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LE TECNOLOGIE VIDEO NELLE SCIENZE DELLEDUCAZIONEPROF. ANTONIO BALESTRA

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dell’educazione

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Indice

1 CAMPI DI INDAGINI E FINALITÀ EDUCATIVE -------------------------------------------------------------------- 3

2 LE TECNOLOGIE VIDEO NELLA RICERCA SOCIALE: ASPETTI PROBLEMATICI ------------------- 8

3 VALUTAZIONE E QUESTIONI ETICHE LEGATE ALL’UTILIZZO DELLE TECNOLOGIE VIDEO 13

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Campi di indagini e finalità educative L’utilizzo di tecnologie video nel campo delle scienze dell’educazione negli ultimi decenni è

divenuto sempre più diffuso. In campi di indagine differenti e per molteplici finalità educative, le

videoregistrazioni sono state usate dagli scienziati dell’educazione per indagare con più efficacia i

fenomeni socio-educativi. Le modalità di utilizzo sono svariate e sottendono alle prospettive

teoriche e ai paradigmi di ricerca a cui fa riferimento il ricercatore. Un video può essere

decodificato per rilevare dati quantitativi del comportamento degli individui in determinate

interazioni sociali; può essere utilizzato come strumento di raccolta della documentazione empirica

all’interno di una ricerca qualitativa (video-riprendere un’intervista per raccogliere non solo il

verbale ma anche il non verbale della comunicazione); può essere strumento adeguato per la

costruzione di narrazioni; può essere utilizzato per supportare un territorio nella sua capacità di

progettarsi1; può essere utilizzato per un processo di costruzione di senso, coinvolgendo, ad

esempio, discenti, insegnanti, ricercatori grazie all’utilizzo di strumenti di condivisione in cui

postare commenti; può essere utilizzato nella ricerca didattica per perfezionare processi di

insegnamento/apprendimento come nel caso dell’utilizzo di software per le video annotazioni.

I ricercatori sociali utilizzano il video per le ricerche relative agli ambienti di lavoro2, per

comprendere come le differenze sociali e l’appartenenza razziale influenzi i contesti classe3, come i

visitatori di un museo interagiscono tra loro e le opere d’arte4, come pazienti e medici di base

1 L’utilizzo del video per lo sviluppo locale è frutto della convinzione, derivante dagli studi di psicologia sociale e delle

pratiche di orientamento narrativo, che un territorio, allo stesso modo di un individuo, che avesse difficoltà nel

raccontarsi, nel narrare la propria vita, non era in grado di immaginarsi in prospettiva futura, quindi a progettarsi,

facendo buon uso delle risorse e dei beni a sua disposizione. Interessante, in tale senso, un’azione di ricerca e

animazione svolto dalla società Studiare Sviluppo srl, del Dipartimento Politiche di Sviluppo del Ministero

dell’Economia, nella regione Molise, e finalizzata a supportare lo sviluppo locale. Vedi: Tantillo F. Il video a supporto

di un progetto di sviluppo locale; fondare nuovi territori in Molise, in Caldelli A. Tantillo F., Narrazione e sviluppo dei

territori. Crescita di comunità e costruzione di identità complesse, Erickson, 2006, pp. 55-73. 2 Cfr. Heath C., Hindmarsh J., Luff P., Video in Qualitative Research, SAGE, 2010

3 Cfr. Mehan H., Learning Lessons: Social organization in the classroom, Harvard University Press, 1979.

4 Heath C., Vom Lehn D., Configuring Reception: Looking at Exhibits in Museums and Galleries, in Theory, in

«Culture and Society», 21(6), 2004, pp. 45-63.

