Paesaggi e dintorni - ASST Rhodense...Sotto il segno del Giallo, quattro Tetti di Elena Vidale...

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Paesagg i e d in torn iEsperienze nella dimensione terapeutica dell’arte

Catalogo di opere di Arte Terapia realizzate nelle strutture riabilitative delle Unità Operative di Psichiatria n°62 di Bollate e n°41 di Garbagnate Milanese

ATELIER ANDROMEDA - GRUPPO BIBLIOTECA

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IndiceArte è terapia di Ermenegildo MaltagliatiPremessa di Stefania Clara Lorusso e Ubaldo BartolozziPresentazione di Mauro Percudani

RIFLESSIONI E DIALOGHI Opinioni ed esperienze a confrontoDialoghi con Giorgio BedoniDialoghi con Laura TonaniArte terapia in psichiatria di Paola Colombo e Katia Prato

PAESAGGI E DINTORNI Un viaggio alla scoperta di séHabitat condivisi di Federica SandriniSotto il segno del Giallo, quattro Tetti di Elena VidaleDiario di bordo di Silvia Ariboni e Franca Zappalà

GALLERIA FOTOGRAFIcA Opere realizzate da giugno 2012 a marzo 2013

PENSIERI E PAROLE L’opinione degli artisti

Ermenegildo Maltagliati Direttore Generale AO Salvini; Stefania Clara Lorusso Sindaco Comune di Bollate; Ubaldo Bartolozzi Assessore alla cultura Comune di Bollate;

Mauro Percudani Direttore Dipartimento Salute Mentale AO Salvini, Direttore UOP 62 Bollate AO G. Salvini; M.T. Ferla Direttore UOP 41 Garbagnate Milanese AO Salvini;

Laura Tonani artista terapista, coordinatrice del Biennio in Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica, Accademia di Belle Arti di Brera; Giorgio Bedoni psichiatra AO Melegnano,

docente Accademia di Belle Arti di Brera; Paola Colombo e Katia Prato medici psichiatri AO Salvini; Federica Sandrini e Elena Vidale artiste terapiste, consulenti collaboratrici AO Salvini;

Silvia Ariboni, Franca Zappalà, educatrici AO Salvini.

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Maggio 2013

A cura di: Federica SandriniFotografie: Federica Sandrini e Elena VidaleProgetto grafico e impaginazione: Tommaso PolettoStampa: Grafiche Rotomec, Chiavari

Si ringrazia tutta l’èquipe: il prezioso contributo di ognuno ha reso possibile la realizzazione di questo catalogo.

con il patrocinio di

Città di Bollate

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Arte è terapiadi Ermenegildo Maltagliati, Direttore Generale AO Salvini

Non vi è dubbio. L’arte, in tutte le sue forme, è terapia. E non solo oggi.

La storia ci porta moltissime testimonianze tra cui alcune molto famose, come quella del pittore incompreso Vincent Van Gogh che a un certo punto della sua vita fece della pittura un mezzo per descrivere non più l’ambiente circostante, ma l’effetto che questo aveva sulla sua personalità.Per Van Gogh l’arte serviva a trovare risposte al suo travagliato mondo interiore. Una terapia, appunto.

La cura attraverso un caleidoscopio di colori, linee e disegni è raccontata in questo catalogo che rimane una prova dell’importante lavoro portato avanti dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera Guido Salvini e a cui faccio i miei più sentiti complimenti per il lavoro svolto non solo all’interno dell’Ospedale, ma anche e soprattutto con il territorio, a dimostrazione del fatto che il modello di tutela e cura della salute sta cambiando decisamente approccio e in meglio, naturalmente.

Premessadi Stefania Clara Lorusso, Sindaco Comune di Bollate e Ubaldo Bartolozzi Assessore alla cultura

É con vero piacere che l’Amministrazione comunale di Bollate, accogliendo la richiesta del Dipartimento di Salute Mentale AO “G. Salvini”, ha concesso il patrocinio alla mostra di arte terapia Paesaggi e dintorni. Raccolta di dipinti realizzati nelle strutture di riabilitazione psichiatrica di Bollate e Garbagnate Milanese.

Una raccolta di rara intensità e di grande interesse perchè racconta l’evoluzione e lo sviluppo di tecniche e terapie riabilitative che aiutano l’espressione e la realizzazione della persona, mostrando al pubblico, attraverso i tratti ed i colori, aspetti del paziente-artista altrimenti invisibili.

Terapia con l’arte ma anche arte di qualità.

Il lavoro svolto dall’èquipe e da tutti gli operatori coinvolti, oltre che innovativo e terapeutico, permette la realizzazione di questo catalogo di opere d’arte terapia, testimonianza del successo di un lavoro d’èquipe difficile ma ricco di soddisfazioni.

V. Van Gogh, Campo di grano con mietitore, olio su tela, 74 x 92 cm,1889 C. Monet, Les Nymphéas, 200 x 600 cm, Musée de l’Orangerie, 1914 Paris

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Introduzione

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Presentazione di Mauro Percudani, Direttore Dipartimento Salute Mentale AO Salvini

La Salute Mentale è un bene prezioso perché riguarda l’aspetto esistenziale e relazionale della vita di ognuno di noi. Soffrire di un disagio psichico è un evento comune che può colpire tante persone e tante famiglie. Non sempre vi sono abbastanza informazioni su come è possibile prevenire e curare i disturbi psichici e non sempre vi è abbastanza conoscenza del fatto che chi soffre di un disturbo psichico grave può condurre una vita autonoma e dare il proprio contributo alla società.

Lavorare per la tutela della salute mentale significa oggi offrire servizi appropriati per i bisogni dei singoli in alleanza con i tanti servizi, sanitari e sociali, pubblici e privati che vi sono sul territorio. I servizi psichiatrici lavorano insieme ai medici di medicina generale, ai distretti socio-sanitari, agli enti locali, alle scuole, alle cooperative, alle associazioni di volontariato con uno spirito di collaborazione e apertura alla società civile.

Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) della AO “G Salvini” di Garbagnate Milanese opera nell’ambito del territorio del garbagnatese, bollatese e rhodense per garantire la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione nel campo dei disturbi psichici e promuove progetti volti alla promozione della salute mentale dei cittadini. Il DSM è organizzato attraverso le Unità Operative di Psichiatria per adulti (UOP) e l’Unità Operativa di Neuropsichiatria per l’Infanzia e l’Adolescenza (UONPIA). Le UOP e la UONPIA garantiscono un’offerta articolata, ampiamente diffusa a livello territoriale, e diversificata in attività di tipo ospedaliero, territoriale e residenziale. Ogni anno sono in contatto con le Unità Operative di Psichiatria di Garbagnate, Bollate e Rho circa 5.000 utenti di età superiore ai 18 anni e sono in contatto con la UONPIA circa 4.000 soggetti di età compresa tra 0 e 17 anni.

Le Unità Operative di Psichiatria, oltre che con i reparti ospedalieri di psichiatria presenti a Garbagnate Milanese e a Passirana di Rho, operano con strutture territoriali quali i Centri Psicosociali (CPS) e i Centri Diurni (CD) e con strutture residenziali per la riabilitazione (Strutture Residenziali Psichiatriche). Tutte le strutture che operano nel DSM lavorano sulla base di progetti individuali terapeutici e riabilitativi volti a garantire agli utenti percorsi individualizzati di trattamento.

In ambito psichiatrico, specificamente per gli utenti con disturbi psichici più gravi, l’approccio riabilitativo è la metodologia attorno a cui si sviluppa il progetto di cura di un soggetto malato.L’approccio riabilitativo rappresenta l’esatto contrario dell’approccio assistenzialista, ovvero promuove pratiche e interventi che favoriscono l’autonomia, il recupero di abilità sociali e relazionali, l’inserimen-to nella vita sociale. Dunque la riabilitazione in psichiatria è da intendere come una metodologia di cura tesa alla restituzione o attivazione di opportunità, che si concretizza in un processo mirato a

migliorare e potenziare le capacità di funzionamento dell’individuo nei diversi ruoli sociali. Una “cura diffusa” non è solo un processo di sostituzione delle disabilità, ma un insieme di strategie mirate ad aumentare lo scambio di risorse e di affetti attraverso l’apertura di spazi negoziali per l’utente, la sua famiglia, la comunità circostante e i servizi che si occupano dell’utente.

La riabilitazione in psichiatria è dunque parte di un processo integrato di cura che ha come obiettivi quelli di identificare attraverso una valutazione specifica i deficit e le inabilità, programmare gli interventi più appropriati e aiutare la persona a sviluppare ed aumentare il livello di autostima facendo leva su ciò che vi è di sano e non sulla patologia.

Nel corso degli ultimi decenni, le tecniche riabilitative utilizzati per la cura dei disturbi psichici hanno avuto una profonda evoluzione. Da forme di riabilitazione basate principalmente sull’intrattenimento e il sostegno alle abilità di base dei pazienti, si è ora passati a programmi riabilitativi specifici mirati sui bisogni individuali degli utenti. Tra i nostri strumenti, abbiano ora a disposizione tecniche di tipo cognitivo comportamentale finalizzate al recupero e potenziamento di abilità cognitive carenti, tecniche di tipo psicoeducativo finalizzate ad aumentare la consapevolezza di malattia e l’utilità delle cure, tecniche psicosociale mirate a favorire l’integrazione lavorativa e occupazionale, tecniche di gruppo di tipo espressivo.

Gruppo biblioteca, Senza titolo (particolare),tecnica mista, 10 x 1,5 m, 2012

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Introduzione

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L’Arte Terapia è una tecnica riabilitativa di tipo espressivo utilizzata da anni nei progetti di cura di soggetti con disturbi psichici al fine sia di accrescere la conoscenza delle proprie capacità, sia di arricchire le competenze sociali e relazionali. Come altre tecniche riabilitative di tipo espressivo, l’Arte Terapia mira a far emergere, riconoscere ed elaborare il vissuto emotivo permettendo al paziente di raggiungere un miglior livello di consapevolezza e di adattamento. Le attività di Arte Terapia sono svolte in un contesto di gruppo e sono condotte da figure professionali con formazione specifica sul campo. Nel gruppo avviene il confronto con gli altri in una situazione protetta dove si può essere accolti ed ascoltati e dove vengono facilitati i processi di comprensione ed integrazione dell’ambiente sociale e di valorizzazione delle proprie capacità. Tali tecniche sono utilizzate da una èquipe curante che è sempre multi-professionale, composta da medici, psicologi, infermieri, educatori e tecnici della riabilitazione, assistenti sociali. Il lavoro di èquipe favorisce l’integrazione degli interventi nella prospettiva di utilizzare strategie terapeutiche combinate e indirizzate a target e soggetti diversi: nel progetto di cura complessivo vi sono interventi rivolti al contesto famigliare e sociale (psicoeducazione, interventi sulla rete sociale), e interventi individuali o di gruppo rivolti al paziente (di tipo farmacologico, psicologiche /psicoterapico, riabilitativo e di integrazione sociale).

Le “opere d’arte” presentate in questo catalogo provengono dai laboratori di Arte Terapia che da alcuni anni sono stati attivati presso i Centri Diurni (CD) e le Strutture Residenziali Psichiatriche Riabilitative (CRA) delle UOP n° 62 di Bollate e n° 41 di Garbagnate Milanese. Tali laboratori sono resi possibili grazie agli specifici finanziamenti previsti dalla AO “G. Salvini” alle attività riabilitative psichiatriche e grazie alla collaborazione che si è instaurata con l’Accademia di Belle Arti di Brera e la partecipazione al progetto e di professionisti che provengono dall’esperienza formativa presso quell’autorevole sede universitaria.

