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ilFRIULI 5 OTTOBRE 2007 - N.37 3 il Friuli allo specchio L’ESPERTO - Si scommette per colmare il vuoto della propria esistenza - Si guarisce solo con la terapia di gruppo Quando il suicidio è l’unica via d’uscita D i gioco d’azzardo ci si può ammalare e si può anche morire. Esattamente come accade con la droga o con l’anoressia. “Viviamo in una società compul- siva - spiega Dario Angelini, psi- cologo e psicoterapeuta dell’As- sociazione La chiave di Alteluda (Roma) - che spinge a fare sem- pre qualcosa di più per riempire il vuoto della propria esistenza. C’è chi soffre di disturbi del compor- tamento alimentare, dalla bulimia che porta a mangiare sempre di più all’anoressia che porta a ne- garsi il cibo per dimostrare di es- sere sempre più forti, chi di shop- ping ossessivo che spinge ad ac- quistare smodatamente, chi si ammala di gioco d’azzardo. Sono modi diversi per colmare il mede- simo vuoto psicologico”. Un vuoto che può avere origine anche nel passato. “Quando si isola la carica pro- pulsiva – spiega Angelini –, emer- gono le vere problematiche e di- venta ridondante il malessere au- tentico, la cui origine può celarsi in una depressione di cui soffriva- no già i genitori o i nonni. Una vol- ta capito il motivo scatenante, può cominciare l’aiuto”. Ma la terapia non si risolve in una decina d’incontri. “Il percorso è lunghissimo, può durare anche diversi anni, soprat- tutto se il problema riguarda tre diverse generazioni. D’altra par- te, come spiega Rolando De Luca, ormai un punto di riferimento in tutta Italia nel recupero dei gio- catori d’azzardo, più si va avanti nella terapia maggiori sono le pos- sibilità di non avere ricadute”. E di non mettere a rischio la propria vita. “Purtroppo, soprattutto chi perde interi patrimoni, riducendo sul lastrico la propria famiglia, sce- glie di morire perché crede di non riuscire a superare le difficoltà. Il vuoto diventa talmente grande da non poter più essere colmato. Ma quelli per gioco d’azzardo sono tutti suicidi coperti. Magari pro- prio dai propri genitori cui il gio- catore voleva dimostrare di valere qualcosa”. La situazione è destinata a peg- giorare, perché non dovrebbero RISCHIO CONTROLLATO - Le macchinette elettroniche legali limitano le giocate e le vincite che per legge devono essere restitutite in parte allo scommettitore. Ben diversa la situazione se si decide di utilizzare quelle illegali che mettono in palio cifre ben maggiori, almeno a parole, perché alla fine chi perde veramente è sempre il giocatore Sei tu il nostro problema”. Spesso è que- sta la molla che spinge un giocatore ad ammettere la propria dipendenza e a correre ai ripari. Sentirsi accusare dai propri fa- miliari, entrati per primi e da soli in terapia, fa sì che il giocatore apra finalmente gli occhi. Ma qual è l’identikit del giocatore tipo? “Un tempo - spiega lo psicoterapeuta Dario Angelini - erano soprattutto uomini, con un’età compresa tra i 30 e i 50 anni. Oggi sono in largo aumento gli an- ziani e i giovani, so- prattutto studenti universitari”. Nel primo caso si tratta soprattutto di professionisti. “Ma il ceto di pro- venienza non ha im- portanza. Chi ha mol- ti soldi, li gioca tutti, perdendo fortune. Chi ne ha pochi, può arrivare persino a rubare e i dan- ni sono comunque enormi. Il problema emergente adesso è quello delle persone anziane, dei pensio- nati”. Anche nel loro caso, il gioco serve a colmare un vuoto. “Gli anziani cominciano a giocare dopo un cambiamento. Può riguardare i figli che, ormai essere soltanto i familiari, le asso- ciazioni o gli psicologi ad aiutare chi soffre di dipendenza dal gioco. “Dovrebbe intervenire lo Stato che, invece, dà soltanto un aiuto di facciata, ma in realtà non fa niente per diminuire il gioco d’az- zardo. Perché è inutile nascondersi S ul t a v olo v er d e pure la pe n sio n e cresciuti, abbandonano la casa paterna, oppure un lutto. Insomma, gli anziani cercano di scappare alla solitudine”. I giovani, invece, giocano per dimostrare a se stessi o agli altri di essere dei vincenti. “Ho