Osservatorio sulle politiche strutturali - ISMEA · 3 PARTE 1 - LA QUALITA’...

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DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE DI SVILUPPO Direzione Generale dello Sviluppo Rurale Ufficio POSR II Osservatorio sulle politiche strutturali LA QUALITA’ COME STRATEGIA PER L’AGRO-ALIMENTARE ITALIANO Ottobre 2006 ISMEA Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare

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DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE DI SVILUPPO Direzione Generale dello Sviluppo Rurale

Ufficio POSR II

Osservatorio sulle politiche strutturali

LA QUALITA’ COME STRATEGIA PER L’AGRO-ALIMENTARE ITALIANO

Ottobre 2006

ISMEA

Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare

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Indice PARTE 1 - LA QUALITA’ NELL’AGRO-ALIMENTARE: ASPETTI GENERALI................................. 3

1. Le specificità della qualità nell’agroalimentare.......................................................................... 3 1.1. I beni alimentari come “beni esperienza” e “beni fiducia”................................................... 4 1.2. La sicurezza alimentare: un prerequisito ........................................................................... 4 1.3. Dimensioni oggettive e soggettive della qualità ................................................................. 6 1.4. La differenziazione verticale e quella orizzontale nell’agro-alimentare .............................. 6

2. La qualità come leva competitiva .............................................................................................. 7 2.1. ll ruolo della qualità nelle strategia basate sui prezzi ......................................................... 8 2.2. Il ruolo della qualità nelle strategia di differenziazione di prodotto..................................... 9 2.3. La qualità come fulcro della competitività dell’agro-alimentare italiano ........................... 10

PARTE 2 - GLI STRUMENTI PER LA VALORIZZAZIONE DELLA QUALITA’............................... 11 3. Le norme igieniche e sanitarie ................................................................................................ 13 4. La sicurezza alimentare .......................................................................................................... 17 5. La rintracciabilità ..................................................................................................................... 18 6. Le indicazioni geografiche (DOP, IGP) ................................................................................... 19 7. L’indicazione dell’origine della materia prima agricola ............................................................ 22 8. Le Specialità Tradizionali Garantite (STG).............................................................................. 23 9. Il biologico e la produzione integrata....................................................................................... 23

9.1. Il biologico ........................................................................................................................ 24 9.2. La produzione integrata ................................................................................................... 25

10. Le certificazioni volontarie..................................................................................................... 27 11. Le certificazioni di qualità europee........................................................................................ 29 Sono state identificate due tipologie di certificazioni di qualità così distinte: .............................. 29 12. Le certificazioni ambientali e la qualità degli alimenti............................................................ 34 13. La dimensione etica della qualità .......................................................................................... 35

PARTE 3 – ANALISI DI MERCATO................................................................................................ 38 14. L’evoluzione dei consumi alimentari ..................................................................................... 38

14.1. I consumi domestici........................................................................................................ 38 14.2. Consumi extradomestici................................................................................................. 45 14.3. Fattori critici.................................................................................................................... 60

15. Le dinamiche della distribuzione alimentare ......................................................................... 61 15.1. Dimensione del settore .................................................................................................. 61 15.2. Scenario competitivo...................................................................................................... 64 15.3. Fattori critici di successo ................................................................................................ 65 15.4. Prospettive ..................................................................................................................... 66

16. La ristorazione collettiva e commerciale moderna ................................................................ 67 16.1. La ristorazione collettiva................................................................................................. 67 16.2. La ristorazione commerciale moderna ........................................................................... 69

PARTE 4 – LA QUALITA’ COME OBIETTIVO DI POLITICA AGRO-ALIMENTARE...................... 71 17. Il sostegno alla qualità nel nuovo sviluppo rurale.................................................................. 71

17.1. L’adeguamento alle nuove norme.................................................................................. 71 17.2. La promozione degli alimenti di qualità .......................................................................... 72 17.3. Il miglioramento del benessere degli animali ................................................................. 73

18. Le politiche nazionali a sostegno della qualità ...................................................................... 74 18.1. I marchi nazionali di qualità............................................................................................ 74 18.2. La complementarietà con le regioni per le attività di promozione .................................. 75 18.3. La tutela dei marchi di qualità a livello internazionale .................................................... 76

Allegato I ............................................................................................................................. 77

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PARTE 1 - LA QUALITA’ NELL’AGRO-ALIMENTARE: ASPETTI GENERALI

1. Le specificità della qualità nell’agroalimentare I prodotti agroalimentari presentano aspetti del tutto particolari circa la definizione, la misura,

l’ottenimento e la garanzia di un dato livello qualitativo. Anzitutto la definizione di qualità non è, né

può essere, univoca in quanto è ormai noto che essa deve essere definita rispetto alla capacità di

un dato bene o servizio di soddisfare i bisogni espressi o latenti dei consumatori e/o dei clienti.

Nel caso dei prodotti alimentari, inoltre, data la forte sensibilità dei consumatori finali, in particolare

rispetto a talune delle caratteristiche qualitative, c’è una sensibilità del tutto particolare rispetto alle

stesse: si pensi ai contenuti nutrizionali e salutistici degli alimenti, senza escludere gli aspetti

igienici e di sicurezza sanitaria, per fare solo alcuni esempi.

Inoltre, non va sottovalutato il fatto che i prodotti alimentari non possano essere pienamente

valutati dal punto di vista qualitativo se non solo dopo il consumo e, in parte, nemmeno dopo di

esso. Ciò fa comprendere l’importanza, specie in questi casi, dei sistemi di controllo, di garanzia e

di comunicazione, inclusi i marchi, atti a costruire una reputazione e un rapporto di fiducia che

risulta centrale per l’apprezzamento e la valorizzazione della qualità.

Questo contesto impone, quindi, anche alle aziende agricole, una serie di attività e di controlli dai

costi crescenti, dei quali non sempre gli operatori percepiscono i benefici. Se da un lato, quindi, vi

sono certamente nuove esigenze in termini di controlli del rispetto delle garanzie minime di qualità

dei prodotti alimentari, dall’altro c’è il rischio concreto che, anche a causa della struttura stessa del

mercato agricolo, gli agricoltori siano di fatto impossibilitati a recuperare almeno parte dei costi di

questi sistemi con conseguente aumento delle difficoltà economiche e finanziarie.

D’altro canto, la qualità dei prodotti alimentari non può certo essere limitata alla verifica e al

controllo di requisiti minimi di sicurezza. Anzi, è sempre più necessario passare a forme di

valorizzazione adeguata della qualità che consentano di ottenere, dal mercato, un prezzo finale dei

prodotto agricolo più interessante e remunerativo. In questi casi, non di rado, è anche necessario

realizzare un sistema di qualità integrato coerente tra i diversi soggetti delle filiere interessate, in

quanto, la qualità del prodotto alimentare finale (che include una quota crescente di servizi), è

frutto delle scelte di un numero spesso molto elevato di operatori.

Se, nel primo caso, l’obiettivo degli strumenti deve essere quello di ridurre i costi del sistema di

controlli e di garanzie, distribuendoli tra i diversi soggetti delle filiere in misura proporzionale alla

possibilità di ricavarne benefici, questo diverso approccio alla qualità è quello certamente più

interessante e promettente, anche se non privo di insidie e di difficoltà.

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1.1. I beni alimentari come “beni esperienza” e “beni fiducia”

Secondo una classificazione divenuta ormai classica, i beni alimentari possono essere considerati

dei beni “esperienza” nel senso che il loro livello qualitativo e le loro caratteristiche possono essere

conosciute quasi soltanto mediante una esperienza diretta di consumo, o meglio dopo tale

esperienza. Ovviamente vi sono diversi indicatori, incluse talune informazioni disponibili

sull’etichetta del prodotto, che possono migliorare ed aumentare le informazioni disponibili

sull’alimento anche prima del consumo, ma ciò vale se si è fissata, nel tempo, nella mente dei

consumatori, una conoscenza appropriata circa la corrispondenza tra le caratteristiche del prodotto

e le informazioni dell’etichetta.

Inoltre, sempre più frequentemente, gli alimenti assumono anche alcune delle caratteristiche dei

beni “di fiducia” nel senso che talune caratteristiche non possono essere conosciute con certezza

nemmeno dopo l’esperienza di consumo: si pensi, ad esempio, al contenuto di additivi, conservanti

o sostanze utili alla salute, al contenuto in residui, al rispetto di determinate modalità produttive,

ecc.. Con riferimento ai suddetti parametri o ad altri analoghi, nemmeno l’esperienza diretta di

consumo consente di giungere ad una valutazione precisa da parte del consumatore: è solo la

fiducia nei marchi, nelle informazioni di etichetta o in altri elementi che indirettamente comunicano

una certa “reputazione” del prodotto che il consumatore acquisisce informazioni sul prodotto e

assume le sue decisioni.

Anche per le ragioni di cui sopra, quindi, nel caso dei prodotti alimentari si verifica una situazione

di forte asimmetria informativa che crea incertezza nei consumatori e occasioni per comportamenti

non corretti (“moral hazard”) da parte di taluni produttori. Se non si mettono in campo strumenti

idonei di controllo e di informazione adeguata, quindi, si corre il rischio di generare una perdita

netta di benessere sociale sia a danno dei consumatori sia a danno dei produttori. I consumatori,

infatti, incorrono nel rischio di non riuscire ad acquistare ciò che desiderano, non trovando ciò che

cercano, in termini qualitativi, proprio a causa della inadeguatezza delle informazioni ricevute sul

prodotto. Per i produttori, invece, il pericolo consiste nel fatto che finiscono per essere di fatto

avvantaggiati coloro che non operano correttamente o comunque coloro che producono beni di

qualità inferiore a danno dei produttori di beni di qualità (e costi) superiori con conseguente

scomparsa, nel tempo, sia dei produttori di questi prodotti che dei prodotti stessi con un

“appiattimento” verso il basso della qualità e una riduzione del grado di varietà disponibile per le

diverse categorie merceologiche.

1.2. La sicurezza alimentare: un prerequisito

Il termine “sicurezza” in campo alimentare ha due diverse accezioni che la lingua inglese identifica

con due diverse parole: la “food security” e la “food safety”. Mentre la prima identifica la sicurezza

degli approvvigionamenti, ovvero la disponibilità di alimenti in quantità adeguata a soddisfare i

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bisogni basilari, la seconda si riferisce alla assenza di possibili impatti negativi sulla salute dei

consumatori. Nel passaggio dalla prima alla seconda si potrebbe riassumere uno dei principali

cambiamenti della politica agro-alimentare dell’Unione Europea nel corso degli ultimi decenni:

mentre negli obiettivi della PAC (Politica Agricola Comune) del Trattato di Roma del 1957 si

leggeva, in modo esplicito, “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti”, nella ridefinizione

degli stessi in occasione della stesura di Agenda 2000 (Com (97)2000def del 15 luglio 1997), si

legge, tra l’altro: “La salute, in particolare la sicurezza degli alimenti, costituisce la principale

preoccupazione”. Dall’attenzione primaria alla quantità di cibo disponibile a quella per la sua

“qualità”, anzitutto intesa nel senso di sicurezza sanitaria. Non si può certo affermare che la

sicurezza sanitaria degli alimenti non fosse un obiettivo della PAC anche in precedenza,

ovviamente, ma non era stato evidenziato per due ragioni: la prima era l’assoluta prevalenza della

dimensione quantitativa su quella qualitativa, data l’urgenza di superare la relativa scarsità di

alimenti; la seconda è dovuta ai grandi cambiamenti che si sono realizzati nei sistemi

agroalimentari moderni.

