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I l bambino in effetti non è un piccolo adulto, ma un essere umano in crescita che si affaccia sul mondo ricco di curiosità e potenzialità che sono specifiche e peculiari dell’età che sta vivendo. Non è perciò un essere incompleto, mancante di abilità e competen- ze, ma ha caratteristiche proprie che lo contraddistinguono e lo diver- sificano dall’adulto, dal punto di vista intellettivo, affettivo ed anche motorio. Ed è soprattutto l’ambito motorio quello che maggiormente lo identi- fica. Il bambino impara a conoscere la realtà esterna, prima attraverso il contatto corporeo con i genitori e poi sviluppando con sempre mag- giore competenza il movimento. Saranno infatti il corpo e la capacità di muoversi, afferrando, pren- dendo, lanciando,... strisciando, rotolando, andando in quadrupe- dia,... camminando ed infine correndo, che gli permetteranno di entrare in contatto con il mondo degli oggetti e degli altri. Impedirgli di muoversi, negare il suo corpo, non vuol dire solo limi- tarlo nel movimento, ma soprattutto e contrariamente a quanto si crede, bloccare la sua crescita intellettiva ed affettiva. Il bambino non è in grado di pensare concettualizzando, ha bisogno di sperimentare, manipolare, toccare, giocare, muoversi, deve, insom- ma, “vivere le conoscenze”. Procede in modo concreto e passo dopo passo costruisce il proprio pensiero e la propria individualità. Accanto a lui devono camminare adulti disponibili ad accettare que- sto suo modo di essere e capaci di coinvolgerlo ed appassionarlo usando linguaggi, gestualità e giochi adatti al suo sviluppo intellettivo. Solo così potremmo soddisfare il suo desiderio continuo d’imparare e la sua innata ed infinita curiosità. Dargli la possibilità di elaborare il mondo esterno attraverso le sue modalità e permettergli in questo modo di crescere seguendo un per- corso educativo a lui congeniale e non attraverso la strada che noi adulti abbiamo già stabilito in modo rigido e acritico, è un atto di pro- fondo rispetto nei confronti del bambino e vuol dire riconoscergli la dignità di essere umano, seppur “piccolo”. La libertà di crescere sviluppando le proprie predisposizioni e attitudi- ni è qualcosa che gli adulti, soprattutto coloro che ritengono di essere educatori, devono ai bambini. Ma bisognerebbe essere capaci di andare oltre, pensando che le caratteristiche infantili sono di gran lunga più pregevoli della rigidità e della chiusura che caratterizzano l’età adulta. L’antropologo statunitense Ashley Montagu nel libro “Saremo Bambi- ni” sostiene infatti che le qualità dei bambini dovrebbero essere man- tenute anche in età adulta. La “Neotenia”, cioè la capacità di conservare tratti infantili anche nella maturità, è una caratteristica della specie umana che nessun altro essere vivente possiede, e ci permette di crescere nel corpo, nella mente, nei sentimenti e nei comportamenti, sviluppando ed accen- tuando le qualità tipiche del mondo infantile, anziché sminuirle. Ma quali sono i comportamenti infantili, così apprezzabili, che tendia- mo a perdere in età adulta? “Sai chi sono?” CAPITOLO 1 13

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Il mio sport non è il tuo Laura Spiritelli - Cesarino Squassabia http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/il-mio-sport-non-e-il-tuo

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I l bambino in effetti non è un piccolo adulto, ma un essere umanoin crescita che si affaccia sul mondo ricco di curiosità e potenzialità

che sono specifiche e peculiari dell’età che sta vivendo.Non è perciò un essere incompleto, mancante di abilità e competen-ze, ma ha caratteristiche proprie che lo contraddistinguono e lo diver-sificano dall’adulto, dal punto di vista intellettivo, affettivo ed anchemotorio.Ed è soprattutto l’ambito motorio quello che maggiormente lo identi-fica.Il bambino impara a conoscere la realtà esterna, prima attraverso ilcontatto corporeo con i genitori e poi sviluppando con sempre mag-giore competenza il movimento.Saranno infatti il corpo e la capacità di muoversi, afferrando, pren-dendo, lanciando,... strisciando, rotolando, andando in quadrupe-dia,... camminando ed infine correndo, che gli permetteranno dientrare in contatto con il mondo degli oggetti e degli altri.Impedirgli di muoversi, negare il suo corpo, non vuol dire solo limi-tarlo nel movimento, ma soprattutto e contrariamente a quanto sicrede, bloccare la sua crescita intellettiva ed affettiva.Il bambino non è in grado di pensare concettualizzando, ha bisognodi sperimentare, manipolare, toccare, giocare, muoversi, deve, insom-ma, “vivere le conoscenze”. Procede in modo concreto e passo dopopasso costruisce il proprio pensiero e la propria individualità.Accanto a lui devono camminare adulti disponibili ad accettare que-sto suo modo di essere e capaci di coinvolgerlo ed appassionarlousando linguaggi, gestualità e giochi adatti al suo sviluppo intellettivo.Solo così potremmo soddisfare il suo desiderio continuo d’imparare ela sua innata ed infinita curiosità.Dargli la possibilità di elaborare il mondo esterno attraverso le suemodalità e permettergli in questo modo di crescere seguendo un per-corso educativo a lui congeniale e non attraverso la strada che noiadulti abbiamo già stabilito in modo rigido e acritico, è un atto di pro-fondo rispetto nei confronti del bambino e vuol dire riconoscergli ladignità di essere umano, seppur “piccolo”.La libertà di crescere sviluppando le proprie predisposizioni e attitudi-ni è qualcosa che gli adulti, soprattutto coloro che ritengono di essereeducatori, devono ai bambini.Ma bisognerebbe essere capaci di andare oltre, pensando che lecaratteristiche infantili sono di gran lunga più pregevoli della rigiditàe della chiusura che caratterizzano l’età adulta.L’antropologo statunitense Ashley Montagu nel libro “Saremo Bambi-ni” sostiene infatti che le qualità dei bambini dovrebbero essere man-tenute anche in età adulta.La “Neotenia”, cioè la capacità di conservare tratti infantili anche nellamaturità, è una caratteristica della specie umana che nessun altroessere vivente possiede, e ci permette di crescere nel corpo, nellamente, nei sentimenti e nei comportamenti, sviluppando ed accen-tuando le qualità tipiche del mondo infantile, anziché sminuirle.Ma quali sono i comportamenti infantili, così apprezzabili, che tendia-mo a perdere in età adulta?

