Paesaggi in pericolo

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MAESTRI CONTEMPORANEI

Paesaggi pieni di PI Da quarant'anni a disegnare le colline e a «reinventarle»: una galleria di luoghi che registra stratificazioni personali e collettive con precisione e sguardo poetico

di Salvatore Settis

C ome un periegeta, come un agrimensore, come un geo­logo Tullio Pericoli da anni esplora paesaggi con acuta curiosità, con sguardo esperto e diagnostico. Li

esplora, o forse li crea, stendendo talora sulla tela, con gesto sperimentale, una ma­teria pittorica densa e compatta come ter­ra da seminare, e poi tracciandovi sopra pa­zienti incisioni con l'aratro minuto delle sue spatole, dei suoi bulini. Da pittore che, seguendo l'antico precetto di Leonardo, sa «isculpire la superfìcie», dando spessore alla tela o al foglio, e trasfoJ;mando perfino la punta metallica del disegnatore in una sorta di minuscolo scalpello. Dopo il cor­pus dei Ritratti di Pericoli, Adelphi ci rega­la ora questa ampia galleria di 393 Paesag­gi, inventario di forme che ripercorrono il sentiero di Pericoli paesaggista, dal 1971 al 2013. Non è solo un percorso autobiografi­cO,l'evolversi di stili o il mutare delle moda­lità espressive. È soprattutto, per Pericoli come per chi sfoglia questo libro intenso e prezioso, un itinerario squisitamente, sot­tilmente conoscitivo.

Quarant'anni e più alla finestra, a guarda­re gli stessi paesaggi, e in specie quelli delle Marche. Registrandone la lenta, stratifica­ta fisiologia, che è intreccio di natura e cul­tura, trama di tracce in cui il passo del conta­dino e quello del poeta o del pittore cadono sulle stesse orme, premono sulle stesse zol­le. È stato lo stesso Pericoli a costruire illi~

bro non come arbitrario o casuale florilegio della sua esplorazione sul terreno, ma (di­chiara il risvolto) «rìcorrendo essenzial­mente al montaggio, organizzando le tavo­le in lunghi, emozionanti piani sequenza». In questa successione quasi ftlmìca, le po­tenzialità dei paesaggi osservati si dispiega­no attraverso tecniche espressive e pittori­che crescentemente intrise di una verità in­teriore che è insieme densità materica, me­moria poetica, elegia e (forse) speranza. Quel che Perìcoli insegue nel suo percorso è prima di tutto la precisione dello sguardo. Dai primi paesaggi, visti spesso dall'alto di una nuvola o di un monte, a volo d'uccello o al cannocchiale, si arriva con calcolato ribal­tamento agli ultimi, dove il cannocchiale si rovescia, e l'inquadratura .della tela (della · terra) percorsa da solchi e graffi ha l'aspet­to e il taglio di un preparato anatomico, os­servato quasi al microscopio. E più questi dipinti crescono in precisione, più intensa e insistente è la presenza dei paesaggi mar­chigiani: quelli che a Pericoli (dunque a noi che guardiamo i suoi quadri) dicono quan­to l'aria o il sangue.

Mostrando se stesso come Pittore di colli­ne (per esempio nel nr. 226), Tullio Pericoli inscena il ruolo del pittore di paesaggi, che minuscolo davanti alla tela traguarda ver­so una cascata di quinte collinose, radi ci­pressi, campi coltivati. Scenografia teatra­le, che nel confronto fra il pittore e il suo tema sottolinea la marcata differenza di scala fra l'uomo e il mondo, ma anche esal-

TULLIO P ERICOLI I «n Pittore di colline"

ta la necessaria simmetria dei ruoli: è l'eter­na commedia dell'uomo che plasma il pae­saggio a propria immagine e somiglianza non solo coltivandolo, ma rappresentando­lo in parola e in figura; o mettendolo de­miurgìcamente in miniatura e apparec­chiandolo, come a volte fa Pericoli, su un tavolo di casa Perché <di pittore è un fingito­re. / Finge cosÌ completamente / che arriva a fingere che sia un piacere / il piacere che davvero sente».