Con lo sviluppo di tali sistemi, infatti, è progressivamente aumentata la distanza, sia fisica che

culturale, tra chi produce le materie prime agricole e il consumatore finale. Inoltre, all’aumentata

distanza corrisponde anche una progressiva “spersonalizzazione dei rapporti” lungo la filiera che

porta ad una sostanziale modifica del sistema informale di garanzie che, un tempo, il contatto

personale tra acquirenti e venditori, nei diversi stadi, era in grado di assicurare. L’acquisto dei

prodotti alimentari avviene, ormai, in misura largamente prevalente all’interno di punti vendita della

GDO senza contatti con il personale. La catena scelta, in qualche misura, assieme ai diversi tipi di

marchio e di informazioni in etichetta che il prodotto può presentare, sono i nuovi elementi di

garanzia, in sostituzione di quelli offerti dai sistemi di rapporti personali di un tempo.

La crescente spersonalizzazione degli scambi ma anche la globalizzazione dei mercati, che ha

realizzato una crescente integrazione internazionale dei sistemi produttivi, hanno portato, quindi,

anche ad una percezione diversa dei rischi e ad una effettiva maggiore difficoltà ed importanza dei

controlli formali e/o istituzionali. Non di rado, l’opinione pubblica esprime perplessità sulla qualità di

prodotti di importazione o di provenienza ignota e manifesta una spiccata preoccupazione quando

percepisce l’incertezza relativa a taluni aspetti qualitativi dei prodotti alimentari che, anche solo in

parte, utilizzino materie prime agricole di provenienza lontana.

Nella attenzione alla indicazione dell’origine delle materie prime agricole vi è certamente, almeno

in taluni casi, anche una componente di domanda di sicurezza: l’origine, in altri termini, può

essere, tra le altre cose, anche un indicatore indiretto e quantomeno impreciso, di sicurezza

alimentare.

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1.3. Dimensioni oggettive e soggettive della qualità

Come accennato, la qualità può essere definita come il grado in cui un prodotto soddisfa le

esigenze e le aspettative dei clienti, e in ultima analisi, nel caso di prodotti alimentari, anche dei

consumatori finali. E’ evidente che il grado di soddisfazione dipende da una pluralità di fattori,

alcuni dei quali misurabili e altri no, alcuni dei quali riferiti a bisogni noti ed espressi, altri a bisogni

non espressi o latenti; in tutti i casi, il rapporto tra i clienti/consumatori ed il prodotto, specie nel

caso dei prodotti alimentari, ha una forte componente soggettiva.

Per questa ragione, se, da un lato, è necessario proseguire in un percorso di sempre più attenta e

precisa definizione delle caratteristiche misurabili ed oggettive dei prodotti alimentari, che

necessariamente si traducono in una altrettanto precisa definizione delle caratteristiche dei prodotti

agricoli di partenza, dall’altro, è pur sempre importante prestare attenzione anche alle altre

caratteristiche, non necessariamente tutte facilmente misurabili, che permettono ad un prodotto

alimentare di essere percepito e vissuto come di qualità “superiore” rispetto ad altri.

La componente soggettiva della qualità, o meglio, le componenti soggettive, rappresentano una

difficoltà per quanti operino a livello aziendale in quanto non facili da identificare, classificare,

raggruppare e valutare per la loro portata economica; allo stesso tempo, però, esse rappresentano

anche una grande opportunità: è proprio dalla capacità di soddisfare con successo questa

domanda di qualità che possono scaturire le migliori opportunità economiche per un dato prodotto

e/o per una data azienda. E’ questo lo spazio tipico del marketing agroalimentare.

Queste opportunità, tuttavia, riguardano in misura maggiore i prodotti destinati ai consumatori

finali, ma, certamente, non tutti i prodotti allo stesso modo: è certamente molto più difficile

differenziare farina bianca o farina di mais, zucchero o latte UHT, per fare qualche esempio,

piuttosto di quanto non lo sia per salumi o formaggi.

1.4. La differenziazione verticale e quella orizzontale nell’agro-alimentare

Un aspetto strettamente connesso con la duplice dimensione soggettiva ed oggettiva della qualità

nel settore agroalimentare, è quello della possibilità di differenziazione sia verticale che orizzontale

degli alimenti.

Poiché i beni alimentari possono essere interpretati e definiti da un insieme, più o meno

complesso, di caratteristiche, si possono verificare casi di differenziazione verticale solo quando,

per tutte le caratteristiche rilevanti, un prodotto sia “superiore”, rispetto ad un altro, in termini

oggettivi percepiti come tali dai consumatori e quindi valorizzati di conseguenza.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, non è possibile stabilire a priori se un determinato bene

alimentare sia “superiore” per “tutte” le caratteristiche rilevanti rispetto ad un altro, sia perché, tra le

caratteristiche rilevanti per i consumatori, ve ne potrebbero essere di non misurabili e di non

oggettive, sia perché, molto spesso, un bene alimentare si differenza da un altro in senso

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“migliorativo” per alcune caratteristiche, ma in senso “peggiorativo” per alcune altre; ne consegue

che l’esito finale, in termini di disponibilità a pagare un dato prezzo da parte dei consumatori,

dipenderà dall’importanza che le diverse caratteristiche hanno per i diversi consumatori.

A priori, quindi, nell’alimentare si deve parlare di differenziazione senza poter ipotizzare

necessariamente la presenza di una qualità “migliore” rispetto ad una “peggiore”, ma piuttosto la

presenza di beni di qualità semplicemente diversa. Sono le preferenze effettive ed i comportamenti

di consumo che definiscono, in ultima analisi, quale sia la percezione dei diversi mix di

caratteristiche di prodotti concorrenti.

Questo aspetto è importante per almeno due ragioni. Anzitutto, i diversi strumenti disponibili per

identificare prodotti “di qualità” nell’agroalimentare (DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, BIO, ecc.) non

portano “necessariamente” alla formazione di una graduatoria e quindi di una differenza di prezzo

univoca tra i diversi prodotti. In secondo luogo, data la almeno parziale soggettività della

percezione e della valutazione della qualità, essa non deve essere considerata stabile nel tempo:

un prodotto può guadagnare o perdere in apprezzamento per il suo livello qualitativo anche se

restassero ferme tutte le sue caratteristiche. E’ evidente che anche questa considerazione ha

implicazioni in termini di strategie di marketing.

2. La qualità come leva competitiva Sempre più spesso ed in situazioni assai diverse quanto a luoghi, contesti operativi e comparti o

filiere interessate, si affronta il tema della qualità ed il termine ritorna con insistenza con riferimento

ad aspetti molto diversi tra loro.

Tra le tante chiavi di lettura possibili, ve n’è una di forte interesse per la sua capacità

discriminatoria dal punto di vista sia della comprensione dei contenuti del termine che della sua

rilevanza per le dinamiche aziendali e di mercato, come pure quelle del ruolo e degli strumenti di

un eventuale intervento pubblico, comprese le politiche attive che possono essere sostenute

nell’ambito dello sviluppo rurale.

Tale prospettiva si basa sulla individuazione della strategia competitiva prevalente nei diversi

comparti e nelle diverse filiere considerate: è di importanza decisiva, infatti, distinguere tra una

strategia competitiva basata sui prezzi e quindi, indirettamente, sulla leadership nei costi di

produzione, o piuttosto una strategia centrata sul perseguimento di una differenziazione di prodotto

finalizzata a conseguire un vantaggio che si traduce nella possibilità di ottenere un prezzo di

vendita del prodotto significativamente e stabilmente più elevato rispetto a quello della

concorrenza. In entrambi i casi si parla di qualità ma la prospettiva è sostanzialmente diversa.

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2.1. ll ruolo della qualità nelle strategia basate sui prezzi

In genere si è portati a considerare i prodotti agricoli semplicemente, o almeno primariamente,

come semplici materie prime e, in quanto tali, scarsamente o per nulla differenziabili. Non di rado,

ad esempio, studiosi e operatori mostrano le forti preoccupazioni per un aumento della

concorrenza di prezzo da parte di produttori di territorio diversi nell’ambito dello stesso Paese o di

altre parti dell’Unione Europea, se non addirittura di paesi extra-UE. E mentre si descrivono i gravi

rischi per i produttori, determinati da questa crescente concorrenza, spesso si sottolineano anche

le caratteristiche che renderebbero qualitativamente preferibili i prodotto nazionali o di un dato

territorio. E’ evidente che, almeno in parte, tali considerazioni appaiono contraddittorie ad una

analisi più approfondita e mostrano come non vi sia chiarezza sul ruolo della qualità nelle diverse

condizioni di mercato e di strategia competitiva.

Nel caso di prodotti agricoli assai scarsamente differenziabili e/o differenziati, cioè prodotti

assimilabili a “comuni” materie prime, l’elemento di gran lunga dominante nella competizione è,

ovviamente, il prezzo. Ciò non implica, necessariamente, che non vi siano anche specifiche

richieste da parte degli acquirenti, in termini di particolari caratteristiche di prodotto o del processo

produttivo. In questi casi, infatti, tendono a svilupparsi rapporti contrattuali basati su specifiche

produttive ben precise, che possono anche includere la valorizzazione di talune caratteristiche del

prodotto; la rilevanza di queste rispetto al prezzo finale è, tuttavia, generalmente molto limitata; ne

consegue una fortissima sostituibilità tra produttori, aree produttive e paesi di provenienza.

In altri termini, si parla anche in questo caso di qualità ma nel senso di rispetto di standard minimi

o di caratteristiche particolari: ciò non è in grado di influenzare in modo significativo il prezzo finale.

Possibili esempi di prodotti che presentano queste caratteristiche sono i cereali, le proteiche e le

oleaginose, il latte per uso industriale, talune produzioni ortofrutticole destinate all’industria (arance

da succo, pesche e pere da industria, ecc.).

La qualità, in questi casi, tende a riferirsi semplicemente al rispetto di determinati parametri di

natura chimico-fisica, biologica, tecnologica, ecc.. Si tratta cioè, soprattutto, se non

esclusivamente, di caratteristiche misurabili che tendono quasi inevitabilmente a divenire pre-

requisiti piuttosto che attributi migliorativi, specie dal punto di vista degli scarsissimi effetti che essi

sono in grado di generare sul prezzo al quale questi prodotti agricoli vengono scambiati.

In questi casi, per l’agricoltore, esistono poche alternative se non quella di allinearsi, con i minori

costi e la migliore efficacia possibile, alle richieste dei mercati, sempre prestando la massima

attenzione alla dinamica dei costi che resta quella decisiva per la competitività.

