Padova Chiesa del Corpus domini per l’adorazione Eucaristica · I due sguardi d’amore presenti...

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Bollettino EucaristicoPeriodico trimestrale di cultura e spiritualità dell’Opera Diocesana Adorazione Perpetua di Padova

Anno CI - N. 4/2016 OTTOBRE - NOVEMBRE - DICEMBRE - Abbonamento annuo: € 15,00Sped. Abb. Post. art. 2 comma 20/C L. 662/96 - Fil. di Padova CMP - Aut. Trib. di Padova 12/1/95 n. 100

Direttore: Mons. Pietro Brazzale - Direttore Responsabile: D. Gino BrunelloGrafica e Stampa: Tipografia Regionale Veneta - Conselve (Pd) - Tel. 049.5384097

Ufficio dell’Opera: Via S. Lucia, 42 - 35139 Padova - Tel. 049.8760404 - Lunedì-Venerdì ore 9.00-11.00 - CCP N. 146357e-mail: [email protected]

Redazione: Mons. Pietro Brazzale, Don Gino Brunello, Don Roberto Ravazzolo, Don Leonardo Scandellari, Mons. Angelo Cecchinato, Mons. Giuseppe Zanon, Dott.ssa Chiara Rigato, Giulia Bertolo, Diac. Francesco Montemaggiore.

PadovaChiesa del Corpus domini

per l’adorazione Eucaristica

Orario delle Celebrazioni:

F e r i a l i(da lunedì a venerdì)

SS. Messe ore: 8.30-10.0017.30 recita del S. rosario

18.00 Benedizione eucaristica e S. Messa

S a B atOSS. Messe ore: 8.30 - 10.00

alle ore 12 termina l’adorazione e la chiesa viene chiusa

Si informano i lettori che è on line il nuovo sito web dell’Opera Diocesana per l’adorazione perpetua all’indirizzo www.adorazioneperpetuapd.it,

dove si possono trovare, oltre al Bollettino eucaristico, tutte le informazioni relative alla Chiesa del Corpus Domini - S. Lucia (orari S. Messe e adorazione),

alle iscrizioni alle Messe perpetue, all’Adorazione eucaristica e al BOLLettinO euCAriStiCO.

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In copertina: Opera del pittore Michelini nella chiesa centrale dell’OPSA di Sarmeola (Padova).

EditorialeDio è un Padre misericordioso che ci aspetta sempredi mons. Pietro Brazzale

LiturgiaI Prefazi delle Feste del Signore. L’«Annunciazione del Signore»di mons. Angelo Cecchinato

I due sguardi d’amore presenti nella Liturgia Eucaristicadi mons. Pietro Brazzale

PastoraleRimettere Dio al centro della vita la Redazione

“Il nostro amore quotidiano”di diac. Francesco Montemaggiore

Dove possiamo trovare la vera gioia del Natale?di mons. Pietro Brazzale

Nella Santa Messa sentiamo che i defunti sono tra noi di Giulia Bertolo

Pietà EucaristicaMons. Hélder Càmara illustra l’efficacia della Santa Messadi mons. Pietro Brazzale

Proposta di AdorazioneVieni, Spirito! di don Roberto Ravazzolo

Pietà EucaristicaNon c’è posto più santo del tabernacolo di mons. Pietro Brazzale

Gesù svela ad un’anima la potenza della benedizione impartita da un sacerdotedi mons. Pietro Brazzale

Esempi di Pietà EucaristicaLa vita di San Francesco di Assisi è stata riscaldata dall’Eucaristia la Redazione

Don Carlo Livierodi don Leonardo Scandellari

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DIO è UN PADRE mIsERIcORDIOsO chE cI AsPEttA sEmPRE

Non ci rendiamo conto dell’effet-to della nostra preghiera su Dio. Questo effetto è notevole. Quan-do diciamo al Padre: “rimetti a noi i nostri debiti”, tocchiamo in lui l’amore misericordioso, che lo ani-ma nei nostri riguardi; raggiungia-mo ciò che egli ha di più profondo nel suo cuore paterno.Se Gesù non ce lo avesse rivela-to, non avremmo mai potuto sape-re fin dove giunge la misericordia divina. Egli ce la fa comprendere con la parabola del figliol prodigo; sarebbe meglio chiamarla parabo-la del padre misericordioso, per-ché mostra soprattutto i sentimenti del padre verso suo figlio.Dopo aver descritto il peccato e la conversione, Gesù pone sotto i nostri occhi l’accoglienza del Pa-dre al peccatore pentito. Il peccato è presentato non come una rivolta della creatura contro il Creatore, ma come l’oltraggio di un figlio a suo padre. Gesù ha voluto sotto-lineare l’offesa all’amore paterno. Egli dipinge la conversione come un ritorno alla casa del padre: il

figlio prodigo si presenta a suo pa-dre come colui che non è degno di essere trattato come figlio. L’in-contro non è quello di un giudice che riceve il colpevole, ma quello di un padre felice di ritrovare suo figlio. Il perdono scaturisce da un cuore paterno, che ha fretta di accogliere l’infelice smarrito e di restituirgli tutto quello che ha per-duto.Descrivendoci il figlio prodigo su-bito reintegrato nella sua dignità e nei suoi privilegi di figlio, Gesù ci fa comprendere che, con il suo perdono, il Padre cancella ogni macchia e restituisce purezza e santità.Ciò che più colpisce in questa sce-na del ritorno, è che il padre sem-bra più desideroso di accordare il suo perdono che il figlio di otte-nerlo: è lui infatti che aspetta suo figlio con impazienza. Il padre non rivolge al figlio alcun rimprovero; non gli dà nemmeno una lezione sulla sua condotta; fa sparire im-mediatamente tutte le tracce di questo passato vergognoso. Non

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pone alcuna riserva all’amore con il quale abbraccia suo figlio. Pen-sa solo ad esprimere la sua gioia ed a farla condividere da altri.Con ciò possiamo comprendere meglio le disposizioni del Padre,

quando ci rimetta i nostri debiti: egli li rimette con gioia, gioia di un amore che cancella volentieri il passato e vuole incoraggiarci, per il futuro, a seguire la via del bene.

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Il titolo Annunciazione del Signore corrisponde perfettamente all’even-to salvifico che oggi celebriamo: l’incarnazione del Figlio di Dio nel grembo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. Questa precisazione è necessaria perché fino alla riforma liturgica del Con-cilio Vaticano II, l’odierna Solennità era chiamata Annunciazione della Beata Vergine Maria. Ciò era do-vuto a una interpretazione sfasata di ciò che era avvenuto nel Concilio di Efeso (anno 431). Questo, infatti, ha giustamente proclamato Maria Theotocos (Madre di Dio), ma il fondamento di questo titolo sta nel fatto che il Figlio da lei generato è Dio, come il Padre e lo Spirito San-to. Perciò il centro dell’odierna cele-brazione è Cristo. Per completezza aggiungiamo che la data del 25 Marzo è stata scelta tenendo con-to dei nove mesi dal 25 Dicembre, Natale del Signore.Il termine più importante del prefa-zio dell’odierna Solennità è il verbo «concepì». Per una donna conce-pire un figlio è un grande onore,

I Prefazi delle Feste del signoreL’«Annunciazione del signore»(25 Marzo)

ma la realtà più importante è il bambino che le germoglia in grem-bo; è lui la novità. Perciò, la nostra prima attenzione oggi va al Verbo che «per l’azione misteriosa dello Spirito Santo» assunse la natura umana dalla carne di Maria.L’incarnazione del Verbo ha se-gnato una svolta decisiva nella storia della salvezza; si tratta, in-fatti, della più bella decisione pre-sa da Dio Padre per nostro amore: «Tu hai voluto che il tuo Verbo si facesse uomo nel grembo della Vergine Maria» (Colletta). Egli fece questo «mosso da compas-sione per il genere umano e la mi-sera condizione in cui era caduto in Adamo, e perché quanto era stato creato non andasse perdu-to» (S. Atanasio).L’annunciazione avvenne a Naza-reth, piccola località della Galilea, mai nominata nell’Antico Testa-mento. Dio non è andato in cerca di metropoli per l’incarnazione del suo Figlio. Maria stessa era, in ap-parenza, una delle tante ragazze di Nazareth; ma Dio la ricolmò di gra-