“Sai chi sono?” CAPITOLO 1

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L’ ISTRUTTORE è colui che fornisce le nozioni teoriche e pratiche utiliper esercitare una particolare abilità. È colui che insegna qualco-

sa dal punto di vista morale, culturale e formativo.In definitiva si pone come fine ultimo della sua azione la crescita delsoggetto.

L’ALLENATORE, invece, è colui che per professione allena singoli atleti osquadre o animali da competizione. È perciò un addestratore, un trai-ner, un coach o anche un mister, e il suo fine ultimo è raggiungererisultati.

Voglio insomma essere per te un “educatore” cioè colui che fa cresce-re e maturare un soggetto dal punto di vista morale ed intellettivo,sviluppando le sue disposizioni naturali.

EDUCARE, infatti deriva dal latino e-ducere, cioè “tirare fuori”, o megliofar emergere le potenzialità insite in ogni soggetto ed aiutarlo a per-cepirle, riconoscerle e farle proprie, per poterle sviluppare.Già nel periodo della cultura classica greca la concezione Socratico-Platonica dell’educazione sottolineava l’importanza di questo concet-to, considerando il bambino come un essere già ricco di conoscenzeche deve solo ricordare. E anche nei nostri giorni troviamo che ilneurofisiologo americano Michael Cazzaniga nel suo libro “La mentedella natura” sostiene questa tesi e scrive: “Ogni forma di apprendi-mento consiste nel ricordare ciò che persiste all’interno del cervello”,confermando così che le risorse più preziose di ogni essere umanovanno ricercate nella sua interiorità, nella sua unicità e il suo compitonon è tanto quello di apprendere dal mondo esterno, ma di trovare inesso stimoli adatti a sviluppare le proprie potenzialità.

Diverso da EDUCARE è poi INSEGNARE che etimologicamente significain-segno, cioè incidere, imprimere segni nella mente e nello spirito.Il termine “in-segnare” trova corrispondenza nella concezione Aristo-telica dell’educazione per la quale il bambino è una “tabula rasa” sucui l’azione dell’insegnante lascia il segno.

In-segnare quindi presuppone solo un banale trasferimento di nozionida un soggetto attivo, cioè colui che in-segna, ad uno passivo, coluiche deve imparare.

“Chi sei tu” CAPITOLO 2

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Capisci anche tu che la differenza tra le due figure è sostanziale; iovoglio essere per te una guida, voglio aiutarti a crescere, non solo dalpunto di vista sportivo, ma anche umano, affettivo ed intellettivo.Se sarò stato un buon istruttore sono sicuro che otterrai risultatisportivi in seguito, adesso è meglio cercare di costruire il bagagliomotorio più ampio e più completo possibile per darti la possibilità diessere, se lo vorrai, in futuro, un atleta vero.

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“Voglio imparare a...” CAPITOLO 3

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Lo sviluppo della motricità nel bambino parte dal sistema senso-motorio che a sua volta è strettamente legato allo sviluppo del

Sistema Nervoso Centrale. In pratica il bambino, come già accennatoin precedenza, sviluppa la propria intelligenza attraverso l’attività sen-soriale e percettiva, e attraverso quella motoria.Subito dopo la nascita sono gli stimoli sensoriali che prevalgono edanno i primi input al bambino: i contatti con il corpo della madre, leluci, i suoni, i rumori e le sensazioni di benessere o di fastidio cheprovocano sono i primi dati registrati dal cervello del neonato. Inseguito il bambino sviluppa sempre maggiori abilità motorie e il con-trollo sul suo corpo che lo porterà a camminare nel corso del suoprimo anno di vita, gli permetterà di staccarsi, piano piano, dallamadre e di avventurarsi, con sempre maggiore sicurezza, verso laconoscenza del mondo.Le sensazioni che potrà registrare nel suo contatto con il mondodiventano sempre più complesse e possono essere relative al propriocorpo (propriocettive o cinestetiche) o relative ai dati esterni (estero-cettive).Lo sviluppo dell’intelligenza è condizionato quindi dalla capacità dielaborazione del sistema senso motorio e può procedere ed evolversisolo su basi strettamente concrete. Saranno cioè le esperienze tattili,uditive, visive, olfattive, gustative e motorie a far sviluppare il cervelloe tali esperienze saranno sempre strettamente collegate con il vissutocorporeo.Nel bambino si sviluppa così un’intelligenza concreta che ha bisognodi fare, toccare, sperimentare e muoversi per crescere. Le caratteristi-che del pensiero concreto prevarranno nel bambino fin verso i 12anni, quando la capacità di concettualizzare e di astrarre i contenutidarà il via all’instaurarsi di una modalità di pensiero astratta che saràtipica dell’età adulta.Per quanto detto, quindi, le esperienze motorie che all’interno delleattività sportive proponiamo ai bambini non devono essere di certocasuali, ma corrispondere ad un progetto di crescita che possa essereil più armonico ed equilibrato possibile.Tra i 6 e gli 11-12 anni il bambino ha bisogno di esplorare e speri-mentare la motricità in ogni suo aspetto per costruire un bagagliomotorio ampio, completo e flessibile che lo porterà alla strutturazionedelle abilità sportive.Nella piramide motoria possiamo vedere sintetizzate le tappe dellacrescita motoria, in un processo che in realtà non è lineare e conse-quenziale, ma si interseca in un continuo concatenarsi di acquisizionied aggiustamenti che progrediscono con l’età.La crescita motoria del nostro “piccolo atleta”, quindi, deve passareobbligatoriamente attraverso queste tappe che si sviluppano parallela-mente e che si condizionano reciprocamente: non è possibile lo svi-luppo delle abilità sportive se non si parte dalla base della piramide enon si sale, gradino per gradino, fino alla cima!Volendo analizzare la piramide in tutte le sue parti, e salendo cosìdalla base, costituita dalle capacità senso percettive, porremo lanostra attenzione sugli SCHEMI MOTORI DI BASE.