Spesso, infatti, in questo contesto competitivo, la qualità permette semplicemente l’accesso al

mercato, l’accesso al sistema della trasformazione, piuttosto che un premio di prezzo.

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2.2. Il ruolo della qualità nelle strategia di differenziazione di prodotto

Sempre con riferimento ai prodotti agricoli che più assomigliano a vere e proprie materie prime, per

la loro forte omogeneità e/o per l’alto grado di trasformazione che in genere subiscono prima di

raggiungere il consumatore finale, esistono alcune, seppur limitate, opportunità di intervento

finalizzate a perseguire politiche di valorizzazione dei prodotti basate sulla differenziazione.

Si tratta, ad esempio, della possibilità di differenziare il prodotto agricolo mediante il marchio

“biologico”; alternativamente potrebbero agire in modo simile, scelte quali “OGM-free” o eventuali

altri marchi o certificazioni ambientali (ad esempio EMAS o ISO14001) e/o etici (ad esempio la

certificazione SA8000). In tutti i casi, tuttavia, è sempre e assolutamente necessario verificare

attentamente, caso per caso, prodotto per prodotto, azienda per azienda, territorio per territorio, se

si possano ipotizzare ragionevolmente risultati economici soddisfacenti in un orizzonte temporale

compatibile con le esigenze aziendali. Solo la verifica del mercato, infatti, può dire se le singole

scelte possono portare a risultati positivi e non vi sono ragioni, a priori, per ipotizzare un esito

piuttosto che un altro. Anche in questo caso, quindi, studi di mercato e un adeguato supporto in

termini di marketing sono elementi necessari, come sempre quanto si tenta la strada della

differenziazione del prodotto.

In altri casi, invece, si possono utilizzare anche altri strumenti di differenziazione, quali le

indicazioni geografiche: DOP e IGP per i prodotti agro-alimentari, DOC, DOCG e IGT per i vini.

Questi stessi strumenti di differenziazione, inoltre, possono combinarsi anche con quelli del

biologico o con le altre certificazioni etiche o ambientali di cui sopra.

Al di là degli strumenti specifici, tuttavia, le strategie di differenziazione dei prodotti sono finalizzate

a raggiungere l’obiettivo di un premio di prezzo finale che si traduca, nel caso dei prodotti

alimentari, anche in un premio di prezzo per la fase agricola della produzione. E’ ancor più

evidente, nel caso di produzione di un prodotto per il quale si persegua questa strategia, quanto le

diverse fasi della filiera debbano essere necessariamente ed efficacemente coordinate proprio al

fine di creare, mantenere e valorizzare quegli elementi differenziali sui quali si basa la percezione

di qualità dei consumatori finali. La qualità, infatti, origina dai processi utilizzati, sia a livello agricolo

che di trasformazione, ma risente anche degli altri fattori di produzione utilizzati sia in agricoltura

che a livello di industria, così come delle modalità di confezionamento, di conservazione, di

presentazione, nonché di preparazione finale e di consumo.

E’ evidente, quindi, come unitamente al prodotto, debba giungere fino al consumatore anche un

flusso adeguato di servizi, ma, soprattutto, di informazioni che favoriscano una più chiara

percezione delle sue caratteristiche, materiali ed immateriali. Queste informazioni, almeno in parte,

possono anche essere comunicate in modo sintetico mediante appositi marchi, se la loro gestione

nel tempo ha saputo costruire e rafforzare una reputazione, cioè un apprezzamento stabile e forte

per il prodotto, i processi, i servizi, le altre caratteristiche qualitative (quali l’origine, ad esempio)

rispetto ai quali i consumatori si sentono adeguatamente garantiti. La comunicazione, in altri

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termini, non fa altro che contribuire a costruire, mantenere e rafforzare nel tempo questa

reputazione, sintesi del grado di apprezzamento dei consumatori per il prodotto.

2.3. La qualità come fulcro della competitività dell’agro-alimentare italiano

La riforma della PAC, che il nostro Paese ha iniziato ad applicare dal 1 gennaio 2005, rappresenta

una grande sfida per l’intero agroalimentare nazionale: quella di adeguarsi rapidamente ed

efficacemente ad un cambiamento profondo di contesto competitivo che imporrà modificazioni,

talvolta drastiche, nelle strategie competitive delle aziende agricole, delle filiere, dei distretti, degli

stessi territori.

Il disaccoppiamento del pagamento unico aziendale, infatti, è destinato ad avere alcuni effetti

importanti: (1) renderà gli agricoltori molto più attenti ai segnali di mercato; (2) porterà

presumibilmente ad un’ulteriore accentuazione dell’instabilità dei prezzi dei prodotti agricoli; (3)

renderà gli imprenditori agricoli più attenti a tutte le possibilità di incremento dei pezzi di vendita dei

loro prodotti mediante la risposta a una domanda finale sempre più multiforme e complessa.

La competitività dell’agricoltura italiana in termini di costi di produzione, infatti, salvo rarissime

eccezioni, è particolarmente difficile in un contesto ormai non solo di Unione Europea a 25 paesi,

ma anche di crescente concorrenza sul piano mediterraneo e globale.

Anche per queste ragioni, quindi, appare importante, per il sistema agro-alimentare nazionale,

puntare in misura crescente al sostegno di forme di competizione basate su un‘adeguata

valorizzazione della qualità degli alimenti.

Con questo non si può concludere che non vi siano alternative allo sviluppo dei più noti marchi,

delle denominazioni di origine, ecc.. Tuttavia appare altrettanto chiaro che, nell’ambito delle

produzioni agricole scarsamente o per nulla differenziate, la concorrenza di prezzo è destinata ad

essere sempre più forte ed i prezzi, presumibilmente, più variabili, creando sia occasioni positive

che situazioni di difficoltà come spesso avviene sui mercati internazionali delle “commodities”

agricole.

Resta vero, allo stato attuale, che solo una parte relativamente limitata delle produzioni gode di

forme di tutela e/o di valorizzazione mediante marchi di vario tipo, ma è anche altrettanto vero che

molti prodotti, si pensi a quello ortofrutticoli, potrebbero giovarsi assai più di quanto non abbiano

fatto finora, di questi strumenti, anche per tentare la carta di una differenziazione certo difficile, ma

non più della crescente competizione sui prezzi.

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PARTE 2 - GLI STRUMENTI PER LA VALORIZZAZIONE DELLA QUALITA’

L’assicurazione della qualità al mercato, tramite adeguate forme di verifica ed attestazione della

conformità ai requisiti applicabili (certificazione) – che è richiesta in tutti i settori di attività socio-

economiche quale presupposto per la fiducia del cliente e del consumatore finale – riveste grande

importanza anche nel settore agro-alimentare dato il carattere primario e diffuso dei bisogni che i

relativi prodotti sono chiamati a soddisfare.

La qualità igienico-sanitaria (sicurezza alimentare) è garantita dalla legislazione in materia e da un

adeguato sistema di controlli. Essa è oggi governata da una molteplicità di standard, nel cui ambito

i principi HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point) rivestono certamente un ruolo di

rilievo. La relativa certificazione di conformità, ove esistente, si configura come vera e propria

certificazione cogente.

Alle esigenze di tipicità, tradizionalità e abitudine dei consumatori, il legislatore ha risposto con

l’emanazione dei Regolamenti Comunitari in materia di prodotti a Denominazione di Origine

Protetta (DOP), Indicazione Geografica Protetta (IGP), Specialità Tradizionale Garantita (STG), e,

con riferimento ai vini, Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate (DOC e DOCG in Italia).

Alle domande di tutela dell’ambiente e di sviluppo sostenibile, provenienti dal mercato, si è data

una risposta con l’introduzione del sistema di produzione biologica, anch’esso definito da apposito

Regolamento Comunitario, ed, in parte, anche con la produzione integrata (PI), anche se definita,

per ora, sulla base di disciplinari assai diversi nel contesto sia nazionale che europeo.

Con l’introduzione dei prodotti DOP e IGP e delle produzioni da agricoltura biologica si sono creati

dei “marchi di qualità” regolamentati, a cui il produttore accede per scelta volontaria, ma, per i

quali, i criteri normativi di riferimento ed i procedimenti di valutazione della conformità/certificazione

sono definiti da regole cogenti. Tali certificazioni regolamentate vengono rilasciate da Organismi

appositamente autorizzati dall’Autorità competente.

I prodotti coperti da certificazione regolamentata rappresentano, tuttavia, una frazione

relativamente modesta del mercato agro-alimentare e non coprono, necessariamente, tutte le

esigenze del consumatore nei termini precedentemente evidenziati. Si richiedono, pertanto,

ulteriori elementi per meglio guidare il consumatore nelle proprie scelte di qualità.

Questi sono rappresentati dalla certificazione volontaria di prodotto (“marchi volontari di qualità

alimentare”).

I marchi volontari di prodotto vengono rilasciati da competenti Organismi di Certificazione di parte

terza, nell’ambito di appositi schemi di certificazione basati su riferimenti normativi (disciplinari

tecnici) elaborati con il consenso delle parti interessate e su procedimenti di valutazione adeguati

alle caratteristiche dell’oggetto della certificazione ed alle attese del mercato.

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Nell’ambito della certificazione di prodotto, particolare importanza riveste la cosiddetta

certificazione di rintracciabilità di filiera che si configura, di fatto, come certificazione di processo.

Questa garantisce la rintracciabilità del prodotto alimentare in tutti i passaggi del processo

produttivo – from farm to fork – ed è anch’essa effettuata da competenti Organismi di

Certificazione di parte terza.

A complemento e integrazione delle forme, più o meno dirette, di assicurazione della qualità

(certificazione) dei prodotti agro-alimentari sopra richiamate, si sono affermate, sia pur in gradi

diversi, anche forme indirette di assicurazione, rappresentate dalla certificazione dei sistemi di

gestione che pure rivestono considerevole importanza per la produzione agricola e l’industria agro-

alimentare in genere, quali la certificazione di sistema di gestione per la qualità (SGQ) (regolata

dalla Norma ISO 9001:2000) e la certificazione dei sistemi di gestione ambientale (SGA) (regolata

dalla norma ISO 14001:2004).

La conformità a suddette norme sistemiche, oltre che promuovere il miglioramento delle

prestazioni dell’organizzazione in termini di capacità di soddisfazione dei bisogni economici e

sociali connessi, fornisce, o dovrebbe fornire, innanzi tutto, garanzie in ordine all’osservanza delle

norme cogenti che, nel caso della produzione agricola ed agroalimentare, riguardano l’igiene e la

salubrità (sicurezza) dei prodotti e la tutela dell’ambiente in cui ha sede l’attività produttiva.

Per quanto attiene all’approccio ISO 9001:2000, sono state sviluppate numerose Guide finalizzate

all’applicazione ottimale della norma nei settori della produzione agricola e agro-alimentare ma

anch’esse non appaiono particolarmente focalizzate sul tema della sicurezza e la loro efficace e

diffusa implementazione ha,comunque, incontrato varie difficoltà.