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zia perché potesse essere degna Madre del suo Figlio fatto uomo.«All’annunzio dell’angelo, la Vergi-ne accolse nella fede la tua paro-la». È l’angelo Gabriele ad essere inviato a Maria. Presentandosi a lei, la invita alla gioia: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Infatti, la notizia che egli reca è attesa da secoli: «Conce-pirai un figlio… lo chiamerai Gesù (Lc 1,31)… «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,31). Maria si fida del messaggero divino e ac-cetta l’invito di Dio. Tuttavia, chie-de come ciò possa avvenire, dal momento che non è ancora andata a vivere insieme al suo promes-so sposo (cfr. Mt 1,18). La cosa è subito chiarita: il bambino non na-scerà per opera d’uomo, ma «per l’azione misteriosa dello Spirito Santo», che scenderà in lei e dal suo grembo formerà il corpo che verrà assunto dal Verbo.Accolta nella fede la buona no-vella, Maria «con ineffabile amore portò in grembo» il suo bambino. Penso che soltanto una mamma possa comprendere pienamen-te la gioia che provava Maria nel percepire la presenza del bambino nel suo grembo, diventato tempio dello Spirito Santo. Tanto più che quel bambino era «il primogenito

dell’umanità nuova», che doveva nascere proprio da quel corpo che il Figlio stava assumendo e che avrebbe offerto in sacrificio al Pa-dre per noi uomini e per la nostra salvezza.Gesù, infatti, «doveva compiere le promesse di Israele», promesse

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fatte da Dio nello scorrere dei secoli dopo il peccato dei progenitori, pro-messe di un salvatore che avrebbe risollevato l’umanità dalla sua cadu-ta. Il salvatore è Gesù: è lui la stir-pe della donna che ha schiacciato la testa al Serpente seduttore (cfr. Gen 3,14-15); lui il discendente di

Abramo, in cui hanno ricevuto be-nedizione tutte le famiglie della terra (cfr. Gen 12,3; 22,18); lui il figlio della vergine profetizzato da Isaia (7,14), il vero Emmanuele, Dio-con-noi (cfr. Mt 1,38); lui il germoglio suscitato a Davide quale re saggio che governa con giustizia (cfr. Ger 23,5); ecc.

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Ma, oltre che essere il compimento delle promesse dell’Antico Testa-mento, Gesù è simultaneamente una nuova promessa da parte di Dio. Egli, infatti, promette lo Spirito Santo (cfr. Lc 24,49; At 2,33), la Chiesa (cfr. Mt 16,18), il regno di Dio (cfr. Mt 25,34), il premio (cfr. Lc 6,23), la vi-sione di Dio (cfr. Mt 5,8), ecc.Le promesse compiutesi in Gesù ci conferiscono la figliolanza divina (cfr. Rm 9,8 ss), la giustificazione (cfr. Rm 4,23 ss), la vera libertà (Gal 4), ecc. Da parte nostra, però, esse richiedono fedeltà (cfr. Rm 4,13-16) e attesa nella pazienza (cfr. Eb 2,6 ss), nello zelo (cfr. Eb 4,1) e nella santificazione (cfr. 2Cor 7,11).La prospettiva sopra descritta ri-vela Gesù «al mondo come il Sal-vatore atteso dalle genti». Gesù è intrinsecamente «salvatore», il suo nome è «Dio salva», alla sua nascita è stato annunciato ai pa-

stori: «Oggi, nella città di Davide è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). Gesù è l’unico Salvatore (cfr. At 4,12), cioè il salvatore necessario per tutti gli uomini, senza eccezione. Tutti, in-fatti, siamo deboli di fronte al male, tutti cadiamo nel peccato. All’infuo-ri di lui, nessun mai ha perdonato i peccati. Mediante il ministero della Chiesa egli continua a dispensare il perdono del Padre. Con la poten-za del suo Spirito raggiunge anche i peccatori che, pur non conoscen-dolo, sanno riconoscere il male fat-to e se ne pentono.Di fronte al Verbo fatto carne noi, sull’esempio di Maria, dobbiamo adorare la sua divinità, accogliere con fede la sua parola, lasciarci trasformare dalla grazia dei sacra-menti che ci ha lasciato, special-mente dall’Eucaristia. «Egli si è fatto come noi per farci come lui».

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Nella Santa Messa l’Eucaristia viene mostrata, per suscitare vari atti di amore. Questo avviene in due pre-cisi momenti.L’ostensione delle specie consacra-te, in uso già verso la fine del secolo XII, andò sempre più rafforzandosi nelle epoche successive, così da conferire all’Eucaristia il valore di una epifania divina.Il cristiano riconoscendosi indegno di ricevere la grazia speciale di una apparizione del Salvatore nella sua umanità, vuole abbracciare con lo sguardo il velo che lo nasconde.Si spera che “questo sguardo fissato sul mistero” sia apportatore di gra-zie. Si ha di tale sguardo un concetto così grande che lo si ritiene equiva-lente alla Comunione.La liturgia eucaristica, così come è articolata nell’attuale Messale, pre-senta due atteggiamenti concreti di ostensione, che suscitano quella adorazione, che la contrassegnano fortemente.Prima di tutto abbiamo quei gesti che accompagnano il momento del-la consacrazione, posto all’interno della Preghiera Eucaristica come suo cuore.

Il sacerdote prende il pane, e tenen-dolo alquanto sollevato sull’altare, alza gli occhi, si inchina leggermen-te, mentre pronunzia le parole della consacrazione.Successivamente, dopo avere pro-nunciato le parole con voce chiara e distinta, come è richiesto dalla loro natura, il sacerdote presenta al po-polo l’ostia consacrata (il calice), la depone sulla patena e genuflette in adorazione.Sono semplici gesti, che non tutti i presbiteri fanno propri, in senso pro-fondo, in questo momento. Eppure tale agire misurato esprime la “sa-cralità” esigita dal mistero celebra-to, e una fedeltà alle origini, ispirata dall’adorazione di ciò che Cristo ha consegnato ai suoi e ora riconsegna, di volta in volta, a noi.Il rito della comunione prospetta l’altra ostensione, che suscita un at-teggiamento di adorazione, scandito anzitutto dalla genuflessione, com-piuta dal sacerdote prima di pren-dere l’ostia e mostrarla al popolo. Tenendola alquanto sollevata sulla patena, dice ad alta voce: Beati gli invitati alla Cena del Signore… La risposta a questo invito/esultanza

I due sguardi d’amorepresenti nella Liturgia Eucaristica

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mette in evidenza un senso profon-do di povertà e di umiltà, espresso con le parole stesse del centurione: O Signore, non sono degno di parte-cipare alla tua mensa: ma di’ soltan-to una parola e io sarò salvato (cfr. Mt 8,8).Al di là della libertà concessa rela-tivamente al modo concreto di co-municare (in bocca o sulla mano) è chiaro che l’atteggiamento di adora-zione esprime quella venerazione, soprattutto interiore, che non può essere sottovalutata.

Sembra opportuno cogliere ancora meglio il significato salvifico, che è l’accoglienza di Cristo.Questa, infatti, apre quanti lo adora-no in spirito e verità a riconoscere la propria identità e, quindi, a tendere alla reciproca accoglienza, per una incisiva integrazione. Sicché tale accoglienza è indirizzata ad appro-fondire il legame tra le membra dello stesso corpo.Si tratta di accogliere la presenza viva di Cristo tra di noi, per poi ac-coglierci tra noi, attraverso la carità.

Dio va davvero rimesso al centro, al centro di tutto ciò che alimenta la vita.Imparerò allora a sostituire l’osses-sione con l’appagamento, l’agita-zione con la calma, l’odio con la benevolenza, l’indifferenza con la compassione.Sembra infatti sia una conquista re-cente quella raggiunta dall’essere umano di sentire meno l’istinto della sopravvivenza, molto più il cercare una vita più piena e più vera.La fiducia che stiamo mettendo a fuoco non ha nulla a che fare con l’ingenuità. Essa sa con la paura, con il dubbio, congiungersi con la prudenza. Ma è fiducia!Questa fiducia rimette al centro con-temporaneamente la persona uma-na e Dio.Il mondo è misteriosamente sostenu-to da Dio, così come io sono sostenu-to da lui. L’uno e l’altro sono espres-sione del suo amore. Ma vanno an-che rispettati nella loro autonomia, nei loro limiti. Nella tranquillità che ne consegue, io posso abbandonarmi e ritrovarmi continuamente, assumer-mi le mie responsabilità, accettare il rischio che il vivere comporta.

Imparando però a non abbandona-re mai il mio centro, il mio sforzo a rimanere me stesso. Ritrovare me vuol dire ritrovare Dio. È bene riba-dirlo: il suo è un amore gratuito, che non pretende né prestazioni, né per-fezione.Ai giorni nostri si ama rimettere al centro della vita la preoccupazione per la vita autentica, come modo per incontrare Dio ed essere a Lui fedele. Si tratta di far sì che sia davvero lui ad alimentare la mia fiducia. “Nella tranquillità sono una sola cosa con me stesso. E in questa unità mi sento contemporaneamente uno con tutto ciò che esiste, uno con la creazione, uno con gli uomini e con il fondamen-to di ogni essere” (Anselm Grun).Una tale fiducia richiede un minimo di costante rischio. Non è quindi spontanea. Va coltivata. Richiede al-

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lora di scommettere, non tanto sulla sopravvivenza fisica e sul semplice bisogno di stare a galla, quanto piut-tosto sulla dimensione eterna della vita, sul suo fondamento spirituale.