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I n tale prospetto, detto FASI SENSIBILI DELLA MOTRICITÀ, si può notareche la caratteristica “voglia di apprendere” trova il suo massimo svi-

luppo tra i 6 e i 12 anni, indice delle spiccate capacità di apprendi-mento di un bambino in questo periodo cronologico che non vannoassolutamente sottovalutate.Ma questo è anche il periodo d’oro della motricità, quello in cui glischemi motori di base e le capacità motorie trovano la loro migliorecollocazione. Tra queste ultime, sono le capacità coordinative quelleche meglio contraddistinguono questo periodo: esse vanno sviluppateentro i 12 anni, dopo di che, è solo possibile intervenire in modo par-ziale e non esaustivo: ciò che è stato perso non può più essere recu-perato. Alcune capacità addirittura come quella di equilibrio, di ritmo,di reazione agli stimoli, trovano, in seguito, scarsissime possibilità disviluppo.È invece importante sottolineare come la capacità di orientamentonello spazio, unica tra le capacità coordinative, arrivi a strutturarsi inmodo completo solo dopo i 12 anni e questo perciò presuppone unascarsa percezione spaziale nei bambini più piccoli.Anche le capacità condizionali trovano poca rispondenza nel periodoinfantile, esclusa la rapidità che invece è nel momento del suo massi-mo sviluppo.

“La mia motricità” CAPITOLO 4

Tutto questo indubbiamente mi richiama alla mia responsabilità diistruttore competente che non può esulare dal comprendere qualisono i momenti opportuni e le attività più adatte per le diversefasce d’età dei bambini.Anzi mi sorgono dei dubbi sul lavoro da me svolto in tanti anni diattività:

• Quante volte ho accantonato le esercitazioni sulle capacità coordi-native a favore della tecnica?

• Perché se la capacità di orientamento nello spazio è di difficilecostruzione per un bambino, ho continuato a farti giocare “azona”, per poi sgridarti se non mantenevi la posizione?

• Perché invece di insistere sulla rapidità del movimento mi sonolamentato che in campo ti mancavano “forza e resistenza”?

• Come mai mi sono dimenticato spesso di essere coinvolgente emotivante, e magari ti ho proposto “allenamenti” tratti dall’ulti-mo numero della rivista specializzata, per poi lamentarmi dellatua incapacità esecutiva?

Posso comunque fare meglio ed impegnarmi nel definire quali sonole caratteristiche dei bambini nei diversi momenti di crescita, inmodo da poter progettare situazioni motorie sicuramente adeguate erispondenti alle tue reali esigenze. Vediamo dunque come è possibileidentificare queste tue caratteristiche motorie dividendole per fasced’età.

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L’ istruttore, come tutti gli educatori, deve essere un buon program-matore analizzando con attenzione la situazione di partenza dei

propri bambini, ponendosi delle finalità e degli obiettivi (mete)rispondenti alle effettive capacità dei suoi piccoli allievi, approntandodei contenuti adatti alla sua situazione, usando una metodologia con-sona all’età del proprio gruppo e verificando se gli obiettivi o le meteprefissati sono stati raggiunti.Come agire:

• Tenere ben presente che il nostro compito principale consiste nel-l’educare i bambini che ci vengono affidati (far emergere tutte leloro potenzialità)

• Usare l’attività sportiva come mezzo per educare la persona• Pensare a soddisfare i veri bisogni e le reali aspettative dei bambini

senza confonderli con quelle di noi adulti• Essere sempre in grado di emozionare i bambini• Approntare esercizi-giochi in forma ludica o comunque divertente• Programmare attività che siano sempre rispettose dei ritmi e dei

tempi di apprendimento dei bambini, partendo da dove effettiva-mente essi possono partire

• Attenzione a non fare annoiare in quanto la noia porta al disinteres-se ed il disinteresse all’abbandono dell’attività

• Aiutare e sostenere i bambini nel provare a cercare la risoluzionedei piccoli problemi che gli si parano davanti durante le attività digioco senza dare sempre soluzioni pre-confezionate

• Essere sempre in grado di correggere con pazienza, accettando conbenevolenza gli errori in quanto momento di messa alla prova percrescere

• Attendere sempre i risultati con pazienza: ogni bambino è diversodagli altri poiché c’è chi apprende tutto velocemente, chi ci impiegapiù tempo e chi non apprenderà mai tutto ciò che noi insegniamo,tenendo ben presente che il tutto e subito non sta scritto e soprat-tutto non ci porta da nessuna parte

• Nel verificare osserviamo sempre i bambini durante le nostre lezio-ni (allenamenti) e ricordiamoci che la miglior verifica è la partita.

