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PADOVA TREVISO VENEZIA CIVILTÀ DI CANTIERE CAMBIAMO IL DNA DEL COSTRUIRE WWW.CIVILTADICANTIERE.IT È un progetto dedicato al sistema italiano delle costruzioni basato sulla consapevolezza del profondo cambiamento che sta caratterizzando il mercato e l’industria edilizia, nel segno dell’innovazione e della sostenibilità. Intende consolidare una piattaforma di riflessione e di orientamento che attragga nella propria orbita gli stakeholder di riferimento del settore: sistema di rappresentanza, imprese e developer, aziende della filiera produttiva, mondo della ricerca e della progettazione, per promuovere una nuova cultura del costruire. ANNO V | N. 03 2019 ISSN 2531-9973 CIVILTÀ DI CANTIERE - ANNO V | N. 03 2019 Città a misura di futuro Rigenerazione e sviluppo sostenibile di un’area metropolitana MAGAZINE

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PADOVA

TREVISO

VENEZIA

CIVILTÀ DI CANTIERE

CAMBIAMO IL DNA DEL COSTRUIRE

WWW.CIVILTADICANTIERE.IT

È un progetto dedicato al sistema italiano delle costruzioni basato sulla consapevolezza del profondo cambiamento che sta caratterizzando il mercato e l’industria edilizia, nel segno dell’innovazione e della sostenibilità.

Intende consolidare una piattaforma di riflessione e di orientamento che attragga nella propria orbita gli stakeholder di riferimento del settore: sistema di rappresentanza, imprese e developer, aziende della filiera produttiva, mondo della ricerca e della progettazione, per promuovere una nuova cultura del costruire.

ANNO V | N. 03 2019

ISSN 2531-9973

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Città a misuradi futuro

Rigenerazione e sviluppo

sostenibile di un’area

metropolitana

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1 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 03 2019

eEra esattamente un anno fa quando, traendo le conclusioni della terza edizione della nostra Construction Conference dedicata alla rigenerazio-ne e allo sviluppo di un ecosistema metropolitano, emergeva l’esigenza di dare maggiore concretezza alle analisi e ai modelli presentati. Da qui un percorso avviato nei mesi successivi con tutti partner per approfondire il discorso, mettendo al centro il caso della città metropolitana veneta. Ciò nella convinzione che, alla luce degli scenari nazionali e internazionali, riprendere a ragionare sulla vecchia idea di un’area metropolitana veneta intorno al triangolo urbano con ai vertici Padova, Venezia e Treviso, costi-tuisse non soltanto un esercizio teorico, ma potesse diventare un percorso reale per rilanciare un modello organizzativo e gestionale in grado di favo-rire una crescita competitiva all’interno, sia del nuovo triangolo industriale che rispetto al più ampio contesto globale.Un percorso che poggiasse da un lato sul processo di aggregazione avviato all’interno del sistema di rappresentanza industriale, sia con la nascita di Assindustria Veneto Centro sia in ambito ANCE, dall’altro creando le con-dizioni per formare un tavolo di lavoro dove convogliare, oltre al sistema finanziario anche il mondo universitario e della ricerca e una serie di reti di pensiero e progettuali già protagoniste di innovazione sotto diversi punti di vista. È stato questo il terreno sul quale abbiamo costruito il concept e il panel dei relatori della quarta edizione della Construction Conference dedicata alla stretta correlazione tra un’idea di città del futuro condivisa e la rilevanza di una visione metropolitana per un’area dalle grandi poten-zialità, sulla quale tuttavia persistono resistenze e freni. Una particolare attenzione sarà dedicata a come sviluppare un itinerario dove far incontra-re società, economia e politica. E con questo numero di Civiltà di Cantiere, riportando e anticipando come è nella nostra tradizione i principali contri-buti presenti, intendiamo porre le basi per la nascita di un soggetto collet-tivo, con la presunzione di diventare riferimento per un ampliamento della consapevolezza di riprendere un percorso a lungo bloccato, inserendolo nel nuovo contesto competitivo. Contesto che, come speriamo di aver dimo-strato qui, richiede una dimensione e una Governance diversa dal passato e dall’attuale stato di cose.

Un futuro a dimensione metropolitana

di ALFREDO

MARTINI

Direttore di

Civiltà di Cantiere

Editoriale

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Sommario

La sfida metropolitana .............................................................................................7

Nella metropoli del futuro deve esserci posto per tutti .......................................... 11 L’INTERVISTA a Joao Ferreira Nunes, Architetto Studio PROAPUna città nel paesaggio o il paesaggio di una città? ...............................................14

Il futuro che ci spetta .............................................................................................18

L’OPINIONEUn processo collaborativo pubblico privato ............................................................22

L’INTERVISTA a Massimiliano Fuccilo, Head Digital Advisory Microsoft eFabio Moioli, Direttore Enterprise Services di Microsoft ItaliaLe esperienze digitali al servizio delle città ............................................................25

Economia Circolare: facciamo il punto....................................................................29

Dare valore alla sostenibilità... con un dazio ..........................................................32

Rinascimento urbano, ma non ovunque ................................................................33

L’OPINIONEUn progetto a misura di territorio ...........................................................................38

Città metropolitane multipolari ............................................................................ 40

La metropolizzazione come strategia di sviluppo regionale ..................................73

TAVOLA ROTONDA con Arturo Lorenzoni, Vicesindaco (PD), Simone Venturini, Assessore allo Sviluppo del territorio e infrastrutture (VE), Andrea De Checchi, Vicesindaco (TV)Verso un polo metropolitano veneto ..................................................................... 77

SCHEDAPRT Veneto 2030 .................................................................................................. 46

Lo sviluppo di un territorio parte dalle vocazioni .................................................. 48

L’INTERVISTA ad Antonio Santocono, Presidente della Camera diCommercio di PadovaUna Camera di Commercio impegnata a tutto tondo per creare uno sviluppo sostenibile ........................................................................................52

Rigenerazione urbana e demolizione creativa ........................................................55

L’OPINIONEGuardare al domani adeguandosi ai nuovi paradigmi .......................................... 60

La valorizzazione del patrimonio pubblico e dei beni comuni ...............................63

Vertical farm: un nuovo modello? .........................................................................67

Storia, tradizione e innovazione al Museo del Novecento M9 di Mestre ...............69

Giovanni Foresti

Patrizia Messina

Martino Almisisi

Bruno Barel

Paolo Ghiotti

Alfredo Martini

Mimosa Martini

Giovanni Salmistrari

Paolo Gubitta

Iva Mece

Luigi Eugenio Riccardo

Lorenzo Orsenigo

Maria Cristina Piovesana

Giancarlo Corò

Alessia Guerrieri

M.A.

Virgilio Chelli

Martino Almisisi

Marco Giampieretti

Paola Savina

M. M.

EDITORE E PROPRIETÀ EDITORIALEDemocomVia G. Palatucci, 686170 Isernia

DIRETTORE RESPONSABILEED EDITORIALEAlfredo MartiniCAPOREDATTOREMimosa Martini

REDAZIONEMartino AlmisisiIva MecePaola Savina

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONEAurora Milazzo

SCENARI

Città a misuradi futuroRigenerazione

e sviluppo sostenibile di un’area metropolitana

N.3 | 2019

PADOVA

TREVISO

VENEZIA

CIVILTÀ DI CANTIERE

CAMBIAMO IL DNA DEL COSTRUIRE

WWW.CIVILTADICANTIERE.IT

È un progetto dedicato al sistema italiano delle costruzioni basato sulla consapevolezza del profondo cambiamento che sta caratterizzando il mercato e l’industria edilizia, nel segno dell’innovazione e della sostenibilità.

Intende consolidare una piattaforma di riflessione e di orientamento che attragga nella propria orbita gli stakeholder di riferimento del settore: sistema di rappresentanza, imprese e developer, aziende della filiera produttiva, mondo della ricerca e della progettazione, per promuovere una nuova cultura del costruire.

ANNO V | N. 03 2019

ISSN 2531-9973

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Città a misuradi futuro

Rigenerazione e sviluppo

sostenibile di un’area

metropolitana

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c CITTÀGOVERNANCE

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PROGRAMMA

REGISTRAZIONE

SALUTI ISTITUZIONALIRosario RIZZUTO, Rettore Università di PadovaAntonio SANTOCONO, Presidente Camera di Commercio di Padova Giovanni SALMISTRARI, ANCE Nazionale

IMMAGINARE UN POLO METROPOLITANO VENETOScenari, contesti e potenzialità Alfredo MARTINI, Direttore di Civiltà di Cantiere

L’evoluzione da città a metropoli Giovanni FORESTI, Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo

Percorsi e modelli Giancarlo CORÒ, Docente Università “Ca’ Foscari” Venezia

CONCEPIRE E RICONFIGURARE UNO SPAZIO METROPOLITANOIntroduce Paolo GHIOTTI, Presidente di ANCE Veneto

Mercato immobiliare, rigenerazione e qualità della vita urbana Bruno BAREL, Avvocato Studio BM&A

La valorizzazione del patrimonio pubblico e dei beni comuniClaudio BERTORELLI, Fondatore Aspro Studio, ne parla con Alessandra BALDUZZI, CDP Investimenti SGR

Ore 14:00

Ore 14:15

Ore 14:30

Ore 15:30

CONSTRUCTION CONFERENCECittà a misura di futuroRigenerazione e sviluppo sostenibile di un’area metropolitana

Ore 14:00 // PADOVA16 OTTOBRE 2019

INDUSTRIA E TERRITORIO: NUOVE FRONTIERE DI SVILUPPOIntroduce Maria Cristina PIOVESANA, Presidente Assindustria VenetoCentro

Industria, nuove competenze e qualità del territorio Paolo GUBITTA, Docente Università di Padova

Patrimonio industriale dismesso e valorizzazione del paesaggio Danilo GEROTTO, Direttore Sviluppo del territorio e città sostenibile del Comune di Venezia ne parla con Joao FERREIRA NUNES, Architetto Studio PROAP

NUOVI PARADIGMI PER LA CITTÀ DEL FUTURO Introduce Francesca NIEDDU, Direttore Commerciale Retail Direzione Regionale Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige Intesa Sanpaolo

Circular Economy, rigenerazione urbana e innovazione digitalePaolo POSSAMAI, Direttore de Il Mattino di Padova ne parla con Fabio MOIOLI, Direttore Divisione Enterprise Services Microsoft Italiae Luigi Eugenio RICCARDO, Intesa Sanpaolo Innovation Center

VERSO UN POLO METROPOLITANO VENETONe parlano con Alfredo MARTINI e con Patrizia MESSINA, Docente Univ. di Padova

Andrea DE CHECCHI, Vicesindaco Comune di TrevisoArturo LORENZONI, Vicesindaco Comune di Padova Simone VENTURINI, Assessore allo Sviluppo del terri-torio e infrastrutture Comune di Venezia

CHIUSURA DEI LAVORI

Ore 16:20

Ore 17:10

Ore 18:00

Ore 19:00

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La sfida metropolitana

Modelli a cui ispirarsi per città innovative, connesse e “fluide” in grado di dare all’Italia metropoli in linea con quelle europee.

Uno degli effetti della globalizzazione è stato un diffuso e sempre più rapido processo di rafforzamento del ruolo delle città in una logica me-tropolitana. La dimensione globale della competizione ha infatti indot-to una nuova logica spaziale ed economica, determinando una riconfi-gurazione dei soggetti territoriali e amministrativi tradizionali. Non più solo nazioni, ma città sempre più articolate, fino a coincidere con una stessa regione, così da essere in grado di misurarsi con possibilità di successo sui mercati internazionali. Un fenomeno che, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, ha caratterizzato in modo particola-re molte delle città europee, anche grazie a scelte e decisioni da parte dell’Unione volte a sostenere e a finanziare progetti di rigenerazione e di trasformazione territoriale. Non solo le principali capitali come Lon-dra, Parigi e Berlino, ma anche città come Barcellona , Amburgo, Nantes o Torino, solo per fare alcuni esempi si sono trasformate assumendo un ruolo propulsore rispetto al territorio circostante. Un processo che, a partire dal nuovo secolo, è proseguito con i programmi poliennali rivolti ai Paesi dell’Europa orientale e che purtroppo le città italiane non han-no saputo cogliere pienamente, non riuscendo a mettere in campo idee e progetti in grado di valorizzare le singole vocazioni dei territori. Ciò è valso anche per il Nord Est e per il Veneto, che oggi sembra scontare, rispetto agli altri poli del nuovo triangolo industriale, Milano e Bologna, ritardi dovuti proprio a un sistema urbano poco integrato nelle sue fun-zioni strategiche.Oggi la situazione è completamente cambiata. Il flusso dei finanzia-menti europei per la rigenerazione si è andato esaurendo per l’emergere di nuove priorità. Non vanno perse le occasioni legate ad eventi di rile-vanza internazionale, da utilizzare come fattore di attrazione di inve-stimenti e inserendoli in un disegno organico di medio – lungo periodo. In questo nuovo scenario cresce di importanza il ruolo della politica e di chi è chiamato ad amministrare. Diventa essenziale una condivisione ampia tra pubblico e privato su un progetto comune, sapendo ascolta-re, intercettare e mettere in campo tutte le competenze del territorio e non solo.

di ALFREDO

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is Dal policentrismo a un ecosistema metropolitanoL’osservazione dall’alto dei territori europei evidenzia agglomerati me-tropolitani di fatto che in alcuni casi sono oggi veri e propri ecosistemi di eccellenza. “Arcipelaghi metropolitani, metropoli lineari, urbanità diffuse e città multipolari: il futuro delle città-territorio è nelle inter-connessioni tra i diversi poli, nel sistema a rete che collega, sistematiz-za e valorizza le singole centralità. E laddove il territorio si configura già di partenza come un insieme di nuclei urbani già ben definiti intervalla-ti da una trama agricolo produttiva ed un tessuto di sistemi economici puntiformi di successo, occorre concentrarsi sulla stesura, codificazio-ne ed implementazione delle reti che trasformino questo pulviscolo ur-bano in una vera e propria entità metropolitana, mantenendo la specificità dei singoli luoghi ma puntando al confronto - in vitalità, attrattività e fun-zionamento - con le metropoli contemporanee.1“ Trasformazione e rigenerazione urbana, ampliamento e allargamento dei confini e delle funzioni sono andati di pari passo con l’imporsi della rivolu-zione digitale creando un effetto volano, in cui l’una utilizzava l’altra.Le aree metropolitane rappresentano sistemi territoriali che ospitano mol-teplici funzioni caratterizzate da un elevato livello di complessità e il loro futuro è nelle interconnessioni tra i diversi poli, nel sistema a rete che col-lega, sistematizza e valorizza le singole centralità.La rigenerazione delle città a dimensione metropolitana trovava nella competizione globale la sua ragione di essere, tanto da superare non solo tradizionali confini regionali, ma anche quelli nazionali. La nascita di Lille - Eurometropole tra Francia e Belgio e la nuova centralità metropolitana dell’Oresund che unisce Copenaghen a Malmö, tra Danimarca e Svezia ne sono due esempi virtuosi. “Le nuove città metropolitane sono sistemi ter-ritoriali che rimandano a dimensioni ampie dai confini sfumati e ospita-no molteplici funzioni caratterizzate da un elevato livello di complessità; l’interazione tra queste funzioni «produttive, di servizi e di residenza, che coinvolgono un numero elevato di differenti attori sociali, genera flussi di beni, informazioni e persone, all’interno dell’area metropolitana e tra l’a-rea metropolitana e il resto del territorio, che concentrano nella stessa area metropolitana funzioni e soggetti legati ad attività strategiche, di coordi-namento, di direzione2. L’osservazione dei processi che hanno portato all’integrazione e alla co-struzione di un’unica gestione metropolitana l’individuazione di fattori strategici che l’hanno guidata e le forme assunte oggi da quelli che pos-

1 Civiltà di Cantiere, Dalla città policentrica alla città metropolitana. Alcuni casi studio europei, Paper di base Construction Conference 2019. 2 Idem

siamo considerare come dei modelli di Governance costituiscono per chi sta riflettendo sull’importanza di creare un polo metropolitano riferimenti importanti per delineare un proprio originale percorso. Come nel caso della Ruhr, forse il progetto di rigenerazione di maggiore impatto a livello euro-peo, tanto da assumere un valore di modello sotto diversi aspetti, anche i due progetti casi dell’Eurometropole e dell’Oresund traggono la loro ori-gine da un’esigenza di rilanciare un modello di sviluppo, colpito dalle crisi industriali e finanziarie e dalla necessità di individuare nuove funzioni da affiancare alle vocazioni e alle risorse economiche e culturali presenti sul territorio.L’analisi approfondita dei casi3 ci consente di evidenziare alcuni elementi nevralgici, dei passaggi che non possono essere elusi: l’essere giunti a con-dividere una visione futura dell’area; un approccio culturale e amministra-tivo basato sulla collaborazione; puntare a uno sviluppo sostenibile e at-tento ai processi e all'innovazione. Si tratta di elementi che contribuiscono a praticare una metodologia che si è dimostrata vincente.Volendo sintetizzare, il passaggio da un modello multipolare ad un vero e proprio sistema reticolare si fonda su un processo ampio di connettività ed intermodalità, attivando sinergie culturali ed economiche finalizzate a donare una nuova immagine e vocazione all’intera area, puntando su un’integrazione tra i poli urbani maggiori e inserendo in maniera virtuosa i centri minori.Offrire una prospettiva metropolitana in un’area omogenea del Veneto appare quanto mai stimolante e sembra rispondere a esigenze diverse. In-nanzitutto all’evoluzione della competizione internazionale, intesa come terreno oggi indispensabile se si vuole aumentare la ricchezza di un territo-rio e di conseguenza migliorare la qualità e il benessere sociale. In secondo luogo come processo irrinunciabile di aggregazione e integrazione aumen-tano la massa critica e in questo modo creando le condizioni per attrarre investimenti. Un processo e una consapevolezza oramai maturi all’interno del tessuto industriale veneto. Del resto i numeri della nuova area metropolitana costruita intorno alle tre province di Padova, Venezia e Treviso4 risultano perfettamente coerenti con alcuni elementi strutturali individuati nel 2013 dall’OECD per de-

3 Si veda in questo stesso numero della rivista l’articolo di Alessia Guerrieri, Città metropolitane multipolari, pp.40.45. Per un maggiore dettaglio le schede dei due casi insieme a quello relativo al Randstad olandese in Civiltà di Cantiere, Dalla città policentrica alla città metropolitana, cit.4 Ma che coinvolge di fatto anche parte della provincia di Vicenza e chiama in causa come aree integrate con effetti propulsivi sia Rovigo, ponte naturale con l’Emilia Romagna, che Verona porta e snodo strategico lungo gli assi Nord –Sud ed Ovest – Est. A ciò si aggiunga l’importanza di saper inserire la “montagna” e quindi parte della provincia di Belluno, in un percorso – proget-to di questo tipo l’opportunità offerta dalle Olimpiadi invernali del 2026.

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isCosa cercano i cittadini di oggi, rispetto a quelli di ieri, e come stanno

cambiando i modelli. A differenza di chi li ha preceduti, i baby boomer ormai in pensione e la generazione X che sta contando gli anni per andarci, i millennial amano la città, soprattutto i centri storici in cui non serve l’automobile per muoversi e dove i luoghi di ritrovo reali, come bar e ristoranti, si affiancano e si in-tegrano con quelli virtuali dei social media. Ma a un certo punto, almeno in America, se ne vanno e migrano verso la provincia. Lo ha scoperto una recente inchiesta del Wall Street Journal secondo cui i nati dalla metà degli anni ’80 in poi, quando raggiungono l’età giusta per mettere su famiglia ab-bandonano i centri urbani per spostarsi nelle periferie estreme o addirittura in altre aree del paese a minor concentrazione metropolitana. I millennial americani amano la città ma se ne vanno controvoglia. Lo face-vano anche i baby boomer, ma per ragioni opposte. Il sogno americano degli anni 60 prevedeva che la villetta con garage e prato davanti in un quartie-re residenziale lontano dal centro e immerso nel verde fosse l’obiettivo da raggiungere, non importava se al prezzo di un’ora e mezzo o due di macchi-na tra andata e ritorno dal lavoro. I millennial invece se ne vanno contro-voglia, per ragioni economiche. Un reddito appena decente può bastare a un single per campare nel cuore di una metropoli, ma non ci si campa una famiglia. E, come mostra il grafico 1, il fenomeno diventa più importante quando l’economia va meno bene.

Nella metropoli del futuro deve esserci posto per tutti

di VIRGILIO

CHELLI

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-1252008 2010 2012 2014 2016 2018

GRAFICO 1. SPOSTAMENTI DA E VERSO LE GRANDI CITTÀ USA DELLA FASCIA DI ETÀ 25-39 ANNI

finire un’area metropolitana: estensione, numero di abitanti, densità abitativa.

Un contesto favorevoleCome avviare un percorso virtuoso di riflessione e confronto su una prospettiva possibile di un polo/ecosistema metropolitano veneto che sappia misurarsi concretamente con l’attuale contesto politico, norma-tivo e sappia aggregare il più ampio spettro di soggetti rappresentativi del tessuto economico, della cultura e della società civile?E questa la sfida con la quale intendiamo cimentarci come Civiltà di Cantiere, insieme ai nostri partner, partendo dalla concretezza di un quadro di regole e di politiche in movimento. Da un lato la nuova legge sul consumo di suolo e una nuova visione del Piano casa riassunta in “Veneto 2050”, dall’altro la prossima approva-zione del Piano Trasporti Regionale (PTR), infine l’inizio del percorso per arrivare a definire e varare il Piano Territoriale Regionale di Coordi-namento (PTRC), destinato a ridefinire le relazioni tra le diverse aree, tra urbano e rurale, in una visione del tutto nuova alla luce dei nuovi paradigmi sociali e tecnologici.Dall’intreccio tra questi documenti è destinata a nascere una nuova pianificazione strategica fondata su condivisione e consenso su pro-grammi a lungo termine. Ma perché esso sia costruttivo sono necessari due passaggi. Il primo riguarda la nascita/creazione di un soggetto propositivo, sull’e-sempio dei Comitati e delle associazioni volontarie che sono all’origine di molte esperienze europee, compresi i tre casi qui richiamati. Un sog-getto ampiamente rappresentativo e autorevole in grado di definire un percorso e di farsi carico di una proposta condivisa da sottoporre alla Regione. La seconda condizione riguarda la conoscenza del territorio secondo un approccio nuovo. Si tratta di attivare uno studio articolato in grado di leggere processi e trasformazioni secondo la logica sempre valida pro-posta dall’OECD. Così da comprendere in modo puntuale le potenzialità e la ricchezza delle risorse e delle vocazioni presenti, ma anche le criti-cità e gli ostacoli un processo di integrazione metropolitana. Una analisi che incroci tra loro - e a livello di territori - indicatori relati-vi alle dinamiche demografiche, alla densità della popolazione e degli insediamenti industriali; al rapporto tra sistemi di trasporto, tempi di percorrenza e pendolarismo. Alcuni esempi intorno ai quali costruire un vero e proprio atlante fun-zionale per interpretare il dinamismo espresso dall’area sia al suo inter-no che verso l’esterno.

