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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 LA MODERNITÀ VERSO IL GLOBALE ------------------------------------------------------------------------------- 3
2 CAPITALISMO ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 LO SPAZIO DEL COMMERCIO E DEL CAPITALISMO ---------------------------------------------------------- 8
4 COS’È UN’ECONOMIA-MONDO ---------------------------------------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17
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1 La modernità verso il globale
Gli anni che vanno dalla metà del XV alla metà del XVII secolo sono cruciali per la storia
del mondo. Essi sono stati considerati, da molti storici, come un periodo unitario. Lo storico
francese Fernand Braudel li ha definiti il “lungo Cinquecento", perché è in questo secolo che
emergono con chiarezza quegli elementi che caratterizzarono tutto il periodo. A tale proposito egli
ha scritto: “Nel XVI secolo la terra intera è il nostro spazio e noi dobbiamo misurarci con l'immensa
scena del teatro del mondo. La modernità è questa prima unità del mondo, è il globo terrestre
coinvolto in una avventura comune a tutti gli uomini, percorso da una tendenza, sia pure ancora
fragile, verso una vita comunitaria”. La parte atlantica e insulare dell'Europa ma anche, sia pure in
misura sempre meno rilevante, l'Europa mediterranea, furono le protagoniste di questa prima
unificazione del mondo. Strumento dell'unificazione furono le rotte marittime, attraverso le quali
l'Occidente realizzò a proprio vantaggio un primo abbozzo di integrazione politica ed economica
planetaria. In effetti, un secolo e mezzo di grandi viaggi e scoperte ebbe quasi esclusivamente gli
europei come protagonisti. Essi furono gli unici a mostrarsi interessati all'intero globo terrestre e ad
avere le capacità per operare a grande distanza dalle loro basi di partenza. Dal punto di vista
politico, l'Europa pose le basi per la prima colonizzazione del mondo. Le forme assunte dalla
colonizzazione fra la fine del Quattrocento e la prima metà del Seicento furono essenzialmente
quattro. Una prima forma fu quella portoghese, caratterizzata dal controllo delle direttrici dello
scambio locale e del commercio su larga scala, a cui era direttamente interessata la corona. Simile
alla portoghese fu la successiva colonizzazione olandese e, in parte, inglese e francese, in cui ebbero
un ruolo centrale, e spesso autonomo, le compagnie mercantili. La colonizzazione spagnola si
indirizzò, invece, alla conquista territoriale e al trasferimento degli ordinamenti della madrepatria,
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finalizzati in particolare allo sfruttamento delle colonie e al prelievo soprattutto dei metalli preziosi.
Questa terza forma si realizzò soprattutto nel continente americano. Infine, vi fu la colonizzazione
di insediamento e popolamento, di cui l’Inghilterra (e più tardi anche la Francia) fu la principale
artefice, che diede vita ad aggregazioni sociali e politiche in grado di sviluppare robuste società
locali. La colonizzazione consentì la nascita di una particolare forma di economia-mondo a
vantaggio dei colonizzatori. Con l’espressione economia-mondo si intende un insieme di aree
geografiche collegate tra loro da rapporti commerciali. In questo sistema vi è un centro,
economicamente dominante, e una periferia subordinata. Nei due secoli che stiamo analizzando,
l’Europa divenne il centro di una nuova economia-mondo. Tramite una fitta rete mercantile il
Vecchio mondo cominciò a trasferire quantità sempre maggiori di ricchezze dalle zone periferiche
ed esterne verso il centro europeo. Sistemi economico-politici in precedenza dominanti subirono
una crescente marginalizzazione. Ad esempio, il mondo islamico si trovò intrappolato da una rete
di rapporti mercantili che lo aveva aggirato e gli aveva impedito di intercettare i grandi flussi di
ricchezza. All’interno della stessa Europa si creò una gerarchizzazione delle aree, con l’ascesa delle
zone atlantiche e insulari e, alla lunga, il declino del Mediterraneo veneziano e genovese e, più tardi
della Spagna. L’inizio della colonizzazione favorì altre forme di integrazione, oltre a quella
economica. L’imposizione del cristianesimo in America e il tentativo di evangelizzare le antiche
civiltà dell'Oriente estremo furono le manifestazioni più eclatanti della spinta a uniformare
culturalmente il mondo. L’interscambio della flora e della fauna fu l'inizio di un lungo processo di
integrazione ecologica, che consentì il radicamento in tutto il pianeta delle specie più adattabili.