Infine, un’altra serie di norme internazionali di riferimento per la produzione e il commercio dei

prodotti alimentari sono quelle emanate dal Codex Alimentarius, organismo istituito dalla FAO e

dall’OMS e partecipato da oltre 170 Paesi, compresa l’UE, con l’obiettivo di facilitare gli scambi

internazionali e garantire ai consumatori un prodotto sano, correttamente presentato ed etichettato.

Le norme Codex, pur non essendo obbligatorie, vincolano i Paesi aderenti: per questo, negli ultimi

anni, l’emanazione di standard spesso basati su livelli mediamente più bassi, rispetto a quelli

esistenti a livello comunitario per favorire il commercio internazionale, ha creato notevoli problemi

di interrelazione tra i diversi sistemi produttivi delle varie regioni del mondo, per es. sulle norme di

commercializzazione degli ortofrutticoli.

E’ pertanto opportuno promuovere lo sviluppo delle diverse forme di certificazione applicabili

(prodotto, processo, sistema), fra loro correlate e talvolta complementari, anche con riferimento

alla problematiche di sicurezza alimentare, oltre che alle problematiche più generali di qualità

economica e sociale. A tal fine, occorre:

• valorizzare in modo sinergico gli strumenti cogenti e volontari disponibili;

• garantire la validità, credibilità ed efficacia dei metodi e procedimenti di certificazione;

13

• conferire alle corrispondenti attestazioni di conformità (marchi di qualità) la massima

affidabilità;

• favorire una adeguata conoscenza del significato delle diverse certificazioni da parte dei

consumatori finali in modo da promuovere, al tempo stesso, scelte più consapevoli e

maggiori opportunità di valorizzazione dei prodotti.

Gli strumenti che il sistema volontario pone a disposizione dell’affermazione della qualità nel

settore agro-alimentare (riferimenti normativi, sistemi di certificazione, sistemi di accreditamento)

sono già largamente consolidati e comunque proiettati in un’ottica di continuo sviluppo e

miglioramento e, come tali, devono essere opportunamente riconosciuti e valorizzati.

Un aspetto certamente importantissimo connesso alla identificazione, comunicazione e

valorizzazione della qualità è quello relativo alle norme sull’etichettatura. La direttiva europea in

materia di prodotti alimentari e la relativa legge di recepimento in Italia sono fondate

sull’informazione e sulla tutela dei consumatori, i quali, attraverso le caratteristiche del prodotto, le

modalità di conservazione, la durata, saranno nelle condizioni di meglio orientare le scelte di

acquisto anche funzionalmente alle proprie esigenze.

Le norme in materia di etichettatura devono essere rafforzate per soddisfare le aspettative dei

consumatori in termini di differenziazione dei prodotti, di identificazione della loro origine e delle

caratteristiche e modalità di produzione; in taluni casi è anche necessario che l’etichettatura faccia

parte del sistema di rintracciabilità dei prodotti alimentari. E’ altresì necessario prestare attenzione

a non eccedere nella quantità di informazioni presenti in etichetta in quanto ciò aumenta

fortemente il rischio di irrilevanza di tutte le informazioni fornite e quello di creare confusione. I temi

concernenti l’etichettatura, quindi, devono essere certamente affrontati in modo congiunto rispetto

a quelli inerenti la sicurezza, ma soprattutto la identificazione delle garanzie e la qualità.

3. Le norme igieniche e sanitarie La salute pubblica deve essere tutelata attraverso la produzione di alimenti sicuri e le autorità di

ogni Paese hanno perseguito questa finalità per mezzo dell’attività di controllo ufficiale.

Le recenti normative della CE hanno promosso un approccio del tutto innovativo rispetto al

controllo dei rischi igienici, introducendo il sistema dell’autocontrollo del processo produttivo

(HACCP), responsabilizzando di fatto il produttore. Tale approccio integra l’attività di controllo

ufficiale rendendola più efficace.

La tutela igienica del processo produttivo di ogni alimento è requisito indispensabile per la qualità

dell’alimento stesso e della sua promozione commerciale: ogni strumento e qualunque

metodologia finalizzata ad assicurare l’igiene dei prodotti, è da considerarsi oramai la via obbligata

da percorrere se si vogliono conseguire risultati apprezzabili in qualità e immagine.

14

Il Decreto legislativo 2 Febbraio 2001 n°25, inoltre, estende la “Responsabilità per danno da

prodotto difettoso”ai prodotti agricoli, e definisce come difettoso il prodotto che non offre la

sicurezza che ci si può legittimamente attendere.

Non deve valutarsi negativamente tale estensione poiché va a rafforzamento della tutela della

salute dei consumatori e della loro fiducia, ma il regime di responsabilità vigente mal si attaglia al

settore agricolo, in considerazione delle peculiarità del processo di produzione (fattori esterni

ambientali difficilmente controllabili ed influenzabili) e della struttura stessa delle imprese agricole

Per questo il produttore agricolo potrebbe forse ottenere un esonero da responsabilità non sue

mediante il ricorso a idonea documentazione di certificazione del proprio processo produttivo.

Di seguito sono schematizzati i principali contenuti ed i principali problemi connessi con

l’applicazione del cosiddetto “pacchetto igiene”.

IL PACCHETTO IGIENE • Regolamento n. 178/2002 del 28.01.2002 stabilisce i principi ed i requisiti generali della

legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa

procedure nel campo della sicurezza alimentare

• Regolamento n. 852/2004 del 29.04.2004 sull’igiene dei prodotti alimentari

• Regolamento n. 853/2004 del 29.04.2004 stabilisce norme specifiche in materia di igiene per

gli alimenti di origine animale

• Regolamento n. 854/2004 del 29.04.2004 stabilisce norme specifiche per l’organizzazione dei

controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano

OBIETTIVO: creare una politica unica e trasparente in materia di igiene, applicabile a tutte le

derrate alimentari e tutti gli operatori di tale settore, in modo da creare strumenti efficaci per la

gestione della sicurezza alimentare e di eventuali crisi future

I prodotti soggetti alle norme di igiene sono:

1. tutti gli alimenti;

2. norme specifiche per la carne e i prodotti a base di carne;

3. molluschi bivalve, prodotti della pesca, latte e prodotti lattiero caseari, uova e ovoprodotti,

cosce di rana, lumache, gelatina, collagene.

Il pacchetto igiene introduce i principi HACCP (analisi dei pericoli – punti critici per il loro controllo)

in tutto il settore alimentare, ad eccezione delle aziende agricole e zootecniche.

Gli agricoltori non hanno l’obbligo di introdurre questo sistema, ma devono essere incoraggiati a

farlo. Il settore agricolo deve comunque preparare delle guide per le buone pratiche che precisino

gli obblighi da rispettare in materia di igiene degli alimenti, quali regole di igiene, qualità dei

mangimi, norme sul benessere degli animali, lotta contro i parassiti, registri sulla salute degli

animali.

15

La responsabilità incombe all’operatore del settore alimentare, mentre le autorità pubbliche hanno

il compito di controllare la situazione con ispezioni regolari.

Sono previste dalla nuova normativa e dovranno essere elaborate da organismi come le

interprofessioni, coadiuvate dagli operatori interessati, i consumatori e le autorità. Se necessario,

l’elaborazione avverrà a livello europeo, da parte dei rappresentanti dei vari settori alimentari, o

dalle associazioni dei consumatori, o in cooperazione tra loro, e con le autorità pubbliche. I progetti

di guide dovranno essere valutati dal comitato permanente europeo della catena alimentare e della

salute animale.

Le norme possono essere adeguate per le piccole imprese, i prodotti tradizionali e le imprese

insediate in regioni isolate, per quanto riguarda in particolare la presenza di un veterinario per

l'ispezione post mortem, il contenuto e la trasmissione di informazioni sulla catena alimentare.

Questa flessibilità non era prevista nella legislazione precedente.

REGOLAMENTO N. 852/2004 DEL 29.04.2004 Definisce le norme generali in materia di igiene dei prodotti alimentari destinate agli Operatori,

richiama i seguenti principi:

• Responsabilità è dell’operatore

• Garantire sicurezza su TUTTA la filiera, anche produzione primaria

• Mantenere la catena del freddo

• Applicazione generalizzata HACCP e corretta prassi igienica (responsabilizzazione

maggiore degli operatori)

• Valorizzazione dei manuali di corretta prassi igienica

• Determinare criteri microbiologici e requisiti per controllo T° sulla base della valutazione

scientifica dei rischi

• Equivalenza requisiti igienici alimenti tra comunitari e importati

Elementi caratterizzanti:

1. Strategia integrata: sicurezza alimenti da sicurezza di filiera (fornitore-cliente)

2. Rinforzo della validità del sistema Haccp come metodo per garantire la sicurezza degli

alimenti

3. Efficacia del sistema Haccp dipende dalla collaborazione e impegno dei dipendenti

4. Flessibilità applicazione requisiti Haccp in ogni impresa

5. Flessibilità uso metodi tradizionali senza compromettere gli obiettivi di igiene alimentare

6. Definizione di obiettivi di riduzione di patogeni o di standard di produzione per orientare

l’applicazione delle norme d’igiene

7. Registrazione degli stabilimenti e cooperazione operatori per efficacia controlli ufficiali

8. Rintracciabilità come elemento essenziale per la sicurezza

9. Tempo di applicazione: non prima di 18 mesi dall’entrata in vigore

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Gli Stati membri promuovono l’elaborazione di manuali nazionali di corretta prassi operativa in

materia di igiene e di applicazione dei principi del sistema HACCP, a norma dell’articolo 8.

Manuali comunitari sono elaborati a norma dell’articolo 9.

La divulgazione e l’uso di manuali nazionali e comunitari sono incoraggiati. Ciononostante, gli

operatori del settore alimentare possono usare tali manuali su base volontaria.

REGOLAMENTO N. 853/2004 DEL 29.04.2004 Norme specifiche di igiene per alimenti di origine animale destinate agli operatori del settore

alimentare integrative a quelle del Reg. n. 852/2004 relative ai prodotti di origine animale.

Riguardano i seguenti alimenti di origine animale:

- carni di: ungulati domestici, pollame, lagomorfi, selvaggina selvatica, selvaggina

allevamento, molluschi bivalvi vivi prodotti della pesca, latte, uova cosce di rana e lumache;

- prodotti trasformati a base di carne, lattiero-caseari, ovo-prodotti, prodotti della pesca

trasformati, grasso animale, ciccioli, gelatina, collagene.

Elementi caratterizzanti:

1. Regolamento per Commercio all’ingrosso

2. Discrezionalità per Stati Membri se estenderlo al Commercio al dettaglio

3. Rintracciabilità (Reg. 178/02) + bollatura

4. Flessibilità per uso metodi tradizionali (senza compromettere gli obiettivi di igiene

alimentare)

5. Definizione di criteri per utilizzo latte crudo

6. Per conservare tradizioni venatorie fare la formazione per cacciatori

7. Veterinario Ufficiale e Veterinario Privato

Rispetto requisiti generali:

• MARCHIATURA D’IDENTIFICAZIONE dei PRODOTTI ALIMENTARI

• OBIETTIVI DELLE PROCEDURE HACCP (Reg. 852/2004)

Le procedure devono garantire che ogni animale o, se del caso, ogni lotto di animali ammesso

nei locali del macello:

a) sia identificato;

b) sia accompagnato dalle informazioni fornite dall’azienda di provenienza;

c) non provenga da un’azienda o da una zona soggetta a un divieto;

d) sia pulito;

e) sia sano, per quanto l’operatore del settore alimentare possa giudicare;

f) sia in condizioni soddisfacenti di benessere al momento dell’arrivo nel macello.