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is La concentrazione resta la regola delle metropoli leader In Europa non ci sono evidenze statistiche, ma il costo di vivere nei centri metropolitani più ambiti: da Parigi a Barcellona, da Milano a Londra, è si-curamente molto più elevato rispetto ai centri minori, magari solo a poche decine di chilometri di distanza. Il problema è che i centri delle metropoli più all’avanguardia non attraggono solo i millennial, ma anche le eccellenze del sapere scientifico, le avanguardie tecnologiche, il mondo degli affari e i capitali. E più questo mix di fattori, tutti estremamente positivi, è con-centrato, più sale il costo di tutti i beni e servizi, a cominciare da quello primario dell’abitazione. Così i centri metropolitani più ambiti rischiano di perdere una delle risorse più importanti per continuare ad esserlo: i giovani. Esistono alternative? A buon senso una potrebbe essere spalmare sul ter-ritorio quello che a Milano, Boston, Londra o San Francisco è concentrato in pochi chilometri quadrati. Ma a cercarle non si trovano facilmente storie di successo di questo tipo. In tutto il mondo la concentrazione continua a es-sere la regola, New York continua a crescere in verticale, in tutto il pianeta è una gara a costruire grattacieli sempre più alti in spazi sempre più stretti.

La storia di successo del pentagono toscanoLe megalopoli che crescono in orizzontale, da Delhi a Karachi, da Città del Messico al Cairo, non sono grandi storie di successo. Un caso di successo di dimensioni minori e anche poco studiato è invece quello della Toscana Nord-occidentale dove in un sistema pentagonale convivono a pochi chi-lometri di distanza uno dall’altro gli ingredienti che fanno girare l’econo-mia ma senza l’effetto ‘torre d’avorio’ che contraddistingue le metropoli di eccellenza globale. Il pentagono ha il polo del sapere tecnologico a Pisa, capitale italiana di Internet, con l’università Sant’Anna, lo sbocco portua-le mercantile a Livorno, l’industria a Pontedera dove ha sede la Piaggio, il commercio e le fiere a Lucca, il turismo a Viareggio e dintorni. Non è un modellino inventato a tavolino ma il risultato praticamente spontaneo di una fortunata congiuntura geografica, economica e sociale (studenti, im-prenditori, manodopera qualificata). È un sistema che funziona dove l’uni-co limite sembra la non piena consapevolezza di essere una combinazione vincente e la conseguente mancanza di ambizioni.

Le utopie fallite delle metropoli costruite a tavolinoLe utopie della città perfetta sono una costante della storia dell’umanità, ma non hanno mai funzionato. Un esempio eclatante risale agli anni 60 del secolo scorso, si chiamava Minnesota Experimental City, o MXC, e fu imma-ginata dal visionario Athelstan Spilhaus, che nel 1967 si poneva il problema di un’atmosfera soffocata dai gas inquinanti, di consumi dissennati di ac-qua, e definiva i rifiuti come di una risorsa che non abbiamo ancora imparato

a sfruttare. Spilhaus riuscì a raccogliere somme ingenti e a convincere NASA e Casa Bianca a sostenere il progetto, che doveva completarsi per il 1984, ma il tutto abortì molto prima. Sembra che nella squadra di scienziati che doveva realizzarlo mancasse un architetto, per cui gli spazi perfettamente efficienti ed eco-sostenibili immaginati risultavano poco "abitabili". E qui torniamo al punto di partenza: la metropoli deve essere appetibile, ma an-che accessibile, in termini economici soprattutto. Di città metropolitana del Nord-Est italiano si parla e si scrive da almeno un quarto di secolo. L’idea iniziale, ancora in buona parte valida, era di trovare casa in un sistema ur-bano diffuso al miracolo economico esploso nell’area a Est del fiume Adda fino a Trieste, a partire dalla seconda metà degli anni 70. Un sistema con tanti poli ma privo di un centro gravitazionale, che negli anni si è andato estendendo verso l’Emilia che oggi ne costituisce una parte importante e in-tegrante. Quale è la chiave per costruire una ‘città metropolitana’ del Nord-Est vincente in Europa e nel mondo? Infrastrutture fisiche? Infrastrutture digitali? Eccellenza accademica e scientifica? Offerta abitativa moderna ed eco-sostenibile? Capacità di attrazione di capitali? Evidentemente sono tutti ingredienti importanti se non indispensabili. Il problema è come si at-tivano e come si mixano. Prendiamo le infrastrutture fisiche. Gli investitori internazionali hanno fame di infrastrutture, perché producono un reddito costante nel lungo termine. Lo mostra il caso SAVE, il gestore dell’aeroporto di Venezia oggi posseduto in maggioranza da fondi francesi e tedeschi. Ma lo stesso investitore è riluttante a investire in ‘nuove’ infrastrutture, perché teme le lungaggini burocratiche e autorizzative, i cambiamenti di rotta in corso d’opera, il potere d’interdizione di minoranze esigue ma rumorose, e quindi sta alla larga e preferisce comprare l’esistente, magari efficentandolo e aumentando il reddito che già produce. È un peccato, perché l’investitore privato è più bravo ad allocare le risorse nelle cose che servono e a evitare quelle inutili che distruggono ricchezza (vedi Mose).

Serve una governance, e se non c’è va inventataIl problema non è avere una mano pubblica che abbia soldi da spendere, ma una mano pubblica capace di creare le condizioni perché chi ha soldi da spendere li investa in quel territorio e non da un’altra parte. Vale per le infrastrutture fisiche ma anche per quelle digitali, per la ricerca scientifica e le localizzazioni di impianti produttivi, per l’edilizia abitativa e per tutto il resto. Le condizioni per attirare risorse economiche e umane di qualità non le crea questa o quella amministrazione, magari in conflitto o in com-petizione con quella confinante. Le crea un sistema governato, capace di fare delle scelte e di tenervi fede utilizzando lo strumento del consenso ma anche l’autorità e la capacità di imporsi. Alla fine è un problema di gover-nance, che o c’è o non c’è, e se non c’è bisogna inventarla.

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L’intervistaL’intervista

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isUn nuovo modo di progettare mette al centro il paesaggio rispetto al

costruito. Un’analisi da un’altra prospettiva.

Quanto conta lo studio e la progettazione della parte paesaggistica in un’o-pera di architettura complessa come può essere il recupero di una intera area industriale dismessa?Siamo testimoni della fine dell’era dell’oggetto. Si disegna un nuovo con-testo per la progettazione delle trasformazioni del mondo necessarie per rispondere all’adattamento dell’ambiente naturale nel quale non riusciamo a vivere, in cui si capiscono la complessità di tali trasformazioni, le loro im-plicazioni in sistemi complessi. Si prende coscienza del fatto che l’habitat dell’uomo non è la casa, non è la città, e del fatto che l’uomo stesso è un sistema, fatto di concatenamenti complessi, fatto non di singole parti, di oggetti, ma di relazioni. Si capisce che l’habitat dell’uomo è una costruzione, un artificio, prodotto da tutte le generazioni di esseri umani insieme, che a volte può essere confuso con la natura stessa, ma che natura non è. Questo artificio si chiama paesaggio.In questo momento, qualsiasi trasformazione che si voglia fare nel nostro habitat non è più concepita come un gesto personale e oggettuale di un pro-tagonista, come era stato nell’era dell’oggetto e dell’“Archistar”, perché nel nuovo contesto culturale in cui viviamo, quel modo di concepire le trasfor-mazioni non avrebbe nessun senso. La trasformazione contemporanea del nostro habitat viene fatta da un in-sieme di persone, da un insieme di conoscenze e di consapevolezze che la-vorano in congiunto nella produzione del nuovo artefatto. In questo senso, non c’è una “parte paesaggistica” della progettazione e una “parte non pa-esaggistica”: tutto interessa a tutti ed è precisamente nell’abolizione della frammentazione disciplinare all’interno del processo di concezione di un progetto di architettura che si nasconde la riserva d’innovazione del futuro prossimo (ma si nasconde solo per il momento, perchè ancora non lo sappia-mo fare bene). Se questo è vero nella progettazione di un palazzo in città, figuriamoci in un processo di recupero di un’area industriale dismessa, con problemi di rap-porto con il contesto, di cambiamento assoluto dell’immaginario collettivo del sito, di ridisegno dei sistemi di accessibilità, di inquinamento e bonifica. Se guardiamo a ciascuno di questi problemi come un problema specialisti-

Una città nel paesaggio o il paesaggio di una città?

a JOAO FERREIRA

NUNES, Architetto

Studio PROAP

di Mimosa Martini

co, perdiamo il potenziale più promettente di creatività e innovazione del processo.

Nell’ambito della progettazione di una città, come è cambiato oggi il modo di vedere il ruolo del verde e del paesaggio?Rischiando di ripetermi un po’, c’è stato un enorme cambiamento. Non sol-tanto si riconosce un’importanza dei temi di Architettura del Paesaggio nel progetto della città che va oltre le questioni solite di cosmetica e perbenismo nella presentazione della città come immagine della comunità, che spesso erano l’unica ragione della presenza dell’arte nei gruppi di lavoro dedicati alla città; si comincia a dare retta a discorsi su questioni di carattere siste-mico del territorio: acqua, drenaggio, tempi di concentrazione, infiltrazione, qualità dell’acqua in città, suolo, valore produttivo, riserva di questo valore, reversibilità dell’uso, restrizioni al consumo infondato di suolo, vegetazione e suo ruolo nelle questioni microclimatiche e ambientali (inquinamento), diversità, costituzioni di habitat per le altre comunità di esseri viventi con i quali dobbiamo condividere il mondo, etc. Addirittura, il modo di vivere la città è profondamente cambiato e l’importanza dello spazio pubblico, della strada, della piazza, del giardino di quartiere, è diventata enorme per le per-sone: non si vive più nel palazzo guardando fuori, secondo il modo borghese che si è definito in un preciso momento storico in contrasto con il modo di vivere popolare che, invece, ha sempre visto la strada come parte intrinseca dello spazio di vivere: si vive fuori, si mangia fuori, si sta fuori con gli amici.Questo cambiamento si porta dietro, evidentemente, un’altra attenzione di politici, promotori, investitori rispetto tutti i temi solitamente chiamati “del verde e del Paesaggio” e che diventano temi del vivere e della città.

Esistono degli esempi (in Italia o all’estero) di rinaturalizzazione e rifun-zionalizzazione di intere aree in cui il protagonista diventa il paesaggio?Rinaturalizzazione è una parola strana. L’addomesticato, anche se abban-donato, non ritorna alla natura... Alla natura non si ritorna mai completa-mente. Si ritorna a un’apparenza selvatica, in cui i segni più evidenti di una addomesticazione, di un uso si possono cancellare, ma ci saranno differenze profonde rispetto all’originale naturale che difficilmente si cancellano o che richiedono tantissimo tempo per sparire effettivamente... Quello che faccia-mo sul paesaggio è sempre una trasformazione nel senso e con l’obiettivo dell’addomesticazione. Prima l’artificio era voluto per rispondere a una ne-cessità - finta, vera, speculativa o generosa - di carattere produttivo, tante volte con conseguenze locali disastrose (dal punto di vista sociale e ambien-tale); adesso l’artificio sarà il cambiamento di queste strutture in un altro artificio con un altro fine... Anche se vogliamo lasciare tutto agli animali, e non entrare mai più in quello spazio, la sua rinascita in quanto tale è nella

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CIVILTÀ DI CANTIERE N. 03 2019N. 03 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE16 17

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is condizione d’artificio, costruito, disegnato, e farà, dunque, parte del mondo antropico. Ci sono molti esempi di processi di questo tipo, guidati dall’idea di riscatto di un luogo disperato, di pulizia di un errore, di riconversione di un luogo inqui-nato e malato, spesso risultato della ricerca di profitto di pochi che stanno lontani da quel luogo e che invece produce malattie e a volte morte di coloro che stanno sul luogo. Tutta l’area della EXPO 98 a Lisbona, riabilitata tra il 92 e il 2000, a cui ho partecipato in buona parte, è un ottimo esempio di un processo di questo tipo.

Ha partecipato a progetti di riqualificazione di aree come quelle che abbia-mo nel Veneto? Ex aree industriali esterne ai centri abitati, capannoni, ecc? Come è possibile renderle di nuovo funzionali?Come dicevo, ho partecipato al processo della EXPO 98, ma anche a tanti altri processi di riconversione di aree ex industriali: nella île de Nantes, in Francia (nella riconversione di un grande scalo ferroviario di profilo indu-striale), oppure a Bergamo, nel lavoro che stiamo portando avanti, insieme a Francisco Mangado, Attilio Gobbi e Camillo Botticini per la riconversione dello scalo ferroviario.Le trasformazioni del modo di vivere, della tecnologia, del disegno delle re-lazioni interregionali ed internazionali, la denuncia, la coscienza diffusa di errori (con conseguenti danni nella salute pubblica) nella concezione di in-dustrie e forme produttive che prima erano conosciute solo da pochi, la rive-lazione di errori a seguito dei progressi scientifici, fanno diventare obsolete industrie, infrastrutture, materiali, rendendo necessario lo “smontaggio “ di enormi aree trasformate nel corso di grandi periodi di tempo. Pensate alle miniere, alle cave d’amianto, etc.: tanti di questi luoghi sono ancora attivi e qualcuno, come per esempio l’ILVA di Taranto, resiste politicamente all’evi-denza della sua imprescindibile destituzione. Tutti questi luoghi sono temi di lavoro fantastici, capaci di dimostrare che la generosità, l’ottimismo, il pensiero positivo verso il futuro, l’idea di costruire un futuro migliore, sono idee contemporanee, che si presentano nel corso del tempo, che rispondono all’emergenza di offrire posti di lavoro e togliere contadini e pescatori dalla loro condizione di autonomia di scarse risorse per farli entrare nella condizione di dipendenti. Era anche questo un pensiero generoso? Cercava veramente di migliorare la condizione di vita delle per-sone? Ci saranno nel futuro dubbi di questo tipo rispetto alle intenzioni che oggi animano le nostre energie di ottimismo e generosità?Questi processi, come tutti i processi di disegno dei segni di volta in volta, nel corso del tempo, strato dopo strato, disegnano il paesaggio, il nostro habitat, durano quel che durano e, dentro a quel tempo, esprimono, come in un ritratto, la comunità che li promuove.

Come vede il futuro della progettazione urbana? Le città cambieranno aspetto e quali saranno i nuovi trend da qui a 5-10 anni?Se mi avessero detto, quando ero piccolo, che le città del 2020 sarebbero state piene di persone grandi, di adulti, in monopattino, non ci avrei mai creduto.Avrei creduto invece a delle città piene di dischi volanti e aerei individuali e oggi non ci sono.Il futuro è sempre capace di sorprenderci...Ma lo ritengo un fattore positivo rispetto a quello che faccio. Direi a tutti di acquistare titoli di società che lavorano sul paesaggio. Le città e le persone saranno più interessate alle relazione tra le diverse entità che costituiscono una città e meno al protagonismo delle star...Saranno più aperte e piacevoli, meno condizionate e ipocrite. Chiacchierare con quello del tavolo a fianco sarà ogni volta più facile e più sorprendente, perché sarà qualcuno che arriva da lontano e racconterà delle storie meravi-gliose.

L’intervistaL’intervista

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18 19 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 03 2019N. 03 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

Il futuro che ci spetta

Industria, nuove competenze e qualità del territorio.

Da sempre, il futuro che ci spetta è intimamente legato al capitale umano che abita un territorio o che quel territorio riesce ad attrarre, trattenere e motivare.È successo a Detroit con la rivoluzione del taylorismo-fordismo del primo Novecento. Quel modello di produzione e di organizzazione del lavoro ha avuto successo non solo per la sua intrinseca superiorità rispetto ai modelli adottati fino a quel momento, ma anche perché l’estrema parcellizzazione del lavoro, la creazione di job molto semplici (ancorchè alienanti), la misura-bilità della prestazione individuale e l’introduzione del cottimo hanno creato le condizioni ideali per portare in fabbrica decine di migliaia di persone poco o per nulla qualificate (dai cow-boy ai boscaioli delle aree attorno a Detroit), di metterle immediatamente al lavoro sulle catene di montaggio in tempi rapidissimi e con bassi costi di addestramento (quasi plug&play), di moti-varle con meccanismi retributivi incentivanti che davano livelli salariali mol-to competitivi e che, tra l’altro, alimentavano i consumi. Ancora oggi, chi va al Greenfield Village di Dearborn (Detroit) ed entra nel “Henry Ford’s Model T District” può rivivere quel periodo.È successo a Torino, a Genova e a Milano, con le grandi fabbriche della pro-duzione industriale di massa, che sono potute decollare perché i territori in cui erano localizzate riuscivano ad attrarre e trattenere decine di migliaia di persone da tutte le regioni del Paese, offrendo loro un posto di lavoro (che in altre parti non c’era) e condizioni di lavoro dignitose.È successo anche in altre parti d’Italia (da Taranto a Fabriano, da Bologna a Pordenone), ma nella variante dei metalmezzadri capace di coniugare le ne-cessità della produzione industriale con le consuetudini e le esigenze delle popolazioni locali.Quindi? Dovremmo dire formidabili quegli anni? Non è questo il punto. Il punto è che in tutti gli esempi citati siamo di fronte a progetti di sviluppo economico e industriale che, in modo più o meno consapevole, sono riusciti a valorizzare il capitale umano disponibile o a creare le condizioni per attrar-re, trattenere e motivare quello mancante.Oggi, invece, i dati del rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile) ci dicono che in Italia gli unici territori capaci di attrarre capitale umano qualificato (persone laureate di età compresa tra 25-39 anni) sono la Lombardia e l’E-

di PAOLO

GUBITTA

Docente Università

di Padova

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is milia Romagna. I report Banca d’Italia sulle economie regionali, inoltre, ci dicono che in queste due Regioni ci sono anche i livelli più alti di reddito procapite, che è una buona proxy della capacità di trattenere e motivare le persone.Tutti gli altri territori devono necessariamente mettersi a correre e, nel frat-tempo, le imprese localizzate al loro interno dovranno trovare soluzioni effi-caci sul fronte del capitale umano.

Le criticità per le impreseSe analizziamo le problematiche, la prima è legata alla ibridazione del lavo-ro e, stante la difficoltà sia a frenare l’emorragia di capitale umano sia ad attrarne da fuori, alla formazione di chi oggi già lavora in queste imprese. Il lavoro ibrido combina e integra le competenze tecniche, gestionali, profes-

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20 21 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 03 2019N. 03 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

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is sionali o relazionali con le competenze informatiche e digitali, le conoscenze per comunicare attraverso i social network, le abilità per interagire con altre persone attraverso la mediazione o l’uso di tecnologie digitali. Così conce-pito, il lavoro ibrido non riguarda solo le attività di nuova concezione, che non potevano esistere prima della capillare diffusione della digitalizzazione, ma anche quelle tradizionali, che non cambiano nome ma modificano il loro contenuto, per adattarsi alle nuove modalità di produzione del valore. È questo il punto più critico, perché l’elevato ritmo delle innovazioni tecnolo-giche e organizzative impone di acquisire velocemente e in modo ricorrente nuove abilità (sociali, tecnologiche, tecniche o professionali). La formazione ricorrente di chi già lavora reclama soluzioni originali, che non possono esse-re i tradizionali percorsi d’aula, ma un modo diverso che possiamo definire modello Lego: da un lato, sessioni formative centrate su competenze e abili-tà specifiche, che il lavoratore acquisisce in fretta e che poi, come con i mat-toncini Lego, aggiunge alla sua professionalità per adattarla quanto basta alle nuove esigenze; dall’altro, metodi didattici partecipati, dove si impara sperimentando, interagendo e osservando gli altri e simulando decisioni, e non solo seguendo una lezione, prendendo appunti e risolvendo casi. Il tipo di formazione che i lavori ibridi reclamano è un approccio plug&play, coerente con i tempi compressi dei cambiamenti, che scaricano sui lavorato-ri tanto la fatica ricorrente di imparare (dato l’elevato ritmo delle innovazioni tecnologiche e organizzative) e di disimparare (perché spesso tali cambia-menti rendono obsolete le pratiche lavorative consolidate), quanto lo stress di doverla fare in tempi molto rapidi, data la velocità con cui le novità ven-gono incorporate nei processi economici. Le posizioni operaie specializzate devono acquisire subito le competenze di soglia richieste dalla Fabbrica 4.0, per non rischiare di essere impiegate nelle attività svolte in modo tradizio-nale e destinate alla progressiva contrazione, e lo stesso fenomeno si verifi-ca in molti altri settori.

Il futuro dello sviluppo imprenditoriale passa dalle politiche di emplo-yer brandingLa seconda criticità è legata allo sviluppo di politiche di employer branding: se le policy pubbliche non riescono a rendere attrattivo un territorio, le im-prese possono provare a rendere attrattive se stesse.Per introdurre questo tema, vien bene portare tre esempi: Denise, 23 anni, da luglio 2019 è nella funzione risorse umane di una storica azienda mani-fatturiera veronese del Made in Italy, da qualche anno nell’orbita di un fon-do internazionale; Chiara, 24 anni, da inizio settembre 2019 lavora nell’area finanza degli uffici milanesi di una Big Tech globale; Fatim, 24 anni, si è trasferita a Barcellona all’inizio di ottobre 2019 ed entrerà nel team controllo di gestione della filiale spagnola di una multinazionale di servizi per l’in-

ternazionalizzazione e la trasformazione digitale. Tutte parlano un ottimo inglese e conoscono almeno un’altra lingua, tutte hanno maturato almeno un’esperienza professionale durante l’Università e tutte hanno un curricu-lum ricco di interessi variegati, di attività di volontariato e di studio in Italia o all’estero. Tutte dovranno chiedere un giorno di permesso a fine ottobre 2019 per tornare all’Università a discutere la loro tesi di laurea ed essere pro-clamate dottoresse magistrali.Le imprese che vogliono attrarre, trattenere e motivare persone come De-nise, Chiara e Fatim devono offrire loro sia posizioni di lavoro interessanti, ricche di contenuto e sfidanti, sia un ambiente di lavoro adeguato. Le poli-tiche di employer branding hanno lo scopo di fare in modo che l’azienda sia riconosciuta e apprezzata come un luogo di lavoro che offre opportunità di sviluppo e un ambiente organizzativo di qualità (non solo professionale). Le azioni di employer branding consistono nell’applicazione dei principi del marketing alla relazione con i collaboratori attuali e potenziali: politiche di internal branding, quando le attività sono rivolte alle persone già impiega-te dall’azienda (si pensi alla cura degli ambienti di lavoro, alla gestione dei rituali aziendali, alla comunicazione interna); politiche di external branding, quando si attivano azioni rivolte principalmente ai potenziali nuovi lavora-tori. L’employer branding è una decisione strategica, da cui emerge in modo non ambiguo cosa offre l’azienda ai propri collaboratori (che deve essere co-erente con cultura, storia, modello manageriale, caratteristiche dei lavorato-ri, immagine del prodotto e del servizio) e che va trasmessa con gli strumenti corretti al mercato del lavoro (sia interno che esterno) in modo altrettanto coerente al fine di creare progressivamente una reputazione aziendale.