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gestiscono le consultazioni, e come le risorse digitali, modellano queste interazioni. Il video è stato

utilizzato per esaminare gli aspetti culturali della vita quotidiana: alcuni ricercatori hanno utilizzato

“video tour” per esplorare l'estetica degli arredamenti domestici in relazione alle identità sociali5;

altri hanno analizzato come le famiglie usano le registrazione video amatoriali per costruire le loro

narrazioni domestiche6. Il video è stato impiegato per esplorare l’identità di bambini e giovani, le

pratiche dei media e la produzione culturale digitale7. Altri hanno studiato video realizzati da altri,

analizzando, ad esempio, come le persone producono, condividono e commentano i video, come lo

studio di Adami su YouTube8.

Il video può essere utilizzato in vari modi per la ricerca. Molto interessanti sono, ad esempio

metodologie come il video partecipativo, la videografia, l'uso dei dati di video già esistenti,

interviste video e le video sollecitazioni.

Gli approcci al video partecipativo sono aumentati a partire dalla fine degli anni Novanta nel

contesto della ricerca-azione. La pratica ha basato gli interventi occupandosi di partecipazione e

responsabilizzazione, in particolare nel contesto dello sviluppo internazionale, dei programmi di

salute e delle comunità emarginate. L'obiettivo alla base dei metodi partecipativi è quello di ridurre

il divario tra i concetti e i modelli dei ricercatori e quelli degli individui e delle comunità, dando ai

partecipanti il controllo della telecamera e il processo di creazione di proprie esperienze visibili. Il

video partecipativo è un processo o un intervento in cui i partecipanti alla ricerca hanno accesso alle

apparecchiature di registrazione video e sono guidati affinché possano utilizzarle per documentare

un aspetto della loro vita. Generalmente, il video partecipativo, viene utilizzato per esplorare le

esperienze delle persone e produce tre tipi di dati:

5 Pink S., The Future of Visual Anthropology: Engaging the Senses, Taylor & Francis, 2006.

6 Willett R., Buckingham D., Video Cultures: Media Technology and Every Day Creativity, New York, Palgrave

Macmillan, 2009. 7 Marsh, J.A., Popular Culture, Media and Digital Literacies in Early Childhood, London, Routledge, 2004.

8 Adami E., We/YouTube: Exploring Sign-making in Video-interaction, in «Visual Communication», 8(4), 2009, pp.

379-400.

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1. il video “come prodotto”;

2. il processo della sua produzione (anch’esso spesso video registrato);

3. il processo di montaggio video.

Ciascuno di questi tre tipi di dati può diventare il fulcro della ricerca, sebbene alcune

ricerche di video partecipativo ne considerino uno più degli altri. Alcune forme di video

partecipativo sono collaborative, mentre altre sono più individuali, come ad esempio i formati di

video-diario.

La videografia è un approccio etnografico al video making, che spesso va di pari passo col

video partecipativo e l’etnografia visiva. Si tratta di una comprensione e messa a fuoco del video

diversa rispetto dagli studi negli ambienti di lavoro o ai tradizionali studi video – osservazionali.

Essa utilizza il video in primo luogo per raccogliere ricchi segnali non verbali di dati, allo scopo di

stimolare la riflessione critica, piuttosto che per raccogliere dati osservazionali o descrizioni di

fenomeni. La videografia è posizionata all'interno dei più grandi dibattiti etnografici, sia rispetto

alla diatriba oggettività / soggettività, sia rispetto al dato etnografico che dovrebbe essere

considerato come un testo multi – vocale da utilizzare come “specchio riflessivo” piuttosto che

come dato oggettivo in sè. La videografia comprende e utilizza il video come strumento per “ri –

orientare” il potere dello sguardo del ricercatore e dare voce alla ricerca soggetti / partecipanti. In

questo ambito c'è anche un’attenzione al video come oggetto estetico, come intrattenimento e

piacere9.

