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Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers) Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali. Tendenze di mercato, profili di supervisione e implicazioni per le attività di banca centrale di Giorgio Gomel (coordinatore), Angelo Cicogna, Domenico De Falco, Marco Valerio Della Penna, Lorenzo Di Bona De Sarzana, Angela Di Maria, Patrizia Di Natale, Alessandra Freni, Sergio Masciantonio, Giacomo Oddo e Emilio Vadalà Numero 73 Ottobre 2010

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Questioni di Economia e Finanza(Occasional Papers)

Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali. Tendenze di mercato, profili di supervisione e implicazioni per le attività di banca centrale

di Giorgio Gomel (coordinatore), Angelo Cicogna, Domenico De Falco, Marco Valerio Della Penna, Lorenzo Di Bona De Sarzana, Angela Di Maria, Patrizia Di Natale, Alessandra Freni, Sergio Masciantonio, Giacomo Oddo e Emilio Vadalà

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Questioni di Economia e Finanza(Occasional papers)

Numero 73 – Ottobre 2010

Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali. Tendenze di mercato, profili di supervisione e implicazioni per le attività di banca centrale

di Giorgio Gomel (coordinatore), Angelo Cicogna, Domenico De Falco,

Marco Valerio Della Penna, Lorenzo Di Bona De Sarzana, Angela Di Maria,

Patrizia Di Natale, Alessandra Freni, Sergio Masciantonio, Giacomo Oddo e

Emilio Vadalà

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La serie Questioni di economia e finanza ha la finalità di presentare studi e

documentazione su aspetti rilevanti per i compiti istituzionali della Banca d’Italia e dell’Eurosistema. Le

Questioni di economia e finanza si affiancano ai Temi di discussione volti a fornire contributi

originali per la ricerca economica.

La serie comprende lavori realizzati all’interno della Banca, talvolta in collaborazione con

l’Eurosistema o con altre Istituzioni. I lavori pubblicati riflettono esclusivamente le opinioni degli autori,

senza impegnare la responsabilità delle Istituzioni di appartenenza.

La serie è disponibile online sul sito www.bancaditalia.it.

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FINANZA ISLAMICA E SISTEMI FINANZIARI CONVENZIONALI – TENDENZE DI MERCATO, PROFILI DI SUPERVISIONE E IMPLICAZIONI PER LE

ATTIVITA’ DI BANCA CENTRALE

di Angelo Cicogna*, Domenico De Falco†, Marco Valerio Della Penna♦, Lorenzo Di Bona De Sarzana♣, Angela Di Maria*, Patrizia Di Natale♣, Alessandra Freni♣,

Sergio Masciantonio♦, Giacomo Oddo*, Emilio Vadalà*

a cura di Giorgio Gomel*

Sommario

Il lavoro analizza la finanza islamica nella prospettiva di una Banca centrale e Autorità di vigilanza, con particolare riguardo al contesto europeo ed italiano.

Esso mostra un settore in rapida espansione, con recenti tassi di crescita tra il 10 ed il 15 per cento annuo e un ambito geografico che si estende anche ad alcuni paesi occidentali. Le prospettive appaiono, tuttavia, legate al superamento di alcune problematiche in tema di standardizzazione dei prodotti, assetti di governance, regole di vigilanza, impiego degli strumenti di politica monetaria, gestione della liquidità.

Gli intermediari islamici non risultano necessariamente più rischiosi delle controparti tradizionali, ma presentano una complessità operativa maggiore. Tra le questioni di rilievo in tema di vigilanza figurano il trattamento dei depositi partecipativi e la tutela della trasparenza. Gli strumenti di politica monetaria sviluppati per ovviare al divieto di interesse presentano limiti di efficienza; lo sviluppo dei mercati monetari è, inoltre, frenato dalla carenza di prodotti “sharī‘ah-compliant”. Si evidenziano, infine, possibili problematiche connesse alla partecipazione delle banche islamiche ai sistemi di pagamento.

JEL Classification: G20, F39, Z12. Keywords: finanza islamica, istituzioni finanziarie islamiche, vigilanza, strumenti di politica monetaria, sistemi di pagamento

*Area Ricerca Economica e Relazioni Internazionali; ♦ Area Banca Centrale, Mercati e Sistemi di Pagamento; ♣ Area Vigilanza Bancaria e Finanziaria; †Consulenza Legale. Bruno Nesticò e Carmela Sorrenti hanno fornito assistenza alla ricerca e supporto editoriale. Le opinioni sono espresse a titolo personale e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia. Eventuali errori e imprecisioni sono attribuibili unicamente agli autori.

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Indice

1. Principi e caratteristiche della finanza islamica

1.1 Origine e diffusione del fenomeno 7 1.2 Finanza e precetti religiosi 8 1.3 Le istituzioni, i mercati e i prodotti 9 1.4 Dimensioni dell’industria finanziaria islamica e sue prospettive di sviluppo 17

2. Le forme tecniche della finanza islamica: profili di rischiosità e implicazioni per la stabilità 2.1 I profili di rischio nella finanza islamica 25 2.2 La finanza islamica: quali implicazioni per la stabilità? 31 2.3 Conclusioni 34

3. Regolamentazione e vigilanza delle istituzioni finanziarie islamiche (IFI) 3.1 L’approccio alla vigilanza sulle IFI 37 3.2 Il ruolo dell’Islamic Financial Services Board (IFSB) e gli standard internazionali 39 3.3 La vigilanza sulle banche islamiche nei sistemi convenzionali. L’esperienza del

Regno Unito 42 3.4 Istituzioni finanziarie islamiche e ordinamento italiano 44

4. La finanza islamica e la conduzione della politica monetaria 4.1 La politica monetaria e i precetti islamici 49 4.2 Strumenti di politica monetaria islamici: teoria e pratica 49 4.3 Il Mercato interbancario come naturale complemento della politica monetaria 54

5. L’accesso degli intermediari islamici ai sistemi di pagamento 5.1 TARGET2-Banca d’Italia 59 5.2 BI-COMP 62

Bibliografia 65 Glossario 69 Allegati 71

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CAPITOLO PRIMO

PRINCIPI E CARATTERISTICHE DELLA FINANZA ISLAMICA

1.1 Origine e diffusione del fenomeno

La finanza islamica, sebbene utilizzi spesso modelli contrattuali di derivazione medievale, è un fenomeno abbastanza recente e rappresenta ancora un settore di nicchia. Anche nei paesi a maggioranza musulmana, essa convive con il prevalente sistema finanziario convenzionale, la cui legittimità giuridica è, in genere, pienamente riconosciuta1.

I primi modelli teorici, concentrati sul settore bancario, furono formulati negli anni cinquanta, quando molti paesi a maggioranza musulmana raggiunsero l’indipendenza politica dalle potenze coloniali occidentali. Nel decennio successivo vennero costituite le prime banche islamiche, operanti soprattutto nel settore retail, che miravano a soddisfare la domanda di prodotti sharī‘ah-compliant proveniente dai fedeli musulmani più osservanti. Si trattò, spesso, di tentativi di riscoperta della propria identità islamica dopo decenni di dominazioni straniere2, portati avanti soprattutto in alcuni paesi del Nord Africa.

Il processo subì una netta accelerazione negli anni settanta, in concomitanza con la crisi petrolifera e l’impennata del prezzo del greggio. Il conseguente abbondante afflusso di liquidità nei paesi del Gulf Cooperation Council (GCC) sostenne le iniziative di costituzione di istituzioni finanziarie islamiche, anche diverse da banche, che si moltiplicarono soprattutto nei paesi del Medio Oriente e del Golfo Persico. Nel 1975, la costituzione in Arabia Saudita dell’Islamic Development Bank (IDB) rappresentò il primo coinvolgimento di istituzioni e governi nello sviluppo della finanza islamica3.

Negli anni ottanta continuarono a fiorire numerose iniziative, sia imprenditoriali sia accademiche. Iran, Pakistan e Sudan avviarono il processo di islamizzazione del proprio sistema finanziario (nel caso del Pakistan senza mai portarlo a termine).

Negli anni novanta l’interesse per la finanza islamica coinvolse anche le istituzioni e i mercati dei paesi occidentali: alcune banche convenzionali inaugurarono sportelli islamici all’interno delle proprie sussidiarie operanti nell’area o costituirono delle filiali interamente sharī‘ah-compliant. Le autorità monetarie delle due principali piazze finanziarie mondiali (Federal Reserve e Bank of England) iniziarono ad occuparsi del fenomeno, così come il Fondo Monetario Internazionale e

1 Gli ordinamenti giuridici musulmani contemporanei sono il frutto di un processo di codificazione che si è svolto a partire dalla metà del secolo XIX e sono caratterizzati da diversi gradi di integrazione tra le forme giuridiche islamiche (sharī‘ah) e il diritto di produzione statale (qānūn), in prevalenza ispirato a modelli europei. Ciò ha ovviamente delle conseguenze rilevanti dal punto di vista dell’applicabilità delle norme della sharī‘ah. Nei paesi in cui convivono banche islamiche e banche tradizionali è possibile distinguere tre modelli di regolamentazione: i) paesi dove esistono due diversi regimi legali (conventional banking law e Islamic banking law), ad es. in Giordania, UAE, Yemen; ii) paesi in cui le banche islamiche vengono regolamentate con istituti speciali ad esse dedicate, nell’ambito di un’unica legge bancaria, ad es. in Indonesia, Kuwait, Malaysia, Qatar, Turchia; iii) paesi che applicano alle banche islamiche le stesse norme delle banche convenzionali, ad es. Arabia Saudita, Egitto e, in Occidente, il Regno Unito. Esistono, infine, paesi - l’Iran e il Sudan, limitatamente alle aree settentrionali,- i cui sistemi finanziari sono interamente governati dalla sharī‘ah. 2 Nel 1961 venne costituita in Egitto la prima banca islamica (Mit Ghamr Bank), con una struttura mutualistica, specializzata nel finanziamento del settore agricolo e artigianale. La Mit Ghamr Bank, dopo un periodo di crisi, venne nazionalizzata nel 1967. Esperimenti simili ebbero luogo anche in Algeria e in Malaysia. La prima banca islamica privata, invece, vide la luce a Dubai (UAE) nel 1975. 3 L’IDB è una banca sovranazionale partecipata da numerosi paesi dell’Organizzazione dei Paesi Islamici (OIC), con la missione di favorire, nei paesi membri e nelle comunità musulmane, uno sviluppo economico e sociale coerente coi precetti coranici.

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la Banca Mondiale4. Nel 1995 vennero lanciati i primi due indici di borsa relativi a strumenti finanziari sharī‘ah-compliant (il Dow Jones Islamic Index e il Financial Times Islamic Index). Il dibattito si estese anche al mondo accademico occidentale: nei primi anni ’90 l’università di Harvard (USA) costituì l’Islamic Finance Forum dedicato allo studio e alla riflessione sulla finanza islamica, seguita in Europa da un’iniziativa simile della London School of Economics5.

In quegli anni il mercato iniziò ad avvertire l’esigenza di una maggiore regolamentazione delle istituzioni finanziarie islamiche, soprattutto in materia contabile, in quanto le divergenze di opinioni tra le varie scuole giuridiche islamiche6 e le differenze sovente riscontrabili tra il modello teorico di banca islamica e la concreta operatività di tali istituzioni rischiavano di indebolire le prospettive di sviluppo del settore.

Come prima risposta a questa esigenza nel 1991 venne creato in Bahrein l’Accounting and Auditing Organization for Islamic Institutions (AAOIFI), con l’obiettivo di sviluppare regole contabili e di governance compatibili con la finanza islamica. Nell’ultimo decennio, in corrispondenza con l’accelerazione della crescita del settore, sono state costituite numerose istituzioni sovranazionali7. Un ruolo di primo piano tra queste è svolto dall’Islamic Financial Services Board (IFSB), istituito nel 2002 in Malaysia: esso rappresenta il principale organismo di coordinamento, regolamentazione e definizione di standard, con funzioni analoghe a quelle del Comitato di Basilea per il sistema bancario convenzionale8.

1.2 Finanza e precetti religiosi

Elemento caratterizzante della finanza islamica è il suo esplicito richiamo ai precetti della legge religiosa islamica (sharī‘ah)9. Il divieto di ribā (pagamento di interessi fissi o determinabili su fondi

4 La Banca Mondiale, oltre ad aver costituito recentemente un working group per la promozione della finanza islamica, ha emesso, attraverso l’IFC (International Finance Corporation), un prestito obbligazionario sharī‘ah-compliant (sukūk) del valore di 100 milioni di dollari, collocato sui mercati di Dubai e Bahrein. 5 T. Zaher e K. Hassan, “A comparative Literature Survey of Islamic Finance and Banking”, Financial Markets, Institution and Instruments, vol. 10, n. 4, 2001. 6 Nel contesto islamico esistono diverse scuole giuridiche, di opinioni spesso divergenti; manca, per di più, una gerarchia con a capo un’autorità giuridica religiosa centrale capace di dirimere eventuali controversie. Le quattro principali scuole giuridiche sunnite sono: (i) la hanafita, diffusa in Turchia, Egitto, India, Pakistan e nell'ex URSS, con posizioni più liberali; (ii) la malikita, presente nell’area del Maghreb e rappresentante la tendenza giurisprudenziale più conservatrice; (iii) la shafiita, diffusa in Indonesia, Siria e Africa orientale, su posizioni intermedie tra le due precedenti; (iv) la hanbalita, prevalente in Arabia Saudita e caratterizzata da un’assoluta fedeltà alle fonti scritte dell'Islam e da un estremo rigore morale. 7 Nel 2001 sono stati costituiti, in Bahrein, il General Council of Islamic Banks and Financial Institutions (GCIBFI), con funzioni prevalentemente di networking, consulenza e formazione, e l’International Islamic Financial Market (IIFM), per lo sviluppo del mercato islamico dei capitali, sia primario che secondario. Nel 2002, sempre in Bahrein, sono stati istituiti il Liquidity Management Centre (LMC), con il compito di sostenere la creazione di un mercato interbancario, e l’International Islamic Rating Agency (IIRA), l’agenzia di rating specializzata nelle istituzioni finanziarie islamiche. Da ultimo, nel 2004 a Dubai, è stato creato l’Islamic Centre for Reconciliation and Commercial Arbitration (IICRCA), che svolge la funzione di camera arbitrale nelle dispute che vedono coinvolta almeno un’istituzione finanziaria islamica. 8 Su scala nazionale, il Bahrein e la Malaysia hanno compiuto notevoli sforzi per sviluppare un’infrastruttura istituzionale di supporto allo sviluppo della finanza islamica. Tra la varie misure, si segnala che in Bahrein, paese che ha adottato una strategia di diversificazione della propria economia dal petrolio alla finanza, la banca centrale si è dotata di sharī‘ah advisors, al fine soprattutto di costruire strumenti per fornire liquidità al sistema compatibili con la sharī‘ah. Anche la Malaysia ha creato uno Sharī‘ah Committee all’interno della Banca centrale come massima autorità in materia di legge islamica applicabile al settore finanziario nel paese. Gli sforzi intrapresi hanno consentito ai due paesi di proporsi come piazze finanziarie leader nel settore della finanza islamica. 9 La sharī‘ah, governando gli aspetti religiosi, socio-economici, politici e culturali delle società musulmane, è al tempo stesso legge sacra dell’Islam e fonte incontestabile del diritto. Le sue fonti sono rinvenibili nel Corano e nella sunnah, ossia i detti e le azioni del profeta Muhammad, trasmessi per via orale in forma di hadīth (racconti dei compagni del profeta). La sharī‘ah si completa, infine, con la giurisprudenza islamica (fiqh), basata sul processo di interpretazione

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prestati) e la proibizione di pratiche economiche che implicano il concetto di gharār (irragionevole incertezza), maysīr (speculazione) e harām (comportamenti proibiti dal Corano)10 costituiscono le principali prescrizioni coraniche rilevanti in materia economica e finanziaria.

Il divieto di ribā va inquadrato all’interno di una riflessione islamica sull’economia che, a partire dalla metà del secolo scorso, ha avuto l’obiettivo di creare un ordine economico i cui principi fondamentali fossero l’equità e l’inviolabilità degli obblighi contrattuali e il legame tra transazioni finanziarie ed attività economica reale11. Esso si fonda sul presupposto che non ci possa essere guadagno senza assunzione di rischi; il prestito è consentito, quindi, solo se la remunerazione è legata ai risultati dell’impiego del capitale, che non possono essere prefigurati ex ante. È questo il fondamento del sistema profit and loss sharing (PLS), su cui dovrebbe fondarsi il sistema contrattualistico ed operativo delle banche islamiche.

1.3 Le istituzioni, i mercati e i prodotti

L’attuale sistema finanziario islamico non si esaurisce nel ruolo svolto dalle banche, ma comprende una pluralità di istituzioni, mercati e prodotti che si rifanno ai precetti della sharī‘ah. Dall’inizio del decennio in corso, la diffusione degli strumenti finanziari non bancari sharī‘ah-compliant ha fatto registrare una netta accelerazione, in modo particolare per quanto riguarda le obbligazioni islamiche (sukūk) e i fondi di investimento, soprattutto quelli di tipo azionario; poco sviluppato risulta, invece, ancora il mercato degli strumenti derivati e quello assicurativo.

1.3.1 La banca islamica

La nozione di banca islamica e la sua organizzazione. – Al pari delle banche convenzionali, le banche islamiche sono imprese che perseguono finalità di lucro svolgendo le funzioni tipiche di raccolta del risparmio ed erogazione del credito, accanto ad altri servizi di natura finanziaria, con le peculiarità, sul piano teorico, di non applicare interesse sui prestiti e di operare in base al principio di partecipazione al rischio delle operazioni finanziate (PLS).

Altra caratteristica distintiva del sistema bancario islamico è rinvenibile nel ruolo strategico ricoperto, all’interno del sistema di governance delle banche, dagli Sharī‘ah Supervisory Board (SSB), organi di supervisione cui spetta la verifica del costante rispetto dei principi islamici12.

Da un punto di vista organizzativo, la banca islamica può operare essenzialmente attraverso tre modelli: i) banca islamica pura, ossia operante esclusivamente secondo i precetti della sharī‘ah; ii) filiale o succursale di una banca convenzionale, specializzata nell’offerta di prodotti finanziari coerenti con la sharī‘ah; iii) “finestra o sportello islamico”, ossia unità ad hoc che, all’interno di (iğtihād) che gli esperti di giurisprudenza islamica applicano in caso di regole implicite o non chiare, utilizzando il ragionamento deduttivo-analogico (qiyās) o fondandosi sul consenso degli esperti delle varie scuole (iğma‘). 10 Tra le attività considerate harām dal Corano rientrano quelle legate al tabacco, alla pornografia, al commercio di armi, all’alcol, alla carne di maiale e al gioco d’azzardo. 11 Il dibattito sulla economia islamica prende le mosse con la pubblicazione nel 1947 dell’opera di Maududi Sayyid Abul ‘Ala “The economic problem of man and the Islamic solution” (G. Ceccarelli, “Denaro e profitto a confronto: le tradizioni cristiana e islamica nel Medioevo”, Quaderni verdi dell’Associazione per lo sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Università Cattolica del Sacro Cuore, n. 30 2008, pag. 20). 12 Tra gli elementi problematici che tale sistema di governance ha fatto sinora emergere figurano (i) i potenziali conflitti di interesse dovuta alla penuria di esperti di diritto islamico, portatori al contempo di competenze economico-finanziarie, che sono spesso designati a far parte di più di un consiglio sciaraitico e (ii) la possibilità che la competenza dello Sharī‘ah Board vada oltre la mera funzione di consulenza fino ad incidere sull’operatività della banca. A tale ultimo proposito, l’autorità di vigilanza inglese richiede alle banche islamiche da essa vigilate che lo Sharī‘ah Board abbia mera funzione di consulenza e che non debba influire sulla gestione della banca (AA.VV., Islamic Finance in the UK, FSA, 2007).

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banche convenzionali, offre prodotti finanziari islamici. La praticabilità delle ultime due opzioni è subordinata, almeno sul piano teorico, al rispetto dell’obbligo di separazione dei fondi islamici da quelli rivenienti da attività bancarie di tipo convenzionale, incluso il capitale. Dal punto di vista operativo ciò equivale alla creazione di un sistema contabile e informativo diverso per ciascun tipo di attività13.

Le forme tecniche di raccolta e di impiego. – A causa dell’assenza di riferimenti normativi universalmente accettati e della ridotta standardizzazione dei contratti utilizzati, la classificazione delle forme tecniche utilizzate dalle banche islamiche per la raccolta del risparmio e per il suo impiego non è agevole.

Dal lato della raccolta, gli strumenti utilizzati dalle banche islamiche sono riconducibili essenzialmente a: i) depositi non remunerati e ii) depositi partecipativi (conti di deposito e conti di investimento).

I primi, che assolvono una funzione di custodia sicura del denaro e di ausilio nella gestione dei pagamenti, sono depositi a vista per i quali non è prevista alcuna remunerazione, né il pagamento di spese da parte dei depositanti14; la banca, di contro, garantisce il rimborso delle somme versate15. Le parti possono configurare il rapporto come conto corrente (wadī‘ah) o come deposito a risparmio con libretto nomin 16ativo .

I depositi partecipativi sono depositi a termine con i quali la banca acquisisce la disponibilità dei fondi conferiti dai clienti con l’obbligo di restituzione alla scadenza17; i fondi sono remunerati attraverso la partecipazione in misura predeterminata agli utili e alle perdite dell’attività finanziata. Nel caso in cui la banca utilizzi le somme depositate per finanziare indistintamente tutti i propri impieghi, i depositi partecipativi assumono la forma di conti di deposito o unrestricted mudārabah18; se invece la raccolta viene destinata al finanziamento di specifiche iniziative, si è in presenza di conti di investimento o restricted mudārabah, che vengono remunerati attraverso una partecipazione agli utili e alle perdite del progetto o dello specifico investimento finanziato. Le modalità di gestione dei depositi partecipativi presentano affinità con la gestione in monte dei fondi comuni di investimento; tuttavia, al contrario dei fondi comuni, non sono previste regole di separatezza che valgano a garantire l’isolamento delle risorse conferite dai depositanti rispetto a quelle della banca. Inoltre, quanto meno nei conti di investimento, i depositanti assumono una posizione del tutto simile a quella dei soci di capitale, ma a differenza di questi ultimi non hanno poteri gestori né sulla società finanziata, né sulla banca19.

Sul fronte degli impieghi, si distinguono tecniche di finanziamento basate sul profit and loss sharing (PLS) e forme di finanziamento di natura non partecipativa (cosiddette trade based o indirettamente partecipative).

I contratti che la dottrina islamica considera più rigorosamente allineati ai dettami della sharī‘ah sono quelli direttamente partecipativi della mudārabah e della mushārakah, di derivazione medievale, basati sul principio PLS. Nel contratto di mudārabah (fig. 1) il finanziatore (rabb al-māl:

13 J. Solè, “Introducing Islamic Banks into Conventional Banking Systems”, IMF Working paper, n. 175, luglio 2007. 14 Essi possono prevedere, su base meramente volontaristica, piccole donazioni o facilitazioni nell’accesso al credito in favore dei depositanti. 15 Una questione dubbia è se il deposito delle somme da parte del cliente determini o meno il trasferimento della disponibilità del denaro alla banca, questione che rileva, ad esempio, in situazioni di insolvenza della banca. Peraltro, nell’unico ordinamento occidentale utilizzabile come riferimento, ossia quello inglese, la banca diventa proprietaria di tali somme. 16 R. Hamaui e M. Mauri, “La banca islamica: prospettive di crescita e questioni aperte”, Bancaria, n. 6 2008. L. Pauletto, “Lo sviluppo della pratica finanziaria islamica nel contesto delle istituzioni occidentali”, Banca, Impresa e società, anno XXIV, n. 1, 2005. 17 L’obbligo di restituzione alla scadenza riguarda la sola parte di deposito non intaccata da perdite. 18 Alcune banche emettono certificati di mudārabah per i quali i sottoscrittori ricevono un rendimento annuale equivalente ad una quota dell’utile netto di gestione della banca. 19 E. Montanaro, “La Banca Islamica: una sfida per le regole di Basilea”, Studi e note di economia, n. 3, 2004.

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la banca o il cliente) presta il denaro alla parte richiedente (mudārib: l’imprenditore o la banca nel caso di finanziamento indiretto), la quale si impegna a gestire la somma al fine di trarne un profitto da ripartire tra le parti in base ad una percentuale stabilita in fase contrattuale come quota parte del totale degli utili (non come somma fissa). Il sistema partecipativo può essere impiegato anche per il finanziamento indiretto: chi ha ricevuto come agente il capitale può concludere a sua volta un contratto di mudārabah con un terzo per l’impiego delle somme in attività produttive (double-tier mudārabah)20. Fig. 1 – Schema semplificato di un contratto di mudārabah

Con il contratto di mushārakah la banca e il cliente si accordano sulle quote di capitale che entrambi conferiscono ad un progetto (fig. 2). Entrambe le parti, alla stregua di quanto avviene nelle operazioni joint venture, partecipano all’attuazione e alla gestione del progetto; i profitti saranno divisi come concordato nel contratto mentre le perdite verranno ripartite in proporzione alle quote di capitale conferite21.

Le differenze tra i due tipi di contratti sono rinvenibili nelle modalità di finanziamento dell’investimento (nella mudārabah il capitale è interamente conferito dalla banca, mentre nella mushārakah sia la banca che l’imprenditore partecipano finanziariamente al progetto), di gestione dello stesso (nel primo caso è responsabilità esclusiva del mudārib, mentre nel secondo è condivisa) e nella titolarità degli asset acquistati con l’investimento (nella mudārabah rimangono di proprietà della banca, mentre sono a proprietà condivisa nella mushārakah). Fig. 2 – Schema semplificato di un contratto di mushārakah

Fonte: Vadalà (2006) Le più diffuse forme di finanziamento di natura non partecipativa (non PLS), impiegate

soprattutto per il credito al consumo e per il finanziamento a breve e medio termine, sono la murābahah (vendita a termine) e l’īğārah (leasing). I contratti di questo tipo, detti anche

20 La mudārabah si presta, quindi, ad essere impiegata anche per la creazione e gestione di fondi comuni e per la strutturazione di obbligazioni bancarie sharī‘ah-compliant (cfr. il paragrafo successivo). 21 Il contratto di mushārakah è utilizzato anche per operazioni di venture capital, nel qual caso la banca acquisisce quote dell’impresa finanziata.

PROGETTO BANCA funding

UTILI

CLIENTE gestione

PERDITE

Mudārabah Bank’s share Mudārabah Promoter’s share

CLIENTE

gestione funding

BANCA

Mushārakah Bank’s share Mushārakah Promoter’s shareUTILI

PROGETTO gestione

funding

PERDITE Funding Promoter’s shareFunding Bank’s share

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indirettamente partecipativi o trade based, prevedono un rendimento predeterminato dell’investimento: benché tale remunerazione non venga esplicitamente riferita alla dimensione temporale dell’operazione e sia, invece, considerata il corrispettivo di un servizio di intermediazione commerciale (nel caso della murābahah) o dell’utilizzo di un bene (per l’ īğārah), i flussi finanziari generati dalle forme tecniche in esame tendono, nei fatti, a replicare quelli tipici del credito bancario convenzionale; queste operazioni sono, altresì, di norma associate a forme indirette di garanzia, quali la proprietà del bene oggetto della transazione reale che genera i movimenti di fondi di quella finanziaria.

Nella murābahah, che costituisce il contratto più diffuso, la banca acquista il bene per conto del cliente e lo rivende allo stesso ad un prezzo maggiorato concordato alla stipula del contratto e pagabile a termine22.

Nel corso del tempo, col presentarsi di nuove esigenze, sono state sviluppate numerose varianti di tale contratto egualmente di natura trade based 23.

Fig. 3 – Schema semplificato di un contratto di murābahah

Fonte: Vadalà (2006)

Beni o servizi (la proprietà è della banca)

CLIENTE FORNITORE

L’altra grande categoria di contratti di natura non PLS sono i contratti di affitto o locazione

(īğārah). Nel diritto islamico la locazione equivale al trasferimento del diritto di godere del bene verso un determinato corrispettivo, fissato al momento del contratto e calcolato sulla base dell’uso che l’imprenditore intende fare del bene in oggetto. Il contratto deve prevedere un uso effettivo del bene in locazione, da cui l’utilizzatore deve poter trarre beneficio. La proprietà del bene locato resta al finanziatore che sopporta, quindi, per la durata del contratto il rischio correlato24.

22 Il cliente assume la diretta responsabilità della negoziazione con il fornitore del bene. Al fine poi di scongiurare il rischio della banca che il cliente rifiuti di accettare il bene acquistato adducendo la presenza di difformità che lo rendano inidoneo, si usa attribuire al cliente la qualifica di agente della banca nella determinazione della conformità del bene a quello desiderato dal finanziato stesso. 23 Le principali sono: i) bay‘ al-muağil, che prevede la vendita a pronti di un bene a fronte del pagamento del prezzo, anche rateale, differito; ii) bay‘ al-salām, che consiste in una vendita differita di derrate agricole non ancora giunte a maturazione a fronte di un pagamento immediato del prezzo; iii) bay‘ al-istisnā‘, che ha una struttura analoga al bay‘ al-salām, ma ha ad oggetto beni artigianali o industriali non ancora ultimati; iv) commodity murābahah (o tawarruq), nel quale il cliente effettua una transazione di murābahah con la banca (chiedendo l’acquisto di una merce determinata, ad es. metalli, con pagamento rateale), seguita immediatamente dalla richiesta di vendere il bene sul mercato a pronti delle materie prime. In tal modo il cliente ottiene un finanziamento immediato (attraverso la vendita sul mercato a pronti) che ripagherà alla banca a rate. 24 Una variazione è il contratto īğārah wa iqtinā che aggiunge alla locazione la facoltà di acquisto del bene locato da parte del locatario. Si tratta, in genere, di operazioni di leasing finanziario a medio termine (fino a cinque anni). Operazioni di tale genere sono state prevalentemente poste in essere nel settore dell’aviaizione: Kuwait Airways, Jordan Airlines e Emirates hanno fatto ricorso a questo tipo di finanziamento (L. Siagh, L’Islam e il mondo degli affari, Etas, 2008). Esistono, tuttavia, delle differenze con il leasing convenzionale soprattutto per gli aspetti relativi alle penali in caso di ritardato pagamento e al riscadenzamento.