incontrato studenti universitari che si gio- cavano i soldi delle tasse e dei libri. In molti casi, a cercare un aiuto sono le fidanzate, preoccupate perché il ragazzo non studia più e non frequenta più i corsi. Alcuni ab- bandonano proprio gli studi per mantenersi al gioco. Ovviamente, il fenomeno è meno dif- fuso, perché i giovani hanno meno soldi a di- sposizione”. La soluzione, per tutti, è una sola: rivol- gersi a strutture priva- te. “Il pubblico – con- clude Angelini – si oc- cupa pochissimo del recupero dei giocatori d’az- zardo. I costi sono troppo alti. Quindi, per riceve- re aiuto, non resta che rivolgersi a chi opera nel privato, dalle associazioni ai psicoterapeuti. Io dico sempre ai miei pazienti: prima toglievate parte del vostro capitale per buttarlo nel gioco, adesso im- piegate i vostri soldi nella terapia”. D alla sc he dina all’in fer no D EST INI IN GI O C O - L a storia di c h i h a toccato il f ondo , ma h a saputo rialzarsi grazie all aiuto degli altri Q uando si dice mettere la propria esistenza in gioco. Chi scivola nel baratro del gioco d’azzardo si trova ben presto stritolato da un meccanismo micidia- le. A una situazione ogni giorno più difficile si cerca di ovviare con gioca- te sempre più alte. Col solo risultato che, alla fine, il baratro diventa tal- mente profondo da cancellare ogni speranza di riuscire a risalire la china. Eppure, la testimonianza che ab- biamo raccolto dimostra che anche chi ha butatto via la sua esistenza sul tavolo da gio- co, può farcela ad uscirne. A patto di es- sere disposti a f arsi dare una mano , di smet- terla di mentire a se stessi e agli al- tri e di ammette- re che da soli è impossibile lotta- re contro un ne- mico tanto invisi- bile quanto forte - ci dice Leo ( il nome è di fanta- sia) -. Quando ac- cetti di aprirti agli altri scopri che ci sono tante brave persone disposte ad aiutarti e la strada per tornare a una vita nor- male diventa meno scoscesa. In Friuli Venezia Giulia di perso- ne consumate dalla febbre del gio- co ce ne sono parecchie. E altret- tanto numerose sono le famiglie che improvvisamente scoprono di esse- re ridotte sul lastrico. Pochi spiccioli “La mia storia di giocatore è ini- ziata quando avevo appena 15 anni. Allora si trattava di giocare pochi spiccioli sulla schedina del totocal- cio, ma era soltanto l’inizio. Con l’arrivo dei primi stipendi ho gioca- to sempre di più, ovunque, fino al punto da trascorrere ogni momen- to libero davanti a quelle maledette macchinette”. Alle spalle Leo ha una infanzia tormentata e un rap- porto molto difficile col padre al- colizzato. “Mio padre non mi ha mia voluto bene. Mi faceva sentire una nullità. Credo di aver cominciato a sfidare la sorte anche per questo motivo. Giocavo perché volevo mettermi alla prova, dimostrare a me stesso e agli altri che potevo fare qualcosa di importante, ma avevo scelto la via peggiore”. Nel giro di pochi anni la sua situazione diventa insostenibile, fino al punto di ap- propriarsi di denaro dell’azienda nel- la quale lavorava. Nel frattempo la sua solitudine era stata amplificata dall’abbandono della compagna. “A un certo punto mi guardai allo spec- chio. Mi accorsi che attorno a me c’erano soltanto rovine, che avevo perso tutto, denaro, affetti, amici- zie. Mi ero addirittura appropriato di somme sul posto di lavoro. Fu in quel preciso momento che pensai di farla finita perché così non aveva senso continuare”. Di mamma ce n’è una sola E’ stata la madre a prendere su il telefono per contattare il Centro di terapia di Campoformido, dedica- to agli ex giocatori d’azzardo e alle loro famiglie. “Lei mi disse che ave- vo questa possibilità, che dovevo al- meno provarci”. Da quel preciso istante Leo interrompe il suo cam- mino verso l’inferno, aiutato da Ro- lando de Luca che, dal 1995, porta avanti un’esperienza ritenuta fra le più importanti e positive a livello nazionale. “Frequentare il Centro - conferma Leo - mi ha aiutato a ca- pire che dovevo smetterla di resta- re prigioniero della mia condizione, che dovevo essere disposto a farmi aiutare. Un bel giorno chiesi di par- lare