Anche la diffusione di prodotti e abitudini alimentari creò una maggiore omogeneità. In questo
senso, la stessa Europa fu oggetto di colonizzazione, sia pure vantaggiosa: basti pensare alla
diffusione di prodotti come la patata o il mais che, per la loro alta redditività energetica e la grande
adattabilità, accrebbero la disponibilità alimentare del Vecchio mondo. Anche l'arrivo in Europa di
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prodotti quali la cioccolata, il tè e il tabacco ebbe grande importanza nella formazione di abitudini e
costumi uniformi in vaste aree geografiche e culturali. Certo, questa prima integrazione a livello
globale fu debole. La fragilità del sistema stava soprattutto nel fatto che esso era in prevalenza
basato sulle rotte marittime. Ma ciò non vuol dire che nell'Europa del Cinquecento non fosse già
presente la coscienza della dimensione planetaria della politica e dell'economia. I grandi atlanti
messi in commercio per un pubblico relativamente vasto avevano diffuso l'immagine reale del
mondo (a esclusione dell’Australia di cui ancora non si conosceva l'esistenza). Nelle corti, anche
minori, si trattava di politica in termini planetari. Il planisfero faceva da contorno ai luoghi, anche
periferici, dell'esercizio del potere. Basti pensare alla grande carta geografica affrescata in una
parete della residenza di campagna della famiglia ducale dei Farnese. Come si può osservare, oltre
agli elementi e al profilo geografico molto vicini al reale, sono indicati rotte, luoghi del commercio
e dello scambio, situazioni politiche. Evidentemente l'interesse per queste cose aveva raggiunto un
livello tale da ritenere necessario, anche per una corte minore non direttamente impegnata nelle
strategie geopolitiche, avere, e mostrare, una cognizione planetaria della politica. Grazie all'assoluto
dominio delle rotte oceaniche e al controllo dei flussi commerciali presenti nelle varie aree
geografiche dell'economia-mondo, l'Europa realizzò la prima accumulazione di ricchezze su base
planetaria della storia. Fu l'attività mercantile a consentire l'afflusso verso il continente europeo di
risorse provenienti da tutto il globo. Principali protagonisti di questa attività furono dei grandi
mercanti, che operarono singolarmente o, più spesso, all'interno di compagnie mercantili. Le
compagnie mercantili, presenti fin dal Medioevo, assunsero un ruolo economico e politico
fondamentale fra il XVI e il XVIII secolo. Esse erano formate da vari soggetti, fra cui troviamo
spesso membri delle corti o gli stessi sovrani, i quali partecipavano all'attività della compagnia, e
agli utili che se ne ricavavano, in ragione della quota di denaro investita. Nate come semplici
associazioni per il commercio, quando iniziarono a raccogliere anche il denaro di risparmiatori che
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intendevano far fruttare i loro beni, divennero imprese in grado di ampliare a dismisura il loro
raggio d'azione, fino a trasformarsi in autentiche potenze politiche. Fu soprattutto negli Stati della
costa atlantica (Olanda, Inghilterra, Francia, in particolare, ma anche Portogallo, Svezia,
Danimarca), impegnati nelle conquiste e nel commercio coloniale, che esse ebbero il loro grande
sviluppo. In questo contesto ricevettero ampi privilegi commerciali e fiscali, ma ottennero anche il
diritto di svolgere un'autonoma politica di conquiste e di esercizio della sovranità sulle colonie in
cui si concentravano i loro interessi economici. In questa veste particolare le compagnie svolsero un
ruolo fondamentale nel primo processo di unificazione commerciale del mondo e di trasferimento
delle ricchezze verso il continente europeo. Secondo molti storici, questa prima accumulazione di
ricchezze si svolse in un regime economico di tipo capitalistico, destinato ad avere in futuro un
intenso e tumultuoso sviluppo.