Il mio personale ringraziamento va alla Direzione della AO “G. Salvini” per il sostegno alle attività del DSM, al Comune di Bollate che ha creduto e valorizzato le attività dei nostri laboratori e che ha contribuito nella realizzazione della mostra “Paesaggi e dintorni: esperienza nella dimensione terapeutica dell’arte”, e soprattutto agli operatori del DSM che hanno creduto e sviluppato con passione queste attività e hanno saputo sviluppare e mantenere la collaborazione con Federica Sandrini ed Elena Vidale, esperte artiste terapiste, vere registe della mostra e del catalogo. Senza la loro passione e il loro lavoro questa esperienza non sarebbe avvenuta. In conclusione, i ringraziamenti più importanti vanno, però, ai veri protagonisti, agli “artisti” che hanno accettato e saputo mettersi in gioco per realizzare le loro “opere d’arte”.

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Introduzione

Atelier Art Detector,Quadri di luce, tecnica mista, installazione collettiva, 2011

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Rif less ion i e d ia logh iOpinioni ed esperienze a confronto

L’ arte e la creatività per evolvere e concretizzarsi in nuovi linguaggi e opere d’arte, devono nutrirsi del continuo confronto con gli altri, così è stato per i movimenti artistici del passato, così gli artisti di oggi traggono ispirazione e nuove idee dallo scambio reciproco

e dallo studio di discipline anche non necessariamente vicine al mondo dell’arte. Per sottolineare l’importanza dell’unione nel portare avanti un progetto condiviso negli obiettivi e nelle modalità operative, abbiamo posto alcune domande a coloro che hanno aperto e tracciato la strada dell’artista terapista.

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Dialoghi con Giorgio BedoniPsichiatra AO di Melegnano, docente biennio in Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano

In che modo l’artista terapista si confronta con l’ambiente di lavoro?A chi si rivolge il linguaggio dell’opera d’arte all’interno dell’azienda ospedaliera? Quando si attivano interventi artistici con valenza terapeutica all’interno di una azienda ospedaliera si devono considerare diversi livelli di fruizione e di partecipazione: in primo luogo è necessario guardare alla complessità delle istituzioni curanti, e dunque pensare che l’esperienza artistica è solo per alcuni attiva all’interno dell’atelier, mentre per una larga parte di chi frequenta gli spazi della cura si tratta di una fruizione per certi versi simile a quella museale.

“L’arte in ospedale”, quando prevede l’istallazione di opere, rientra nel genere contemporaneo dell’arte pubblica, dunque si rivolge a tutti i possibili fruitori: tuttavia, nelle sue varie articolazioni, soprattutto nelle fasi progettuali, l’artista terapista deve saper coinvolgere le diverse figure aziendali, condividere e far comprendere che interventi artistici nei luoghi di cura hanno carattere trasformativo, possono realmente contribuire a cambiare la qualità delle relazioni e degli spazi stessi, in genere anonimi e poco accoglienti. Questo è un passaggio cruciale: si tratta di passare da una concezione decorativa dell’arte, di pura ricezione di opere, ad una che prevede l’attivazione di processi creativi che danno vita ad opere, pensate per trasformare scenari e relazioni.

La figura dell’artista terapista concentra diverse competenze e qualità personali.Quali caratteristiche professionali ed umane ritiene debba possedere l’artista terapista?La terapeutica artistica è una disciplina complessa che prevede diversi livelli di integrazione. In prima istanza il terapista deve saper dialogare con la materia, con i linguaggi dell’arte. Prima ancora di una possibile relazione con l’altro deve inoltrarsi nella materia viva dell’arte, dare forma ad un dialogo personale e riflessivo. È dunque decisiva la capacità di gestire la materia, saper integrare qualità espressive con qualità sensoriali. L’artista terapista deve sapere integrare la capacità di sentire e di pensare, l’esperienza del gioco e, simultaneamente, mettere in campo processi conoscitivi: c’è una sorta di soglia invisibile, a carattere decisamente iniziatico, che è necessario attraversare per divenire un vero l’artista terapista. Se non si attraversa questa soglia, se non facciamo nostra la materia e le sue possibili trasformazioni, non si rimane altro che conduttori “formali”, sorta di “animatori” artistici privi di reali ed autentiche competenze.

Se esistesse un codice deontologico dell’artista terapista quali sarebbero i principi etici che non potrebbero mancare nella tutela dell’utente e del lavoro svolto?Considerato che siamo in un contesto di relazione con l’altro, l’artista terapista è per definizione qualcuno che sa dialogare con la materia in presenza di un altro, sapendone attivare le possibili qualità creative, rispettandone tempi e potenzialità. Come in tutti i contesti di cura vale uno dei principi fondativi della medicina, ovvero primo non nuocere. Non nuocere nel nostro caso significa non compiere inopportune incursioni di natura interpretativa, non psicologizzare l’esperienza ed i prodotti artistici, saper gestire la distanza emotiva. In sintesi, l’artista terapista deve saper creare i presupposti per un setting espressivo realmente libero. Winnicott diceva che il setting, aldilà delle possibili definizioni teoriche, è quel luogo dove si è soli in presenza di qualcuno: il terapeuta, una presenza non ingombrante, non intrusiva, che protegge l’esperienza nelle sue varie articolazioni e dinamiche.