L'uso di filmati già esistenti, e quindi non realizzati dai ricercatori, ed usati come dati per la

ricerca diviene sempre più comune nella ricerca sociale. Ci sono molti esempi di “ri –

proposizione” video che utilizzano ad esempio il video amatoriale, il broadcast media, le

9 Tobin J., Hsueh Y., Poetica e piaceri della video-etnografia dell’educazione, in Goldman R., Pea B., Barron B.,

Derry S. J. (a cura di), Video ricerca nei contesti di apprendimento. Teorie e metodi, Raffaello Cortina, 2009, pp. 118-

136.

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registrazioni automatizzate10

, i video di YouTube. Il riutilizzo dei dati video esistenti, sia che si

tratti di un archivio, di YouTube, o di un database video delle istituzioni, solleva molte questioni

che sono fondamentali per la video based research. Tra queste, la necessità di comprendere la storia

di un video, il suo contesto di produzione, la sua funzione originaria, il pubblico per cui erano stati

realizzati, e come questi fattori sono incorporati nel video come manufatto, così come ciò che è

mancante nella registrazione video.

La video sollecitazione (stimulated recall) può essere utilizzata insieme a interviste o focus

group per stimolare la discussione, stimolare la memoria o fornire una base di riflessione. Tochon11

suggerisce che le riflessioni sul video possono essere focalizzate in tre modi distinti: la ricostruzione

del pensiero passato; le narrazioni post-attività; la costruzione di riflessioni sulle azioni presenti e

future. Solitamente viene realizzata chiedendo agli insegnanti di osservare una sequenza di video o

di selezionare una parte (mini - video) per una discussione dettagliata, chiedendo ai partecipanti di

mettere in risalto ciò che essi, nella visione, considerano degno di nota. Il filmato può essere “messo

in pausa” quando i partecipanti lo ritengono opportuno per commentare alcuni passaggi che

vengono considerati significativi. La stimulated recall può essere utilizzata per favorire

“l’attenzione selettiva” dei partecipanti, concentrandosi su una serie di diversi eventi che sono

visibili in un video e accrescendo le tecniche per poter ragionare sui fenomeni che si vedono nel

filmato. La video sollecitazione può essere uno strumento utile per i ricercatori al fine di

convalidare e condurre un esame incrociato delle loro interpretazioni quando si lavora con video

che riguardano natural interactions. Le interviste realizzate attraverso la video sollecitazione sono

particolarmente utili per aiutare a generare riflessioni su fenomeni "invisibili", cioè in contesti (ad

esempio il posto di lavoro) in cui qualcosa può essere invisibilmente sepolto nella routine delle

10

Goodwin C., Action and Embodiment Within Situated Human Interaction, in «Journal of Pragmatics», 32 (2000), pp.

1489-1522. 11

Tochon F. V., Dai video-casi alla video-pedagogia, in Goldman R., Pea B., Barron B., Derry S. J. (a cura di), op. cit.,

pp. 83-101.

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attività quotidiane12

. La video sollecitazione può anche essere usata per fornire una base di

riflessione sulla pratica e lo sviluppo professionale prolungato.

Gli studi sulle interazioni sociali si sono sviluppati parallelamente all’uso della video

registrazione e Goldman e McDermott13

sostengono che l'uso del video nell’ambito della ricerca

sociale è diventato fondamentale per lo sviluppo teorico nel campo delle interazioni sociali. Il video

è fondamentale per come si focalizza sulla descrizione delle strutture di ordine interazionale, sui

meccanismi sociali e comportamentali e sui metodi che la gente usa per coordinare e organizzare le

sue attività con gli altri. Questo uso del video implica la registrazione continuata delle interazione

tra gli individui in un contesto specifico, nonché la registrazione e la successiva analisi dettagliata di

tutte le caratteristiche del contesto in cui le interazioni registrate si sono strutturate. L'uso del video

per la raccolta di dati nelle natural interactions comporta, nella fase progettuale, l’organizzazione

dettagliata delle telecamere ovvero dove collocarle, quante averne, se avere una telecamera fissa o

mobile e quando e per quanto tempo registrare.