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2 Capitalismo
Semplificando, si può definire capitalismo un sistema economico finalizzato
all'accumulazione di ricchezza (definita appunto capitale), da utilizzare come mezzo per produrre
ulteriore ricchezza. Da questo punto di vista, secondo alcuni pensatori come, ad esempio, il
sociologo Max Weber, il capitalismo sarebbe una mentalità o un atteggiamento di uomini che
tenderebbero a ricavare profitto, e quindi ricchezza, da ogni loro attività. Per il filosofo ed
economista Karl Marx, invece, il capitalismo è un sistema di produzione. Esso impiega i mezzi di
produzione (strumenti e macchine per il lavoro, fabbriche ecc.), le materie prime (da vendere o da
trasformare in manufatti), i lavoratori salariati (contadini, operai ecc.) e il denaro, per produrre
profitto e, quindi, ulteriore accumulazione di capitale. Questo sistema di produzione, sempre
secondo Marx, provocherebbe un costante conflitto fra i capitalisti, che sfruttano il lavoro dei
salariati, e questi ultimi, che si sentono defraudati del frutto del loro lavoro. Secondo la storiografia,
già in questa prima fase il sistema economico si costruì su presupposti di tipo capitalista (a
prescindere dal modo in cui esso viene connotato); per questo si preferisce parlare di
protocapitalismo, intendendo con questo termine un capitalismo non ancora realizzato in tutte le sue
componenti. In questa sua prima fase di sviluppo, il capitalismo fu prevalentemente di tipo
mercantile, anche se non mancarono forme di protocapitalismo in altri settori dell'attività
produttiva. Uno scrittore inglese vissuto fra Sei e Settecento, Daniel Defoe, ci dice quale fosse lo
spirito di questo capitalismo mercantile. Parlando degli olandesi, che furono i primi a praticarlo in
modo sistematico e proficuo, egli scrive: “Comprano per vendere, importano per esportare e la più
gran parte del loro commercio consiste nel rifornirsi da ogni parte del mondo per rifornire a loro
volta ogni parte del mondo”.
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3 Lo spazio del commercio e del capitalismo
Una rete di scambi commerciali, in effetti, si distese su tutti i mari e sulle tradizionali vie
mercantili già attive nei secoli precedenti. Merci di tutti i tipi percorrevano queste vie e queste rotte.
Esse andavano ad alimentare sia il consumo dei prodotti provenienti da fuori Europa sia la crescente
attività industriale che si stava sviluppando nel Vecchio mondo. Lo spazio del commercio europeo
divenne realmente planetario e globale. Alle vecchie vie mercantili del Medioevo, controllate in
buona parte dalle città italiane, si aggiunsero le nuove vie di traffico. Rilevante, nel commercio
intereuropeo, fu lo spazio baltico che, con la mediazione olandese e inglese, entrava in contatto con
lo spazio atlantico e mediterraneo, entrambi controllati dalla Spagna, almeno per tutto il XVI
secolo. Il Portogallo dominava, all'inizio, lo spazio atlantico e indiano, che si dispiegava lungo le
coste africane. Con l'arrivo degli olandesi, e soprattutto degli inglesi, i portoghesi vennero
rapidamente soppiantati. Quanto alle merci che transitavano in questi spazi commerciali, la loro
varietà era notevole. Al grano, ai prodotti alimentari in genere, al legname, all'ambra, ai minerali
ferrosi, ai prodotti tessili grezzi e finiti, che caratterizzavano gli scambi intereuropei, si
aggiungevano i prodotti esotici (spezie, caffè, tè, tabacco, tinture, zucchero ecc.) e gli schiavi, che
dominavano gli scambi intercontinentali. Un discorso a parte merita il commercio dei metalli
preziosi. Infatti, alla base dell'accumulazione del capitale mercantile, che consentì di avviare la
grande rivoluzione commerciale dei secoli XVI e XVII, vi fu proprio l'enorme afflusso di oro e
argento, proveniente perlopiù dall'America tramite la flotta commerciale spagnola. L’arrivo
improvviso di questa ingente quantità di oro e argento determinò un repentino aumento della massa
monetaria in circolazione nel continente europeo. Bisogna, infatti, ricordare che le monete di
maggior valore erano coniate nei due metalli preziosi di cui l'Europa, prima dell'espansione
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coloniale del XVI secolo, non era particolarmente fornita. Un simile aumento della disponibilità di
denaro consentì ai principali mercanti di lanciarsi nelle grandi imprese commerciali in Oriente, dove
l'acquisto di merci pregiate poteva avvenire solo dietro il pagamento in oro, l'unico metallo
accettato nei grandi empori asiatici. A differenza dell'America, infatti, l’Asia era lontana dall'essere
conquistata e, dunque, i mercanti europei dovevano comprare i prodotti con cui realizzare il lucroso
commercio intercontinentale. In generale, l'aumento della disponibilità monetaria stimolò una più
ampia ripresa economica e, soprattutto, diede un grande impulso allo sviluppo delle attività
finanziarie. In ogni città dove fu realizzata, la borsa divenne il luogo in cui si fissavano i prezzi
delle materie prime scambiate in varie parti del mondo, si trattavano vendite e acquisti, si stabiliva il
valore delle azioni, si concedevano i prestiti. Nelle sedute giornaliere del mercato borsistico, oltre a
ricavare immensi guadagni, si decideva la vita economica di interi Stati. Capitali sempre più
considerevoli furono investiti nel debito pubblico, ossia nel prestito a corti e sovrani dietro
l'emissione di certificati di credito, in cui erano indicate le somme prestate e la scadenza del
prestito, che assicuravano la riscossione di forti interessi. Vennero perfezionati dispositivi come le
lettere di cambio, con le quali si dichiarava di aver ricevuto una certa somma di denaro e ci si
impegnava a restituirla in una data stabilita. Tutti questi strumenti finanziari, sapientemente
maneggiati da grandi banchieri, spostavano ingenti somme di denaro da una parte all’altra dei vari
teatri dell'attività finanziaria e commerciale, dove si pensava vi fossero i maggiori guadagni.