Atelier Art Detector, Parole (particolare),acrilico 50 x 70 cm, 2003

Atelier Art Detector, Connessioni, tecnica mista, 50 x 50 cm, 2012

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Rifessioni e dialoghi

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Dialoghi con Laura TonaniArtista terapista, coordinatrice biennio in Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica,Accademia di Belle Arti di Brera, Milano

Parlare di paesaggio in ambito artistico terapeutico presuppone un’apertura al tema che non può limitarsi al naturalistico. L’opera descrive i paesaggi interiori specchio del vissuto del paziente e del rapporto che vive con il mondo esterno a sé. Che ruolo nutre la materia artistica nel concretizzarsi di questo processo creativo?In senso assoluto la visione del paesaggio è sempre legata ad una trasformazione soggettiva, perché nel momento in cui una persona guarda un paesaggio esso diventa riflesso di un’interiorità. Per cui possiamo proprio definirlo in-scape a differenza di land-scape, cioè il paesaggio interiore, o meglio il paesaggio dell’anima. Certo che in un contesto artistico terapeutico questo aspetto diventa ancor più significativo perché noi abbiamo modo veramente di aprire un varco per poter cogliere paesaggi che non sono assolutamente comprensibili con la logica del pensiero razionale e ciè ci aiuta ad ampliare appunto la comprensione di queste persone: sono paesaggi a volte desertici, oppure completamente rivoluzionati da uno tsunami emotivo. Sono paesaggi che non hanno orizzonti, oppure a volte intravediamo un orizzonte lontano, indefinito. Forse il momento più poetico e più intenso cui può assistere un artista terapista è il momento in cui intravede in questa immagine interiore un nuovo orizzonte: il momento in cui comincia lo stato di quiete corrispondente ad un periodo in cui l’anima trova una sorta di assestamento e può riorganizzarsi in una direzione, può intraprendere un viaggio. In fondo il paesaggio interiore è la geografia della nostra anima e rappresenta tutto quello che abbiamo percorso nella vita, gli incontri, ricchi di aspetti affettivi, i luoghi, gli oggetti cui siamo legati, compresi i momenti tragici della nostra esistenza. Tappe che sono inspiegabili a parole e possono essere ricondotte, attraverso l’immagine, sul piano simbolico e prendere corpo. L’artista terapista ha il dunque il compito di dare voce a paesaggi che altrimenti resterebbero inesplorati.

Le opere nate attorno al tema Paesaggio dell’anima hanno portato alcuni pazienti al bisogno di ricostruire brandelli di memoria legati alla propria storia. Che rapporto intercorre fra luogo, materia artistica e memoria?Sono convinta che la materia contenga in sé già una forma e la materia stessa abbia una grande

“Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.”

Jorge Luis Borges, Epilogo, in L’artefice

capacità maieutica. Ritrovo in tutto ciò una grande affinità con il pensiero di Gaston Bachelard il quale entra nel merito di una risonanza interiore che noi abbiamo nel momento in cui ci accostiamo alla materia, colta anche su un piano prettamente simbolico. Nelle figure principali dei quattro elementi, il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra, troviamo gli archetipi legati al concetto stesso di materia: infatti sono loro a costituire il progetto formativo di tutta la natura. Per l’artista terapista è fondamentale riuscire ad attivare il processo creativo in una persona che si trova in un momento critico ricostruendo insieme la capacità di aprirsi al dialogo; è fondamentale anche cogliere la capacità espressiva guidata dalla materia aiutando la persona a ritrovare la risonanza con la materia stessa. La materia diventa uno strumento straordinario in questo percorso artistico terapeutico, in cui si aprono tutta una serie di possibilità: abbiamo menzionato appunto il tema della memoria, del ricordo. Essendo la geografia interiore costruita da tutti questi brandelli d’immagini del passato che a volte la coscienza rimuove, essi riemergono e trovano una loro collocazione, come dire, ritrovano una sorta di nuova armonizzazione nel paesaggio. Questi frammenti sono evocati proprio dalla rêverie con la materia. Spiegare come possa succedere tutto ciò è difficile: il tutto è legato alla capacità empatica che ha l’artista ed è il sentire insieme, sentire con il paziente. Tutto questo presuppone però da parte dell’artista terapista una grande competenza rispetto ai linguaggi dell’arte e una grande capacità di lettura dei segni del corpo, della semiologia del corpo, lettura di tutto il complesso che un individuo rappresenta. Perciò l’artista riesce davvero ad essere una guida, a indirizzare l’altro verso una materia e un linguaggio appropriati perché in sintonia con la sensibilità colta, ed infine ad essere terapeuta perché ha la modalità appropriata nell’aver cura dell’altro, in senso heideggeriano: aiutare l’essere a ritrovare gli strumenti per aver cura di sé.

Giuseppe Penone, Spine d’acacia, (particolare), 2003

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Rifessioni e dialoghi

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Quali sono gli orizzonti dell’artista terapista oggi. Quali traguardi devono essere necessariamente raggiunti e quali possono essere solo sognati?Questa è una domanda che implica una risposta polemica perché stiamo assistendo ad un disinvestimento rispetto a quella che era una psichiatria aperta al dialogo, all’incontro degli sguardi, impegnata intorno ai progetti di riabilitazione, alla possibilità quindi di intravedere orizzonti aldilà della cura strettamente farmacologica. Purtroppo questo disinvestimento ha portato allo spegnersi di un modello di cura psichiatrica creativo, all’allontanamento delle possibilità di apertura a sinergie nella cura che possono essere rappresentate appunto dalla figura dell’artista terapista. Tale presenza è sempre stata, e lo è ancora in alcuni felici contesti, un arricchimento per l’èquipe terapeutica. Penso che l’artista terapista sia un po’ “borderline”, perché sta in un territorio di confine, fuori dagli schemi convenzionali, a cavallo fra Arte e Psiche, in un contesto ricchissimo, come continuo a sottolineare, ma non sempre compreso. Eppure solo se le discipline si contaminano succede qualcosa creativo! Come tutte le linee di confine, esse sono sottili, fragili e delicate. Linee che presuppongono, per chi le segue, sempre un percorso critico. L’artista terapista deve avere la forza e capacità di entrare comunque nel merito di un progetto dell’arte legata al sociale, senza lasciarsi mai frenare dagli ostacoli determinati dalla situazione attuale. Se la parola progetto significa

“gettarsi oltre” dobbiamo avere la capacità di orientare lo sguardo avanti e questo coincide con quello che ci siamo dette: avere un orizzonte altro presuppone un enorme sforzo creativo, un grande investimento emotivo e la capacità costante di fare resistenza rispetto a dinamiche avverse.Il nostro “paesaggio” può dis-velare allora radure luminose, territori ancora non del tutto esplorati. Forse ciò è condiviso da tante altre persone in viaggio come noi, mai rassegnate di fronte alla stagnazione creativa che oggi sembra spegnere ogni entusiasmo.