• INFORMAZIONI SULLA CATENA ALIMENTARE

• REGISTRAZIONE E RICONOSCIMENTO DEGLI STABILIMENTI

• REGISTRAZIONE E RICONOSCIMENTO DEGLI STABILIMENTI

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I PROBLEMI DELL’ADEGUAMENTO

• L’applicazione dei regolamenti e la revisione completa della legislazione preesistente

• Il campo di applicazione

• La registrazione / riconoscimento

• La corretta prassi applicativa

• Prodotti e piccole quantità

• Trasformazione di alimenti nelle imprese agricole

• Termini e definizioni

• HACCP e flessibilità

• Manuali di buona pratica per l’igiene e per l’applicazione dei principi dell’HACCP

• La documentazione e le registrazioni da tenere

4. La sicurezza alimentare I più clamorosi e noti “casi” nel campo della sicurezza alimentare che hanno avuto grosso impatto

sull’opinione pubblica dimostrano come il primo requisito per le imprese agroalimentari sia la

necessità di fornire la garanzia circa l’assenza di possibili effetti negativi gravi sulla salute dei

processi di produzione e dei prodotti finiti commercializzati; questa non è una semplice opzione,

ma un vero e proprio obbligo di legge oltre che etico. Tale aspetto è ancor più importante per chi

vuole fare, della fiducia e della stima dei consumatori suoi clienti, effettivi o potenziali un punto di

forza per porsi in modo concorrenziale sui mercati nazionali ed internazionali.

Spesso, la risposta al problema che allarma il consumatore consiste nel dare garanzia che i

prodotti venduti siano esenti dalla causa che ha generato il problema di turno (per esempio, nel

caso della “mucca pazza” c’è stata la corsa della filiera interessata a dimostrare che il bestiame

non veniva alimentato con farine animali, o in quello della diossina di alcuni prodotti zootecnici e

lattiero caseari belgi, i produttori italiani si sono affannati a dimostrare la provenienza dei loro

prodotti, invitando i consumatori a destreggiarsi tra sigle e codici a barre).

Tuttavia, questo modo di procedere a posteriori è poco produttivo ed efficace: non è sufficiente

intervenire al verificarsi dei problemi, ma occorre prevenirli ed occorre fornire la prova del modo di

operare in tal senso dell'azienda, attuando idonee procedure che possano dare al consumatore

una garanzia della qualità dei prodotti realmente credibile.

Problemi chiave per la sicurezza alimentare:

• soddisfare la preoccupazione dei consumatori

• certificazione e rintracciabilità del prodotto

• etichettatura

18

• monitoraggio e controllo

• autorità europea per gli alimenti

• responsabilità dei produttori agricoli

• problema degli organismi geneticamente modificati

La campagna sulla sicurezza alimentare promossa dall’Unione Europea rappresenta una priorità

assoluta per arrivare a scelte di acquisto corrette dal punto di vista dell’informazione sulle

caratteristiche alimentari del prodotto finito. In particolare, occorre incidere sulla disinformazione

dei consumatori sulle caratteristiche dei prodotti alimentari e sul significato dei marchi, per

raggiungere l’obiettivo della “sicurezza del consumo alimentare” che può essere riassunto nel

messaggio “mangiare informati”

5. La rintracciabilità La rintracciabilità dei prodotti agroalimentari e cioè la possibilità di ricostruire il percorso degli

alimenti dai campi alla tavola assume crescente attenzione poiché, prendendo in considerazione le

diverse fasi della catena alimentare, esamina le attività e le procedure che garantiscono la

sicurezza degli alimenti al consumatore.

Essere in grado di garantire alla società la sicurezza alimentare, l’origine e la qualità dei prodotti,

oltre che la sostenibilità dei processi produttivi, significa adottare requisiti di trasparenza che

possono essere realizzati utilizzando lo strumento della rintracciabilità. L’Unione Europea con

l’emanazione del reg. n° 178/2002, ha istituito un sistema di rintracciabilità obbligatorio per la

sicurezza alimentare dal 2005 per permettere all’autorità preposta di intervenire su tutta la filiera

per individuare ed eliminare i pericoli alimentari. Il sistema obbligatorio garantisce il consumatore

che delega all’autorità i controlli; tutte le imprese della filiera dovranno comunicare almeno il nome

dei propri fornitori e clienti e sarà quindi necessario individuare appropriati tecnicismi che

consentano a tutti gli attori della filiera di comunicare tra loro e di stabilire una traccia trasparente in

tutte la fasi di costruzione del prodotto alimentare. Il sistema, tuttavia, non evidenzia

necessariamente particolari caratteristiche del prodotto atte a soddisfare le esigenze soggettive

del consumatore.

Gli alimenti prodotti con metodi tradizionali sono sempre più apprezzati dal consumatore per la loro

affidabilità, bontà e genuinità. La conoscenza diretta delle produzioni locali gioca un ruolo

importante e può essere favorita da una azione che ne evidenzi la rintracciabilità, mettendo in

risalto l’associazione prodotto-territorio per difendere e valorizzare i prodotti dei produttori agricoli

italiani.

L’introduzione di un sistema di rintracciabilità documentato responsabilizza tutte le imprese

dell’intera filiera produttiva al rispetto di norme a tutela delle caratteristiche dei prodotti.

19

La rintracciabilità risulta essere strumento, atto a soddisfare le esigenze del consumatore in

materia di identificazione della origine della componente agricola del prodotto e della sua

indicazione in etichetta, delle caratteristiche e delle modalità di produzione in modo che i prodotti

alimentari possano connotarsi come adeguati a uno specifico profilo di consumatori, valorizzati e

qualificati oppure provenienti da un produttore serio e affidabile e accostati a un territorio con

determinate caratteristiche

La Legge 204/05 propone la comunicazione obbligatoria in etichetta della componente agricola,

tale da permettere al consumatore di fare scelte consapevoli in relazione alle sue esigenze

soggettive.

La proposta nasce dall’esigenza di valorizzare i prodotti e le produzioni legate al territorio di

provenienza e quindi all’origine della componente agricola. Le imprese agricole saranno in grado

di acquisire quella competitività necessaria a mantenere la loro attività imprenditoriale sul territorio

e di conseguenza a mantenere quel presidio fondamentale per la sicurezza ambientale

6. Le indicazioni geografiche (DOP, IGP) A partire dal 1992, l’Unione Europea ha introdotto un sistema di tutela delle indicazioni geografiche

che rappresenta un elemento fondamentale del modello europeo d’agricoltura e che ha consentito

e consente ancora lo sviluppo economico e sociale delle aree rurali e la salvaguardia dell’ambiente

e dei paesaggi, mantenendo attività sostenibili sul territorio.

Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 31 marzo 2006 è stato pubblicato il nuovo

regolamento, il n. 510/2006 che sostituisce il precedente reg. 2081/1992 istitutivo delle

Denominazioni di Origine Protetta (DOP) e dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP), le due

modalità, che fin dal 1992, appunto hanno permesso di sviluppare sistemi di protezione e di

valorizzazione di questi prodotti alimentari.

In Italia l’impegno discende dalla necessità di un’adeguata tutela dei prodotti tipici che e’ molto

sentita non solo dagli operatori del settore e dalle istituzioni, ma anche dalla società civile in

generale.

In Europa l’elenco delle Dop e delle IGP annovera 711 denominazioni, 155 delle quali (il 22%)

sono italiane (c.f.r. Allegato I).

Il comparto dei formaggi si conferma quello con il fatturato superiore, seguito dai prodotti a base di

carne

20

Tab. 1 - I fatturati delle principali DOP e IGP nel 2004 in Italia e confronto con il 2003 (dati in

milioni di euro)

Comparto 2001 2002 2003 2004 Var 04/03 (%) 2001 2002 2003 2004 Var 04/03

(%)Formaggi 2.557,2 2.439,2 2.670,1 2.715,8 1,7 3.848,4 3.790,5 3.992,5 4.160,2 4,2Grassi e oli 37,7 44,4 44,3 50,8 14,8 44,2 57,9 57,8 63,6 10,0Ortofrutta 19,0 22,3 14,2 113,0 697,6 33,9 40,0 31,6 188,1 495,7Prodotti a base di carne 1.274,6 1.301,4 1.474,1 1.540,4 4,5 2.667,5 2.888,4 3.097,4 3.219,9 4,0Carni fresche 7,8 n.d. 24,2 29,8 23,0 n.d. n.d. 54,0 78,9 46,1Totale 3.896,3 3.807,3 4.226,9 4.449,8 5,3 6.594,1 6.776,7 7.233,3 7.710,7 6,6

Fatturato alla produzione Fatturato al consumo

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Organismi di Controllo, Consorzi di Tutela e rete di rilevazione Ismea

La concentrazione produttiva (10 prodotti che raggiungono l’86% del valore al consumo.) e

geografica (poche regioni) non soddisfano quella diffusa “capillarizzazione” economica del territorio

sperata ad opera dei DOP-IGP. Se da un lato ciò rivela una certa difficoltà a passare

dall’ottenimento del marchio comunitario alla effettiva valorizzazione economica e commerciale, e

alla successiva ricaduta sul territorio di provenienza del prodotto, dall’altro esso può essere anche

inteso come segnale delle possibilità commerciali ancora scarsamente esplorate da parte delle

imprese stesse, anche a causa del fatto che, molto spesso, queste sono di dimensioni piccole o

piccolissime. Ciò potrebbe giustificare, quindi, a maggior ragione, un ulteriore sforzo atto a

promuovere sia la conoscenza di questi prodotti DOP o IGP meno noti su mercati “nuovi” per gli

stessi, come pure ulteriori investimenti a sostegno dell’attività di commercializzazione, specie in

forma consorziata o cooperativa, più ancora di quella di produzione.