Pagamento (contro trasferimento di

proprietà)

Trasferimento della proprietà

BANCA (contro pagamento di un prezzo maggiorato)

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Oltre alle tecniche PLS e alle forme di finanziamento di natura non partecipativa, il diritto islamico prevede forme di prestito a titolo gratuito (qard hasan)25 destinate ad individui o società in difficoltà finanziaria, che hanno scopo di mera beneficenza.

Completano infine il quadro dei contratti quelli di kifālah, ‘amānah, wikālah e ğu‘alah, che consistono nell’offerta di servizi di garanzia, custodia, agenzia e consulenza.

L’opinione prevalente tra i giuristi islamici è che l’utilizzo di forme di finanziamento di natura non partecipativa dovrebbe costituire solo un’eccezione alla regola, per l’incertezza del confine che separa le tecniche interest based da quelle trade based, entrambe fondate su un rendimento predeterminato. Molti studi empirici, tuttavia, rilevano che, contrariamente all’orientamento delle principali scuole giuridiche islamiche, le tecniche non PLS assorbono una quota maggioritaria del bilancio delle istituzioni finanziarie islamiche. In particolare, dal lato degli impieghi i finanziamenti PLS rappresenterebbero in media una quota compresa tra il 20 e il 30 per cento dell’attivo bancario26. La scarsa incidenza delle tecniche di tipo PLS può essere ricondotta a tre principali motivazioni: 1) alcune operazioni di finanziamento, per loro natura, non si prestano all’applicazione del principio della compartecipazione ai profitti; 2) in alcuni contesti (paesi/settori) la presenza di asimmetrie informative e i connessi problemi di moral hazard potrebbero essere particolarmente rilevanti, tali da scoraggiare l’uso di tecniche basate su partnership; 3) le forze concorrenziali potrebbero spingere le banche islamiche ad allineare le proprie condizioni di offerta a quelle delle banche interest based, soprattutto dove i due modelli convivono nello stesso ordinamento statale27.

La situazione è, almeno in apparenza, diversa dal lato del passivo, dove i depositi di investimento costituiscono la principale forma di raccolta delle istituzioni finanziarie islamiche28. Tuttavia anche per i depositi di investimento le pratiche di mercato sembrerebbero differire dal modello teorico per almeno due ragioni: i) l’esistenza, esplicita o implicita, di una garanzia del capitale a favore del depositante e ii) un rendimento spesso non strettamente correlato dall’andamento dei profitti della banca29.

25 Le banche islamiche utilizzano per finalità di beneficenza i fondi destinati alla zakāt (elemosina rituale). 26 M. Anwar, “Islamicity of banking and modes of Islamic banking”, Professorial inaugural lecture series, International Islamic University Malaysia, 2000. In uno studio sulle dieci principali banche islamiche operanti soprattutto nel Medio Oriente e nei paesi del Golfo Persico, mostra che i vari strumenti di finanziamento hanno un’incidenza sul bilancio molto diversificata, ma sempre sbilanciata a favore delle tecniche non PLS. Il contratto più diffuso è la murābahah, con un’incidenza minima del 45 per cento e massima del 93 per cento. Per gli altri contratti le percentuali di incidenza minima e massima sono sensibilmente minori (mushārakah 1-20 per cento, mudārabah 1-17 per cento, īğārah 0-14 per cento, altre tecniche 0-30 per cento). Nel complesso l’incidenza massima delle due principali tecniche PLS (mushārakah e mudārabah) non supera l’incidenza minima della murābahah. M. Lewis e L. Algaoud (Islamic Banking, Edward Elgar, 2001) mostrano che in Pakistan i finanziamenti PLS incidono per poco più del 2 per cento del totale degli asset delle banche islamiche. Per ulteriori analisi empiriche di questo tipo cfr. anche B. S. Chong e M. H. Liu (“Islamic Banking: Interest-Free or Interest-Based?”, Conference Papers, The European Financial Management Association, Vienna, 2007, http://ssrn.com/abstract=868567, 2006), P. S. Mills e J. R. Presley (Islamic finance: Theory and Practice, Palgrave, 1999) e Zaher e Hassan (2001). 27 Alcuni autori sostengono che la prevalenza di forme di finanziamento trade based potrebbe portare le banche islamiche a concentrarsi soprattutto sul finanziamento di operazioni a breve termine, riducendo l’afflusso di finanziamenti verso progetti a medio lungo termine e rallentando quindi l’accumulazione di capitale (cfr. a questo proposito A. Mirakhor, “Analysis of Short-Term Asset Concentration in Islamic Banking”, IMF Working paper, n. 67, ottobre 1987 e R. Aggarwal e T. Yousef, “Islamic Banks and Investment Financing”, Journal of Money, Credit and Banking, vol. 32, n. 1, 2000). 28 Secondo Chong e Liu (2007), in Malaysia la raccolta delle banche islamiche è per oltre l’80 per cento rappresentata da investment and saving deposits. 29 Questo risultato può essere ottenuto in vari modi, ad esempio attraverso la costituzione di accantonamenti di bilancio volti a stabilizzare la distribuzione dei rendimenti, oppure, soprattutto nel caso di restricted mudārabah, legando il rendimento dei fondi raccolti ad operazioni non PLS con un ritorno predeterminato. Secondo Zaher e Hassan (2001), inoltre, spesso sono le banche centrali ad incoraggiare l’utilizzo di tecniche di riduzione della volatilità dei rendimenti sui depositi per evitare variazioni destabilizzanti della raccolta.

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1.3.2 Il mercato dei capitali e i principali prodotti sharī‘ah-compliant

Mercati azionari e indici di borsa. – In generale, l’investimento in azioni ordinarie è considerato ammissibile dai giuristi islamici; tuttavia alcuni studiosi sottolineano la profonda differenza esistente tra una partnership di tipo islamico (mushārakah), che presuppone un’adesione e una piena partecipazione all’iniziativa economica, e una moderna partnership di tipo occidentale30.

Più controversa è l’ammissibilità delle azioni privilegiate e di ogni altro strumento partecipativo che limiti la partecipazione alle perdite o garantisca un rendimento certo. La posizione prevalente è contraria all’ammissibilità di questi strumenti31, anche se essi risultano diffusi in alcuni paesi con ordinamenti favorevoli alla finanza islamica (Bahrein, Malaysia e Pakistan)32.

Le azioni in cui è lecito investire non possono essere emesse da società che svolgono attività proibite dalla legge coranica (prodotti alcolici, carne di maiale, industria pornografica, servizi finanziari e assicurativi tradizionali).

Il divieto di ribā rileva anche per quanto riguarda la struttura finanziaria delle società oggetto dell’investimento. In teoria sarebbe precluso l’investimento in strumenti azionari di imprese che ricorrono al debito pagando interessi o che concedono credito incassando interessi. La consapevolezza che nella prassi corrente tutte le imprese fanno ricorso, anche se in piccola parte, al debito, ha portato i giuristi islamici a proporre dei financial ratios volti a discriminare le situazioni ammissibili da quelle vietate33. I principali ratios proposti dalla giurisprudenza islamica si basano sui rapporti tra debito e totale del passivo e tra asset che generano interessi e il totale dell’attivo34.

Per sintetizzare l’andamento degli strumenti azionari sharī‘ah-compliant, nell’ultimo decennio sono nati alcuni indici specializzati in prodotti finanziari islamici. La gestione dell’indice prevede, di solito, la supervisione di uno Sharī‘ah Board che valuta, in base ad uno screening settoriale e finanziario, se il titolo di una società possa o meno essere inserito nell’indice. Il principale indice islamico di borsa è il Dow Jones Islamic Market Index (DJIMI)35. L’indice è stato creato nel 1999

30 A tutela del legame esistente tra i soci di una partnership islamica la sharī‘ah prevede l’istituto dello shuf‘ah (pre-emptive right), che assegna ai soci un diritto di preferenza non solo nel caso di aumento di capitale, ma anche una prelazione nel caso in cui un altro socio voglia uscire dalla società e vendere le proprie azioni. Questo istituto, sebbene poco applicato, potrebbe in teoria creare ostacoli a un corretto funzionamento dei mercati di borsa e alla libertà delle negoziazioni dei titoli azionari soprattutto se quotati sui mercati regolamentati caratterizzati dall’anonimato delle parti. 31 A titolo di esempio, il Dow Jones Islamic Market Index esclude le preferred stocks dal paniere degli strumenti sharī‘ah-compliant. 32 Islamic Financial Services Industry Development – Ten-Year Framework and Strategy, Islamic Research and Training Institute, 2007 33 In conformità al principio di maggioranza, nel caso in cui attività vietate (harām) siano inscindibilmente connesse ad attività lecite (halāl), il giudizio di compliance con la sharī‘ah tiene conto di quale attività (lecita o vietata) sia prevalente. I frutti delle attività harām devono, tuttavia, essere sottoposti ad un’attività di “purificazione”. Nel caso di azioni detenute da fondi comuni di investimento islamici (v. infra), la purificazione, che ha luogo attraverso la devoluzione in beneficenza degli introiti, può essere effettuata direttamente dal sottoscrittore del fondo o, più raramente, dal fondo stesso (AA.VV., Islamic Capital Market Fact Finding Report, IOSCO, 2004 e AA.VV., Analysis of The Application of IOSCO’s Objectives And Principles of Securities Regulation For Islamic Securities Products, IOSCO, settembre 2008). 34 M.H. Khatkhatay e S. Nisar, Investment in stocks: a critical review of Dow Jones Shari’ah screening norms, paper presented at the International Conference on Islamic Capital Markets held in Jakarta, Indonesia, during August 27-29, 2007. Y. T. De Lorenzo, Shari’ah Supervision of Islamic Mutual Funds, paper presented at the 4th Annual Harvard Forum on Islamic Finance, 2000. 35 L’altro importante indice islamico è il Financial Times and London Stock Exchange (FTSE) Global Islamic Index. Creato anch’esso nel 1999, è costituito da 5 sottoindici, di cui uno riguardante l’Europa. Nel 2006 anche Moody’s ha introdotto un indice azionario sharī‘ah-compliant su scala globale. Esistono inoltre indici focalizzati su singoli mercati, come ad esempio quello gestito dalla borsa di Kuala Lumpur in Malaysia. Di recente è stato creato un indice

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e si compone di oltre 70 sottoindici, di cui 10 focalizzati sull’Europa e sull’area dell’euro. I criteri di screening adottati dal DJIMI, recepiti successivamente dall’AAOIFI, sono di fatto divenuti uno standard per l’industria finanziaria islamica36.

Le obbligazioni sharī‘ah-compliant (sukūk). – L’obbligazione classica, consistente in un prestito cartolarizzato che prevede il pagamento di un tasso di interesse determinato o determinabile, non è coerente col divieto di ribā. Esistono, tuttavia, strumenti obbligazionari coerenti con la sharī‘ah: i sukūk, ovvero obbligazioni a fronte delle quali vi sono delle attività reali, simili agli strumenti asset-backed diffusi sui mercati occidentali37.

Le numerose tipologie di sukūk esistenti38 possono essere raggruppate in due grandi categorie: i) asset-backed/asset-based sukūk39, che hanno come asset sottostanti delle attività che generano un rendimento predeterminato (ad es. īğārah sukūk40) e che sono molto simili alle obbligazioni tradizionali; ii) equity-based sukūk, per i quali il rendimento dell’attività sottostante non è predeterminato, ma è basato su una logica di profit and loss sharing (mushārakah o mudārabah sukūk), rendendo questi prodotti più simili a strumenti di capitale41.

Fig. 4 – Struttura semplificata di un’operazione di īğārah sukūk Fonte: Vadalà (2006)

CANONI DI LOCAZIONE

obbligazionario, il Dow Jones Citigroup Sukuk Index, che si riferisce a sukūk denominati in dollari ed emessi da imprese private. 36 I financial ratios applicati dal DJIMI, tutti espressi in rapporto alla capitalizzazione media degli ultimi 12 mesi, sono tre e riguardano: i) il debito dell’impresa; ii) le attività che generano interessi (comprese le disponibilità liquide); iii) i crediti verso clienti. Affinché l’azione sia inserita nell’indice, ognuno dei tre ratios deve essere inferiore al 33 per cento. 37 La Fiqh Academy dell’Organization of the Islamic Conference (OIC) si è espressa sin dal febbraio del 1988 a favore dell’ammissibilità dei sukūk tra gli strumenti sharī‘ah-compliant. 38 L’AAOIFI ha riconosciuto 14 differenti tipi di sukūk, anche se le emissioni si concentrano su poche tipologie. Nel 2009 īğārah, mudārabah e mushārakah sukūk hanno costituito quasi il 90 per cento di tutte le emissioni dell’anno (Standard&Poor’s, 2010). 39 Non sempre i sukūk possono essere considerati strumenti asset-backed, nei quali il rendimento e il rischio dipendono esclusivamente dalla performance delle attività sottostanti. In molti casi, infatti, si tratta piuttosto di strumenti asset-based, per i quali il rischio è strettamente collegato al rischio di credito dell’emittente e quindi molto simili alle normali obbligazioni (IOSCO, 2008). 40 Nell’operazione di īğārah sukūk (fig. 4) il mutuatario (originator) vende parte degli asset reali del proprio patrimonio (immobili, beni strumentali etc.) ad uno special purpose vehicle (SPV), che si finanzia sul mercato emettendo titoli negoziabili. Lo SPV riaffitta gli asset all’originator, che paga un canone di locazione il cui ricavato viene utilizzato per remunerare i sottoscrittori delle obbligazioni. Alla scadenza l’originator riacquista l’asset reale e lo SPV, con gli introiti della vendita, rimborsa gli obbligazionisti. La struttura dell’operazione, basata su asset reali, permette di trasformare le cedole delle obbligazioni (proibite) in canoni di affitto (leciti). 41 AA.VV., Capital Adequacy Standard for Institutions (other than Insurance Institutions) Offering only Islamic Financial Services, Islamic Financial Services Board, 2005.

FLUSSI A CONCLUSIONE DELL’OPERAZIONE

FLUSSI ALL’INIZIO DELL’OPERAZIONE

EMISSIONE DELLE OBBLIGAZIONI

RIMBORSO DELLE OBBLIGAZIONI

SPV MERCATO

PAGAMENTO CEDOLE (PARAMETRATO AI CANONI DI

LOCAZIONE)

DEBITORE (ORIGINATOR)

CESSIONE ATTIVITA’ REALI

RIACQUISTO DELLE ATTIVITA’ REALI

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Fondi di investimento e rispetto della sharī‘ah. – La gestione del risparmio in fondi di investimento

presenta profili di parziale incompatibilità con le regole della sharī‘ah: da un lato il fondo non può avere in portafoglio strumenti finanziari per i quali è corrisposto un interesse fisso o determinabile (ragione per cui i fondi islamici sono in prevalenza di tipo azionario), dall’altro per la selezione delle azioni in cui i fondi islamici possono essere investiti, valgono le considerazioni testé svolte nella sezione “mercati azionari e indici di borsa”. Infine, i profili speculativi (maysīr) e l’alto livello di leverage che caratterizzano alcune tipologie di fondi tradizionali (ad esempio gli hedge fund) li rendono incompatibili con la sharī‘ah.

Sul piano gestionale, le forme organizzative più diffuse sono essenzialmente due: mudārabah e wikālah. Nel primo caso il gestore agisce in qualità di mudārib e viene remunerato in base agli utili conseguiti dal fondo; nel secondo caso il gestore agisce come wakīl, ovvero come agente per conto dei sottoscrittori, ricevendo una remunerazione stabilita in anticipo, di solito in percentuale del valore del fondo42.

Contratti derivati e prodotti assicurativi. – I prodotti derivati (swap, forward, future, opzioni etc.) e i contratti assicurativi utilizzati nei sistemi finanziari occidentali presentano, secondo la dottrina islamica, elementi di eccessiva incertezza (gharār) e di speculazione (maysīr), e per tali motivazioni sono considerati vietati dalla sharī‘ah.

Alcuni economisti islamici, tuttavia, stanno compiendo uno sforzo per strutturare prodotti derivati compatibili con la sharī‘ah, utilizzando alcuni contratti islamici (salām e istisnā‘, ad esempio) con caratteristiche simili ai contratti derivati diffusi sui mercati (come, ad esempio, future o forward)43.

Per quanto riguarda i prodotti assicurativi44, i giuristi islamici considerano compatibile con la sharī‘ah un sistema di assicurazione basato sulla mutua cooperazione ed assistenza (takāful) in cui gli assicurati sono anche assicuratori, con una struttura molto simile a quella delle mutue assicurazioni convenzionali. I partecipanti al takāful versano una somma di denaro (tabarru‘) ad un fondo comune, che interviene nel caso in cui si verifichi l’evento da indennizzare. La takāful company non possiede i fondi versati, ma agisce come amministratore sulla base di un contratto di agenzia e viene remunerata attraverso una partecipazione all’eventuale surplus (differenza tra il takāful fund e i rimborsi effettuati45). I fondi raccolti vengono in genere investiti sulla base di contratti sharī‘ah-compliant, soprattutto di mudārabah.

42 S. Sandami, Islamic mutual funds analysed for Dubai Islamic Bank, University of Leicester, 2006 e IOSCO 2008. 43 La differenza fondamentale consiste nel fatto che nel contratto di salām (o istisnā‘) solo una delle prestazioni delle due parti del contratto (compratore e venditore) è a termine, mentre in un contratto forward (o future) entrambe le obbligazioni hanno scadenza differita, configurando così un’operazione di debt exchange (senza scambio di attività) vietata dalla sharī‘ah. Anche i contratti di swap sono vietati perché configurano un debt exchange, mentre le opzioni sono non conformi alla sharī‘ah in quanto presentano elementi speculativi e di eccessiva incertezza. Per maggiori dettagli sul problema dei contratti derivati nella finanza islamica, cfr. A. A. Jobst,“Derivatives in Islamic Finance”, in Islamic Economic Studies, vol. 15, n. 1, 2007. 44 La proibizione dei contratti assicurativi di tipo occidentale è dovuta: i) all’incertezza in merito all’effettuazione del risarcimento, al suo ammontare e al tempo in cui verrà effettuato (gharār); ii) alla presenza di una forte componente speculativa, che differisce a seconda del verificarsi o meno dell’evento assicurato. Nel primo caso consiste nella possibile sproporzione tra il risarcimento ottenuto dall’assicurato e i premi versati; se l’evento non si verifica, invece, è la compagnia assicurativa ad ottenere un arricchimento considerato ingiusto dai giuristi islamici (maysīr). Inoltre l’investimento dei premi raccolti dalle compagnie assicurative presenta i problemi tipici dei sistemi interest based. 45 Nel caso di deficit (rimborsi>donazioni) e in assenza di sufficienti riserve (accumulate attraverso surplus degli anni precedenti) possono verificarsi due situazioni: i) i sottoscrittori possono essere chiamati a contribuire alla sua copertura; ii) la takāful company anticipa le somme necessarie per coprire il deficit, rivalendosi sui contributi futuri.

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1.4 Dimensioni dell’industria finanziaria islamica e sue prospettive di sviluppo

L’industria finanziaria islamica prima della crisi. – Sebbene la finanza islamica rappresenti tuttora solo l’1 per cento circa dell’industria finanziaria globale, dall’inizio del decennio e fino allo scoppio della crisi essa è cresciuta a ritmi molto sostenuti (a seconda delle fonti, tra il 10 e il 15 per cento all’anno) ed ha assunto un ruolo di primaria importanza in alcuni paesi. Il settore ha conosciuto una rapida espansione geografica, dal Medio Oriente al Sud est asiatico all’Europa, con l’emergere di diverse piazze quali potenziali centri regionali e globali di finanza islamica (Bahrein, Dubai, Kuala Lumpur, Londra). Sotto la spinta innovativa degli ultimi anni, l’offerta di servizi finanziari islamici si è diversificata, superando i confini dell’attività bancaria e giungendo ad interessare tutti i segmenti dell’attività finanziaria; la crescita del settore è stata, inoltre, accompagnata dallo sviluppo di un’infrastruttura finanziaria islamica di supporto. E’ altresì cambiata la percezione del fenomeno da parte dei principali attori: la finanza islamica non è più concepita, dai suoi stessi promotori, in contrapposizione al sistema finanziario convenzionale, ma quale parte integrante, con le sue peculiarità, dell’infrastruttura finanziaria globale46.

Una misurazione accurata delle dimensioni dell’industria finanziaria islamica non è semplice, a causa della mancanza di statistiche complete, sistematiche e attendibili. Sono disponibili tuttavia stime dell’entità del fenomeno alla vigilia della recente crisi finanziaria. In base a tali rilevazioni, a fine 200747 le istituzioni finanziarie (banche e assicurazioni) che offrivano prodotti sharī‘ah-compliant, in modo esclusivo o attraverso Islamic windows, erano 52548, operanti in 47 diversi paesi; gli asset finanziari gestiti da questi intermediari ammontavano a circa 500 miliardi di dollari49 (Allegato 1).

In termini assoluti, nel 2007 in Iran si concentrava circa il 30 per cento dell’industria, seguito da Arabia Saudita (14 per cento) e Malaysia (13 per cento); i sei paesi del GCC, inclusa l’Arabia Saudita, pesavano per oltre un terzo dell’intera industria. In termini di incidenza sul sistema finanziario nazionale, la finanza islamica aveva un peso superiore al 10 per cento, oltre che in Iran e Sudan50, nei paesi del GCC (a eccezione dell’Oman51), in Libano, Malaysia, Pakistan, Bangladesh, Brunei e Mauritania. Nei paesi arabi del Mediterraneo e in Turchia, con la menzionata eccezione del Libano e, in misura più limitata, della Giordania, il fenomeno aveva invece una rilevanza limitata, ancorché crescente.

Per quanto riguarda i paesi occidentali, il mercato più sviluppato è quello inglese, dove operano, oltre ad alcune “Islamic windows” di banche convenzionali, cinque banche interamente

46 Cfr. a questo proposito gli interventi al 2nd Islamic Financial Services Forum (Francoforte, 5-6 dicembre 2007) di Rifaat Ahmed Abdel Karim, Segretario Generale dell’IFSB, e della Governatrice della Banca centrale della Malaysia, Zeti Akhtar Aziz. Cfr. inoltre il documento Strategic plan for Islamic banking industry of Pakistan, della Banca centrale pakistana (2008). 47 I dati, tratti dall’articolo Top 500 Islamic Institutions (comparso su The Banker del 5 novembre 2007), provengono da varie fonti (banche centrali, autorità di regolamentazione, associazioni tra operatori etc.) e costituiscono una stima per difetto della dimensione dell’industria finanziaria islamica; gli autori dell’articolo evidenziano, in particolare, la quasi totale assenza di informazioni relativa all’operatività delle Islamic windows. Le informazioni coincidono, in linea di massima, con quelle disponibili su Bankscope con la significativa eccezione dei dati relativi al Libano e alla Malaysia, per i quali quest’ultima fonte fornisce un’incidenza sul sistema finanziario nazionale di dimensioni più limitate. 48 Di cui 292 banche commerciali, 115 banche di investimento e 118 compagnie di assicurazioni; non sono, invece, computati i fondi di investimento islamici. 49 Si tratta di una stima molto conservativa. Stime meno restrittive segnalavano un valore del mercato della finanza islamica pari a circa 700 miliardi di dollari. 50 Dai dati riportati nella tavola 1 i sistemi finanziari di Iran e Sudan appaiono non completamente islamizzati (l’incidenza della finanza islamica è rispettivamente pari all’82,6 per cento e al 52,1 per cento). Questa incongruenza può dipendere da una sottostima, nei dati dell’indagine di The Banker, delle attività finanziarie islamiche nei due paesi. 51 L’Oman è l’unico paese appartenente al GCC in cui non operano banche islamiche.

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islamiche52. Prodotti finanziari islamici sono offerti anche da banche convenzionali o da sportelli islamici in Germania e in Svizzera; negli USA è particolarmente sviluppato il mercato dei mutui islamici.

Il mercato delle assicurazioni conformi alla sharī‘ah (takāful) risulta ancora poco sviluppato e focalizzato soprattutto sul segmento danni; le assicurazioni sulla vita sono poco sviluppate, con l’eccezione della Malaysia. Nel 2007 le takāful company erano 118, comprese le compagnie assicurative tradizionali che offrono servizi di assicurazione compatibili con la sharī‘ah. Gli attivi gestiti da tali compagnie erano pari a quasi 41 miliardi di dollari, i due terzi dei quali imputabili alla sola Takaful IBB Berhad con sede in Brunei. Negli ultimi anni le assicurazioni islamiche hanno cominciano ad acquisire quote di mercato anche nei paesi del GCC, in Iran e in Malaysia. Una società di takāful è operativa anche in Gran Bretagna.

Il segmento di mercato che ha registrato i più alti tassi di crescita negli ultimi anni è quello degli strumenti obbligazionari islamici (sukūk): le emissioni sono cresciute da 0,8 miliardi di dollari nel 2002 a quasi 39 miliardi nel 200753 (tav. 2); alla fine del 2007 i titoli in circolazione ammontavano a circa 90 miliardi di dollari, di cui quasi l’80 per cento emissioni corporate, ancorché in prevalenza riconducibili a soggetti a partecipazione statale. Le emissioni stricto sensu sovrane, riconducibili prevalentemente ai paesi del GCC, sebbene rappresentassero una quota limitata del totale (anche a causa delle ridotte necessità di finanziamento dei governi del GCC), hanno svolto un importante ruolo di benchmark per le emissioni del settore privato e, più in generale, per lo sviluppo dei mercati finanziari di prodotti sharī‘ah-compliant54.

Il successo che ha caratterizzato i sukūk riflette, in primo luogo, l’abbondanza di liquidità nell’area del Golfo per effetto del boom petrolifero degli scorsi anni. Dal lato dell’offerta, il mercato è stato alimentato dal bisogno crescente, da parte dei prenditori di fondi, di strumenti di finanziamento a medio e lungo termine. Inoltre, il crescente ricorso a questi strumenti è volto anche a soddisfare la massiccia domanda di finanziamenti infrastrutturali che proviene dall’area del GCC e da molti paesi asiatici, con regolamentazioni locali favorevoli allo sviluppo della finanza islamica. Infine, specialmente in paesi con sistemi finanziari convenzionali, l’emissione di titoli islamici è stata promossa per facilitare la diversificazione dei mercati dei capitali domestici e attrarre investitori islamici55.

Dal punto di vista geografico, i principali mercati di riferimento sono quelli asiatici (Malaysia in particolare) e dei paesi del GCC. In Europa, i sukūk hanno fatto la loro comparsa nel 2004, quando il Land della Sassonia-Anhalt ha effettuato la prima emissione sovrana per un ammontare di 123 milioni di dollari56; sukūk corporate sono stati emessi anche in USA e Gran Bretagna e dal luglio 2006 i sukūk sono quotati nella borsa di Londra (London Stock Exchange)57. Il Tesoro inglese ha valutato la possibilità di lanciare l’emissione di sukūk in sterline58.

52 L’Islamic Bank of Britain, con operatività retail, la European Islamic Investment Bank, la Bank of London and the Middle East, la European Finance House, la Gatehouse Bank, tutte con operatività prevalentemente wholesale. Sebbene la nascita di banche islamiche sia recente, Londra sin dagli anni ottanta è stata una piazza attiva nelle operazioni all’ingrosso sharī‘ah-compliant. In particolare, il London Metal Exchange è stato utilizzato come piattaforma finanziaria per regolare operazioni di commodity murābahah, utilizzate per dare liquidità alle istituzioni finanziarie del Medio Oriente. 53 Nel 2007 le emissioni di sukūk hanno inciso per il 25 per cento delle emissioni cartolarizzate nei mercati emergenti. 54 A. A. Jobst et al., “Islamic Bond Issuance – What Sovereign Debt Managers Need to Know”, IMF Policy Discussion Paper , n.3, luglio 2008. 55 S. Cakir e F. Raei, “Sukuk vs. Eurobonds: Is there a difference in value-at-risk?”, IMF Working Paper, n. 237, ottobre 2007. 56 L’obiettivo dichiarato dalla Sassonia-Anhalt è stato quello di attrarre verso una delle zone più povere della Germania riunificata capitali provenienti dal Golfo Persico. Oggetto dell’operazione sono stati degli immobili ceduti in usufrutto a una società veicolo per 30 anni. Le obbligazioni hanno durata quinquennale; alla scadenza i beni potranno ritornare alla Sassonia-Anhalt oppure potrà essere rinnovata l’emissione per un altro quinquennio. 57 Anche le Istituzioni Finanziarie Internazionali hanno mostrato interesse per lo strumento: la Banca Mondiale ha emesso nel 2005 un sukūk, denominato in valuta malese (ringgit), del valore di 200 milioni di dollari e il Fondo

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I dati sopra riportati non comprendono il patrimonio gestito dai fondi islamici, sul quale si hanno informazioni non sempre concordanti. Secondo alcune stime, alla fine del 2007 sul mercato esistevano tra 500 e 650 fondi di investimento sharī‘ah-compliant, con un patrimonio gestito di oltre 40 miliardi di dollari. I fondi islamici sono più concentrati nei settori equity e immobiliare; i fondi obbligazionari, che investono in obbligazioni islamiche (sukūk), sono stati introdotti solo di recente, anche se si stanno sviluppando rapidamente. Infine, sono diffusi anche i fondi che investono in commodity murābahah, utilizzati come money market funds. Da un punto di vista geografico gli investimenti sono concentrati soprattutto in Asia e nel Medio Oriente; rimane trascurabile la quota di fondi specializzati nei mercati europei e americani59.

Finanza islamica e crisi finanziaria. – Sebbene con modalità e tempi differenti, la crisi economico-

finanziaria internazionale si è inevitabilmente ripercossa sulla finanza islamica, in quanto parte integrante del sistema finanziario globale60.