Gesù ci ha dato l’esempio di come sia davvero possibile non perdere la fiducia nell’essere uomini per dav-vero, confidando in Dio, anche nel Getsemani, anche nella morte.

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L’avevamo attesa con curiosità que-sta Esortazione Apostolica di Papa Francesco sull’amore coniugale e….fresca di stampa l’avevamo subito letta, ciascuno per proprio conto. Frettolosamente, a strappi tra una faccenda e l’altra, partendo dall’In-dice e piluccando qua e là i passi per noi più interessanti e “vicini” alla nostra pluridecennale vita di coppia. Io, con un pizzico di conoscenze teologico-pastorali; lei, Maria Gra-zia, con il senso pratico e prosaico di sposa e madre. Lei, commos-sa quasi fino alle lacrime in alcuni passaggi davvero “forti”; io come sempre distaccato (prevenuto?) come di uno che si ritiene esperto di cose vaticane. Spontaneamente ci siamo confrontati. Lei entusiasta, io freddino, ma ambedue concordi sull’evidenziare almeno due aspetti per noi nuovi e illuminanti: la con-cretezza esistenziale con cui Papa Francesco parla del matrimonio e la sua capacità e libertà nel presenta-re l’amore coniugale in tutte le sue componenti non solo dottrinali ma anche psicologiche e morali.Per la prima volta in un documen-to papale abbiamo colto l’amore nella sua dimensione di sentimen-to gioioso e nel suo valore anche

erotico. Gioia ed eros validi per se stessi anche e prima di tutto a li-vello naturale e umano. Descritti in modo particolare nel capitolo quar-to, forse il più bello, il più vicino alla nostra esperienza e per noi il più in-novativo e affascinante. L’abbiamo così ripreso in mano, con maggior calma, questo capitolo dal titolo “L’amore nel matrimonio”, spec-chiandoci dentro il nostro rapporto di coppia e lo sforzo di vivere cri-stianamente il nostro amore ormai stra-maturo. L’incipit del capitolo ci ha colpito per una novità per noi significativa e provocatoria: decli-nare l’amore coniugale sulla filigra-na dell’inno di Paolo sulla Carità (1 Cor.13). La poetica e incalzante presentazione paolina delle quindi-ci “caratteristiche del vero amore” ha innescato tra noi una serie ine-vitabili di domande che sono diven-tate provocatorie per la nostra vita di coppia. Con una conclusione-conseguenza per noi sposati da tanti anni, del tut-to personale e intrigante.* “La Carità è paziente… bene-vola è la Carità”. Ci viene spon-taneo chiederci se il nostro amore è proprio così; se sappiamo accet-tarci l’un l’altro; se viviamo l’unità

“Il nostro amore quotidiano”

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e l’intimità nonostante la diversità di pensiero e di comportamento riguardo a tante situazioni vitali come ad es. l’educazione dei figli, la gestione del menage familiare, ecc… E poi, ci vogliamo davvero bene cioè il bene dell’altro? Viviamo nell’amore coniugale la gioia vera del dono reciproco, senza ricambi o contraccambi né pretese di alcun genere? La risposta, con gli occhi, è: “ma quando mai? E se qualche volta, quando?” Lasciamo passare qualche giorno per digerire la sen-sazione della pochezza del nostro “amore quotidiano”.* “La Carità non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgo-glio”.Per noi significa che non ci dev’es-sere competizione né alcun senso di superiorità e/o inferiorità tra noi due. Doti, qualità e performance singole vanno intese a servizio del-la coppia e mai a motivo di accusa o di scusa, di esaltazione o di de-pressione, a scapito del partner. Ac-cettarsi per quello che siamo “nella buona e nella cattiva sorte”. Qualche passo in questa direzione ci sembra di averlo fatto, ma la stra-da è lunga e la meta lontana.* “La Carità non si adira, non manca di rispetto, non tiene conto del male ricevuto”. Ci sembra il passo più impegnativo

e difficile, ma strategico in quanto non si tratta di non arrabbiarsi mai – anzi capita spesso- ma di saper-ci rispettare anche quando siamo “tirati”, di saper comprendere le motivazioni dell’altro, di saperci perdonare, di ri-creare un rapporto di nuovo sereno e positivo quanto prima. Saperci capire e scusare senza lasciar “marcire” il conflit-to nelle nebbie rivendicative della ragione o del torto. Saper sempre e solo cogliere “il bene che c’è” e “la perla preziosa” che è l’altro. Mai andare a letto la sera senza aver fatto pace. Con il partner e… la propria coscienza. Ci sentiamo distanti anni-luce da un amore, ci e sembrato, così perfetto e… utopico. Tanto più che Paolo in-calza, quasi spinto dallo Spirito cre-ativo ed esigente: “La Carità tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Ci intriga e non poco ci scoraggia quel “tutto”.Non siamo dei santi e, tra l’altro, l’ambiente in cui viviamo e ope-riamo non ci aiuta né ci edifica. E’ più forte di noi; il troppo è troppo, le nostre forze quelle sono. E ci sentiamo sconfitti. “Molliamo” e… interrompiamo la lettura-riflessio-ne del capitolo quarto. Capitolo chiuso.Ma una cosa l’abbiamo ben capi-ta: l’amore è “questione di cuore”;

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“il mondo delle emozioni” fatto di “desideri, sentimenti e passioni” è il sale della nostra vita a due ed ha valore per se stesso; soprattutto, il nostro amore coniugale non è que-stione di regole, di fare-non fare, di peccato-non peccato, ma sempli-cemente è “conversione del cuore”. E come tale, imita e rispecchia in modo speciale ed unico l’amore stesso di Dio che è misericordia.

Il nostro amore è trinitario tanto quanto l’amore di Dio è coniugale. La nostra famiglia, parola di Papa Francesco, dev’essere un segno “cristologico”, “escatologico” e “sto-rico” di Cristo risorto per noi e in noi, per quanto deboli e peccatori siamo. Questo pensiero ci confor-ta e ci spinge a credere nell’Amore declinandolo “more uxorio” secon-do l’inno di Paolo.

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Ogni anno assistiamo a un’inten-sa preparazione della festa del Natale.Ci sono tanti acquisti da fare nei negozi, tra i quali molti regali desti-nati a diffondere la gioia di Natale.Ma la preparazione dei nostri cuori, la preparazione spirituale, è intensa come quella materiale? Questa è una domanda che ci dobbiamo porre. Non bisogna che la celebrazione della festa sia solo esteriore. Essa consiste, prima di tutto, nell’accoglienza che faccia-mo alla venuta del Salvatore, e questa accoglienza dipende dalle nostre disposizioni personali. Il Natale non può assumere tutto il suo senso per noi, se da parte no-stra non accogliamo il bambino del presepio con cuore aperto.Quando l’evangelista Giovanni ci pone sotto gli occhi il mistero dell’Incarnazione, e ci mostra il Verbo, che esiste dall’eternità, nella sua venuta in mezzo agli uomini, sottolinea che mancava l’accoglienza: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno ac-

Dove possiamo trovare la vera gioia del Natale?

colto” (1,11). Il popolo che era il suo, non gli ha offerto l’accoglien-za che avrebbe dovuto riservare al Messia. È il dramma del popo-lo giudaico che nella sua grande maggioranza, non ha voluto ri-conoscere in Gesù il Verbo fatto carne, e che ha rifiutato di entrare nella sua Chiesa.L’evangelista parla poi di coloro che l’hanno accolto: “A quanti però l’hanno accolto, a quelli che credo-no nel suo nome, ha dato potere di diventare figli di Dio” (1,12). Acco-gliere il Salvatore significa dunque credere nel suo nome, ossia cre-dere in lui e nel suo potere. I testi evangelici ci mostrano come si suddividevano gli uomini al tempo della vita pubblica di Gesù: c’era-no quelli che credevano, quelli di cui Gesù ammirava espressamen-te la fede (cfr. Mc 2,5), e quelli che non credevano, quelli che stupiva-no Gesù per la loro incredulità (cfr. Mc 6,6).La prima accoglienza quindi che dobbiamo offrire al bambino di Natale è quella della nostra fede.

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Questa festa è per noi l’occasione di rinnovare la nostra fede, di ripe-tere a Cristo che crediamo che egli è il Figlio di Dio venuto al mondo per salvarci. Credere in Gesù si-gnifica affermare questa verità, e nello stesso tempo significa porre in lui tutta la nostra fiducia, credere nel suo potere di liberarci da tutto

quello che ci opprime e di trasfor-mare la nostra esistenza. Se c’è stata una mancanza di fede quan-do il Salvatore venne in mezzo alla sua gente, anche attualmente c’è ancora nel mondo una mancanza di fede. Spetta a ciascuno di noi credere più sinceramente, più fer-mamente.