Nonostante il video sia stato oggetto di grande considerazione e riconosciuto per le sue

potenzialità come strumento di indagine all'interno delle scienze sociali, tuttavia, è stato piuttosto

trascurato sia a livello teorico che metodologico ed è stato solo di recente oggetto di una profonda

riflessione per comprendere in che modo le tecnologie video possono essere usate in modo efficace

per scopi di ricerca.

12

Schubert C., Video analysis as practice and the practice of video analysis, in Knoblauch H., Schnettler B., Raab J.,

Soeffner H. (a cura di) Video analysis: Methodology and Methods: Qualitative Audiovisual Data Analysis in Sociology,

Francoforte, Peter Lang, 2006, pp. 115-126 13

Goldman S., McDermott R., Perseverare nelle video analisi, in Goldman R., Pea B., Barron B., Derry S. J. (a cura

di), op. cit., pp. 149-167.

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2 Le tecnologie video nella ricerca sociale: aspetti problematici

L’utilizzo di tecnologie video nella ricerca socio – educativa porta con sé delle peculiarità

non solo in termini di modalità di raccolta ma anche di qualità. Riprendere un momento di ricerca

sul campo con una videocamera è assai diverso che utilizzare un registratore audio o un block note.

Per questo è necessario, fin dalle prime fasi, e cioè quando la ricerche è in nuce nella testa del

ricercatore, riflettere con cura su quanto e come questa tecnologia influenzerà l’intero processo. Gli

studiosi in campo socio-educativo ritengono che vi siano alcuni aspetti su cui il ricercatore è tenuto

a ragionare, quando decide di munirsi di videocamera nella propria indagine.

Goldman14

individua cinque aspetti problematici che gli scienziati dell’educazione si

trovano ad affrontare nel momento in cui decidono di utilizzare la video camera nella ricerca

educativa.

Il primo aspetto riguarda l’importanza di capire quali siano le opportunità e quali gli aspetti

problematici che comporta l’utilizza del video in una ricerca educativa. Il video presuppone una

fase di ripresa, quasi sempre una fase di montaggio e una di analisi. In queste tre fasi, possiamo

chiederci cosa il ricercatore impara che non potrebbe imparare se non utilizzasse questo tipo di

strumentazione. Quando riprendiamo un determinato agire educativo in un dato contesto, il

ricercatore decide di puntare l’obiettivo in una direzione, sceglie l’inquadratura, includendo alcuni

aspetti del reale e scegliendo di escluderne altri. Il dato che dopo analizzeremo ci restituisce solo

elementi utili ad indagare il nostro oggetto di studio oppure ci restituisce la “nostra visione” del

reale e quindi il nostro personale agire da ricercatori? E quel dato così complesso quando possiamo

14 Goldman R., Le rappresentazioni video e la cornice teorica del prospettivismo, in Goldman R., Pea B.,

Barron B., Derry S. J. (a cura di), op. cit., pp. 12-61.

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essere certi di averlo visionato accuratamente e in modo soddisfacente ai fini della nostra indagine?

Ovvero: quando è tempo di smettere di vedere un filmato? Inoltre, quando entriamo nella cultura

oggetto del nostro studio, uno dei primi aspetti che possiamo notare e in modo anche evidente è,

almeno nelle prime fasi, un rifiuto da parte della maggior parte dei soggetti di essere ripresi. Anche

se, come ogni buon ricercatore dovrebbe fare, spieghiamo le finalità della nostra ricerca

specificando i motivi per cui utilizziamo la video camera, non tutti sono propensi a vedersi “puntati

contro” un obiettivo. Questo aspetto pone un altro interrogativo. Quanto quello strumento può

produrre cambiamenti nella cultura che andiamo a studiare? Quanto i comportamenti dei soggetti,

ma anche del ricercatore stesso, sono influenzati dalla presenza dello strumento? A tal proposito è

opportuno citare le parole di Barron15

.

