so che tornerai a splendere nel mIO cielo .

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• Distintivo scostumato. Almeno i grado, con documentazione foto­soldatacci della l27 a si erano trin­ grafica alla mano e con testimo­cerati dietro al mistero del rebus; nianza di almeno cento persone, di ma quelli del 64° gruppo non han­ dimostrarvi che ben sei anni fa, no proprio nessuna considerazione. quella parolina che esce dalla boc­Ma non sapete, sciagurati, che con ca del vostro topolino io l'avevo q uesto vostro distintivo rischiate di già scritta sulla coda del mio appa­farmi perdere l'occasione di vende­ recchio, grande così. re il presente volume in tutte le ca­se dove ci son ragazze da mari to? Anche ammesso che il libraio lo presenti ad un severo padre di fa­miglia, imbonendolo come un piazzista, dicendogli che si tratta di una cosa scherzosa, piacevole, con­veniente, adatta per tutti i sessi e per tutte le età, al momento in cui il padre severo - sfogliando il volume - arriva a questa pagina, "Tè!" gli dice e gli fa lo stesso gesto del vo­

24"SQVADRIGLIA OA. LA SCALIGERA

stro topolino, andandosene poi • Mi dispiace aver ridotto il sobrio · scandalizza to. distintivo della 24a squadriglia a E poi, un'altra cosa. lo sono in formato francobollo, ma dovevo

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stiamo ~ ~'...

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one, di ~ anni fa,

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pur sfogarmi con gli scostumati del 64° gruppo. E poi, ad esser sincero, come avrei potuto cavarmela con un distintivo così austero? Non po­tevo mica stendere una biografia di Cangrande Della Scala!

• Ancora Donald Duck! Adesso stiamo esagerando con Disney! Per fortuna il personale della 118a ha vestito l'anatroccolo da sottotenen­te pilota e lo ha nazionalizzato col motto dialettale "Guardu e t' lu di­su" che è breve e non manca di efficacia. Ma se Disney dovesse chiedere i di­ritti d'autore, sai quante trattenute verrebbero fuori sulle buste stipen­dio degli originalissimi disegnatori del reparto!

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• Anche Diogene sono andati a pescare quelli della 123a ! Ciò è po­co rispettoso , ma non si può dire che non abbiano ragione. Entram­bi girano infatti al solo scopo di cercare l'uomo. Protestiamo però energicamente per la bottiglietta di cognac che il celebre filosofo greco si porta dietro, appesa al bastone, anche perché ce ne sfugge l'even­tuale significato recondito. Avremmo preferito la sola lanterna o la lanterna e un nodoso bastone. Ma, dopo la protesta, non possia­mo fare a meno di concedere venti ventesimi all'autore del motto e a quello degli eloquenti puntini so­spensivi che lo seguono.

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• Il personale del 63° gruppo O.A. to trova che un soggetto o un dise­non avrebbe diritto a fregiarsi di gno già sfruttati in altra sede si pre­questo stupendo "Occhio di Lince" stano ad essere impiegati come di­se non avesse dimostrato di saper stintivi, deve o non deve servirsene? fare ricognizioni dappertutto, su Risposta: sino a che è possibile, è mare, su terra, in collina, in pianu­ meglio essere originali. Ma piutto­ra e anche tra le pagine delle vec­ sto che mettere in giro delle "pe­chie riviste sudamericane. cionate" come quelle che ci sono Se non che, senza essere ricognito­ arrivate da qualche parte e che noi ri, tra quelle stesse pagine abbiamo non abbiamo pubblicato rischian­finito per metterci il naso anche noi do l'odio eterno degli autori, piut­ed abbiamo scoperto che "Occhio tosto che mettere in giro delle cose di Lince" è né più né meno che il decisamente brutte, è meglio chiu­classico "Patorusù", delizia di tutti dere un occhio e scopiazzare un i marmocchi dell ' America Latina. po '. Ci sarà certo meno gusto, ma Rimane adesso da stabilire una co­ si vedranno emblemi che, come sa: q uando il personale di un repar- questo, fanno bene agli occhi!

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• Il piratesco distintivo del 1300

gruppo lo ha disegnato un valoroso aerosilurante, il tenente Lo Prieno, che è scomparso in azione come tanti altri del suo celebre reparto. Lo Prieno aveva le mani abili e for­ti; ma una di queste mani se l'era disgraziatamente fratturata pro­prio nei giorni in cui c'era del lavo­ro duro per tutti. Era quindi a ripo­so quando arrivò l'ordine per una di quelle azioni al largo delle coste algerine dalle quali era più facile non tornare che tornare. Ma Lo Prieno non poteva rimanere a terra. Si presentò al comandante,

disse che quella volta toccava a lui, che stava benissimo e per dimo­strarlo strinse i denti, soffocò il do­lore e articolò la mano. PartI con altri cinque, incontrarono una nu­vola di cacciatori avversari, si dife­sero tutti strenuamente, lottarono nel grigio cielo invernale sul mare grigio e l' apparecchio di Lo Prieno non rientrò alla base. La mano che lui era riuscito ad ar­ticolare in presenza del comandan­te per poter avere il permesso di partecipare a quell'azione, era la stessa mano che aveva disegnato questo distintivo.