L'afflusso di metalli preziosi e, più in generale, la rivoluzione commerciale produssero grandi
benefici per l'economia europea, tracciandone la via dello sviluppo, ma, allo stesso modo, non
mancarono di provocare anche una serie di ripercussioni negative. Mentre mercanti e banchieri,
infatti, accrescevano i propri capitali, altre categorie videro i loro interessi duramente colpiti dalla
nuova fase economica. A subire seri sconvolgimenti fu il mondo rurale che, nonostante tutto,
rimaneva il settore economico di gran lunga più importante, per numero degli addetti e quantità di
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prodotto realizzato. Per chiarire il discorso sull’economia-mondo, occorre spiegare due espressioni
che si prestano all'equivoco: “economia mondiale” e “economia-mondo”. L'economia mondiale si
estende a tutta la terra; rappresenta “il mercato dell'universo”, “il genere umano o tutta quella parte
del genere umano che commercia insieme e che oggi, in qualche modo, non forma che un unico
mercato”. L'economia-mondo (espressione insolita e mal resa dalla nostra lingua, per tradurre un
uso particolare della parola tedesca Weltwirtshaft) coinvolge soltanto un frammento dell'universo,
un brandello economicamente autonomo del pianeta, capace per l'essenziale di autosufficienza e al
quale legami e scambi interni conferiscono una certa unità organica. Si può guardare, ad esempio, al
Mediterraneo del secolo XVI in quanto Weltwirtshaft (“teatro-mondo”, “economia-mondo”),
intendendo con questo non soltanto il mare in se stesso, ma tutto ciò che è messo in movimento - a
maggiore o minor distanza dalle sue coste – dalla via di scambio che esso costituisce. Un universo a
sé stante, insomma, un tutto. L'area mediterranea infatti, benché divisa politicamente, culturalmente
e anche socialmente, accoglie una certa unità economica che, per la verità, è stata costruita dall'alto,
a partire dalle città dominanti dell'Italia del Nord, prima fra tutte Venezia, e con essa Milano,
Genova, Firenze. Tale economia complessiva non è tutta la vita economica del mare e delle regioni
che ne dipendono. Ne costituisce in qualche modo lo strato superiore, la cui azione, più o meno
forte, a seconda dei luoghi, si riscontra su tutte le coste e talvolta molto lontano, nelle zone interne.