con il titolare della mia azienda e gli raccontai delle somme prele- vate illecitamente. Pensavo che mi avrebbe denunciato e licenziato. Ero pronto a subire le conseguenze per ciò che avevo fatto”. Invece di mandarlo in carcere fu proprio quel- l’imprenditore il primo ad aiutarlo, a credere che meritava una chance per risollevarsi. L’ultima chance Ho iniziato a re- stituire i soldi un po’ alla volta e, an- cora oggi, a distan- za di oltre cinque anni sto pagando i miei debiti, ma sono un uomo che può finalmente andare in giro a te- sta alta. Lo ripeto continuamente a quanti stanno vi- vendo le mie stesse vicissitudini: tutte le energie spese inutilmente per tentare di tampo- nare le falle di un modo di vivere sba- gliato possono es- sere usate invece per rialzarsi. So- prattutto, sono convinto che sia in- dispensabile essere sinceri, non ave- re paura di guardarsi dentro e di dire basta. Credi che gli altri non sappia- no nulla, ma molto spesso fanno fin- ta semplicemente di non conoscere la tua condizione per non offender- ti. Se davvero riesci a toglierti la ma- ledetta maschera che il gioco d’az- zardo ti ha incollato sul volo, allora capisci che ce la puoi fare”. I l nuovo i de nt i ki t dietro a un dito: lotto, gratta e vin- ci, slot machine sono tutti giochi d’azzardo. E questa è soltanto la punta dell’iceberg, dato che au- mentano in continuazione i gio- chi on line o quelli televisivi, senza alcuna regolamentazione”. Un primo passo potrebbe es- sere fatto, se venisse accolta la pro- posta delle associazioni che ope- rano per il recupero dei giocatori. “Vorremmo che sulle macchi- nette che si trovano ormai ovun- que, e non solo nei casinò, fosse applicata una targa, come accade già sui pacchetti di sigarette. Un avvertimento sui rischi che si cor- rono giocando, ma anche un aiu- to. Vorremmo, infatti, che fosse indicato un nostro numero verde. In questo modo, chi sente di esse- re a rischio, potrebbe immediata- mente contattarci. E’ difficile, in- fatti, che un giocatore si rivolga di sua spontanea volontà a uno psi- coterapeuta. Come un tossicodi- pendente, il giocatore crede di poter smettere quando vuole e difficilmente ammette di avere un problema”. E’, quindi, la famiglia a dover compiere il primo passo. “Di solito - conclude Angelini - , è la moglie o la compagna a con- tattarci. In alcuni casi possono es- sere i figli o i genitori. E il primo passo è coinvolgere nella terapia proprio il nucleo familiare, magari inserendolo in un circolo più gran- de, come fa De Luca a Campo- formido. Per questo si parla di psi- coterapia relazionale sistemica. E’ fondamentale poter condividere il problema con gli altri. Aiuta a ridimensionare la situazione e fa sentire meno soli”. VITE A RISCHIO A CIASCUNO IL SUO VIZIO Il 90 per cento di chi scommette è dipendente dal fumo, il 15 per cento assume alcol in modo smodato, mentre il 3 per cento di chi entra in terapia fa uso di sostanze psicotrope di vario tipo FAMIGLIE ALLO SFASCIO Non sono soltanto i familiari a perdere la serenità, gli stessi giocatori soffrono di depressione e di sbalzi di umore. Ci rimette anche la relazione di coppia e spesso si tende a escludere il dipendente dalla famiglia. Per alcuni, il suicidio diventa l’unica via di uscita UOMINI E PROFESSIONISTI L’85 per cento delle persone che scelgono di entrare in terapia è composto da uomini che svolgono un lavoro autonomo nel 73 per cento dei casi. In media le donne che si rivolgono agli specialisti hanno dai 50 ai 60 anni. Sono più anziane, quindi, dei ‘colleghi’ maschi, la cui età media varia dai 30 ai 50 anni COME SALVARSI Raramente è il giocatore a chiedere aiuto. Nella maggior parte dei casi sono i familiari a rivolgersi a un esperto. Chi vuole uscirne da solo cerca una soluzione attraverso il passaparola oppure navigando in Internet. Purtroppo, però, molti anziani sono esclusi da questi canali di informazione IN CERCA DI UNA MANO Chi volesse saperne di più, o trovare una risposta alle proprie domande, può visitare i seguenti siti Internet: http://xoomer .alice.it/psicoterapia/, e www .sosazzardo.it c k