Sebbene sia possibile che le riprese abbiano influenzato il

comportamento degli allievi, è difficile prevedere in quale direzione

ciò sia avvenuto. La presenza della video camera potrebbe, infatti,

avere avuto in egual misura l’effetto di distrarre gli studenti che

partecipavano allo studio o di favorirne l’attenzione.

Rispetto alle parole di Barron, è importante chiedersi e capire quanto tempo è necessario per

avere un comportamento naturale davanti alla telecamera, se quella naturalezza si raggiunge

realmente o se persino quando crediamo di esserlo in realtà non ci comportiamo con naturalezza.

Questo aspetto non deve indurci a non utilizzare la tecnologia video; il ricercatore deve però tener

conto di questo aspetto e considerare che “la mancanza di naturalezza potrebbe verificarsi nel nostro

comportamento ogni volta che veniamo osservati”16

.

15 Barron B., Problem Solving in Video-based Microworlds: Collaborative and Individual Outcomes of

High-achieving Sixth-grade Students, in «Journal of Educational Psychology», Vol 92(2), 2000, p. 397,

cit. in Goldman R., op. cit., p. 14. 16 Goldman R., op. cit., p. 14.

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Il primo aspetto, quindi, riguarda principalmente il rapporto tra il ricercatore e la

videocamera e gli interrogativi che ne scaturiscono sono legati al “come” la utilizziamo “sul

campo”.

Il secondo aspetto su cui Goldman ci invita a riflettere, è se l’uso del video nella ricerca sia

soltanto uno strumento in grado di “produrre prove” oppure può essere anche impiegato per

raccontare storie efficaci e convincenti per chi guarderà il video o per chi leggerà i testi che dai

video nascono, in modo da poter dare al fruitore la possibilità di comprendere meglio che cosa è

avvenuto nel processo di ricerca. Gli etnografi sia moderni che post moderni, hanno evidenziato

l’importanza di “essere là”17

. L’etnografo post moderno ha capito che convincere il pubblico di

essere stato là, non portasse alla verità ma ad una parziale verità, ad una descrizione di

quell’esperienza filtrata da una interpretazione personale18

. Secondo la tradizione etnografica,

l’etnografo, dopo aver registrato quello che accadeva sul campo, si ritirava nei sui studi per scrivere

la storia. Queste note venivano a volte raccolte mentre l’etnografo osservatore era ai margini del

villaggio, intento ad annotare sul suo taccuino quello che osservava. Sebbene molti antropologi

avessero un rapporto intenso con i loro informatori o partecipassero alla quotidianità della vita del

villaggio, in molti casi erano ai margini, intenti a dare validità alla loro ricerca attraverso forme di

scrittura persuasive19

per dimostrare che “essi, gli etnografi, sono penetrati davvero (o se si

preferisce, sono stati penetrati da) un’altra forma di vita, e che davvero sono stati là”20

.

17 Lo scarto fra il tempo dell’esperienza e il tempo del racconto è stato riassunto da Geertz attraverso lo iato tra

“l’essere là” quindi sul campo e “l’essere qui” a raccontare del campo. Questa aspetto dell’antropologia tende a staccare

l’indigeno dal suo presente storico e il ricercatore dalla situazione relazionale che l’hanno legato ai soggetti sul campo.

Cfr. Geertz C., Opere e vita: l'antropologo come autore, Bologna, Il Mulino, 1990 e Kilani M., L’invenzione dell’altro,

Dedalo, 1997. 18

Cliofford J., Introduzione: verità parziali, in Clifford J., G. Marcuse, Scrivere le culture. Poetiche e politiche

dell’etnografia, Meltemi, 2005, pp. 25-58. 19

Fabietti U., Malighetti R., Matera V., Dal tribale al globale: introduzione all'antropologia, Pearson Italia S.p.a.,

2002, p. 82. 20

Geertz C., Opere e vita: l'antropologo come autore, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 12 (corsivo mio).