È un'attività che travalica i confini degli imperi, quello spagnolo, il cui disegno si sta
ultimando con Carlo V, e quello turco, la cui pressione precede di molto la conquista di
Costantinopoli (1453). Travalica altresì i confini segnati e fortemente sentiti tra le civiltà che si
spartiscono lo spazio mediterraneo: la greca, umiliata e prona sotto il giogo sempre più pressante
dei turchi; la musulmana, che fa capo a Istanbul, la cristiana, legata al tempo stesso a Firenze e a
Roma (l’Europa del Rinascimento e l'Europa della controriforma). Islam e cristianità si affrontano
lungo una linea di separazione nord-sud tracciata fra il Mediterraneo di ponente e il Mediterraneo di
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levante, una linea che, attraverso le coste dell'Adriatico e quelle della Sicilia, raggiunge il litorale
dell’attuale Tunisia. Su tale linea, che taglia in due lo spazio mediterraneo, si svolgono tutte le
risonanti battaglie tra infedeli e cristiani. Ma le navi mercantili non cessano di valicarla. La
caratteristica della particolare economia-mondo di cui richiamiamo lo schema - il Mediterraneo del
secolo XVI - consiste infatti proprio nel valicare quelle frontiere politiche e culturali che, ciascuna a
suo modo, spezzettano e differenziano l'universo mediterraneo. Cosi i mercanti cristiani, nel 1500,
sono in Siria, in Egitto, a Istanbul, nell'Africa del Nord; i mercanti levantini, turchi, armeni,
dilagheranno più tardi nell’Adriatico. Invadente, l'economia, che abbraccia le monete e gli scambi,
tende a creare una certa unità in situazioni per altri versi proclivi a una differenziazione di blocchi.
Anche la società mediterranea si dividerà approssimativamente, in due spazi: da una parte una
società cristiana, in maggioranza feudale; dall'altra una società musulmana, in cui prevale un
sistema di “benefici”, di signorie concesse in vitalizio, a titolo di ricompensa per quanti erano stati
capaci di distinguersi e di servire in guerra. Alla morte del titolare, il beneficio o la carica tornavano
allo stato per essere nuovamente elargiti.
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4 Cos’è un’economia-mondo
Per concludere, dall'esame di un caso particolare possiamo dedurre che in una economia-
mondo convergono una somma di spazi individualizzati, economici e no; essa rappresenta una
superficie enorme (in linea di massima, la più vasta zona di coerenza, in una certa epoca, per una
data parte del globo), di solito travalica i confini degli altri gruppi massicci della storia. Il primo
problema, per spiegare una qualunque economia-mondo, è delimitare lo spazio che essa investe. Di
solito i suoi confini sono facilmente identificabili, in quanto si modificano lentamente. La zona che
ne è compresa si presenta come condizione prima della sua esistenza. Non esiste economia-mondo
senza uno spazio proprio e per più ragioni significante: esso ha dei confini, e la linea che lo
contorna gli dà un senso particolare, come le coste definiscono il mare. Implica un centro, a favore
di una città e di un capitalismo già dominante, qualunque ne sia la forma. La moltiplicazione dei
centri costituisce una testimonianza di giovinezza, o una forma di degenerazione o di mutazione.
Sotto la spinta di forze esterne e interne possono in effetti delinearsi e quindi compiersi forme di
decentramento: le città a vocazione internazionale, le “città-mondo”, sono in continua competizione
reciproca, e si sostituiscono a vicenda. Ordinato gerarchicamente, tale spazio è una somma di
economie particolari, alcune povere, altre modeste, una sola relativamente ricca nel proprio nucleo.
Ne derivano diseguaglianze, differenze di quel voltaggio che assicura il funzionamento dell'insieme.
Ne deriva quella “divisione internazionale del lavoro” della quale Marx non aveva previsto che “si
sarebbe concretizzata in un modello spaziale di sviluppo e di sottosviluppo tale da dividere
l'umanità in due campi - gli “have” e gli “have not” - separati da una fossato ancora più profondo di
quello che oppone borghesia e proletariato nei paesi capitalistici avanzati. Non si tratta comunque di
una nuova separazione, ma di una ferita antica, e probabilmente inguaribile. Abbiamo così tre
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gruppi di condizioni, ciascuno di portata generale. Un'economia-mondo finisce là dove inizia
un'altra economia dello stesso tipo, avendo per confine una linea, o meglio una zona, che,
economicamente parlando, nessuna delle due parti ha convenienza a varcare, se non in casi
eccezionali. Per la maggior parte dei traffici, e nei due sensi, la perdita nello scambio supererebbe il
guadagno. Così, per regola generale, le frontiere delle economie-mondo si presentano come zone
poco animate, inattive, simili a robusti involucri di difficile apertura, spesso sotto forma di barriere
naturali, di “no man's lands” , di “no man's seas”. Pensiamo, nonostante le carovane , al Sahara, tra
l'Africa Nera e l'Africa Bianca; all'Atlantico, deserto a sud e a ovest dell'Africa, che per secoli si
contrappone a un Oceano Indiano ben presto conquistato ai traffici, almeno nella parte
settentrionale. Pensiamo al Pacifico, cosi mal collegato all'Europa conquistatrice: il periplo di
Magellano rappresenta in sostanza soltanto la scoperta di una porta di entrata per il Mare del Sud.