Quando si insegna e soprattutto si insegna ai bambini, noi istruttori cialleniamo anche ad apprendere dagli stessi bambini.Insegnare ai bambini è bello ed affascinante e se sapremo esserecoinvolgenti e saremo in grado di far divertire, questi aspetterannosempre con grande entusiasmo la lezione successiva.

“Dove stiamo andando?” CAPITOLO 5

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Abbiamo già visto che il bambino ha modalità proprie di apprendi-mento che devono essere riconosciute e rispettate dagli adulti

per permettergli di crescere in modo equilibrato.È importante sottolineare che quando un bambino si muove lo fa contutto il suo essere e quindi il lavoro motorio non è mai mera esecu-zione fisica, ma è, anche e soprattutto, indice delle caratteristicheintellettive, affettive e sociali di ognuno: modalità privilegiata attraver-so la quale il giovane si esprime!Non riconoscere l’importante valenza educativa del movimento puòfar cadere l’istruttore nella trappola della ricerca esasperata del risulta-to, che può non coincidere con le esigenze di maturazione del sog-getto in crescita.È meglio allora procedere nel rispetto delle singole individualità, asse-condando ritmi e modalità di maturazione o specializzare precoce-mente?Già nel 1986 E. Hahn, in un articolo apparso su SDS, Rivista di Cultu-ra Sportiva, dal titolo “Parola chiave: allenamento dei bambini” soste-neva che “Il fondamento di ogni prestazione è una formazione dibase generale, che vada oltre le varie discipline, impostata su largascala, in cui ha gran valore la molteplicità dei modelli motori. Piùvasto è il repertorio di esperienze motorie in diverse discipline sporti-ve, più facilmente riesce una strutturazione a livelli più alti di rendi-mento”.In effetti la specializzazione precoce, utilizzando esclusivamente lacomponente tecnica e quella energetica del movimento come metodoprioritario per lo sviluppo delle abilità motorie, porta velocemente adun sensibile incremento delle prestazioni, cui segue però una stagna-zione, con caduta della performance, la cui conseguenza può ancheessere l’interruzione anticipata dell’attività per demotivazione.La multilateralità, che letteralmente significa “presenza e/o concorren-za attiva di più elementi di riferimento”, si pone come obiettivo lo svi-luppo delle abilità motorie in modo variato per creare una formazio-ne di base generale che consenta al ragazzo di poter operare in futu-ro scelte sportive consapevoli.Tale metodologia, che si sviluppa con modalità ampie e variabili,porta come risultato ad una motricità flessibile, completa, economicaed originale che darà risultati a lungo termine, proprio perché si svi-luppa in tempi dilatati, adeguati ai ritmi di crescita e coinvolge tutti gliaspetti della motricità infantile (capacità percettive, schemi motori dibase, capacità coordinative e condizionali).In quest’ottica le singole tecniche, specifiche di ogni disciplina sporti-va, sono utilizzate come mezzo per favorire la crescita motoria e noncome fine ultimo dell’apprendimento: servono in sostanza per prepa-rare efficacemente il processo di specializzazione futura.La sintesi,qui sotto riportata, vuole evidenziare le sostanziali differen-ze tra le due modalità d’intervento in ambito motorio:

“Amo giocare” CAPITOLO 6

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Gli adulti, ancor di più quelli significativi nella vita di ciascun bam-bino, devono tener presente e favorire questo rispetto dei desi-

deri, dei ritmi e delle tappe, non solo nell’attività sportiva ma anchenella vita quotidiana (es. aspettative e risultati eccessivi per le poten-zialità del bambino a scuola e in tutte le attività extra scuola in cui sivuole che il bambino sia impegnato).A volte il bambino non è capito in questo, in quanto sembra unostrumento in mano ai grandi che lo utilizzano per realizzare i loroprogetti!Se fossimo in grado di osservare meglio i nostri bambini, se fossimoin grado di sforzarci di ripensarci bambini ricordando i nostri tempi dibambino, potremmo comprendere quanto la sua candida semplicitàpossa scalzare la nostra complessità di persone che pensano che ciòche noi approntiamo per i piccoli vada sempre e comunque bene, invirtù del fatto che noi siamo più grandi.L’istruttore sportivo possiede una grande fortuna perché ha la possibi-lità di capire, forse più degli altri adulti, la vera personalità del bambi-no osservandolo in un contesto dove lui non può assolutamente men-tire e cioè quando gioca.Al bambino piace giocare e divertirsi ed attraverso il gioco rivelarealmente tutto se stesso senza finzioni e senza nascondere nulla inquanto, mentre gioca, mette a nudo il suo vero essere e da modoall’istruttore di conoscerlo per quello che veramente è.Se noi volessimo pensare ad un lavoro per i bambini si potrebbe direche il loro lavoro si chiama giocare e nel cimentarsi nel loro lavorodesiderano gioia e divertimento.Chissà se gli istruttori sportivi pensano a questo?

Per una corretta crescita motorio-sportiva ogni istruttore deve impe-gnarsi affinché i suoi bambini conseguano uno sviluppo globale, ilpiù ampio possibile, a livello di mappe cognitivo-motorie in modo

“Voglio essere un bambino...” CAPITOLO 7

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Quanti disegni, quante idee ed aspettative mi passano per la menteper farti crescere e migliorare nell’attività sportiva.Spesso mi trovo a pensare e studiare soluzioni e strategie correndo erincorrendo le tappe del domani quasi per timore di essere in ritardocon i tempi e mi accorgo che, per tentare di raggiungere i miei obiet-tivi (che poi sono anche i tuoi…), sto trascurando quelle dell’oggi.È tutto un correre e rincorrere in cui desidero che tu mi segua, matu mi inviti a non avere fretta, a non avere fretta nel vederti miglio-rare, a non avere fretta di vederti primeggiare, a non avere fretta diarrivare alla meta.Quanta ragione hai caro bambino…!La fretta è la peggior nemica della vera educazione!Quindi devo sforzarmi di non bruciare le tappe, usando sempre conlungimiranza l’arte della pazienza, ponendomi obiettivi reali e con-creti per la tua età.