Arte terapia in psichiatriadi Paola Colombo e Katia Prato, medici psichiatri AO Salvini

Sin dalla preistoria c’è sempre stato nell’uomo il bisogno di rendere manifesto il proprio mondo interiore. La società attuale ha portato l’uomo ad esprimere sé stesso prevalentemente attraverso i concetti, le parole, i ragionamenti. L’arte terapia può essere un importante mezzo di comunicazione per chi ha maggiori difficoltà sul piano cognitivo o relazionale, perché permette di esprimersi attraverso il movimento, i suoni, il colore, le forme e i disegni.L’arte terapia consiste nella ricerca del benessere psicofisico attraverso l’espressione artistica dei pensieri, vissuti ed emozioni. Utilizza le potenzialità che possiede ogni persona di elaborare creativamente tutte quelle sensazioni che non si riescono a fare emergere con le parole e nei contesti quotidiani. Per mezzo dell’azione creativa l’immagine interna diventa immagine esterna, visibile e condivisibile e comunica all’altro il proprio mondo interiore, emotivo e cognitivo.Gli atelier arte terapeutici portano con sé una valenza terapeutica, in quanto si prefiggono di agevolare un cambiamento nell’utente che può avvenire a diversi livelli: rispetto al grado di autonomia, rispetto alle relazioni sociali, all’adeguamento alla realtà, alla consapevolezza di sé e dei propri problemi.Partendo da queste considerazioni, circa 4 anni fa, è stato aperto il laboratorio di arte terapia a cui fare afferire alcuni pazienti del nostro servizio. Tale attività è stata proposta nel contesto di strutture residenziali e diurne, integrandosi in un lavoro di èquipe fatto di diverse competenze e professionalità. Hanno partecipato ai lavori alcuni pazienti psicotici stabilizzati o comunque non in fase di acuzie. Le tecniche espressive si sono inserite nella relazione terapeuta-paziente diventando strumenti per scoprire e conoscere le immagini, le sensazioni e i sogni difficilmente esprimibili con le parole.Tale esperienza ha permesso ai pazienti di sviluppare una maggiore conoscenza di sé, ha promosso autostima e integrazione, ha mantenuto e migliorato alcune abilità di base, dimostrando pertanto di essere uno strumento utile e valido ai fini riabilitativi.

L’ Atelier Art Detector presso C.D. l’ArcobalenoGiuseppe Penone, Spine d’acacia, 2003

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Rifessioni e dialoghi

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Un viaggio alla scoperta di sé

Paesagg i e d in torn i I percorsi artistici nascono all’interno degli atelier di arte terapia. Gli atelier sono un luogo fisico e mentale capace di attivare una dimensione sognante. Sognare ad occhi aperti apre la possibilità di poter dare forma e colore ai propri pensieri. Per riuscire in

questo processo, in atelier si stimola la creatività e la spontaneità, ovvero gli ingredienti fondamentali che caratterizzano la libera espressione. All’artista terapista il compito di orientare la scelta di strumenti e tecniche, valorizzando ogni traccia ed ogni segno.

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Habitat condivisidi Federica Sandrini, artista terapista

Il titolo Paesaggi e dintorni, si ispira al pittore impressionista francese Monet ed alle sue Ninfee. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, Parigi è una città devastata, piena di macerie. Silenziosa. I parigini hanno davanti a loro un lungo percorso di ricostruzione e Monet, capace “solo” di dipingere, decise di costruire un luogo dove i parigini potessero trovare pace e serenità, che permettesse loro di rigenerarsi e trovare le forze necessarie per la ricostruzione. Nascono così, nell’edificio oggi Musée de l’Orangerìe, due enormi stanze ellittiche interamente raffiguranti ninfee e stagni. L’effetto è straordinario, i colori meravigliosi.Con questo spirito l’Atelier Art Detector accoglie i suoi artisti: uno spazio dove rigenerarsi ed esprimersi liberamente, all’interno di un più ampio percorso di “ricostruzione”.Affrontare il tema del paesaggio non significa necessariamente un approccio di tipo naturalistico. Ci rivolgiamo ad una dimensione interiore dove trovare risorse positive e benefiche per far fronte alle difficoltà del presente, ai fantasmi del passato, alle incertezze del futuro.Il percorso dell’Atelier Art Detector esplora questi meandri interiori, cercando di scoprire un paesaggio inteso come habitat da costruire giorno dopo giorno. Un habitat fertile, ospitale, benevolo, capace di accogliere i germogli delle tante risorse che possiamo ritrovare dentro di noi. Paesaggio inteso come uno spazio mentale dagli orizzonti ampi che ci permetta di guardare lontano e puntare in alto. Paesaggio inteso come dimensione interiore capace di generare idee ed immaginare con creatività soluzioni per realizzarle, forme e colori da organizzare nello spazio della tela. Pensare il paesaggio in termini artistici richiede un percorso che dalla rappresentazione figurativa approda nei territori sconosciuti e misteriosi del segno grafico svincolato dalla forma significante. Eppure la traduzione in segno e in colore di emozioni e vissuti è un percorso difficile soprattuto per chi è ispirato dalla pittura figurativa. Il lavoro che ho proposto ai partecipanti è un viaggio alla ricerca di un habitat sconosciuto, sconosciuto perché non ancora scoperto, perché ancora senza nome. La riabilitazione sottolinea con forza le risorse positive personali affinché diventino propulsione: durante i percorsi di Terapeutica Artistica andiamo esattamente nella stessa direzione volendo scoprire e amplificare le risorse personali. Partiamo dal concetto di habitat (termine latino che significa <egli> abita), il luogo le cui caratteristiche possono permettere all’uomo di vivere e svilupparsi, garantendo la qualità della vita la quale può diminuire o aumentare in base a determinate condizioni. Iniziamo il nostro percorso identificando l’ambiente interiore di ciascun partecipante, il punto di partenza utile per conoscere meglio i membri del gruppo e poter sviluppare il lavoro.Abbiamo incontrato luoghi esplosivi, luoghi sospesi, lontani dalla madre terra. Tali habitat indicano la direzione entro cui orientare il mio intervento: è necessario soprattutto per i nuovi ingressi, stabilire