Nella prima fase della crisi, quella di carattere più prettamente finanziario, le istituzioni islamiche che avevano adottato un approccio in linea coi principi di base della finanza islamica (minore ricorso alla leva finanziaria e a prodotti strutturati) sono rimaste sostanzialmente immuni. Nel biennio 2008-09 il totale dell’attivo delle 500 principali banche islamiche ha continuato a crescere a ritmi sostenuti; a fine anno i bilanci delle banche islamiche superavano gli 800 miliardi di dollari.

In questa fase l’industria finanziaria islamica ha spesso considerato la crisi come un’opportunità per lo sviluppo del settore, sottolineando i vantaggi del modello basato sul profit and loss sharing, per il minor ricorso alla leva finanziaria, il forte legame con l’attività economica reale ed il fondamento etico che ispira l’intera costruzione economico-finanziaria61. Fig. 5 – Totale attivo delle prime 500 banche islamiche (miliardi di dollari)

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2007 2008 2009 Fonte: Standard&Poor’s, Islamic Finance Outlook 2010.

Monetario Internazionale nell’ambito delle attività di assistenza tecnica in materia di mercato dei capitali suggerisce l’emissione dei sukūk quale possibile strumento per dare spessore a mercati ancora poco sviluppati. 58 AA.VV., Government Sterling sukuk issuance: a consultation, HM Treasury, novembre 2007 e Government Sterling sukuk issuance: a response to the consultation, HM Treasury, giugno 2008. 59 Le società di gestione dei fondi sono insediate soprattutto nei paesi del GCC e in Malaysia; alcune società hanno sede anche a Londra, New York, Germania, Irlanda e Lussemburgo. 60 Non esistono ancora molti studi che valutino gli effetti della crisi sulle istituzioni finanziarie islamiche, anche a causa della mancanza di dati analitici completi ed affidabili. Una recente analisi comparata (M. Hasan e J. Dridi, “The effects of the Global crisis on Islamic and Conventional Banks: A comparative study”, IMF Working Paper n. 201, settembre 2010) degli effetti della crisi sulle banche islamiche e sulle banche convenzionali in un gruppo di paesi (GCC, Giordania, Turchia e Malaysia) ha concluso che le banche islamiche, nel complesso, hanno mostrato una maggiore resistenza alla crisi: in termini di redditività le banche islamiche hanno raggiunto risultati migliori delle banche convenzionali nel 2008 ma peggiori nel 2009; credito e attivi delle banche islamiche sono cresciuti più di quelli delle banche convenzionali e, infine, le banche islamiche hanno mantenuto livelli di rating di agenzie esterne migliori e più stabili rispetto a quelle convenzionali. 61 IOSCO (2008).

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D’altro canto, le istituzioni finanziarie islamiche che avevano sviluppato prodotti finanziari affini a quelli della finanza convenzionale, oltre a riproporne la struttura e il rendimento, ne hanno anche replicato i rischi, subendo maggiormente gli effetti della crisi. Il suo primo importante canale di trasmissione alle istituzioni finanziarie islamiche è stato quello della liquidità: le tensioni che su questo fronte hanno sperimentano i mercati globali, hanno generato difficoltà di gestione della liquidità di breve periodo alle banche islamiche; inoltre, con la crisi delle borse, anche l’accesso a fonti di finanziamento di lungo periodo è risultato più difficoltoso, costringendo le banche islamiche a ridurre il profilo di maturità dei propri asset.

Con l’estendersi della crisi al settore reale, le ripercussioni sulla finanza islamica sono divenute più evidenti. La rilevante esposizione verso il settore immobiliare ha portato al default di alcuni sukūk. L’utilizzo di modelli di business basati in misura più o meno accentuata sul profit and loss sharing ha generato perdite per le banche dovute all’incapacità delle imprese finanziate di generare i ritorni attesi, specie nel caso di rilevante esposizione verso settori a elevata ciclicità. In generale la redditività delle banche islamiche si è ridotta. Le emissioni di sukūk hanno subito un forte rallentamento: nel 2008 (14,9 miliardi di dollari) si sono più che dimezzate rispetto all’anno precedente; nel 2009 (23,3 miliardi) sono tornate a crescere, anche se i livelli si mantengono al di sotto di quelli precedenti alla crisi62.

Le riflessioni in corso sulla riforma della regolamentazione internazionale, sollecitate dalla crisi globale, hanno interessato anche la finanza islamica, facendo emergere l’importanza della cooperazione transnazionale nel settore e portando alla formulazione di una proposta di istituzione di un Islamic Financial Stability Forum63.

Le prospettive di sviluppo. – Tra i fattori alla base della recente espansione dell’industria finanziaria

islamica un ruolo di rilievo è attribuibile alla necessità di investire l’eccesso di liquidità confluita nelle economie oil-based a seguito dell’incremento dei prezzi dei prodotti energetici64. A ciò si è aggiunta la ricerca di rendimenti elevati e/o di una diversificazione del rischio (in particolare per i sukūk) da parte sia di istituzioni finanziarie islamiche sia di investitori convenzionali nonché l’assenza di strumenti di cartolarizzazione convenzionali in alcuni paesi islamici. Probabilmente questi fattori nei prossimi anni continueranno a sostenere lo sviluppo dell’industria finanziaria islamica.

L’affermazione della finanza islamica si inserisce, in alcuni paesi emergenti, in una più generale politica di sviluppo del sistema paese. Tra questi spicca la Malaysia dove la banca centrale svolge un ruolo di primo piano nel promuovere lo sviluppo della regolamentazione, il consolidamento del sistema, la formazione di figure professionali esperte in sharī‘ah compliance e l’educazione finanziaria della clientela.

62 I dati sono tratti dal rapporto Islamic Finance Outlook 2010 (Standard&Poor’s, 2010). 63 Cfr. a questo proposito il rapporto della Task Force congiunta IFSB, IDB e IRTI (“Islamic Finance and Global Financial Stability”, Aprile 2010). Il rapporto individua 8 building blocks necessari al rafforzamento del sistema finanziario islamico: i) adozione di un ampio set di standard prudenziali cross-settoriali; ii) creazione di un’infrastruttura nazionale ed internazionale per la gestione della liquidità; iii) rafforzamento dei meccanismi di financial safety (LOLR, assicurazione dei depositi); iv) adozione di meccanismi di gestione e risoluzione delle crisi; v) elaborazione di standard contabili, di auditing e di disclosure condivisi; vi) sviluppo di un quadro di vigilanza macro-prudenziale a supporto della stabilità finanziaria; vii) rafforzamento del processo di rating delle istituzioni finanziarie islamiche; viii) maggiori investimenti nel capacity building e nella formazione. 64 Secondo alcune opinioni, nei primi anni del decennio un ruolo importante è attribuibile al rimpatrio di capitali mediorientali, soprattutto dal mercato statunitense, per timori di congelamento dopo l’11 settembre 2001. Tale opinione, tuttavia, non sembra supportata da una recente analisi dei fattori esplicativi della diffusione della finanza islamica (P Imam e K. Kangni, “Islamic Banking:how has it spread?”, IMF Working paper, n.195, agosto 2010) che ha, invece, individuato uno stretto legame tra lo sviluppo della finanza islamica da un lato, e il reddito pro-capite, la percentuale di musulmani sulla popolazione totale e lo status di paese produttore di petrolio dall’altro; anche il processo di integrazione regionale tra i paesi del Medio Oriente e la vicinanza a centri finanziari islamici costituiscono importanti fattori di sviluppo.

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Sebbene nata per rispondere ad esigenze specifiche di un determinato gruppo sociale – i fedeli musulmani – la finanza islamica potrebbe risultare attraente anche per altri segmenti della popolazione. Nel contesto europeo, sebbene il fenomeno riscuota interesse in diversi paesi (tra i quali la Germania, l’Olanda, la Svizzera, la Francia e il Belgio65), Londra, candidatasi a divenire un financial hub per la finanza islamica, è l’unico vero laboratorio di servizi finanziari islamici. Ciò riflette anche la sensibilità mostrata dalle autorità britanniche per le opportunità offerte alla piazza londinese dalla crescente importanza della finanza islamica: l’evoluzione del fenomeno è stata, così, accompagnata dalla rimozione di ostacoli regolamentari e fiscali66 e le autorità stesse hanno svolto un ruolo di catalizzatore dei cambiamenti67.

Nella realtà europea i fattori propulsivi sono individuabili, dal lato della domanda, nel potenziale del retail banking per la richiesta di maggiori servizi da parte della comunità musulmana europea68 e, dal lato dell’offerta, nell’accresciuto know-how in materia da parte degli intermediari europei, nella capacità di alcune piazze finanziarie (ad es. Londra per il mercato dei capitali e la Svizzera per la gestione patrimoniale) di attrarre i surplus di liquidità generati nei paesi del Golfo e nella possibilità di utilizzare prodotti di finanza islamica per il finanziamento del debito pubblico.

Un orientamento delle autorità nazionali favorevole a creare i presupposti normativi e fiscali necessari per il successo di mercato dei prodotti di finanza islamica viene, da più parti, considerato un fattore di sviluppo importante.

Sulle prospettive evolutive, tuttavia, incombono alcune problematiche, cui si fa cenno in questa sede, rinviando ai capitoli successivi per approfondimenti. La crisi finanziaria è stato il primo vero banco di prova per la finanza islamica: la capacità di risolvere in modo ordinato i default di alcuni sukūk sarà di fondamentale importanza per lo sviluppo futuro di questa industria.

In una prospettiva più ampia, la mancanza di un livello adeguato di standardizzazione dei prodotti è sovente citata come un serio ostacolo alla espansione del settore. All’origine di tale fenomeno vi è, soprattutto, l’incertezza giuridica: la giurisprudenza islamica manca di una interpretazione univoca ed omogenea e di un riconoscimento uniforme; le opinioni legali degli sharī‘ah board possono variare nel tempo e nello spazio, anche in considerazione del fatto che esistono diverse scuole giuridiche69. Tale incertezza, che grava soprattutto sui prodotti di ingegneria finanziaria, ne restringe i margini di utilizzo, frena l’innovazione finanziaria e può

65 In Germania, come già ricordato in precedenza, nel 2004 il Land della Sassonia-Anhalt ha effettuato la prima emissione sovrana di sukūk. Il paese intende candidare Francoforte a diventare, al pari di Londra, una piazza finanziaria in grado di attrarre istituzioni finanziarie islamiche (cfr. a questo proposito il discorso di Rudolf Böhmler, membro dell’Executive Board della Deutsche Bundesbank al 2nd Islamic Financial Services Forum, Francoforte, 5-6 dicembre 2007). In Francia sono allo studio modifiche legislative volte a garantire il maysīr level playing field agli operatori islamici ed è all’attenzione dell’autorità di vigilanza una richiesta di autorizzazione all’apertura della prima banca islamica del paese. In Svizzera è operativa dal 2006 una banca islamica pura (Faisal Private Bank); una seconda banca islamica potrebbe essere creata per iniziativa della National Bank of Kuwait. 66 Nel 2003 è stata rimossa la doppia tassazione per i mutui islamici; sono state, inoltre, introdotte misure di armonizzazione del trattamento fiscale dei prodotti islamici a quello dei prodotti finanziari convenzionali, attraverso i Finance Act del 2005 e 2006. 67 Nel corso del 2007 è stato varato uno studio di fattibilità sull’opportunità di un’emissione sovrana di sukūk da parte del Tesoro inglese, sottoposta a pubblica consultazione. Il progetto ha subito, per il momento, una battuta di arresto, anche in considerazione dello sfavorevole contesto economico-finanziario globale. 68 Il potenziale bacino di utenza in Europa conta 15 milioni di musulmani. Germania e Francia si trovano, in linea teorica, in una posizione di mercato più competitiva, con rispettivamente circa 5 e 6 milioni di musulmani, mentre la comunità musulmana del Regno Unito ammonta a 2 milioni. 69 A titolo di esempio, in una recente pronuncia Muhammad Taqi Usmani, Presidente dell’AAOIFI Shariah Council, ha dichiarato che circa l’85 per cento dei sukūk attualmente in circolazione potrebbe essere contrario alla sharī‘ah, con impatti rilevanti sull’andamento dei titoli.

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costituire un elemento di svantaggio per la competitività di banche e prodotti finanziari islamici rispetto alla concorrenza del settore finanziario convenzionale70.

Sul fronte dell’integrazione nel sistema finanziario internazionale e della condivisione del suo sistema di regole e best practices, non è ancora stata raggiunta, nonostante il lavoro svolto dall’AAOIFI, un’armonizzazione contabile che consenta di disporre, per le istituzioni finanziarie islamiche, di standard contabili trasparenti, comparabili e comprensibili per gli investitori occidentali. Analogo processo va portato a compimento, nel contesto dell’impegno profuso dall’IFSB, sul fronte dei criteri di adeguatezza patrimoniale e degli standard per la gestione dei rischi.

La crescente internazionalizzazione del fenomeno ha, inoltre, enfatizzato l’importanza dell’armonizzazione tra le giurisdizioni e della cooperazione internazionale.

Persistono, inoltre, divergenze nella posizione di policy e nell’approccio regolamentare e di vigilanza delle autorità71 nonché ostacoli di natura fiscale72 che potrebbero incidere sulla parità di condizioni concorrenziali rispetto alla finanza convenzionale.

La crisi ha insegnato che la gestione della liquidità da parte delle banche islamiche rappresenta un problema rilevante: nonostante alcuni esperimenti regionali73, si è lontani dallo sviluppo di un mercato interbancario liquido ed efficiente, e anche il mercato dei sukūk è poco liquido a causa dell’assenza di un mercato secondario sviluppato. Infine, la formazione e l’addestramento del management bancario in paesi non islamici è ancora allo stadio embrionale.

Il contesto italiano. – In Italia il fenomeno è pressoché sconosciuto74. L’impiego in Italia di

contratti bancari sharī‘ah-compliant dovrebbe, naturalmente, superare il vaglio di liceità e di meritevolezza di cui all’art. 1322 del codice civile, che potrebbe richiedere modifiche delle formulazioni adottate in altri ordinamenti. Sotto questo profilo, ad esempio, un’eventuale clausola inserita nei contratti che colleghi la validità e vincolatività dell’accordo alla sua conformità rispetto alle norme coraniche, come interpretate da eventuali comitati o consigli tecnico-religiosi, solleverebbe importanti questioni di ammissibilità.

Ciò premesso, anche in Italia lo sviluppo del fenomeno potrebbe essere stimolato dall’azione dei fattori già delineati con riferimento al contesto europeo. In primo luogo, la dinamica demografica italiana, con una comunità musulmana di 1,3 milioni di immigrati regolari75, attualmente caratterizzata da livelli di bancarizzazione ed utilizzo dei servizi finanziari molto contenuti, potrebbe costituire un fattore di sviluppo anche del segmento retail. Ciò, oltre a garantire una maggiore raccolta di liquidità dalla comunità musulmana, potrebbe contribuire alla sua integrazione sociale.

70 Un’esemplificazione di queste problematiche è offerta dal comparto dei sukūk, le cui ampie potenzialità di crescita possono essere frenate da una serie di ostacoli: tra questi è possibile indicare innanzitutto le difficoltà nell’identificare asset sottostanti di riferimento e disegnare strumenti che riescano a rispettare gli obblighi della sharī‘ah e, allo stesso tempo, offrire rendimenti attraenti sia per gli investitori che per gli emittenti. Inoltre, molti strumenti di risk management comunemente usati a fronte dei rischi di cambio, d’interesse o di credito non sono ammessi dai precetti islamici e i prodotti sharī‘ah-compliant che svolgono una funzione analoga non sono ancora adeguatamente sviluppati. 71 In quest’ambito, alcune importanti organizzazioni sovranazionali (IIFM, IFSB, AAOIFI) stanno lavorando attivamente a un consolidamento e a un’armonizzazione della regolamentazione. 72 Si tratta della doppia imposizione sui mutui e, più in generale, della mancata armonizzazione fiscale per tutti i prodotti finanziari islamici, in particolare cartolarizzati, come i sukūk. 73 Ad esempio l’Islamic Interbank Money Market istituito nel 1994 in Malaysia e il Liquidity Management Centre nato in Bahrein nel 2002 (cfr. infra capitolo 3). 74 Fanno eccezioni alcuni recenti esperimenti, condotti in prevalenza con clientela corporate su mercati internazionali. 75 Caritas/Migrantes, Immigrazione - Dossier Statistico 2009, IDOS, 2009.

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La diffusione della finanza islamica in Italia va considerata anche nel contesto della competitività del sistema paese, quale opportunità di business e strumento per migliorare la capacità dell’Italia di attrarre capitali dai mercati del Golfo; infine essa potrebbe facilitare l’integrazione del sistema finanziario nazionale con quelli del Mediterraneo allargato, a sostegno degli investimenti in tali paesi, anche grazie ad un migliore supporto finanziario all’internazionalizzazione delle imprese.

Nell’analisi delle prospettive evolutive in Italia va, infine, tenuta in debito conto la dimensione europea del mercato unico dei servizi finanziari che consente alla banche islamiche insediate in altri paesi europei di offrire servizi in Italia, beneficiando del passaporto europeo.

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CAPITOLO SECONDO

LE FORME TECNICHE DELLA FINANZA ISLAMICA: PROFILI DI RISCHIOSITÀ E IMPLICAZIONI PER LA STABILITÀ

2.1. I profili di rischio nella finanza islamica

Nella teoria neoclassica la remunerazione del capitale dipende dalla sua produttività, dalla sua relativa scarsità e dalla rischiosità dell’investimento. Il capitale ha sempre un costo positivo, anche in assenza di incertezza. Il tasso di interesse reale “privo di rischio”, anche in condizioni di certezza, conserva la sua funzione, remunerando l’investitore per il costo-opportunità incorso per la rinuncia a un uso alternativo del capitale. Il tasso di interesse riesce quindi a veicolare informazioni sulle opportunità di investimento alternative, assolvendo nel mercato dei capitali la funzione che il prezzo adempie nel mercato dei beni.

Questa connotazione del saggio di interesse come “prezzo del denaro” è, come si è visto, estranea al pensiero islamico, che vieta il ribā’ a vantaggio di un sistema basato sulla condivisione di profitti e perdite (PLS)76. La remunerazione del finanziamento tramite PLS può presentare alcuni vantaggi, non soltanto con riguardo ad alcuni minori rischi finanziari a essa connessi, ma anche con riferimento all’efficienza del sistema finanziario. Alcuni teorici dell’economia islamica affermano che, da un certo punto di vista, lo schema PLS può incentivare la crescita economica in quanto aumenterebbe la qualità e il livello degli investimenti77. Si reputa, infatti, che il creditore a interesse guardi principalmente alla rischiosità del progetto finanziato, ovvero alla solvibilità ex ante del prenditore, mentre il creditore PLS è più interessato alla qualità sostanziale del progetto da finanziare e al “potenziale economico” del prenditore, in quanto sarà il flusso di profitti effettivamente generato dalla gestione corrente a determinare la remunerazione del capitale prestato78.

Il sistema PLS ha però anche alcuni punti deboli. In presenza di asimmetria informativa tra principale (finanziatore) e agente (imprenditore finanziato), non riesce a escludere il moral hazard: il flusso di profitti generato dal progetto finanziato è noto al management, ma non al finanziatore. Se i profitti non sono verificabili ed esigibili in sede legale, il soggetto finanziato ha la possibilità di appropriarsi anche della quota parte del finanziatore. In secondo luogo, la divisione su proporzioni concordate ex ante potrebbe disincentivare il management dall’applicare la dovuta diligenza nella gestione del progetto finanziato, con l’effetto di generare una crescita complessiva sub-ottimale; sotto l’ipotesi neoclassica di razionalità degli agenti, la massimizzazione del profitto dell’impresa può implicare che l’effort applicato dall’imprenditore che si finanzia con contratto PLS sia inferiore a quello applicato sotto l’ipotesi di finanziamento a debito79.

Tali considerazioni teoriche portano a concludere che in contesti istituzionali fragili e incompleti come quelli di alcuni paesi in via di sviluppo, il finanziamento tipo equity (cui è assimilabile il PLS) possa risultare strategicamente inferiore rispetto al finanziamento a debito80. 76 Cfr. il paragrafo 1.1. La moderna critica islamica al tasso di interesse riprende molte argomentazioni etiche della scolastica medievale (Cfr. Aggarwal e Yousef, 2000). 77 N. Hacque e A. Mirakhor, “Optimal Profit-Sharing Contracts and Investment in an Interest-Free Islamic Economy”, International Monetary Fund, 1986. 78 Secondo questa corrente di pensiero, inoltre, il finanziatore islamico sarebbe più attento al valore etico del finanziamento rispetto all’intermediario tradizionale, perché la sua reputazione nell’ambito della raccolta del risparmio sarebbe legata non solo alla redditività dei depositi, ma anche alla qualità sociale ed economica dei progetti finanziati. I sostenitori più entusiasti della finanza islamica giungono ad affermare che il finanziamento PLS potrebbe innalzare il volume degli investimenti, grazie alla riduzione del costo effettivo del finanziamento per l’impresa (Aggarwal e Yousef, 2000). Tale pretesa contrasta con il teorema di Modigliani – Miller, secondo cui il costo medio del capitale è indipendente dalla forma con cui è finanziato (Modigliani e Miller, 1958). 79 Cfr. dimostrazione in Allegato 6. 80 A. Habib, A microeconomic model of an Islamic bank, 2002, Islamic Development Bank.

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In effetti, nella realtà operativa della finanza islamica esistono fattispecie contrattuali che si avvicinano, nella sostanza economica se non nella forma giuridica, allo strumento del tasso di interesse, proprio in ragione di tali considerazioni. Simili sono le esigenze economiche che tali strumenti (islamici e convenzionali) devono soddisfare: consentire e - nei limiti del possibile - favorire un’efficiente allocazione delle risorse nello spazio e nel tempo; se la strada del tasso di interesse non è percorribile, si rende necessario sviluppare strumenti alternativi per cercare di preservare le caratteristiche informative e gestionali che nell’economia classica sono offerte dal tasso di interesse. Si tratta dei contratti non PLS, basati sulla forma tecnica del finanziamento a mark-up (murābahah e altri strumenti di debito) di cui si è parlato nel primo capitolo.

I profili di rischio implicati dall’ampia varietà delle forme contrattuali islamiche sono ovviamente molto diversi. Qui di seguito si illustrano alcune considerazioni in merito, seguendo la tradizionale distinzione per tipologia di rischio.

Il rischio di credito - Il rischio di credito è il rischio di non ricevere nel tempo dovuto il flusso

di cassa atteso se il debitore ritarda il pagamento degli interessi o di perdere completamente il capitale prestato se il debitore fallisce. Come si è visto, mentre nel credito tradizionale il costo del finanziamento è rappresentato dal tasso di interesse, nella teoria della finanza islamica la remunerazione del capitale è basata sul principio della partecipazione: il “profit-and-loss-sharing” (PLS). Nel contratto di mushārakah finanziatore e affidato concordano preventivamente le quote di ripartizione dei profitti attesi dal progetto finanziato; tali quote non devono necessariamente corrispondere alle quote di partecipazione al capitale dell’affidato. In caso di fallimento le perdite sono sopportate sulla base dell’apporto di capitale effettuato. Ai fini di una corretta gestione del rischio, la definizione ex ante di tali quote obbliga l’intermediario a valutare la rischiosità del soggetto finanziato (attività consueta anche nella prassi bancaria convenzionale) e contestualmente a incorporare tale valutazione nelle quote di ripartizione dei profitti attesi. L’istruttoria richiesta per questo tipo di operazioni differisce da quella tradizionale, richiede una conoscenza approfondita dell’operatività e del mercato dell’impresa finanziata nonché competenze e metodologie nuove, sia all’audit interno, sia agli organi di vigilanza esterni81.

Come ricordato in precedenza, l’asimmetria informativa tra il conduttore del progetto finanziato (l’agente) e il soggetto finanziatore (il principale) rende possibili comportamenti di moral hazard da parte dell’affidato82. Il rischio di moral hazard cresce con l’incertezza del risultato economico sottostante. La natura del contratto di PLS richiede quindi alla banca islamica un’azione di monitoraggio sul soggetto finanziato significativamente maggiore rispetto al caso convenzionale83. L’azione di monitoraggio è più semplice in Paesi dotati di regolamentazione tributaria evoluta, ma potrebbe diventare molto difficile in Paesi con regimi e controlli tributari incompleti e destrutturati. Nella prassi operativa, le banche islamiche adottano spesso una clausola contrattuale per riservarsi il diritto di effettuare ricognizioni amministrative e approfondimenti di auditing sull’impresa finanziata, qualora il flusso di profitti si riveli inferiore ad una certa soglia minima prestabilita. Tale soglia minima si traduce in un tasso di interesse de facto, in quanto le imprese finanziate dichiarano, di norma, un flusso di profitti non inferiore a quello minimo anche al termine di esercizi poco redditizi, con lo scopo di evitare il controllo amministrativo84.

Problemi di moral hazard possono inoltre insorgere nei rapporti tra banca e depositanti, dove la banca è legata ai risparmiatori da contratti di mudārabah o di mushārakah: sui depositi di

81 Z. Hasan, Determination of Profit and Loss Sharing Ratios in Interest Free Business Finance, 1985; http://mpra.ub.uni-muenchen.de/3013/. 82 I sostenitori della finanza islamica non mancano di sottolineare come lo zelo religioso e la fiducia reciproca tra le controparti siano, almeno in teoria, il migliore antidoto contro il moral hazard nei contratti di finanziamento PLS. 83 V. Sundarajan e L. Errico, “Islamic Financial Institutions and Products in the Global Financial System: Key Issues in Risk Management and Challenges Ahead”, IMF Working paper, n. 192, febbraio 2002. 84 M. El Gamal, Can Islamic Banking survive? A micro-evolutionary Perspective, Madison, University of Wisconsin, 1997.

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investimento la banca non offre alcun tipo di garanzia, ma si impegna a condividere con il depositante i frutti della gestione del capitale. Se da un lato questo consente alla banca di mitigare il rischio di credito, scaricandone una parte sui depositanti-investitori, dall’altro diminuisce l’incentivo al monitoraggio dell’impresa finanziata. Un possibile rimedio potrebbe trovarsi nell’obbligo per la banca di impiegare un’adeguata proporzione del proprio capitale di rischio nel finanziamento all’impresa.

Come è stato osservato85, le diverse modalità di rimborso del finanziamento presso banche islamiche e banche convenzionali possono anche innescare un meccanismo di selezione avversa (adverse selection). Se banche islamiche e convenzionali offrono credito in uno stesso mercato, gli imprenditori con elevate aspettative di guadagno potrebbero preferire le banche convenzionali, al fine di massimizzare gli utili attesi, mentre gli imprenditori che si aspettano minori guadagni o temono delle perdite operative potrebbero scegliere di rivolgersi alle banche islamiche al fine di trasferire su di loro parte dei rischi86.

Per le ragioni suddette, nella prassi operativa della finanza islamica il canale di finanziamento di gran lunga più diffuso è quello del “credito a mark-up”: la banca islamica acquista il bene per conto del cliente e ne rende disponibile l’uso; il cliente a sua volta rimborsa il costo d’acquisto sostenuto dall’intermediario, maggiorato di un premio (mark-up) da cui deriva il profitto della banca. Il rimborso può avvenire in un’unica soluzione (murābahah) o nel corso del tempo (īğārah o leasing). Nel periodo che intercorre tra l’acquisto del bene per conto del cliente e il riscatto del bene da parte del cliente, l’intermediario finanziario islamico (IFI) è il proprietario del bene; di conseguenza esso si assume anche i rischi connessi alla conduzione di un’attività materiale, tra cui il rischio di mercato derivante dall’andamento del prezzo dell’attività. E’ utile considerare che la natura “asset-based” del finanziamento islamico trasforma l’amministrazione dei rischi da un’attività puramente finanziaria di gestione di flussi di cassa a un’attività di amministrazione di beni materiali, mobili e immobili, che presuppone da parte dell’intermediario competenze commerciali adeguate e un accesso veloce e accurato ai dati del mercato dei beni di riferimento, come per esempio la volatilità dei prezzi degli immobili e il comportamento del mercato reale nelle varie fasi del ciclo economico. Queste competenze non sono sempre corrispondenti a quelle di un credit risk manager operante nel settore bancario convenzionale; esse sono indicative della complessità di un intermediario finanziario islamico che, a parità di volume operativo, è in genere maggiore rispetto al caso convenzionale.

Il controllo del rischio di credito con strumenti derivati come i CDS (Credit Default Swap) o le cartolarizzazioni non è ammesso nel sistema finanziario islamico. Il canale della garanzia reale (rahn) è lo strumento principe nella credit risk mitigation islamica. La sharī‘ah limita l’ammissibilità del collateral: sono ammessi soltanto beni tangibili, denaro contante, metalli preziosi, azioni e quote partecipative in attività reali e debiti pregressi del finanziatore verso il finanziato. Il quadro regolamentare è tuttavia in corso di trasformazione ed è verosimile che nel prossimo futuro ulteriori affinamenti delle caratteristiche strutturali del sistema finanziario islamico amplieranno ulteriormente l’ambito degli strumenti ammissibili e delle tecniche di hedging consentite.

I rischi finanziari - Gli intermediari finanziari islamici fronteggiano i rischi finanziari su un

duplice fronte: il primo, condiviso con gli intermediari convenzionali, deriva dall’operatività sui mercati finanziari; il secondo, più peculiare, deriva dall’ambito della stessa erogazione del credito, per via delle forme contrattuali presentate nel paragrafo precedente.

Il rischio equity, legato all’andamento dei mercati azionari, ha in genere dimensioni non trascurabili, data la consistente presenza di titoli azionari nell’attivo delle banche islamiche, sia a scopo di investimento sia di finanziamento. A ciò si aggiunge il fatto che molti prodotti derivati convenzionali non sono ammessi dalla sharī‘ah. Per queste ragioni l’esposizione ai rischi di

85 Vadalà 2006. 86 Vadalà 2004.

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mercato può diventare anche molto rilevante: il Financial System Assessment Program condotto dall’FMI nel 2006 per il Bahrein (uno dei pochi paesi coinvolti nella valutazione che possiede sia un sistema finanziario moderno, sia una significativa presenza di intermediari islamici) ha individuato nel rischio equity uno dei punti di vulnerabilità più significativi per l’insieme delle banche islamiche di quel Paese.