21

Tab. 2 - I primi 20 prodotti Dop-Igp per fatturato al consumo nel 2004 (dati in milioni di euro)

Prodotti DOP-IGP Fatturato al consumo

% Fatturato su totale fatturato DOP/IGP

Prosciutto di Parma 1.776,72 23,02%

Parmigiano Reggiano 1.499,34 19,43%

Grana Padano 1.154,39 14,96%

Prosciutto San Daniele 481,72 6,24%

Gorgonzola 378,92 4,91%

Pecorino Romano 328,00 4,25%

Bresaola Valtellina 315,10 4,08%

Mozzarella di Bufala Campana 277,98 3,60%

Speck dell’Alto Adige 219,46 2,84%

Mortadella Bologna 204,30 2,65%

Asiago 157,44 2,04%

Mela Val di Non 132,25 1,71%

Taleggio 79,75 1,03%

Montasio 58,98 0,76%

Provolone Valpadana 47,97 0,62%

Prosciutto Toscano 39,97 0,52%

Pecorino Toscano 35,34 0,46%

Nocciola del Piemonte 33,84 0,44%

Prosciutto di Modena 32,85 0,43%

Quartirolo Lombardo 28,42 0,37%

Totale primi 20 7.282,74 94,36%

TOTALE 7.718,08 100,00% Fonte: elaborazioni Ismea su dati Organismi di Controllo, Consorzi di Tutela e rete di rilevazione Ismea

Mancanza di norme che prevedano l’obbligatorietà dell’utilizzo del LOGO in etichetta da parte dei

possessori di una IG. Ciò evidentemente comporta una serie di problematiche che possono

mettere in discussione l’efficacia stessa del sistema,

Primo, la scarsa conoscenza da parte del consumatore delle IG e delle garanzie che le stesse

forniscono. Dunque un sistema che non viene comunicato attraverso l’utilizzazione del LOGO,

soprattutto da parte delle IG più prestigiose, non può essere conosciuto a fondo dal consumatore.

Di conseguenza, sebbene il numero delle IG è sempre crescente, rischiando di inflazionare il

sistema stesso, non si riscontra un sostanziale aumento delle vendite di IG, soprattutto quelle

meno note che restano nell’anonimato con il rischio che le spese, a cui fanno fronte per rispettare

il disciplinare di produzione, non vengano ammortizzate dall’aumento della domanda che dovrebbe

scaturire dal fatto che appartengono ad una categoria di prodotti tradizionali, legati al territorio e

sicuri.

Secondo, la mancanza di distinzione tra i loghi delle DOP, IGP e STG. I maggiori produttori di IG a

causa di questa manchevolezza preferiscono non apporre il logo. E’ auspicabile che una

differenziazione dei loghi venga fatta al più presto e che sia accompagnata dall’obbligatorietà

22

dell’utilizzo dello stesso. E’ necessario un sistema di etichettatura delle IG più trasparente, dove

l’origine del prodotto sia ben evidente. E’ vero che l’IG è già una indicazione dell’origine e che

esistono degli organismi di controllo per la verifica del rispetto del disciplinare, ma sappiamo

benissimo che il consumatore non può sapere tutto ciò che gli operatori del settore sanno.

Un’etichetta che sia completa aiuterebbe il sistema a svilupparsi e ad essere maggiormente

apprezzato dal consumatore nelle sue scelte vista anche la carenza di informazioni per portare a

conoscenza dei cittadini un sistema che ricopre un’importanza sempre più vasta sia a livello

comunitario che internazionale. Regole certe impedirebbero di approfittare del sistema in modo

fraudolento. Per fare in modo che il sistema possa funzionare, per gli scopi che si prefigge,

bisogna evitare che il consumatore possa aver il minimo dubbio sulla bontà dello stesso sistema.

Regole di origine in etichetta contribuirebbero a scalzare ogni dubbio sulla provenienza degli

animali, sulla loro nutrizione etc.

7. L’indicazione dell’origine della materia prima agricola Una delle possibilità di valorizzazione delle produzioni agricole, almeno dal punto di vista teorico,

può essere anche l’identificazione del paese d’origine delle stesse. E’ ovvio che al fine di tradurre

questo obiettivo in risultati concreti devono essere soddisfatte diverse condizioni.

Anzitutto è necessario che l’immagine dei prodotti alimentari finiti o anche delle stesse produzioni

agricole di origine italiana, se destinate direttamente al consumo, siano riconosciute ed apprezzate

dai consumatori, o almeno da un adeguato segmento degli stessi. Se il prodotto finito e la sua

qualità non sono chiaramente legati all’origine nazionale della materia prima non avrebbe molto

senso indicarne l’origine: il rischio è che si tratti di una informazione in più, ma inutile ai fini della

scelta dei consumatori e quindi, in qualche misura, anche controproducente in quanto

comporterebbe un aumento inutile dell’affollamento delle informazioni in etichetta (si pensi, ad

esempio, a molti prodotti dolciari: l’origine dello zucchero è decisamente irrilevante).

E’ altresì necessario che tali prodotti agricoli nazionali ricoprano un ruolo chiaramente

determinante e centrale, agli occhi del consumatore finale: nel caso del caffè, ad esempio, il

prodotto è tipicamente considerato come “espresso” tipico del made in Italy, anche se la materia

prima non ha chiaramente nessun legame con il nostro Paese. L’indicazione del paese d’origine

del caffè, peraltro, potrebbe essere importante per i produttori di altri paesi.

Al contrario vi sono prodotti alimentari per i quali il legame con il territorio è molto importante o

decisivo e per i quali, quindi, l’indicazione dell’origine può rappresentare un elemento utile ai

consumatori finali come strumento per le proprie scelte: si pensi alla passata di pomodoro, il latte

pastorizzato, ma anche agli oli d’oliva e il vino comune.

L’approccio a questo tema, quindi, deve essere in qualche misura pragmatico: si tratta di capire,

caso per caso, quando l’origine della materia prima può essere utilmente identificata a livello

23

nazionale nel senso che a questo livello territoriale si offre un contributo informativo al

consumatore circa una o alcune caratteristiche importanti per l’apprezzamento della qualità del

prodotto; nel caso degli oli d’oliva extra-vergine, infatti, così come per i vini di qualità (DOC e

DOCG), non basta l’indicazione del paese d’origine della materia prima. In tali casi è opportuno, se

non necessario, giungere a definire aree di produzione assai più ristrette, in quanto la

caratterizzazione dei prodotti finiti varia in misura significativa da territorio a territorio e il

consumatore è interessato a conoscere e valutare questi aspetti con maggiore dettaglio. Quindi, è

assai più opportuna, se non indispensabile, una indicazione geografica più precisa e delimitata

(DOP, IGP).

8. Le Specialità Tradizionali Garantite (STG) Il regolamento n. 2082 del 1992 prima, ora sostituito dal reg. 509 del 20 marzo 2006, ha definito a

livello europeo le “Specialità Tradizionali Garantite”, che ricevono la cosiddetta attestazione di

specificità. Con questo termine si intendono prodotti alimentari che possono essere ottenuti in

qualsiasi parte dell’Unione Europea, senza vincolo alcuno di origine della materia prima agricola

né di localizzazione delle attività di trasformazione. Unico vincolo è rappresentato dal rispetto di

una determinata modalità produttiva che si concretizza, alternativamente o congiuntamente, per un

utilizzo di una materia prima tradizionale, per una composizione tradizionale, per un metodo di

produzione e/o trasformazione tradizionale.

Per tutelare queste specialità l’Unione Europea ha creato un meccanismo di registrazione di

queste specialità; è inteso che chiunque, in qualsiasi parte del territorio dell’UE produca una data

specialità nel rispetto del disciplinare che viene approvato al momento della registrazione, può

utilizzare il nome registrato.

In Italia l’unico prodotto che ha ottenuto tale registrazione è la mozzarella. Posto che tale nome

ormai non poteva più essere utilizzato, da solo, per identificare un prodotto DOP o IGP, si è infatti

preferito tutelare almeno l’uso del nome riservandolo a formaggio prodotto secondo un dato

disciplinare per distinguerlo dalla numerosissima schiera di prodotti di imitazione a pasta filata o

meno.

Date le caratteristiche e le limitazioni d’uso di questo tipo di denominazione, non è facile

prevederne uno sviluppo importante nel prossimo futuro, anche se resta comunque uno strumento

importante, sia pure con funzioni complementari.

9. Il biologico e la produzione integrata

24

9.1. Il biologico

L’agricoltura biologica è un sistema di produzione che permette di ottenere prodotti con un utilizzo

assolutamente limitato di sostanze chimiche, specie per la lotta ai parassiti e ai patogeni. Le

imprese che svolgono attività di produzione, preparazione, commercializzazione e importazione

dei prodotti agricoli biologici devono osservare le disposizioni dei Reg. 2092/91 e 1804/99 e

sottoporsi ad un sistema di controllo da parte di organismi riconosciuti dagli Stati membri.

Richiama i seguenti principi:

- ricorso a materie organiche e a minerali naturali per fertilizzare il terreno, a piante resistenti

e ad insetti predatori contro i parassiti;

- rotazione delle colture;

- utilizzo di tecniche di lavorazione non distruttive per l’incremento e il mantenimento della

fertilità del terreno;

- mantenimento degli animali in condizioni conformi alle esigenze specifiche delle singole

specie.

Il primo aspetto da valutare tra i problemi e le opportunità del biologico in Italia è, in una

prospettiva di marketing, l’evoluzione dei bisogni dei consumatori (effettivi e potenziali) e della loro

domanda di prodotti. I dati recenti descrivono una sostanziale stasi dei consumi di prodotti bio a

livello aggregato, sul mercato nazionale. In un contesto di innegabile difficoltà economica, i prodotti

a prezzo più elevato, e i biologici tra questi, sono inevitabilmente destinati a risentirne

negativamente. Ma con ogni probabilità non è cambiata la struttura delle preferenze: si tratta solo

di un aggiustamento delle decisioni di spesa in presenza di un più stringente vincolo di bilancio. Se

è così, quindi, non ci sono motivi strutturali di preoccupazione; ciò nonostante diventa necessario

cercare di apportare tutti gli aggiustamenti possibili alle modalità di commercializzazione per

cercare di recuperare una maggiore efficienza distributiva. In questo senso, quindi, anche le

strategie di commercializzazione basate sulla cosiddetta “filiera corta” possono essere importanti e

utili, proprio anche a causa di questa particolare fase del ciclo economico.

D’altro canto, non v’è dubbio che siano ancora troppo pochi e probabilmente anche troppo piccoli i

“marchi” d’impresa (o di organizzazione di produttori) conosciuti almeno a livello nazionale, e sono

relativamente poche anche le imprese in grado di interagire con continuità e con successo con la

grande distribuzione e la distribuzione organizzata. L’eccessiva frammentazione dell’offerta che

caratterizza in generale l’agricoltura italiana, infatti, interessa a maggior ragione anche il settore del

biologico e ciò, oltre a non facilitare le relazioni con la GDO, non permette di raggiungere soglie

dimensionali tali da consentire una sufficiente efficienza produttiva e commerciale.

Se è vero, infatti, che il biologico, anche grazie ai prezzi che riesce mediamente a spuntare, può

rappresentare un’interessante opportunità per imprese di piccole dimensioni e relativamente meno

favorite dal contesto pedo-climatico, è anche vero che il mercato non è in grado comunque di

pagare qualsiasi prezzo e quindi di coprire qualsiasi costo di produzione: l’efficienza, sia pure

25

declinata in un contesto diverso di sostenibilità rispetto alla produzione tradizionale, resta sempre

una necessità.