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22 23 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 03 2019N. 03 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

L’opinione

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is Un processo collaborativo pubblico privato

L’opinionedi GIOVANNI

SALMISTRARI

Tesoriere ANCE

Credibilità, autorevolezza e fiducia: tre “virtù” che integrate fra loro possono fare la differenza.

Colpisce sempre come il nostro Paese si trovi a dover fare i conti con delle opportunità non colte. Così come con ritardi e carenze che evidenziano cri-ticità rilevanti che troppo spesso impediscono di agganciare il treno della ripresa.Ragionare sul tema della rigenerazione urbana costituisce troppo spesso nel nostro Paese un mero esercizio intellettuale. Esercizio importante ma sterile. Se, infatti, si vuole fare un bilancio tra la ricchezza del dibattito e della riflessione e il risultato concreto in numero e dimensione degli inter-venti, valutandone gli effetti sul piano economico e sociale, il delta appare davvero molto ampio.Soprattutto colpisce come stenti ad affermarsi presso la classe politica e amministrativa la consapevolezza dell’importanza di concentrare impe-gno progettuale, competenze e risorse finanziare sull’adeguare l’efficienza delle nostre città e la qualità della vita delle popolazioni agli standard eu-ropei e internazionali. Con questo non si vuol dire che non si sia fatto nulla, ma, come del resto è stato anche evidenziato in precedenti edizioni della Construction Conference, nel nostro Paese non si è mai riusciti a realizzare pienamente progetti complessi e soprattutto rispettando i tempi previsti, se non in rare occasioni e spesso collegandoli ad eventi e manifestazioni straordinarie. E non è un caso che oggi, dovendo fare riferimento a un’e-sperienza di successo, si parli sempre e quasi esclusivamente di Milano. Ragionare oggi senza pregiudizi, ma anche senza illusioni sulla rigenera-zione nel nostro Paese, dovrebbe portarci ad alcune considerazioni ogget-tive. La prima delle quali riguarda i tempi e le risorse necessarie per rea-lizzare quei progetti che oggi hanno consentito a molte capitali e grandi e medie città del Nord, così come nel Sud d’Europa di aver cambiato volto e migliorato sensibilmente mobilità urbana e qualità del vivere. Poche sono state le nostre amministrazioni che hanno saputo inserirsi nell’alveo pro-grammatico promosso dall’Unione Europea per i finanziamenti destinati proprio alla rigenerazione, uno degli asset strategici di quasi un ventennio. Potremmo dire che “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”. Oggi infatti altri sono gli ambiti prioritari che caratterizzano la programmazio-ne europea. Avere la consapevolezza di ciò comporta un cambiamento di

prospettiva. E il caso di Milano ce lo conferma. Qui la rigenerazione è figlia delle risorse investite nell’EXPO e della capacità dell’amministrazione di aprire agli investitori privati creando le necessarie condizioni amministra-tive e urbanistiche. Dobbiamo fare da soli, attraverso un cambiamento radicale di approccio al tema e superando le diffuse e consistenti incrosta-zioni normative, procedurali e burocratiche che impediscono una gestione amministrativa dei processi di trasformazione e valorizzazione di aree de-gradate e dismesse, sia pubbliche che private.Riflettere su dove si concentrino le risorse e come attingervi è esercizio necessario ma non sufficiente. Così come creare le condizioni per attrarli. È ancora più importante saper comunicare e perseguire un disegno chiaro. E questo è il compito della politica. È la politica che deve scegliere, indica-re la strada, perseguire l’obiettivo con rigore e decisione, trasmettendo a operatori, cittadini e investitori un messaggio di credibilità, autorevolezza e fiducia. Tre “virtù” che integrate fra loro possono fare la differenza. Vi è poi un terzo aspetto, anch’esso di natura culturale e figlio di una men-talità antica e di un modo di pensare che riscontriamo spesso nella nostra regione e che trae le sue radici dalla nostra forte tradizione contadina: un innato timore dell’altro che porta a una concorrenza esasperata. Si trat-ta di una carenza particolarmente radicata e forte all’interno della filiera delle costruzioni, dove al di là di temporanei accordi e aggregazioni risulta quanto mai difficile sviluppare percorsi di collaborazione e di integrazione più stabili. Un elemento che potrebbe risultare decisivo per il nostro futuro come ecosistema. Perché questa bassa disponibilità ad abbracciare una logica collaborativa si scontra duramente con quanto avvenuto in tutto il mondo quando si sono intrapresi percorsi virtuosi di rigenerazione di pezzi di città. Il loro successo è, infatti, dovuto in misura rilevante alla collabo-razione inter istituzionale, al superamento delle differenze ideologiche e partitiche, ad un’ampia apertura alla collaborazione tra pubblico e priva-to, al dialogo e alla condivisione. Questo discorso vale in modo particolare quando si intende andare oltre un modello policentrico, verso una sempre maggiore integrazione, come nel caso di realizzare un’area metropolitana in grado di essere il terzo polo del nuovo triangolo industriale italiano.

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L’intervista

25 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 03 2019

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Un confronto con una delle realtà che ha fatto dell’innovazione tecnolo-gica il suo core business e la sta applicando anche a sistemi complessi di gestione dei territori.

Quali sono secondo voi gli scenari di innovazione e le tecnologie che an-dranno a contribuire a costruire le citta del futuro? Le tecnologie ovviamente sono in costante evoluzione per definizione; in Microsoft diamo un particolare focus a quelli che sono i servizi che potrem-mo definire “esperienze digitali”. Grazie ad esse il cittadino potrà vivere la città del futuro in una modalità più completa nella sua quotidianità, grazie ad un utilizzo degli spazi necessariamente in discontinuità rispetto al pas-sato. Parliamo di cittadini, ma le esperienze digitali influenzeranno tutti gli attori dell’universo cittadino, siano essi visitatori, turisti, inquilini, operai o addetti alla manutenzione. Sono loro ad essere influenzati dalle esperienze che si possono creare nel momento in cui la tecnologia, gli aspetti sociali e il modo di vivere gli spazi vanno a fondersi. Alcuni concetti sono già presenti oggi, altri sono in divenire. Tra i campi di applicazione “core” possiamo an-noverare il risparmio energetico, la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente. Questi aspetti per Microsoft rappresentano un punto di partenza fonda-mentale perché l’impatto sulle tematiche ambientali va di pari passo con l’efficientamento. Efficientare significa risparmiare e tale risparmio può es-sere convertito in ulteriori esperienze digitali che permettono alle città di proseguire nel loro flusso evolutivo. Anche i servizi hanno un importante effetto sul percepito delle persone che vivono lo spazio urbano; gestire informazioni in modo efficiente permette infatti di anticipare i disservizi, garantendo una pronta soluzione alle proble-matiche del cittadino. Esistono aspetti di sicurezza che utilizzano le nuove tecnologie, come la cosiddetta Computer Vision per analizzare l’ambiente circostante fornendo agli addetti alla sicurezza un flusso di dati che acce-lerano la capacità di intervento. Le esperienze digitali hanno assunto un ruolo importante anche nelle nostre case grazie al concetto di Smart Home; le case intelligenti del futuro avranno sempre più sistemi evoluti che per-metteranno un più efficiente e pratico controllo dell’illuminazione o dell’en-tertainment. Ciò avrà un innegabile impatto anche nel mondo lavorativo in quanto gli uffici beneficeranno di una migliore organizzazione con ricadu-te importanti in termini economici, energetici e di qualità del lavoro. Basta

Le esperienze digitali al servizio delle città

a MASSIMILIANO

FUCCILO

Head Digital

Advisory Microsoft

e FABIO MOIOLI

Direttore della

Divisione

Enterprise Services

di Microsoft Italia

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L’intervistaL’intervista

26 N. 03 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE 27 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019

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isimmaginare un futuro in cui un edificio adibito ad uffici raccoglie le infor-mazioni sulle riunioni che sono state organizzate per il giorno successivo, integrando questi dati con le previsioni del tempo e le preferenze dei singoli lavoratori sulle modalità di utilizzo delle sale riunioni. Chiaramente questo mix di valori può proporre un sistema efficiente di organizzazione andando incontro anche alle preferenze del singolo lavoratore ed evitando gli sprechi. Chi preferisce lavorare in una stanza più calda, ad esempio, potrebbe essere convogliato in sale riunioni più interne, dove la temperatura è più alta, chi invece preferisce abbassare la temperatura potrebbe essere sistemato in zone meno calde.Sempre parlando di soluzioni digitali poi ovviamente c’è la mobilità. Non parlo solamente di car sharing che già rappresenta una realtà consolidata delle metropoli odierne; mi riferisco piuttosto alla possibilità per chi guida un’auto di conoscere i percorsi, i costi e i tragitti in anticipo integrando tali elementi con le esigenze specifiche di ciascun individuo. Sicuramente in termini di tecnologie abilitanti oggi microsoft sta investendo molto ma allo stesso tempo occorre considerare un futuro sempre più iperconnesso dove reti anche mobili diventeranno sempre pù potenti e la capacità elaborativa di storage di informazioni crescerà in maniera esponenziale raccogliendo ou-tput forniti da sensori, smartphone e telecamere. Tuttavia è chiaro che tutte queste informazioni non sono utili se non vengono analizzate per estrarre del valore ed è qui che l’intelligenza artificiale assume un ruolo da prota-gonista creando aggregati elaborati utili alla creazione dei servizi già citati.

Quali sono le soluzioni tecnologiche e i servizi digitali che caratterizzeran-no le città (smart) del futuro (es. mobilità, smart buildings, connessioni e interoperatività, circular economy)? Una smart city non può definirsi tale se non viene in qualche modo suppor-tata dalla creazione dei cosiddetti digital lab del quartiere o social street così definite in quanto strettamente legate al substrato sociale, alle persone che, stando in uno stesso quartiere, o edificio in qualche modo collaborano attivamente per supportarsi vicendevolmente al fine di migliorare il loro sti-le di vita. Questo cambiamento non può fare a meno di tecnologie e servizi digitali che permettano a chi vuole vivere attivamente il suo spazio sociale di raccogliere informazioni, condividere digitalmente e attivare processi di-gitali che in qualche modo possano essere utili a tutti. Dietro a tutti questi ci sono sensori attuatori: componenti hardware che sono sempre più piccoli ed economici. Sono strumenti che beneficiano di tutte le informazoni in tempo reale grazie alla capacità oggi del fast computing di mettere in connessione i vari servizi digitali. L’obiettivo finale è quello di fornire la capacità cognitiva alla città, costruen-do una rete neurale di infrastrutture connesse che utilizza gli impulsi reci-

proci per imparare in modo costante ed evolversi. Vuol dire sostanzialmente che essere in grado di imparare da quello che sta succedendo garantendo a chi vive gli spazi tutte le informazioni necessarie al miglioramento dell’e-sperienza di vita quotidiana. Un elemento che mi sento di specificare è che bisogna evitare di focalizzarsi solo sulle soluzioni tecnologiche come se fos-se un punto di arrivo; per definizione, infatti, l’evoluzione tecnologica è tal-mente rapida che non ci permette di definire oggi quali saranno le soluzioni e i servizi che via via nel futuro arriveranno. Quindi è importante che tutte queste soluzioni e questi servizi sin da oggi siano comunque pensati e svi-luppati con quella che viene definita “soluzione di piattaforma open”, vale a dire l’utilizzo di standard e dati che siano al centro della guida per l’integra-zione dei servizi digitali.

Quali sono i fattori critici di successo affinchè la tecnologia possa assumere un ruolo di rilievo nella pianificazione e nella governance delle città italia-ne nei prossimi anni? Il mondo delle costruzioni in generale purtroppo parte già svantaggiato, dal punto di vista dell’evoluzione digitale, rispetto ad altri comparti industriali. Tuttavia l‘adozione del building information modeling, ovvero il cosiddetto BIM, secondo noi è la chiave per la trasformazione digitale che è elemento imprescindibile all’introduzione di qualsiasi tecnologia. La presenza di una serie di regole, contrariamente a quanto molti credono, non è un tema di modellazione di oggetti nello spazio o meglio non è solo quello; in realtà è anche e soprattutto il processo metodologico che porta alla creazione di una piattaforma dati, il cosiddetto “common data environment”, un set di dati comuni che il BIM definisce per mantenere una costante evoluzione di quan-do si pianifica la costruzione o la riqualificazione di un quartiere, di una città o di un opera in generale, fino ad arrivare a quella che è la sua manutenzione. L’ adozione del BIM e quindi la capacita del nostro ecosistema pubblico (ma anche privato) di adottare questo nuovo approccio cambia, a mio avviso, un po’ le regole del gioco perchè mette sicuramente al centro lo sfruttamento pieno degli spazi, offrendo soluzioni circa l’offerta di servizi delle metropoli. Le regole di cui abbiamo già parlato attraversano l’ intero ciclo di vita del-la costruzione sfruttando ovviamente tecnologie come l’iper connessione, il cloud age e l’intelligenza artificiale, che rimane il cardine su cui attuare praticamente queste tecnologie.

Potrebbe riportare un caso concreto (non necessariamente italiano) di im-piego di nuove tecnologie che ha visto Microsoft protagonista, e che ha avuto un impatto apprezzabile sulla vivibilità di una città (o di una vasta area di essa)?Sicuramente ci sono stati molti casi in Europa e nelle Americhe. Un caso

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L’intervista Nuovi modelli, approcci e strategie per lo sviluppo economico riavvici-nandosi al territorio e alle comunità locali.

L’economia circolare è il nuovo paradigma di creazione del valore che mira a slegare lo sviluppo di imprese e territori dal consumo delle risorse naturali esauribili, mantenendone nel tempo il valore. Sostenuta dalla transizione verso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, l’economia circolare si basa fondamentalmente sulla ri-progettazione di prodotti e servizi e sullo svilup-po di nuovi modelli di business legati, ad esempio, a modelli di servitizza-zione dell’asset o all’utilizzo di scarti come risorse per l’approvvigionamento (figura 1).Allontanandoci momentaneamente dal mondo delle imprese, per guardare quello delle istituzioni, possiamo renderci conto che Circular Economy signi-fica soprattutto nuova politica industriale, fatta di regolamenti e normati-ve capaci di supportare e incentivare la competitività di lungo termine delle imprese. Azioni come il riavvicinamento delle attività produttive ai territori e alle comunità locali, il riutilizzo dei materiali e l’approvvigionamento da fonti rinnovabili, possono contribuire all’obiettivo di rigenerazione del capitale naturale del Pianeta – tema estremamente attuale, sostenuto soprattutto dalla necessità di risposta a sfide come scarsità di risorse naturali finite e volatilità dei mercati in cui le risorse sono scambiate.Come riconosciuto anche da molti primari attori istituzionali (es. Nazioni Unite, OCSE, Commissione Europea, Banca Europea per gli Investimenti), l’economia circolare mira a incrementare l’efficienza e la resilienza dei si-stemi economici, preservando al massimo il valore insito nei prodotti, com-ponenti e materiali. L’acquisizione di un livello crescente di resilienza ed efficienza, per effetto del paradigma circolare, apre quindi la via a un pro-cesso complessivo di riduzione del rischio sistemico dell’economia. Infatti, le aziende che si orientano verso un modello circolare possono aumentare la loro competitività a medio-lungo termine, divenendo più attraenti anche per le istituzioni finanziarie in termini di finanziamenti e supporto creditizio, creando al tempo stesso un impatto positivo all'interno delle comunità in cui operano.I benefici per le aziende sono apprezzabili in termini di riduzione dei costi di approvvigionamento, di aumento dei ricavi e di fidelizzazione della clientela.

di LUIGI EUGENIO

RICCARDO

Intesa Sanpaolo

Innovation Center

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is Economia Circolare: facciamo il puntomolto significativo di successo riguarda proprio Microsoft che ha avviato il proprio percorso di smart city nel campus di Redmond, nel nostro quartier generale vicino a Seattle dove ci sono circa 170 edifici. In questo caso si è partiti da un vero discorso di componente energetica per efficientare, a livello di costi e in un’ottica di green (la componente energetica). Ci sono state delle riduzioni di oltre 20 punti percentuali sugli edifici co-struiti, dimostrando che tali sviluppi possono riguardare tanto gli edifici costruiti da zero quanto quelli meno recenti che utilizzano le tecnologie più disparate. Abbiamo rilevato un impatto notevole sul miglioramento dei tempi di manutenzione. Su circa 30 mila casi di incidenti di diversa na-tura abbiamo ottenuto una riduzione della metà dei tempi di risoluzione di questi problemi, anche perché la maggior parte si riusciva a prevedere, grazie a concetti di manutenzione produttiva. È un campus ma la potremmo benissimo paragonare a molte citta italiane in termini di servizi, di numero di famiglie, rappresentando un campione molto ampio. Il campus viene utilizzato da Microsoft anche per sperimen-tare sul campo le tecnologie e i concetti di Smart city che via via introdu-ciamo, per ricavarne un impatto reale e per aggiornare i vari clienti con cui lavoriamo in giro per il mondo. Siamo partiti con l’obiettivo iniziale di semplice riduzione dei costi e di maggiore efficienza energetica, ci siamo resi conto in realtà che con le informazioni raccolte dall’edificio connesso, il gemello digitale di questa cittadina, riuscivamo ad offrire alle persone che vivono nel campus espe-rienze personalizzate.

In Italia esistono casi simili?In Italia un caso condivisibile è sicuramente il caso di Chorus Life di Ber-gamo. Abbiamo collaborato direttamente con loro per attivare quello che è un cantiere ancora in corso. Sarà un campus che rivede completamente il modo di vivere l’ambiente di lavoro. È stata bonificata la zona di Berga-mo dove verranno realizzati edifici abitativi, un’arena sportiva, dei boschi, un parco pubblico. Il nostro contributo è stato proprio quello di disegnare le esperienze digitali e le tecnologie che rendono possibile questo tipo di scenario. Un altro esempio eclatante è stato quello realizzato con il Ma-drid football club, in Spagna: abbiamo collaborato direttamente con il club sportivo per rivedere completamente la filosofia con cui lo stadio viene utilizzato, quindi tutto l’ecosistema che gira intorno in termini di servizi allo sportivo. Anche in questo caso parliamo di accompagnamento del vi-sitatore in tutto il suo percorso, da quando è a casa e si organizza per un evento sportivo fino a quando arriva allo stadio, usufruendo, ad esempio, di concetti di smart parking, di smart access che se vogliamo sono i pez-zetti del puzzle che compongono la definizione di smart city completa.

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is Una progettazione circolare dei beni di consumo, al fine di recuperare le ri-sorse utilizzate inizialmente, evita un’estrazione intensiva di materie prime, la cui gestione spesso è connessa a criticità esogene e soggetta a crescente volatilità. Infine, in termini economici, autorevoli studi stimano al 2030 in 4,5 trilioni di dollari il potenziale di messa in sicurezza del PIL mondiale, grazie all’e-conomia circolare, e risparmi per approvvigionamento di risorse e materie prime in Europa di circa 1,8 trilioni di euro. L’Italia può giocare un ruolo fon-damentale in questa fase di transizione, puntando sulle caratteristiche di-stintive del Made in Italy, sulla propria leadership nell’ambito del design e sulla forza delle filiere produttive.

Città e Economia Circolare per il settore construction A causa della loro densità, le città hanno un enorme potenziale per disin-termediare gli stili di vita moderni dal consumo incondizionato di materiali, con conseguente generazione di esternalità negative (es. inquinamento). Le sfide che dovremo affrontare sono molteplici e complesse, in termini di au-mento demografico e disponibilità di materie prime (per tutti) - soprattutto considerando che entro il 2050, il 66% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane.Forse non sorprende che l'industria delle costruzioni sia il maggiore consu-matore di risorse e materie prime non rinnovabili. Le città in rapida ascesa hanno l’enorme opportunità di sfruttare le tecnologie digitali per aiutare a condividere spazi ed edifici in modo efficace, tracciare i materiali lungo la loro vita, favorire il riutilizzo di tali materiali e aumentare l'accesso ai servizi per il cittadino. Le città hanno anche ampio margine per migliorare i risultati in termini di utilizzo effettivo degli spazi: il 60–65% degli uffici in Europa, ad esempio, è sottoutilizzato anche durante l'orario di lavoro. L’applicazione dell'economia circolare ai principi per la progettazione delle infrastrutture urbane è fondamentale per sviluppare nelle città economie inclusive, che funzionino a lungo termine. Infrastrutture ed edifici progettati per essere de-costruiti a fine vita, anziché demoliti, sono parte di un pensiero circolare ambizioso e dirompente. Ma quali sono i modelli e le tecnologie apparte-nenti al mondo della Circular Economy per il settore delle costruzioni? Le caratteristiche principali, alla base del modello circolare, sono:• Disassemblabilità e design modulare - progettazione orientata a rendere

facile la successiva dismissione dell’oggetto/struttura, adottando solu-zioni di logistica inversa per il recupero di componenti e materiali.

• Durabilità – creazione di prodotti finiti di alta qualità, il cui valore può essere mantenuto a lungo nel tempo e al più alto livello possibile, anche grazie a facilità di riparazione, manutenzione e upgrading dei componenti.

• Energia rinnovabile - utilizzo di energia da fonti rinnovabili come base per la trasformazione, migliorando le prestazioni degli impianti, raggiungen-do l’autonomia energetica e favorendo un’infrastruttura di smart grid.