una relazione basata sulla fiducia, il rispetto reciproco e l’assenza assoluta di giudizio. Questi elementi sono gli ingredienti per la costruzione di un habitat condiviso dal gruppo, habitat realmente capace di accogliere ogni contenuto riportato nelle opere. Nasce così Paesaggio Fantasy, Strade Incrociate e Underground, opere collettive nelle quali si coniugano a diversi livelli i paesaggi personali e intimi degli artisti. L’opera di gruppo è molto di più della somma del contributo di ogni singolo partecipante: in gruppo si possono raggiungere risultati straordinari poiché a disposizione ci sono capacità e risorse molteplici. La conduzione delle opere di gruppo deve tenere conto, in contemporanea di molte variabili, trovandosi molto spesso a stimolare, placare, suggerire, accogliere e orientare, il tutto al fine ultimo di creare armonia fertile e creativa per il gruppo. Un gruppo in cui il contributo del singolo è necessario e fondamentale, un gruppo dove ognuno può esprimersi e dove l’evoluzione dell’opera è tollerata e perseguita. Nel lavoro condiviso, l’opera è di tutti, dalla fase preparatoria, quella sognante e di immaginazione, all’ultimo tocco finale.

L’opera di gruppo si affianca e si alterna alla produzione individuale: stimolare la fiducia nelle proprie capacità per scoprire quanto si è potuto imparare dagli altri. Le opere personali sanciscono un spazio ed un tempo dedicato a sé, alla cura di quanto vogliamo raccontare e condividere.

Atelier Art Detector, Paesaggio interiore, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

J.M.W. Turner, Eruzione del vesuvio, acquarello, 28 x 39 cm, 1817

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Paesaggi e dintorni

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Sotto il segno del Giallo, quattro Tettidi Elena Vidale, artista terapista

Quando mi viene chiesto di descrivere o raccontare il mio lavoro, avverto sempre una sorta di imbarazzo, di impaccio non tanto dettato da una difficoltà dialettica, quanto piuttosto dal profondo coinvolgimento umano e dalla lucida distanza delle tecniche che contraddistinguono una non-professione come la mia, l’artista terapista. Mio figlio Pietro, all’età di tre anni e mezzo raccontò alle maestre che la sua mamma “dipinge con chi è triste”.In psichiatria si parla di arteterapeuta ma forse artista terapista, definizione coniata dall’Accademia di Brera e chi mi ha formata, è più coerente. L’aggettivo Terapista appartiene al corpo e io lavoro con il corpo e lo incontro attraverso il linguaggio artistico.

A me sta il compito di far riemergere la creatività nell’altro, cercando nella sfera del sensibile che appartiene ad ogni persona, anche quando la sofferenza o la malattia ne abbiano attaccato la lucentezza. Mi muovo nell’ambito della sofferenza psichica, certo, ma soprattutto umana. Mi è capitato, nella mia breve esperienza, di incontrare corpi e volti caratterizzati da una tristezza ultima, da un silenzio e da un’incapacità di raccontare di sé disperante ed è con l’arte, con le sue peculiarità tecniche ed espressive, che ho potuto offrire una possibilità nuova, una speranza anche in chi crede di non aver più nulla da dire o da cui ripartire. Il corpo e lo sguardo di L. trasudano dell’esperienza manicomiale che ha caratterizzato la sua vita; quando i miei occhi incontrano i suoi

percepisco tutto il peso di una sofferenza che non è mia, che posso provare ad accogliere e a rendere visibile. Vero è che dare il nome alle cose libera e in questo senso l’arteterapia si pone come uno strumento utile a decifrare, leggere quel che a parole non emerge nell’altro-da-noi. Quando propongo a L. di lavorare sul paesaggio in rapporto al suo corpo affiora potentemente il tema del giallo, tono cromatico che abbraccia con estrema sintonia la sua storia, psichiatrica ma soprattutto affettiva. Kandinskij associava al giallo il sapore della follia, ma per L. il giallo è il colore del grano dei campi con cui, fin da giovanissimo, si è trovato a fare i conti dentro ad una solitudine immensa che ancora oggi gli fa compagnia. L. lavora con me da sei anni, il giallo lo accompagna da sempre, insieme ad immagini e forme senza tempo, come i suoi cubi, che emergono costantemente nelle sue opere e che fino a poco tempo fa restavano astratte, senza significato, ai nostri occhi sordi. Un giorno, proprio l’altro giorno L. colloca, al centro di un giallo accecante, il suo volto – una stampa fotografica – e immediatamente disegna un grande cubo vuoto sul suo naso. “Rieccoci”, penso, “ancora questo cubo che non si lascia decifrare, che non si può decriptare” ma L. proprio su quell’ennesimo cubo parla e parla di un covone, un covone di fieno di cui ricorda ancora l’odore, fortissimo, così presente alla sua memoria che in quell’istante mi pare di sentirne il profumo, con lui. Sono momenti importanti, che aprono nuove strade, significanti. All’Atelier Andromeda - galassia più lontana alla nostra ma visibile da occhi umani senza l’ausilio di strumenti di osservazione, da cui prende il nome il gruppo di artisti che lavora con me - quest’anno ho proposto di raccontarsi attraverso il paesaggio, originando spazi immaginari in cui collocarsi e poter dire qualcosa di sé. La tecnica artistica proposta è il collage che nasce dall’unione tra la pittura e la propria immagine, il proprio corpo fotografato e stampato in bianco e nero. Il corpo è qui fenomenologicamente inteso, è vissuto, quello che la lingua tedesca ha definito Leib, che naviga e spazia fra le emozioni e la dimensione del sentire. Non si può che partire da questa percezione di sé e dell’altro nell’ambito della creatività che, come scrisse Winnicott, appartiene innanzitutto al fatto di essere vivi. Proprio grazie a questa vitalità permanente sono nati paesaggi che sempre più spesso non hanno più avuto a che fare con la riproduzione fedele della realtà, ma raccontavano di mondi ignoti, legati alla memoria di chi li dipingeva, a quelle immaginazioni. é nell’immersione nella materia artistica che ci si scopre o ci si muove perché le immagini della materia, come sosteneva G. Bachelard, hanno una forza sostanziale, scartano le immagini superficiali, hanno un peso, forse potremmo dire un cuore. Un episodio, in uno dei lavori di gruppo, è stato chiarificante e mi ha colpito profondamente. G. partecipa al “Gruppo Biblioteca” che vede protagonisti giovani di età compresa fra 17 e 30 anni rivoltosi al servizio psichiatrico per la prima volta con il quale stiamo costruendo paesaggi emozionali e guardando alle emozioni come fondamento conoscitivo e premessa delle relazioni interpersonali della vita quotidiana come insegna il prof. Eugenio Borgna.Durante un incontro avevamo conosciuto la rabbia attraverso la verbalizzazione, il segno e la gestualità corporea. G. condivide con noi come non sia capace di infuriarsi, di eccedere o di urlare “mi scivola tutto addosso”, dice sorridente e intimidito.