Una declinazione di rischio di mercato tipica dell’intermediazione islamica è il rischio di mark-up. I finanziamenti tipo murābahah, costruiti sul principio del mark-up, ripropongono nella pratica un rapporto contrattuale non distante da quello di un contratto di debito. In genere tali contratti stabiliscono per la controparte un costo standard del finanziamento commisurato a un tasso di riferimento noto ex ante (benchmark rate)87. Il mark-up è determinato sommando un premio per il rischio al rendimento standard (in genere il LIBOR). Oscillazioni del tasso di riferimento a fronte dell’impossibilità di mutare il mark-up dopo la stipula del contratto, espongono la banca ad un “rischio mark-up”, la cui natura e le cui modalità di manifestazione sono del tutto simili a quelle del rischio tasso di interesse fronteggiato dagli intermediari tradizionali. Le tecniche di copertura finanziaria offerte dai derivati e dai titoli strutturati non sono ammesse dalla legge religiosa88. Tuttavia il risk management della finanza islamica si sta dotando di tecniche altrettanto sofisticate per mitigare i rischi finanziari; il quadro regolamentare di riferimento e i pronunciamenti giurisprudenziali stanno attraversando un’intensa fase di evoluzione ed elaborazione. La crescita dei volumi di transazione e del numero di operatori rende le esigenze di standardizzazione dei prodotti e delle procedure di negoziazione e regolamento sempre più stringenti: in marzo 2010 è stato siglato l’accordo tra l’International Swaps and Derivatives Association (ISDA) e l’International Islamic Financial Market (IIFM) in materia di Islamic hedging e di regolamento di “derivati” islamici over the counter89. Tale accordo darà ancor più ampia diffusione di mercato ai derivati di copertura sharī‘ah-compliant, come l’Islamic Profit Rate Swap (IPRS) e i murābahah strutturati.

Come osservato a proposito del rischio di credito, i finanziamenti tramite murābahah e īğārah (leasing finanziario) prevedono il passaggio della proprietà del bene in capo all’intermediario islamico; questo attribuisce grande rilevanza al rischio commodity, dato che l’intermediario si fa carico dei rischi connessi alla conduzione del bene e alle oscillazioni del suo valore di mercato. I contratti di tipo bay‘ al-salām, spesso usati come modalità di finanziamento delle operazioni di compravendita, prevedono la consegna differita di un’attività a fronte di un prezzo pagato al momento della stipula oppure rimborsato a rate nel corso di un tempo prestabilito. Questi contratti espongono l’intermediario a rischi di prezzo tanto maggiori quanto più lungo è il lasso di tempo intercorrente tra il pagamento ricevuto e la data di consegna dell’attività o l’ampiezza del periodo di rimborso. Anche in questo ambito la protezione tradizionalmente offerta dai contratti di copertura basati sui derivati non è ammissibile. Nella prassi operativa si sono quindi sviluppate clausole contrattuali che riproducono de facto gli effetti di un contratto derivato. Ahmed e Khan90 riportano l’esempio della band-al-ihsan (letteralmente “clausola di beneficenza”), in cui le oscillazioni di prezzo che oltrepassano un certo limite e che comporterebbero per una delle due controparti un guadagno troppo grande (o una perdita troppo grave) sono ripartite in misura equa; la controparte che ottiene un vantaggio economico dalla variazione del prezzo è tenuta a compensare la controparte danneggiata.

87 Secondo un parere abbastanza diffuso tra i giuristi islamici, utilizzare il tasso di interesse di mercato come termine di paragone per il prezzo da applicare a una transazione commerciale non costituisce violazione della sharī‘ah, in quanto il tasso di interesse non entra direttamente nella transazione. 88 Si consideri per esempio un contratto di interest rate swap (IRS). Esso viola tre divieti fondamentali della legge islamica: (i) il divieto di interesse (ribā), (ii) il divieto di stipulare contratti che non siano specificati in termini certi sulle variabili fondamentali prezzo e quantità (gharār), (iii) il divieto di speculazione e/o di gioco d’azzardo (maysīr). 89 Cfr. http://www.isda.org/media/press/2010/press030110.html. 90 H. Ahmed e T. Khan, in Handbook of Islamic Banking, a cura di M. Kabir Hassan e M. K. Lewis, Edward Elgar, Cheltenham – Northampton, 2007.

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Il rischio di recesso e il displaced commercial risk - L’assenza di un tasso di remunerazione prestabilito sui depositi, l’assenza di garanzia di restituzione e la variabilità del rischio fronteggiato dal depositante, legato alla banca da un contratto di mudārabah, rendono più volatile la raccolta di depositi per una banca islamica; essa è più esposta al rischio di “corsa agli sportelli”, dato che l’assicurazione sui depositi non è consentita dalla sharī‘ah. Essa è inoltre continuamente esposta al rischio di perdere capacità attrattiva dei depositi a vantaggio di altri intermediari (Ahmed e Khan, 2007). Nella prassi operativa i conti correnti (depositi a vista) non sono remunerati: il premio per il depositante consiste nell’usufruire del connesso servizio di custodia della liquidità. Nel caso dei depositi a termine la remunerazione consiste nella partecipazione agli utili bancari, in proporzione alla consistenza dei depositi91. Nel settore convenzionale la competizione tra banche sul fronte della raccolta comporta una convergenza dei tassi di interesse applicati ai depositi, che a sua volta conduce a una stabilizzazione delle quote di mercato detenute dai singoli intermediari. In un sistema bancario islamico informato al principio del PLS, la concorrenza dovrebbe condurre a convergenza sul profitto medio corrisposto alle quote partecipative. La convergenza di tali quote non è scontata, anche perché a differenza dei tassi di interesse esse non sono in genere modificabili nel corso della relazione contrattuale.

La pressione competitiva derivante dalla possibilità che investitori insoddisfatti dal flusso di rendimenti ottenuti dal contratto PLS recedano dal contratto e investano presso un altro intermediario più "fruttuoso", espone gli intermediari islamici ad un particolare (e ineliminabile) tipo di rischio definito come “displaced commercial risk”. Esso si sostanzia nel rischio che la banca islamica sia costretta a rinunciare alla sua quota di profitti stabilita ex ante nel contratto PLS per pagare all'investitore un rendimento “competitivo”, anche maggiore di quanto la quota nel progetto finanziato tramite PLS implicherebbe; la banca rinuncia alla sua quota di profitto per sostenere il confronto con la concorrenza e pagare una quota di profitto maggiore all’investitore, così da disincentivarne il passaggio a intermediari più remunerativi.

La decisione di stornare il proprio flusso di profitti a favore degli investitori è una decisione commerciale e strategica delicata dai risvolti sistemici rilevanti, a volte anche destabilizzanti per la banca92. Questo ambito, in cui disciplina della concorrenza e salvaguardia della stabilità del sistema si intrecciano strettamente, deve essere adeguatamente regolato e monitorato dalle Autorità di Supervisione.

Il rischio operativo e il rischio legale - Il rischio operativo è il rischio di incorrere in perdite o in costi aggiuntivi a causa di malfunzionamenti legati alla tecnologia operativa, alla sicurezza dei sistemi interni, al mancato rispetto dei regolamenti, a frodi e a carenze nei controlli interni. Tale fattispecie di rischio può risultare accentuata, nel caso della finanza islamica, dall’elevata complessità gestionale implicata dal criterio di PLS. Inoltre, la scarsità di standardizzazione contrattuale riscontrata nell’Islamic banking può ostacolare la semplificazione delle procedure di risk management e di controllo interno e la tracciabilità delle singole operazioni. La carenza di software gestionali adeguati alle esigenze degli intermediari islamici, soggetti ancora relativamente nuovi sul mercato delle IT finanziarie e contabili, può altresì complicare il tentativo di migliorare gli standard gestionali interni (Ahmed e Khan, 2007).

Al rischio operativo inteso in senso tradizionale si aggiunge il rischio legale che, nel caso dell’intermediazione islamica, assume una dimensione specifica legata sia all’obbligo di rispettare la legge religiosa, sia alla necessità di seguire le evoluzioni della sua giurisprudenza; tale rischio è comunemente identificato come sharī‘ah risk. In primo luogo vi è l’obbligo di compliance con la legge islamica. Le nuove forme tecniche, i nuovi prodotti, i nuovi piani di investimento devono

91 Ad essa può aggiungersi l’accesso a fringe benefits collegati di varia natura. 92 A partire dalla metà degli anni 80 fino alla fine della decade, l’intermediario egiziano International Islamic Bank for Investment and Development iniziò a distribuire profitti solamente ai titolari di investment accounts, escludendo gli shareholders (per trattenere la clientela). Nel 1988, i profitti non furono più in grado di coprire il rate of return che la banca continuava a destinare alla clientela. Queste irregolarità contabili portarono all’amministrazione controllata da parte della banca centrale egiziana, all’apertura di contenziosi e infine al default.

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essere giudicati conformi alla sharī‘ah prima di poter essere trattati da una banca islamica. Il rischio di valutare in maniera impropria prodotti e operazioni, ossia di giudicare halāl (lecito) ciò che invece è harām (illecito), espone la banca ad una particolare forma di rischio legale, particolarmente complessa nel caso in cui la banca operi in un Paese con ordinamento giuridico laico: cosa accade nel caso in cui la liceità religiosa di un prodotto, asseverata dallo Sharī‘ah Board, è messa in discussione da altri, autorevoli giureconsulti islamici? Un siffatto pronunciamento contrario infliggerebbe alla banca un danno reputazionale, ma i contratti posti in essere secondo il diritto civile resterebbero comunque validi, anche se il regolamento degli stessi potrebbe incontrare complicazioni. Tale rischio può essere in parte controllato attraverso un’accurata selezione dello Sharī‘ah Board La scarsità di consulenti legali islamici esperti al contempo sia di sharī‘ah sia di finanza è stato fino a oggi il principale limite all’innovazione finanziaria di prodotti sharī‘ah-compliant93.

In secondo luogo vi è il problema dell’evoluzione giurisprudenziale del fiqh (corpo giurisprudenziale islamico). Successive fatawā (pronunciamenti legali-religiosi) potrebbero ampliare o restringere l’ambito degli strumenti e delle pratiche consentite. Gli effetti di mutamenti giurisprudenziali rappresentano un rischio da non sottovalutare, soprattutto per quegli intermediari che svolgono operazioni al limite dell’ammissibilità religiosa. Anche in questo caso si porrebbe il problema di come conciliare illiceità religiosa e validità giuridica del contratto, che nei sistemi legali occidentali sono qualificazioni distinte.

In terzo luogo vi è il problema del raccordo tra le caratteristiche dei prodotti finanziari islamici e l’impianto giuridico civilistico basato sui sistemi di civil law o di common law. Il problema è particolarmente rilevante per i Paesi occidentali, ma è comunque presente anche in quei Paesi di cultura musulmana che hanno un sistema civilistico basato sull’impianto giuridico occidentale. Alcuni obblighi derivanti dalla legge religiosa potrebbero risultare incompatibili con l’ordinamento giuridico del Paese in cui la banca islamica opera94. Quali obblighi di condotta religiosa sussistono in capo all’affidato di una banca islamica? Se un soggetto, finanziato tramite partecipazione al capitale (PLS), prendesse successivamente all’accordo del fido decisioni non compatibili con la sharī‘ah (per esempio acquisendo partecipazioni in un settore considerato harām o producendo beni e servizi non conformi all’orientamento del fiqh), ma perfettamente legittime per il diritto del Paese ospitante, cosa accadrebbe alla relazione con il finanziatore – socio partecipante?

Il rischio legale è attualmente uno degli aspetti critici della finanza islamica, ma l’integrazione legale e la definizione di procedure di risoluzione delle controversie, nonché la standardizzazione internazionale del diritto islamico potrebbero in futuro risolvere alcune questioni aperte e ridurre la rilevanza del rischio.

Il rischio liquidità - Il rischio liquidità è il rischio di non riuscire a rispettare nel tempo dovuto gli

obblighi contrattuali per la difficoltà di procurarsi denaro liquido. È influenzato soprattutto dal merito creditizio dell’intermediario, dalle condizioni macroeconomiche, dal funzionamento del sistema dei pagamenti, dallo stato del mercato interbancario. Si è soliti distinguere due dimensioni del rischio liquidità. La prima deriva da possibili deterioramenti della capacità di reperire finanziamenti e consiste nell’impossibilità di liquidare le poste dell’attivo o di ottenere finanziamenti sul mercato interbancario in tempo utile: questa dimensione è nota come “funding liquidity risk”. La seconda dimensione, nota come “market liquidity risk”, concerne la qualità del mercato della liquidità e la facilità di contrattazione, sia in termini di spread denaro-lettera che di rapidità di negoziazione: se i mercati sono sottili o sono bloccati, il prezzo a cui si riesce a liquidare le poste dell’attivo può ridursi considerevolmente, innalzando i costi del finanziamento. 93 AA.VV., Making the Transition From Niche to Mainstream Islamic Banking and Finance: A snapshot of the Industry and its challenges today, KPMG Intl., 2006 94 Si veda il caso della tutela dei depositi delle banche islamiche nel Regno Unito, incompatibile con la sharī‘ah, risolto provvisoriamente dalla Financial Services Authoriry (FSA) garantendo ai depositanti il diritto di rinunciare ex-post alla garanzia, optando invece per un rimborso con criterio partecipativo (ossia parziale).

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Le due dimensioni del rischio liquidità sono spesso sovrapposte in una doppia dimensione tempo-prezzo su cui si misura il costo della liquidità. La gestione del rischio liquidità si effettua quindi operando sulla trasformazione delle scadenze delle poste attive e passive95.

Le banche islamiche hanno a disposizione un numero più ristretto di vie di accesso al mercato internazionale della liquidità, soprattutto per la mancanza di un consolidato mercato monetario interbancario sharī‘ah-compliant. Per quanto la loro ridotta operatività in financial trading e l’assenza di obbligo di rimborso dei depositi di investimento ne ridimensioni il fabbisogno effettivo, la ristrettezza dei canali di approvvigionamento e la mancanza di procedure di netting-out condivise a livello internazionale contribuisce a fare della liquidità delle banche islamiche un problema aperto96.

A differenza delle banche convenzionali, le banche islamiche non possono cartolarizzare crediti e non possono rivendere facilmente gli asset sul mercato secondario, sia per il divieto di gharār (che comprende il financial trading) sia per la mancanza di mercati secondari sufficientemente spessi e liquidi. Il mercato interbancario convenzionale, governato dalla struttura dei tassi di interesse, non è accessibile alle banche islamiche. Le esigenze operative e l’iniziativa privata hanno portato al consolidamento di prassi per il rifinanziamento degli intermediari islamici basate sullo strumento del murābahah con sottostante reale (cfr. il quarto capitolo) e più recentemente alla costituzione di mercati interbancari islamici regolamentati. La costituzione di questi mercati è stata anche agevolata dall’abbondanza di liquidità nei Paesi del Golfo. Il basso costo della liquidità ha contribuito a compensare le carenze strutturali tipiche dei mercati nascenti; la loro dimensione, sicurezza e qualità di regolamentazione è comunque ancora inferiore a quella dei mercati globali convenzionali.

2.2. La finanza islamica: quali implicazioni per la stabilità?

L’integrazione di intermediari islamici operanti a pieno titolo all’interno di sistemi finanziari convenzionali ed evoluti è un fenomeno recente. La loro presenza è diffusa in molti Paesi, ma solo in pochi di essi la rilevanza del settore assume dimensioni significative (cfr. Allegato 1). Laddove gli intermediari islamici si limitano a operare come banche di nicchia, le implicazioni sistemiche sono contenute. All’opposto, nei Paesi con economie completamente “islamizzate” (come Iran e Sudan) è l’intero sistema istituzionale che viene costruito su presupposti giuridici del tutto diversi e la domanda sulle implicazioni della finanza islamica perde di significato: in tal caso non è più “la banca islamica” che influenza la stabilità del sistema, ma è il diverso sistema di regole che influenza la stabilità dei singoli intermediari.

Il caso più interessante dal punto di vista dell’organo di supervisione è quindi quello in cui una quota rilevante di intermediari islamici entra a far parte di un sistema finanziario convenzionale, dotato di regole preesistenti, che devono essere generalizzate per consentire un equo inquadramento di tutti gli intermediari (leveled playing field). E’ in tali contesti ibridi che si pone il problema delle implicazioni della presenza di banche islamiche per la stabilità del sistema. Contesti di questo tipo sono a oggi ancora relativamente rari e l’esperienza sul loro funzionamento ha storia breve. Cercare di definire e qualificare le implicazioni per la stabilità è un compito abbastanza difficile.

95 Sotto questo aspetto, le istituzioni finanziarie islamiche possono differire anche di molto da quelle convenzionali; le diverse forme contrattuali presenti nell’attivo e nel passivo possono implicare una struttura delle scadenze assai diversa da quella tipica di una banca convenzionale. 96 Il problema è oggi reso meno evidente dall’ampia disponibilità di risorse liquide su cui le banche islamiche più grandi possono contare, grazie alle rendite petrolifere dei Paesi del Golfo in cui sono basate. Durante la crisi finanziaria del 2000-2001 in Turchia le banche islamiche soffrirono gravissimi problemi di liquidità e una di esse andò in bancarotta per insolvenza (MOODY’S ®, “Global Credit Research”, in Risk Issues at Islamic Financial Institutions, gennaio 2008.).

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Secondo alcuni analisti (Chong e Liu, 2007) la maggiore diffusione dei contratti a mark-up rispetto a quelli di tipo PLS nella pratica degli intermediari islamici condurrebbe a una sostanziale equivalenza operativa tra banche islamiche e banche tradizionali. Non sussisterebbero quindi, almeno in linea teorica, ragioni per attendersi una sostanziale difformità nel comportamento economico di questi intermediari e nella loro rischiosità complessiva. Essi necessitano quindi degli stessi presidi prudenziali e della stessa architettura regolamentare di cui si avvale il sistema finanziario convenzionale. Queste valutazioni costituiscono l’orientamento prevalente e gli standard setter della finanza islamica (IFSB e AAOIFI) cercano di promuovere una progressiva convergenza verso i principi prudenziali e contabili di Basilea 297.

L’indagine empirica dell’operatività delle banche islamiche su larga scala è possibile solo da pochi anni, dato che il fenomeno ha assunto dimensioni globali solo recentemente. Tale analisi rivela differenze strutturali e particolari sensibilità degli intermediari islamici rispetto a specifici profili di rischio; ciò implica un diverso grado di rischiosità e una diversa capacità di resistenza a shock estremi.

L’evidenza emersa nel Financial Sector Assessment Program per il Bahrein, condotto nel 2006 sotto la supervisione del Fondo Monetario Internazionale, indicava che le banche islamiche avevano in generale indici di capitalizzazione più elevati (e return on equity relativamente minori) rispetto alle controparti tradizionali e, mentre queste effettuavano molti prestiti personali, le banche islamiche, pur effettuando anch’esse molti prestiti personali, erano maggiormente esposte sul settore immobiliare (cfr. Allegato 7): gli investimenti nel real-estate erano quasi il triplo rispetto alla quota investita dalle banche tradizionali.

Dall’analisi di sensitività sistemica emerge che le banche islamiche sono più esposte al rischio equity rispetto alle banche convenzionali: “The potential losses are substantial for most Islamic banks, which suggests that, compared to their conventional counterparts, Islamic banks take on significantly more exposure to equity price risk on behalf of the investment account holders”98. Non è possibile stabilire con un’analisi di stress test se la maggiore esposizione al rischio equity derivi da copertura finanziaria poco efficace o se tale vulnerabilità derivi da comportamenti di moral hazard derivanti dalle forme contrattuali utilizzate dalle banche islamiche.

Altre differenze significative tra intermediari convenzionali e intermediari islamici emergono con riguardo all’efficienza operativa. Sebbene negli ultimi anni le tecniche econometriche di misurazione dell’efficienza operativa abbiano fatto notevoli passi in avanti, la loro applicazione all’analisi dell’efficienza delle banche islamiche è stata relativamente ridotta, a causa della scarsità di dati disponibili. Tale carenza è complicata anche dalla difficoltà di procedere ad analisi di efficienza inserendo nello stesso campione banche operanti in paesi diversi; l’impatto del quadro regolamentare e il ruolo del diverso grado di integrazione degli intermediari islamici all’interno del sistema bancario convenzionale possono introdurre distorsione nella stima dei parametri di efficienza e inficiare la validità dei risultati.

Uno studio di questo tipo99 è stato condotto sul sistema bancario della Malaysia, dove le banche islamiche, pur detenendo nel 2003 soltanto il 4 per cento circa dell’attivo patrimoniale del sistema, hanno conosciuto un’espansione con tassi di crescita a tre cifre100. L’analisi ha preso in esame il quinquennio 1997–2003, periodo caratterizzato dalla liberalizzazione del mercato finanziario malese. Nello studio si mostra l’esistenza di un divario di efficienza tra banche islamiche e banche tradizionali; l’ampiezza di tale divario sarebbe però in diminuzione, sia per la

97 C. Porzio (a cura di), ,Banca e Finanza Islamica, Bancaria Editrice, 2009. 98 FSSA for Bahrein, IMF Country Report n. 06/91, March 2006, pag. 40. 99 S. A. M. Hamim, A. Naziruddin e S. M. Al-Habshi, “Efficiency and competition of Islamic Banking in Malaysia”, Humanomics, 2006. 100 L’attivo totale di bilancio ascrivibile ad intermediari “islamicamente attivi” (ossia comprendenti sia banche islamiche sia sportelli islamici di banche tradizionali) è cresciuto di oltre il 300% in cinque anni, passando da 18 milioni di ringgit nel 1997 a oltre 77 milioni di ringgit nel 2003. Il trend è proseguito negli anni successivi, e la rilevanza del settore islamico è rimasta contenuta solo a causa della crescita del settore finanziario convenzionale.

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crescente concorrenza nei mercati finanziari, che coinvolge anche il settore della finanza islamica, sia per la progressiva diffusione di tecnologie e di modelli manageriali più moderni e allineati con gli standard globali dell’industria.

Al tema dell’efficienza e della redditività delle banche è strettamente collegato quello della rischiosità dell’intermediario e quindi della stabilità sistemica. Uno studio più generale, condotto dal Fondo Monetario Internazionale101, prende in esame un campione multinazionale di banche islamiche. Il contributo scientifico è rilevante, perché si tratta di uno dei primi tentativi di affrontare direttamente il problema della stabilità degli intermediari islamici conducendo un’analisi econometrica cross country, analizzando comparativamente banche islamiche e banche tradizionali tramite un indice di stabilità costruito a partire da dati di bilancio. Il concetto di rischiosità preso in esame è molto vicino a quello di solvibilità dell’intermediario, ed è condensato nello “z-score”. La formula dello z-score è102:

Patrimonio di base Reddito medio + Totale attività Totale attivitàZ-score

Volatilità dei rendimenti .

Maggiore è lo z-score, minore è il livello di rischiosità associato all’intermediario. La rischiosità diminuisce all’aumentare del grado di patrimonializzazione e della redditività, mentre aumenta con la volatilità dei risultati economici dell’intermediario. Tale indice è neutrale rispetto al posizionamento scelto dall’intermediario sul vincolo di trade-off tra volatilità e redditività; fornisce una misura di rischiosità teoricamente scevra da ogni influenza derivante dal tipo di operatività. L’analisi econometrica vuole isolare l’impatto dell’essere islamico (espresso come variabile binaria) sulla stabilità/rischiosità dell’intermediario, depurandolo da tutte le altre variabili rilevanti che possono contribuire a spiegare lo stesso fenomeno: caratteristiche istituzionali, composizione del portafoglio dell’attivo, congiuntura, ambiente macroeconomico, qualità della governance.

L’analisi empirica indica l’esistenza di un’interazione tra islamicità dell’intermediario e dimensione operativa. Nel complesso, a parità di altre condizioni, le banche islamiche sono leggermente meno rischiose delle controparti tradizionali; se, tuttavia, si scompone l’analisi per classe dimensionale, si trova che le banche islamiche di piccola dimensione sono significativamente meno rischiose delle controparti tradizionali di simile dimensione, mentre le banche islamiche più grandi sono significativamente più rischiose delle controparti tradizionali103. Le differenze all’interno di ciascuna classe dimensionale risultano più marcate di quanto non appaia considerando l’insieme di banche per intero (cfr. tabella). (Čihak e Hesse 2008)

Totale banche Banche grandi Banche piccole

Tipo intermediario

Tradizionali Islamiche Tradizionali Islamiche Tradizionali Islamiche

z-score 18,1 20,2 19,5 12,9 17,2 25,0 Impieghi/Attivo 0,52 0,52 0,52 0,56 0,51 0,50

Le banche islamiche di piccole dimensioni hanno un indice di stabilità molto maggiore delle banche islamiche grandi. La dimensione operativa sembra quindi svolgere un ruolo importante e opposto rispetto a quanto si osserva per gli intermediari tradizionali: mentre questi appaiono più 101 M. Čhiák e H. Hesse, Islamic Banks and Financial Stability: An Empirical Analysis, International Monetary Fund, 2008. 102 Lo z-score è normalmente definito come k r

, dove k rappresenta il rapporto tra il patrimonio totale e l’attivo

totale, r rappresenta il rapporto tra il reddito medio e il totale dell’attivo e σ è una proxy della volatilità dei redditi generati (Čihák e Hesse, 2008, pag 7). 103 Nello studio si considerano banche “grandi” quelle con un totale attivo maggiore di un miliardo di dollari USA.

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stabili al crescere della dimensione operativa, gli intermediari islamici più stabili sembrano essere quelli di dimensione più ridotta. La comprensione di questo fatto è di fondamentale importanza al fine di costruire un’adeguata policy di vigilanza sulle banche islamiche, e presuppone una migliore conoscenza del modo di operare di questi intermediari.

I profili di rischio caratteristici, analizzati nella sezione precedente, forniscono un punto di partenza per avanzare una possibile interpretazione del risultato empirico di Čihák e Hesse: le banche islamiche sembrano perdere stabilità al crescere della dimensione operativa. I particolari problemi di risk management in cui incorre l’intermediario islamico e le difficoltà di controllo interno derivanti dalla maggiore complessità operativa possono essere più facilmente gestibili se le dimensioni operative sono ridotte. Questo spiegherebbe la migliore performance delle banche islamiche più piccole rispetto alle banche di maggiori dimensioni.

Un altro risultato emerso dall’analisi di Čihák e Hesse riguarda l’impatto della dimensione del settore islamico sulla rischiosità dell’industria finanziaria islamica nel suo insieme: l’analisi empirica mostra che al crescere del peso della finanza islamica all’interno del sistema finanziario nazionale, diminuisce lo z-score medio delle banche islamiche. Le ragioni per cui ciò possa accadere sono varie. La più semplice è che all’aumentare del numero degli intermediari islamici, aumenta la concorrenza nel relativo segmento di mercato e diminuisce il margine di mark-up che è la base dei profitti. In secondo luogo, i mercati in cui gli intermediari islamici operano in condizioni di minoranza rispetto al resto del sistema sono in genere quelli più avanzati e regolamentati: questo obbliga le banche islamiche al rispetto di norme regolamentari più stringenti di quelle applicate alle loro omologhe operanti in contesti dove la finanza islamica è più radicata104.

Questi confermano le valutazioni che era possibile trarre da quanto delineato nella prima parte del capitolo: le banche islamiche presentano maggiori livelli di complessità operativa (crescente con la dimensione) e affrontano problemi di risk management che crescono con la dimensione della massa intermediata. Problemi particolarmente delicati si incontrano sul fronte del rischio legale-operativo e del monitoraggio del rischio di credito. E’ probabile che lo sviluppo ulteriore della concorrenza e dell’efficienza operativa del settore possano in un prossimo futuro mutare i risultati che emergono da analisi di questo tipo. Molto dipenderà dall’armonizzazione delle regole finanziarie, dal grado di integrazione degli intermediari islamici all’interno dell’infrastruttura finanziaria globale e dallo sviluppo di modelli manageriali evoluti e adatti alla crescente complessità del mercato di riferimento. L’evidenza dei dati di mercato indica che l’integrazione non solo è in atto, ma procede con rinnovato slancio.

2.3. Conclusioni

Le analisi condotte mostrano che gli intermediari islamici non sono necessariamente più rischiosi delle controparti tradizionali, ma evidenziano come le diverse forme tecniche dei contratti finanziari si traducono in un differente schema di interconnessione dei rischi finanziari e in una complessità operativa maggiore.

L’analisi empirica fornisce una conferma del quadro emerso dalla disamina dei rischi finanziari condotta nella prima parte: la complessità operativa degli intermediari islamici di maggiori dimensioni, laddove non adeguatamente gestita, comporta minori livelli di efficienza e maggior grado di instabilità rispetto a quanto avviene nella gestione tradizionale. Le modalità di erogazione del credito presuppongono, infatti, una più stretta integrazione tra ente finanziatore e soggetto finanziato, in primo luogo per l’esigenza di un monitoraggio più stretto sugli investimenti. Allo

104 Infine, la presenza di intermediari islamici, percepiti come soggetti “nuovi” in mercati tradizionali in cui operano in condizioni di minoranza, potrebbe attirare su di loro maggiore attenzione degli organi di supervisione rispetto a quanto accade nei mercati dove la loro presenza è consolidata; questa circostanza scoraggerebbe eventuali comportamenti di moral hazard che, come mostrato, sono possibili all’interno del sistema creditizio islamico.

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stesso tempo sembra invece di potersi riconoscere una notevole capacità competitiva delle banche islamiche di minori dimensioni, che risultano, a parità di condizioni, meno rischiose delle controparti tradizionali di pari grandezza; la ridotta dimensione consente di eliminare gli effetti negativi legati alla complessità gestionale e operativa, rende possibile un monitoraggio più efficace dei soggetti finanziati e quindi consente di apprezzare l’effetto stabilizzante indotto dal minore rischio intrinseco ad alcune forme tecniche tipiche della finanza islamica.