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Andando oltre questa aspetto etnografico, con l’avvento del digitale, la ricerca con l’uso

delle tecnologie video se da un lato può essere agevolata sfruttando al meglio le potenzialità

dell’audiovisivo, dall’altro diviene più complessa perché non deve confrontarsi con il problema

degli etnografi dell’essere là o dell’essere qui. Nel mondo piatto21

, ogni fase del processo di ricerca

può essere condiviso, arricchito di nuovi dati anch’essi condivisibili grazie a banche dati video, così

come condivisi possono essere gli strumenti di analisi dei dati. Lo sharing su scala globale,

consente di mettere in contatto diversi gruppi di ricerca, “vedere, riflettere e analizzare” il processo

di ricerca di quella o di quell’altra equipe di ricercatori; la condivisione permette di lavorare in

modo deduttivo, induttivo o con entrambi gli approcci; tramite la consultazione di banche dati video

on-line è possibile costruire casistiche a partire da ricerche sia di tipo quantitativo che qualitativo.

Le tecnologie video pongono i gruppi di ricerca in contatto “non solo con le prospettive di coloro

che progettano lo studio, vi partecipano e lo analizzano, ma anche con la molteplicità di metodi

possibili per condurre uno studio”22

.

Questo aspetto ci porta ad un nodo cruciale che è lontano dal prendere una direzione o, per

meglio dire, una prospettiva ben definita: la questione epistemologica. Come vedremo in modo

dettagliato nel successivo paragrafo, ogni comunità di ricerca che utilizza le tecnologie video, anche

quelle che sono all’interno delle scienze dell’educazione, ha una propria concezione epistemologica

degli elementi che rendono una ricerca “valida, solida e affidabile”23

. Nella stessa ricerca

etnografica il video viene utilizzato in modo differente. Si possono realizzare storie audio visive che

tengono conto degli aspetti gestuali, uditivi e contestuali per offrire allo spettatore una thick

description dell’evento; altri lo usano perché reputano il mezzo “gratificante e avvincente”24

; alcuni

21

Cfr. Friedman T. L., Il mondo è piatto. Breve storia del ventunesimo secolo, Milano, Mondadori, 2007. 22

Goldman, op. cit., p. 15. 23

Ivi, p. 16. 24

Hayes M., T., Sopraffatti dall’immagine. Il ruolo dell’estetica nel cinema etnografico, in Goldman R., Pea B., Barron

B., Derry S. J. (a cura di), op. cit., pp. 103-116.

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per dimostrare alla comunità di essere “stati là”; altri per “collocare analisi specifiche nel tempo e

nello spazio”25

.

25 Green J., Skukauskaite A., Dixon C., Còrdova R., Questioni epistemologiche nell’analisi dei video. L’etnografia

come logica di indagine, in Goldman, op. cit., pp. 169-190.

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3 Valutazione e questioni etiche legate all’utilizzo delle tecnologie video

Il quarto aspetto è legato alla valutazione. L’uso del video nella ricerca è molto diverso così

come lo sono le concezioni epistemologiche. In questa diversificazione sia epistemologica che

metodologica, “in che modo è possibile sviluppare criteri che tengano conto della gamma di canoni

di valutazione e di qualità e-value-ative26

per stabilire l’importanza della ricerca con i video?”27

.

Anche questo interrogativo è lontano dal trovare una solida risposta. È importante però sottolineare

come il video, nonostante le sue potenzialità e la densità dei dati che permette di raccogliere, non è

la “panacea” della ricerca in campo educativo o della ricerca scientifica lato sensu come alcuni

ricercatori pensano. La competenza del ricercatore risiede anche nel saper scegliere lo strumento o

la combinazione di più strumenti, idonei alla raccolta, analisi e diffusione dei dati di una ricerca,

considerando che qualsiasi metodo, sia esso quantitativo o qualitativo, avrà criteri valutativi non

sempre sovrapponibili28

.