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ilFRIULI5 OTTOBRE 2007 - N.37

3

i l F r i u l i a l l o s p e c c h i o

L’ESPERTO - Si scommette per colmare il vuoto della propria esistenza - Si guarisce solo con la terapia di gruppo

Quando il suicidio è l’unica via d’uscitaDi gioco d’azzardo ci si può

ammalare e si può anchemorire. Esattamente

come accade con la droga o conl’anoressia.“Viviamo in una società compul-siva - spiega Dario Angelini, psi-cologo e psicoterapeuta dell’As-sociazione La chiave di Alteluda(Roma) - che spinge a fare sem-pre qualcosa di più per riempire ilvuoto della propria esistenza. C’èchi soffre di disturbi del compor-tamento alimentare, dalla bulimiache porta a mangiare sempre dipiù all’anoressia che porta a ne-garsi il cibo per dimostrare di es-sere sempre più forti, chi di shop-ping ossessivo che spinge ad ac-quistare smodatamente, chi siammala di gioco d’azzardo. Sonomodi diversi per colmare il mede-simo vuoto psicologico”.

Un vuoto che può avere origineanche nel passato.

“Quando si isola la carica pro-pulsiva – spiega Angelini –, emer-gono le vere problematiche e di-venta ridondante il malessere au-tentico, la cui origine può celarsiin una depressione di cui soffriva-no già i genitori o i nonni. Una vol-ta capito il motivo scatenante, puòcominciare l’aiuto”.

Ma la terapia non si risolve inuna decina d’incontri.

“Il percorso è lunghissimo, puòdurare anche diversi anni, soprat-tutto se il problema riguarda trediverse generazioni. D’altra par-te, come spiega Rolando De Luca,ormai un punto di riferimento intutta Italia nel recupero dei gio-catori d’azzardo, più si va avantinella terapia maggiori sono le pos-sibilità di non avere ricadute”.

E di non mettere a rischio lapropria vita.

“Purtroppo, soprattutto chiperde interi patrimoni, riducendosul lastrico la propria famiglia, sce-glie di morire perché crede di nonriuscire a superare le difficoltà. Ilvuoto diventa talmente grande da

non poter più essere colmato. Maquelli per gioco d’azzardo sonotutti suicidi coperti. Magari pro-prio dai propri genitori cui il gio-catore voleva dimostrare di valerequalcosa”.

La situazione è destinata a peg-giorare, perché non dovrebbero

RISCHIO CONTROLLATO - Le macchinette elettronichelegali limitano le giocate e le vincite che per legge devonoessere restitutite in parte allo scommettitore. Ben diversala situazione se si decide di utilizzare quelle illegali chemettono in palio cifre ben maggiori, almeno a parole,perché alla fine chi perde veramente è sempre il giocatore

Sei tu il nostro problema”. Spesso è que-sta la molla che spinge un giocatore adammettere la propria dipendenza e a

correre ai ripari. Sentirsi accusare dai propri fa-miliari, entrati per primi e da soli in terapia, fasì che il giocatore apra finalmente gli occhi.

Ma qual è l’identikit del giocatore tipo?“Un tempo - spiega lo psicoterapeuta Dario

Angelini - erano soprattutto uomini, con un’etàcompresa tra i 30 e i50 anni. Oggi sono inlargo aumento gli an-ziani e i giovani, so-prattutto studentiuniversitari”.

Nel primo caso sitratta soprattutto diprofessionisti.

“Ma il ceto di pro-venienza non ha im-portanza. Chi ha mol-ti soldi, li gioca tutti,perdendo fortune. Chine ha pochi, può arrivare persino a rubare e i dan-ni sono comunque enormi. Il problema emergenteadesso è quello delle persone anziane, dei pensio-nati”.

Anche nel loro caso, il gioco serve a colmare unvuoto. “Gli anziani cominciano a giocare dopoun cambiamento. Può riguardare i figli che, ormai

essere soltanto i familiari, le asso-ciazioni o gli psicologi ad aiutarechi soffre di dipendenza dal gioco.

“Dovrebbe intervenire lo Statoche, invece, dà soltanto un aiutodi facciata, ma in realtà non faniente per diminuire il gioco d’az-zardo. Perché è inutile nascondersi

Sul tavolo verde pure la pensionecresciuti, abbandonano la casa paterna, oppure unlutto. Insomma, gli anziani cercano di scapparealla solitudine”.

I giovani, invece, giocano per dimostrare a sestessi o agli altri di essere dei vincenti.