Fino a che punto la dimensione ridotta può costituire un vantaggio operativo o essere sostenibile in un’arena competitiva globale? La capacità di innovare e di investire in tecnologia e formazione manageriale potrebbe non avere adeguato sviluppo nel caso di un sottodimensionamento operativo. La costituzione dell’International Financial Services Board (IFSB) alla fine del 2002 e l’accordo tra ISDA e IIFM del marzo 2010 (il cosiddetto “accordo tahawwut” che definisce regole e criteri comuni per operazioni di hedging sharī‘ah-compliant) sono passi decisivi verso l’ambizioso ma necessario obiettivo di standardizzazione degli strumenti di risk management, delle metodologie di netting e dei principi contabili a livello globale. Fino a quando non esisterà un criterio affidabile e condiviso per la determinazione dell’adeguatezza patrimoniale degli intermediari islamici, fino a quando non si consolideranno efficaci modelli di pricing e tecniche di risk management, uniformi procedure di regolamento e compensazione, un’efficiente gestione della liquidità, una definizione del quadro regolamentare pienamente coerente con i principi di Basilea e la diffusione di adeguate competenze gestionali (non da ultime quelle relative all’attività dello Sharī‘ah Board), non sarà possibile attendersi una piena integrazione nel circuito finanziario mondiale.

E’ difficile prevedere come e quanto la finanza islamica riuscirà ad espandersi nel sistema finanziario occidentale. Se il fattore religioso non sarà anteposto a considerazioni di carattere puramente economico quali la redditività degli investimenti o l’efficienza del servizio finanziario offerto, come le indagini campionarie sembrano suggerire105, allora la concorrenza tra intermediari islamici e intermediari tradizionali sarà più forte, perché la finanza islamica sarà in grado di attrarre anche clienti e investitori non islamici. In caso contrario la finanza islamica rimarrà attiva su un segmento di mercato ben delimitato, con conseguenze ed implicazioni sistemiche più modeste.

105 I.A. Hegazy, “An Empirical Comparative Study Between Islamic and Commercial Banks Selection Criteria in Egypt”, International Journal of Contemporary Management, 1995. T.K. Naser, A. Jamal e K. Al-Katib, “Islamic Banking: a Study of Customer Satisfaction and Preferences in Jordan”, in International Journal of Bank Marketing, 1999.

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CAPITOLO TERZO

REGOLAMENTAZIONE E VIGILANZA DELLE ISTITUZIONI FINANZIARIE ISLAMICHE (IFI)

3.1 L’approccio alla vigilanza sulle IFI

Secondo alcune tesi, diffuse soprattutto in passato, lo spirito etico-religioso che anima la finanza islamica e la condivisione dei rischi che caratterizza l’operatività delle IFI106 attenuerebbero o farebbero addirittura venire meno i presupposti che nel contesto convenzionale giustificano la vigilanza sugli intermediari finanziari. L’analisi delle caratteristiche operative delle IFI mettono, peraltro, in luce significative similitudini con la finanza convenzionale; emergono, inoltre, profili specifici di rischio, come il displaced commercial risk107 o il rischio fiduciario relativo alla mancata osservanza dei precetti religiosi ai quali le autorità di vigilanza sulla finanza islamica prestano sempre più attenzione.

3.1.1 La vigilanza prudenziale

Il punto centrale del dibattito teorico sulla vigilanza prudenziale delle IFI è rappresentato dalla funzione dei contratti partecipativi (mudārabah e mushārakah) e, in particolar modo, dei depositi partecipativi che – a differenza dei depositi delle banche convenzionali – sarebbero destinati ad assorbire le eventuali perdite di gestione108.

Il modello operativo oggi prevalente porta a ritenere che le banche islamiche siano di fatto assimilabili alle banche universali, con la conseguenza che verrebbero meno molti degli argomenti portati a sostegno delle tesi contrarie all’applicazione alle IFI dei requisiti prudenziali. Le banche islamiche tendono sempre più a offrire ai clienti musulmani prodotti e servizi comparabili con quelli offerti dalle istituzioni convenzionali, e a ricorrere in prevalenza a operazioni basate sulla vendita o sulla locazione finanziaria, ritenute meno rischiose delle attività di tipo partecipativo e più adatte ai bisogni dei clienti retail. Sul fronte del passivo, la raccolta tende a comprendere un numero significativo di depositi a vista o a brevissima scadenza, anche se i depositi partecipativi di tipo aperto rappresentano la forma tecnica più utilizzata. Le IFI più evolute sono in grado di offrire, sotto forma di depositi partecipativi aperti e chiusi, servizi di private banking destinati alla clientela più facoltosa. I depositi partecipativi chiusi somigliano molto alle gestioni patrimoniali delle istituzioni convenzionali; ne differiscono però sotto il profilo strutturale, poiché non prevedono l’obbligo della banca islamica di mantenere i fondi del cliente distinti dai fondi propri

106 La locuzione IFI indica, nel lessico utilizzato dagli esperti di finanza islamica, un’istituzione che svolge attività di finanziamento e raccolta di fondi secondo schemi rispondenti ai precetti della sharī‘ah e che non svolge attività di tipo assicurativo (takāful); in questa sezione è utilizzato come sinonimo di banca islamica. 107 Cfr. supra, paragrafo 2.1. 108 Secondo alcuni studiosi, le banche islamiche presenterebbero, rispetto alle banche convenzionali, un miglior bilanciamento tra le poste dell’attivo e del passivo del bilancio, poiché sui due versanti figurerebbero, non già crediti e debiti, ma contratti basati sulla compartecipazione agli utili e alle perdite (cosiddetto two tiers mudārabah). In pratica, le IFI assomiglierebbero dal punto di vista funzionale alle banche di investimento convenzionali. Tale caratteristica renderebbe più agevole la gestione dei rischi e la trasformazione delle scadenze, facendo venire meno buona parte delle ragioni che in ambito convenzionale giustificano l’assoggettamento delle banche di deposito a limiti e controlli sull’operatività. Inoltre, non vi sarebbe motivo per richiedere alle banche islamiche di mantenere una quota di fondi propri a garanzia di perdite sugli impieghi a rischio, poiché i fondi raccolti mediante strumenti partecipativi sarebbero – a differenza dei depositi convenzionali – destinati ad assorbire tali perdite. Infine, alcuni studi segnalano che i titolari dei depositi partecipativi svolgerebbero un ruolo assimilabile a quello degli azionisti ai fini del monitoraggio dell’attività dell’impresa e dei comportamenti del management (Cfr. L. Dalla Pellegrina, “Coefficienti di capitale, efficienza e governance: banche occidentali e banche islamiche. La competitività dell’industria bancaria”, IX Rapporto sul sistema finanziario italiano, Fondazione Rosselli, 2004.

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e dal resto dei depositi fiduciari. Infine, le banche islamiche sono attive anche nell’ambito dei servizi di pagamento, con l’emissione di carte di credito e di debito.

Le opzioni regolamentari proposte nella teoria e dalla prassi sono riconducibili a tre alternative. La prima ipotesi si basa sull’assimilazione dei depositi partecipativi al capitale azionario, consentendo nella sostanza di includerli nell’ambito dei fondi propri ai fini del calcolo dei coefficienti patrimoniali. Tale prassi non risulta seguita dalle banche islamiche, né avvalorata dalle autorità di vigilanza, per le differenze sostanziali nel regime delle risorse conferite in capitale e in quelle immesse nei depositi partecipativi. Questi ultimi, che a differenza delle partecipazioni ordinarie al capitale non assicurano ai titolari un’influenza sulla gestione della Banca, non rappresentano una risorsa patrimoniale stabilmente acquisita, poiché ai titolari è data facoltà di ritirare i fondi a scadenze determinate e tale facoltà viene spesso esercitata ai primi segnali di scarsa redditività della banca. Si tratta del cosiddetto displaced commercial risk a fronte del quale le IFI, con l’avallo o su indicazione delle autorità di vigilanza, tendono ad assicurare ai titolari di depositi partecipativi i profitti attesi, vuoi sottraendoli da quelli destinati agli azionisti o a incremento del patrimonio, vuoi attingendo da riserve appositamente costituite: la Profit Equalisation Reserve (PER) finalizzata ad “appiattire” i profitti durante le fasi positive del ciclo e la Investment Risk Riserve (IRR), tesa ad assorbire le perdite inattese; tali prassi, seppur salutari ai fini della stabilità dei singoli intermediari e di contenimento del rischio sistemico, avrebbero però snaturato l’essenza islamica del deposito partecipativo, poiché tenderebbero ad assicurare ai depositanti islamici un rendimento e una sicurezza paragonabili a quelli offerti ai depositanti delle banche convenzionali.

La seconda ipotesi consiste nella possibilità di destinare i depositi partecipativi a copertura totale o parziale delle perdite derivanti dagli investimenti effettuati con contratti partecipativi. In quest’ottica, alcuni studiosi di finanza islamica hanno elaborato uno schema noto come two-windows mudārabah, secondo il quale il bilancio di una banca islamica può essere teoricamente diviso in due sezioni orizzontali (o windows): una prima sezione comprenderebbe al passivo la raccolta in depositi partecipativi e all’attivo gli impieghi sotto forma di contratti partecipativi (mudārabah o mushārakah). Nella seconda sezione figurerebbero i depositi non partecipativi e gli impieghi effettuati attraverso operazioni basate sulla vendita o sulla locazione. In tal caso i rischi di squilibrio finanziario riguarderebbero solamente le poste e le attività della seconda finestra, per coprire i quali è ritenuto necessario prevedere limiti prudenziali disegnati in modo da escludere in tutto o in parte dal computo delle attività a rischio le operazioni di tipo partecipativo finanziate con i depositi partecipativi.

In alternativa e soprattutto a fini contabili, l’AAOIFI ha suggerito di suddividere i rischi tra gli azionisti e i titolari di depositi partecipativi. In particolare, il 50 per cento dei rischi delle attività finanziate con i depositi di tipo partecipativo sarebbero sopportati dai titolari di questi conti, mentre il restante 50 per cento sarebbe a carico degli azionisti. In altri termini, il coefficiente di solvibilità verrebbe determinato ponendo al denominatore della formula il totale delle attività a rischio finanziate attraverso depositi non partecipativi e solo la metà di quelle finanziate mediante depositi partecipativi. Tale ipotesi consentirebbe alle IFI di sfruttare la partecipazione al rischio insita nei depositi partecipativi, riconoscendo tuttavia a fini prudenziali che i titolari di questi conti sono meno disponibili rispetto agli azionisti a sopportare le perdite di gestione.

Questi ultimi due approcci (two-windows model e AAOIFI) sono alla base delle più moderne proposte in materia di vigilanza sulle IFI accolte a livello internazionale, che tendono a riconoscere ai depositi partecipativi una natura ibrida, a metà strada tra il capitale di rischio e il tradizionale deposito bancario.

Infine, una terza ipotesi consisterebbe nell’isolare dal punto di vista contabile e gestionale i depositi partecipativi rispetto alle altre passività, per destinarli esclusivamente al finanziamento di impieghi strutturati in forma partecipativa. In altri termini, una IFI potrebbe avere una gestione per le attività di banca commerciale – consistenti nella raccolta attraverso depositi non partecipativi (o comunque a brevissima scadenza) e nell’impiego in attività di tipo lease and sale – e una gestione per le attività di banca di investimento o di risparmio gestito, ove confluirebbero i depositi partecipativi e i finanziamenti di tipo partecipativo. Ciascuna gestione sarebbe soggetta ai

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requisiti autorizzativi, organizzativi e prudenziali previsti nei vari ordinamenti per la specifica attività. Tale approccio rende più agevole l’integrazione delle IFI in contesti in cui è prevalente la finanza convenzionale. In particolare, risulta seguito nel Regno Unito dove i depositi partecipativi sono considerati patrimoni affidati in gestione. Tuttavia, la segregazione dei depositi partecipativi dalla massa fiduciaria ha conseguenze penalizzanti in termini di costi e adempimenti operativi e, di fatto, impedisce la gestione integrata dell’attivo e del passivo delle banche islamiche.

3.1.2 La trasparenza e la correttezza

Secondo i primi teorici della finanza islamica, le esigenze di garantire un comportamento corretto e trasparente nei confronti degli investitori sarebbero avvertite in misura minore nei riguardi delle IFI, poiché le regole islamiche presuppongono il rispetto di canoni di equità e giustizia sociale. Tuttavia, lo stadio evolutivo raggiunto dalla finanza islamica, in particolare nel settore mobiliare, porta a ritenere necessario un intervento regolamentare allo scopo di definire con più precisione le caratteristiche delle informazioni che devono essere rese dalle emittenti109.

Il cliente islamico è particolarmente interessato ad essere informato sulle politiche seguite dalla banca o dall’emittente per assicurare che l’investimento o il finanziamento proposto siano realmente rispettosi dei principi della sharī‘ah. Le difficoltà per le IFI di fornire un’adeguata disclosure in materia sono piuttosto rilevanti, in assenza di una standardizzazione a livello internazionale dei canoni della sharī‘ah da seguire in campo finanziario, mentre a livello nazionale solo alcuni ordinamenti stanno intraprendendo iniziative per assicurare stabilità ai contratti grazie al riconoscimento di organi pubblici o privati che abbiano l’autorità per certificare la conformità dei prodotti alla sharī‘ah110.

L’esigenza che le IFI siano soggette al rispetto di regole di trasparenza e correttezza sono state riconosciute nelle sedi internazionali. L’Islamic Financial Services Board (IFSB) ha emanato nel 2007 delle linee guida per le IFI sulla trasparenza e la disciplina del mercato111. Lo IOSCO ha di recente pubblicato un documento nel quale sono fornite indicazioni per l’applicazione dei suoi core principles nel contesto della finanza islamica112.

3.2 Il ruolo dell’Islamic Financial Services Board (IFSB) e gli standard internazionali

L’ Islamic Financial Services Board è stato costituito nel 2002 sull’esempio di altri comitati internazionali quali il Comitato di Basilea, lo IOSCO e lo IAIS, con l’obiettivo di promuovere la crescita sana, prudente e trasparente dei servizi finanziari islamici attraverso l’introduzione di nuovi standard internazionali di vigilanza o l’adattamento di quelli applicabili alle istituzioni finanziarie convenzionali113. A partire dalla sua istituzione, l’IFSB ha emanato numerosi documenti (standard, linee guida e note tecniche) riguardanti diverse aree tra cui: i) risk 109 In un contesto in cui finanza islamica e finanza convenzionale sono complementari, gli operatori dovrebbero poter essere in grado di valutare secondo parametri il più possibile univoci le offerte provenienti dai due settori, anche in chiave di sana concorrenza. L’efficienza del mercato risulterebbe penalizzata laddove il ricorso al prodotto islamico fosse alimentato solo da fervore religioso a discapito di una chiara percezione dei rischi e delle opportunità dell’investimento. 110 Ad esempio il già citato esempio della Malaysia, dove all’interno della Banca centrale opera uno Sharī‘ah Board che certifica la validità religiosa dei contratti a livello nazionale. 111 AA.VV., Disclosure to Promote Transparency and Market Discipline for Institution Offering Islamic Financial Services (excluding Islamic Insurance Institutions and Islamic Mutual Funds), Islamic Finance Services Board, 2007. 112 IOSCO 2008. 113 Dell’IFSB fanno essenzialmente parte le Autorità di vigilanza preposte alla supervisione sulle IFI. Dall’esame dello Statuto di tale organismo emerge che esso è sprovvisto di poteri autoritativi, in grado cioè di modificare unilateralmente la sfera giuridica degli associati, i quali sono quindi giuridicamente liberi di osservare le linee guida dettate da tale organismo.

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management; ii) adeguatezza patrimoniale; iii) governo societario; iv) controllo prudenziale; v) trasparenza e disciplina di mercato; vi) riconoscimento delle agenzie di rating per strumenti finanziari islamici; vii) sviluppo del mercato monetario islamico.

3.2.1 La disciplina dell’adeguatezza patrimoniale delle banche islamiche

Emanate nel dicembre 2005, le linee guida sull’adeguatezza patrimoniale delle banche

islamiche propongono un regime sostanzialmente basato sul primo pilastro dell’Accordo di Basilea 2. Gli standard dell’IFSB riguardano solamente il metodo standardizzato; lo stadio di sviluppo dell’industria finanziaria islamica e l’assenza di prassi consolidate in materia di determinazione del capitale economico in relazione alle operazioni sharī‘ah-compliant non consentono al momento l’individuazione di regole e principi per l’utilizzo dei modelli interni114.

Gli standard prudenziali per le banche islamiche prevedono che esse – non diversamente dalle banche convenzionali - siano tenute a mantenere un rapporto tra fondi propri (capitale) e attività ponderate per il rischio pari all’8%.

Sulla base di un’analisi dettagliata delle singole operazioni finanziarie islamiche e dei rischi tipici di ciascuna, l’IFSB ha stabilito i fattori di ponderazione per il rischio di credito e il rischio di mercato. Per quanto riguarda il rischio di credito gli standard islamici ammettono il ricorso a rating esterni, purché siano formulati da agenzie approvate dalle autorità di vigilanza; è inoltre prevista una disciplina per il trattamento prudenziale degli strumenti di mitigazione del rischio.

Gli standard contengono regole per la determinazione del requisito patrimoniale a fronte del rischio operativo mutuate da quelle previste per le banche convenzionali da Basilea 2. L’IFSB suggerisce l’applicazione di una capital charge pari al 15 per cento della media del reddito lordo annuale degli ultimi tre anni115. L’IFSB riconosce che la definizione di rischio operativo e del relativo requisito, mutuati dalla disciplina convenzionale, non tengono conto delle conseguenze che possono derivare dalla mancata osservanza dei principi della sharī‘ah. L’analisi e la quantificazione di questa tipologia di rischio specifica delle IFI sono rinviate alla fase di controllo prudenziale (II pilastro); viene però riconosciuta alle autorità di vigilanza la possibilità di applicare discrezionalmente un requisito più stringente già in sede di primo pilastro.

Con riferimento al trattamento prudenziale delle attività finanziate mediante depositi partecipativi, la disciplina muove dal presupposto, più volte richiamato, che i titolari di tali depositi in qualche misura partecipano al rischio dell’impresa bancaria – quando il conto è in forma aperta – ovvero delle imprese o iniziative specificamente finanziate – quando il conto è di tipo chiuso - e che, pertanto, le perdite risultanti dalle attività che la banca finanzia con la raccolta partecipativa sono sopportate dai titolari dei depositi partecipativi e non gravano sul capitale della banca. Nella visione accolta dall’IFSB i titolari dei depositi partecipativi, soprattutto di tipo chiuso, sopporterebbero nella sostanza i rischi di credito e di mercato, tipici dell’intermediazione, ma non il rischio operativo che grava invece sull’intermediario in qualità di agente dei depositanti. Tale approccio si sostanzia nella possibilità di dedurre dal denominatore del coefficiente patrimoniale le attività a rischio finanziate con i depositi partecipativi.

Gli standard dell’IFSB non ignorano le prassi tese a limitare il displaced commercial risk; pertanto viene considerata la possibilità di costituire apposite riserve (PER e IRR) e viene data facoltà alle autorità che autorizzano o impongono lo “spostamento” del rischio commerciale dai depositanti al capitale, di includere una parte degli asset finanziati con strumenti partecipativi nel denominatore del coefficiente di solvibilità.

L’IFSB propone due formule alternative per il calcolo del coefficiente di solvibilità:

114 L’IFSB invita, tuttavia, le autorità di vigilanza a incoraggiare e seguire lo sviluppo delle metodologie avanzate di misurazione dei rischi. 115 Dato lo sviluppo e le peculiarità della finanza islamica non è stato possibile elaborare coefficienti specifici per le diverse linee di business; è data però facoltà alle singole autorità, in grado di individuare tali linee, di applicare coefficienti differenziati (12, 15 o 18 per cento).

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1) Formula base:

Fondi propri _______________________________________________________________________________________

{totale delle attività ponderate per il fattore di rischio (rischio di credito + rischio di mercato) + rischio operativo

- attività ponderate finanziate tramite depositi partecipativi ponderate per il fattore di rischio (rischio di credito + rischio di mercato)}

2) Formula applicabile discrezionalmente dalle autorità di vigilanza.

Fondi propri _______________________________________________________________________________________

{totale delle attività ponderate per il fattore di rischio (rischio di credito + rischio di mercato) + rischio

operativo -

attività ponderate finanziate tramite conti di investimento chiusi ponderate per il fattore di rischio (rischio di credito + rischio di mercato)

- (1 – α) [attività ponderate finanziate tramite conti di deposito aperti ponderate per il fattore di rischio (rischio di

credito + rischio di mercato)] -

α [attività ponderate coperte dalla PER e dalla IRR relativamente ai conti di deposito aperti (rischio di credito + rischio di mercato)]}

Tale formula può essere applicata dalle autorità di vigilanza ove esse prescrivano alle banche il mantenimento di riserve volte a neutralizzare il rischio commerciale anche a fini di tutela della stabilità sistemica116.

3.2.2 Gli standard sulla corporate governance

Un documento di particolare interesse, anche al fine di comprendere i principali problemi organizzativi e gestionali delle IFI, sono le “Linee Guida sulla Corporate Governance”, pubblicate dall’IFSB nel 2006. In linea generale, il documento richiama l’applicazione dei principi internazionali in tema di governo societario, elaborati dall’OCSE e dal Comitato di Basilea, anche alle banche islamiche. Tali principi sono poi integrati da raccomandazioni per adattare l’organizzazione al contesto finanziario islamico.

In primo luogo l’IFSB raccomanda come best practice l’istituzione di un comitato ad hoc, il governance committee, la cui funzione principale è quella di tutelare gli stakeholder diversi dagli azionisti. Il governance committee deve controllare che la gestione, l’organizzazione amministrativa e contabile, il sistema di controlli interni, le politiche di disclosure, tengano conto degli interessi non rappresentati in altri organi dell’impresa e, in particolare, di quelli dei titolari dei depositi partecipativi. Affinché le funzioni del committee non si sovrappongano a quelle dell’audit committee è richiesto che il primo si concentri sulle questioni attinenti alla specificità dell’intermediazione islamica e funga da contrappeso per quanto riguarda le decisioni prese a tutela degli azionisti. Quanto alla composizione, nel comitato dovrebbero sedere almeno un membro del consiglio di amministrazione con incarichi esecutivi, un esperto di sharī‘ah, possibilmente proveniente dallo Sharī‘ah Board, un componente dell’audit committee e un

116 α fa riferimento alla porzione di attività finanziate dai depositi partecipativi che viene decisa discrezionalmente dall’autorità di vigilanza. La quota può pertanto variare a seconda del valore attribuito ad α dall’autorità.

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consigliere indipendente. Il governance committee deve essere il referente dell’autorità di vigilanza in quanto responsabile delle politiche a garanzia dei depositanti.

Inoltre, gli standard dell’IFSB prevedono che le IFI debbano assicurare ai titolari di depositi partecipativi il diritto di monitorare l’andamento dei propri investimenti e dei rischi a questi associati attraverso idonee procedure interne per la selezione degli investimenti, la professionalità degli addetti, la corretta gestione dei rapporti con i titolari di depositi partecipativi a partire dalla fase pre-contrattuale. Un’ampia informativa deve essere fornita ai titolari dei depositi partecipativi con riguardo alle caratteristiche del rapporto - evidenziandone la natura fiduciaria e le modalità di partecipazione agli utili e alle perdite – e alle politiche di investimento seguite dalla banca; dettagli maggiori devono essere forniti ai titolari di conti di investimento chiusi.

Tale informativa deve essere integrata con gli elementi riguardanti le politiche di aggiustamento dei profitti relative alla gestione del displaced commercial risk. In particolare, i titolari dei depositi partecipativi devono essere edotti della circostanza che, attraverso la costituzione di speciali riserve, una parte dei profitti che non sono loro attribuibili nei periodi di alta redditività potrebbero essere successivamente distribuiti ad altri investitori in periodi di bassa performance o in caso di perdite di gestione.

Il documento sulla corporate governance contiene, infine, dei principi riguardanti la compliance con i precetti della sharī‘ah. L’osservanza dei precetti religiosi costituisce l’elemento distintivo della finanza islamica. L’esistenza di posizioni diverse da parte delle autorità religiose, soprattutto in relazione allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, è un aspetto con il quale le IFI sono chiamate a confrontarsi di continuo. Lo sviluppo di standard internazionali in materia è ritenuto auspicabile al fine di non ostacolare la crescita dell’industria, tuttavia un tale obiettivo non può essere perseguito a discapito della libertà di coscienza di cui gli esperti islamici devono necessariamente godere.

Al fine di assicurare un’effettiva osservanza della sharī‘ah le banche islamiche si devono dotare di idonee procedure per ottenere le fatawā dagli esperti. Essi possono ricorrere a organi interni (Sharī‘ah Board) o a consulenti esterni, l’importante è che le procedure di compliance assicurino un controllo ex ante ed ex post della legittimità dell’attività praticata. L’esperienza delle persone a cui viene affidato il controllo sul rispetto della sharī‘ah deve essere adeguatamente verificata. Al riguardo, sarebbe opportuna la costituzione a livello locale di organismi professionali in grado di certificare la professionalità degli esperti. Gli esperti interni o incaricati dalla banca devono lavorare in stretto raccordo con gli organi pubblici eventualmente istituiti a livello nazionale, al fine di creare uniformità di prassi interpretative con riguardo alla compliance dei prodotti finanziari islamici presenti sui mercati locali.

Per garantire l’integrità e l’affidabilità delle IFI, i principi dell’IFSB raccomandano che le banche islamiche diano pubblicità in merito alle pronunce sulle quali basano la loro operatività, alle motivazioni che gli esperti hanno fornito a sostegno della legittimità dei prodotti e dei servizi offerti e alle ragioni per le quali si è deciso di non seguire fatawā di contrario avviso. Infine, si fa osservare che la pubblicità delle opinioni seguite incoraggia il confronto tra le diverse scuole e lo sviluppo di prassi interpretative uniformi.

3.3 La vigilanza sulle banche islamiche nei sistemi convenzionali. L’esperienza del Regno Unito.

Il Regno Unito è, nel mondo occidentale, la realtà in cui l’accesso al mercato delle banche islamiche ha avuto maggior successo, con 5 banche propriamente islamiche autorizzate dalla FSA. Le ragioni di questo insediamento possono rintracciarsi nella particolare importanza della piazza finanziaria di Londra, nonché nella presenza di una comunità di circa 1,8 milioni di musulmani residenti.

L’approccio seguito dalla FSA nell’autorizzare banche islamiche può sinteticamente descriversi come “pragmatico”, nell’ottica però di una policy ispirata ad un principio di “no obstacles, but no special favours” rispetto agli intermediari convenzionali.

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Nello specifico, la FSA ha richiesto alle costituende IFI alcuni adempimenti essenziali per il successo del progetto di costituzione: adeguata capitalizzazione del nuovo soggetto per garantirne la stabilità finanziaria; presenza di risorse umane qualificate; efficace sistema dei controlli interni; condizioni che garantiscano una gestione “fit and proper” dell’intermediario, inclusi qualità dei partecipanti al capitale e di altri soggetti collegati, nonché un programma di attività effettivamente realizzabile sul mercato. Inoltre, la FSA ha intrapreso un confronto con gli esponenti dei nuovi soggetti per un corretto inquadramento giuridico dei prodotti sharī‘ah-compliant offerti. Sul versante della trasparenza e della tutela dei consumatori117, la FSA ha richiamato la particolare importanza di un’informazione “clear, fair and not misleading”, specie in considerazione della novità dei prodotti bancari islamici e dei loro peculiari profili di rischio. In particolare, i contratti offerti dalle banche islamiche comportano una limitazione della tutela offerta ai clienti, poiché i precetti religiosi e il principio della condivisione del rischio escludono la legittimità di forme di assicurazione, quali la garanzia dei depositanti.

L’esame delle condizioni generali di contratto del savings account118 offerto dalla Islamic Bank of Britain mostra il raggiungimento di una soluzione di compromesso sul punto, in base alla quale permane il diritto del cliente (garantito per legge) di richiedere al Financial Services Compensation Scheme (Fondo nazionale di garanzia per i depositi e i servizi di investimento inglese) la restituzione delle somme perdute; tuttavia viene ricordato al cliente che il ricorso a questa forma di tutela non è considerato conforme alla legge coranica dallo Sharī‘ah Supervisory Board119. Il meccanismo è simbolicamente sancito dalla condizione per cui banca e cliente, pur stipulando un accordo regolato dalla legge inglese, riconoscono e accettano che le previsioni del contratto devono essere compatibili con la legge coranica e la sua interpretazione.

Questa soluzione ha permesso alla FSA e agli intermediari di non prendere una posizione definitiva sulla compatibilità dei prodotti bancari islamici con la disciplina inderogabile dei fondi di garanzia. Tuttavia, come esplicitamente dichiarato dall’autorità inglese in un paper dedicato alla materia120, questo tipo di compromesso non può essere automaticamente applicato ad altri tipi di offerte commerciali su prodotti finanziari islamici, rendendo così necessario un esame di compatibilità caso per caso con le disposizioni a tutela dei consumatori.

Sotto il profilo della governance, lo Sharī‘ah Supervisory Board, sebbene svolga compiti di per sé estranei alle funzioni di vigilanza prudenziale e di trasparenza della FSA, è stato analizzato nelle sue concrete implicazioni: influenza del Board sulla gestione dell’intermediario e sulla pianificazione strategica; competence and capability dei membri del Board, nel caso di effettivo coinvolgimento nella gestione; inquadramento degli sharī‘ah scholars tra i membri esecutivi ovvero non esecutivi del consiglio di amministrazione, con importanti riflessi sulle politiche da adottare in materia di conflitto di interessi121.

Sul punto la FSA, per risolvere questi aspetti, ha richiesto agli intermediari di indicare con chiarezza che il ruolo e le responsabilità degli Sharī‘ah Supervisory Boards siano di mera consulenza122.