Sempre dal punto di vista della domanda, inoltre, si deve segnalare come dati relativi al mercato

europeo continuino a segnalare un aumento delle vendite. Tutto ciò conferma chiaramente, che la

domanda si affievolisce sui mercati dove prevalgono situazioni di difficoltà in termini di reddito

(come sul mercato nazionale), ma restano importanti potenziali di crescita per i prodotti bio nei

mercati dove questo vincolo non risulta così stretto. Questi dati suggeriscono anche un’altra

importante implicazione: la capacità di essere presenti con continuità e successo sui mercati esteri

è sempre più una necessità per i produttori italiani e risulta essere sempre più la vera chiave di

volta per affrontare in modo meno problematico le crisi di mercato che si verificano sul mercato

nazionale, mercato di sbocco che tende ad avere ancora un peso eccessivo.

Passando ad un’altra delle preoccupazioni del settore, la superficie destinata a biologico in Italia,

dopo anni di spettacolare aumento, tende a ridursi, come pure il numero di imprese. Questo

fenomeno, tuttavia, deve essere letto con attenzione; in particolare non è detto che questo sia un

segnale negativo. Non si può nascondere, infatti, che una parte non trascurabile di imprese abbia

fatto la scelta bio, specie in passato e per certe particolari tipologie produttive solo per i contributi.

Che venga meno, quindi, questa componente per così dire speculativa, non è un male. Per evitare

che risorse pubbliche importanti non siano destinate ad imprenditori seri che operano nel

comparto, sarebbe forse importante introdurre elementi di valutazione, anche in sede di

ammissione al finanziamento, che permettano di discriminare tra imprese che fanno “vero”

biologico, cioè producono e vendono prodotti bio, da quelle (anche se poche) che in realtà non

raccolgono nemmeno prodotti bio da commercializzare.

9.2. La produzione integrata

Il termine “produzione integrata” deriva dallo sforzo di integrazione che il sistema produttivo

compie nel combinare “input” chimici di sintesi, riducendoli allo stretto necessario, con altri mezzi

tecnici naturali a bassissimo impatto ambientale e che cerca di privilegiare al massimo (con lo

scopo di ridurre al minimo i residui), per assicurare una agricoltura sostenibile nel tempo, per

conservare e migliorare la fertilità dei suoli e per favorire la biodiversità. Inoltre, l’agricoltura

integrata raccomanda una oculata gestione dell’irrigazione e il non utilizzo di materiali provenienti

da OGM.

La produzione integrata sta attraversando una fase di trasformazione tanto profonda quanto utile.

Con questo termine, infatti, fino ad ora si sono identificate modalità produttive definite da

disciplinari di produzione di vario tipo ed origine; alcuni di essi erano (e sono ancora)

semplicemente richiesti dalle imprese della grande distribuzione e dalla distribuzione organizzata

(GDO) che negli ultimi anni è andata assumendo, finalmente anche in Italia, un ruolo ed un peso

notevole nel sistema della distribuzione al dettaglio di alimenti. Ma l’aspetto più rilevante è stata

26

l’adozione di disciplinari definiti a livello di organismi tecnici regionali, fortemente sostenuta dalla

presenza di contributi economici resi disponibili all’interno delle misure agro-ambientali del

“secondo pilastro” o dello sviluppo rurale della Politica Agricola Comune (PAC).

Questa combinazione di eventi e di richieste ha fortemente promosso l’adozione di disciplinari di

Produzione integrata, favorendo anche, nel contempo, una crescita professionale degli addetti

agricoli.

Tuttavia tale modalità ha ormai evidenziato chiaramente tutta una serie di elementi critici e di forti

debolezze. Anzitutto la definizione di diversi disciplinari ha creato, confusione e aumento dei costi

per la componente agricola del sistema produttivo, ma anche una sostanziale impossibilità di

promuovere adeguatamente tali prodotti sul mercato presso i consumatori. Solo la GDO ha

sviluppato, grazie alla diffusione dei “suoi” disciplinari, modalità di comunicazione dei prodotti

ortofrutticoli a marchio proprio, ma non senza andare incontro ad un aumento dei costi sia di

transazione che di controllo.

Data anche la crescente difficoltà competitiva del settore ortofrutticolo italiano, sia sul mercato

interno che su quello europeo ed extra-europeo, si è ormai compreso che è assolutamente

necessario pervenire all’adozione di un unico standard per identificare la Produzione Integrata, che

possa soprattutto diventare anche un tutt’uno con le altre certificazioni nate soprattutto ad opera

della GDO sui mercati centro e nord-europei. Tale certificazione, inoltre, deve avere la

caratteristiche di attendibilità, indipendenza rispetto agli interessi dei diversi soggetti economici, e

comunicabilità ai clienti finali, che sono proprie di quelle misure soggette al controllo da parte di

soggetti terzi. Ciò avrebbe diversi importanti effetti positivi: riduzione dei costi di produzione e di

commercializzazione da parte degli agricoltori, ma anche riduzione dei costi di

commercializzazione e di controllo da parte dei trasformatori e/o della fase commerciale.

Un cambiamento di questo tipo è proprio quello cui si sta giungendo con la definizione di una

certificazione unica nazionale delineata in ambito UNI. Certo perché questa certificazione

acquisisca le caratteristiche desiderate si dovrà necessariamente procedere, tra le altre cose, alla

identificazione di un percorso per unificare le diverse certificazioni a livello europeo.

Si impone, quindi, anche un cambiamento del ruolo dei soggetti pubblici che si sono occupati fino

ad ora dei vari e diversi disciplinari di produzione: ciò che appare ora necessaria è più un’azione

forte di sostegno alle imprese dei vari territori per adottare le migliori modalità di lotta proprio in

un’ottica di produzione integrata piuttosto che la “vecchia” azione di controllo. Sarebbe forse

particolarmente utile, infatti, poter contare su un sistema efficiente di tecnici in grado di sostenere

ed assistere le aziende nelle loro azioni, e che sappiano anche fornire le indicazioni circa le altre

misure di eco-condizionalità previste dalla recente riforma della PAC.

Un approccio del tipo descritto, infine, potrebbe essere ugualmente sostenuto sia da nuove che da

vecchie misure previste nell’ambito dello sviluppo rurale, specie se la nuova forma di certificazione

fosse strettamente sinergica con una “certificazione di qualità nazionale” permettendo così alle

27

imprese di avere un contributo per affrontare i costi iniziali delle certificazioni stesse, ma

soprattutto alle organizzazioni di produttori di accedere anche a importanti sostegni economici per

azioni di comunicazione, promozione e pubblicità dei prodotti certificati.

Infine, ma non meno importante, le risorse umane ed economiche in parte liberate anche

all’interno dei servizi pubblici potrebbero rappresentare un importante punto di partenza per

sviluppare quel sistema pubblico di “extension service” (o di divulgazione) che nel nostro paese

non è mai veramente decollato, con evidenti conseguenze.

10. Le certificazioni volontarie Com’è noto, per i prodotti agroalimentari si può parlare di qualità organolettica (gusto, sapore,

profumo, vista), qualità industriale e commerciale (preparazione, confezione, conservazione),

salubrità (caratteristiche dietetiche e nutrizionali), qualità igienico-sanitaria (igiene alimentare,

assenza di sostanze nocive), tipicità (zona di produzione, materie prime, composizione, metodi di

produzione).

Per i produttori agricoli è prioritario perseguire la qualità dei propri prodotti secondo la loro

destinazione d'uso e, se sono destinati alla trasformazione, devono porre particolare attenzione

alle aspettative dei loro principali clienti. Questi, in sostanza, perseguono due tipologie di qualità:

una qualità standard ed una qualità tipica, a seconda del grado di importanza attribuito al marchio

industriale, piuttosto che al plus qualitativo ottenibile dal lavoro congiunto delle diverse imprese

delle filiere agroalimentari. Nel caso della qualità standard, il cliente del produttore agricolo

preferirà avere garanzia del sistema produttivo aziendale (rispettoso di standard di processo e

prodotto predefiniti), mentre, nel caso del prodotto tipico, cercherà una maggiore integrazione con

la parte agricola e privilegerà la certificazione di conformità del prodotto (ad un disciplinare

concordato). Nel primo caso, infatti, il consumatore si sentirà garantito dal marchio industriale, nel

secondo dalla certificazione del prodotto.

Le aziende delle filiere agroalimentari hanno di fronte diverse strade tra le quali possono scegliere,

con riferimento alla qualità dei prodotti ed alla loro garanzia.

Una prima linea direttrice è la ricerca di quello che dovrebbe essere considerato l'obiettivo

primario, ossia la creazione di sistemi qualità di filiera. Una volta concordate e condivise le

regole fra tutti i partecipanti della filiera produttiva, risulterà molto più facile all'azienda agricola

orientarsi.

Ma, anche in assenza di un pur auspicabile rapporto preventivo, la scelta sul tipo di garanzia della

qualità cui puntare rimane una scelta aziendale, essendo troppi i parametri interni all'azienda o

riferiti ad eventuali livelli associativi cui l'azienda stessa fa parte, oppure riferiti ai clienti o ai mercati

cui il prodotto è destinato, nonché alla luce dei costi dei fattori di produzione.

28

Anche a questo fine, potrebbe essere utile sviluppare il settore della certificazione di prodotto

puntando sulla conformità a disciplinari produttivi concordati tra tutti gli attori della filiera

interessata, ma non trascurando di sviluppare anche la certificazione di prodotti freschi o,

comunque, di provenienza esclusiva dell'azienda agricola.

La certificazione di qualità si rivolge all'esterno dell'impresa per testimoniare a terzi le

caratteristiche del prodotto, o dei processi adottati per ottenerlo, o dei sistemi produttivi

(definizione di certificazione di conformità UNI CEI EN 45020: "atto mediante il quale una terza

parte indipendente dichiara che con ragionevole attendibilità un determinato prodotto, processo o

servizio è conforme ad una specifica norma o ad altro documento normativo").

Il compito di certificare, quindi, spetta a organismi terzi, indipendenti e qualificati (a seconda

dell'ambito), che verificano ed attestano la conformità del prodotto e/o del sistema di gestione, ai

requisiti specificati in appositi documenti di riferimento.

Caratteristiche fondamentali della certificazione volontaria, di prodotto o di sistema, sono:

- trasparenza, cioè la visibilità dall'esterno delle procedure, dei criteri seguiti, dei rapporti

esistenti fra i diversi operatori interessati, in modo che chiunque lo voglia possa esprimere un

giudizio sulla capacità del sistema di fornire le garanzie richieste;

- credibilità, cioè l'acquisizione ed il mantenimento nel tempo della fiducia dei destinatari delle

certificazioni (principalmente i clienti nel caso della certificazione di sistema, gli stessi clienti ma

soprattutto i consumatori nel caso della certificazione di prodotto) nella correttezza

dell'applicazione delle procedure di controllo, nella efficacia delle stesse e nella lealtà di tutti gli

operatori interessati rispetto alle promesse fatte.