“Ho incontrato studenti universitari che si gio-cavano i soldi delle tasse e dei libri. In molti casi,a cercare un aiuto sono le fidanzate, preoccupateperché il ragazzo non studia più e non frequenta

più i corsi. Alcuni ab-bandonano proprio glistudi per mantenersi algioco. Ovviamente, ilfenomeno è meno dif-fuso, perché i giovanihanno meno soldi a di-sposizione”.

La soluzione, pertutti, è una sola: rivol-gersi a strutture priva-te.

“Il pubblico – con-clude Angelini – si oc-

cupa pochissimo del recupero dei giocatori d’az-zardo. I costi sono troppo alti. Quindi, per riceve-re aiuto, non resta che rivolgersi a chi opera nelprivato, dalle associazioni ai psicoterapeuti. Io dicosempre ai miei pazienti: prima toglievate parte delvostro capitale per buttarlo nel gioco, adesso im-piegate i vostri soldi nella terapia”.

Dalla schedina all’infernoDESTINI IN GIOCO - La storia di chi ha toccato il fondo, ma ha saputo rialzarsi grazie all’aiuto degli altri

Quando si dice mettere lapropria esistenza in gioco.Chi scivola nel baratro del

gioco d’azzardo si trova ben prestostritolato da un meccanismo micidia-le. A una situazione ogni giorno piùdifficile si cerca di ovviare con gioca-te sempre più alte. Col solo risultatoche, alla fine, il baratro diventa tal-mente profondo da cancellare ognisperanza di riuscire a risalire la china.Eppure, la testimonianza che ab-

biamo raccolto dimostra che anchechi ha butatto viala sua esistenzasul tavolo da gio-co, può farcela aduscirne.“A patto di es-

sere disposti afarsi dare unamano , di smet-terla di mentire ase stessi e agli al-tri e di ammette-re che da soli èimpossibile lotta-re contro un ne-mico tanto invisi-bile quanto forte- ci dice Leo (ilnome è di fanta-sia) -. Quando ac-cetti di aprirti aglialtri scopri che cisono tante bravepersone dispostead aiutarti e lastrada per tornare a una vita nor-male diventa meno scoscesa”.

In Friuli Venezia Giulia di perso-ne consumate dalla febbre del gio-co ce ne sono parecchie. E altret-tanto numerose sono le famiglie cheimprovvisamente scoprono di esse-re ridotte sul lastrico.

Pochi spiccioli“La mia storia di giocatore è ini-

ziata quando avevo appena 15 anni.

Allora si trattava di giocare pochispiccioli sulla schedina del totocal-cio, ma era soltanto l’inizio. Conl’arrivo dei primi stipendi ho gioca-to sempre di più, ovunque, fino alpunto da trascorrere ogni momen-to libero davanti a quelle maledettemacchinette”. Alle spalle Leo hauna infanzia tormentata e un rap-porto molto difficile col padre al-colizzato. “Mio padre non mi ha miavoluto bene. Mi faceva sentire unanullità. Credo di aver cominciato a

sfidare la sorte anche per questomotivo. Giocavo perché volevomettermi alla prova, dimostrare ame stesso e agli altri che potevo farequalcosa di importante, ma avevoscelto la via peggiore”. Nel giro dipochi anni la sua situazione diventainsostenibile, fino al punto di ap-propriarsi di denaro dell’azienda nel-la quale lavorava. Nel frattempo lasua solitudine era stata amplificatadall’abbandono della compagna. “A

un certo punto mi guardai allo spec-chio. Mi accorsi che attorno a mec’erano soltanto rovine, che avevoperso tutto, denaro, affetti, amici-zie. Mi ero addirittura appropriatodi somme sul posto di lavoro. Fu inquel preciso momento che pensai difarla finita perché così non avevasenso continuare”.

Di mamma ce n’è una solaE’ stata la madre a prendere su il

telefono per contattare il Centro di

terapia di Campoformido, dedica-to agli ex giocatori d’azzardo e alleloro famiglie. “Lei mi disse che ave-vo questa possibilità, che dovevo al-meno provarci”. Da quel precisoistante Leo interrompe il suo cam-mino verso l’inferno, aiutato da Ro-

lando de Luca che, dal 1995, portaavanti un’esperienza ritenuta fra lepiù importanti e positive a livellonazionale. “Frequentare il Centro -conferma Leo - mi ha aiutato a ca-

pire che dovevo smetterla di resta-re prigioniero della mia condizione,che dovevo essere disposto a farmiaiutare. Un bel giorno chiesi di par-lare con il titolare della mia aziendae gli raccontai delle somme prele-vate illecitamente. Pensavo che miavrebbe denunciato e licenziato.Ero pronto a subire le conseguenzeper ciò che avevo fatto”. Invece dimandarlo in carcere fu proprio quel-l’imprenditore il primo ad aiutarlo,a credere che meritava una chance

per risollevarsi.