Atelier Andromeda Senza titolo, acrilico su cartone vegetale, 30 x 30 cm, 2013

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Quando G. prova a tradurre in segno la sua rabbia col pastello ad olio sembra quasi accarezzi il foglio e insieme al resto del gruppo ha paura a far emergere questo stato emozionale, temendo di non riuscire a controllarsi. Mi accosto al lavoro e al gruppo con discrezione simulando la mia, di rabbia, e lasciando i miei segni: a poco a poco il foglio si riempie, dando vita ad una trama fittissima di segni sempre più decisi, scatenati, coraggiosi. Seguendo la fenomenologia dell’emozione invito i ragazzi a strappare della carta velina - simulando il dolore e “lo strappo” effettivo che si prova quando si esplode - per tornare infine ad un ordine utilizzando la tecnica del collage, ricostruendo dunque e offrendo “nuova vita” ai singoli pezzi di carta affinché possano divenire qualcosa d’altro. G. strappa con assoluta calma la carta velina di cui dispone, mi chiedo cosa stia pensando e curiosa, lo osservo intento nell’ultimo atto di ricostruzione, con il collage. Guardo, sorpresa, nascere quattro fragili case; gli chiedo che cosa dicano della sua rabbia e subito esprime il desiderio di averne una

sua. Cerco lo sguardo della mia collega e lo colgo stupito; poco più tardi mi racconta che G. ha scelto di non “sentire” più, da quando la sua famiglia, composta da quattro persone, non vive più sotto lo stesso tetto. Le case, segno superficiale di un ambita indipendenza da neomaggiorenne, assumono ora un nuovo significato, grazie al coinvolgimento corporeo ed emotivo con la materia artistica e attraverso le proposte e il rapporto con l’artista terapista. Si concretizzano pensieri e desideri sotterranei del paesaggio interiore e della geografia dell’anima di cui “cerchiamo gli elementi per tutta la vita. Chi è tanto fortunato da incontrarlo, scivola come l’acqua sopra un sasso, fino ai suoi fluidi contorni, ed è a casa”, come scrive Hart. é vero Pietro, io sono quella che “dipinge con chi è triste” ma sto capendo, sto facendo esperienza di una tristezza che non ha l’ultima parola.

Diario di bordodi Franca Zappalà e Silvia Ariboni, educatrici A.O. Salvini

La nostra esperienza è cominciata circa quattro anni fa quando il Centro Diurno di Bollate ha avviato un progetto di arte terapia con lo scopo di offrire ai propri utenti un percorso di recupero delle proprie capacità psicosociali. Il gruppo si riunisce ogni lunedì pomeriggio riuscendo a preservare e tutelare lo spazio sia fisico che mentale dall’irrompere delle “urgenze” e delle mille traversie di un contesto così ricco e complesso quale quello dei servizi psichiatrici. Grazie all’impegno di una professionista esterna, con nuove competenze, stimoli ed energie, si sono messi in gioco gli utenti e gli educatori del servizio con curiosità ed entusiasmo. Qual’è stata l’alchimia che ci ha coinvolti? La costruzione di un laboratorio terapeutico che fosse un luogo accogliente, di condivisione, un contenitore emotivo e relazionale che favorisce l’espressione delle persone.

Attraverso l’utilizzo dei colori e della propria creatività si cerca di dare benessere a tutte le persone che lo desiderano. Il nostro mondo interiore ha trovato voce senza il timore delle parole o dei giudizi altrui attraverso semplici gesti individuali o di gruppo che si concretizzano su tele, cartoncini e murales variopinti. Si tratta di un intervento di aiuto e di sostegno a mediazione non verbale grazie all’utilizzo dei materiali artistici. Attraverso l’arte terapia si ha la possibilità di attivare risorse che tutti possediamo: la capacità di elaborare il proprio vissuto, dandogli una forma, e di trasmetterlo creativamente agli altri. Non essendo finalizzata alla produzione di un “bell’oggetto”, l’arte terapia rende possibile comunicare e scambiarsi impressioni, ricordi, stati d’animo, immagini reali o fantastiche. Le nostre impronte continuano a lasciare tracce, anche su questo catalogo, nella speranza che altre persone diano voce alla propria creatività.