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“L’istruttore che desidero…” CAPITOLO 8

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Era diverso tempo che facevo l’istruttore sportivo, ma non ero deltutto contento del mio operare, anche se spesso tutto veniva masche-rato dai buoni risultati sul campo e dagli apprezzamenti degli addettiai lavori.Ma i bambini, che dopo il mio allenamento vedevo riunirsi a giocareliberamente gioiosi e felici come mai li vedevo in palestra, cosa pen-savano?Dovevo assolutamente ricercare la mia vera o nuova identità!Sarei ancora qui alla ricerca di questa mia vera identità se non mifossi posto la domanda chiave che tutti gli educatori prima o poi, acontatto con i bambini, dovrebbero porsi: “Ma io che bambino sonostato e cosa desideravo veramente dall’attività sportiva?”Come ti ho gia detto la memoria è tutto quello che ricordi dopo averdimenticato e ripensando al mio passato di bambino i ricordi comin-ciavano a farsi largo: le belle partite giocate con gli amici in libertàe fantasia creativa in campi di fortuna; le grandi giocate in oratorioanche con giochi spesso inventati ma tanto coinvolgenti ed emozio-nanti, quelle partite a calcio (allora c’era solo quello) con un pallo-ne solo e anche più di venti bambini per squadra, magari toccandola palla solamente alcune volte in tutta la partita ma tutto era bellolo stesso perché si giocava in gruppo; le frenetiche corse dopo lamessa della domenica per guadagnarsi un posto all’unico calciobalilla o a una racchetta al tavolo di ping pong; le delusioni quandonon riuscivi a giocare tanto (il tanto però non si sapeva quantificarepoiché non ci si stancava mai di giocare!); la delusione quando nelleore di educazione fisica eseguivi solo esercizi a corpo libero e nongiocavi mai, la delusione quando venivano fatte le squadre dai piùgrandi e si veniva esclusi dal gioco perché non ritenuti all’altezza,l’attesa della ricreazione a scuola per giocare tutti assieme a rincor-rerci, a guardia e ladri, a bandiera, ecc., in cui più eravamo e più cidivertivamo; le sgridate e spesso qualcosa di più dalla mammaquando tornavi tardi a casa perché giocando con gli amici il temponon esisteva più.Vedi, in tutto questo ricordare, compare sempre un elemento: giocoe giocare come momento di divertimento e felicità!Giocare…giocare…giocare…era questa la strada che io avevo igno-rato o smarrito, perché con te avevo voluto essere troppo allenatoree troppo poco istruttore, troppo tecnico e troppo poco animatoresportivo, troppo proiettato verso il futuro e poco attento al presente,troppo preoccupato del risultato sportivo e troppo poco della tua cre-scita educativa e dei tuoi interessi veri, troppo pressante e pococoinvolgente, troppo preso dal pensare al gioco come momento tatti-co e poco come momento di divertimento creativo ed espressivo.Ho iniziato a ripensarmi istruttore diverso e a concentrarmi sul con-cetto che tu prima di essere un mini atleta sei un bambino e che io,prima di aver tanti titoli (mister, coach, allenatore, trainer, ecc.)sono un insegnante e nessun insegnante può esimersi dall’essere uneducatore.

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“Voi comunicare con me…” CAPITOLO 9

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• ascoltarti, o osservarti con attenzione o motivarti,• valutarti in modo realistico e senza preconcetti,• essere empatico,• comunicare,• essere sinceramente me stesso.

Credo che ognuno di noi possa dare agli altri solo ciò che ha esoprattutto, ciò che è, e quindi, prima di tutto, dovrò essere io unafigura positiva, capace di credere in un percorso educativo adattoalle tue caratteristiche e nelle tue infinite potenzialità.Sai, ho scoperto, con meraviglia, che ciò che penso di te da origineal verificarsi effettivo del pensiero stesso.Si chiama effetto pigmalione e viene definito come la “Profezia chesi autodetemina”. In pratica se penso di te che non hai le qualitàper fare sport, prima o poi tu abbandonerai l’attività motoria, ma secredo nelle tue capacità, forse diventerai un campione! Si tratta dicreare, insomma spirali negative o positive di autovalutazione cheportano così ad effetti disastrosi o di successo:

Riconoscere e rispettare le tue naturali predisposizioni, ed averefiducia nella possibilità di una vera, significativa e personale cresci-ta, diventa quindi fondamentale, ma avrà la stessa importanza ilmodo con cui io saprò comunicarti questa fiducia, attraverso unacomunicazione positiva.