Per tornare in Europa, il periplo si conclude utilizzando la rotta portoghese del Capo di Buona
Speranza. Ostacoli altrettanto ingombranti sono rappresentati dai confini tra l'Europa cristiana e i
Balcani turchi, tra la Russia e la Cina, tra l'Europa e la Moscovia. Per un europeo, questa è la fine
del mondo. È opportuno, ancora una volta, misurare tali distanze ostili. Poiché proprio all'interno di
queste difficoltà si determinano, crescono, perdurano e si evolvono le economie-mondo. Esse
devono vincere lo spazio per dominarlo e lo spazio non cessa di prendersi la rivincita, imponendo il
rinnovarsi degli sforzi. È un miracolo che l'Europa abbia valicato i propri confini in un colpo solo, o
quasi, con le grandi scoperte della fine del secolo XV. Ma lo spazio aperto - le acque dell'Atlantico,
il suolo americano - doveva essere mantenuto sotto controllo. E controllare un Atlantico deserto,
un'America per metà disabitata non era facile. Né più agevole era aprirsi una strada verso un'altra
economia-mondo, lanciare un “segnale”. Quante condizioni da ottemperare perché la porta del
Levante rimanesse aperta per secoli tra due diverse vigilanze, tra due parti ostili! Il felice esito della
rotta del Capo di Buona Speranza sarebbe stato impensabile senza quel preventivo trionfo di lunga
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durata. E se ne consideri il prezzo di sforzi, di condizioni: il suo primo artefice, il Portogallo, ne
uscirà letteralmente stremato. Anche la vittoria carovaniera dell'Islam attraverso i deserti ha i
caratteri dell'impresa eccezionale, lentamente assicurata con la costruzione di una rete di oasi e di
polle d'acqua. L'economia-mondo possiede sempre un polo urbano, una città al centro della logistica
degli affari: le informazioni, le merci, i capitali, i crediti, gli uomini, gli ordini, le lettere
commerciali vi affluiscono e ne ripartono. Grandi commercianti, sovente straordinariamente ricchi,
vi dettano legge. Questo polo è circondato, a più o meno grande e rispettosa distanza, da città di
collegamento, consociate o complici, ma ancor più di frequente asservite nel proprio ruolo
secondario. La loro attività è determinata da quella della metropoli: esse la proteggono, vi fanno
confluire il flusso degli affari, ridistribuiscono o inoltrano i beni che ne ricevono, si aggrappano al
suo credito o lo subiscono. Venezia non è sola; Anversa non è sola; Amsterdam non sarà sola. Le
metropoli si presentano con un seguito, una corte; in proposito, si può parlare di arcipelaghi di città.
Stendhal coltivava l'illusione che le grandi città d'Italia avessero, per generosità, protetto le più
piccole. Ma come avrebbero potuto distruggerle? Asservirle sì, e niente più, poiché avevano
bisogno dei loro servizi. Una città-mondo non può raggiungere e mantenere il proprio alto livello di
vita senza il sacrificio, voluto o no, delle altre. Alle quali altre somiglia - una città è una città - ma
dalle quali si differenzia: è una supercittà. E il primo segno che la identifica come tale è appunto è il
suo essere assistita, servita. Straordinarie, enigmatiche, queste rarissime città sono abbaglianti. Cosi
Venezia si presenta la città più trionfante che si sia mai veduta. Cosi Amsterdam è una sorta di
“inventario del possibile”, in cui ogni comodità e curiosità desiderabili sono soddisfatte con facilità.
Ma queste abbaglianti città sono altrettanto sconcertanti; sfuggono all'osservatore. Quale
straniero, e soprattutto quale francese, ai tempi di Voltaire e di Montesquieu, non si è accanito nel
tentativo di comprendere, di spiegarsi Londra? Il viaggio in Inghilterra - un genere letterario - è
un'impresa di scoperta che costantemente si scontra con l'originalità beffarda di Londra. Ma chi ci
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svelerà, oggi, il vero segreto di New York? Ogni città di qualche importanza, soprattutto se
affacciata sul mare, è un'”arca di Noè”, “un'autentica fiera di maschere”, una “torre di Babele”. Ma
che dire delle vere e proprie metropoli? Esse si presentano - Londra come Istanbul, Ispahan come
Malacca, Surat come Calcutta (quest'ultima sin dagli inizi) - all'insegna delle più stravaganti
mescolanze. Ad Amsterdam, sotto i pilastri della Borsa, che è un compendio dell'universo
mercantile, si odono tutti gli idiomi del mondo. A Venezia, se siete curiosi di vedere uomini di tutte
le parti del mondo, vestiti ciascuno secondo il proprio diverso costume, andate in piazza San Marco
o a Rialto, e vi troverete ogni genere di persone. Tale popolazione eterogenea, cosmopolita, deve
poter vivere e lavorare in pace.