117 La tutela dei consumatori rientra tra le finalità statutarie della FSA. 118 Il saving account è una forma di deposito offerto dagli intermediari britannici che prevede il pagamento di interessi ma restringe o rende costosi per il cliente i prelevamenti di denaro (ad esempio non può essere prelevato denaro con assegni o altri mezzi di pagamento). La forma contrattuale è utilizzata per offrire ai clienti islamici depositi di tipo partecipativo specie di tipo aperto. 119 La prestazione della garanzia, a seconda della tipologia di deposito (in particolare per quelli vincolati) può essere subordinata, per legge, all’accettazione di una preventiva proposta della banca di risarcire in tutto o in parte la profit loss subita dal depositante; proposta che, essendo considerata come garanzia contro un rischio, al pari del fondo, è esplicitamente considerata contraria alla sharī‘ah. 120 AA.VV., Islamic Finance in the UK: Regulation and Challenges, FSA, 2007. 121 In particolare, nel caso di un coinvolgimento nella gestione della banca, la FSA avrebbe ritenuto di equiparare gli sharī‘ah scholars a degli executive directors, con il sorgere di evidenti conflitti di interessi nel caso di appartenenza dello stesso esperto a sharī‘ah Supervisory Boards di altre banche. 122 In considerazione del numero esiguo di esperti con autorevolezza riconosciuta in materia di sharī‘ah compliance, la prestazione della consulenza da parte dello stesso soggetto a più intermediari, in forma esternalizzata, sembra essere

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Spostando l’analisi sulla vita dell’intermediario islamico, la FSA ritiene molto importante l’approccio ai rischi degli intermediari islamici nell’ambito del secondo pilastro. Al riguardo, la FSA ritiene che eventuali rischi peculiari della finanza islamica debbano essere identificati e quantificati nell’ambito del processo di controllo prudenziale (SREP). Laddove vengano riscontrate difficoltà nella quantificazione e ponderazione di tali rischi con le metodologie pillar 2, l’intermediario dovrebbe apprestare opportuni presidi a livello di corporate governance e di sistema dei controlli interni.

In conclusione, l’esperienza del Regno Unito propone un caso concreto di inserimento di banche islamiche all’interno di un sistema convenzionale senza modifiche del quadro di vigilanza; allo stesso tempo mette in evidenza alcuni profili di criticità:

la corrispondenza tra prodotti di finanza islamica e il quadro normativo e regolamentare può risultare più o meno definita in funzione delle diverse legislazioni nazionali in materia di contratti, trasparenza e tutela dei consumatori;

la soluzione adottata in merito all’esclusione del meccanismo di garanzia dei depositanti suscita problemi di trasparenza e di interpretazione delle clausole contrattuali;

le funzioni dello Sharī‘ah Board sembrano richiedere un esame di compatibilità con il diritto delle società dei diversi paesi, nonché con aspetti di sana e prudente gestione degli intermediari bancari, tale per cui la soluzione inglese non sembra immediatamente esportabile in ambito europeo.

3.4 Istituzioni finanziarie islamiche e ordinamento italiano

Preliminarmente è necessario valutare la compatibilità dell’oggetto sociale di una banca islamica – che secondo il paradigma teorico “tecnicamente” non raccoglierebbe depositi né erogherebbe credito – con la legislazione bancaria italiana. In proposito vale osservare che ai sensi del Testo Unico Bancario (art. 10) le banche sono i soggetti cui è riservato l’esercizio dell’attività bancaria, ma che possono svolgere anche altre attività finanziarie che non siano coperte da riserva di legge a favore di altre categorie di intermediari (come l’attività assicurativa e la gestione collettiva del risparmio).

Questa nozione sostanziale di banca, ormai acquisita dall’ordinamento italiano che vede una molteplicità di imprese bancarie “specializzate”, potrebbe, in linea teorica e con valutazione comunque da condurre caso per caso, accogliere al suo interno anche il modello di banca islamica quale banca specializzata nell’erogazione di servizi finanziari, nell’ambito dei quali potrebbero inquadrarsi i prodotti partecipativi tipicamente offerti dalle IFI.

3.4.1 Il quadro regolamentare e la fase di autorizzazione all’attività

L’accesso al mercato italiano di istituzioni islamiche deve tenere conto delle specificità delle stesse, seppure nel rispetto delle condizioni imprescindibili cui è subordinato il rilascio dell’autorizzazione della Banca d’Italia e la possibilità di operare.

a) Aspetti inderogabili di sana e prudente gestione e accesso al mercato

Il modello di banca islamica sarebbe sottoposto ai poteri di vigilanza desumibili dall’art. 5 del TUB, esercitati dalla Banca d'Italia in armonia con le disposizioni comunitarie e avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario, all’osservanza della normativa in materia creditizia e finanziaria.

un dato fisiologico; prendendo atto di questa circostanza, la FSA ribadisce la necessità, per gli intermediari e per gli sharī‘ah scholars, di comunicare qualsiasi conflitto di interesse nel prestare l’attività di consulenza sui prodotti offerti.

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Al pari degli intermediari tradizionali, il principale parametro di riferimento per la regolamentazione prudenziale di un intermediario islamico sarebbe il patrimonio; particolare rilievo verrebbe inoltre riservato alla qualità degli assetti organizzativi e del sistema dei controlli interni per una gestione consapevole e integrata dei rischi.

In particolare, l’apertura di una banca islamica in Italia è possibile a condizione che vengano rispettate le regole e i controlli normalmente applicati in caso di costituzione di una nuova banca.

Nel caso di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria per un soggetto sottoposto al controllo di un’altra banca dell’Unione Europea (filiazione bancaria), la Direttiva 2006/48/CE prescrive una consultazione preventiva delle autorità di vigilanza competenti dello Stato in cui ha sede la banca controllante123.

L’ingresso nel mercato bancario italiano potrebbe avvenire anche attraverso l’apertura di una succursale di una banca islamica di un Paese extracomunitario, ovvero mediante la presenza di una succursale di una banca islamica già costituita in un paese comunitario.

Nel primo caso il procedimento e i requisiti da soddisfare sono in gran parte simili a quelli previsti per la costituzione di una nuova banca, con la differenza che l’autorizzazione è rilasciata dalla Banca d’Italia, sentito il Ministero degli Affari Esteri124.

Il procedimento per lo stabilimento di una succursale di banca comunitaria si basa invece sulla notificazione da parte dell’autorità di vigilanza del paese di origine, in ossequio al principio del passaporto unico e del riconoscimento della vigilanza sulla casa-madre, sui quali poggia il mercato unico europeo dei servizi bancari.

b) La garanzia dei depositi

L’adesione a un sistema di garanzia dei depositanti è una condizione essenziale per operare con la licenza bancaria.

La partecipazione ad un sistema di garanzia è, secondo quanto espressamente stabilito in ambito comunitario, obbligatoria per le banche autorizzate in Italia (art. 96 TUB). Sotto tale profilo, le banche islamiche non potrebbero costituire un’eccezione125.

L’industria bancaria islamica non è estranea a sistemi di indennizzo dei depositanti: in Malaysia, ad esempio, opera un fondo di garanzia per i depositi la cui tutela è fondata sullo stato di insolvenza e di amministrazione controllata di un intermediario bancario. Il dato è rilevante, poiché la dichiarazione d’insolvenza comporta il riconoscimento di una negligence nella gestione della banca rendendo legittimo l’indennizzo previsto dal fondo di garanzia anche rispetto ai principi della sharī‘ah.

L’intervento dei sistemi di garanzia, tramite rimborsi da effettuare alla clientela, è obbligatorio, sempre come previsto dal TUB, nei casi di liquidazione coatta amministrativa delle banche autorizzate in Italia, nonché nelle ipotesi di liquidazione coatta delle succursali di banche comunitarie operanti in Italia, che abbiano aderito a un sistema di garanzia italiano.

Sempre dal lato dei sistemi di indennizzo a tutela di consumatori/risparmiatori, si pone il problema del rispetto, eventualmente, da parte delle banche islamiche, della adesione obbligatoria

123 In particolare, secondo quanto previsto dall’art. 15 della citata Direttiva 2006/48/CE, le Autorità competenti “si consultano reciprocamente al momento di valutare l’idoneità degli azionisti e la reputazione e l’esperienza dei dirigenti… e si scambiano tutte le informazioni… che siano pertinenti sia ai fini della concessione di un’autorizzazione sia per l’ordinaria valutazione del rispetto delle condizioni di esercizio”. 124 La peculiarità di questo procedimento si sostanzia nella valutazione di alcuni elementi specifici: l’esistenza di adeguate regole di vigilanza nel Paese di origine della banca casa-madre; l’assenza di ostacoli per lo scambio di informazioni con le Autorità di vigilanza del paese di origine; il consenso preventivo di tale Autorità di vigilanza all’apertura della filiale in Italia; l’attestazione, sempre da parte di questa Autorità, in ordine alla solidità patrimoniale, all’adeguatezza delle strutture organizzative, amministrative e contabili della casa-madre e dell’eventuale gruppo di appartenenza della stessa; il sussistere di condizioni di reciprocità. 125 Potrebbe in realtà prospettarsi una soluzione che ricalchi quella adottata nell’ordinamento inglese, in base alla quale, fermo restando il diritto alla garanzia dei depositi del cliente, si introdurrebbe nel contratto una previsione in cui si evidenzi che l’eventuale richiesta di restituzione delle somme perdute costituirebbe una violazione della legge coranica, con effetti destinati ad operare sul piano esclusivamente religioso e non giuridico.

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al Fondo Nazionale di Garanzia per i servizi di investimento, prescritta a banche e società di intermediazione mobiliare, nonché imprese di investimento comunitarie, che intendano prestare i servizi di investimento elencati all’art. 1, comma 5, del Testo Unico Finanza126.

In linea generale la peculiarità delle banche islamiche non dovrebbe rientrare all’interno di queste previsioni, a meno che i servizi prestati a favore dei titolari di depositi partecipativi possano configurarsi alla stregua di servizi di investimento su fondi della clientela.

È da notarsi, tuttavia, la minore incidenza della garanzia del fondo nazionale per i servizi di investimento, legata all’esigenza di contenere comportamenti speculativi da parte degli investitori.

c) Aspetti peculiari

Le caratteristiche degli intermediari islamici impongono un raffronto con alcuni aspetti di vigilanza (evidenziando che non si tratta di un elenco completo né esaustivo).

Un primo aspetto di rilievo consiste nella necessità che lo statuto sociale di una nuova banca sia in grado di garantire una governance ispirata a principi di sana e prudente gestione e coerente con l’assetto organizzativo adottato dall’azienda. Nell’ipotesi di autorizzazione richiesta da una banca islamica, questo aspetto imporrebbe una speciale considerazione dello Sharī’ah Board, al fine di determinarne la collocazione nella governance aziendale; di specificare la funzione di consulenza e le relazioni con il Consiglio di Amministrazione; di determinare la posizione e il ruolo del governance committee raccomandato dagli standard prudenziali dell’Islamic Financial Services Board a tutela dei titolari di depositi partecipativi. Al riguardo, deve notarsi come le disposizioni di vigilanza richiedano una chiara individuazione delle funzioni e delle responsabilità degli organi di governo aziendale; le stesse disposizioni inoltre, richiedono che i processi decisionali non vengano articolati in una contemporanea presenza di molteplici organi interni, specie in intermediari di limitate dimensioni, al fine di garantire unità ed efficienza del governo della banca.

In secondo luogo, le banche islamiche, come anche rappresentato dall’esperienza del Regno Unito, sembrano dover fronteggiare una carenza di personale specializzato nelle funzioni di sharī’ah compliance, con conseguente aumento dei rischi operativi e necessità di dimostrare di avere adeguati presidi nel controllo dei processi aziendali, specie in caso di esternalizzazione delle funzioni dello Sharī’ah Board.

Sotto altro profilo, e più in generale, assumerebbe rilievo l’adeguatezza qualitativa e quantitativa delle risorse assegnate ai controlli interni, alla luce dei peculiari rischi reputazionali di una banca islamica127.

Inoltre, la carenza di personale specializzato in sharī’ah compliance determina una forte concorrenza tra gli intermediari islamici al fine di dotarsi delle migliori risorse umane, dal punto di vista dei meccanismi di incentivazione e remunerazione128. Questa circostanza andrà valutata rispetto all’esigenza di garantire che i sistemi retributivi non siano in contrasto con le politiche di prudente gestione del rischio della banca e con le sue strategie di lungo periodo.

Quanto alle difficoltà (segnalate sub par. 3.1) di garantire con riferimento ai prodotti finanziari islamici un’adeguata trasparenza e correttezza in considerazione della mancata uniformazione e tipizzazione degli strumenti finanziari elaborati nella prassi a seconda delle varie interpretazioni della legge coranica, un passo nella direzione di una maggiore certezza potrebbe essere compiuto con un intervento legislativo sulla falsariga di quello operato dalla legge sul risparmio nel 2005 con riferimento alla c.d. finanza etica. L’art. 117-ter, introdotto dalla l. 262/2005, demanda alla

126 Il fondo indennizza gli investitori, entro il limite massimo complessivo per ciascun investitore di 20.000 euro, per i crediti, rappresentati da strumenti finanziari e/o da denaro connesso con operazioni di investimento, nei confronti degli intermediari aderenti al Fondo stesso. 127 Nel 1998, la diffusione della notizia di rilevanti problemi nei controlli interni della Dubai Islamic Bank provocò una “corsa agli sportelli” da parte della clientela dell’intermediario, con prelievi che arrivarono a circa $ 138.000.000 in un giorno, pari al 7% dei depositi totali della banca. 128 Il fenomeno è stato riscontrato, ad esempio, in Malaysia, dove a tal fine la stessa Banca Centrale è impegnata nell’attività di formazione, attraverso enti specializzati, di esperti in sharī‘ah compliance.

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Consob il compito di definire gli specifici obblighi informativi e di rendicontazione cui sono tenuti i soggetti abilitati e le imprese di assicurazione che promuovono “prodotti e servizi qualificati come etici o socialmente responsabili”.

Benché il segnalato intervento normativo abbia riguardato esclusivamente il comparto etico, da esso può tuttavia trarsi un’importante indicazione metodologica che potrebbe estendersi anche all’operatività delle IFI per far fronte alla carenza di standardizzazione e alla proliferazione di interpretazioni coraniche contrastanti129.

129 Al riguardo, si potrebbe, in una prospettiva de jure condendo, assoggettare le istituzioni finanziarie che promuovono prodotti finanziari sharī‘ah-compliant ad un obbligo di informazione analogo a quello a cui soggiacciono i promotori di servizi finanziari a contenuto etico; tale informativa preliminare conterrebbe la descrizione minuziosa delle caratteristiche dei prodotti da promuovere, individuando anche l’istituzione islamica alla cui interpretazione il promotore si impegna ad uniformare i prodotti offerti. L’osservanza dell’interpretazione dettata dall’istituzione coranica individuata nel documento informativo circa i prodotti collocati tra la clientela costituirebbe quindi oggetto di uno specifico obbligo contrattuale la cui inosservanza costituirebbe un inadempimento contrattuale, attribuendo così rilevanza convenzionale (non quindi normativa) ai precetti coranici, sempre che non contrastino con i principi dell’ordine pubblico.

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CAPITOLO QUARTO

LA FINANZA ISLAMICA E LA CONDUZIONE DELLA POLITICA MONETARIA

4.1 La politica monetaria e i precetti islamici

In un contesto economico convenzionale la conduzione della politica monetaria trova il suo fulcro nel controllo del tasso d’interesse. La gestione operativa della politica monetaria si basa generalmente su tre strumenti: gestione delle riserve bancarie presso la banca centrale, operazioni di mercato aperto e standing facilities. Ognuno di questi strumenti risponde a esigenze parzialmente diverse della politica monetaria, ma tutti sono basati sul tasso d’interesse. Ciò entra inevitabilmente in conflitto con la proibizione, sancita dai precetti islamici, del ribā - la corresponsione di interessi fissi o pre-determinabili su fondi prestati senza un’attività economica sottostante. Pertanto rendere compatibile l’attività creditizia islamica con la conduzione della politica monetaria può presentare numerose criticità.

Appare evidente che i convenzionali strumenti di politica monetaria risultino incompatibili con le regole che guidano l’attività bancaria e la finanza islamiche; di conseguenza gli istituti islamici non possono accedervi. Tra l’altro, questi strumenti risultano fondamentali per la trasmissione degli impulsi di politica monetaria, per cui risulta necessario ovviare a tali criticità con lo sviluppo di strumenti ad hoc, che soddisfino la proibizione del ribā.

4.2 Strumenti di politica monetaria islamici: teoria e pratica

Il disegno di strumenti di politica monetaria sharī‘ah-compliant – che possano sostituire o affiancare i tradizionali strumenti di politica monetaria – si è spesso rivelato piuttosto complesso, rallentando lo sviluppo delle banche islamiche, sia che si cercasse di strutturare strumenti adatti ad integrare la finanza islamica nel sistema finanziario convenzionale, sia che si cercasse di strutturare strumenti esclusivi per gli operatori islamici.

Nonostante le soluzioni adottate siano le più varie, possono essere individuate delle common practices riconducibili ai paesi dove la finanza islamica si è diffusa maggiormente. A tal proposito si ripropone la distinzione tra economie totalmente islamizzate, che rappresentano l’eccezione, ed economie dove ad un sistema bancario convenzionale si è affiancata nel corso degli anni una cospicua attività bancaria islamica.

4.2.1 Le economie completamente islamizzate

Nelle economie completamente islamizzate, segnatamente il Sudan e l’Iran, le difficoltà incontrate nel disegno di strumenti di politica monetaria compatibili con i precetti islamici hanno spesso limitato la conduzione efficiente della politica monetaria, costringendo le autorità monetarie a ricorrere a controlli diretti sull’attività bancaria. Le maggiori difficoltà sono state spesso connesse alla definizione di prodotti finanziari che non fossero connessi a nessun progetto specifico sottostante, ma fossero volti ad assorbire la liquidità bancaria in genere. Inoltre, in un tale ambito di attività è risultato anche difficile definire un tasso di rendimento appropriato che possa essere utilizzato come proxy per il rendimento dei titoli governativi o di banca centrale.

In Sudan si è ovviato a queste difficoltà creando i Central Bank Mushārakah Certificates (CMCs), che sono certificati di tipo azionario PLS emessi contro la partecipazione della banca centrale al capitale delle banche commerciali. Questo strumento è stato introdotto con la precisa

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finalità di regolare la liquidità bancaria domestica attraverso operazioni di mercato aperto. Tuttavia, il disegno del prodotto – legato a finalità di politica monetaria e non al profitto – lo ha reso eccessivamente costoso e di conseguenza poco pratico da utilizzare. Alternativamente, la Banca Centrale del Sudan utilizza altri strumenti – come i Government Mushārakah Certificates (GMCs) o i Government Investment Certificates (GICs)130 – che sono di emissione governativa, ma vengono utilizzati nell’ambito della gestione della politica monetaria.

In Iran è stato invece sviluppato il National Participation Paper (NPP) – uno strumento monetario, basato sul contratto di mushārakah, volto al finanziamento dello stato ma che può essere utilizzato anche per condurre operazioni di mercato aperto. Il rendimento di questo strumento è legato ad un sottoinsieme di titoli del mercato azionario con attività paragonabili ai progetti statali finanziati. Vengono utilizzati anche altri strumenti basati sul contratto mushārakah, come i Central Bank Participation Paper (CBPP). Tale strumento risulta in realtà poco flessibile – in quanto scambiabile solo at par – ma è adatto a drenare la liquidità in eccesso dal sistema. In Iran esiste anche un regime di riserva obbligatoria – non remunerata – il cui ammontare viene gestito in modo più attivo rispetto ad un sistema bancario convenzionale. Infine, come ultimo strumento utilizzato, vengono stabiliti dei tetti qualitativi e quantitativi all’attività creditizia.

Per quanto riguarda il disegno di standing facilities, sono state approntate una varietà di soluzioni. In Iran per esempio, come special deposit facility, le banche possono depositare la liquidità in eccesso presso la banca centrale senza remunerazione. In Sudan, come lending facility, viene garantita, alla banca che ne faccia richiesta, una linea di credito della durata di una settimana senza alcun addebito. Oltre la settimana, la linea di liquidità viene convertita in un contratto di tipo mudārabah.

4.2.2 Le banche islamiche in un contesto convenzionale (Asia)

Nei paesi in cui le banche islamiche coesistono con il sistema bancario convenzionale – come i paesi del GCC o del Sud est asiatico – le problematiche emerse sono di tipo differente poiché qui è necessario adattare gli strumenti e le operazioni di politica monetaria – o crearne di nuovi – in modo da renderli compatibili con i principi islamici.

Tuttavia, come emerge anche in alcuni studi sul settore131, tali adattamenti all’infrastruttura di politica monetaria non sono ancora ben sviluppati. Infatti, poche banche centrali hanno adattato le loro operazioni di mercato aperto in modo da poter fare transazioni con le banche islamiche. Mancano prodotti disegnati in modo tale da essere adatti sia alle operazioni di politica monetaria che per la gestione della liquidità bancaria132. Infine, in molti paesi non esiste un trasparente meccanismo di standing facilities. Tali criticità rendono difficoltosa la gestione della liquidità bancaria e contribuiscono a far mantenere alle banche islamiche livelli elevati di riserve in eccesso.

La maggior parte delle banche centrali asiatiche richiede il mantenimento di un conto di riserva presso la banca centrale, non remunerato da interessi e quindi sharī‘ah-compliant133. Tuttavia le penalità, nel caso in cui la riserva non sia sufficiente, differiscono tra istituti convenzionali e islamici, creando delle disparità di trattamento.

Per quanto riguarda le operazioni di mercato aperto, è stata adottata una varietà di soluzioni, influenzate anche dalle diverse interpretazioni della legge coranica. In numerose circostanze

130 Anche i GMC si basano sul principio del profit and loss sharing garantendo una partecipazione in imprese a partecipazione statale. Il contratto alla base dei GIC risulta invece basato sul contratto mudārabah. 131 Si confronti, per esempio, la nota tecnica dell’Islamic Financial Services Board del marzo 2008 o il rapporto dell’IIFM del dicembre 2009. 132 Gli strumenti maggiormente in uso non sono adatti allo sviluppo di un attivo mercato interbancario. 133 Si veda, a titolo di esempio, il caso di Bahrein, Emirati Arabi Uniti o Qatar. Nella gestione della politica monetaria del Bahrein, esiste un regime di riserva obbligatoria, mobilizzabile in maniera molto simile a quello dell’Eurosistema. Il sistema di riserva obbligatoria – a differenza di altri paesi – non è però visto come un attivo strumento di politica monetaria per la gestione della liquidità giornaliera.

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prodotti a breve vengono emessi dallo Stato per essere poi utilizzati dalla banca centrale per operazioni di politica monetaria. Infatti, siccome tali prodotti necessitano di una garanzia reale sottostante, la loro emissione direttamente da parte della banca centrale potrebbe limitarne la disponibilità alle sue sole attività, limitando in questo modo la liquidità che può essere erogata al sistema bancario.

Data la crescente diffusione dei sukūk nella maggior parte dei mercati, non stupisce che essi vengano ampiamente utilizzati nella gestione della politica monetaria. In Bahrein, uno dei paesi guida nell’ambito della finanza islamica, la banca centrale emette strumenti di debito – sotto forma di sukūk a 3 e 6 mesi – per conto del governo. Queste emissioni vengono anche sfruttate ai fini della politica monetaria, ma il divieto di scambiare sul mercato secondario salām sukūk – che costituiscono la maggioranza delle emissioni – ne limita fortemente la flessibilità d’uso nell’ambito della gestione della liquidità. In Kuwait, è attualmente allo studio l’emissione di īğārah sukūk governativi che facilitino la conduzione delle operazioni di mercato aperto134. In Malaysia vengono emessi regolarmente prodotti con finalità di gestione della liquidità per la banca centrale. È da notare che la banca centrale utilizza per le operazioni di mercato aperto diversi strumenti che ricadono sotto numerose fattispecie di contratto islamico (īğārah, mudārabah, murābahah, bay‘ bi-thaman ′ağal). Molti di questi prodotti sono stati creati proprio per permettere alle banche islamiche di poter rispettare le regole sulla liquidità imposte dalla banca centrale o per investire gli eccessi di liquidità. Un altro strumento che assume particolare rilievo è il Government Investment Issue (GII)135, strumento utilizzato per il finanziamento dello Stato ed emesso dalla banca centrale.

Poichè in molte economie dell’area del Golfo la valuta locale è ancorata al dollaro, numerose banche centrali, come negli Emirati Arabi, fanno uso di foreign exchange swap per influenzare la liquidità sul mercato monetario domestico. Tuttavia la sharī‘ah compliance di questi strumenti è piuttosto controversa e numerosi Sharī‘ah Board non ne approvano l’utilizzo. Il recente “accordo tahawwut”, il master agreement tra IIFM e ISDA che ha definito regole, criteri e procedure per la negoziazione, il clearing e netting dei derivati islamici (cfr. cap. 2) rappresenta un potenziale sentiero di sviluppo per facilitare la gestione dei rischi e le operazioni transfrontaliere in diverse valute.

Nonostante in molti ordinamenti le standing facilities non siano ancora adatte a supportare in modo adeguato le banche islamiche, si osserva uno sforzo abbastanza generalizzato delle banche centrali per adeguare la propria offerta di strumenti in quest’ambito. Gli strumenti ad oggi esistenti sono nella maggior parte dei casi strutturati come mudārabah136 o commodity mudārabah.

In Malaysia le banche possono ottenere finanziamenti straordinari dalla banca centrale tramite una varietà di strumenti basati sul principio del mudārabah o su sukūk (accordi di sale-and-buyback). In Indonesia si può ottenere credito tramite il FPJPS, un sistema basato sempre sul mudārabah. In Kuwait, dal lato delle deposit facilities, vengono utilizzati dei contratti reverse-murābahah (tawarruq) per assorbire la liquidità in eccesso, ma non esistono lending facilities. In altri paesi, come Bahrein o Emirati Arabi, sono allo studio le forme più adeguate per rendere disponibili standing facilities anche alle banche islamiche. Generalmente il disegno di lending facilities adeguate si è rivelato più complesso del disegno di deposit facilities137.

Per creare delle adeguate standing facilities sarebbero necessari anche dei passi volti allo sviluppo di un mercato repo sharī‘ah-compliant, eventualmente basato sui sukūk. Inoltre andrebbe ampliata l’offerta di strumenti finanziari di breve periodo adatti ad una gestione più dinamica

134 Altri esempi rilevanti di paesi che utilizzano i sukūk nelle operazioni di politica monetaria sono quelli di Qatar e Brunei. 135 Il GII è uno strumento strutturato secondo i contratti bay‘ al-′inah, la cui applicazione e accettazione al di fuori della Malaysia è tuttavia molto limitata. 136 Si tratta spesso di prestiti il cui rendimento è legato al rendimento dei mudārabah della banca che chiede l’apertura di una linea di credito. 137 Ciò è principalmente ascrivibile alla difficoltà di legare il meccanismo di deposit facility ad un tasso penalizzante rispetto al mercato, senza però incorrere nella proibizione del ribā’.

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della liquidità. Infatti, proprio a causa delle insufficienti standing facilities e degli strumenti monetari disponibili, numerose banche islamiche sono costrette ad una gestione sub-ottimale della liquidità, detenendo attività liquide molto in eccesso rispetto ai requisiti imposti dalle autorità monetarie.

4.2.3 Le banche islamiche in un contesto convenzionale: il caso del Regno Unito e dell’Eurosistema

Il Regno Unito, come si è visto, risulta attualmente il paese europeo dove la finanza islamica è maggiormente sviluppata. Per quanto riguarda la politica monetaria, va preliminarmente osservato che nel Regno Unito non esiste un regime di riserva obbligatoria, ma uno schema di adesione volontaria al regime di riserva. Per esercitare l’attività bancaria è tuttavia obbligatorio depositare presso la banca centrale il Cash Ratio Deposit (CRD), che rappresenta una frazione minimale degli attivi di una singola istituzione; poichè tale deposito non è fruttifero, le banche islamiche non trovano impedimenti a sottoporsi a questo regime. Per di più, le cinque banche islamiche presenti nel Regno Unito attualmente non superano nemmeno la soglia dimensionale minima per essere soggette al Cash Ratio Deposit138.

Il regime delle riserve presso la banca centrale – eccetto la non obbligatorietà – funziona in modo analogo all’Eurosistema: tali riserve, oltre ad essere interamente mobilizzabili, vengono remunerate al tasso ufficiale della Bank of England. Tale remunerazione si pone in diretto contrasto con i principi islamici, per cui le banche islamiche non possono aderire allo schema di riserva. Di fatto, l’elenco delle banche aderenti allo schema di riserva, pubblicato dalla Bank of England, non comprende nessuna delle banche islamiche operanti nel Regno Unito139.

Se la possibilità di non aderire allo schema di riserva facilita, da un lato, il superamento di alcuni limiti alla partecipazione all’attività bancaria tradizionale per le banche islamiche, dall’altro pone tali banche ai margini del sistema e ne annulla di fatto i contatti con la banca centrale. Infatti, per partecipare alle operazioni di mercato aperto della banca centrale è necessario aver almeno aderito allo schema di riserva. Pertanto, tutte le operazioni di mercato aperto risultano precluse alle banche islamiche operati nel Regno Unito. Inoltre, risulta necessario sottolineare come la struttura stessa di tali operazioni – contratti repo a tasso fisso o variabile, a seconda dei casi – ne provoca l’incompatibilità con la sharī‘ah per il divieto di ribā e precluderebbe in ogni caso la partecipazione delle banche islamiche alle operazioni di mercato aperto.

Considerata inoltre la stretta relazione tra adesione allo schema di riserva e possibilità di fare ricorso alle standing facilities, l’adesione al primo implica automaticamente la possibilità di ricorrere alle seconde. Tuttavia, anche le banche che non partecipano allo schema di riserva (comprese le banche islamiche) possono aderire allo schema che permette di ricorrere alle standing facilities. Considerate le importanti implicazioni per la stabilità finanziaria di una tale possibilità, la banca centrale incoraggia tutte le banche operanti nel Regno Unito ad aderire a tale schema. Tuttavia, le operazioni di lending e deposit facility, basate su tassi d’interesse calcolati applicando uno spread al tasso ufficiale, risultano in contrasto con i principi islamici, pertanto nessuna delle banche islamiche operanti nel Regno Unito ha aderito allo schema di standing facilities proposto dalla Bank of England.