• Servitizzazione - offerta di servizi/spazi in modalità pay-per-use, fideliz-zando i clienti e mantenendo il controllo del bene nel tempo.

• Tracciabilità e monitoraggio– pensare ai materiali utilizzati come ad una risorsa perenne, capace di essere recuperata a fine vita in maniera sem-plice e conveniente. Un edificio, ad esempio, può essere visto come una banca di materiali, i quali sono stati stoccati nella struttura edilizia solo per un periodo di tempo limitato (pari alla vita utile dell’edificio).

• Utilizzo di materia bio-based o riciclata - utilizzo di materiali rinnovabili, riducendo la dipendenza da materie vergini tradizionali e la relativa espo-sizione alla volatilità dei prezzi.

Il Gruppo Intesa Sanpaolo e l’impegno per la Circular EconomyIntesa Sanpaolo, attraverso il presidio di Intesa Sanpaolo Innovation Center - società del Gruppo dedicata all’innovazione - ha colto il potenziale strate-gico di questo nuovo paradigma già diversi anni fa e dal 2015 è fortemente impegnata ad accelerare la transizione verso l'Economia Circolare. La banca è il primo Financial Services Global Partner della Ellen MacArthur Founda-tion, il più importante player in questo campo, e partecipa attivamente ai principali tavoli di lavoro nazionali e internazionali sul tema, collaborando anche con le Istituzioni e gli stakeholder più rilevanti.L’economia circolare è stata inserita nel Piano d’Impresa 2018-2021 del gruppo bancario come uno dei principali driver per generare un impatto posi-tivo sull’ecosistema italiano e internazionale. Infatti, ripensare gli strumen-ti finanziari è un fattore chiave per supportare il re-design dell’ecosistema industriale.A dimostrazione del concreto impegno della banca a inizio 2019 è stato lan-ciato un plafond di 5 miliardi di euro, per finanziare progetti innovativi e trasformativi orientati alla circular economy, per aiutare gli imprenditori a trasformare il proprio modello di business in ottica circolare. Inoltre, a fine 2018, Intesa Sanpaolo, in collaborazione con Fondazione Cari-plo, ha inaugurato il Circular Economy Lab a Milano - luogo di aggregazione della community legata ai temi di economia circolare e veicolo di sperimen-tazione di nuovi modelli di business per aziende corporate, PMI, startup e player pubblici, in un’ottica di open innovation.Questo nuovo paradigma economico apre la via a un processo complessi-vo di riduzione del rischio sistemico dell’economia e la finanza a sostegno dell’economia reale gioca un ruolo decisivo nella transizione da un modello lineare a un modello circolare, cogliendo l’opportunità strategica di ridefinire il concetto di rischio d’impresa.

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Organizzare un nuovo spazio metropolitano per rilanciare lo sviluppo.

Il fenomeno urbano sta vivendo in diverse parti del mondo un nuovo rina-scimento. Secondo McKinsey Global Institute la crescita dell’urbanizzazio-ne, in particolare nelle economie emergenti, costituisce una delle quattro grandi tendenze del nostro tempo1. Le altre tre forze che stanno segnando le trasformazioni del futuro appaiono più scontate e, a prima vista, anche in contraddizione con la prima: l’accelerazione dei cambiamenti tecnologici, l’invecchiamento della popolazione, la crescita delle connessioni produttive, finanziarie e culturali nel mondo. Per quale motivo le persone dovrebbero cercare di vivere e lavorare nelle città – luoghi per definizione più affollati, inquinati e costosi – nel momento in cui le tecnologie digitali ci consentono di comunicare e organizzare molte delle nostre attività a distanza con costi sempre più bassi, quando non nulli? In realtà, per quanto la crescita delle grandi città si stia manifestando a scala globale – ogni anno 65 milioni di persone si spostano dalle aree non urbane ai principali centri metropolitani – lo sviluppo economico urbano risulta piut-tosto selettivo. In altri termini, solo alcune città, e non altre, sono riuscite ad intercettare i flussi della ricchezza, diventando attrattive per i talenti e gli investimenti. Questo fenomeno di crescita selettiva è particolarmente evidente negli USA. Uno studio recente ha mostrato come la mobilità re-sidenziale delle persone fra le diverse aree metropolitane all’interno degli Stati Uniti sia aumentata a partire dagli anni ’80, proprio quando iniziava ad affermarsi l’economia digitale2.

Le divergenze fra città crescono con l’economia digitaleRispetto al periodo precedente ci sono tuttavia due aspetti da considerare. Il primo è che la mobilità è oggi espressa soprattutto dal capitale umano più qualificato, rappresentato in particolare da chi è in possesso di un ele-vato titolo di studio, dunque dai talenti e dalla classe creativa. Il secondo aspetto è che, se prima degli anni ’80 la mobilità del capitale umano ge-nerava processi di convergenza – i laureati aumentavano di più nelle città

1 McKinsey Global Institute, The four global forces breaking all the trends, 2015.2 Elisa Giannone, Skilled-Biased Technical Change and Regional Convergence, Working Paper Princeton University, 2017

Premiare chi sceglie di esportare prodotti sostenibili e penalizzare chi non lo fa potrebbe essere un incentivo per favorire l’attenzione all’ambien-te anche in ambito industriale.

La Presidente Ursula Von der Leyen, nel suo discorso al Parlamento Eu-ropeo, ha detto:” il commercio non è fine a se stesso, ma un mezzo per assicurare prosperità qui da noi e per esportare i nostri valori nel mondo. Mi adopererò affinché ogni nuovo accordo concluso contenga un capito-lo distinto dedicato allo sviluppo sostenibile”. Se i “nostri valori” sono la libertà individuale, l’eguaglianza, il rispetto dell’ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori, la parità di genere, etc … allora dobbiamo trovare il modo affinché questi valori siano perseguiti anche in altri Paesi.Nel mondo occidentale il consumatore è sempre più attento a ciò che ac-quista e tende sempre più a premiare il valore percepito di un prodotto o servizio; valore che può essere rappresentato da una catena di fornitura sostenibile, dal risparmio energetico o idrico, come dall’attuazione di com-portamenti etici e responsabili di chi produce il bene. Questi fattori tendo-no a bilanciare la valutazione qualità – prezzo. Ma molto spesso non è così; laddove il grado di istruzione è più basso, la maturità sociale è scarsa e il benessere economico inferiore, allora è il prezzo a dettare legge. Dobbiamo invertire questa logica e contrastare prodotti che vengono realizzati senza il rispetto dell’ambiente, senza condizioni di tutela dei lavoratori, senza il rispetto dei diritti, insomma senza tutti quegli elementi che noi definiamo i “nostri valori”. Ai prodotti che provengono da paesi dove questi aspetti non sono tenuti in considerazione bisogna applicare i dazi; dazi seletti-vi in funzione di quegli aspetti di sostenibilità che non vengono tenuti in considerazione. Così facendo si può adeguare il prezzo al valore del bene prodotto, disincentivando pratiche non etiche e creando una reale compe-titività.Le certificazioni di prodotto serie e rigorose, possono essere lo strumento per garantire il rispetto dei “valori” che la Presidente Von der Leyen ha richiamato. Il sistema “Infrastruttura della Qualità”, così come definito a livello inter-nazionale, che si basa sulla normazione, sull’accreditamento e sulla certi-ficazione, è lo strumento per misurare il valore dei prodotti e compensare, con il prezzo, le differenze di sostenibilità ambientale e sociale.

Rinascimento urbano, ma non ovunqueDare valore alla sostenibilità...con un dazio

di LORENZO

ORSENIGO

Direttore Generale

ICMQ SpA

di GIANCARLO

CORÒ

Docente Università

“Ca’ Foscari”

Venezia

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La prima è matching: le grandi città sono innanzitutto spazi di opportunità nei quali un lavoratore può più facilmente trovare o cambiare occupazione senza cambiare casa, un cittadino può godere di un’ampia scelta di servizi, negozi e relazioni senza spostamenti eccessivi, e un’impresa può trovare clienti e fornitori con cui interagire direttamente nel raggio di accessibilità alla propria sede. Questi processi non hanno solo un effetto immediato, ma generano una maggiore produttività nel lungo periodo in quanto ali-mentano la competizione e una più efficiente allocazione dei fattori pro-duttivi.Una seconda parola chiave è sharing: la densità urbana facilita lo scambio e la condivisione di conoscenze complesse, rendendo possibile la forma-zione di quell’intelligenza collettiva che è alla base delle innovazioni più importanti. Nel mercato del lavoro tale fenomeno è noto anche come ef-fetto pooling: la ricerca da parte di tecnici, esperti e professionisti di par-tecipare a reti di collaborazione e divisione del lavoro cognitivo. La crescita della dimensione immateriale dell’economia tende ad accentuare questi processi, sia perché rende più facile la mobilità spaziale delle organizzazio-ni produttive, sia perché accentua la possibilità di creare sinergie tra asset complementari, a partire da conoscenze e competenze di imprese diverse5. Si collega a tale processo la terza parola chiave, che è learning: le città sono luoghi dove si sviluppa un’ampia varietà di attività produttive e di servizio, che a loro volta si basano su conoscenze, competenze e know-how. Questo patrimonio di competenze diversificate è la vera ricchezza delle città, in quanto genera processi di apprendimento continuo, accrescendo la resi-lienza ai cambiamenti economici e aumentando il potenziale di innovazio-ne tecnologica. Una quarta parola chiave è bene comune. Oltre ai processi di learning by doing le conoscenze vengono prodotte da istituzioni educative specializ-zate, in particolare le università, che sono un fenomeno tipicamente ur-bano. Le università trasmettono impulsi economici al territorio attraverso diversi canali – l’aumento di produttività generato dal capitale umano, i progetti di innovazione condivisi con imprese e altre istituzioni, i consumi diretti, la vivacità culturale, politica, democratica – e per tale motivo costi-tuiscono uno dei beni comuni più importanti di una città di successo. Infine, una quinta parola per indicare un carattere importante di un’area urbana attrattiva è connettività. I grandi nodi infrastrutturali hanno infatti bisogno di economie di scala che solo le maggiori agglomerazioni riesco-no a fornire. Allo stesso tempo, un territorio connesso alle grandi reti di trasporto e comunicazione riesce meglio ad attrarre attori globali, come i

5 Jonathan Hastle, Stian Westlake, Capitalism without Capital. The rise of the intangibleeconomy, Princeton University Press, 2018.

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dove erano meno presenti, mentre crescevano in misura minore dove c’era abbondanza – nell’epoca digitale avviene l’esatto contrario, e la tendenza diventa dunque quella della progressiva divergenza fra città sempre più at-trattive di talenti da un lato, e le aree dell’esodo dall’altro. In questo modo si accentua dunque la distanza fra le cosiddette Alpha City, come Boston e San Francisco, e le Apocalypse Town, come Detroit e Pittsburgh. Un fenomeno analogo, anche se non con la stessa intensità con cui si manifesta negli Usa, sta avvenendo anche in Europa. La straordinaria crescita di Londra rispetto al resto del Regno Unito è uno dei casi più evidenti. Ma anche Parigi continua a mostrare livelli di ricchezza di gran lunga superiori al resto della Francia. In Italia è Milano a costituire oggi il centro di gravitazione degli investimenti in innovazione, servizi qualificati, finanza, istruzione superiore. Con un’ac-celerazione che rischia non solo di lasciare indietro le altre città, ma anche di far scivolare diverse aree lungo la deriva di periferie in declino irreversibile. E con esiti che tendono ad autoalimentarsi anche in conseguenza dei pro-cessi immobiliari. Le città più attrattive, oltre a godere di flussi di lavoratori qualificati e di investimenti produttivi che contribuiscono ad accrescere in-novazione, produttività e prosperità, vedono altresì crescere i valori di un pa-trimonio la cui offerta, com’è noto, fatica a seguire il ritmo della domanda. Al contrario, le aree di declino assistono a una discesa talvolta drammatica dei valori immobiliari – a fronte della caduta della domanda di abitazioni e spazi produttivi, l’offerta rimane per definizione inchiodata sull’esistente – trasformando voci solitamente considerate all’attività dei bilanci, in vere e proprie passività. Dobbiamo a questo punto capire le ragioni economiche di un fenomeno che sta avendo anche rilevanti conseguenze politiche. Come ha ben mostrato Andrés Rodríguez-Pose, l’affermazione dei movimenti populisti in nume-rose consultazioni elettorali nei paesi più sviluppati, si può spiegare proprio con la “vendetta dei luoghi che non contano nulla”3. Lo squilibrio fra territo-ri all’interno dei diversi paesi sta infatti diventando una nuova dimensione delle disuguaglianze, che accentua quelle create da sviluppo tecnologico e globalizzazione.

Cinque parole chiave per spiegare il successo dei grandi centri metro-politaniSeguendo l’analisi di César Hidalgo e del suo gruppo di ricerca4, il successo dei grandi centri metropolitani può essere spiegato con alcune parole chiave.

3 André Rodríguez-Pose, The revenge of the places that don’t matter, Cambridge Journal ofRegions, Economy and Society, 11, 2017.4 César Hidalgo et al., Complex Economic Activities Concentrate in Large Cities, Papers in Evolutionary Economic Geography, University of Utrecht, 2018

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Treviso e Verona, ai due interporti di primo livello di Verona e Padova, al porto industriale e commerciale di Venezia. Ci sono poi quattro atenei fra i migliori d’Italia, ma anche un insieme di licei e istituti tecnici industriali di ottimo livello. Con Arena, Fenice e Teatro Olimpico, il Veneto centrale dispone di un potenziale di offerta culturale da fare invidia a molte capitali europee. Abbiamo poi due policlinici universitari e una rete di ospedali con specializzazioni eccellenti. Ma anche sistemi ambientali – dagli Euganei, alle colline del Prosecco, al litorale – che costituiscono parchi naturali dal-le straordinarie qualità paesaggistiche e ricreative. Non dobbiamo inoltre sottovalutare quel patrimonio di conoscenze produttive e know-how accu-mulato nei distretti industriali della regione, il cui potenziale di innovazio-ne aumenterebbe in misura significativa se le imprese potessero accedere più facilmente a un mercato di servizi specializzati che solo la complessità metropolitana può sviluppare. Per valorizzare queste risorse, è necessario integrarle all’interno di uno spazio metropolitano ad elevata accessibilità, che oltre a rendere più efficiente l’attività delle imprese, crei un ambiente più vivibile, vivace e attrattivo. Una nuova stagione di sviluppo non può che passare attraverso una migliore organizzazione metropolitana del territorio. Non riguarda solo l’agenda della politica, ma anche degli attori economici, sociali e culturali che abbiano voglia e forza di guardare avanti.

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gruppi multinazionali e le istituzioni internazionali, che alimentano con la loro stessa presenza l’apertura e la cultura globale del territorio.

Una politica per spazi metropolitani policentriciI processi di urbanizzazione assumono dinamiche e forme diverse in rela-zione ai contesti geografici, economici e sociali in cui si sviluppano. Nelle economie emergenti dell’Asia orientale l’urbanizzazione sta avvenendo in modo dirompente, con la formazione in pochi anni di enormi mega-city nelle quali si concentrano grandi risorse economiche, ma anche molti problemi ambientali, sociali e politici. Per l’Europa l’urbanizzazione è un fenomeno consolidato, per il quale, causa anche stagnazione demografica, le trasfor-mazioni prevedibili non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quan-to sta avvenendo nelle aree in via di sviluppo. Per ragioni storiche e culturali, è anche difficile immaginare che in Europa si manifestino flussi di mobilità residenziale equivalenti a quelli degli Stati Uniti, con l’aumento di squilibri tra aree metropolitane già oggi drammatici. Ciò non significa che per le città europee non ci siano prospettive di cambiamento. L’interrogativo è come favorire modelli di sviluppo urbano che accrescano la capacità di innovazione – grazie alla concentrazione di attività e conoscen-ze – senza tuttavia accentuare la disuguale distribuzione delle ricchezze fra territori. Una politica possibile è creare spazi metropolitani policentri-ci attraverso l’integrazione fra città, distretti, aree rurali, con l’obiettivo di diffondere le opportunità della qualità urbana, senza stravolgere l’attuale struttura insediativa della popolazione. Non mancano in Europa casi di suc-cesso cui riferirsi. Fra questi l’area metropolitana della Ruhr, che attraverso una politica ambientale, culturale e di comunicazioni ha saputo rilanciare lo sviluppo di una regione che sembrava condannata al declino industriale. Op-pure la cooperazione nel sistema metropolitano Rotterdam-Den Haag, che oltre a creare un efficiente sistema integrato di trasporto, ha anche promos-so politiche comuni su ambiente, ricerca industriale, istruzione superiore. Un caso di successo in Italia è l’area di Bolzano, una provincia geografica-mente periferica, con territori di difficile accessibilità, che sono stati tuttavia integrati in una rete di comunicazione ad elevata connettività, favorendo l’attrazione di investimenti diretti esteri e l’innovazione anche in settori tra-dizionali quali agricoltura, industria alimentare, turismo. Organizzare uno spazio metropolitano policentrico dovrebbe tornare ad es-sere obiettivo anche per il Veneto, che oggi rischia di soffrire la maggiore dinamica e attrattività dei due altri poli del “nuovo triangolo industriale”: Milano da un lato, Bologna e la rete delle città emiliane dall’altro. Eppure, lungo il Veneto centrale si trovano già oggi straordinarie risorse, che solo la frammentazione amministrativa e strategica non consente di valoriz-zare adeguatamente. Pensiamo ai tre aeroporti internazionali di Venezia,

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L’opinioneL’opinionedi MARIA

CRISTINA

PIOVESANA

Presidente di

Assindustria

Venetocentro

Imprenditori

Padova Treviso

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Un progetto a misura di territorio

Un pensiero "metropolitano" che diventi la linea guida su cui orientare le scelte politiche ed economiche.

La Construction Conference promossa a Padova da Civiltà di Cantiere è una im-portante occasione per riflettere su un tema, l’area metropolitana del Veneto centrale, un ambito territoriale a cui l’Ocse ha da tempo riconosciuto presenza e valore, che da quale tempo è trascurato nel dibattito politico e sociale. Se ne parla da anni, esiste pure la "città metropolitana" di Venezia, ma non si è ancora riusciti a concretizzare un progetto all’altezza delle esigenze del territorio. Ma negli anni, tra Padova, Treviso e Venezia questa dimensione si è di fatto già creata al di fuori e al di sopra dei confini amministrativi, in un territorio dove si vanno sempre più addensando persone e imprese. E quando nel 2018 abbiamo costituito Asssindustria Venetocentro Imprenditori Padova Treviso abbiamo reso visibile questo dato di fatto ormai prevalente nelle im-prese e che si è posto fin dall’inizio come modello aperto a nuove collabora-zioni nel territorio.Dovremmo quindi iniziare a dare evidenza a un pensiero "metropolitano", come di fatto già facciamo, perché diventi la linea guida su cui orientare le scelte in materie come le infrastrutture, l’innovazione, la formazione e il lavo-ro, la salute e il turismo. Dobbiamo farlo tanto più in Veneto dove manca finora un centro urbano di assoluta predominanza per dare coerenza e funzionalità interne a quest’a-rea e visibilità in Italia e in Europa. Uno spazio metropolitano che attragga competenze e i giovani (come adesso non succede), quale vertice del nuovo "triangolo" dello sviluppo italiano con Milano e Bologna. Ed è anche lo spazio in cui attuare in modo coerente un programma incisivo di rigenerazione urbana nel passaggio a modelli di sostenibilità avanzata. La Construction Conference vedrà su questo un confronto di esperienze qualifi-cate alle quali guardiamo con interesse perché Assindustria Venetocentro ha promosso da tempo per favorire l’adozione di modelli innovativi per (ri) pen-sare il territorio. Nei mesi scorsi abbiamo presentato l’iniziativa Capannoni OnOff che ci vede lavorare insieme alle Province e alle Camere di Commercio di Treviso e di Padova e al Consorzio Bim Piave. L’obiettivo è di provare a trasformare aree produttive, capannoni industriali oggi dismessi o degradati, figli dell’economia pre-crisi, da costo ambientale, sociale ed economico a patrimonio da rivitalizzare (stimato in 3,9 miliardi) at-

traverso il recupero, riconversione o demolizione, in un Veneto che conta più di 92mila capannoni industriali (32mila a Padova e Treviso), sparsi in 5.679 aree produttive (per 41.300 ettari di terreno), che coprono il 18,4% della superficie "consumata". Molti dei quali (11mila, il 12% del totale) dismessi e inutilizzati. “Capannoni OnOff” punta alla rigenerazione e riassetto di un territorio che ha conosciuto il decollo economico in passato, grazie alla disponibilità di aree produttive, ma anche a un’occupazione estensiva e spesso frammentata del territorio. Ma che ora punta ad un nuovo modello di insediamento, attrezzato e vicino ai grandi assi infrastrutturali, a un sistema più razionale e sostenibile di gestione del suolo, per le attività produttive ma anche per la residenzialità e le altre funzioni economiche sociali (commercio, turismo, mobilità, educa-zione, cura e assistenza). Appunto, in una nuova dimensione metropolitana.Sulle aree produttive e i capannoni l’attenzione di Assindustria è stata par-ticolarmente presente, fin dalla redazione a inizio anni ’90 del primo Atlante delle aree industriali, poi con il progetto QUAP (Qualità Urbana Aree produt-tive). “Capannoni OnOff” parte da questa esperienza e propone, per Padova come per Treviso, una grande opera di ricognizione di aree ed edifici produttivi pre-senti nel territorio delle due province, caratteristiche, stato, sottoservizi, in-frastrutture. Si tratta di censire circa 32mila capannoni mettendo a fattor co-mune le banche dati di enti (Comuni, Province), catasto, ma anche dei fornitori di utilities e altri soggetti (come Anas, gestori di reti/infrastrutture come Te-lecom, Enel come pure Google Maps) per creare un unico data base condiviso e accessibile, di facile lettura, attraverso un portale internet dedicato (Atlante telematico). È, crediamo, il primo progetto in Italia di questo genere che diventa uno stru-mento utile anche per attuare la nuova legge regionale veneta sul consumo di suolo, promuovendo politiche di medio-lungo periodo nella programmazione dello sviluppo del territorio, incentivando in modo flessibile la riqualificazione, la rigenerazione, il riuso e, se necessario, l’abbattimento degli edifici non più idonei. Il Veneto centrale a dimensione "metropolitana" ha tutte le caratteristiche per ambire ad essere un modello di rigenerazione urbana all’insegna della qualità, della sostenibilità e la connessione, attraendo per questo talenti e investi-menti. Occorre per questo lavorare insieme, tra pubblico e privato, tra territori e persone, con generosità e visione guardando alle nuove generazioni.