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La fede ci dice che noi vi-viamo e moriamo in DIO. Questa realtà ce l’ha con-quistata e donata Gesù con il suo amore culminato nella sua morte e risurrezione: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiun-que vive e crede in me, non morrà in eterno”. Anche se la vita, per tanti aspetti è incomprensibile, “la vita dei giusti, con tutte le loro prove e sofferenze, è un camminare incontro a Dio, e la loro speranza è piena di immortali-tà. Il Cristo, con la sua risurrezione dai morti, ha dato corpo a questa speranza”.“Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cri-sto: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straor-

dinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Ef. 2,4-7). La no-stra poca fede ci gioca dei brutti scherzi: noi pensiamo a Dio come a qualcuno che rientra nelle nostre “strette” categorie mentali e imma-giniamo che Lui pensi come noi pensiamo, che dia lo stesso valore che diamo noi alle cose. Ma Dio è tutt’altro e “i suoi pensieri non sono i nostri pensieri e le sue vie non sono le nostre vie”. Per questo la preghiera che non dobbiamo stan-carci di rivolgere è “Signore, au-

Nella santa messasentiamoche i Defunti sono tra noi

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menta la nostra fede”, “Padre che sei nei cieli, sia fatta la tua volontà”.La Chiesa prega sempre per i de-funti: in ogni Santa Messa, nel ca-none il sacerdote prega per i vivi e “ricordati Padre dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione, e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto”. “Egli, Gesù, è la salvezza del mondo, la vita senza fine e la risurrezione dei morti. Sei tu, Signore, che ci dai la vita e ci so-stieni con la tua provvidenza; e se a causa del peccato il nostro corpo ritorna alla terra, dalla quale lo hai formato, per la morte redentrice del tuo Figlio, la tua potenza ci risve-glia alla gloria della risurrezione”. Queste preghiere si recitano nella Messa per dirci come i defunti sono presenti quando si celebra la Santa Messa. Nella Liturgia delle Ore, alle Lodi del mattino e al Vespro, nelle preghiere di intercessione la Chiesa prega sempre per i defunti: “Dona il riposo eterno ai nostri defunti, fa o Signore, che li sentiamo vicini a noi nella comunione dei santi”; “Conce-di ai nostri fratelli defunti la gloria della risurrezione, rendi partecipi anche noi della loro beatitudine”.La riforma liturgica, “in conformità alla costituzione conciliare Sa-

crosantum Concilium 81, pone in risalto il carattere pasquale della morte cristiana e, di conseguenza, in tutte le orazioni delle tre Sante Messe che Benedetto XV (1915) concesse di celebrare nel giorno dei defunti, si afferma il misterio-so contatto con i nostri morti per i quali imploriamo, in virtù del sacrifi-cio eucaristico, la luce e la pace di Dio” (Messale Quotidiano. Ed. San Paolo). Qui parla addirittura di “misterioso contatto”, non solo di “un sentire” vicini i nostri defunti.Sant’Agostino ha scritto una pre-ghiera meravigliosa per i defunti: “Sono ormai assorto dall’incanto di Dio, dalle sue espressioni di sconfi-nata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto!… Io vivo nella serena e gioiosa attesa del tuo arrivo tra noi: tu pensami così; nelle tue bat-taglie pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, e dove ci disseteremo insieme nel trasporto più puro e più intenso, alla fonte inestinguibile della gioia e dell’amore. Non piangere più se veramente mi ami!”.Per concludere possiamo riaffer-mare che nella Messa i defunti sono presenti in un “misterioso contatto”.

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mons. hélder càmara illustra l’efficacia della santa messa

Un giorno un medico disse a Mons. Camara: “Come medico conosco il mio male e so di non avere neppure un mese di vita. Ma vorrei morire non come un animale, ma da uomo, e, se possibile, da cristiano. Mi dia perciò la fede!”. Monsignor Camara cercò di spiegargli che la fede non è una me-dicina che con una iniezione si inietta nel cuore umano, e tutto è fatto: è un dono di Dio che bisogna accogliere con piena disponibilità di mente e di cuore. Ma il medico insiste: non vuole morire come un animale, ma da uomo, e possibilmente da cristiano. Allora, l’Arcivescovo disse: “Ho un’idea. Ho la gioia di credere che nella Messa il Si-gnore Gesù si fa presente in mezzo a noi vivo come al tempo degli Apostoli. Verrò qui, nella sua stanza, per cele-brare una Messa accanto al suo letto. E ciò che a me non è possibile fare, Egli non avrà problemi per realizzar-lo”. «Il giorno dopo – scrive lo stesso Monsignor Camara – vado a celebra-re la Messa. Conoscevo prima della Messa la situazione matrimoniale del morente: lui e la sua donna vivevano come marito e moglie, ma erano libe-ri, non essendosi sposati. Durante la Messa c’erano tutti e due, mano nella mano. Al momento della Comunione, con rapidità, lei si stacca dalla mano del morente e si mette in ginocchio

per ricevere la Comunione. La ma-dre del moribondo, istintivamente, mi grida: “Non può comunicarla, padre. Vive in stato di peccato!”. Senza esi-tazione, allora, metto la mano sinistra sul capo della supposta peccatrice e le dico: “Noi tutti, purtroppo, siamo peccatori; ma c’è stata la tua confes-sione pubblica. Sono certo che Cristo ti comprende!”. E le impartisco la Co-munione. Ma proprio in quell’istante, il moribondo si alza sul letto ed esclama “Credo, dom Helder, credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e che è presen-te nella santa Eucaristia!”. Poi si con-fessa. I due si sposano. Poco dopo egli muore.»

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Invocazione allo SpiritoVieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato. O dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amo-re, santo crisma dell’anima!Dito della mano di Dio, promesso dal Sal-vatore, irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. Sii luce all’intelletto, fiamma ardente nel cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore.Difendici dal nemico, reca in dono la pace. La tua guida invincibile ci preservi dal male. Luce d’eterna sa-pienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Amen.

L’azione dello SpiritoSilenzio. Come sulle acque primordiali, lo Spirito aleggia. Accoglien-za, ascolto, desiderio. Lo Spirito segretamente lavora, produce la presenza di Dio, ci trasforma, ci segna col suo sigillo. Siamo di Dio! Siamo il suo popolo! Amore, gioia, adorazione: il cuore vive dei battiti del cuore di Dio! Teresa di Lisieux, leggendo alcuni passi di Paolo, capisce che la profondità dei doni che lo Spirito elargisce non ha altra misura che l’amore. Lo Spirito di Dio, infatti, è Spirito d’amore, è l’Amore.

Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell’igno-ranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciate tra-scinare verso gli idoli muti secondo l’impulso del momento. Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire “Gesù è anàtema”, così nessuno può dire “Gesù è Si-gnore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo.Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune:

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a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio della scien-za; a uno la fede per mezzo dello spesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spi-riti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue: Ma tutte queste cose è l’unico e medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeve-rati a un solo Spirito (1 Cor 12, 1-13).

Essere tua sposa, Gesù, essere carmelitana, essere, per la mia unio-ne con te, madre delle anime, questo dovrebbe bastarmi … ma non è così …;: senza dubbio, questi tre privilegi sono proprio la mia voca-zione: Carmelitana, Sposa e Madre; tuttavia sento in me altre voca-zioni. Mi sento la vocazione di guerriero, di sacerdote, di apostolo, di dottore, di martire; infine sento il bisogno di compiere per te, Gesù, tutte le azioni più eroiche … Sento nell’anima mia il coraggio di un crociato, di uno zuavo pontificio, vorrei morire nel campo di battagli a difesa della Chiesa.Gesù, vita mia, come conciliare questi contrasti? Come realizzare i desideri della mia povera piccola anima? (Teresa di Lisieux, Ms. B)

Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da traspor-tare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche dessi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è beni-gna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine (1 Cor 12, 32-13, 8).

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L’Apostolo spiega come i doni più grandi non sono nulla senza l’Amore … che la Carità è la via eccellente, che conduce sicura-mente a Dio.Finalmente avevo trovato riposo! … Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuno dei membri descritti da S. Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutti. La carità mi offrì la chiave della mia vocazione. Compresi che se la Chiesa aveva un corpo composto da varie membra, non le mancava l’organo più ne-cessario, il più nobile di tutti: compresi che la Chiesa aveva un cuore, e che questo cuore era infiammato d’amore. Compresi che l’Amore soltanto fa agire le membra della Chiesa, che se l’amore venisse ad estinguersi, gli Apostoli non annunzierebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue … Compresi che l’Amore rac-chiudeva tutte le vocazioni, che l’Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola: che l’Amore è eterno. Al-lora nell’eccesso della mia gioia delirante, ho esclamato : O Gesù amor mio, finalmente ho trovato la mia vocazione: la mia vocazione è l’Amore!Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me l’avete dato voi, mio Dio … nel cuore della Chiesa, che mi è madre … io sarò l’Amore … così sarò tutto, così il mio sogno sarà realizzato (Ms. B).