Aspettative positive

SuccessoSicurezza

Aspettative negative

InsuccessoInsicurezza

SPIRALE DEL SUCCESSO

SPIRALE DELL’INSUCCESSO

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Quando si vive e si agisce in un contesto di più persone, e nelnostro caso una squadra o un gruppo sportivo, compito prima-

rio di chi (l’istruttore) ne guida il cammino consiste nel formularedelle regole semplici e chiare che tutti si devono impegnare a rispet-tare per star bene assieme.Con i bambini non possiamo concettualizzare più di tanto in quantofarebbero sicuramente fatica a capire, ma ogni istruttore deve averechiaro, dentro di sé, la regola base attorno a cui devono ruotare tuttele soluzioni per una buona dinamica del suo gruppo.Questa regola, che deve rappresentare il fondamento di tutto il suoagire con i bambini, non deve essere necessariamente dichiarata, mal’istruttore la conserva dentro di sé, facendone la guida pratica delsuo operareI suoi comportamenti ed atteggiamenti e quelli dei suoi bambinidevono man mano ispirarsi e modellarsi a questa.La regola è: DARE SEMPRE SENZA PRETENDERE.Gli istruttori provino a pensare a questa frase e comincino a progetta-re come calarla nel contesto del vivere di un gruppo di bambini cheintendono iniziare a praticare un’attività motorio-sportiva che sia vera-mente educativa per la loro formazioneSarebbe assurdo parlare ai bambini dicendo dovete imparare a daresenza pretendere, ma con loro useremo le situazioni pratiche, in con-testi di atteggiamenti e comportamenti, accompagnate a volte anchedai nostri discorsi.I bambini riescono ad interiorizzare e capire da come noi ci compor-tiamo e da come vorremmo vedere o non vedere certi comportamen-ti, solo più avanti, quando saranno diventati ragazzi e adolescenti, idiscorsi assumeranno più importanza nella nostra azione. Chiariti questi aspetti vediamo di capire cosa può significare questafrase.È la tipica frase della generosità, dell’altruismo, dell’impegno, dell’a-desione, della coesione, del rispetto, della comprensione, della veraunità d’intenti, ma soprattutto della vera amicizia poiché solo un veroamico dà sempre senza pretendere.Quale istruttore non gradirebbe una squadra che fonda il suo esserevero gruppo su questi principi?Occorre tenere presente che questo è un lungo percorso, di cui quasinon se ne intravede la fine, ma deve avere un inizio e deve iniziarecon i nostri bambini, senza troppe parole e discorsi ma soprattuttocon i gesti, i comportamenti e le azioni positive dell’istruttoreIl comportamento dell’istruttore, che funge da esempio positivo, è lamiglior presentazione ed il miglior rinforzo della nostra frase, ricor-dando quanto già detto che i bambini aderiscono prima e più allepersone che alle idee e alle parole, per cui con loro puntiamo forte-mente su atteggiamenti e comportamenti positivi e vedrete che alungo andare ci seguiranno, ci imiteranno in quanto hanno capito chegli vogliamo bene.Nel gruppo esistono tante teste, tante situazioni, tanti piccoli egoismi,tante storie diverse e non è sicuramente facile gestire tutto nel rispettodella nostra regola base, ma bisogna crederci e provarci.

“Alla scoperta del gruppo…” CAPITOLO 10

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Proviamo a pensare quante volte questo patto viene tradito per colpanostra e quante volte i nostri bambini dovrebbero mandarci a casa.

I bambini non chiedono molto, non parlano più di tanto, ti fannocapire dai loro comportamenti che noi dobbiamo osservare e mai tra-scurare.Se chiedono, chiedono cose piccole ma che per loro sono grandissime,ma talmente grandi che noi adulti spesso purtroppo non le vediamo.Sono talmente macroscopiche che…siamo anche capaci di non veder-le, perché ci siamo dimenticati come vedono gli occhi dei bambini,quegli occhi troppo spesso non ce li ricordiamo più.Vediamo di recuperarli per capire cosa serve veramente nella nostrasquadra. Nella squadra deve regnare libertà di esprimersi, ognuno deve sentirsilibero e spronato ad esprimere il proprio parere.Le decisioni che si vogliono adottare vanno prese anche ascoltando leproposte di tutti.Tutti possono proporre attività di contorno (feste, incontri, piccolegite, ecc.).Decisa una cosa, tutti si lavora per realizzarla.Tutti si sforzano di essere amici di tutti.Chi è arrivato per ultimo va aiutato ad inserirsi il più presto possibile. L’istruttore è la guida del gruppo e va sempre ascoltato.Nella squadra si devono fare anche le cose che non piacciono se rite-nute utili al gruppo.Impegnarsi sempre a lavorare pensando agli altri compagni, chi lavo-ra anche per gli altri lavora per la squadra e lavorare per la squadrasignifica lavorare anche per noi stessi.Credere sempre ed avere fiducia in quello che si fa.Quanto detto non è ne più e ne meno di quanto dovrebbe essereportato avanti anche in famiglia, a scuola o nei gruppi giovanili.Non è forse una piccola squadra la nostra famiglia?Non è forse una squadra la classe dove si entra tutte le mattine recan-doci a scuola?Non è forse una squadra il gruppo giovanile che si frequenta?Siamo convinti che se tutti gli educatori percorressero questa strada,con un grande amore per bambini, ragazzi e adolescenti, ponendoliveramente al centro del loro operare molte cose cambierebbero inpositivo.Purtroppo a volte questo amore viene a mancare.Interessi personali, situazioni, problemi, distolgono e distraggono chiha il compito di educare e tutto diventa difficile e complicato, magaripoi lamentandosi che il mondo cambia in negativo, ma il mondo deldomani lo si deve creare oggi stando veramente vicino ai nostri bam-bini ed ai nostri giovani per aiutarli a crescere.Se non si vuole o non si è in grado di fare ciò non lamentiamoci poiin futuro e ricordiamoci che il futuro è già all’indomani.Tutti siamo chiamati a vario titolo, anche noi istruttori, a contribuireall’educazione dei nostri giovani, non adempiere pienamente a taledovere non significa altro che renderci complici della situazione che aparole spesso condanniamo.