L'arca di Noè comporta la tolleranza obbligatoria. Dello Stato veneziano, si pensa che non vi
sia luogo in Italia in cui si viva con maggior libertà, poiché innanzi tutto l'autorità pronuncia
raramente condanne a morte, in secondo luogo le armi non sono proibite, in terzo luogo non vi è
alcuna forma di inquisizione religiosa, infine ciascuno vive secondo i propri desideri e in libertà di
coscienza, il che fa sì che numerosi francesi libertini vi risiedano poiché non vengono ricercati né
sorvegliati e possono vivere in totale licenza. Tale innata tolleranza di Venezia spiega in parte il suo
famoso anticlericalismo, o per meglio dire la sua vigile opposizione nei confronti dell’intolleranza
romana. Ma il miracolo della tolleranza si rinnova ovunque si instauri l'accentramento mercantile.
Amsterdam la difende, non senza merito dopo le violenze religiose. A Londra, il mosaico religioso
ha tessere di tutti i colori. Può darsi che il carattere più netto delle supercittà sia ancora la loro
precoce e forte diversificazione sociale. Tutte infatti ospitano proletariati, borghesie e patriziati
detentori della ricchezza e del potere, tanto sicuri di sé da rinunciare ben presto a fregiarsi, come ai
tempi di Venezia o di Genova, del titolo di nobili. Patriziato e proletariato, insomma, “divergono”: i
ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri ancora più miserabili, perché il male eterno delle città a
capitalismo esasperato è l'alto costo della vita, per non dire l'inflazione senza tregua. Ciò attiene alla
Università Telematica Pegaso L’economia-mondo
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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natura stessa delle funzioni urbane superiori, il cui destino è di dominare le economie adiacenti.
Verso i loro alti prezzi si consolida e rifluisce di per se stessa la vita economica. Ma nelle spire di
questa tensione la città e l'economia che vi sfocia rischiano di bruciarsi. A Londra o ad Amsterdam
il costo della vita ha superato, in alcuni periodi, i limiti del tollerabile. New York oggi si svuota di
commerci e imprese che fuggono l’elevatissimo tasso degli oneri e delle imposte locali. Ma
nonostante tutto, i grandi poli urbani parlano troppo all'interesse e all’immaginazione perché il loro
richiamo rimanga inascoltato: ciascuno spera di partecipare alla festa, allo spettacolo, al lusso, e di
dimenticare le difficoltà della vita di tutti i giorni. Le città-mondo non esibiscono forse il loro
splendore? Se aggiungiamo i miraggi del ricordo, l’immagine si dilata sino all'assurdo.
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Bibliografia
Giovanni Arrighi, I cicli sistemici di accumulazione. Le trasformazioni egemoniche
dell’economia-mondo capitalistica, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999.
Fernand Braudel, I tempi del mondo, Einaudi, Torino 1982.
Franco Lai, Spazi locali, spazi globali. Un saggio sul concetto di economia-mondo,
Angeli, Milano 2012.
Franco Praussello – Mafalda Marenco, L’economia mondo fra globalizzazione e
regionalizzazione, Ecig, Genova 1999.
Annamaria Vitale, I paradigmi dello sviluppo. Le teorie della dipendenza, della
regolazione e dell’economia-mondo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998.
Immanuel Wallerstein, Il mercantilismo e il consolidamento dell’economia-mondo
europea: 1600-1750, Il Mulino, Bologna 1986.
Immanuel Wallerstein, L’agricoltura capitalistica e le origini dell’economia-mondo
europea nel XVI secolo, Il Mulino, Bologna 1986.
Immanuel Wallerstein, L’era della seconda grande espansione dell’economia-mondo
capitalistica, 1730-1840, Il Mulino, Bologna 1995