Il rinnovamento del cuoreAl termine dell’anno giubilare a in prossimità del Natale, ci riscopria-mo chiamati nella Chiesa ad essere cuore. Lo Spirito ci renda capaci di vero autentico amore. Il suo fuoco bruci le resistenze interiori, la sua luce diradi le tenebre, il suo soffio gonfi le vele dell’anima e ci spinga a superare gli oceani dell’indifferenza e dell’ipocrisia e a ritro-vare le terre dell’amore, della carità e della verità. Lo Spirito infatti, come scrisse il patriarca greco ortodosso Hignatios, è “la presenza di Dio-con-noi, unito al nostro spirito. Senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo resta nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un potere, la missione una propaganda, il culto un arcaismo, un’evocazione, l’agire cristiano una morale da schiavi, un moralismo. Ma nello Spirito Santo e nell’inscin-dibile sinergìa, il cosmo è nobilitato e geme nel parto per la rigene-razione del Regno, l’uomo è in lotta contro la ‘carne’ il Cristo risorto si fa presente, il Vangelo si fa potenza di vita, la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l’autorità si trasforma in servizio liberatore, la

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missione è una pentecoste, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano viene deificato”.Al Padre per l’effusione dello Spirito Santo chiediamo il rinnovamento del cuore, con delle espressioni tratte dal Salmo 49 trascritto da S. Carrarini.

Io sono il vostro Dio e Signore. Mettetevi in atteggiamento di conver-sione di fronte a quello che sto per dirvi; se vi rimprovero è perché vi amo, perché io sono un Dio di misericordia.A voi praticanti assidui e devoti rivolgo una parola, un richiamo amo-revole e forte perché solo in me sia la vostra fiducia. Non mi lamento delle vostre preghiere: in ogni ora e minuto del giorno si celebrano messe a migliaia e molte persone cantano la mia lode. Mi adorate nel silenzio delle chiese, mi offrite fiori, lumi, incenso e opere d’arte.Ma ricordate bene una cosa: non sono io che ho bisogno di preghie-re, di lodi e di invocazioni al mio nome o di persone che si sacrificano per me. Io sono il Signore del mondo, mia lode è il cielo e la terra e la storia che scorre al suo fine. Non sono un padrone ma un Padre! Certe preghiere recitate per obbligo, certe devozioni per sentirvi più santi mi sono molto sospette.Il culto e la fede che voglio è uno spirito rinnovato nell’intimo: è l’amo-re sincero del cuore e la fiducia che porta alla lode. È il coraggio di essere veri e il perdono di tutte le offese; è il sentirvi bisognosi di aiuto e il tendere la mano ai fratelli. Non chi dice: Signore, Signore, è un praticante devoto ma chi ogni giorno opera e prega nello spirito e nella verità dell’amore.Chi mi loda con cuore sincero e fa della sua vita un dono d’amore offerto ai fratelli con gioia e gratuità, solo lui rende un vero culto al mio nome.

Ancora silenzio. Poi concludiamo con queste parole di sant’Agostino.Signore, ti ringraziamo di averci riuniti alla tua presenza,per rivelarci il tuo amore e sottometterci alla tua volontà. Fa’ tacere in noi ogni voce che non sia tua.E nel timore di trovare la nostra condanna nella tua Parola udita, ma non accolta, conosciuta, ma non amata, ascoltata, ma non messa in pratica, apri per mezzo del tuo Spirito, le nostre menti e i nostri cuori alla tua verità, nel nome di Cristo. Amen

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Degli studiosi si sono messi assieme recentemente, per vedere come si è sviluppata e manifestata la devozio-ne eucaristica, partendo dalla festa del Corpus Domini di Urbano IV, dal-la bolla Transiturus, dal Corporale che si venera nel Duomo di Orvieto.Sono emerse delle constatazioni assai interessanti. Dalla festività del Corpus Domini sono nate delle sin-golari manifestazioni pubbliche.Vescovi, artisti, confraternite, e cor-porazioni hanno lasciato segni elo-quenti della loro devozione e della loro sensibilità, nei confronti del mi-stero eucaristico.L’immaginario popolare poi ha dato il suo particolare contributo. Si pensi alle molteplici forme delle “infiorate”, che avvengono in occasione della processione del Corpus Domini.Una scoperta alquanto singolare che hanno fatto gli studiosi, che si sono occupati dell’Eucaristia, è stata que-sta. Le donne, “poste ai margini della religione del libro, mettono al centro della propria fede il corpo adorato di Cristo”.I biografi che hanno illustrato la vita di grandi sante, le vedono come escluse, sì, dal ministero sacerdo-tale, dal contatto fisico con le cose

sacre, ma elevate a diventare, insie-me, altare, incenso, vittima offerta in sacrificio.Viene citata soprattutto Angela da Foligno, che, nella sua esperienza spirituale, vive insieme estasi trinita-ria ed estasi eucaristica.Ecco come ella le racconta: “Avendo la mia anima molta letizia ed essen-do dentro la Trinità, dentro quella piccola cassa, dove si ripone il corpo di Cristo, capiva che egli era in ogni luogo e riempiva le cose”.Ecco l’importanza, per la devozione cristiana, di “quella piccola cassa, dove si ripone il corpo di Cristo”: il tabernacolo.Gli storici della pietà ci forniscono così molti importanti elementi su cui riflettere.Mentre essi rilevano la molteplice valenza dei pellegrinaggi ai santua-ri famosi per miracoli e apparizioni, all’uomo moderno ricordano che non c’è posto più santo del taber-nacolo.Nel libro che raccoglie i loro studi, essi così concludono: “Lì si compio-no giornalmente i miracoli eucaristici del tempo moderno, di cui la storia dovrà, prima o poi, cominciare ad interessarsi”.

Non c’è posto più santo del tabernacolo

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Quando un sacerdote benedice, sono Io che benedico. In quel mo-mento scorrono su di te grazie in abbondanza dal mio Divin Cuore. Io ho dato un grande potere alla mia benedizione. Pensa che succede qualcosa di grande, quando tu ricevi la benedizione di un sacerdote. La benedizione è una irradiazione della mia santità divina. Con la mia bene-dizione tu ricevi amore per amare, forza per soffrire, aiuto per l’anima e per il corpo. La mia benedizione contiene tutto ciò che serve ai bi-sogni degli uomini. E questo deriva dall’amore infinito del mio cuore. Se

Gesù svela ad un’anima la potenzadella benedizione impartita da un sacerdote

essa viene impartita e se viene rice-vuta con grande devozione, potente è il suo effetto!La benedizione è più grande, e infini-tamente più grande di mille mondi…; essa è maggiore di ogni aspettativa. Ogni volta che vieni benedetto, vie-ni di nuovo in contatto con Me; vieni santificato di nuovo; vieni avvolto nella grazia del Mio Cuore, nell’amo-re e nella mia protezione. Cerca di essere un figlio della benedizione e così anche tu potrai essere ovunque una benedizione per gli altri. Il Si-gnore ha donato la sua benedizione, come ultimo atto del suo amore.

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La vita di san Francesco di Assisiè stata riscaldata dall’Eucaristia

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Francesco d’Assisi è l’uomo che ha vissuto in modo singolare l’esperienza di Dio e ha cercato, dopo la conversione, di dare una risposta con tutte le forze del suo essere.Il Celano, primo biografo, scrive di lui: “Non poteva udire la parola amore di Dio, senza provare una

certa commozione”, e spesso ri-peteva: “Dobbiamo amare molto l’amore di Colui che ci ha amati molto”.E l’amore di Dio Francesco lo ri-cerca nel mistero di Cristo; infatti “la sua aspirazione più grande, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare

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Per San Francesco, l’Eucaristia è il Figlio di Dio in mezzo agli uomi-ni, l’Emmanuele – Dio con noi – che ogni giorno viene a noi in umili sembianze, come quando dal tro-no regale discese nel seno della Vergine Maria.Ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del Sacerdote… Così Egli contempla con la semplicità della sua fede il prolungarsi dell’Incarnazione sull’altare.Noi possiamo cogliere motivo di riflessione per la nostra esperien-za cristiana dall’esempio del Po-verello d’Assisi, nel sentirci impe-gnati alla scoperta della bellezza, grandezza e ricchezza che Cristo Eucaristia ci comunica, nell’attesa del suo ritorno glorioso.Ricordate: c’è bisogno di chiarez-za, di luce per capire il progetto di Dio su di noi.L’unico modo per scoprirlo è quel-lo di vivere il nostro battesimo e la nostra fede cristiana, accostando-ci più spesso, sull’esempio di San Francesco d’Assisi, al sacramento dell’Eucaristia. Così possiamo ri-spondere con generosità e pron-tezza al dono dell’amore di Dio, in modo da trasformare la nostra vita in un canto di gioia, di lode e di rin-graziamento.

perfettamente e sempre il santo Vangelo”, vivendone la dottrina e seguendo l’esperienza di Gesù.San Francesco aveva assorbito il mistero dell’Eucaristia; oltre ad es-sere il Santo del Presepe e delle stimmate, lo possiamo meglio de-finire il santo dell’Eucaristia.I suoi scritti trattano di questo ar-gomento in modo unico, singolare, tanto che Tommaso da Celano scrive: “Ardeva di amore in tut-te le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo di Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità. Riteneva grave segno di disprezzo non par-tecipare ogni giorno alla Messa… Si comunicava spesso e con tan-ta devozione da rendere devoti anche gli altri che lo vedevano”. Per San Francesco Cristo Gesù era tutto; l’anelito più profondo del suo cuore era vivere, amare, pos-sedere Gesù ed egli sapeva bene e credeva davvero che poteva trovarlo personalmente presente, operante sulla terra, palpitante d’amore nell’Eucaristia.Nel suo testamento lascerà scrit-to: “Dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santis-simo corpo e il sangue suo”.