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Una nuova strategia urbana per l’Europa del 2020.

Oggi risulta particolarmente difficile fornire un’interpretazione univoca della città del XXI secolo.Certo è che, come ben documentato dai rapporti della Commissione Eu-ropea, più di due terzi dei cittadini del vecchio continente vive oramai in un’area urbana che non è più identificabile solamente con le grandi capitali: accanto Londra, Berlino e Parigi sistemi cospicui di polarità minori, sorte so-prattutto in zone pianeggianti dove lo sviluppo infrastrutturale ha reso pos-sibile la concentrazione di produzioni e urbanizzazioni, riescono comunque ad assumere un comportamento urbano unitario.L’urbanizzazione massiccia che ha caratterizzato il secolo scorso ha profon-damente cambiato la forma dei territori europei e, complice l’innovazione tecnologica nei campi dei trasporti, della logistica e delle tecnologie dell’in-formazione, le modalità di abitare lo spazio urbano sono profondamente mutate. Tutto questo si riflette in un cambiamento dell’ordinamento spaziale che, di fatto, ha generato un nuovo tipo di sistema urbano: se fino alla metà del secolo scorso le città si espandevano oltre i propri tradizionali confini, a ca-vallo del nuovo millennio si sono rilevati ingenti fenomeni di urbanizzazione diffusa che non hanno solamente consumato suoli un tempo integri, ma di-sperso potenzialità produttive ed occasioni economiche, creando importanti disconnessioni sia logistiche che infrastrutturali. Laddove questi fenomeni sono riusciti ad intercettare le reti preesistenti tra i piccoli-medi insediamenti urbani nati dalla frammentazione competitiva tipica del medioevo, i territori hanno iniziato ad assumere un comportamen-to di tipo metropolitano basato sulla convivenza a-gerarchica di più città di scala minore, senza avere, però, l’inquadramento – amministrativo, politico ed economico di un vero sistema multipolare.

Modelli di governance più flessibiliDel resto, come anche riportato da numerosi report della Commissione Euro-pea, è oramai un dato certo che i confini amministrativi di una città non cor-rispondano più alla realtà fisica, sociale, economica, culturale dello sviluppo urbano: per programmare il futuro di queste nuove entità metropolitane oc-corre dunque una visione sistemica fondata su modelli di governance nuovi

Città metropolitane multipolari

di ALESSIA

GUERRIERI

Architetto

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e più flessibili. Sebbene i legislatori, sia a livello comunitario che nazionale, abbiano provato a definire una cornice normativa e gestionale in materia, si rileva ancora un certo scollamento tra l’individuazione su carta delle aree metropolitane e l’effettiva dimensione del fenomeno, tra l’inquadramento amministrativo – in Italia ancora troppo legato alla logica della Provincia – e la reale attivazione di politiche sistemiche di co gestione e cooperazione tra piccoli e medi centri. Eppure, la città diffusa, così come il gran numero di Comuni di media gran-dezza sparsi sul territorio italiano, avrebbe già di per sé quel carattere di multipolarità che oggi costituisce un elemento imprescindibile dei sistemi metropolitani contemporanei.

Sistemi metropolitani potenzialiIn effetti in Italia è possibile rilevare un cospicuo numero di sistemi metro-politani potenziali, per il momento riconosciuti solo per via dell’istituzione – dall’alto - delle aree metropolitane o per la concentrazione – visibile solo dal Satellite – di una serie di nuclei urbani a distanza relativamente ravvici-

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nata nelle pianure e lungo le principali arterie infrastrutturali: nella Pianura Padana, al di là dell’area Milano – Torino, è possibile individuare ulteriori entità metropolitane come il sistema che si snoda lungo la via Emilia – dalla Riviera Romagnola a Parma – e quello che invece si estende verso il Vene-to, che comprende le città di Padova, Treviso e Venezia; in Sicilia si rileva il continuum di insediamenti sull’asse orientale tra Catania e Messina, che per estensione si protrae anche in Calabria; ancora al confine con la Francia, si intravede una potenziale metropoli transfrontaliera tra Genova e Nizza, con ipotetiche ripercussioni sulla provincia di Cuneo.A tal proposito, è impossibile non considerare il sostegno della Comunità Europea alla formazione di modelli di cooperazione, aggregazione e funzio-namento metropolitano su scala transnazionale, come nel caso del sistema Francia-Belgio fondato sul crocevia di Lille, o di quello Danimarca – Svezia, compreso tra Copenaghen e Malmö, i quali aprono nuovi scenari e possibilità molteplici per l’attivazione di politiche di sviluppo condivise basate su siste-mi di governance intercomunali. Se è stato possibile istituire modelli di aggregazione metropolitana oltre frontiera, riuscendo a coordinare culture, apparati normativi e sistemi am-ministrativi completamente differenti, è dunque doveroso tentare di indivi-duare una politica ed un modello di gestione in grado di tradurre il concetto geografico ed urbanistico della città diffusa nel concetto amministrativo di area metropolitana, e di configurare una città multipolare basata su una co-operazione che superi la tradizionale competizione campanilistica e apra ad uno sviluppo sinergico del territorio. In Europa, soprattutto nelle regioni del Nord, è possibile trovare esempi di successo che, con una visionaria idea di pianificazione – come in Olanda - o sfruttando le possibilità offerte dalla realizzazione di una nuova infrastrut-tura – come in Scandinavia o nella regione francese del Nord-Pas de Calais – sono riusciti ad attivare un processo politico amministrativo di definizione di aree metropolitane in grado, nel giro di un decennio, di generare sviluppo economico, produttività, innovatività digitale, richiamo culturale ed attrattivi-tà per città che, fino a qualche anno prima, affogavano nella crisi economica.

Gli esempi europei che funzionano: la Randstad OlandeseL’esempio per antonomasia – nonché archetipo primitivo di tutte le aree metropolitane europee - è sicuramente quello della Randstad Olandese.Nata negli anni Cinquanta da un pensiero visionario che ha sentito l’esigen-za di riordinare tutto l’assetto spaziale dei Paesi Bassi Occcidentali ancor prima dell’avvio dell’inurbanesimo di massa, la Randstad incarna al tempo stesso principi di pianificazione territoriale innovativi e modelli di coopera-zione tra città unici in Europa. Letteralmente “città anello”, la Randstad si configura come una grande struttura policentrica che mette a sistema, gra-

zie ad un’efficientissima rete viaria, ferroviaria e fluviale, diciassette città dei Paesi Bassi tra cui vivono 7,5 milioni di abitanti, 10 considerando anche i piccoli agglomerati urbani limitrofi. Due i concetti alla base della metropoli olandese: da un lato la sistematizza-zione della pluralità di centri urbani a piccola scala disposti lungo un’efficiente rete ferroviaria attorno ad una grande area agricolo-rurale, di modo da conte-nere l’espansione delle grandi città e promuovere un modello di vita urbana a contatto con il verde; dall’altro il principio di sussidiarietà e complementarietà tra le quattro principali città del Paese – Amsterdam, Utrecht, L’Aia e Rotter-dam - nel rispetto delle specificità di ciascuna, sia nei caratteri tradizionali che nei possibili sviluppi futuri.Sotto la guida di un Comitato Esecutivo, la Randstad si è sviluppata attra-verso il lavoro sinergico di dodici entità tra province, comuni e regioni che, pur rimanendo amministrativamente separate, hanno collaborato – tra loro e con i cittadini – per sviluppare un’area metropolitana efficiente e fortemente at-trattiva sia per la qualità della vita, che in termini di PIL pro-capite, innovazio-ne tecnologica e mercato del lavoro. Accanto ad una pianificazione territoriale strategica definita a livello naziona-le, la cooperazione degli attori a scala locale ha svolto un ruolo di promozione e di incubatore di idee del sistema metropolitano che, con una logica bottom-top, è giunto ad influire sulle politiche governative dell’intero Paese.

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Lille Metropole: la città metropolitana di 145 ComuniSignificativo anche il grande programma di rilancio economico e culturale che ha riscattato il ruolo di Lille, storico centro della regione estrattiva-in-dustriale del Nord-Pas de Calais, all’interno di una metropoli transnazionale Francia-Belgio, situata al centro dei corridoi di connettività e trasporto di tutta Europa.Grazie alla realizzazione dell’Eurotunnel nel Canale della Manica, infatti, e allo sfruttamento dei programmi europei di cooperazione transfrontaliera, Lille Metropole è oggi un’area metropolitana che comprende le città medio-grandi di Lille, Roubaix e Tourcoing e che, insieme ad una costellazione di comunità suburbane minori, si estende in una Eurométropolis di 145 Comu-ni che, con i suoi 3,5 milioni di abitanti, rappresenta la più grande metropoli transfrontaliera di Europa e mette a sistema una moltitudine di polarità lo-cali in un ambizioso progetto al centro del triangolo Londra-Bruxelles-Parigi.

La ripresa, innescata dalla realizzazione del tunnel della Manica e della linea dell’alta velocità, si fonda prevalentemente su due principi: da una parte lo sfruttamento della posizione geografica di Lille, storicamente luogo di confine tra Francia e Belgio, Fiandre vallone e fiamminghe, ed il potenzia-mento del suo ruolo di frontiera transnazionale; dall’altra la rilettura delle opportunità offerte dalla grande agglomerazione urbana situata tra Lille ed il Belgio, un tempo densa di attività allora produttive e ora bisognosa di una nuova identità.La creazione di Agenzie per lo sviluppo dedicate alla promozione della città, insieme alla definizione di Lille Metropole e dell’Eurometropolis, ha fatto sì che numerose entità amministrative cooperassero in un processo virtuoso, gestito con un istituto di governance dedicato.

Nell’Eurometropolis, infatti, pur restando definite le autonomie ammini-strative di ciascun ente locale, sia francese che belga, sono presenti veri e propri organi legislativi comuni, come l’Assemblea, ed esecutivi, come il Co-mitato, che contano nel proprio organico rappresentanze di tutti i livelli di responsabilità politica appartenenti, in egual misura, a ciascuna delle regio-ni coinvolte nel processo.

In Scandinavia la città-ponteUn’analoga vocazione transnazionale ha alimentato lo sviluppo della me-tropoli multipolare scandinava, nata grazie all’apertura del collegamento tra di Copenaghen, rilevante polo politico, economico e culturale, e Malmö, importante centro portuale di riferimento per il trasporto merci, al fine di aprire l’intera Scandinavia verso l’Europa, e rilanciare un territorio che, negli anni ’90, portava ancora le ferite della crisi industriale degli anni ’70.Attraverso la realizzazione del ponte di Oresund è nato un fenomeno di aggregazione metropolitana che ha rivoluzionato il modo di vivere di due territori geograficamente divisi dal mare, storicamente uniti sotto la stessa egemonia – quella danese – ma oggi appartenenti a due Nazioni differenti. Il risultato è un’unica regione metropolitana transfrontaliera, oggi ribattez-zata Greater Copenaghen, che, con i suoi 4,3 milioni di abitanti divisi tra 85 Comuni, rappresenta oggi la più grande base di reclutamento di dipendenti specializzati dell’intera Scandinavia e compete per divenire la più grande metropoli del Nord Europa.

Attraverso la creazione di un Co-mitato ad hoc, le autorità locali, regionali e nazionali di Svezia e Da-nimarca sono state riunite in un or-gano in grado di coordinare il piano della cooperazione internazionale con quello della gestione locale che, ottenendo il sostegno di numerosi fondi europei, come i Programmi In-terreg ed Eures, ha attivato, affian-co al programma infrastrutturale, una strategia efficace per la rinasci-ta del mercato del lavoro creando un tavolo unico tra i centri dell’im-piego dei quattro centri maggiori - Copenaghen, Malmö, Helsingborg et Helsingør – e i vari servizi pubblici per l’occupazione.

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Il Piano Regionale dei Trasporti propone interventi di diversa natura per affrontare le nuove sfide della mobilità sostenibile.

Il sistema della mobilità e della logistica del Veneto deve sostenere lo svi-luppo economico e sociale della regione nei prossimi anni, tenendo conto della diversa velocità dei cambiamenti in atto. Cambiamenti territoriali, infrastrutturali e socio demografici più lenti e cambiamenti della produ-zione, dei mercati e delle tecnologie molto più rapidi e, in qualche misura, meno prevedibili.

Una materia complessa e in profonda evoluzione come la mobilità delle persone e delle merci richiede una nuova forma di Piano, in grado di com-prendere, interpretare e rispondere alle esigenze di una regione in costante evoluzione. Il nuovo Piano rappresenta pertanto lo strumento necessario per adeguare, alle profonde trasformazioni intervenute negli ultimi 30 anni.

Il Piano Regionale dei Trasporti propone interventi di diversa natura per affrontare le nuove sfide della mobilità sostenibile e si propone come un processo decisionale che riguarda infrastrutture, norme, incentivi e politi-che dei trasporti.L’elaborazione del documento è frutto, oltre che di una approfondita ana-lisi scientifica, anche di un ampio confronto pubblico a cui l’analisi è stata sottoposta, e che ha portato alla condivisione dei suoi contenuti con le amministrazioni e i portatori di interesse locale.

Le principali strategie1. Inserire l’area metropolitana diffusa del Veneto nella metropolitana

d’Italia (TAV - Treno ad Alta Velocità). 2. Promuovere la co-modalità mare - gomma - ferro e il riequilibrio del

trasporto merci. Realizzare infrastrutture e servizi per un trasporto pubblico regionale integrato, intermodale, efficiente

3. Efficientare e completare la rete stradale regionale. 4. Migliorare l’accessibilità delle aree turistiche5. Sostenere la transizione energetica del trasporto verso la mobilità

sostenibile6. Strategie di governo, programmazione e controllo

Gli impattiGli interventi previsti dal Piano, combinati a un progressivo miglioramen-to tecnologico dei mezzi di trasporto, porteranno al 2030 a una drastica riduzione della produzione di polveri sottili (circa -80%) e di emissioni di anidride carbonica e gas serra (circa -30%). Inoltre, la riduzione del volume di veicoli circolanti per shift modale, la riduzione della congestione stra-dale e le variazioni di percorso indotte da nuove infrastrutture stradali, porterà a una notevole riduzione dei veicoli circolanti, e in particolare una riduzione di circa 20 milioni di veicoli l’ora per anno nello scenario base, che potrebbero passare a 21 milioni di veicoli l’ora, nel caso di un maggior trasferimento delle merci da gomma a ferro, e a 26 milioni nel caso di un maggior sviluppo del trasporto pubblico. Positivo sarà anche l’effetto in termini di riduzione dell’incidentalità sulla rete stradale. Nello scenario base, la diminuzione dell’incidentalità per mezzo privato è pari al -12% e il numero dei decessi si attesta intorno al -11,3%, ulteriormente ridot-ti negli scenari di un maggior trasporto pubblico (-16,5%) e trasferimento del trasporto merci da gomma a ferro (-13%). Inoltre le scelte effettuate dal Piano concorrano efficacemente a raggiungere gli obiettivi europei in ambito ambientale (riduzione delle emissioni) e della sicurezza stradale (riduzione della mortalità e dell’incidentalità).Il Costo complessivo stimato è di poco inferiore ai 21 miliardi. Le attuali risorse disponibili ammontano a circa 12 miliardi.

Le procedure di approvazione e di attuazioneSotto un profilo procedurale, come previsto dalla Legge Regionale 25/1998, il Piano è adottato dalla Giunta Regionale ed approvato dal Consiglio Re-gionale dopo un processo di consultazione dei territori e delle organizza-zioni economiche e sociali. Il processo approvativo è accompagnato dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e della Valutazione di Incidenza Ambientale (VIncA), al fine di valutare, coerentemente con la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, gli impatti prodotti dal Piano sull’ambiente e la salute della popolazione. Per quanto attiene il processo di attuazione, il Piano prevede l’istituzione di un’apposita Struttura tecnico-amministra-tiva con funzioni di “cabina di regia” per il coordinamento delle azioni del Piano, il monitoraggio dei risultati e la valutazione della loro coerenza ri-spetto agli indicatori individuati (v. Azione A.8.2). Le modifiche e le integrazioni del Piano che abbiano carattere meramente attuativo e che non alterino i contenuti sostanziali individuati negli Obiet-tivi e nella Strategia sono deliberate dalla Giunta regionale, sentita la com-petente Commissione consiliare. Diversamente le integrazioni sostanziali al Piano sono affrontate dal Consiglio regionale.

PRT Veneto 2030

di M.A.

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Lo sviluppo di un territorio partedalle vocazioni

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Come ripartire dal passato per rilanciare uno sviluppo economico strutturato e duraturo nel tempo.

Diversi studiosi si sono nel tempo concentrati sull’area metropolitana di Venezia, intesa come il territorio che comprende le tre province di Padova, Venezia e Treviso. La lettura dei flussi di mobilità mette in evidenza l’in-tegrazione tra i nodi principali di quest’area. Già nel 2010 l’Ocse1 ha svilup-pato uno studio volto a capire il posizionamento dell’area metropolitana di Venezia nel contesto europeo e internazionale. Ne emergeva un buon posizionamento in termini di prodotto interno lordo per abitante, mercato del lavoro e specializzazione produttiva, con un adeguato bilanciamento tra industria e servizi e una certa complementarietà tra le tre province: Padova più orientata ai servizi finanziari, Venezia al turismo e alle funzioni amministrative e Treviso alla manifattura. Tra le criticità maggiori vi erano il capitale umano, misurato dalla quota di popolazione con formazione uni-versitaria, la propensione a innovare, approssimata dai brevetti registrati all’EPO, l’invecchiamento della popolazione e i vincoli infrastrutturali. Era evidente in modo particolare come l’area in oggetto si caratterizzasse per zone ad alta attrazione per gli spostamenti verso i tre capoluoghi e le aree connesse, ma non integrate tra loro in una rete di trasporti definita su sca-la metropolitana (Feltrin et al., 2010)2.Se per l’area metropolitana di Venezia si aggiornano i dati su queste di-mensioni economiche e li si confronta con quelli degli altri vertici di quello che è considerato il “nuovo triangolo industriale”, ovvero Milano-Monza e Brianza per la Lombardia e Modena-Bologna-Ferrara per l’Emilia-Roma-gna3, oltreché con i dati medi italiani e tedeschi, si può osservare che a distanza di qualche anno il quadro non è cambiato e, anzi, la crisi econo-mica-finanziaria che ha colpito l’economia internazionale nel 2009 non ha fatto altro che amplificare quanto già osservato dall’Ocse. Nell’area di Ve-

1 Ocse, 2010, Venice, Italy, Oecd Territorial Review, Paris. 2 Feltrin P., Maset S., Dalla Torre R., 2010, Crescita demografica e sviluppo infrastrutturale nel sistema metropolitano del Nord, in Economia e Società regionale, 109 (1) 2010. 3 Non è un caso che il tessuto produttivo di questi territori si sia organizzato a livello industriale attraverso associazioni che raggruppano imprese di queste aree metropolitane: in Assolombar-da confluiscono imprese di Milano, Monza e Brianza e Lodi; in Confindustria Emilia Centro le imprese di Bologna, Ferrara e Modena.

di GIOVANNI

FORESTI

Direzione Studi

e Ricerche Intesa

Sanpaolo

nezia-Padova-Treviso la quota di popolazione con più di 65 anni è salita al 22,7% nel 2018, dal 19,7% del 2008. Solo l’area metropolitana di Bologna, Modena e Ferrara presenta dati superiori, con percentuali pari al 24,4%. In ambito europeo spicca la Francia con una quota di popolazione ultrases-santacinquenne ancora inferiore a un quinto del totale e un’incidenza della popolazione con meno di 15 anni pari al 18%, contro il 13/14% mediamente osservato in Italia, in Germania e nelle tre realtà metropolitane osservate.Per l’area metropolitana di Venezia le indicazioni sul mercato del lavoro sono buone, ma evidenziano segnali di deterioramento. Nel 2018 il tasso di disoccupazione è ancora basso, decisamente inferiore alla media italiana e francese, e pari al 6,7%. Tuttavia, il confronto con la situazione presente nel 2008 consente di osservare i segni lasciati dalla crisi del 2009: dieci anni prima, infatti, la disoccupazione era prossima al 3,4%, un tasso “te-desco” e del tutto fisiologico. Preoccupano però le difficoltà delle imprese nel trovare capitale umano, a partire dagli operai specializzati, per finire ai tecnici e al personale con competenze tecnologiche. Si tratta di limiti che possono essere superati rafforzando il tasso di occupazione dell’area, significativamente inferiore ai dati tedeschi ma anche rispetto alle aree metropolitane di Milano e Bologna per quanto concerne la partecipazione femminile al mondo del lavoro. Va poi potenziata la quota di laureati in materie scientifiche e tecnologiche. Non è pertanto un caso che la corsa dei territori veneti e, in modo particolare, dell’area metropolitana di Ve-nezia abbia subito un forte rallentamento già nella prima metà degli anni Duemila e sia proseguita poi nel decennio 2008-2018. La forte vocazione industriale aveva, infatti, consentito a quest’area di affermarsi sui mercati internazionali negli anni Ottanta e Novanta. Nel decennio 1991-2000 le esportazioni di quest’area hanno registrato una crescita media annua a prezzi correnti pari al 13%, una percentuale supe-

ESPORTAZIONI A PREZZI CORRENTI: VARIAZIONE % MEDIA ANNUA NEL PERIODO ANALIZZATO

GERMANIA3,0

6,46,4

2,3

2,34,5

10,2

2,2

1,92,9

7,7

5,010,8

2008-20182000-20081991-2000

2,813,0

VE-PD-TV

ITALIA

BO-MO-FE

MI-MB

0 5 10 15

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riore a quella delle altre aree metropolitane italiane e doppia rispetto alla media tedesca. Si tratta di risultati eccezionali che nel periodo successivo non si sono più ripetuti, essendo anche venuta meno la spinta della “sva-lutazione competitiva” e avendo dovuto affrontare e subire, più che altre aree e più dell’economia tedesca, la crescente concorrenza proveniente dai paesi emergenti, con in testa la Cina. La perdita di dinamicità sui mercati internazionali si è così tradotta in un gap del prodotto interno lordo per abitante che nel tempo si è ampliato rispetto alla Germania e alle altre aree metropolitane analizzate.Nell’area metropolitana veneziana si pone dunque un tema di crescita che può certamente essere affrontato con successo, facendo leva sui punti di forza di questo territorio e superando alcuni limiti storici. Tra i primi si possono citare la forte e diffusa vocazione manifatturiera, imperniata su filiere produttive altamente competitive, lo sviluppo di un settore agro-alimentare di eccellenza, il ricco patrimonio turistico, un sistema universi-tario di qualità, una logistica che può essere considerata crocevia dei corri-doi verticali e orizzontali europei. Tra i nodi da affrontare vi sono la carenza di infrastrutture ad alta velocità tra i poli intermedi, gli elevati costi di mobilità per merci e persone, la scar-sa accessibilità ai poli di servizio, la piccola dimensione delle imprese, l’in-capacità di attrarre capitale umano qualificato. In prospettiva, pertanto, vanno potenziate le infrastrutture e i collegamenti con le altre città me-tropolitane (come Milano e Bologna), vanno intensificati e integrati i colle-gamenti interni all’area metropolitana per ridurre i tempi di spostamento, rafforzata l’attrattività per le multinazionali estere e i giovani talenti, fa-vorite le forme di ‘reti’ per l’integrazione e l’innovazione tecnologica delle imprese, valorizzate le caratteristiche culturali, ambientali e naturali del territorio. Se queste sfide saranno affrontate con un’organizzazione o una cultura metropolitana, allora è molto probabile che l’area metropolitana di Venezia possa davvero rappresentare “una grande occasione… per cam-biare e rendete più efficace il governo del territorio, attrarre talenti e in-vestimenti, qualificare e rendere più sostenibile lo sviluppo” (Corò e Dalla Torre, 2015). Digitalizzazione e tecnologie potranno rappresentare degli strumenti facilitatori di questo processo, mettendo in connessione perso-ne e imprese in luoghi fisici diversi, dai centri urbani alle periferie.