Tali limitazioni risultano meno stringenti per le banche islamiche costituite all’interno di gruppi bancari tradizionali, la cui partecipazione alle operazioni e alle facilities della banca centrale è assicurata dalla società capo-gruppo. Infatti, secondo la regolamentazione della politica monetaria della Bank of England, solo una società per gruppo bancario può partecipare sia allo

138 Tale soglia dimensionale minima è stabilita, all'interno del Red Book della Bank of England, in passività pari ad almeno 500 milioni di sterline. 139 La Bank of England pubblica sul proprio sito la lista di aderenti allo schema di riserva e alle standing facilities (http://www.bankofengland.co.uk/markets/money/documentation/participants.pdf).

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schema di riserva che alle operazioni di politica monetaria – con l’idea implicita che poi la liquidità all’interno del gruppo sia gestita in modo accentrato. Nella pratica, infatti, nonostante l’obbligo di segregazione dei fondi islamici da quelli rivenienti da attività bancarie convenzionali, le filiali islamiche non rimangono del tutto isolate dai gruppi di appartenenza. Infatti, il principio della segregazione dei fondi islamici e del loro utilizzo in termini compatibili con la sharī‘ah viene interpretato in massima parte in relazione all’operatività stessa della filiale islamica e della gestione dei fondi al suo interno. A titolo di esempio, in HSBC Amanah – la principale banca islamica facente parte di un gruppo convenzionale – il finanziamento dell’attività tramite capitale convenzionale proveniente dal gruppo non viene ritenuto in contrasto con i principi islamici, a condizione che tale capitale venga poi destinato ad attività sharī‘ah-compliant.

Le cinque banche islamiche stand-alone incorrono pertanto nelle limitazioni maggiori all'accesso alle facilities della banca centrale. Tali limitazioni le pongono indiscutibilmente in una posizione di marginalità nel sistema bancario britannico. Inoltre il non poter ricorrere alle facilities messe a disposizione dalla banca centrale rende queste banche potenzialmente più fragili delle loro concorrenti convenzionali. Tuttavia è necessario notare che il regime di politica monetaria vigente nel Regno Unito ha comunque reso possibile la nascita di più banche islamiche stand-alone senza bisogno di ricorrere a modifiche regolamentari o a soluzioni ad hoc nella conduzione della politica monetaria. Ma nei prossimi anni è ragionevole aspettarsi, nel caso di una crescita rilevante del peso degli intermediari islamici, che degli aggiustamenti all'infrastruttura di politica monetaria si rendano necessari.

Le banche islamiche del Regno Unito sono costrette a ricorrere, per la gestione della liquidità, a tipici strumenti della finanza islamica, diffusi anche in altre aree, quali le operazioni di commodity murābahah, relegando la gestione della liquidità delle banche islamiche ad una dimensione privatistica. Sono in corso studi per sviluppare alternative ai commodity murābahah. La progettata emissione di sukūk da parte del Tesoro britannico potrebbe essere un’alternativa più flessibile ai commodity murābahah, in quanto aiuterebbe la gestione della liquidità e faciliterebbe la trasmissione degli impulsi di politica monetaria anche alle banche islamiche.

Nell’Eurosistema non sono ancora operative banche islamiche che offrano servizi retail, ma l’esempio britannico e le tendenze di crescita del settore lasciano ipotizzare che nel prossimo futuro banche islamiche possano avviare l’attività anche nell’area dell’euro. Tuttavia l’assetto operativo della politica monetaria nell’Eurosistema sembra renderne più problematico l’accesso al mercato rispetto al caso del Regno Unito.

Da questo punto di vista, il primo ostacolo all’esercizio dell’attività bancaria da parte di un’istituzione islamica è rappresentato dal regime di riserva obbligatoria. Tale regime ha un funzionamento analogo a quello del Regno Unito – compresa la remunerazione delle riserve a una ponderazione del tasso ufficiale della BCE – salvo che la detenzione di un conto di riserva presso la rispettiva banca centrale nazionale risulta obbligatoria. È chiaro che un conto di riserva di questo tipo, remunerato ad un tasso d’interesse, risulterebbe in contrasto con i principi islamici e il non poter detenere una riserva di questo tipo metterebbe le banche islamiche in contrasto con la regolamentazione dell’Eurosistema.

Tuttavia, la BCE, sulla base dei criteri esposti nel Regolamento BCE/2003/9, può esentare singole istituzioni dagli obblighi di riserva. L’art. 2 comma 2 di questo Regolamento dispone che, tra le altre, possano essere esentate istituzioni che perseguono un oggetto esclusivo o istituzioni che non svolgono attività bancaria in concorrenza con altri enti creditizi. Dei criteri così stringenti fanno sì che, ad oggi, le banche esentate dall’obbligo di riserva rappresentino una categoria assolutamente residuale delle banche abilitate140. Pertanto la strada dell’esenzione dall’obbligo di riserva appare difficilmente percorribile da parte delle banche islamiche.

Alternativamente, esiste la possibilità di detenere la riserva obbligatoria tramite un intermediario. Tale possibilità è normalmente limitata a istituzioni che affidano parte dell’amministrazione (tesoreria) ad un intermediario (come le associazioni tra casse di risparmio o 140 L’elenco degli istituti creditizi esentati dall’obbligo di riserva è consultabile sul sito della BCE (http://www.ecb.int).

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tra banche cooperative). Nel caso la BCE dovesse reputare una banca islamica non esentabile dal regime di riserva obbligatoria, quest’ultima potrebbe ricorrere ad una gestione indiretta della riserva, tramite un intermediario. Il ricorso ad un intermediario potrebbe anche permettere una gestione “islamica” della remunerazione della riserva141. Altrimenti, resterebbe solo la facoltà residuale di aderire al regime di riserva obbligatoria e rinunciare – in qualche modo – alla remunerazione della stessa.

Inoltre, la struttura delle operazioni di mercato aperto non sembra lasciare molti spazi alla eventuale partecipazione di istituzioni islamiche. Le operazioni di rifinanziamento principale, che rappresentano il principale strumento nell’ambito delle operazioni di mercato aperto, possono assumere la forma di contratti repo o prestiti garantiti da un collaterale. Come per le operazioni della Bank of England, esse incorrono nel divieto del ribā. Inoltre, la mancanza di prodotti sharī‘ah-compliant all’interno dell’Eurosistema, che possano essere utilizzati come collaterale o nell’ambito dei contratti repo, pone un ulteriore limite all’accessibilità di queste operazioni da parte delle banche islamiche142. Questa preclusione alla partecipazione alle operazioni di mercato aperto non risulterebbe però completamente invalidante. Infatti, non tutte le banche attualmente operanti nell’Eurosistema sono abilitate a partecipare alle operazioni di mercato aperto della BCE e solo una minoranza di esse partecipa regolarmente alle operazioni di mercato aperto. Per esempio, in tutto il 2009, su un totale di 2.157 controparti idonee, solo 401 controparti hanno partecipato alle operazioni di rifinanziamento principale (ORP). La partecipazione alle operazioni di rifinanziamento a più lungo termine (ORLT) – che nel 2009 sono state il principale strumento utilizzato dalla BCE – ha invece oscillato tra 224 e 1.121 controparti.

Analogamente, le operazioni attivabili su iniziativa delle controparti (standing facilities), nonostante la varietà di forme giuridiche in cui sono strutturate da ogni banca centrale nazionale, non risulterebbero accessibili alle banche islamiche, rendendo queste ultime più vulnerabili da un punto di vista della gestione della liquidità e della stabilità finanziaria143.

In conclusione, le banche islamiche che dovessero decidere di operare all’interno dell’Eurosistema si troverebbero in una posizione di marginalità rispetto alle banche convenzionali e di relativo svantaggio competitivo. Tuttavia, come per altre banche convenzionali che attualmente non partecipano alle operazioni di politica monetaria della BCE, tale svantaggio non dovrebbe concretizzarsi in un impedimento assoluto all’operatività nell’ambito dell’Eurosistema. È ipotizzabile che tali istituti, per gestire la propria liquidità, facciano ricorso a strumenti analoghi a quelli utilizzati dalle banche islamiche operanti nel Regno Unito (come i commodity murābahah), oltre a detenere attività liquide in eccesso per fronteggiare improvvisi bisogni di cassa.

4.3 Il Mercato interbancario come naturale complemento della politica monetaria

Come noto, in un contesto economico convenzionale, il mercato monetario svolge un ruolo essenziale nella trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Un mercato monetario liquido, integrato e di adeguato spessore assicura una distribuzione uniforme della liquidità della banca centrale e un livello omogeneo dei tassi d’interesse a breve.

Esso è anche importante per la gestione della liquidità e del rischio da parte delle banche. Un mercato interbancario sharī‘ah-compliant risulta quindi fondamentale per lo sviluppo dei mercati dei capitali e contribuisce alla stabilità del settore finanziario islamico. Un mercato liquido ed 141 Si potrebbe, per esempio, ipotizzare di devolvere la remunerazione della riserva all’intermediario stesso, nell’ambito della remunerazione dovuta per i servizi ricevuti. 142 In tale ambito, dovrebbero essere approfondite le problematiche connesse all’immissione di strumenti sharī‘ah-compliant nei sistemi di gestione centralizzata, nonché il loro trattamento nei sistemi di regolamento titoli. 143 Anche per quanto riguarda le standing facilities, non tutte le banche attualmente operanti nell’eurosistema vi hanno accesso. A fine 2009, 2.401 controparti avevano accesso alle operazioni di rifinanziamento marginale e 2.775 a quelle di deposito (AA.VV., Annual Report 2009, European Central Bank, 2009).

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efficiente faciliterebbe il pricing di strumenti bancari e di capitale legati a tassi di rendimento benchmark relativi alle condizioni di mercato domestiche144.

Al momento, i mercati monetari islamici non sono integrati nei mercati monetari convenzionali nella maggior parte delle giurisdizioni. Il problema principale èl’insufficienza di prodotti sharī‘ah-compliant che possano aiutare lo sviluppo dei mercati interbancario e monetario. In molti paesi le banche islamiche sono costrette a sopperire a tale mancanza tramite la sottoscrizione di contratti OTC con banche convenzionali. Questa insufficienza di strumenti rispettosi dei principi islamici è anche una delle cause del limitato ricorso – da parte delle banche islamiche – alle facilities offerte dalle rispettive banche centrali. Questo rende il mercato interbancario eccessivamente segmentato145.

4.3.1 Le principali esperienze di sviluppo dei mercati interbancari in Medio Oriente e nel Sud est asiatico

Nell’ambito dei mercati interbancari e monetari islamici, l’attività bancaria si è sempre concentrata su mercati OTC, trascurando i mercati regolamentati, peraltro di creazione recente. In tale ambito un ruolo rilevante è stato storicamente svolto dalla piazza finanziaria di Londra. Infatti, sin dal 1980, molte banche islamiche del GCC – vista la mancanza di mercati interbancari domestici che offrissero strumenti adatti alla gestione della liquidità – iniziarono a rivolgersi alle banche convenzionali con sede a Londra, data l’esperienza finanziaria di quest’ultime, per reperire strumenti adatti alla gestione della liquidità bancaria. Londra risulta tuttora una sede di primo piano per le operazioni interbancarie sharī‘ah-compliant, alla quale si sono aggiunti i principali mercati emergenti del settore (soprattutto Malaysia, UAE e Bahrein).

Uno degli strumenti che ha riscosso maggiore successo è stato il commodity murābahah146. Questo strumento presenta elevati costi di transazione, ma è comunque in grado di offrire dei rendimenti simili a quelli dei titoli pubblici. Lo spessore e la liquidità del London Metal Exchange, ponendo un limite al rischio di mercato insito in queste transazioni, ha rappresentato uno dei motivi dell’attrattività di Londra per questo genere di attività.

Attualmente i commodity murābahah risultano essere tra gli strumenti maggiormente diffusi (Bahrein, Arabia Saudita, Qatar, Malaysia, Pakistan, Kuwait, UAE). GCC e Regno Unito risultano le aree maggiormente attive nell’emissione di strumenti di questo tipo. Tuttavia, essi presentano una serie di limitazioni poiché, secondo i principi islamici, questi contratti non dovrebbero essere scambiabili su un mercato secondario. Inoltre i costi fissi connessi con tali transazioni rendono gli investimenti sulle scadenze più brevi – le più importanti dal punto di vista del liquidity management – particolarmente svantaggiosi.

Il secondo strumento sharī‘ah-compliant maggiormente utilizzato per la gestione della liquidità da parte delle banche islamiche è il Mudārabah Interbank Investment (MII). La maggior diffusione dei MII si riscontra nel Sud est asiatico (Malaysia, Indonesia, Bangladesh). Tramite questo strumento una banca in deficit di liquidità può ottenere fondi da una banca in surplus emettendo un certificato mudārabah per un periodo prefissato che spazia da overnight a un anno. Per via del principio PLS, la banca che investe nel MII non dovrebbe conoscere in anticipo il rendimento di questa operazione, che dipenderà dal rendimento lordo della banca in cui si investe, ma

144 Attualmente, infatti, la maggior parte delle istituzioni finanziarie islamiche – in particolare nell’area del Golfo – fa riferimento al LIBOR per prendere le proprie decisioni di finanziamento e investimento. 145 A ciò contribuisce anche il numero limitato di banche islamiche presenti in numerose giurisdizioni e la loro dimensione media, solitamente di molto inferiore alle dimensioni medie delle banche convenzionali. 146 In questo contratto la banca con eccedenza di liquidità acquista dei metalli sul London Metal Exchange per poi rivenderli ad una controparte contro un pagamento differito ad un prezzo eguale al prezzo di acquisto dei metalli sul LME più un mark-up (murābahah). In un’altra versione del contratto i fondi interbancari sono utilizzati per eseguire una transazione di tipo murābahah in una qualsiasi materia prima, con i proventi pagati alla banca che offre i fondi (cfr. il paragrafo 1.3).

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solitamente il tasso di rendimento è stabilito in anticipo e il principale viene ripagato a scadenza. Tuttavia anche questi strumenti non risultano essere facilmente scambiabili su un mercato secondario e non risultano sempre adatti ad assorbire la liquidità da parte delle banche centrali. La maggior parte di questi strumenti viene acquistata over the counter e detenuta fino alla scadenza147.

Anche l’utilizzo di sukūk a medio e lungo termine – che cominciano ad avere una certa diffusione – per la gestione della liquidità a breve ha una serie di limitazioni, come il maggior rischio di mercato insito in questi strumenti e l’insufficiente sviluppo dei mercati secondari. Inoltre, finora solo pochi paesi hanno sviluppato un programma di emissioni per sukūk effettivamente scambiabili sui mercati, prevedibile e con volumi sufficientemente ampi. Tuttavia, i prodotti basati su sukūk o affini mostrano delle caratteristiche maggiormente adatte alla creazione di un mercato monetario efficiente: essi avrebbero costi minori e potrebbero rappresentare una buona alternativa ai murābahah per permettere alle banche islamiche di gestire la liquidità e le loro riserve.

In alcuni paesi si è, peraltro, provato a sviluppare dei mercati interbancari islamici regolamentati che potessero facilitare la trasmissione degli impulsi di politica monetaria e la gestione della liquidità bancaria. Gli esempi principali riguardano il Liquidity Management Centre (LMC)148, con sede in Bahrein, e l’Islamic Interbank Money Market (IIMM) in Malaysia.

Il Liquidity Management Centre è stato creato per facilitare l’investimento della liquidità in eccesso da parte delle banche islamiche in strumenti a breve e medio termine conformi ai dettami della sharī‘ah.149 L’obiettivo del LMC è quello di creare un attivo mercato interbancario che possa fare da punto di riferimento per tutta la regione, per far gestire nel migliore dei modi la liquidità alle banche islamiche. Il funzionamento del LMC viene regolato dalla Bahrein Monetary Agency.

Nel LMC viene offerta sul mercato primario un’ampia varietà di sukūk (salām, murābahah, īğārah, etc.). Tuttavia i volumi scambiati sul mercato secondario sono ancora limitati, anche perché alcuni strumenti – come i salām sukūk – non possono essere scambiati perché considerati, dalla giurisprudenza islamica prevalente nel GCC, come strumenti puramente finanziari. Il LMC viene utilizzato anche come piattaforma di mercato primario per il collocamento di alcuni strumenti corporate.

L’IIMM è stato introdotto nel 1994, su impulso della banca centrale malese, come un mercato a breve che potesse fornire una fonte di finanziamento a pronti per gli investimenti a breve termine basata sui principi della sharī‘ah.

Il mercato interbancario malese risulta più vivace del Liquidity Management Centre del Bahrein, vista anche l’ampia varietà di strumenti scambiabili, ed è attualmente il maggiore mercato secondario di strumenti islamici. Attualmente uno dei prodotti più scambiati sull’IIMM è dato dai Mudārabah Interbank Investments (MII), ma vengono scambiati anche īğārah, mushārakah e mudārabah sukūk, government investment issues (GII) e altri strumenti minori. Inoltre dal 2006 è stata regolata anche la possibilità di fare short selling – senza ricadere nella categoria islamica vietata del gharār – e di scambiare alcuni tipi di futures che abbiano come sottostante azioni od olio di palma150. Molte di queste iniziative, al di fuori della Malaysia, sono controverse dal punto di vista della loro sharī‘ah compliance, ma rappresentano comunque un risultato importante dal 147 Un altro strumento comunemente utilizzato, infine, è dato dalla stipula di accordi tra due banche islamiche per detenere vicendevolmente depositi infruttiferi di interesse. 148 In Bahrein è interessante anche il ruolo dell’International Islamic Financial Markets (IIFM), dedicato alla creazione e standardizzazione di strumenti finanziari negoziabili e trasferibili e alla promozione di un mercato secondario. 149 Si tratta di una società per azioni, i cui azionisti – con quote paritarie del 25 per cento– sono le maggiori istituzioni finanziarie islamiche dell’area del Golfo: Bahrein Islamic Bank, Dubai Islamic Bank, Islamic Development Bank e Kuwait Finance House. 150 L’olio di palma rappresenta una commodity di estrema importanza, in quanto rappresenta il principale prodotto di esportazione della Malaysia, che detiene una quota vicina al 50 per cento della produzione mondiale. In tal senso, il futures sull’olio di palma malese viene considerato il benchmark globale del prezzo dell’olio di palma. Inoltre l’olio di palma viene anche utilizzato come sottostante reale in numerosi contratti islamici.

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punto di vista dell’innovazione finanziaria e del completamento dei mercati. Anche grazie all’efficienza del mercato interbancario, dal 2005 la maggioranza degli strumenti di debito emessi in Malaysia sono islamici151.

4.3.2 Le possibili linee di sviluppo dei mercanti interbancari islamici e l’esperienza europea

Nonostante le recenti evoluzioni, i mercati interbancari islamici rimangono sottosviluppati. In questo ambito lo sviluppo di un mercato repo sarebbe estremamente utile per controllare l’offerta di moneta e per la gestione della liquidità a livello di singolo istituto. Un solido mercato repo rappresenta inoltre uno strumento addizionale per soddisfare gli obblighi di riserva. Finora ci sono stati alcuni esperimenti di mercati simili al repo in Bahrein e Malaysia. Tuttavia colmare il gap tra sharī‘ah compliance e la struttura di un contratto repo si è rivelato finora particolarmente complesso. Strutturare dei murābahah collateralizzati può già far raggiungere dei benefici simili a quelli dei contratti repo.

Per favorire lo sviluppo dei mercati interbancari è inoltre importante disporre di prodotti di mercato monetario che possano essere scambiati su un mercato secondario. A tale scopo, per facilitare le negoziazioni ed abbreviarne i tempi, sarebbe utile che le caratteristiche finanziarie dei commodity murābahah vengano standardizzate tra i vari mercati. Ciò favorirebbe lo sviluppo dei mercati regolamentati invece delle negoziazioni bilaterali.

La crescente importanza del mercato dei sukūk rende necessari degli interventi migliorativi anche in questo settore. In particolare andrebbe favorita l'emissione di sukūk governativi, se emessi in volumi sufficienti e con la continuità necessaria a rendere tali titoli liquidi. Andrebbe poi favorito il ricorso ai sukūk sovrani, da parte delle banche centrali, nelle operazioni di mercato aperto per gestire la liquidità sul mercato monetario islamico. L'esigenza di emissioni sovrane di sukūk è fortemente sentita dall'industria. Infatti, il tipico sentiero di sviluppo di un mercato vede prima le emissioni sovrane, poi quelle quasi-sovrane, infine quelle corporate. Tuttavia la crisi del debito originata negli Emirati Arabi a fine 2009, facendo emergere numerose incertezze normative ancora presenti nel mercato dei sukūk, ha scoraggiato molti emittenti sovrani ad emettere strumenti di finanza islamica o ne ha rallentato i progetti152.

Per favorire lo sviluppo del mercato dei sukūk può essere importante l’implementazione di un sistema di primary dealers e di altri accordi di market-making: i primary dealers contribuiscono sottoscrivendo le emissioni di titoli della banca centrale o del governo sul mercato primario, distribuendo i titoli agli investitori finali e, successivamente, fornendo servizi di market-making sul mercato secondario. Molti paesi hanno stipulato accordi con primary dealers: questi accordi potrebbero essere adottati facilmente anche in un contesto islamico, per agevolare lo sviluppo di mercati per strumenti sharī‘ah-compliant.

In Europa, il Regno Unito ha lungamente valutato l’opportunità di emettere dei sukūk governativi153, utili per la gestione della liquidità da parte delle banche islamiche154. Un’emissione di questo tipo fornirebbe alle banche islamiche titoli con rating AAA, denominati in sterline e che

151 La Malaysia risulta anche essere il principale emittente, a livello mondiale, di sukūk. 152 Nonostante le recenti difficoltà, il mercato dei sukūk sovrani rimane in rapida espansione. Sono numerosi i paesi che hanno allo studio un'emissione di questo strumento, da paesi a maggioranza islamica rimasti temporaneamente nelle retrovie dell'industria, come Turchia, Giordania e Kazakistan, a paesi non islamici, come Corea del Sud, Hong Kong e Filippine. 153 L’eventuale emissione di sukūk da parte del Regno Unito non sarebbe in realtà la prima in Europa. Infatti, il Land tedesco della Sassonia-Anhalt ha fatto un collocamento – tramite īğārah sukūk – di circa 100 milioni di euro nel 2004 (cfr. il paragrafo. 1.4). Tuttavia questa emissione non si è inserita in un programma strutturato di emissioni pubbliche. 154 Le scadenze preferite dovrebbero essere quelle a un mese e tre mesi. La struttura preferita sarebbe un contratto di tipo īğārah (l’īğārah sukūk è, al giorno d’oggi, la forma maggiormente utilizzata di sukūk; è ampiamente utilizzata in Malaysia, ma anche in Qatar, Pakistan, Bahrein, Sudan, Brunei).

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sarebbero qualificati nella disciplina di Basilea 2 come titoli di Stato, avendo in tal modo un requisito di capitale pari allo zero per cento. Inoltre, tale programma di emissioni potrebbe contribuire ad una maggiore accettazione dei sukūk come asset class indipendente ed incoraggiare altri paesi occidentali ad entrare nel mercato finanziario islamico. Tuttavia, dopo essere stata approntata la struttura legale necessaria all’emissione di un sukūk sovrano, questa è stata per il momento rinviata.

La Bank of England, su richiesta del Tesoro britannico, sta valutando se i sukūk possano essere accettati come collaterale nelle operazioni di mercato aperto. Il loro utilizzo come collaterale nelle operazioni con la banca centrale renderebbe tali prodotti più appetibili agli istituti non islamici e rimuoverebbe una delle limitazioni alla partecipazione delle banche islamiche alle operazioni con la banca centrale, facilitandone l’integrazione all’interno del sistema finanziario nazionale.

Nell'area dell'euro la Francia sta intraprendendo i passi necessari a favorire lo sviluppo della finanza islamica. Tra questi passi c'è anche l'emissione di un sukūk sovrano, ma i cambiamenti legislativi necessari si stanno rivelando più lenti e complessi di quanto inizialmente preventivato dal governo. A inizio 2010 anche il Lussemburgo ha ipotizzato un'emissione sovrana di sukūk. Vista l’assenza di banche islamiche nell’area dell’euro, l'esigenza di emettere sukūk può essere principalmente spiegata, dal punto di vista degli emittenti, con l'opportunità di diversificare la base degli investitori, attirare capitali esteri (principalmente dalle aree del GCC e del Sud est asiatico) e proporsi come centri europei di finanza islamica alternativi al Regno Unito. Tuttavia, sviluppare un intero programma di emissioni islamiche avrebbe degli alti costi fissi, limitandone la profittabilità, di fatto, ai maggiori emittenti dell’area (Germania, Francia e Italia), che sarebbero i maggiori beneficiari della creazione di un benchmark per il mercato dei sukūk.

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CAPITOLO QUINTO

L’ACCESSO DEGLI INTERMEDIARI ISLAMICI AI SISTEMI DI PAGAMENTO

Questo capitolo illustra i primi risultati dell’analisi condotta sulla possibilità per le banche islamiche di accedere ai sistemi di pagamento all’ingrosso TARGET2-Banca d’Italia e al dettaglio BI-COMP, e di fruire delle relative funzionalità. L’analisi non impegna in alcun modo la Banca d’Italia ad autorizzare tale accesso, che per ogni intermediario viene concesso solo al termine di un processo istruttorio volto, tra l’altro, a valutare sia che la sua partecipazione ai sistemi della Banca non generi rischi per il loro ordinato e regolare funzionamento, sia la conformità dell’ordinamento applicabile all’intermediario interessato alla normativa in materia di vigilanza, prevenzione del riciclaggio e contrasto al terrorismo internazionale.

TARGET2 consente il regolamento lordo in tempo reale e in moneta di banca centrale di pagamenti in euro ed è utilizzato per regolare operazioni di politica monetaria e in cambi dell’Eurosistema, operazioni immesse nei sistemi di compensazione per i pagamenti di importo rilevante o al dettaglio, nonché qualunque altro ordine di pagamento diretto ai partecipanti a TARGET2. Il sistema, che opera sulla base della Single Shared Platform (SSP), è giuridicamente strutturato come una molteplicità di sistemi di pagamento (c.d. sistemi componenti di TARGET2) e si articola nei sistemi di regolamento lordo delle banche centrali dell’Eurosistema e delle restanti banche centrali del SEBC che hanno deciso di avvalersi della SSP, armonizzati a livello europeo nelle rispettive discipline. TARGET2-Banca d’Italia è la componente italiana di TARGET2. La sua disciplina prevede distinte modalità di partecipazione/utilizzo del sistema e offre ai partecipanti diversi strumenti per la gestione della liquidità, tra i quali rilevano l’offerta di credito infragiornaliero e il c.d. liquidity pooling.

Il sistema di compensazione BI-COMP gestisce pagamenti al dettaglio effettuati mediante strumenti cartacei ed elettronici, articolandosi nei sottosistemi Recapiti locale e Dettaglio. Nel primo vengono scambiati strumenti quali gli assegni bancari e postali. Il sottosistema “Dettaglio” tratta invece operazioni che non implicano lo scambio materiale di documenti contabili; in esso, infatti, confluiscono i pagamenti scambiati in procedure elettroniche interbancarie (es. bonifici e incassi commerciali), gestite da centri applicativi e le cui regole di funzionamento sono definite dal mercato. I saldi multilaterali calcolati in ciascuno dei due sottosistemi concorrono a determinare i saldi multilaterali nazionali complessivi, inviati al regolamento in moneta di banca centrale nel sistema di regolamento lordo TARGET2.

5.1 TARGET2-Banca d’Italia

5.1.1 - La partecipazione diretta

La partecipazione diretta a TARGET2-Banca d’Italia consente agli intermediari di immettere nel sistema pagamenti in euro (per proprio conto o per conto di altri soggetti - partecipanti indiretti, addressable BICs), regolandoli su un conto (c.d. conto PM) detenuto presso la Banca e sul quale non sono corrisposti interessi155.

La titolarità di un conto PM costituisce il presupposto per tale modalità di partecipazione. Esso può essere utilizzato per regolare sia pagamenti disposti nelle diverse componenti nazionali di TARGET2, sia pagamenti di pertinenza del partecipante diretto o di altri soggetti, per conto

155 Con l’eccezione della remunerazione corrisposta sulle somme depositate a titolo di riserva obbligatoria.

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dei quali il medesimo agisce come settlement bank, rivenienti dai c.d. sistemi ancillari156 che utilizzano TARGET2 per regolare in moneta di banca centrale.

Gli attuali criteri di accesso sembrerebbero consentire la partecipazione diretta a TARGET2-Banca d’Italia delle banche islamiche, purché autorizzate a esercitare l’attività bancaria dall’Organo di vigilanza italiano (banche islamiche di diritto italiano) ovvero, nel caso in cui esse operino in Italia mediante l’insediamento di proprie succursali ovvero in libera prestazione di servizi (accesso remoto al sistema), da qualunque altra autorità di vigilanza dello Spazio Economico Europeo - SEE (banche islamiche costituite secondo la legislazione di un paese SEE). Analogamente, la partecipazione diretta sembrerebbe altresì ammissibile per le succursali di una banca islamica con sede legale fuori dal SEE autorizzate dalla Banca d’Italia a insediarsi in Italia o comunque autorizzate a insediarsi in un altro paese del SEE dalla rispettiva autorità di vigilanza (accesso remoto al sistema).

Per quanto concerne la titolarità del conto PM, eventuali problematiche relative alla compatibilità con i principi della sharī‘ah del relativo rapporto contrattuale richiedono l’esatta identificazione delle caratteristiche tecniche delle operazioni islamiche di raccolta; tale analisi appare al momento difficoltosa per l’assenza di riferimenti normativi universalmente accettati in materia e per la ridotta standardizzazione dei contratti utilizzati dall’Islamic banking.

5.1.2 - La partecipazione indiretta e il multi-addressee access

La partecipazione indiretta offre agli intermediari la possibilità di regolare sul conto PM di un partecipante diretto pagamenti immessi da quest’ultimo nel sistema. Il partecipante diretto può anche consentire a un partecipante indiretto appartenente al medesimo gruppo di immettere pagamenti direttamente nel sistema (c.d. multi-addressee access di gruppo). I pagamenti immessi dai partecipanti indiretti mediante il multi-addressee access sono considerati come immessi dal rispettivo partecipante diretto, che resta irrevocabilmente e incondizionatamente vincolato da tali ordini di pagamento a prescindere dal rapporto sottostante con i propri indiretti.