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Don carlo Liviero

Luglio del 1899 nel borgo di Gallio, sull’Altopiano di Asiago. Le campa-ne del vespro chiamano a raccolta i fedeli. Un segnale ormai familiare ai parrocchiani, fra i quali molti vi rispondono ogni sera. Da quando, otto anni prima, il giovane e com-battivo don Carlo Liviero è diventato il loro arciprete, molti di essi hanno ben presto imparato a comprende-re l’invito: a quell’ora ogni giorno, il parroco li chiama ad una visita, un «ultimo saluto a Gesù Sacramen-tato», accompagnata da una breve meditazione. L’Eucaristia è una delle “passioni” del futuro vescovo, fin da quando, da bambino, serviva quoti-dianamente la Messa nella sua par-rocchia, maturando a poco a poco la volontà di seguire la vocazione al sacerdozio. Dopo gli studi – con eccellente profitto – compiuti presso il Seminario di Padova e l’ordina-zione presbiterale, nel 1888, l’anno successivo, ventitreenne, don Carlo è giunto a Gallio in qualità di profes-sore nel locale ginnasio, istituito di recente ad opera di alcuni beneme-riti sacerdoti. In quel paese, allora assai povero, il giovane Liviero si è fatto in breve tempo stimare e ben volere, cosicché, quando l’arciprete don Gaetano Finco è stato trasferito, l’appena venticinquenne insegnante

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ha ricevuto la nomina come suo suc-cessore. Era l’estate del 1891. Otto anni dopo, però, tra i suoi par-rocchiani lo sconcerto è grave, e in quelle sere di luglio si discute animatamente delle ultime novità. Nonostante i ricchi frutti del suo apo-stolato e delle sue iniziative, a favore soprattutto della gioventù e dei pove-ri, l’arciprete è stato coinvolto in po-lemiche calunniose, montate ad arte da avversari di fazioni diverse, e per diversi scopi. Il colmo è stato raggiun-to quando perfino alcuni parroci dei dintorni, sospettosi per i suoi metodi o forse, peggio, gelosi dell’affetto e della stima che lo circondano, sono riusciti a diffamarlo presso lo stesso vescovo, mons. Giuseppe Callegari. Dopo un lacerante dibattito interiore, don Carlo ha deciso di accettare la proposta di trasferimento. Il 1º luglio 1899 gli è giunta la nomina come ar-ciprete di Agna, nella “Bassa” pado-vana: una promozione, sì, ma assai costosa sia per Liviero sia per i suoi fedeli, i quali non scorderanno più il bene seminato nella loro comunità da quel prete straordinario. Raggiunta la nuova destinazione – ma soltanto dopo quasi un anno, vin-cendo le resistenze di politicanti anti-clericali –, don Carlo riprende tutto il suo animo espansivo, intraprendente

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e sensibilissimo. Lo stile pastorale è estremamente concreto, fino talora all’impazienza, nel dare vita a sem-pre nuove realizzazioni – e l’arcipre-te non esiterà mai ad assumersi in prima persona lo scotto di eventuali errori o mancanze –. È un fiume in piena, dicono alcuni di lui, ma la sor-gente di un tale fiume scaturisce dal profondo. Don Liviero non ha solo il gusto della preghiera, ma, con le sue indubbie doti di comunicatore, riesce a farlo provare agli altri, e ad introdur-

re tanti suoi fedeli ad una vita spiritua-le solida ed intensa. Della quale l’Eu-caristia è un alimento irrinunciabile. Comunione e adorazione frequente al Santissimo Sacramento, devozio-ne promossa attraverso la costituzio-ne di associazioni come la Guardia d’Onore, cura assidua della bellezza e della solennità delle celebrazioni li-turgiche e dei luoghi di culto. Ad Agna, come prima a Gallio, l’ar-ciprete si trattiene in chiesa, ogni giorno, quanto più tempo possibile,

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entrandovi per primo all’alba e cele-brando la prima Messa, quasi sem-pre dopo essersi anche accostato alla confessione. Il suo esempio risulta contagioso per molti parroc-chiani. Don Carlo, d’altronde, non manca alcuna occasione per ammo-nire i fedeli, con i toni appassionati delle sue prediche, a venerare e servire il “corpo di carne” di Cristo, non solo nel Sacramento, ma tanto più nei poveri e nei sofferenti. Quan-do, già vescovo, agli inizi del primo conflitto mondiale, darà vita alla sua opera per «gli orfani e i derelitti di guerra», riaffermerà con foga cre-scente lo stesso principio: in loro, Gesù stesso è presente, non meno che nel tabernacolo. Ha 43 anni quando viene promosso all’episcopato. Il 7 gennaio 1910 è destinato alla diocesi umbra di Città di Castello. Vi giunge, in treno, il 28 giugno. Insediandosi sulla cattedra dei Santi Florido ed Amanzio, la-scia subito intendere che non verrà meno alle proprie abitudini di parro-co: «Mi troverete tutte le mattine in Cattedrale», promette; per la Messa del mattino, per il Rosario e la pre-dicazione ogni sera, ma anche il più spesso possibile per le confessioni. Sarà «parroco della Diocesi», come lo definiranno i preti. Fulcro di tutto il suo ministero era già, e rimane, la celebrazione dell’Eucaristia, della cui efficacia salvifica mons. Liviero

non si stanca di parlare in ogni pos-sibile occasione. Negli anni Venti, la guarigione inspiegata di un’inferma verrà associata alla promessa che il vescovo le aveva fatto, qualche tempo prima, di chiedere la grazia per lei durante la Messa del giorno successivo. Nelle ore di permanenza in chiesa, quando non è impegnato in celebra-zioni o predicazioni, rimane in ginoc-chio nella cappella del Santissimo. E dell’Eucaristia diviene apostolo ze-lante ed efficace anche prendendo parte a missioni e congressi eucari-stici in varie zone d’Italia. A Firenze, lo scrittore Giovanni Papini non vorrà perdersi una sola delle sue omelie. Per i suoi preti, ministri dei sacra-menti, mons. Liviero si adopera con ogni mezzo, sebbene l’irruenza del suo carattere gli procuri, di tanto in tanto, delle incomprensioni con alcu-ni fra loro. Tuttavia, è spesso proprio il vescovo a compiere i primi passi per riavvicinarsi. Stando ad un suo collaboratore, le tensioni sono più spesso dovute alle gelosie suscitate dalla sua prontezza a riconciliarsi, che ad occasionali impazienze. In ogni caso, non accetta gli attacchi contro i sacerdoti, e d’altronde non consente loro di adagiarsi in abitudi-ni mediocri, o rassegnarsi a consue-tudini che li riducano a “funzionari” della religione. Non trascurino mai – raccomanda – la preghiera liturgi-