Queste parole di Antonio Tabucchi (da Fernando Pessoa) sono fra i testi che Perico­li ha scelto ad accompagnare il suo percor­so e la nostra lettura di questi suoi Paesaggi . Compagni di strada, che a volte hanno scrit­to su Pericoli, a volte lo hanno invece ispira­to: tutti convocati a interagire con le imma­gini che popolano il libro, quasi a svelarne matrici implicite, tensioni latenti, nascoste intenzioni. Gesualdo Bufalino che raccon­ta un proprio sogno impaginato sopra un

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tavo1o, con figure lillipuziane come in un quadro di Pericoli, dialoga cosÌ con il «so­gnare dolce e profondo» di Rousseau, dove è possibile «perdersi nell'immenso» ma an­che «circoscrivere l'immaginazione per os­servar!! nelle sue parti l'universo che ci sfor­ziamo di abbracciare». Van Gogh che «ara la sua tela come il contadino i campi» è fra­tello di Pericoli, ma anche di Nietzsche che nello «schema semplice di linee geometri­che» dei paesaggi che ama riscontra «un so­strato matematico». Il paesaggio primige­nio di Lévi-Strauss (<<un immenso disordi­ne che lascia liberi di sceglieme il senso») prende forma, secondo Georg Simmel, «quando un concetto unificante lo ordina secondo il proprio criterio formale»; per­ché «la trappola della pittura si riduce a que­sto: bisogna seguire sempre la verità» (Alva­roMutis).

Questo ordito di citazioni da testi conge­niali e amati diventa in tal modo una sorta

di guida a intendere il lavoro di Tullio Peri­coli come ricerca, prima che cQme ispirazio­ne. CosÌ leggeremo dunque i suoi paesaggi trasfigurati, alla lettera, in scena di teatro (come nei disegni per L'elisir d'amore), ma anche i più rarefatti paesaggi-geroglifico, popolati da segni, lettere, ideogrammi, o animati da piogge incanalate entro una sor­ta di geometria provvisoria e autoironica. CosÌ vedremo le sue torri-collage che rita­gliano ricordi di remote ziggurat e li proiet­tano in uno spazio senza tempo; cosÌ le vi­gnette cartografiche strappate alla Tabula Peutingeriana, o paesaggi -appunto, che pa­iono schemi e piani di viaggio o di crociera, lungo coste assai frastagliate. Ci offrono, queste pagine, strepitosi cataloghi di nuvo­le, di monti, di alfabeti; icone di alberi, ful­mini, fumi; cartografie di sorgenti, delta, ra­dici, fiumi, laghi, precipizi; archivi di colli­ne, di selve, di cespugli, d'incendi; nevi e vulcani, valli e mari e naufragi. Incontria­mo paesaggi che esplodono da un vaso ~ foreste ombrose che evocano mostri e cac­ce e cavalieri; castelli persino, e città di grat­taci eli; riconosciamo tracce «rubate a Klee», a Cranach e a Caspar David Friedri­ch, a Brueghel, a Vermeer, ad Antonio Sant'Elia. Incrociamo, per mare e per terra, Kafka in una passeggiata e Robinson Cru­soe nel cuore di un naufragio.

CosÌ la storia e la storia dell'arte animano il paesaggio di Pericoli di una dimensione ulteriore, ne accrescono la densità facendo vibrare su altre corde la memoria culturale che vi è connaturata. Forse a ricordarci che la terra che il pittore esplora è la nostra, e che il suo sguardo implacabilmente amoro­so si posa sul nostro suolo proprio mentre troppi fra noi lo vanno devastando. Sarà for­se questo il messaggio nella bottiglia di que­sto libro, nel gigantesco naufragio dei pae­saggi italiani che stiamo vivendo senza ba­darci troppo: che non sia, questo di Tullio Pericoli, il ritratto di un'Italia che muore.

C R1PRODUZIONERlSERVATA

Tolllo Pericoli, I paesaggi, Adelphl, MIlano, tavole 393, € 36;00

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TULLIO PERICOLI I «fl Pittore di colline»