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L’intervistaL’intervistaad ANTONIO

SANTOCONO,

Presidente

della Camera di

Commercio di

Padova, di M.M.

“Vogliamo ridare fiducia al Sistema impresa e contemporaneamente in-teragire con i principali Enti del nostro territorio per creare un modello di sviluppo sostenibile e innalzare l’asticella della competitività dell’econo-mia padovana”.Con queste parole Antonio Santocono, presidente della Camera di Com-mercio di Padova, mette subito in luce l’obiettivo prioritario alla base di tutte le azioni, già messe in moto e future, dell’Ente camerale padovano che rappresenta 119.000 imprese provinciali ed è storicamente considerato fra i più importanti a livello nazionale nella Rete del Sistema camerale. Presidente, sin dal suo insediamento lei ha lanciato un messaggio forte al Sistema economico. Ce lo ricorda?Credo molto nell’importanza di creare una Camera di Commercio condivisa, territoriale e inclusiva. Per questo è necessario agire uniti nella stessa dire-zione per far crescere sempre più il Sistema economico veneto, e padovano nello specifico, e accompagnare le imprese lungo i binari della competitività, sia nei mercati interni, sia nel loro interscambio con l’estero.

La rotta dunque è tracciata. Economicamente parlando, la provincia di Padova è fra le più importanti a livello nazionale. Basta un dato per far capire il peso di questa macro-area: per numero di imprese attive registrate al Registro delle Imprese, con oltre 119.000 attività Padova è la 1° provincia del Veneto e la 9° in Italia. Le azien-de operano in un territorio a vocazione manifatturiera con un’importante presenza del terziario innovativo, del commercio e dell’artigianato: sono tutte realtà che devono continuare a coesistere e integrarsi puntando su

Una Camera di Commercio impegnataa tutto tondo per creare uno sviluppo sostenibile

nuovi servizi e su uno sviluppo diffuso, dove la strategicità dell’innovazione si sta già dimostrando - e lo sarà sempre di più - decisiva”.

Siete impegnati in prima linea per portare avanti idee e progetti vincenti.Sì, soprattutto in grado di proiettare Padova e il suo territorio nel futuro: un futuro fatto di opportunità, sia professionali che culturali, soprattutto per i nostri giovani.Viviamo in una città sede di una delle Università più antiche e prestigiose d’Italia, attorno alla quale ruotano e vivono 61.000 studenti. Com’è possi-bile, allora, non integrarsi in un’idea innovativa di sviluppo urbanistico, eco-nomico e turistico per cercare di offrire loro un futuro certo? Fondamentale sarà agire in Rete, puntando su parole chiave come digitalizzazione, compe-titività, green economy, attrattività, mobilità sostenibile e società inclusiva, con l’obiettivo di dare a questa realtà una dimensione europea.

Sono questi i pilastri attorno ai quali voltare pagina e far diventare Padova un polo in grado di attrarre investimenti dall’estero e da altre aree d’Italia?Agganciare Padova alle più avanzate città faro d’Europa è indispensabile per sviluppare una cultura della crescita e dello sviluppo sostenibile, puntando a migliorare la qualità della vita e soddisfare così le esigenze di cittadini, im-prese e istituzioni, valorizzare la competitività e attrattività di alcune aree. Solo così possiamo trasformare quest’area in una realtà che oltre ad essere bellissima, esprima anche un modello di vita all’avanguardia.

Fiera, Centro Congressi, Competence Center: tre leve strategiche...Il progetto di rilancio della Fiera di Padova, assieme al futuro nuovo Centro Congressi che sta sorgendo all’interno del polo fieristico e al nuovo Com-petence Center del Triveneto battezzato a Padova in dicembre 2018 sono tre assi fondamentali per elevare la competitività del nostro tessuto eco-nomico. È indubbio che la Fiera di Padova vada rilanciata affinché produca reddito e come Camera di Commercio ci stiamo impegnando in tal senso: il primo passo è stato fatto, riportandola in mano pubblica. Non dimentichia-mo l’importanza dell’Hub dell’innovazione e il Competence Center che ci ve-dono protagonisti assieme ad altre realtà pubbliche e private per favorire le collaborazioni tra ricerca, impresa e Università nelle tecnologie Industria 4.0. Il Centro di Competenza ha ottenuto un finanziamento di 7 milioni di Euro dal Ministero dello Sviluppo Economico per operare principalmente in 3 am-biti: Orientamento alle imprese, in particolare PMI, attraverso la predisposi-zione di una serie di strumenti volti a supportarle nel valutare il loro livello di maturità digitale e tecnologica; Formazione alle imprese per promuove-re e diffondere le competenze in ambito Industria 4.0 mediante attività di formazione in aula, sulla linea produttiva e su applicazioni reali; Progetti di

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L’intervista

innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, proposti dalle im-prese, e fornitura di servizi di trasferimento tecnologico in ambito Industria 4.0, anche attraverso azioni di stimolo alla domanda di innovazione da parte delle imprese, in particolare delle PMI. Questa è la strada, e sono certo che se faremo squadra sarà vincente.

In tutto questo scenario di rilancio e investimenti a favore delle imprese, il concetto di innovazione diventa uno dei pilastri su cui agire. La nuova amministrazione camerale sta confermando giorno dopo giorno l’importanza di porre l’attenzione sul ruolo che trasferimento tecnologico e valorizzazione del patrimonio industriale rivestono per la creazione di oppor-tunità per l’industria, il turismo e i giovani. La Camera di Commercio intende assumere un ruolo centrale per promuovere una rete per la valorizzazione della cultura industriale nella nostra regione, con l’obiettivo di sviluppare una strategia condivisa considerando l’industria e le imprese come elementi portanti del nostro patrimonio culturale. Non smetterò mai di ripetere che digitalizzarsi significa diventare più competitivi e migliorare la produttività in tutti gli ambiti in cui operano le imprese. La Camera di Commercio di Pa-dova continuerà a valorizzare e promuovere il processo di sviluppo del digi-tale per tutte le categorie di imprese.

Sarà decisivo il lavoro di squadra?Certo. Dovremo seguire la logica della progettazione partecipata, coinvol-gendo le categorie economiche, l’Università, gli Enti territoriali, la Fiera e il mondo delle professioni. Vorremmo scrivere nuove pagine di sviluppo per quest’area metropolitana che ha tutti i numeri per guardare all’Europa e di-ventare sempre più innovativa e smart.

Rigenerazione urbana e demolizione creativa

Cambiare prospettiva nel rispetto del bene comune è necessario per la nascita di nuovi modelli urbani.

I mutamenti sociali ed economici degli ultimi decenni hanno sovvertito i va-lori alla base dello sviluppo immobiliare e della pianificazione urbanistica tradizionale. Molte parti del tessuto urbano sono invecchiate ed hanno per-so la loro funzione ed il loro legame con la comunità e la società.Il patrimonio immobiliare non ha più un valore in sé, ma acquisisce valore in relazione alle sue capacità di utilizzo ed il suo valore immateriale e rela-zionale.In questo scenario, la demolizione non assume più un carattere esclusiva-mente distruttivo, ma consente di creare nuovo valore liberando suolo oc-cupato, creando nuovi spazi urbani o permettendo la realizzazione di edifici nuovi e più adatti alle esigenze attuali.La demolizione è un atto creativo, se è guidata dall’intelletto, affidata a mano sapiente, e disvela bellezza.Demolire non è un bene assoluto, ma l’esito di una scelta responsabile e difficile, che richiede di distinguere ciò che merita di essere conservato da ciò che merita di essere eliminato, per liberare il suolo sottostante o per usarlo in modo diverso. È una scelta che esprime la cultura del tempo e i valori di riferimento. Il XX secolo sarà ricordato in Italia anche per l’emersione di un pensiero alto, nel segno del riconoscimento, della conservazione e della valorizzazione dei beni culturali, concepiti come patrimonio comune custodito e alimentato da ogni generazione e affidato come eredità morale e civile a quelle che ver-ranno. Un percorso lungo e travagliato, dalle leggi del 1939 fino al Codice dei beni culturali e paesaggistici e ai Piani territoriali e paesaggistici, ripreso dalla legislazione e pianificazione veneta con ulteriori misure di protezione di beni e paesaggi identitari.Demolire non è antitetico alla conservazione e valorizzazione dei beni cul-turali e del paesaggio, cioè della nostra storia e identità comunitaria. Al contrario, può rappresentarne modernamente un nuovo potente presidio, proattivo anziché difensivo.

Crisi economica come crisi di un modello culturaleLa crisi del mercato immobiliare e la crisi finanziaria, unitamente agli epocali

di BRUNO BAREL

Avvocato

Studio BM&A

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mutamenti economici, monetari, sociali, demografici e tecnologici che han-no segnato i decenni passati, hanno posto fine al mito dell’espansione edili-zia continua, della casa come bene-rifugio e bene-investimento, dell’immo-bile che vede sempre aumentare il suo valore perlomeno nominale e che è liquidabile in ogni momento.Va mutando sostanzialmente anche la domanda: i giovani, sempre meno e sempre più mobili, cercano alloggi economici e temporanei; gli anziani, sem-pre di più e sempre più soli, strutture, anche comunitarie, adatte alle loro esigenze.Le imprese, dopo aver spostato la produzione all’estero, stanno invertendo la tendenza, ora che le tecnologie fanno crollare l’incidenza del costo del lavoro e il valore aggiunto si sposta sulla qualità, sulla innovazione, sulla creatività di un tessuto umano che vive e opera intorno alla sede pensante dell’impresa stessa.In questo imprevedibile divenire, il metro cubo e la capacità edificatoria non rappresentano più adeguate unità di misura del valore.Così come un’auto ferma in garage costa, invecchia, diviene obsoleta e perde valore, così anche gli immobili sono onerati di costi fissi, fiscali e manuten-tivi, e invecchiano col mutare delle tecniche costruttive e delle esigenze. Per entrambe, il valore è sempre più legato all’uso che se ne fa e al valore imma-teriale che esprimono, al sogno che esprime una Ferrari o alla bellezza che si può godere da un terrazzo con vista su un grande parco.

Demolizione del disvalore e ri-generazione come ricerca di sensoDemolire è anzitutto un mezzo per eliminare disvalore, per pulire e riordina-re il territorio dagli eccessi della seconda metà del XX secolo, e restituire ad un paesaggio urbano e rurale maggiore armonia e continuità. Non si tratta di fare il processo alla storia, di criminalizzare quei luoghi che hanno permesso la realizzazione del “miracolo” italiano e veneto o che hanno rappresentato il sogno di una generazione di famiglie, la conquista di una migliore qualità di vita e dignità sociale. Demolire è prendere atto che una stagione è finita, e che è indispensabile pensare ad un’altra fase storica, nella quale è mutato e continua a mutare in fretta il senso e il valore delle cose, che dipende dai cambiamenti sociali e dell’economia globale.Una nuova sensibilità si va radicando fra i giovani, sia verso l’ambiente ed il paesaggio che verso se stessi, la domanda di qualità di vita, l’uso del proprio tempo, la mobilità. Una continua ricerca di identità, di nuovi modi di sta-re insieme, di una nuova interpretazione della vita e del mondo. Si avverte nell’aria un’effervescenza creativa, un disordinato entusiasmo, passioni for-ti che cercano di aprire nuove vie. Il buon governo del territorio comincia dalla comprensione delle trasforma-

zioni in atto, dai sogni e dai bisogni. Demolire significa dunque liberare ener-gie e risorse, non soltanto suolo, togliere superfetazioni non solo materiali per far espandere valori compressi e interpretare in modi nuovi la domanda di futuro.Demolire per rigenerare, cioè ridare nuova vita e nuovo senso a luoghi che lo hanno perduto, rimettere in relazione il territorio e la comunità. Tutt’altro dunque che demolire per ricostruire, il nuovo sopra il vecchio. Dipende, non esiste una ricetta magica buona per tutte le malattie. La ex Soprintendente di Venezia Renata Codello in una pubblicazione preziosa ha documentato come perfino a Venezia si possa fare architettura contemporanea, contri-buendo a mantenere la città vitale e capace di dialogare anche col futuro.Non mancano, nei centri storici, edifici che meritano di concludere la loro storia, e di lasciare spazio ad altro, a nuovi edifici o anche a spazi aperti, iso-le verdi o luoghi di aggregazione. Non mancano, nel tessuto urbano e nelle periferie, manufatti produttivi che hanno esaurito il loro ciclo vitale, mentre la nuova domanda va verso le grandi dimensioni, la concentrazione produtti-va, la logistica e la distribuzione. Nell’economia circolare, anche gli immobili hanno un naturale ciclo vitale, nelle loro strutture e nei loro impianti tecno-logici, nelle loro forme e nell’uso per il quale sono stati concepiti. Intuisco il timore di chi vede in un’improvvisata frenesia distruttiva il rischio che si faccia d’ogni erba un fascio, con effetti opposti ma equivalenti negli esiti al periodo della frenesia costruttiva. Ma ci sono già anticorpi nel dirit-to. Un controllo diffuso e aperto alla partecipazione collettiva, che affida agli strumenti pianificatori e ai consigli comunali, il compito di selezionare ciò che costituisce degrado per la comunità e merita di essere eliminato, e di essere esigenti nel pretende qualità e bellezza nelle nuove proposte. Va colta anche la novità di affidare la rigenerazione non soltanto a interventi puntuali ma soprattutto a interventi di scala urbana, con strumenti flessi-bili adatti a cogliere le opportunità offerte dal genius loci e dalla cultura dei promotori e dei controllori.

Politiche pubbliche e sperimentazioni localiNon è un caso che la più recente legislazione regionale, come quella del Ve-neto, affianchi alla disciplina delle azioni private la programmazione di poli-tiche pubbliche per la qualità architettonica e ambientale, quasi a dire che la sfida richiede una forte cooperazione fra libertà del mercato e autorevolezza delle istituzioni: si vince o si perde insieme. Certamente ci sono dei prezzi da pagare, va a spegnersi la stagione del fi-nanziamento pubblico con contributi di costruzione e altri prelievi forzosi.Occorre sano realismo: la rendita fondiaria e immobiliare è evaporata per tutti e l’industria del settore è tornata ai ridotti margini propri del normale mercato industriale.

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Accanto a questa prospettiva dirompente, tuttavia, la rigenerazione urbana si muove anche su linee più tradizionali, là dove sia possibile e conveniente riutilizzare manufatti esistenti o anche sostituirli in loco con nuove forme per nuove funzioni. Anche in questa direzione la legislazione più recente sta cercando di uscire dai binari angusti e spesso anacronistici delle concettua-lizzazioni tradizionali, ancorati a rigide tipologie di interventi, a non meno rigide tipizzazioni e limitazioni di destinazioni d’uso, ad astratti parametri volumetrici seriali. Dal piano al progetto, la nuova urbanistica cerca di re-cuperare flessibilità e velocità di reazione al cambiamento in atto, di aprire spazi alla sperimentazione ed alla creatività, di praticare la giustizia del caso concreto recuperando l’esercizio della discrezionalità ed il coraggio della de-cisione.Anche nel diritto, però, i laboratori regionali conoscono processi di sperimen-tazione innovativa, cercando intercapedini nella maglia del diritto statale, anelastico e spesso interpretato in una logica statalistica che tende a dila-tare l’area dei princìpi generali comprimendo quella della legislazione locale.Una prima linea di sviluppo sta provando a travolgere la linea Maginot delle destinazioni d’uso, coll’ammettere la possibilità di destinare, seppure tem-poraneamente, manufatti abbandonati e inutilizzati ad usi differenti da quelli impressi nella originaria identità urbanistico-edilizia del bene. Una seconda linea di sviluppo si spinge oltre le esperienze temporanee sperimentali e tende al definitivo recupero di manufatti che conservano un proprio valore, strutturale e/o identitario, per fondare su di esso una reim-missione nel mercato con una rivisitazione delle funzioni originarie. Diffuse iniziative di riqualificazione di beni di archeologia industriale e di beni cul-turali hanno reso evidente il valore che può essere liberato attingendo alla memoria, all’identità e al genius loci. Una terza linea di sviluppo è data dai processi di rigenerazione urbana me-diante interventi di sostituzione edilizia, capaci di esprimere modernità di forme e funzioni per interpretare in modi nuovi la nuova domanda di qualità di vita nei luoghi di lavoro e nei luoghi di vita privata, non meno che nei luo-ghi delle relazioni sociali e comunitarie.

Il punto sta proprio qui: il valore ormai sta essenzialmente nelle idee che daranno forma e contenuto alle nuove cose, nelle emozioni che sapranno generare, nei bisogni che sapranno soddisfare, nella capacità di migliorare la qualità di vita delle persone nella loro dimensione relazionale e comunitaria.In mancanza di adeguate risorse da investire nella promozione delle demoli-zioni e della rigenerazione urbana, il legislatore regionale va sperimentando nuovi strumenti e rilancia quelli già presenti nell’ordinamento ma scarsa-mente utilizzati nella stagione passata. Il freno all’immissione pubblica sul mercato di nuova capacità edificatoria a costo zero, mediante varianti di espansione, e la contrazione di quella profusa nel passato e rimasta inutiliz-zata, segnano una svolta epocale nell’urbanistica. È un’operazione anzitutto culturale, che aiuta a comprendere la preziosità del suolo inedificato, e a far condividere la consapevolezza dei costi sociali che la privatizzazione e occupazione del suolo comporta. Si cerca di riorien-tare l’economia sui binari dello sviluppo sostenibile, verso il riciclo del rifiuto edilizio, nella direzione di un uso più appropriato e a maggior valore aggiun-to del suolo urbanizzato. In questa direzione, lo strumento giuridico del cre-dito edilizio, consentendo la mobilità dei volumi e ridando un po’ di valore anche ai ruderi e ai manufatti degradati, convertibili in valore scambiabile e utilizzabile in luoghi appropriati, offre opportunità nuove al mercato e alle politiche attive della parte pubblica.

Linee di sviluppo della rigenerazione urbanaLa demolizione senza ricostruzione rappresenta un obiettivo strategico del-la nuova urbanistica, per meglio dire del buon governo dell’ambiente, che nella sua moderna accezione di matrice sovrannazionale include anche la dimensione territoriale. Il suolo come bene comune scarso e prezioso non può essere monopolizzato in via definitiva dai processi di urbanizzazione e sottratto eternamente alla sua funzione originaria. Il suolo precede logica-mente e materialmente quanto viene costruito su di esso e conserva auto-nomia e un differenziato valore sistemico prospettico. Si tratta spesso di un valore relazionale, connesso alle relazioni intercorrenti fra le diverse parti del territorio, al pregio che una parte di territorio restituita al verde può assume-re per la sua funzione pertinenziale rispetto a edifici pubblici o a residenze private.La rigenerazione urbana ha dunque nella demolizione senza ricostruzione una sfida audace ma lungimirante, che allarga la prospettiva dal micro al macro e pone al centro la metamorfosi urbana di ampio respiro, dove la ri-modellazione del tessuto ripensa l’impatto complessivo dell’edificazione coniugando contenimento del consumo di suolo, liberazione di suolo spre-cato, riconfigurazione delle strutture in rapporto alle nuove funzioni e alle nuove relazioni sociali oltre che economiche.

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L’opinioneL’opinionedi PAOLO

GHIOTTI

Presidente di

ANCE Veneto

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Guardare al domani adeguandosi ai nuovi paradigmi

Per disegnare un futuro a dimensione metropolitana occorre puntare su infrastrutture e economia circolare.