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ca, né quella dinanzi al Santissimo, e non si permettano di celebrare quelle che egli chiama, con colorita espressione, «messe a vapore». Ma «quando il sacerdote ha cominciato la sua giornata ai piedi del taberna-colo», afferma in una sua lettera, «e durante il giorno non si è mai lascia-to distrarre dal suo Signore, salga pure con fiducia il pulpito o l’altare». In tale spirito, il vescovo vorrà costi-tuire nella sua diocesi una confrater-nita di sacerdoti «adoratori». Anche alla gioventù cattolica Livie-ro continua a proporre stili esigenti di vita, da testimoni forti e pieni di carità, ma educati pure a nutrire la propria fede di preghiera prolungata e profonda. Messa quotidiana, co-munione frequente, adorazione al Santissimo, sono ancora una volta, come già per i parrocchiani di Gal-lio e di Agna, fra i mezzi indispen-sabili a cui il vescovo raccomanda di ricorrere. L’«unione con Dio» è il fine che lui per primo ricerca as-siduamente, ma al quale è neces-sario che tutti tendano. Per questo, afferma, vorrebbe che tutti i fedeli si accostassero «di frequente, ma-gari ogni giorno» all’Eucaristia. Per incoraggiarli, promuove anche un grandioso Congresso eucaristico diocesano. «L’esperienza della fe-licità, che solo Gesù Eucaristico emana», scrive al termine della manifestazione, «invogli moltissi-

me anime a perseverare nel vivere cristiano e ad accorrere spesso alla fonte di ogni grazia: la santa Comu-nione». È il 1927. Mons. Carlo Liviero muore nem-meno cinque anni dopo, il 7 luglio 1932, in conseguenza di un banale incidente d’auto, occorsogli a Fano mentre si stava recando in visita ad una colonia aperta nel Pesarese per i suoi orfani. E dopo altri 75 anni, grazie al Decreto di papa Benedetto xvi, si svolge per lui a Città di Ca-stello la cerimonia di beatificazione. Nel corso di essa, il card. Saraíva Martins ricorda, naturalmente, le sue grandi opere di carità e la congrega-zione delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore, da lui iniziata negli anni del-la guerra ed oggi presente in Italia, in Svizzera, in vari Paesi africani e latinoamericani. Ma il porporato non dimentica, tra le necessità del popolo affidato al vescovo Carlo, il «bisogno di cielo anzitutto». Da pa-store secondo il cuore di Dio, il beato Liviero è sempre stato ansioso che le sue “pecorelle” fossero nutrite in abbondanza. E, consapevole di non poterlo fare ricorrendo solo ai mezzi umani, o – avrebbe detto Manzoni – ai «ritrovati ingegnosi della carità», si è costantemente preoccupato che non mancasse il cibo essenziale alla vita dei figli di Dio. Quello che Dio stesso ha consegnato a tutti, nel suo Figlio Gesù Cristo.

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Il cammino senza adorazione è ari-do: dopo un paio d’ore di adorazione c’è già la “quinta” marcia inserita.Mi commuovo ogni volta che pen-so ai tanti miracoli che le tante ore di adorazione hanno ottenuto. Il più grande è stato quattro anni fa quan-do, prima di Natale, Dio mi ha allar-gato così tanto il cuore da scegliere di rompermi io una mano, invece che si facesse male mio padre.È sempre più rapido il tempo con cui le aziende chiudono e sono cer-ta che se quella dove lavoro ancora resiste, è grazie al tempo passato a pregare per i colleghi e per chiedere, per i colleghi e per me, il dono del discernimento nelle scelte da pren-dere.Senza lo sguardo buono di Gesù, sarebbe molto più difficile rialzarsi, quando il capo o i colleghi mi accu-sano ingiustamente. L’adorazione fa sì che assorba i miei problemi e mi doni un sonno tranquillo, invece di notti insonni, nel tentativo dì risolver-li da sola.L’adorazione mi fa gustare la gioia dei ragazzi di catechismo, perché altrimenti da sola rischio di concen-

senza la sosta davanti allo sguardo buono di Gesù, sarebbe tutto più difficile

trarmi sul loro essere indisciplinati e scostanti. Quando prego davanti a Lui per loro, Gesù mi fa vedere che a Lui vanno bene così, e togliendomi l’amarezza, mi dà le forze per spen-dere più ore per la parrocchia. È tut-to merito di Gesù presente nell’Eu-caristia.Non ci sono parole per esprimere la gratitudine immensa.

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Nella esortazione apostolica sull’amore nella famiglia di Papa Francesco (Amoris laeti-tia), c’è un numero (N. 318) in cui si parla della preghiera in famiglia. Sono importantissimi anche alcuni minuti, in cui la famiglia, ogni giorno, si trova unita davanti al Signore. La famiglia che prega rimane uni-ta! Il culmine di una stupenda unione della famiglia avviene nella partecipazione comune all’Eucaristia. Lo afferma, con mol-ta chiarezza il Papa. Ecco le parole di Papa Francesco: «La preghiera in famiglia è un mezzo privilegiato per esprimere e rafforzare questa fede pasquale. Si possono trovare alcuni minuti ogni giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un mo-mento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergi-ne di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici, questo momento di preghiera può fare tan-tissimo bene alla famiglia. Le diver-se espressioni della pietà popolare sono un tesoro di spiritualità per mol-

I legami profondi che esistono tra la vita coniugale e l’Eucaristia

te famiglie. Il cammino comunitario di preghiera raggiunge il suo culmine nella partecipazione comune all’Eu-caristia, soprattutto nel contesto del riposo domenicale. Gesù bussa alla porta della famiglia per condividere con essa la Cena eucaristica (cfr. Ap 3,20). Là, gli sposi possono sempre sigillare l’alleanza pasquale che li ha uniti e che riflette l’Alleanza che Dio ha sigillato con l’umanità sulla Croce. L’Eucaristia è il sacramento della Nuova Alleanza in cui si attua-lizza l’azione redentrice di Cristo (cfr. Lc 22,20). Così si notano i legami profondi che esistono tra la vita co-niugale e l’Eucaristia. Il nutrimento dell’Eucaristia è forza e stimolo per vivere ogni giorno l’alleanza matri-moniale come “Chiesa domestica”».

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Giornate Eucaristiche

GENNAIO 2017 2 CASA MADRE SUORE ELISABETTINE DI PADOVA E CASA DI RI-

POSO DI CITTADELLA 3 PATRONATO “S. G. B. DE LA SALLE” DI CONSELVE 4 ISTITUTO “CANOSSIANO” DI FONZASO 5 COMUNITÀ SUORE “S. DOROTEA” DI PADOVA E ISTITUTO “ELI-

SABETTA VENDRAMINI” DI PADOVA 7 ISTITUTO “MARIA AUSILIATRICE” DI PADOVA 8 OPERA IMMACOLATA CONCEZIONE DI ASIAGO 9 CONVENTO “S. FRANCESCO” DI CITTADELLA 10 ARRE E BRUGINE 11 BRESEGA DI PONSO E S. BORTOLO DI MONSELICE 12 CAMPO SAN MARTINO E RIVALE DI PIANIGA 13 ARLESEGA E DUOMO DI CITTADELLA 14 ONARA DI TOMBOLO E S. GIACOMO DI MONSELICE 15 ARZERCAVALLI E CONCADALBERO 16 BAGNOLI DI SOPRA E CALCROCI 17 FIESSO D’ARTICO E LIMENA 18 TAGLIE DI S. MARGHERITA D’ADIGE E VILLAFRANCA PADOVANA 19 BOCCON E MERLARA 20 SALETTO DI VIGODARZERE E S. MARIA DI CITTADELLA 21 BOSCO DI RUBANO E CAMPODARSEGO 22 MARSANGO E VEGGIANO 23 S. SOFIA IN PADOVA 24 CAMPO DI ALANO 25 RONCAGLIA 26 VIGONZA 27 LIETTOLI E SCHIEVENIN 28 CERVARESE S. CROCE E S. BENEDETTO IN PADOVA 29 BUSIAGO E MINOTTE DI MERLARA 30 CASELLE DI SELVAZZANO E MURELLE DI VILLANOVA 31 CARRARA S. STEFANO E CODIVERNO

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FEBBRAIO 2017 1 SAMBRUSON 2 ARSEGO E MONTÀ IN PADOVA 3 SEMONZO 4 SANTO DI THIENE 5 CARRARA S. GIORGIO 6 TENCAROLA 7 MELLAREDO 8 S. SIRO DI BAGNOLI 9 “VILLA IMMACOLATA” DI TORREGLIA 10 PONTELONGO 11 TERRADURA 12 CASTELBALDO E CASA “S. CUORE” DI TORREGLIA 13 URBANA 14 S. GIOVANNI BOSCO IN PADOVA 15 GHIZZOLE E ROMANO D’EZZELINO 16 MONTEMERLO 17 CADONEGHE E TAVO 18 FOSSÒ E FRAPIERO 19 RUBANO 20 CARPANEDO E MANDRIOLA 21 CASTELNUOVO E FOSSARAGNA 22 MASI E VALLI DI CHIOGGIA 23 ISTITUTO “FARINA” DI CITTADELLA E MANDRIA IN PADOVA 24 ISTITUTO “CANOSSIANE” DI CONSELVE E SACCOLONGO 25 S. GIORGIO DELLE PERTICHE E VALLONGA 26 FIUMICELLO 27 SANT’ANGELO DI PIOVE 28 PREION E TRAMBACCHE

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mARZO 2017 1 CASA DI RIPOSO DI DOLO E CASA DI SPIRITUALITÀ DI CRESPA-

NO DEL GRAPPA 2 AGNA E RESCHIGLIANO 3 REDENTORE DI MONSELICE E VILLA DI TEOLO 4 CAVE IN PADOVA E PERAROLO 5 IST. OBLATI DI S. GIUSEPPE DI ESTE E MADONNA INCORONATA