Anche per tale modalità di partecipazione i requisiti di accesso sembrerebbero consentire alle banche islamiche l’adesione a TARGET2-Banca d’Italia, sempre che le stesse siano riconosciute come “banche” dalle competenti autorità del SEE e presentino un’articolazione “territoriale e operativa” analoga a quella illustrata per la partecipazione diretta (banche islamiche di diritto italiano; banche islamiche autorizzate in altri paesi del SEE e operanti in Italia con proprie succursali o in libera prestazione di servizi; banche islamiche con sede legale fuori dal SEE, ma insediate nel SEE con almeno una succursale).

La normativa di TARGET2-Banca d’Italia non prevede il perfezionamento di un rapporto contrattuale tra la Banca d’Italia e il partecipante indiretto, ma esclusivamente l’obbligo per quest’ultimo di sottoscrivere un apposito accordo sui livelli di servizio con il partecipante diretto prescelto. La definizione dei contenuti di tale accordo è peraltro lasciata alla discrezionalità delle parti interessate, che pertanto dovrebbero valutarne autonomamente il grado di conformità ai precetti della sharī‘ah nel caso in cui una di esse (nel caso di specie il partecipante indiretto) fosse una banca islamica.

Per quanto concerne il multi-addressee access, il ricorso a tale funzionalità è subordinato dalla normativa di TARGET2 all’appartenenza del partecipante indiretto e del suo regolante (il partecipante diretto) al medesimo “gruppo”, la cui definizione non sembra contrastare, in linea di massima, con i precetti della sharī‘ah e con i divieti che da essi derivano157. Di più, si osserva che

156 Un sistema ancillare è un sistema nel quale si effettuano lo scambio e/o la compensazione di pagamenti e/o di strumenti finanziari. 157 Problemi di conformità alle regole della sharī‘ah potrebbero porsi per il principio contabile IAS 27, espressamente richiamato nella definizione di “gruppo”, in quanto i principi contabili internazionali concepiti per la finanza tradizionale risultano sovente di impossibile utilizzo per rilevare aspetti amministrativi conformi ai principi coranici (IOSCO 2004). In caso di non conformità, potrebbero sopperire i Financial Accounting Standards, principi contabili

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alcuni requisiti contenuti nella definizione in esame158 sembrerebbero coerenti con le motivazioni sottostanti alle “filiere religiose” sovente create dai soggetti che seguono i precetti islamici159, potendosi dunque ben attagliare alla relazione tra una banca islamica operante quale partecipante indiretto e una seconda banca islamica, sua regolante, che avesse concesso alla prima il multiaddresse-access.

5.1.3 - La titolarità di addressable BIC

I partecipanti diretti possono designare altri soggetti come titolari di addressable BIC, per consentire loro di immettere pagamenti nel sistema. Tale modalità di utilizzo del sistema consente al titolare di addressable BICs di avvalersi di TARGET2-Banca d’Italia senza perfezionare rapporti contrattuali con la Banca d’Italia, né interagire direttamente con le procedure sia nella fase di scambio, sia in quella del regolamento dei pagamenti.

Le disciplina di TARGET2-Banca d’Italia identifica il titolare di addressable BIC in un soggetto che: i) è intestatario di un codice identificativo bancario (BIC), ii) non è riconosciuto come partecipante indiretto e iii) è corrispondente o cliente di un partecipante diretto ed è in grado di immettere ordini di pagamento, e di ricevere pagamenti, nel sistema componente TARGET2 tramite il partecipante diretto.

Tali previsioni, che non richiedono l’appartenenza del soggetto interessato alla categoria degli enti creditizi, consentirebbero pertanto a qualsiasi banca islamica, insediata o con sede legale nel SEE o al di fuori di esso, di diventare titolare di addressable BIC per scambiare e regolare pagamenti in TARGET2-Banca d’Italia tramite un partecipante diretto. Diversamente dalla partecipazione diretta e da quella indiretta, il ricorso agli addressable BICs sembrerebbe cioè possibile anche per le banche islamiche che non dovessero essere riconosciute come “banche” dalle competenti autorità di vigilanza del SEE in base alla normativa armonizzata a livello europeo (una banca islamica con sede legale fuori dal SEE non insediata nel SEE né con la propria Amministrazione centrale/Direzione generale, né con proprie succursali).

La definizione del rapporto contrattuale tra la banca islamica, quale titolare di addressable BIC, e il partecipante diretto prescelto rientrerebbe nella discrezionalità delle parti interessate che, pertanto, dovrebbero valutarne autonomamente il grado di conformità ai precetti della sharī‘ah.

5.1.4 - Il credito infragiornaliero e il liquidity pooling

La Banca d’Italia, quale gestore di TARGET2-Banca d’Italia, eroga credito infragiornaliero ai partecipanti diretti che lo richiedano, per consentire loro di coprire gli sfasamenti temporali tra incassi e pagamenti che tipicamente si verificano in un sistema di regolamento su base lorda nel corso della giornata operativa e, in tal modo, agevolare l’esecuzione dei pagamenti interbancari. Il credito infragiornaliero consiste in una linea di credito illimitata, concessa mediante scoperti di conto, garantita da attività idonee, da rimborsare entro il termine della giornata operativa. Su di essa non è prevista la corresponsione di interessi.

Il credito infragiornaliero può essere erogato esclusivamente ai partecipanti diretti in TARGET2-Banca d’Italia, tra i quali qui rilevano gli enti creditizi, purché insediati sul territorio che si applicano alle istituzioni finanziarie islamiche sviluppati dall’AAOIFI. Il ricorso a tali standard in luogo dello IAS27 richiederebbe, peraltro, una valutazione congiunta delle banche centrali dell’Eurosistema. 158 Il gruppo è anche individuato in una rete bilaterale o multilaterale di enti creditizi che sia i) organizzata sulla base di regole statutarie che determinano l’affiliazione degli enti creditizi a tale rete ovvero ii) caratterizzata da meccanismi di cooperazione (per la promozione, il sostegno e la rappresentanza degli interessi commerciali dei membri della rete) e/o di mutualità che vanno oltre la cooperazione ordinaria usuale tra enti creditizi, laddove tali cooperazione e mutualità siano consentite dagli statuti o dagli atti costitutivi degli enti creditizi o stabilite da accordi separati. 159 Cfr. Vadalà (2006), pp. 16 e 17.

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nazionale. Conseguentemente, fatte salve le verifiche di conformità del rapporto di credito infragiornaliero ai principi della sharī‘ah160, solo una banca islamica di diritto italiano e le succursali italiane di banche islamiche potrebbero beneficiare della facility in esame, purché partecipanti diretti a TARGET2-Banca d’Italia.

La funzionalità del liquidity pooling, nella modalità “Liquidità Aggregata”, è uno strumento volto a evitare la frammentazione della liquidità nei diversi sistemi componenti TARGET2 e a consentire a un dato insieme di intermediari di semplificare la gestione della propria liquidità, migliorando l’efficienza complessiva del regolamento dei pagamenti in TARGET2. La funzionalità offre, infatti, ai partecipanti diretti la possibilità di gestire in modo accentrato la liquidità disponibile nel corso della giornata operativa sui rispettivi conti PM in essere presso uno o più sistemi componenti di TARGET2. Il ricorso al liquidity pooling è subordinato all’avvenuto perfezionamento di contratti per la concessione di credito infragiornaliero con la rispettiva banca centrale.

In base agli attuali criteri di accesso a tale funzionalità, il liquidity pooling sembrerebbe utilizzabile in TARGET2-Banca d’Italia dalle banche islamiche, se riconosciute come “banche” dalle competenti autorità di vigilanza e insediate nell’area dell’euro.

Analogamente a quanto osservato per il multi-addressee access, deve rilevarsi che i criteri di accesso al liquidity pooling, rinviando alla definizione di gruppo161 utilizzata per il multi-addressee, potrebbero ben attagliarsi alla relazione tra due o più intermediari islamici fruitori della funzionalità in esame. Tale considerazione sembrerebbe ulteriormente rafforzata nel caso del liquidity pooling dalle previsioni del contratto armonizzato da stipulare con la Banca d’Italia concernenti l’interesse comune dei membri del gruppo, in base alle quali questi ultimi dichiarano e riconoscono espressamente che il perfezionamento del contratto risponde ai loro comuni interessi economici, societari e finanziari, giacché gli ordini di pagamento di tutti i membri del gruppo possono essere regolati nei rispettivi sistemi componenti di TARGET2 fino a un ammontare corrispondente alla liquidità disponibile su tutti i conti PM dei membri stessi.

Il rapporto tra l’intermediario islamico e le restanti banche che si avvalgono del liquidity pooling resterebbe comunque nella discrezionalità dei soggetti interessati, permettendo loro di configurarlo nella forma più rispondente ai principi della sharī‘ah. Unici limiti sono dati i) dal divieto di fare riferimento a qualsivoglia accordo interno sulla ripartizione delle responsabilità nell’intento di limitare l’obbligazione solidale assunta nei confronti delle banche centrali interessate e ii) dall’obbligo di definire le norme in materia di organizzazione interna e di ripartizione dei costi e delle tariffe tra gli stessi fruitori della funzionalità.

5.2 BI-COMP

I criteri di accesso al sistema di compensazione consentono la partecipazione ai soggetti autorizzati alla raccolta del risparmio tra il pubblico e all’esercizio del credito, permettendo in linea teorica a qualunque banca islamica (insediata o con sede legale nel SEE o al di fuori di esso) di accedere a BI-COMP.

La possibilità di regolare i saldi multilaterali in moneta di banca centrale resterebbe però subordinata alla partecipazione diretta della banca islamica al sistema di regolamento lordo TARGET2. Tale modalità di partecipazione costituisce inoltre un requisito necessario per accedere al sottosistema Dettaglio162. L’eventuale impossibilità per le banche islamiche di partecipare direttamente a TARGET2 per ragioni di conformità ai principi della sharī‘ah non 160 Tali verifiche richiedono un’esatta identificazione delle caratteristiche tecniche delle operazioni di finanziamento islamico, resa difficoltosa dall’assenza di riferimenti normativi universalmente accettati e dalla ridotta standardizzazione dei contratti utilizzati dall’Islamic banking. 161 Cfr. nota 158. 162 Il sottosistema potrebbe pertanto restare precluso alle banche islamiche nel caso in cui la titolarità di un conto PM in TARGET2 non risultasse conforme ai principi della sharī‘ah.

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sarebbe peraltro ostativa all’utilizzo da parte delle stesse del sottosistema Recapiti locale, poiché i relativi criteri di accesso consentono agli intermediari di regolare i saldi di pertinenza in TARGET2 anche per il tramite di un altro aderente (c.d. partecipazione con modalità indiretta di regolamento).

Da ultimo deve notarsi che l’accesso degli intermediari islamici alle procedure interbancarie che immettono flussi di pagamento nel sottosistema Dettaglio (es. bonifici) resterebbe subordinato ai requisiti stabiliti dal mercato, estranei quindi alla competenza della Banca quale gestore di BI-COMP.

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GLOSSARIO* NOTA PER LA LETTURA DEI TERMINI ARABI I nomi arabi sono riportati secondo una traslitterazione estremamente semplificata per facilitarne la lettura. Si fornisce di seguito qualche suggerimento per la pronuncia di suoni particolari: ğ: dolce come in gi (ga/gu si leggono quindi gia/giu) gh: come la r francese, un po’ più dura kh: come la jota in spagnolo sh: come in sci o sh in inglese th: come th di thin in inglese ‘: suono gutturale-laringeo profondo : breve pausa fonetica ‘Alim (pl. ‘Ulama): sapiente, saggio, giureconsulto. Chi possiede un’educazione religiosa o svolge una professione legata alla religione, guida religiosa, interprete dell’Islam per la gente e i governanti.

Ègira: emigrazione di Muhammad e della sua prima comunità di fedeli dalla Mecca a Medina, avvenuta tra il 20 ed il 24 settembre 622; il calendario islamico ha inizio da tale data.

Fatwa (pl. Fatawā): parere di un giureconsulto derivante dal fiqh (cfr. infra).

Fiqh: la dottrina giuridica islamica frutto del processo di interpretazione (iğtihād) compiuto dai giuristi musulmani per conoscere ciò che Dio ha stabilito come lecito e come proibito. Scienza del diritto religioso dell’Islam che ha le sue radici (usul) nel Corano, la sunnah, l’iğma‘ (consenso) e il qiyās (analogia). (cfr. infra)

Gharār: Rischio imprevedibile o la cui probabilità di accadere non può essere calcolata.

Hadīth: trasmissione orale di un detto, un atto o un avvenimento che riguarda il profeta Muhammad. La sua veridicità è garantita da una catena di trasmettitori degni di fede che risale ai compagni e ai primi seguaci del profeta. Insieme al Corano e alla sunnah costituisce la fonte della shari‘ah.

Halāl: ciò che è permesso dalla shari‘ah. Riguarda il comportamento, il discorso e, più in generale, le prescrizioni alimentari.

Harām: ciò che è proibito dalla shari‘ah.

Hiyal (sing. Hīlah): stratagemmi legalistici per adeguarsi alle comuni pratiche commerciali pur evitando il ribā ; più in generale, uso di mezzi legali per perseguire dei fini, legali e non, non raggiungibili attraverso i mezzi consentiti dalla shari‘ah.

Iğma‘: (abbreviazione dell’espressione iğma‘ al-ummah ossia accordo di opinione della comunità); consenso in materia di giurisprudenza dei dottori della legge su un dato argomento che rientri nel campo della shari‘ah. Mancando una chiesa e una gerarchia ecclesiastica, il consenso opera come consuetudine, quindi è tacito e non ha bisogno per affermarsi di particolari strumenti o collegi deliberanti. Non vi è tuttavia opinione concorde tra le scuole giuridiche islamiche sia sull’iğma‘ in sé sia sulla sua estensione.

Iğtihād: attività ermeneutica e interpretativa esercitata sul Corano e sulla sunnah. Questa attività dottrinale, ad opera dei giuresconsulti, si è svolta essenzialmente nel periodo storico che va dalla metà del 700 a quella dell’800).

* Il presente glossario si basa prevalentemente sulle definizioni contenute in CASTRO (2007).

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Maysīr: (lett. gioco d’azzardo) speculazione; evento che può comportare la perdita totale per una delle parti coinvolte. Implica la non-esistenza dell’oggetto in questione oppure la mancanza di informazioni su aspetti materiali della transazione.

Qiyās: (lett. comparazione o misurazione) nel linguaggio giuridico indica la deduzione per analogia ossia l’applicazione, ad un caso nuovo o non ancora esaminato, della comparazione con casi analoghi già definiti dal Corano, dalla sunnah o dal consenso. Tra le fonti del diritto è quella più contrastata e che ha stentato ad affermarsi.

Rahn: forma di garanzia per i creditori che può essere usata per garantire un’obbligazione che, sebbene vincolante, non è chiaramente definita.

Ribā: (lett. aumento, accrescimento) prestito a usura che include il lucro usurario, il prestito ad interesse e ogni specie di ingiustificato arricchimento.

Sharī‘ah: insieme dei principi generali derivati dalle fonti del diritto musulmano e dalla tradizione giuridica dell’Islam. Via rivelata da Dio per regolare e valutare la condotta umana.

Sukūk: (plur. di sakk) strumenti obbligazionari coerenti con la shari‘ah, basati sul principio della separazione e della compartecipazione al rischio operativo dell’operazione, paragonabili a obbligazioni asset-backed, ovvero obbligazioni a fronte delle quali vi è un patrimonio separato costituito da attività reali.

Sunnah: (lett. modo abituale di comportarsi, consuetudine e norma di condotta). Si intende l’insieme delle tradizioni relative ai detti e alle azioni del profeta Muhammad. Fonti di cognizione della sunnah sono i racconti o hadīth (pl. ahādīth) (cfr. supra).

Tabarru‘: tipo di contratto non commutativo in cui il donatore cede una proprietà alla parte interessata senza ricevere alcun compenso. Nel takāful (cfr. infra) è la percentuale del contributo dei soci che non può essere restituita e che costituisce la garanzia comune a cui ricorrere per aiutare gli altri partecipanti.

Takāful: sistema di assicurazione islamica di tipo mutualistico in cui i partecipanti donano tutto o parte del loro contributo ad un fondo a cui attingere per il risarcimento dei danni.

Zakāt: uno dei cinque pilastri dell’Islam e tra i più importanti doveri religiosi dei musulmani. E’ la percentuale del patrimonio accumulato durante l’anno (fino al 10%, in base alla natura dei beni e alla modalità della loro acquisizione) che deve essere donata per aiutare i bisognosi e purificare le proprie ricchezze agli occhi di Dio.

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Allegato 1

L'INDUSTRIA BANCARIA E ASSICURATIVA ISLAMICA (1)

(miliardi di dollari e valori percentuali)

2007 Incidenza della finanza islamica

Area/Paese Banche Takāful Totale (2)

Tasso di crescita sul 2006

sul totale dell'industria finanziaria islamica

mondiale

sul totale dell'industria finanziaria del

paese (3)

Gulf Cooperation Countries (GCC) (4) 175,4 4,9 178,1 39,4 35,6 18,1 di cui: Arabia Saudita 68,5 1,6 70,1 14,0 23,4 Bahrein 25,6 0,8 26,4 5,3 10,9 UAE 34,9 1,0 35,9 7,2 15,2 Kuwait 37,3 1,2 38,5 7,7 27,2 Oman - - - - - Qatar 9,1 0,3 9,4 1,9 13,4 Non-GCC MENA (4) 174,6 2,2 176,8 29,9 35,3 di cui: Iran 152,9 2,0 154,9 30,9 82,6 Libano 14,3 0,0 14,3 2,9 23,8 Egitto 3,8 0,1 3,9 0,8 3,1 Giordania 2,6 0,1 2,7 0,5 9,0 Africa sub-sahariana 4,1 0,7 4,8 54,9 1,0 di cui: Sudan 4,1 0,7 4,7 0,9 52,1 Asia 86,6 33,0 119,6 20,9 23,9 di cui: Malaysia 64,1 1,2 65,3 13,0 26,3

Brunei - 31,5 31,5 6,3 - Pakistan 15,9 - 15,9 3,2 25,0 Bangladesh 4,3 0,3 4,6 0,9 11,0 Indonesia 2,3 - 2,3 0,5 1,5

Australia-Europa-America 21,5 - 21,5 5,8 4,3 di cui: UK 10,4 - 10,4 2,1 0,1 Turchia 10,1 - 10,1 2,0 2,5

Totale 462,2 40,8 500,8 29,7 100,0 di cui (%): retail/consumer 55,0 institutional 30,0 high net worth individuals 10,0

Numero di intermediari 407 118 525 di cui: banche commerciali 292

banche di investimento 115 Fonte: elaborazioni su dati The Banker e IMF. (1) Asset detenuti da banche e assicurazioni e dichiarati, dagli stessi intermediari, conformi alla sharī‘ah. - (2) Eventuali mancate quadrature dipendono da approssimazioni e utilizzo di fonti differenti. - (3) Rapporto tra le attività bancarie sharī‘ah-compliant e il totale per paese della somma delle seguenti attività di banche e altri intermediari finanziari non bancari: Foreign assets, Claims on central government, Claims on official entities, Claims on non-financial public enterprises, Claims on private sector (IMF, International Financial Statistics). - (4) L’acronimo MENA (Middle East and North Africa), nella definizione adottata dalla Banca Mondiale, indica un gruppo di 21 paesi del Nord Africa e Medio Oriente (Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Djibouti, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kuwait, Iran, Iraq, Israele, Libano, Libia, Malta, Marocco, Oman, Palestina, Qatar, Siria, Tunisia e Yemen), dei quali 6 (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) fanno parte del Gulf Cooperation Council (GCC).

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Allegato 2

IL MERCATO DEI CAPITALI SHARĪ‘AH-COMPLIANT

(miliardi di dollari e valori percentuali)

2002 2003 2004 2005 2006 2007

NUOVE EMISSIONI DI SUKŪK

Asia e Pacifico 0,6 0,0 5,1 8,8 15,9 20,0di cui: sovereign - - - - 1,6 2,0 corporate 0,6 - 5,1 8,8 14,3 18,1 Medio Oriente e Asia centrale 0,2 2,2 2,0 2,9 11,3 18,5di cui: sovereign - - 1,4 0,7 0,9 4,7 corporate 0,2 2,2 0,7 2,2 10,4 13,8 Altri 0,0 0,0 0,1 0,3 0,2 0,1di cui: Germania (sovereign) - - 0,1 - - - USA (corporate) - - - - 0,2 - UK (corporate) - - - 0,3 - - altri - - - - - 0,1 Totale 0,8 2,2 7,2 12,0 27,4 38,6

di cui: sovereign - - 1,5 0,7 2,6 6,7 corporate 0,8 - 5,7 11,3 24,8 31,9

FONDI DI INVESTIMENTO ISLAMICI

Numero di nuovi fondi creati nell'anno 22 55 52 76 101 153

Tipologia (%) azionari 27,0 40,0 obbligazionari 5,0 9,0 bilanciati 45,0 10,0 money market & commodities 14,0 20,0

private equity & real estate 9,0 12,0 altri 10,0

Target geografico (%)

Globale 18,0 35,0Asia Pacific 45,0 33,0Middle East/Africa 32,0 24,0Nord America 5,0 5,0Europa - 1,0Altro - 2,0

Fonte: per i sukūk per gli anni 2002 e 2003 la fonte è il sito www.lmcBahrein.com, mentre per gli anni successivi i dati sono tratti da Jobst et al. (2008), e provengono dall'Islamic Finance Information Service (IFIS). Per i fondi di investimento, la fonte è la pubblicazione The islamic funds & investments report di Ernst & Young (2008).

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Allegato 3

TECNICHE DI FINANZIAMENTO PLS

Mudārabah

Nel contratto di mudārabah il possessore di capitale (rabb al-māl: la banca o il cliente) concede denaro alla parte richiedente (mudārib: l’imprenditore o la banca nel caso di finanziamento indiretto) la quale si impegna a gestire la somma al fine di trarne un profitto da ripartirsi tra le parti in base ad una percentuale stabilita in fase contrattuale come quota parte del totale degli utili (non come somma fissa). Le eventuali perdite sono sopportate solo dal rabb al-māl. La mudārabah è di solito usata per il finanziamento di progetti a breve termine o del commercio.

Muzāra‘ah È l’equivalente della mudārabah per il finanziamento dell’agricoltura. Il raccolto è diviso tra finanziatore e agricoltore, eventuali perdite sono sopportate solo dal primo. Il finanziatore può apportare capitali liquidi o terreni.

Mushārakah

Nella mushārakah la banca e l’imprenditore costituiscono una partnership; la banca potrebbe non essere la sola finanziatrice del progetto come invece lo è nel caso della mudārabah. Il contratto può prevedere un potere di voto e di partecipazione alla gestione da parte dei finanziatori, che partecipano ai profitti e alle perdite in base alla quota detenuta. L’imprenditore apporta, oltre alle proprie capacità organizzative, anche dei capitali e partecipa non solo agli utili ma anche alle perdite. La mushārakah è generalmente utilizzata per finanziare investimenti di lungo periodo.

Musaqat E’ l’equivalente per l’agricoltura della mushārakah. Il raccolto è suddiviso tra i partecipanti al capitale secondo il contributo di ognuno.

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Allegato 4

TECNICHE DI FINANZIAMENTO NON-PLS

Murābahah

La banca acquista beni in nome proprio ma per conto di un cliente per poi rivendergliele a un prezzo pari a quello iniziale più un mark-up. Il pagamento può avvenire anche ratealmente. Questo contratto è diffuso soprattutto nel credito al commercio e in quello all’importazione.

Commodity murābahah

Il cliente effettua una transazione di murābahah con la banca (ossia chiede alla banca di acquistare una merce determinata, ad es. metalli, per suo conto, con pagamento differito a rate), seguita immediatamente dalla richiesta di vendere il bene sul mercato a pronti delle materie prime. In tal modo il cliente ottiene un finanziamento immediato (attraverso la vendita sul mercato a pronti) che ripagherà alla banca successivamente a rate.

Īğārah (o īğārah wa iqtinā)

E’ un contratto di leasing. La commissione pagata alla banca, fissata al momento del contratto e calcolata sulla base dell’uso che l’imprenditore intende fare del bene in oggetto, non può essere commisurata al tempo dell’operazione. Il contratto di īğārah wa iqtinā prevede anche la facoltà di acquisto del bene locato da parte del beneficiario.

Bay‘ al-inah

È un contratto di vendita e riacquisto. Alla vendita di un bene dietro il pagamento differito di una somma di denaro, fa fronte il riacquisto dello stesso bene dietro il pagamento immediato di una somma di denaro inferiore alla precedente. Siccome i termini del contratto sono stabiliti al momento della stipula, il contratto svolge le funzioni di un prestito.

Bay‘ al-muajil

Vendita istantanea con pagamento differito. Il venditore vende un bene con pagamento differito in unica soluzione o a rate. Il prezzo è stabilito al momento della vendita e non può incorporare alcun ricarico per il ritardato pagamento. Questo contratto è impiegato soprattutto nel credito al consumo.

Bay‘ al-salām

Vendita differita con pagamento immediato. La banca o la società finanziaria paga in anticipo dei beni (di solito merci stagionali, soprattutto prodotti agricoli) al produttore, il quale ha bisogno di liquidità per finanziare il circolante. Tali merci verranno consegnate ad una data scadenza. E’ simile ad un contratto future o a un forward-purchase contract, da cui differisce per il solo fatto che il pagamento è immediato.

Qard hasan

Si tratta di prestiti che non prevedono il pagamento di interessi fatti a soggetti bisognosi. La banca può farsi rimborsare esclusivamente i costi di gestione del prestito, che non devono essere in alcun modo correlati all’ammontare del prestito e alla sua durata.

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Allegato 5

Banche islamiche Banche interest-based

Garanzia del valore nominale dei:

1.1 Depositi non remunerati 1.2 Depositi partecipativi

Si No

Si Si

Rendimento dei depositi Incerto; non garantito. Certo e garantito.

Meccanismo di determinazione dei

rendimenti dei depositi

Per i depositi partecipativi dipende dalle performance della banca o del progetto finanziato. Possono essere previsti meccanismi di return smoothing attraverso la Profit Equalisation Reserve (PER), finalizzata ad “appiattire” i profitti durante le fasi positive del ciclo, e la Investment Risk Reserve, (IRR) tesa ad assorbire le perdite inattese.

Indipendente dalle performance della banca e dei suoi investimenti (eccetto il caso di insolvenza).

Uso discrezionale di garanzie (collateral) da parte

della banca

Possibile nelle tecniche di PLS esclusivamente per ridurre fenomeni di moral hazard. Ammesso sempre nelle tecniche non PLS.

Possibile sempre, senza distinzione tra tecniche PLS e non PLS.

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Allegato 6 Dimostrazione

Sotto le ipotesi classiche sui cui poggia la teoria microeconomica dell’impresa e del consumatore, la massimizzazione del profitto implica che l’impegno lavorativo, ovvero l’effort applicato dall’imprenditore, sia inferiore nel caso in cui il finanziamento avvenga tramite contratto PLS (Profit and Loss Sharing) rispetto al caso in cui avvenga con un contratto di debito.

Si ipotizzi una funzione di produzione dell’impresa di tipo Cobb-Douglas con due input, capitale x e impegno lavorativo (effort) e:

baexy Nel primo caso, il capitale è fornito da una banca convenzionale, mentre l’effort è profuso

dal conduttore dell’impresa. L’imprenditore deve scegliere quanto capitale farsi prestare dalla banca e quanto impegno esercitare nella gestione dell’impresa, dati i costi che entrambi i fattori produttivi comportano. Nel caso in cui sia la banca convenzionale a fornire il capitale, il problema di ottimo che l’imprenditore deve risolvere in concorrenza perfetta è:

exrexp ba

ex 1max

,

dove p è il prezzo del bene finale prodotto dall’impresa, r è il tasso di interesse applicato dalla banca, che si presuppone esogeno e γ è il costo dell’impegno, che per semplicità supponiamo lineare.

Le condizioni del primo ordine sono:

1

1 1ba

ba

ebxp

reaxp da cui

ba

conv

ab

conv

bxpe

r

aepx

1

1

*1

1

* ; 1

;

Nel secondo caso il capitale è fornito da una banca islamica, che viene remunerata con una

quota dei proventi della vendita del bene finale. Il problema di ottimo fronteggiato dall’imprenditore che opera in concorrenza perfetta ora diventa:

exexps ba

ex

,max

dove s è la quota di ricavi di competenza dell’impresa, (1 – s) è la quota spettante alla banca islamica finanziatrice, mentre tutte le altre variabili sono definite come sopra. Si noti la mancanza di rx, ovvero degli interessi da versare in aggiunta al rimborso del debito.

Le condizioni del primo ordine sono:

1

1 1ba

ba

ebxps

eaxps da cui ba

PLSab

PLS

bxpseaepsx

11

*11

* ;

.

Sostituendo in e confrontando le due equazioni di risposta ottima, si trova che se s ≤ *x *e

r11 , come accade per valori ragionevoli dei parametri s ed r, allora si ha che:

**PLStrad ee

Come sottolineato nel testo, tale risultato presuppone l’ipotesi di razionalità degli agenti in senso neo-classico; non si ipotizza alcun “religious committment” o altro patto etico tra banca e impresa. In tal caso l’effort applicato dal management nel caso PLS potrebbe non dipendere soltanto da variabili economiche.

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Allegato 7 Distribuzione degli asset nel sistema bancario del Bahrein

Banche commerciali tradizionali

8%

9%

10%

15%

18%

40%

settore pubblico

altro

costruzioni e real-estate

industria

commercio e servizinon finanziari

prestiti personali

settore pubblicoBanche commerciali islamiche

1%

29%

10%

28%

31%

1%

altro

costruzioni e real-estate

industria

commercio e servizinon finanziari

prestiti personali

Fonte: IMF Country Report No. 06/91

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