La rigenerazione urbana costituisce oggi la grande occasione per adeguare le nostre città e il nostro territorio al cambiamento profondo che stiamo vivendo. Un cambiamento che non riguarda solo alcuni aspetti della nostra vita, bensì attiene allo stesso modo di concepire il rapporto con le persone e con le cose. Ciò comporta la necessità di adeguare a questo modo diverso di guardare il mondo e la nostra vita anche le nostre case, i luoghi dove la-voriamo, le città in cui viviamo. Egualmente, la particolare attenzione alla salvaguardia dell’ambiente e al modo con cui ci rapportiamo con le risorse, impone di modificare la stessa pianificazione urbanistica e le politiche ter-ritoriali. Si pensi solo al tema della mobilità. Questo scenario in movimento coinvolge ormai da quasi un decennio anche l’industria delle costruzioni e la filiera che ad essa fa riferimento. Abbiamo attraversato il deserto - per usare una metafora ispirata al Vecchio Testa-mento - e vi stiamo ora uscendo solo ora, con il rischio che ad attenderci vi sia nuovamente un futuro difficile. Quel che è importante è che si abbia la consapevolezza che il passato non tornerà e che si deve guardare al do-mani adeguandosi ai nuovi paradigmi di un mercato guidato da processi e soluzioni produttive sostenibili, riducendo al minimo il consumo del suolo e sapendo utilizzare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. In que-sto scenario l’industria delle costruzioni non può non svolgere un ruolo da protagonista, assumendosi le responsabilità di soggetto dirigente, contri-buendo attivamente alla costruzione di un progetto di sviluppo, di trasfor-mazione e di valorizzazione del territorio all’interno di una visione e di un disegno di futuro che non può che essere a dimensione metropolitana.Il Veneto, privo di un vero e competitivo polo metropolitano, rischia, all’in-terno del nuovo triangolo industriale, di restare indietro, di non riuscire a cogliere tutte le opportunità che la competizione internazionale offre. Forti di un tessuto fatto di PMI dinamiche che hanno rinnovato strategie e modelli produttivi e gestionali, ora diventa per noi essenziale saper ri-mettere in gioco il territorio come fattore strategico per nuove funzioni. La rigenerazione di ampi spazi degradati, sia in aree deindustrializzate che nelle città capoluogo e in molte città minori, dove permangono patrimoni pubblici e privati dismessi e in stato di abbandono, deve diventare oggetto

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di un piano regionale sul quale costruire una visione in cui valorizzare vo-cazioni vecchie e nuove. Egualmente diventa sempre più urgente dotarsi di strumenti in grado di assicurare una sempre maggiore qualità del costru-ito, agendo sulla formazione per assicurare competenze e mano d’opera specializzata e sostenendo sistemi di qualificazione del tessuto impren-ditoriale. In un percorso virtuoso vanno, altresì, individuate le criticità che possono impedire il raggiungimento degli obiettivi. Si tratta in modo particolare di agire in tre direzioni: La prima riguarda il rapporto tra sistema economico e politica. A una capacità propositiva del primo deve corrispondere la capaci-tà della seconda di svolgere in pieno le sue funzioni di indirizzo da un lato e di soggetto decisore dall’altro, sapendo superare incertezze e l’eccessivo ricorso di un consenso a tutti i costi. Vi è poi la questione della gestio-ne dei finanziamenti pubblici e dell’attrattività degli investimenti privati. Qui si vince se si sapranno fare delle scelte chiare, evitando la dispersione delle risorse e puntando sulla concentrazione su pochi progetti in grado di svolgere una funzione di volano. Si tratta poi di garantire ai potenziali investitori certezze di tempi e rispetto delle decisioni e degli impegni con-trattuali presi. Infine, vi è la questione delle procedure e della gestione della fase attuativa, ad iniziare dal funzionamento degli appalti pubblici, a cui va collegata la valorizzazione del tessuto imprenditoriale locale. Per la filiera delle costruzioni, in particolare, poter contare sulla consapevolezza delle amministrazioni pubbliche dell’importanza di sapere sostenere una crescita delle imprese e delle aziende del territorio costituisce un fattore oggi strategico. Perché qui si gioca anche la sfida della capacità di un eco-sistema di conservare competenze e creare nuove opportunità di lavoro.Tre questioni di cui farsi carico insieme agli altri attori della filiera e ai part-ner industriali e finanziari, che stanno sostenendo il progetto promosso da Civiltà di Cantiere. Come? Favorendo lo sviluppo di un network integrato coinvolgendo il mondo universitario e della ricerca, le istituzioni econo-miche e settori della società civile. Si tratta di delineare un percorso e di individuare le modalità più opportune per superare mentalità e resistenze culturali, così come di rimuovere quelle principali criticità che oggi rendono il Veneto meno attrattivo di altri territori per capitali finanziari e compe-tenze oggi indispensabili per crescere.

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La valorizzazione del patrimonio pubblico e dei beni comuni

Un ruolo centrale in un percorso di rigenerazione territoriale e urbana lo svolgono politiche attente alla valorizzazione del patrimonio pubblico.

Diventa sempre più ampia l’attenzione, in particolare da parte delle nuove generazioni, alla salvaguardia dei beni comuni intesi non solo come risorse (l’acqua o parti di territorio), ma anche come parti di città o complessi edilizi. Il nodo è far si che questi beni siano a disposizione di tutti e diventino un asset di benessere generalizzato.Ne abbiamo parlato con Claudio Bertorelli, un progettista protagonista della riflessione sul valore del paesaggio e della sua trasformazione e con Ales-sandra Balduzzi, in prima linea nel Veneto nell’ambito dei progetti di CDP Investimenti SGR.I profondi cambiamenti che stanno caratterizzando i processi economici e finanziari, la struttura demografica e le scelte e i comportamenti degli opera-tori e degli utenti, richiedono una revisione profonda dei significati rispetto a termini come “patrimonio” e “bene comune”.“Tradizionalmente – sottolinea Claudio Bertorelli - quando si parla di pa-trimonio immobiliare ad esso viene dato un valore economico positivo, lo si considera un asset dal segno più. Dopo la crisi e la forte frammentazione del settore e degli attori per molti soggetti della filiera edilizia il patrimonio immobiliare può invece assumere perfino una caratterizzazione negativa: da opportunità diventare un problema. Basti pensare ai grandi patrimoni pub-blici, che restano invenduti per quotazioni fuori misura rispetto al mercato (ma spesso anche per mancanza di idee) e costringono le amministrazioni a rivedere i bilanci, trovandosi a dover ridurre programmi e progetti legati a potenziali operazioni immobiliari a forte ridimensionamento di valore. Per i privati poi la situazione è ancora peggiore. I piccoli imprenditori e pro-motori hanno visto crollare le loro vendite. Molti sono falliti e altri galleggiano oppressi da operazioni sospese o bloccate. In modo particolare la situazione produce effetti rilevanti per quanto riguarda gli istituti finanziari, che si ri-trovano un patrimonio che, se valutato ai prezzi attuali, andrebbe a influi-re profondamente sulla struttura dei bilanci. Uno scenario sul quale appare complicato incidere, anche a causa delle caratteristiche di questo patrimonio che è ben lontano, in termini di prestazioni e di funzionalità, dall’attuale evo-luzione della domanda.”Ecco che crescono le difficoltà da parte dei Comuni e delle amministrazio-

di MARTINO

ALMISISI

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ni pubbliche, colpite da una contrazione dei trasferimenti di risorse e poste di fronte a una forte richiesta di adeguare qualità urbana e servizi. Si arriva a un’impasse che contrasta con la convinzione che una vera rigenerazione urbana non possa che partire da iniziative pubbliche e quindi dalla messa a valore di un patrimonio da riqualificare. “Credo – prosegue Bertorelli - che si debba fare un salto di scala, ovvero su-perare la logica del singolo edificio o contenitore, per ragionare secondo con-cetti di rete delle opportunità, così da poter attrarre risorse e investimenti interessati ad operazioni di maggiore dimensione. Ciò andrebbe anche nella direzione di favorire un processo di collaborazione tra i Comuni, spingendo gli amministratori a confrontarsi all’interno di una logica orientata allo svilup-po. Se l’approccio verso il patrimonio immobiliare ha significato un cambio di segno, rispetto al bene comune, bisogna allargarne la valenza coinvolgendo anche le proprietà dei privati. Prendiamo ad esempio il lavoro che svolge il FAI, intercettando un patrimonio privato di valore culturale per rimetterlo in circolo favorendone una fruizione pubblica. In molti casi questo patrimonio assume per le comunità locali un valore di bene comune. Ecco dovremmo al-largare questa riflessione anche ai beni economici, alle strutture e ai patrimo-ni, spesso di dimensioni considerevoli, che, avendo un impatto rilevante sul territorio, condizionano qualunque progetto serio di rigenerazione e quindi impediscono di trasformare un problema, la perdita di valore, in opportunità. Penso agli ex stabilimenti di trasformazione dell’Italcementi nella mia città d’origine, Vittorio Veneto. Ettari di territorio con strutture che si degradano progressivamente e che costituiscono elementi ad elevato impatto paesaggi-stico, che potrebbero e dovrebbero diventare bene comune: ovvero patrimo-nio di una comunità su cui costruire una visione di futuro. Poli da collegare e mettere in rete dando concretezza a una nuova visione di sviluppo regionale e del Nord Est.” Dovrebbero essere le Comunità attraverso le proprie struttu-re di rappresentanza economiche e della società civile a diventare protago-nisti in positivo per sostenere progetti di trasformazione e di rigenerazione. Per Bertorelli è una questione di identità. “Se le comunità si riconoscono in questi patrimoni e ne assumono consapevolmente una responsabilità, po-tremmo dire storica e morale, allora essi diventano beni comuni indipenden-temente se pubblici o privati, con la conseguenza che diventano oggetto di politiche pubbliche. I nodi sono a monte e a valle. Esistono resistenze di men-talità, timori - spesso giusti - di speculazione, e quindi vanno date garanzie sui risultati. Così come manca una cultura amministrativa in grado di sapere riconoscere valore alla rigenerazione, da cui far discendere comportamenti, scelte e procedure di gestione adeguate al raggiungimento di un obiettivo che diventa a questo punto di interesse pubblico. Lo stiamo verificando con la nuova legge sul consumo del suolo e con la legge 'Veneto 2050', rispetto alle quali persistono rilevanti resistenze culturali che rendono difficile appli-

care alcune delle innovative disposizioni in essa contenute, soprattutto in materia di usi temporanei, rinaturalizzazione e varianti verdi. Egualmente si riscontrano difficoltà sul versante imprenditoriale dove continua a dominare la logica della cubatura, senza rendersi conto che oggi un spazio vuoto può diventare molto più redditizio, in termini di servizi, rispetto a una palazzina di complessa collocazione sul mercato. Ci vorrebbero soprattutto nuove compe-tenze e quindi percorsi formativi adeguati e funzionali a questo cambiamen-to di scenario. È una delle sfide di qualunque progetto di sviluppo concreta-mente attuabile, che voglia avere delle chances di successo.”E sono le competenze oltre che le risorse, così come le strategie e di modelli di investimento relativamente al patrimonio pubblico a caratterizzare attività e progetto il fondo Investment SGR di Cassa Depositi e Prestiti. “Non c’è dubbio – sottolinea Alessandra Balduzzi - che il nostro core business sia contribuire allo sviluppo del mercato immobiliare italiano valorizzando il patrimonio immobiliare pubblico; con i fondi FIA (Fondo Investimenti per l’A-bitare) e FIT (Fondo Investimenti per il Turismo) supportiamo inoltre le poli-tiche abitative sociali e il settore turistico con progetti di riqualificazione del

Ex ospedale al

Lido di Venezia.

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patrimonio immobiliare e storico del Paese. La nostra mission è stimolare e ottimizzare i processi di dismissione di patrimoni immobiliari da parte di enti pubblici e/o da società da questi ultimi controllate, anche indirettamente, curarne la successiva valorizzazione, nella prospettiva di una dismissione sul mercato immobiliare privato, oltre che sviluppare il patrimonio immobiliare riferibile alle società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Nell’ambito del Piano Industriale 2019 – 2021, il Gruppo CDP mobiliterà oltre 110 miliardi di euro di risorse proprie per la crescita economica e lo sviluppo sostenibile del Paese, attivando oltre 90 miliardi di risorse aggiuntive da investitori privati e altre istituzioni territoriali, nazionali e sovranazionali; parte di queste risor-se saranno dedicate proprio allo sviluppo delle infrastrutture e del territorio italiano, e un filone importante e senz’altro rappresentato dagli interventi di rigenerazione urbana. Attualmente il FIV Extra comprende oltre 80 asset per un valore complessivo di circa 700 Mln €, immobili dislocati nelle principali città italiane. Molti di questi sono Ex Caserme, Ex Ospedali, spazi di enormi dimensioni, spesso in posizione centrale nelle città. E nel Veneto? “Nel Ve-neto siamo concentrati sulla riqualificazione dell’Ex Ospedale al Mare al Lido di Venezia, compendio di ca. 60.000 mq con antistante arenile di ca. 80.000 mq. Il progetto si colloca all’interno degli indirizzi strategici del Comune di Venezia orientati alla valorizzazione turistica in una logica green. La rigene-razione si esplica nella realizzazione di un complesso turistico di alto livello che prevedrà oltre alla parte residenziale e ai servizi direttamente connessi a questa vocazione, una serie di spazi destinati a funzioni pubbliche, ad iniziare da un nuovo presidio sanitario. Tutte le procedure autorizzative dovrebbero essere completate entro la metà del prossimo anno e l’apertura delle strutture ricettive è prevista per la primavera 2024”. CDP potrebbe anche svolgere un ruolo proattivo rispetto a complessi e realtà private ma che di fatto, per la loro rilevanza sullo sviluppo di un territorio e per la qualità della vita di una comu-nità, assumono un forte valore di interesse pubblico, ma sfortunatamente, questa possibilità ancora non sussiste. “Le realtà private possono essere con-troparti di CDP per operazioni immobiliari unicamente se si tratta di immobili turistici – afferma Alessandra Balduzzi - poiché il turismo è stato definito un settore strategico di interesse pubblico in Italia, il che autorizza ad investire la raccolta postale. Fatta questa eccezione, si tratta di casi che non rientrano specificamente nella nostra missione, che riguarda la valorizzazione del pa-trimonio pubblico dismesso. Tuttavia appare chiaro che CDP nella sua attività complessiva è sempre più chiamata a svolgere una funzione di supporto, per il territorio attraverso interventi nelle infrastrutture (materiali e immateriali) e nelle PMI, che vedono coinvolti appunto operatori pubblici e privati. Per stimo-lare questo tipo di collaborazione sono stati sottoscritti già alcuni protocolli a livello regionale o locale, all’interno di operazioni inserite in accordi quadro o di programma.”

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Vertical farm: un nuovo modello?

I nuovi sistemi di coltivazione possono inserirsi all’interno delle strate-gie di riconver-sione produttiva delle città.

Negli ultimi cinque anni i sistemi di coltivazione indoor “fuori suolo” o “senza suolo” han-no registrato una forte crescita a livello mondiale, conquistando rilevanti quote di merca-to e raggiungendo dimensioni considerevoli, spe-cialmente nel Nord America, nel Nord Europa e in Giappone. Secondo recenti stime, il valore globale di queste produzioni è destinato ad aumentare rapi-damente, passando da 8,1 miliardi di dollari nel 2019 a 16,0 miliardi di dollari nel 2025. Si tratta di tecniche di coltura senza uso di terreno agrario, nate dagli studi di William F. Gericke negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, che permettono di: incrementare la produttività delle piante regolandone il ciclo di vita tramite il controllo dei nutrienti, delle condizioni climatiche e dell’illuminazione; abbattere il consumo di risorse naturali; mini-mizzare l’uso di fertilizzanti e fitofarmaci grazie all’efficienza e alla pulizia degli am-bienti, che tendono a proteggere e rinforzare le piante; ridurre le distanze tra produttori e con-sumatori e, dunque, i costi economici e ambientali asso-ciati al trasporto e allo stoccag-gio. Le coltivazioni idroponiche (con le radici immerse in acqua o in un substrato inerte e irri-gate da un flusso continuo o intermittente) e aeroponiche (con le radici nebulizzate a di-stanza e a in-tervalli regolari da un erogatore) consentono infatti di produrre in qualsiasi stagione e in qualsiasi luogo, in orizzontale o in verticale, in spazi grandi o piccoli, in campagna o in città, al riparo dagli agenti atmosferici e dalle fonti di inquinamento, ali-menti sani, controllati e a chilometro zero.Tra le varie forme di coltivazione fuori suolo, quelle che assicurano i maggiori benefici in termini di quantità e qualità dei prodotti sono le cosiddette ver-tical farm, impianti per col-tivazioni intensive indoor con sviluppo multipia-no verticale, che impiegano tecniche idro-poniche o aeroponiche avanzate a ciclo chiuso in ambiente isolato (edificio o container) e climatizzato con illuminazione artificiale integrale e che, a seconda della superficie col-tivata e del tipo di coltura, possono essere ad alta o altissima automazione, con sistemi automatici o robotizzati per alcune o per tutte le operazioni, dalla semina, alla raccolta, al confezionamento. Oltre a garantire una consistente produzione di alimenti naturali ad elevato valore nutriti-vo, entrambi i mo-delli di vertical farm - sia quello in edificio sia quello in container – pos-sono risultare degli efficaci strumenti di rigenerazione urbana e rurale: da un lato,

di MARCO

GIAMPIERETTI

Fondatore

di "Advance"

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favo-rendo la conversione di capannoni ex industriali e di altri fabbricati inu-tilizzati, in centro o in periferia, in “fabbriche vegetali” (plant factories) ad alto contenuto tecnologico e a basso impatto ambientale (quantomeno dal punto di vista del contenimento delle emis-sioni inquinanti e del consumo di risorse); dall’altro, contribuendo alla rinaturalizzazione dei terreni agricoli e al risparmio di suolo con effetti positivi sull’ambiente, sul paesaggio e sul territorio. Fino a qualche tempo fa il principale ostacolo alla diffusione su vasta scala delle vertical farm, in Italia e non solo, era dato dagli ingenti costi di investimento e di gestione: l’allestimento di linee produttive automatiz-zate o robotizzate, nella fase iniziale, e le spe-se per l’illuminazione, la fer-tirrigazione, la movimentazione e la raccolta delle piante, a regime, finivano in molti casi per rendere queste attività poco appetibili per gli imprendito-ri. A ciò si aggiungevano le difficoltà derivanti dalla necessità di disporre di personale tecnico specializzato per controllare il corretto funzionamento dei sistemi, dai prezzi dei prodotti più sostenuti rispetto agli standard di mer-cato e da una certa diffidenza dei con-sumatori, particolarmente forte nel nostro Paese, rispetto alle proprietà nutrizionali e or-ganolettiche degli ali-menti ottenuti con tecniche di coltura non tradizionali. Per non parla-re dei problemi legati allo smaltimento dei substrati utilizzati o esausti (qualora non fos-sero di origine organica o naturale) e dei materiali usati nel processo produttivo (primo fra tutti, la plastica). Oggi alcuni di questi problemi sono stati risolti, mentre altri sono in via di graduale risolu-zione. La completa automazione e robotizzazione delle li-nee, l’uso di luci a led e il ricor-so a fonti rinnovabili di energia, pur com-portando spese elevate nella fase di start-up (non sempre ammortizzabili in tempi brevi in assenza di contributi esterni), tendono a ridurre di molto i costi dell’attività e, con essi, i prezzi dei prodotti. Il recupero degli scarti e l’utilizzo di materiali riciclabili (substrati organici, bioplastiche ecc.) per-mette di limitare ulteriormente i consumi nell’ottica dell’economia circolare, mentre le più recenti tecnolo-gie informatiche, come la blockchain, assicu-rano la tracciabilità dell’intera filiera, consen-tendo di valorizzare le qualità degli alimenti sotto il profilo della sicurezza e della salute. Naturalmente, molta strada resta ancora da fare, sia sul piano della ricerca (agronomi-ca, ingegneristica ed economica) sia su quello della disseminazione dei suoi risultati, per migliorare ulteriormente le vertical farm, ottimizzarne i pro-cessi, minimizzarne i costi e gli impatti e – perché no? – aumentarne la pre-gevolezza estetica con soluzioni architetto-niche eleganti e coerenti con il contesto in cui si inseriscono. Solo così esse potranno diventare un modello di coltivazione replicabile in ogni parte dell’Italia e del mondo e giocare un ruolo importante in quella “rivoluzione verde” che, negli anni a venire, dovrà cambiare il volto delle nostre città, e forse anche delle nostre campagne, rendendole più belle, più sane e più vivibili.

Città

Storia, tradizione e innovazione al Museo del Novecento M9 di Mestre

Il Museo del Novecento M9 è la novità culturale di Mestre, che racconta la storia che ha segnato tre generazioni, abbracciando il progresso e la ne-cessità di rigenerazione urbana.

Si trova a Mestre e si chiama M9: il museo Multimediale del Novecento, che dallo scorso dicembre ha reso protagonista la terraferma veneziana. Pionie-re nel raccontare e testimoniare la storia del secolo che ha rivoluzionato il mondo, il Museo del Novecento è un dono della Fondazione di Venezia.

di PAOLA SAVINA

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Città

Città

L’istituzione ha voluto regalare all’umanità un luogo di raccolta di esposizio-ni multimediali e interattive che raccontano la storia della nazione durante il Novecento, il periodo del grande progresso e di grandi tragedie consumate nelle guerre più distruttive e indelebili di sempre e di importanti crisi econo-miche. Non esisteva nessun simile, prima del suo avvento.Il visitatore si immerge in un percorso cronologico, dove è possibile riattra-versare passo dopo passo tutti i più significativi cambiamenti della cultura, stili di vita, paesaggi naturali e urbani della scienza e del lavoro che si sono susseguiti fino ai giorni nostri. Un’occasione unica per tornare indietro, al tempo dei nostri nonni e bisnonni, per riscoprire i dialetti di tutto il paese, per addentrarsi nelle abitazioni di una volta, nei paesaggi di campagna che gradualmente lasciano spazio alle città. Tutto questo grazie alla magia della multimedialità.

Raccontare il passato, attraverso l’architettura del futuroParlare di storia e tradizione non è il solo obiettivo del Museo del Novecento. La struttura è composta da tre edifici, il principale adibito a funzioni muse-ali, il secondo nasce dal recupero di un ex convento tardo cinquecentesco e il terzo dalla ristrutturazione di un edificio direzionale degli anni Settanta. Il nuovo centro multifunzione sorge nel cuore della città di Mestre e, oltre a ridare vita e voce al passato, riesce a congiungere parti della città che prima non erano in grado di dialogare: è nata una piccola Smart City a disposizione dei cittadini.Il risultato è un centro multifunzione che va oltre un tradizionale museo, ispirato alle esperienze internazionali di rigenerazione urbana propone un format innovativo, una piccola Smart City al servizio dei cittadini.Progettato dallo studio berlinese Sauerbruch Hutton, la struttura è un esem-pio vincente di architettura sostenibile. Il più grande elemento distintivo del museo consiste infatti nella scelta di soluzioni strutturali all’avanguardia che rendono possibile la riduzione del fabbisogno energetico e la produzione di CO

2.

276 pannelli fotovoltaici assicurano la produzione di 86mila KW di energia solare e 63 sonde del campo geotermico a 110 metri di profondità garanti-scono il 100% del riscaldamento invernale necessario e il 40% del raffredda-mento estivo del museo.La vocazione per l’ecosostenibilità si esprime anche con l’incoraggiamento della mobilità sostenibile: il museo M9 è infatti raggiungibile tramite piste ciclabile, tra cui quella che si collega direttamente a Venezia e grazie a per-corsi pedonali e collegamenti pubblici che portano i visitatori dalla stazione e dall’aeroporto in centro.I cittadini di Mestre possono inoltre usufruire di servizi estremamente inno-vativi presenti all’interno del distretto M9, come isole digitali composte da totem interattivi e multimediali informativi, sistemi di monitoraggio per la sicurezza e assistenza sanitaria, panchine dotate di porte di ricarica USB e hotspost wi-fi a larghissima banda gratuiti e biciclette elettriche.La Fondazione di Venezia ha regalato all’umanità non soltanto una fonte di cultura, ma anche un’oasi del futuro, ispirata alle più innovative esperienze europee.