L’ultimachance

Ho iniziato a re-stituire i soldi unpo’ alla volta e, an-cora oggi, a distan-za di oltre cinqueanni sto pagando imiei debiti, masono un uomo chepuò finalmenteandare in giro a te-sta alta. Lo ripetocontinuamente aquanti stanno vi-vendo le mie stessevicissitudini: tuttele energie speseinutilmente pertentare di tampo-nare le falle di unmodo di vivere sba-gliato possono es-

sere usate invece per rialzarsi. So-prattutto, sono convinto che sia in-dispensabile essere sinceri, non ave-re paura di guardarsi dentro e di direbasta. Credi che gli altri non sappia-no nulla, ma molto spesso fanno fin-ta semplicemente di non conoscerela tua condizione per non offender-ti. Se davvero riesci a toglierti la ma-ledetta maschera che il gioco d’az-zardo ti ha incollato sul volo, alloracapisci che ce la puoi fare”.

Il nuovo identikit

dietro a un dito: lotto, gratta e vin-ci, slot machine sono tutti giochid’azzardo. E questa è soltanto lapunta dell’iceberg, dato che au-mentano in continuazione i gio-chi on line o quelli televisivi, senzaalcuna regolamentazione”.

Un primo passo potrebbe es-sere fatto, se venisse accolta la pro-posta delle associazioni che ope-rano per il recupero dei giocatori.

“Vorremmo che sulle macchi-nette che si trovano ormai ovun-que, e non solo nei casinò, fosseapplicata una targa, come accadegià sui pacchetti di sigarette. Unavvertimento sui rischi che si cor-rono giocando, ma anche un aiu-to. Vorremmo, infatti, che fosseindicato un nostro numero verde.In questo modo, chi sente di esse-re a rischio, potrebbe immediata-mente contattarci. E’ difficile, in-fatti, che un giocatore si rivolga disua spontanea volontà a uno psi-coterapeuta. Come un tossicodi-pendente, il giocatore crede dipoter smettere quando vuole edifficilmente ammette di avere unproblema”.

E’, quindi, la famiglia a dovercompiere il primo passo.

“Di solito - conclude Angelini -, è la moglie o la compagna a con-tattarci. In alcuni casi possono es-sere i figli o i genitori. E il primopasso è coinvolgere nella terapiaproprio il nucleo familiare, magariinserendolo in un circolo più gran-de, come fa De Luca a Campo-formido. Per questo si parla di psi-coterapia relazionale sistemica. E’fondamentale poter condividereil problema con gli altri. Aiuta aridimensionare la situazione e fasentire meno soli”.

VITE A RISCHIO

A CIASCUNO IL SUO VIZIO

Il 90 per cento di chi scommetteè dipendente dal fumo, il 15 per

cento assume alcol in modosmodato, mentre il 3 per cento di

chi entra in terapia fa uso disostanze psicotrope di vario tipo

FAMIGLIE ALLO SFASCIO

Non sono soltanto i familiari aperdere la serenità, gli stessigiocatori soffrono di depressione edi sbalzi di umore. Ci rimetteanche la relazione di coppiae spesso si tende a escludere ildipendente dalla famiglia. Peralcuni, il suicidio diventa l’unicavia di uscita

UOMINI E PROFESSIONISTI

L’85 per cento delle personeche scelgono di entrare in terapiaè composto da uomini chesvolgono un lavoro autonomonel 73 per cento dei casi. Inmedia le donne che si rivolgonoagli specialisti hanno dai 50 ai 60anni. Sono più anziane, quindi,dei ‘colleghi’ maschi, la cui etàmedia varia dai 30 ai 50 anni

COME SALVARSI

Raramente è il giocatore achiedere aiuto. Nella maggior partedei casi sono i familiari a rivolgersi

a un esperto. Chi vuole uscirne dasolo cerca una soluzione

attraverso il passaparola oppurenavigando in Internet. Purtroppo,

però, molti anziani sono esclusida questi canali di informazione

IN CERCA DI UNA MANOChi volesse saperne di più, o trovare una risposta

alle proprie domande, può visitare i seguenti siti Internet:http://xoomer.alice.it/psicoterapia/, e www.sosazzardo.it

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