Ultimo e delicato aspetto riguarda le posizioni etiche. La domanda in questo caso è: quali

sono le questioni etiche legate all’uso del video? Innanzitutto questioni legate alla privacy e alla

riservatezza. Rispetto a questo, il ricercatore dovrebbe sempre far firmare ai soggetti della ricerca,

una liberatoria per la pubblicazione e l’utilizzo di immagini e video. Nella liberatoria il soggetto

autorizza la pubblicazione e l’utilizzo di foto e riprese realizzate durante le attività di ricerca;

autorizza la pubblicazione dei contenuti digitali nelle sedi previste dal progetto (ad esempio:

piattaforme web o prodotti multimediali); vieta l’uso delle immagine e dei video in contesti che ne

26 Il termine e-value-ative è un gioco di parole che unisce i termini evaluation (valutazione) e value (valori). Con questo

termine si sottolinea l’aspetto del far emergere il valore nel processo di valutazione. 27

Goldman, op. cit., p. 16. 28

Ibidem.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

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pregiudicano la dignità personale e il decoro29

. Ma un altro aspetto che riguarda la dimensione etica

è quello che ci porta in una posizione simile a quella che in passato hanno avuto i colonialisti. Se

utilizziamo la tecnologia video come oggetti dissociati per “mostrare” gli altri, ripetiamo gli errori

commessi in passato. L’attività di video ricerca non deve essere una riproduzione delle ricerche di

stampo colonialista ma, i mezzi tecnologici oggi a nostra disposizione, devono portarci a ripensare

le tecnologie, le loro caratteristiche e potenzialità, per promuovere un maggiore equità e

opportunità.

29 Da un punto di vista legislativo la privacy e la riservatezza di immagini e video è disciplinata ai sensi dell’art. 13 del

D. Lgs 196/2003 e dall’art. 7 del D. Lgs 196/2003. http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-

display/docweb/1311248

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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Heath C., Hindmarsh J., Luff P., Video in Qualitative Research, SAGE, 2010.

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Heath C., Vom Lehn D., Configuring Reception: Looking at Exhibits in Museums

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Pink S., The Future of Visual Anthropology: Engaging the Senses, Taylor & Francis,

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Willett R., Buckingham D., Video Cultures: Media Technology and Every Day

Creativity, New York, Palgrave Macmillan, 2009.

Marsh, J.A., Popular Culture, Media and Digital Literacies in Early Childhood,

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Goldman R., Pea B., Barron B., Derry S. J. (a cura di), Video ricerca nei contesti di

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Tochon F. V., Dai video-casi alla video-pedagogia, in Goldman R., Pea B., Barron

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metodi, Raffaello Cortina, 2009.

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Goldman S., McDermott R., Perseverare nelle video analisi, in Goldman R., Pea B.,

Barron B., Derry S. J. (a cura di), Video ricerca nei contesti di apprendimento.

Teorie e metodi, Raffaello Cortina, 2009.

Goldman R., Le rappresentazioni video e la cornice teorica del prospettivismo, in

Goldman R., Pea B., Barron B., Derry S. J. (a cura di), Video ricerca nei contesti di

apprendimento. Teorie e metodi, Raffaello Cortina, 2009.

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Geertz C., Opere e vita: l'antropologo come autore, Bologna, Il Mulino, 1990.

Kilani M., L’invenzione dell’altro, Dedalo, 1997.

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all'antropologia, Pearson Italia S.p.a., 2002.

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etnografico, in Goldman R., Pea B., Barron B., Derry S. J. (a cura di), Video ricerca

nei contesti di apprendimento. Teorie e metodi, Raffaello Cortina, 2009.

Green J., Skukauskaite A., Dixon C., Còrdova R., Questioni epistemologiche

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Teorie e metodi, Raffaello Cortina, 2009.