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La metropolizzazione come strategia di sviluppo regionale

Politiche e nuove forme di governance per le City Regions europee: il caso del Veneto.

In una economia dalla conoscenza, proiettata verso la globalizzazione, le città costituiscono il motore dello sviluppo e un loro potenziamento costi-tuisce uno dei principali obiettivi della programmazione europea. Le tra-sformazioni apportate dall’economica globale stanno producendo infatti l’effetto di accrescere la competitività tra i sistemi urbani e regionali, po-tenziando i flussi e generando il fenomeno delle “economie in cerca di cit-tà” (Calafati 2009). Da qui l’esigenza, fatta propria anche dall’UE, di inve-stire in senso strategico sulla metropolizzazione del territorio, intesa come addensamento o coalescenza di funzioni e di servizi urbani-metropolitani e su uno sviluppo urbano integrato (Indovina 2003), che incida congiunta-mente sull’integrazione territoriale urbano-rurale, con l’obiettivo di rende-re il territorio più attrattivo per i flussi globali. Le ricerche triennali sulla competitività delle regioni in Europa (2013; 2016; 2019) hanno messo in luce a questo riguardo diverse dotazioni contestuali delle regioni europee, evidenziando forti differenze tra le regioni del Nord Europa e le regioni del Mediterraneo e dell’Est. Nel caso italiano, le ricerche confermano il divario tra regioni del Nord e del Sud, evidenziando un chiaro svantaggio competitivo per le regioni che mostrano una incapacità di “fare rete” o “sistema” regionale. È questo il caso, per esempio, della regione del Veneto che, pur essendo tra le regioni più industrializzate d’Europa (1 impresa ogni 8 abitanti nell’area del Veneto centrale) e con un PIL tra i più alti, fa registrare un calo della competitività regionale: come mette in luce l’Indice di Competitività Regionale, il Veneto del 2013 retrocede infatti di ben 41 posizioni, scendendo al 169° posto su 262 regioni europee e non tende a risalire né 2016 né nel 2019. Anche i dati Istat e ICE sul commer-cio estero e l’export del 2018 mostrano una perdita di posizioni del Veneto (crescita 2,81% nel 2018, sotto la media nazionale al 3,07%) che arriva solo terzo, superato ora anche dall’Emilia Romagna, oltre che dalla Lombardia. L’ipotesi che vorremmo discutere è che queste evidenti difficoltà del Ve-neto possano essere ricondotte a uno svantaggio competitivo crescente, dovuto all’assenza di un polo metropolitano in grado di dare forma alle potenzialità espresse dal territorio del Veneto centrale in cui, se da un lato sono presenti tutti gli elementi che potrebbero costituire un’area metro-

di PATRIZIA

MESSINA

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politana policentrica (alta densità demografica e alta presenza di imprese piccole e medie; alta densità di flussi pendolari giornalieri di persone e mer-ci; presenza di nodi importanti di servizi logistici e del terziario avanzato …), dall’altro lo stesso territorio è segnato da una forte frammentazione amministrativa (4 province e otre 200 comuni) che non favorisce una go-vernance a rete. Le strategie proposte dall’Unione europea per incentivare la competitivi-tà di città e regioni, a partire dalla programmazione 2014-2020, puntano sull’incentivazione di politiche integrate, mirate al potenziamento della competitività territoriale quali:

• Politiche integrate per la messa in rete di aree urbane e rurali, rese possibili anche grazie all’introduzione del plurifondo;

• Politiche di smart governance: con il potenziamento di reti intercomu-nali di tipo funzionale, che orientino i piccoli Comuni ad attivare stra-tegie di associazionismo intercomunale, su basi funzionali, per poter entrare in rete con le aree metropolitane più dinamiche e meglio servi-te, andando oltre i confini amministrativi;

• Politiche di metropolizzazione, con il potenziamento delle reti di città come strategia di sviluppo territoriale di area vasta.

Uno degli obiettivi delle politiche di metropolizzazione come strategia di sviluppo è, quindi, la riduzione della frammentazione in ogni sua forma, che può costituire un freno per la competitività dei territori. Si tratta perciò di definire il concetto stesso di Città, o polo metropolitano, in modo nuovo, a partire dalla rete di servizi intercomunali con cui costruire il nuovo spazio urbano in senso funzionale.Per affrontare correttamente il tema della governance dei Poli metropoli-tani, o City Region (Kantor 2010) nel terzo Millennio, è necessario superare alcune visioni classiche dell’idea stessa di città ereditate dalla storia eu-ropea, come quella della Polis greca (autogoverno) o del Comune di ma-trice medievale (entità giuridico-amministrativa), poiché le città moderne, soprattutto le grandi città, quasi sempre non coincidono affatto con un Comune, ma sono piuttosto costituite da un agglomerato di Comuni più o meno esteso e compatto. L’emergere delle City Region, o città glocali (Bas-setti 2007), come ambiti strategici per l’attrattività e la competitività dei territori, solleva pertanto una serie di interrogativi sui modelli organizzativi e le forme di governance più adeguati per il governo di un’area vasta così articolata.Questo problema emerge in modo eclatante nelle zone intensamente ur-banizzate, come quelle del Veneto centrale, in cui i confini amministrativi tra un Comune e l’altro non vengono più percepiti da tempo in modo di-

stinto nell’esperienza quotidiana dei loro abitanti: si parla in questo caso di “città diffusa” o “arcipelago metropolitano” (Indovina 1999; Perulli 2012). Per questa ragione, i confini amministrativi tradizionali, definiti in genere in epoche storiche molto precedenti, oggi non risultano essere più adeguati a definire l’ambito di un’area metropolitana. In questi nuovi contesti me-tropolitani il sistema delle relazioni e delle interconnessioni “a rete” con il mondo globale richiede di superare i vincoli dei confini amministrativi mettendo al centro dell’attenzione le funzioni (es. mobilità e logistica) per governare i flussi di “area vasta”. Il concetto di “Area metropolitana”, o City Region, quindi non può essere adeguatamente tradotto come “Città metropolitana” senza incorrere in equivoci e confusioni concettuali anche fortemente distorcenti. Mentre il concetto di Area metropolitana fa rife-rimento infatti alla dimensione funzionale “di fatto” e a confini definiti in modo flessibile, attraverso dati di “flusso” piuttosto che dati di stock, il concetto di Città metropolitana fa riferimento invece alla dimensione politico-amministrativa “di diritto” e quindi ai confini fissati in genere per legge (nel caso italiano, la Legge Delrio L. 56/2014 fa coincidere le città metropolitane con il territorio provinciale), che però in molti casi, come nel Veneto (Messina 2013), non corrispondono allo spazio urbano che fa riferi-mento all’area metropolitana “di fatto”. Il continente europeo, per la sua storia, è caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di modelli di città e dalla diffusione di città di medie dimen-sioni, con poche città metropolitane monocentriche (generalmente le capi-tali), ma anche da diverse aree metropolitane policentriche che necessita-no di nuove forme di governance “a rete” di tipo intercomunale che vanno però adeguatamente strutturate. Il caso della Francia, a questo riguardo, è per noi particolarmente significativo poiché le Metropol, a cui vengono attribuite forti competenze e finanziamenti in materia di politiche per lo sviluppo territoriale strategico, vengono definite come unioni di comuni con una soglia demografica di oltre 500 mila abitanti (Messina 2018). Le strategie di metropolizzazione, quindi, coinvolgono in modo significativo anche le riforme istituzionali e di riordino territoriale con il duplice obietti-vo, da un lato, di promuovere una semplificazione amministrativa dei livelli di governo insieme all’adeguatezza istituzionale e, dall’altro, di rafforzare la capacità delle reti di governance policentriche per favorire la “messa in rete” degli attori strategici dello sviluppo regionale. Il potenziamento delle reti di governance, tuttavia, richiede un forte inve-stimento sulla cultura di rete di tutti gli attori, pubblici e privati: la metro-polizzazione come strategia di sviluppo non riguarda infatti solo i governi locali, ma la capacità di lavorare in rete di tutti gli attori strategici dello sviluppo regionale, a partire dalle imprese, dalle associazioni di categoria che le rappresentano, dalle università.

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Verso un polo metropolitano veneto

Tavola Rotonda

ad ARTURO

LORENZONI

Vicesindaco

di Padova,

SIMONE

VENTURINI

Assessore allo

Sviluppo del

territorio e

infrastrutture

del Comune

di Venezia,

ANDREA DE

CHECCHI

Vicesindaco del

Comune di Treviso

La riduzione del numero di comuni, soprattutto piccoli, può incidere sulle politiche di sviluppo regionale? Le ricerche sul tema hanno evidenziato che, più che la riduzione del numero dei comuni (che comunque aiuta), ciò che conta per un’efficace governo del territorio non è tanto la numerosità dei comuni (tanto più se privi di competenze), quanto la capacità di messa in rete attraverso forme associative di tipo cooperativo, fortemente incen-tivate in modo coerente e rese sostanzialmente obbligate. Per realizzare questo tipo di riforma a sostegno dell’azione di “messa in rete” dei comuni, è necessario investire tuttavia sull’attivazione di una cultura istituzionale di tipo cooperativo che non può essere imposta in tempi brevi per legge, ma deve essere perseguita da una volontà politica chiara, con incentivi selettivi volti a premiare i comportamenti virtuosi, e questo richiede più tempo e una strategia politica volta a raggiungere con determinazione l’obiettivo di un miglioramento della capacità istituzionale (Messina 2011). La ridu-zione del numero dei comuni sembra funzionare, quindi, come proxy della “capacità istituzionale” di governo del territorio, poiché favorisce la costru-zione di livelli istituzionali di governo maggiormente adeguati a svolgere con efficacia le funzioni e i servizi che rendono attrattivo un territorio, ma si tratta di una variabile che deve essere adeguatamente contestualizzata.Nel caso italiano, vista la delega alle Regioni per l’attuazione sul territorio della riforma di riordino territoriale, si sta verificando una forte differenzia-zione tra le regioni nel modo di incentivare unioni e fusioni di comuni, più concentrate nelle regioni del centro-nord (Messina 2017). In rari casi le leg-gi regionali di riordino territoriale affrontano il tema del governo dell’area vasta e della metropolizzazione. Nel caso del Veneto, in particolare, l’area vasta tende a coincidere ancora con le vecchie province, mentre l’attenzio-ne è stata spostata negli ultimi tempi sul tema dell’autonomia differen-ziata, un progetto che tuttavia, se non è accompagnato da una strategia di sviluppo regionale, non sembra in grado di rispondere all’esigenza di implementare la competitività regionale: l’autonomia regionale può costi-tuire infatti un mezzo e non certamente il fine di una strategia di sviluppo regionale (De Donno, Messina 2018). Servirebbe piuttosto una strategia di metropolizzazione per la città diffusa della “campagna urbanizzata” del Veneto centrale, segnalata anche dall’OCSE (2012) come Functional Urban Area che, in assenza di un polo metropolitano competitivo, tenderà a gravi-tare sempre più su Milano e Bologna, perdendo di competitività Per poter operare in questa direzione, tuttavia, diventa di fondamentale importanza mobilitare tutte le forze produttive della regione per motivare l’urgenza di una riforma di riordino istituzionale che si configuri, non solo e non tanto come un modo per ridurre la spesa pubblica, ma come una stra-tegia di sviluppo regionale in grado di favorire un riposizionamento strate-gico del territorio.

Intorno alla città metropolitana veneta da anni si discute, si ragiona, riaf-fiorano progetti e poi tutto ricade nel dimenticatoio. La PaTreVe come la fe-nice. Questo ritornarci sopra, questo riemergere di interesse è figlio oggi della consapevolezza che trovare una nuova Governance di un’area che è già me-tropolitana geograficamente e in molte funzioni, debba diventare un proget-to concreto in cui mettere al centro i tre poli urbani di Padova, Venezia e Tre-viso. Ne abbiamo parlato con il vicesindaco di Padova Arturo Lorenzoni, l’Assessore allo Sviluppo del territorio e infrastrutture del Comune di Venezia Simone Venturini e Andrea De Checchi, vicesindaco del Comune di Treviso.

De Checchi: “Vale la pena ricordare come la storia del progetto metropolitano nasca con molte difficoltà già nei primi anni 70’ con una proposta avviata dal-la città di Padova alla quale hanno fatto seguito diverse importanti iniziative della Regione Veneto per concordare un accordo di programma, cioè uno stru-mento operativo per definire i progetti di interesse comune. Ed è alla fine degli anni ‘90 che le associazioni degli industriali stipularono intese tra gli operatori dei comuni di Padova, Venezia e Treviso per attivare sinergie tra i vari settori produttivi. Il valore della città metropolitana sta nell’affrontare il tema della trasformazione attraverso una visione integrata della mobilità, dell’organiz-zazione produttiva, della qualità dei servizi all’impresa e alla persona. Oggi le condizioni legate alle dinamiche in atto ci pongono nella prospettiva di supe-rare difficoltà incontrate nella costruzione delle città metropolitane attraverso una operazione puramente amministrativa, affrontando invece la necessità di sviluppo contemporaneamente globale e locale connessa con la competitività dei sistemi urbani nell’ambito dell’Unione Europea.”

Lorenzoni: “Il tema dell’integrazione economica e amministrativa dell’area delle tre provincie non è nuovo ed è stato declinato in vari modi negli ultimi due decenni, con alterna attenzione da parte dei decisori pubblici. Oggi un passo avanti è stato condotto con l’integrazione delle associazioni degli industriali delle provincie di Padova e Treviso e il dialogo con Venezia e Rovigo ancora in atto. Se il processo amministrativo ha molti vincoli giuridici, l’integrazione dei servizi di fatto può procedere su alcuni settori in cui l’area di adozione è un fat-tore strategico: i servizi alle imprese, i trasporti, i servizi a rete, le politiche per il territorio, … Io lo ritengo un processo desiderabile e capace di creare valore, nel rispetto delle autonomie e delle specificità delle città e dei territori.”

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Venturini: “Io sono da sempre convinto che l’area metropolitana Venezia, Pa-dova, Treviso costituisca di fatto un unico grande territorio. Nello stesso tempo in cui arrivo da un polo all’altro di una delle tre città arrivo tranquillamente da Padova a Venezia e da Venezia a Treviso. In venti, massimo trenta minuti rie-sco a raggiungere i poli di queste tre città utilizzando il treno o un'autostrada. È evidente quindi che siamo in un'unica grande area metropolitana. Sempre di più la sfida sarà tra grandi città e non solo tra nazioni. La città metropolitana, opportunamente modificata con piano legislativo e poi riempita di forti com-petenze, può sicuramente rappresentare lo strumento giuridico e istituzionale all’interno della quale si potrebbe realizzare questa unione tra città. I comuni potrebbero mantenere tutte le relative competenze ma sarebbe allo stesso tempo possibile avere delle politiche omogenee su mobilità, infrastrutture, attrazione degli investimenti, turismo ecc. La nuova architettura istituzionale potrebbe attuare delle politiche su bassa scala, non solo limitate ai tre comuni o alle tre province ma a una grande area metropolitana in grado di competere con altri grandi poli come Parigi, Londra, San Francisco, New York. Sarebbe così anche in grado di attrarre capitali, investitori, produzioni, ma anche giovani ta-lenti.”

Ma quale potrebbe essere il percorso per arrivare a costruire una città metro-politana e quali le maggiori criticità?Lorenzoni: “Credo sia un processo continuo già avviato, che può essere acce-lerato o rallentato, ma inesorabile per assicurare la competitività del territorio veneto e la creazione di un polo attrattivo per investimenti nazionali ed esteri. La criticità è legata alla complessità dei processi di aggregazione, che com-portano delle rinunce. Penso sia indispensabile un ragionamento celere sugli obiettivi che vogliamo dare all’economia veneta, per concentrare su di essi le risorse e la crescita. Scegliere per competere.” De Checchi: "I principali fattori di criticità sono riconducibili alle incertezze nor-mative, all’ambiguità riflessa nella contraddizione più generale tra decentra-mento e centralismo, e infine alla frammentazione delle competenze a livello nazionale, che rispecchia la segmentazione tra livelli di governo. Un primo pro-blema da affrontare è quello di individuare territorialmente la città metropo-litana, ovvero la sua dimensione e composizione. La questione del confine si lega alla difficoltà di poter indicare con precisione i caratteri della condizione metropolitana. La città metropolitana è qualcosa di molto diverso: scomparsa la vecchia scala urbana, a essa subentrano, coesistendo, scale territoriali diffe-renti, che oscillano tra la Regione e il Comune, ma che, contemporaneamente li trascendono, travalicando anche lo stesso confine nazionale. Quanto alle criti-cità locali, prendendo spunto dal dibattito emerso in sede di consultazione del Piano di Assetto del Territorio, ricordiamo l’attenzione alla dimensione della

città di Treviso. In questa porzione di territorio si sono concentrate le attività produttive ma progressivamente anche le residenze e i servizi alla residenza. Certo molti nodi rimangono ancora insoddisfatti: le infrastrutture e le criticità legate al traffico e alla congestione dell'area centrale, il progressivo declino for-male dei quartieri, il tema della riorganizzazione anche spaziale dei servizi e la collocazione di molti Enti e funzioni pubbliche.".

Quale ruolo dovrebbe avere ogni città, tenendo presente le singole vocazio-ni sociali, geografiche ed economiche e quali potenzialità potrebbero essere sviluppate grazie alla nuova struttura amministrativa e territoriale?Lorenzoni: “Ogni città ha la possibilità di sviluppare liberamente i propri pro-getti coerenti con la propria vocazione; le nuove potenzialità sono connesse con la maggiore scala conseguibile nel coordinamento delle attività econo-miche. Non vedo il rischio di perdere identità, ma al contrario l’opportunità di valorizzare una rete di relazioni che rappresenta un sistema molto efficace e dinamico.”

De Checchi: I principali fattori di criticità sono riconducibili alle incertezze nor-mative, all’ ambiguità riflessa nella contraddizione più generale tra decentra-mento e centralismo, e infine alla frammentazione delle competenze a livello nazionale, che rispecchia la segmentazione tra livelli di governo. Un primo pro-blema da affrontare è quello di individuare territorialmente la città metropo-litana, ovvero la sua dimensione e composizione. Tuttavia, la questione del confine appare tutt’altro che risolta. Essa si lega alla difficoltà di poter indicare con precisione i caratteri della condizione metropolitana. La città metropolita-na è qualcosa di assai diverso: scomparsa la vecchia scala urbana, a essa su-bentrano, coesistendo, scale territoriali differenti, che oscillano tra la Regione e il Comune, ma che, contemporaneamente li trascendono, travalicando anche lo stesso confine nazionale. Quanto alle criticità locali, prendendo spunto dal dibattito emerso in sede di consultazione del Piano di Assetto del Territorio, ricordiamo l’attenzione alla dimensione della città di Treviso che è diventata negli anni polo centrale del settore manifatturiero, basato su un’organizzazio-ne per distretti produttivi che determina la nascita della prima cintura della futura Grande Treviso. In questa porzione di territorio si sono concentrate le attività produttive ma progressivamente anche le residenze e i servizi alla re-sidenza. Certo molti nodi rimangono ancora insoddisfatti: le infrastrutture e le criticità legate al traffico e alla congestione dell'area centrale, il progressivo declino formale dei quartieri, il tema della riorganizzazione anche spaziale dei servizi e la collocazione di molti Enti e funzioni pubbliche. Rimane altresì irri-solto il ruolo di Treviso rispetto alla gerarchia territoriale. La città ha sofferto (come gli altri capoluoghi di provincia), della concorrenza delle prime e poi delle seconde cinture urbane che hanno iniziato ad assumere un ruolo più maturo che

L’intervista L’intervista

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non si limitava esclusivamente a mettere a disposizione terreno agricolo tra-sformabile, ma progressivamente mettendo in campo servizi alle persone ed anche alle imprese. Anche la mancata evoluzione del settore dei servizi avan-zati per i distretti industriali del retroterra provinciale, come ad esempio: la logistica, l’information technology e servizi finanziari e di supporto al mana-gement aziendale che continuano a gravitare in maniera significativa sull’area veneziana e padovana. Questa situazione, che ha comportato di conseguenza anche una crescita molto più lenta e tradizionale del terziario commerciale, può aver determinato una frattura con il territorio contermine. Una frattura sancita anche dagli strumenti urbanistici, che trova un suo primo segnale di attenzione nell’idea della Grande Treviso, del Piano Strategico provinciale e poi del P.T.C.P.”

Come si potrebbe governare un processo più articolato e quale ruolo do-vrebbero assumere Comuni e Regione?Lorenzoni: “Questo tema si interseca con quello più generale dell’autono-mia in corso di discussione su scala nazionale. L’unica evoluzione possibi-le, per non sostituire un centralismo romano con un centralismo regionale, è l’autonomia creata intorno alle responsabilità e risorse dei centri urbani. Oggi i comuni si trovano gravati di responsabilità importanti nella tutela del territorio, della qualità dell’aria, delle nuove politiche per la mobilità, nella rigenerazione di aree industriali e molti altri fronti, senza aver autonomia nella allocazione dei budget, né poter acquisire risorse tramite la fiscalità. Un modello di autonomia, a partire dal ruolo dei Comuni, è dunque desiderabile per consentire aggregazioni dinamiche e funzionali.”

Venturini: “I Comuni sono chiamati a fare i Comuni. La Regione secondo me dovrebbe vedere di buon occhio e non come possibile competitor un proces-so di trasferimento di competenze. Penso in particolare all’urbanistica, alla mobilità e ad alcune tematiche di sostenibilità ambientale che potrebbero appunto essere trasferite dalla Regione a questa grande area metropolitana. Stiamo ovviamente parlando di ipotesi e fantasie purtroppo per ora, però non sarebbero tanto lontane dalla realtà se ci fosse una capacità di disegnare ar-chitetture istituzionali moderne. In realtà siamo fermi a una bozza di riforma che ha trasformato le province in Città Metropolitane senza però accompa-gnare questo cambio di nome a un cambio di paradigma e a un vero rafforza-mento delle Città Metropolitane. Alcune delle competenze regionali, qualora si concedesse maggiore autonomia alla Regione Veneto, potrebbero essere trasferite automaticamente alla città metropolitana. Penso al turismo e ad alcune competenze in materia di pianificazione territoriale, alcune materie in termini di traporti, restituendo così effettivo contenuto a un contenitore che oggi in parte è riempito e in parte è ancora da riempire.”

L’intervista