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• Questa è l'insegna dell'unico stormo italiano la cui bandiera sia stata, sino ad oggi, decorata della medaglia d'oro al valor mili tare: il 36°. Un vecchio stormo da bom­bardamento che si è trasformato in guerra in stormo aerosiluranti e che, alla sua prima azione, il 27 set­tem bre 1941, perse sette eq ui paggi durante gli attacchi effettuati a sud della Sardegna contro forze navali inglesi di scorta a un convoglio di­retto a Malta. La nave da battaglia "Nelson" incassò un siluro che la costrinse a rientrare a Gibilterra. L'S-79 che fece il colpo era quello del maggiore Buri. Venne colpito anche un piroscafo, poi affondato, e furono danneggiate varie altre uni­tà da guerra e da trasporto. In q uel giorno scomparvero con i loro eq ui paggi il colonnello Sei dI, i

capitani Verna, Tomasino e Roto­lo, i tenenti Barro, Deslex e il sotto­tenente Morelli. A meno di un an­no di distanza, durante il grande e vittorioso scontro aeronavale del giugno 1942, i nuovi equipaggi del 36° stormo vollero essere all'altezza delle tradizioni del loro magnifico reparto e contribuirono a ridurre a mal partito le formazioni navali in­glesi. Dagli attacchi non rientraro­no gli apparecchi del colonnello Farina, del maggiore Turba, del capitano Simeoni e quelli dei te­nenti Leonardo, Abate, Zanelli e Bedosti. Oltre a quella concessa alla ban­diera il 36° stormo annovera poi tra la sua gente altre sette medaglie d'oro. Mai la presenza di un'aquila in un distintivo di reparto è così giustificata come in questo caso.

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• Parlare dei "Quattro gatti",del­la nostra prima squadriglia di ae­rosiluranti entrata in azione ad Alessandria nella notte del 15 ago­sto 1940, sembra inutile. Tutti sanno che la sparuta rappresentan­za di questa specialità si è scelta da sola quella definizione scherzosa, atta a rappresentare l'esiguità del numero. Dalla definizione è nato il distintivo della 278a .

• L'aviazione da trasporto, consi­ guerra in specialità di sacrificio, è derata in pace come una specialità rappresentata dal bel distintivo di­di "pacchia" e trasformatasi in segnato a suo tempo per la

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L.A.T.I. da Boccasile, distintivo ·al quale mol ti equipaggi si sono affe­zionati perché con questo hanno sorvolato gli oceani e fatto conosce­re al mondo la perfetta organizza­zione delle linee transcontinentali italiane. Abbiamo detto noi stessi che si tratta di un bel distintivo. Ma che

ai trasporti, dopo che la stampa ae­ronautica aveva lanciato l'azzecca­to nome di "Marsupiali" con il quale venivano definiti i loro grossi apparecchi, che ai trasporti nessu­no abbia pensato a disegnare un bel canguro con il marsupio tra­boccante di materiali d'ogni gene­re, questo è imperdonabile.

• Avete visto? Mi sembrava di sa­perlo! Nel fermo intento di resti­tuirmi la botta, Vitali di San Ma­riano era scomparso subito dopo avermi mostrato lo strano distinti­vo dell'85° gruppo da ricognizione marittima. Ma non avevamo finito. C'era ancora quello della 171 a

squadriglia che ripete piacevol­mente il motivo dell'airone, caro al­la specialità che vola su apparecchi Cant. Z-506, conosciuti appunto sotto il nome di Aironi.

Il lavoro è finito. Naturalmente non è completo perché non volevamo fare una raccolta ufficiale dei distintivi di tutti i reparti, raccolta che sarebbe stata noiosa per voi e per noi. Alcuni distintivi potrebbero esserci sfuggiti, altri non li abbiamo inclusi di proposito perché, diciamolo fran­camente, erano proprio brutti e pubblicandoli avremmo finito per far danno ai reparti che li avevano adottati. Ci sono aquile, costellazioni, cani, uccelli, bombe e pugnali. C'è anche qualche topo, alcune belve e poi pesci, forche, torri, e orologi. Gli aviatori che sono stati gli ispiratori e gli autori dei distintivi non presentati in questa breve rassegna ci perdoneranno.

giugno 1943 FRANCO PAGLIANO

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