Nessuno di noi si è posto solo come osservatore, abbiamo sempre “fatto insieme”con entusiasmo, soprattutto le opere collettive dove si lavora gomito a gomito senza trovare diversità tra utente ed operatore. Ci sono stati momenti in cui abbiamo dovuto mediare con gli utenti che non riuscivano ad entrare in empatia con l’arte terapista, momenti in cui abbiamo dovuto spiegare ai medici perché alcuni utenti non vivevano positivamente il gruppo e l’esperienza artistica. Per qualcuno è stato molto difficile esternare le proprie emozioni o i disagi. Alcuni hanno iniziato con molto entusiasmo per poi abbandonare il percorso all’improvviso. E adesso ci ritroviamo tutti insieme a scrivere queste riflessioni: come l’uso del colore, è difficile anche scrivere nero su bianco le proprie emozioni.

Gruppo biblioteca, Senza titolo (particolare),tecnica mista, 10 x 1,5 m, 2012

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Opere realizzate da giugno 2012 a marzo 2013

Gal ler ia fotograf ica

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Atelier Art Detector, Musicalità dei colori, acrilico su cartoncino, 50 x 50 cm, 2013

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Atelier Art Detector, Musicalità dei colori, acrilico su cartoncino,50 x 50 cm, 2013

Galleria fotografica

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Atelier Art Detector, Paesaggio musicale, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

Atelier Art Detector, Musicalità dei colori, acrilico su cartoncino, 50 x 50 cm, 201333

Galleria fotografica

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Atelier Art Detector, Paesaggio musicale, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

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Atelier Art Detector, Paesaggio musicale, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

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Atelier Art Detector, Paesaggio musicale, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

Galleria fotografica

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Atelier Art Detector, Paesaggio musicale, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

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Atelier Art Detector, Paesaggio interiore, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

Atelier Art Detector, Tracce, tecnica mista, installazione collettiva, 2012

Galleria fotografica

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Atelier Art Detector, Paesaggio interiore, acrilico su carta, 50 x 70 cm, 2013

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Atelier Art Detector, Giardino cromatico, acrilico su carta, opera collettiva, 150 x 300 cm, 2012

Atelier Art Detector, Strade incrociate, tecnica mista, opera collettiva, 200 x 200 cm, 2012

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Atelier Art Detector, Underground, acrilico su carta, 150 x 200 cm, 2013

Atelier Art Detector, Paesaggio fantastico, tecnica mista, opera collettiva, 250 x 150 cm, 201349

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Gruppo biblioteca, Senza titolo (particolare), tecnica mista, 10 x 1,5 m, 2012

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Gruppo biblioteca, Senza titolo (particolare), tecnica mista, 10 x 1,5 m, 2012

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L’opinione degli artisti

Pens ier i e paro leA conclusione di questo catalogo non poteva mancare il punto di vista dei protagonisti

di questa espeirenza. Sono frasi raccolte durante il tempo trascorso insieme, in atelier. Pensieri che raccontano l’atmosfera che si respira, la realtà del laboratorio.

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P. A me questo percorso di arte terapia è piaciuto molto anche se non mi ha

soddisfatto completamente perché facciamo quasi tutte opere astratte mentre a me

piacciono le opere concrete. Però non so disegnare quindi più di quel

che ho fatto non avrei potuto fare, quindi sono contento così.

V. In atelier mi hai insegnato a usare bene le forbici: mi è bastato guardarti per capire. Il venerdì sono felice perché costruisco qualcosa con te,

ma per me.

I. Ho sentito dire da grandi pittori che il lavoro prende forma da solo, così come lo avevano in mente loro:

non è vero. Il disegno iniziale si trasforma e non ci si può

fare niente...è un divertimento antico.

P. Venire qui e dipingere mi fa credere che nella vita

tutto può cambiare.

S. Il corso ha diverse funzioni e molteplici sviluppi positivi. Per quanto mi riguarda,

ho cominciato con molta scioltezza e curiosità. Le richieste sono semplici, essenziali e curiose.

Di primo acchito si ha la sensazione che il pomeriggio del lunedì sia dedicato al

rilassamento, creazione e socializzazione. Poi, grazie ai commenti alle nostre opere che ci sono richiesti alla fine del laboratorio si dà un titolo: questa è la ciliegina sulla torta del party psicologico, questo modo di coadiuvare

la cura permette di esprimere. è difficile spiegare cosa si prova a prendere

anche per la prima volta in mano i colori e i pastelli... Quello che ho visto

e provato sono sensazioni genuine, durante e dopo la fine di ogni singolo

incontro si vola con la mente e con le mani.

C. Quando inizio arte terapia mi sento sempre ansiosa. C’è sempre stata in aiuto

con me l’insegnante, mi faceva vedere degli accorgimenti, mi è sempre stata vicina. Da tanto tempo frequento l’arte terapia, è sempre stata per me una passione fare i disegni astratti con le spugne e i rulli.

Con questi disegni mi sono sentita realizzata e rilassata.

R. è stato interessante imparare i diversi usi con cui si possono creare dipinti, non solo dipingere con pennelli ma anche con spugne,

con fogli e con ritagli di carta ricalcata da diversi strati. Con l’arte terapia si è come

aperta una porta sulla creatività del colore. Lo stare insieme è importante, con colore e fantasia è ancora meglio. Si inizia un dipinto

e poi esce qualcosa di diverso dall’inizio.Dipingere è vario e divertente.

Ognuno crea ciò che pensa. La creatività di ognuno e i suoi colori preferiti. Mi sono piaciuti anche i lavori degli altri, belli e colorati. è bello vedere tutti i lavori insieme.

G. Ritengo che questo percorso sia stato molto positivo, mi ha fatto progredire. Con l’arte terapista mi sono trovata bene. Certo questo

passaggio mi mancherà. Ma ho accolto questo e immagazzinato.

Sono contenta di aver partecipato con tutte le amiche e gli amici.

Mi sono sentita positivamente e nello stesso tempo utile. Vi ringrazio.

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Pensieri e parole

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