“Il piacere di stare assieme guidato da un vero leader…” CAPITOLO 11

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Una delle prime domande che un istruttore si deve porre consistenel chiedere ai genitori quali sono le motivazioni che li spingono

a far frequentare corsi di attività sportiva ai propri figli.Sicuramente le risposte sono diverse ed a volte veramente sorpren-denti per non dire sconcertanti, ma su tutte la più gettonata è che l’at-tività sportiva fa bene ai bambini sotto ogni aspetto.Le tipologie che si possono osservare fra i genitori dei nostri bambinisono le più svariate possibili, si passa dal genitore fiducioso a quellocritico, da quello propositivo a quello indifferente, dall’impegnatoall’apatico, dal costruttivo al distruttivo, dal comprensivo al supponen-te, dal collaborativo al disimpegnato, ecc.Spesso però compare l’atteggiamento del demandare l’educazione deipropri figli ad altri senza un minimo di interessamento, partecipazio-ne ed aiuto nei riguardi di chi agisce ed opera per il loro bene.Non è sicuramente sufficiente e rispettoso dei bambini l’appoggiomorale o il contributo economico all’inizio dell’anno sportivo per sen-tirsi a posto con la propria coscienza.Sollecitiamo i genitori a scrollarsi di dosso l’abitudine di demandare,perché diventino parte integrante della squadra per appoggiarla esostenerla in tutte le espressioni e momenti della sua attività.È importante quindi “educare” anche i genitori affinché aiutino l’i-struttore nel creare il clima adatto alla crescita del gruppo.Invitiamoli ad approfondire la realtà in cui ci si vuole muovere, acapirla negli aspetti e nelle direttive che intendiamo dare, a conoscerela nuova realtà che si apre davanti ai nostri bambini.Da una tale conoscenza si favorisce il nascere di un rapporto diversocon i nostri bambini che, pur improntato e guidato dalle comune rotaiadei nostri concetti guida, lascia tuttavia spazio ai desideri, al modo diessere ed ai giudizi dei nostri bambini, mostrando interesse ai loro pen-sieri, alle loro aspettative, ai loro desideri e condividendo tutto quelloche si può condividere, senza venire meno a quegli aspetti educativiche sono alla base della filosofia d’azione del nostro gruppo.Ai genitori va spiegato che l’attività sportiva deve essere momento didivertimento per i bambini, affrontata con il giusto impegno per aiu-tarli a trovare l’equilibrio necessario per confrontarsi con la realtà cheli circonda.L’istruttore deve quindi rendere edotti i genitori sui principi generaliche guidano l’attività del gruppo e per questo motivo deve comunica-re sempre con chiarezza e tenersi in contatto con loro in modo dasgomberare il campo da l’insorgere di possibili equivoci o da erratevalutazioni, che sicuramente andrebbero a scapito dei bambini, con lerelative conseguenze per tutta la squadra.Le riunioni pre-campionato sono validissime e necessarie per intavolareun corretto e costruttivo rapporto. In queste riunioni si mette al corren-te dei criteri e dei metodi con cui si intende operare, dei principi su cuisi ispira l’attività, degli obiettivi che si intendono raggiungere e delleregole che si ritiene di fissare per una buona dinamica del gruppo.Come educatore egli deve insistere ed attivare discussioni sulle tematicheriguardanti gli atteggiamenti da tenere da parte dei genitori nei confrontidei figli, ma anche di tutto l’ambiente sportivo (arbitri, avversari, ecc.).

“Miei cari genitori…” CAPITOLO 12

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La “CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT”, redatta dall’UNE-SCO nel 1992 e appesa in bella vista nelle bacheche di ogni centro

sportivo, non può non farci riflettere sui doveri dei dirigenti:

È fuori di dubbio che i dirigenti abbiamo compiti organizzativi deiquali i piccoli fruitori dello sport non si rendono conto.Predispongono per l’acquisto e l’utilizzo del materiale sportivo edidattico, affinché ogni lezione-allenamento e ogni gara si possa svol-gere nella maniera più proficua possibile.Si preoccupano di procurare palestre, campi, spogliatoi e ambientiadatti agli allenamenti e alle gare, curandone i turni orari e la pulizia.Tengono i contatti con la Federazione e con le altre società, nell’otticadi collaborazione con chi vuole far crescere lo sport. Ma al di là di questi compiti logistici e non trascurabili, il dovere prio-ritario della classe dirigenziale è proprio quello di dare delle direttiveforti e sicure in ambito educativo e didattico.Devono cioè saper condurre con autorevolezza la nave dell’attivitàsportiva in cui l’equipaggio e i passeggeri non possono non trovarsiin sintonia perché il raggiungimento della meta dipende proprio daquesto spirito di collaborazione.

“Egregi Dirigenti, ho qualche perplessità…” CAPITOLO 13

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1. Diritto di divertirsi e di giocare come un bambino2. Diritto di fare sport3. Diritto di beneficiare di un ambiente sano4. Diritto di essere trattato con dignità5. Diritto di essere allenato e circondato da persone qualificate6. Diritto di seguire allenamenti adeguati ai propri ritmi7. Diritto di misurarsi con giovani che abbiano la stessa

possibilità di successo8. Diritto di partecipare a gare adeguate9. Diritto di praticare il suo sport nella massima sicurezza10. Diritto di avere tempi di riposo11. Diritto di non essere un campione

“CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT”

Ci rendiamo conto dell’importanza che il nostro ruolo riveste nellostabilire punti fermi a cui tutta la Società deve riferirsi, altrimentiperché mai dovremmo chiamarci dirigenti?Dobbiamo infatti preoccuparci dei valori e dei principi su cui voglia-mo fondare lo sport giovanile, affinché la scuola di sport sia anchescuola di vita.Sono alcuni i punti su cui la nostra attenzione deve focalizzarsi,affinché il modo in cui operiamo vada nella direzione di una crescitasportiva ed individuale, rispettosa di ogni singola personalità.

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La figura dell’arbitro, non si sa per quale recondita memoria, vienegeneralmente vista con un alone di negatività.