IN PADOVA 6 BOVOLENTA E SUORE “MARIA BAMBINA” DI PIOVE DI SACCO 7 COMUNITÀ SUORE ELISABETTINE DI PADOVA E S. PROSDOCI-

MO IN PADOVA 8 CASA DI RIPOSO DI FONZASO E S. GIUSTINA IN COLLE 9 BORSO DEL GRAPPA E S. MARIA DI VEGGIANO 10 IST. “SORELLE DELLA MISERICORDIA” DI PADOVA E BALDUINA 11 CRISTO RE IN PADOVA E CREOLA DI SACCOLONGO 12 VILLANOVA E ISTITUTO “SUORE FIGLIE DELLA CHIESA” DI PADOVA 13 CASA ESERCIZI DI LUVIGLIANO E GRUMOLO PEDEMONTE 14 FAEDO E S. STEFANO D’UNGHERIA IN PADOVA 15 IST. “DON BOSCO” DI PADOVA E S. LAZZARO IN PADOVA 16 CAMPONOGARA 17 S. MICHELE DELLE BADESSE 18 CASALSERUGO E SOCIETÀ MISSIONI AFRICANE DI FERIOLE 19 CINTO EUGANEO E RIO DI PONTE SAN NICOLÒ 20 PENSIONATO “MARIANUM” DI PADOVA E TRAMONTE 21 SANTUARIO DEL COVOLO DI CRESPANO DEL GRAPPA E LAGHI

DI CITTADELLA 22 PIANIGA E TORREGLIA 23 COLLEGIO “C.U.A.M.M.” DI PADOVA E S. PIO X IN PADOVA 24 CAMBROSO E COMUNITÀ SUORE CANOSSIANE DI PADOVA 25 SARMEOLA E SPIRITO SANTO IN PADOVA 26 CASA DI SPIRITUALITÀ DI FIESSO D’ARTICO E OLMO DI BAGNOLI 27 ISTITUTO “POLONI” DI MONSELICA 28 MADONNA DELLE GRAZIE IN PIOVE 29 CODEVIGO E S. GIUSTINA IN PADOVA 30 TERRANOVA E CASA DI RIPOSO DI VALDOBBIADENE 31 FRATTE E S. PIETRO DI STRÀ

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Agnese e ApollonioAlessandroAngelucci OttavioAngelucci RosaAngelucci VittoriaAssuntaAvanzi Remo – Davì StefaninaBeghetto AngeloBenedetti Umberto e Biasiolo StefanoBertonello ImeldaBettella AndreaBettella MiroBiasiolo Lorenzo e PaoloBiasiolo Luigino e CostantinoBiasiolo SilvanaBinotto Alberto, Vincenza e GiovannaBottaro AntonioBotton LucianoBotton RinaBrun OttorinoBruna, Giulio, Luciano, Armando, Maria, Franco e BrunoBruno e Suor FlorianaCampagnaro Cristiana ed EdoardoCamporese AnnamariaCandeo Aldo e PaolaCaregnato AlbertoCarlo, Lucia e PietroChecchino GraziellaDi Bernardo MaurizioDobrina e Romano

Nuovi iscritti alle messe perpetue

DomenicoElio e GiseldaElisa e famigliaEnricoFabbian GabriellaFamiglia Agostinelli-ValierFamiglia AlghisiFamiglia Campagnaro Gioia e AnnaFamiglia CandeoFamiglia CaregnatoFamiglia FanzagoFamiglia Nardo GiampaoloFamiglia Pinton MarioFamiglia Ronzani GiovanniFamiglia TestaFamiglie Beda, Serchiani e MorandiFamiglie Lionello e AndreattaFamiglie Nicoletto e CamporeseFiaoni Nella e GinaFurlanut MariaGalileoGaluppo Paola e GiacomoGardellin FrancescaGardellin Sandra e CarloGino e AnnaGottardo LuisaIaia PaoloInvidiato CaterinaInvidiato GiuseppeIstituto Suore EremiteJokaj Vera

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Klein LuciaLazzaro CarloLilianaLinoLucia Luciani Dario e LilianaMamma di MirellaMarcellinoMarchetti Mario e OdetteMarcoMari Pierino e IvoMaria AngelaMaria e BrunoMaria e SimonettaMartin OfeliaMassimiliano e AnnamariaMaurizioMazzolla BrunoNalon GiovanniNicola, Salvatore e Sandra e MariellaOrianaPaniettieri Assunta e Fiaoni NatalePaolo e FrancaPer le Anime del PurgatorioPietro e Maria TrifonePiva Eusebio e RomildaPizzo FrancescaRigato AntonioRizzo Giovanni e FrancaSalvel BertoSartore EsterSecco LeandroSgarbossa MariellaSoldan Elisa

Soldan LorenzaSoldan PaoloSquarise Federico, Luciana e Maria BarbieriSuor Maria BeatriceSuor NicolinaTemporini AntoniaTemporini ItaloTemporini LiviaTemporini LuigiTemporini MariaTomadini ErmannoToniolo CarlaTrevisi GiuseppeTrivellato GianninaUliano TittiUsardi UgoVarotto PaoloVendemiazzi ZevioVendramin GiuseppeVenturini ArmidoVenturini MatteoVianello MarioVianello PieroVitturi Maria PatriziaZanchetta EmoZuanetto LuisaZugno Rosanna

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GENNAIO 2017

Intenzioni affidate all’AdP dal Papa:Per tutti i cristiani, perché, fedeli all’insegnamento del Si-gnore, si adoperino con la preghiera e la carità fraterna per ristabilire la piena comunione ecclesiale, collaboran-do per rispondere alle sfide attuali dell’umanità.

e dall’Episcopato italiano:Perché la Chiesa italiana avanzi con coraggio sulla via della missione.

Per il Clero:Cuore di Gesù, ogni tuo sacerdote sappia di essere un dono del tuo amore alla Chiesa e al mondo.

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FEBBRAIO 2017

Intenzioni affidate all’AdP dal Papa:Per quanti sono nella prova, soprattutto i poveri, i profughi e gli emarginati, perché trovino accoglienza e conforto nelle nostre comunità.

e dall’Episcopato italiano:Perché i laici, formati all’insegnamento del Vangelo e del Ma-gistero, sappiano mettersi al servizio della società.

Per il Clero:Cuore di Gesù, sostieni il Papa e i Vescovi, perché ravvivino la fede dei tuoi fedeli.

mARZO 2017

Intenzioni affidate all’AdP dal Papa:Per i cristiani perseguitati, perché sperimentino il sostegno di tutta la Chiesa nella preghiera e attraverso l’aiuto materiale.

e dall’Episcopato italiano:Perché le comunità e le associazioni riscoprano la gioia e la forza della testimonianza.

Per il Clero:Cuore di Gesù, proteggi i tuoi sacerdoti dal rischio dell’attivi-smo a scapito dell’interiorità.

Bollettino EucaristicoPeriodico trimestrale di cultura e spiritualità dell’Opera Diocesana Adorazione Perpetua di Padova

Anno CI - N. 4/2016 OTTOBRE - NOVEMBRE - DICEMBRE - Abbonamento annuo: € 15,00Sped. Abb. Post. art. 2 comma 20/C L. 662/96 - Fil. di Padova CMP - Aut. Trib. di Padova 12/1/95 n. 100

Direttore: Mons. Pietro Brazzale - Direttore Responsabile: D. Gino BrunelloGrafica e Stampa: Tipografia Regionale Veneta - Conselve (Pd) - Tel. 049.5384097

Ufficio dell’Opera: Via S. Lucia, 42 - 35139 Padova - Tel. 049.8760404 - Lunedì-Venerdì ore 9.00-11.00 - CCP N. 146357e-mail: [email protected]

Redazione: Mons. Pietro Brazzale, Don Gino Brunello, Don Roberto Ravazzolo, Don Leonardo Scandellari, Mons. Angelo Cecchinato, Mons. Giuseppe Zanon, Dott.ssa Chiara Rigato, Giulia Bertolo, Diac. Francesco Montemaggiore.

PadovaChiesa del Corpus domini

per l’adorazione Eucaristica

Orario delle Celebrazioni:

F e r i a l i(da lunedì a venerdì)

SS. Messe ore: 8.30-10.0017.30 recita del S. rosario

18.00 Benedizione eucaristica e S. Messa

S a B atOSS. Messe ore: 8.30 - 10.00

alle ore 12 termina l’adorazione e la chiesa viene chiusa

Si informano i lettori che è on line il nuovo sito web dell’Opera Diocesana per l’adorazione perpetua all’indirizzo www.adorazioneperpetuapd.it,

dove si possono trovare, oltre al Bollettino eucaristico, tutte le informazioni relative alla Chiesa del Corpus Domini - S. Lucia (orari S. Messe e adorazione),

alle iscrizioni alle Messe perpetue, all’Adorazione eucaristica e al BOLLettinO euCAriStiCO.