Tentare di dare delle spiegazioni può essere facile e difficile nellostesso tempo, di fatto chi frequenta con una certa assiduità campi epalestre può ricordare innumerevoli episodi in cui l’arbitro, a torto oa ragione, ha sempre sbagliato.Siamo convinti che per la crescita equilibrata dei gruppi dei nostribambini e dei nostri giovani, sia utile analizzare un po’ a fondo que-sta situazione, che definirei di refrattarietà, nei confronti dei direttoridi gara, per approfondirla in modo da attuare ed attivare strategie ecomportamenti positivi in sintonia con quanto affermato fino ad ora.Dalla nostra esperienza di molti anni trascorsi sui campi di gioco direiche tre sono sostanzialmente i punti fondamentali che sostengonoquanto precedentemente esposto.Il primo consiste nel ritenere, per non so quale remota eredità, l’arbi-tro un personaggio poco gradito.Molti ne parlano male, basta un niente a volte per scagliarsi contro dilui, offenderlo e purtroppo qualche volta, per fortuna poche, colpirlofisicamente, quasi rappresenti un bersaglio su cui tutti possono “spa-rare“.Il secondo è da configurare nel fatto di ritenere che la maggior partedelle sue decisioni siano sempre in favore dell’altra squadra.L’arbitro sbaglia quasi sempre nei nostri confronti, per cui spesso siritiene di essere quasi dei perseguitati; in questo caso diventa facile equasi automatico scaricare i nostri errori sulle sue decisioni. Il terzo consiste nel mostrare spesso grandi difficoltà, per non dire dipeggio, nell’accettare interpretazioni diverse dalle nostre.Si vede e si giudica a senso umico e guarda a caso sempre a nostrofavore.Tutto questo, a grandi linee ci offre già un quadro più che sufficienteper intavolare il nostro discorso, se poi si aggiunge il fatto che a livel-lo giovanile, ed è quello che a noi interessa, ci si trova spesso a con-tatto con giovanissimi arbitri, alle loro prime esperienze, si capiscefacilmente come le situazioni possono degenerare.È chiaro che è tutta questione di cultura sportiva e buon senso, maspesso mancano ed allora si rischia di far assistere i nostri bambinied i nostri giovani ad una serie di situazioni negative che rappresen-tano uno dei più squallidi spettacoli in cui troppo spesso istruttori,dirigenti e spesso anche i genitori ne diventano i protagonisti innegativo.Bambini e ragazzi prima assistono e guardano e poi, confortati dagliatteggiamenti degli adulti, attivano tutta una serie di comportamentiche vanno presi ad esempio di come non si deve mai agire.In tali frangenti il ruolo più determinante lo riveste l’istruttore, chedeve sempre fare in modo che tali situazioni non si verifichino, evi-tando in ogni modo di attizzarle o peggio di alimentarle con atteggia-menti e comportamenti negativi e diseducativi.Se la nostra attività sportiva, con i giovani e non, sconfina in questebassezze da momento potenzialmente educativo diventa momentodiseducativo in tutto e per tutto senza scuse ed attenuanti di sorta.

“Signor Arbitro spiegami…” CAPITOLO 14

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“Ma siete veramente Campioni?” CAPITOLO 15

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Per essere campioni allora non è necessario essere sempre sulleprime pagine dei quotidiani sportivi : il papà del mio compa-gno, quindi , può essere considerato un campione!Pensandoci bene tutti questi campioni di grande fama e riso-nanza a volte poi non mi sembrano dei veri campioni.Fanno cose strane , tra le quali la più semplice è contestarel’arbitro o azzuffarsi davanti a centinaia di spettatori , masono anche capaci di rompere racchette da tennis sbattendole aterra per rabbia, dare calci alla macchina di Formula Uno chesi è improvvisamente fermata, non concedere strada all’avver-sario più veloce e bloccarlo nelle retrovie, inventarsi ogni dia-voleria pur di vincere, di mantenere il primato.Chissà se questi “campioni” si rendono conto di quanti bambinistanno seduti sulle tribune, sugli spalti o davanti alla televi-sione a guardare questi loro “strani” comportamenti.Chissà se si rendono conto che sono i nostri idoli , i nostri puntidi riferimento, coloro che dovremmo imitare per crescere ediventare grandi.La cosa strana di tutto questo è che quando noi ripetiamo sulcampo o in palestra le “gesta” di questi “paladini” dello sportveniamo immediatamente ripresi e puniti!Ma ti sembra giusto? A voi grandi campioni è concesso tutto, enoi piccoli non possiamo permetterci nulla!

Si, hai ragione, troppo spesso non ci passa nemmeno per la testache il nostro operato dovrebbe essere di stimolo per voi bambini percrescere credendo nei valori dello sport, troppo spesso noi non siamocosì coerenti da comportarci con correttezza e dignità in ogni situa-zione.Capisco che il vero campione potrebbe essere un grosso punto di rife-rimento per i piccoli che si avvicinano allo sport: eccellere con ilcorpo per dare prestazioni eclatanti e mantenersi equilibrato e saldonei principi morali è ciò a cui ciascuno di noi aspira.Purtroppo molto spesso non è così: ci sono vincoli, pressioni, sponso-rizzazioni che diventano quasi padroni della tua vita e che pretendo-no che tu vinca sempre e… comunque!Ma vincere sempre non è possibile ed allora basta una giornata no ei giornali ti affossano, le critiche ti sommergono.Essere un campione proprio non è facile e spesso nemmeno diverten-te, a volte ti sembra che siano gli altri a guidare la tua vita.Sei nella mente e sulla bocca di tutti, sei al centro dell’attenzione enon è sempre facile mantenersi in equilibrio, a volte si rischia dicadere.