Schema di certificazione di qualità

Certificazione di prodotto Certificazione di sistema

Oggetto Qualità del prodotto (caratteristiche specifiche predefinite) Sistemi Qualità

Si applica a Prodotto AziendaDestinatario Consumatore finale Cliente/AcquirenteObiettivo Soddisfazione Affidabilità Riferimento Regola tecnica o Disciplinare Norme ISO della serie 9000Norma applicata Norme EN 45011 Norme EN 45012Organismi di controllo Riconosciuti/Notificati Accreditati AccredidatiEffetto Certificato di conformità del Prodotto Certificato di Conformità conferito all'azienda o al reparto

Problemi nella certificazione volontaria :

- “affollamento” dei controlli, aumento dei costi e del carico burocratico per le aziende, ai

quali spesso non corrisponde un’adeguata remunerazione del mercato;

- confusione e scarsa comprensione da parte dei consumatori di tali prodotti (specie per la

certificazione di sistema);

29

- scarsa integrazione dei rapporti di filiera e schiacciamento dell’azienda agricola a monte e

a valle dei suoi processi produttivi (fornitori, commercianti, aziende di trasformazione…) per

la sua debole forza contrattuale.

Possibili sviluppi: positivi per i prodotti a marchio certificati che possono offrire ai consumatori la

garanzia di acquistare alimenti integralmente prodotti dalle aziende agricole, con metodologie

produttive attente ai requisiti di igiene, genuinità, sapidità ecc.

11. Le certificazioni di qualità europee I primi risultati del progetto pilota "Sistemi di garanzia e certificazione della qualità

Agroalimentare", promosso dalla Commissione Europea, sono di seguiti riportati. Essi descrivono

la situazione dell’agroindustria europea alla luce degli schemi di qualità esistenti.

Sono state identificate due tipologie di certificazioni di qualità così distinte:

1. un primo gruppo che prevede la standardizzazione e la garanzia di alcuni aspetti o requisiti

richiesti dalle compagnie operanti nella catena agro-alimentare (ISO, BRC, IFS, etc.)

2. un secondo gruppo che garantisce il prodotto attraverso alcune caratteristiche peculiari del

prodotto stesso, del processo o dei fattori di produzione (Private label, Label Rouge, etc.)

Il primo gruppo ha, di solito, un riconoscimento a livello internazionale ed è presente in tutte le

nazioni con una differente intensità. Inoltre, in esso si ritrovano le certificazioni che rispettano i

requisiti di legge (raramente) o quelle che vanno oltre questi stessi (molto spesso); per questa

caratteristica essi fungono da garanzia negli scambi commerciali.

Il secondo gruppo ha lo scopo di evidenziare le differenze tra un prodotto e i suoi più diretti

concorrenti e hanno, generalmente, una notorietà locale/nazionale. Questi schemi, infatti, non si

riferiscono ad una regolamentazione ma ad un “disciplinare” (dichiarato di qualità) spesso proposto

da enti istituzionali (nazionali, regionali o locali) o enti privati (associazioni o consorzi). Essi

certificano aspetti che non sono coperti dalla legge e sono adottati sia negli scambi commerciali

che nella vendita diretta al consumatore (essi, infatti, sono utilizzati nelle campagne promozionali

rivolte al consumatore).

Di seguito sono riportati alcuni esempi di schemi di qualità presenti nei Paesi appartenenti

all’Unione Europea e alcune delle loro principali caratteristiche:

30

I principali schemi dei 7 Paesi oggetto dell'indagine sul campo

Francia Spagna Danimarca Finlandia Svezia Repubblica Ceca Polonia

ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001ISO 14001 ISO 14001 ISO 14001 ISO 14001 ISO 14001 ISO 14001 ISO 14001Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAPIFS IFS IFS IFS IFS IFS IFSBRC BRC BRC BRC BRC BRC BRCLabel Rouge Produccion Integrada The Red Seal Uniquely Finnish Krav Fisk Czech Made PDZ LabelCert.de Conformité Produit (CCP)

Artesanìa Alimentaria Freerange The Blue Swann Kaprifol Meat Klasa Programme Q Label

Agricolture Biologique Calidad Certificada Danish Veal The Heart Label Odling I Balans

IPO Integrated Production Horticultural

Denomination Montagne Calidad Alimentaria UK Pig

HK Ruokatalo Quality Assurance Programme

Mälarhagskött

Agri-Confiance Q Quality in Chicken Production Lantgårdens Bästa Svensk Lantmat

Qualification Agriculture Raisonnée

Calidad Controllada Arlagardeen Culinary Heritage

Filiére Qualité Carrefour Calidad Tradicion Carrefour Lur Marks Key Hole

Filiére Auchan Produccion Controlada Auchan Code of Practice Swedish Seal

Eroski Natur Danish Quality Crops (DQC) Fairtrade Label

Caprabo Arla Farm Fonte: Food supply chains dynamics and quality certification, European Commission 2005

31

I principali schemi dei 6 Paesi oggetto della ricerca bibliografica

Germania Regno Unito Italia Olanda Belgio Lettonia

ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001 ISO 9001ISO 14002 ISO 14005 ISO 14003 ISO 14006 ISO 14001 ISO 14004Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAP Eurep GAPIFS IFS IFS IFS IFS IFSEPD BRC BRC BRC BRC BRC

EPD EPD EPD EPDQS Qualität und Sicherheit GmbH Standard) UNI 10939:2001 Milieukeur Eqwalis (1) SafetyCert®

CMA-Gutezeichen Beste vom Bauern

Scottish Quality Cereals (QAS) UNI 11020:2002 Peter's Farm VLAM (2) British Standard BS

8555:2003DLG Deutsche Landwirschafts Gesellschaft

Assured Produce scheme (APS)

Filiera controllata (DTP 035) Rainbow Growers Coprosain Latvian Federation of Food

Enterprises (LPUF)

Sachsens Ährenwort LEAF UNI 10854 The Green Nature Group La Fermière de Méan Latvian Traders Association

Bergisch Pur Assured British Meat QC Emilia Romagna L.R.28/99

Unilever, Sustainable Agriculture Initiative Westhoek Hoeveproducten Sea buckthorn growing

Freisinger Land Assured Chicken Production

Agriqualità della Regione Toscana L.R.25/99

Green Heart Landshop co-operative U.A. Agriculture Savoureuse Crayfish baby breeding

Neuland Assured Combinable Crops Scheme

VISA-Valutazione Igienica Stabilimenti Alimentari (AICQ ed.)

Waddengroep foundation Stichting Streekproducten Vlaams-Brabant Groats production Annele

Offene Stalltür Farm Assured British Beef and Lamb (FABBL)

Q&S - Quality Safety Standard

Green Hat "gate between city and countryside"

Haspengouwse Streekproducten

Regional dairy a/s Lazdonas piensaimnieks

Hohenloher Landgans Farm Assured British Pigs (FABPIG)

FAMI QS - Code of practice for FEED ADDITIVE KEMPER HOENDERS Streekproducten provincie

Oost-VlaanderenMushroom production at individual enterprise Pārsla

Sachsens Qualitätslammfleisch

Farm Assured Welsh Livestock (FAWL)

I.P. (Identity Preserved) Program per no-OGM Gulpener (regional beer) Le Blanc Bleu Fermier

Obstland Sachsen Obst (Obstland Dürrweitzschen AG)

National Dairy Farm assured Scheme (NDFAS) Melinda Quality assurance

farmdairy chain ("KB") Ambao'-label

Hohenloher HöfeScottish Borders in Traceability And Assurance Group (SBTAG)

Carta qualità del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi

French fries - Quality label 'Bestfrit'

German Veal Quality Programme

Scottish Quality Beef and Lamb Assurance (SQBLA)

Marchio qualità Parco nazionale del Poliino

HIPP Scottish Pig Industry Initiative (SPII)

Bäuerliche Vermarktung Oberes Donautal e.G.(BODEG)

Food From Britain

IGERO Frome Farmer's Market

Edeka TESCO Nature's Choice Filiera Qualità Carrefour Ahold) Filiéres Qualité Carrefour Mego Chain

Tengelmann

Farm Biodiversity Action Plans (Sainsbury'sSupermarket Ltd)

Viversano Filiera (GS) AH Excellent (Albert Heijn BV - Ahold) Produit Carrefour Nelda

Metro Animal welfare (Sainsbury's Supermarket Ltd)

Qualità sicura Coop (Fresh private label products)

AH Euro Shopper (Albert Heijn BV - Ahold) Filières Qualité GB Beta grocery

Rewe ASDA Brand P.Q.C. (Percorso Qualità Conad)

Super (Super de Boer - Laurus) Le marque Delhaize Elvi

Spar Good for you! (ASDA) Filiera Controllata Auchan - Sma - Rinascente Edah Huismerk (Laurus) Boucherie - quality control Kesko

Extra Special (ASDA) Selezione Metro C1000 Salectie RIMI Baltic

Morrison Quality and Value (Morrison plc-Safeway plc)

Private labels for retailers, dealers and food shops Metro

Vilnius Prekubos

Morrison "The Best" (Morrison plc-Safeway plc) Esselunga Naturama Sky supermarkets

Free From (Morrison plc-Safeway plc)

Freschi e freschissimi (Despar)brand)

Fonte: Food supply chains dynamics and quality certification, European Commission 2005

32

Schemi di qualità dei sette Paesi: le principali caratteristiche

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ISO 9001 Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione Tutti i livelli Internazionale Internazionale X X

ISO 14001 Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione Tutti i livelli Internazionale Internazionale X

ISO 22000 Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione Tutti i livelli Internazionale Internazionale X X X X X

Eurep GAP GDO europea Agricoltura Internazionale Internazionale X X X X

BRC GDO britannica Industria Alimentare Internazionale Internazionale X X X X X

IFS GDO francese Industria Alimentare Internazionale Internazionale X X X X

LABEL ROUGE (Francia) Associazione per la qualità Tutti i livelli Nazionale Francia X simile all'HACCP X X

CCP France (Francia) Amministrazione pubblica Tutti i livelli Euro-compatibile Francia X simile

all'HACCP X X

Calidad Certificada (Spagna) Amministrazione regionale Tutti i livelli Nazionale Andalusia

Artesania Alimentaria (Spagna) Amministrazione regionale Industria Alimentare Nazionale Aragona X X

Integrated Production (IPO) (Polonia) Istituto di pomologia a Skierniewice Agricoltura Nazionale Polonia

Hearth Label (Finlandia) ONG Trasformazione Nazionale Finlandia X

FairTrade Label (Svezia) Organizzazione Internazionale Agricoltura/Industria Alimentare Internazionale Internazionale X X X

The Read Seal (Danimarca) ONG nazionale Produzione e trasporti Nazionale Danimarca X X X

Filiere Qualite Carrefour (Francia) GDO Tutti i livelli Internazionale Internazionale X simile all'HACCP X X

Auchan (Filiere Auchan) (Francia) GDO Tutti i livelli Nazionale Francia X simile all'HACCP X X

Calidad Tradicion Carrefour (Spagna) GDO Tutti i livelli Internazionale Internazionale X X XDenomination Montagne Istituzione pubblica Tutti i livelli Nazionale Francia X X XQ Istituzione pubblica Tutti i livelli Nazionale Spagna X X

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Fonte: Food supply chains dynamics and quality certification, European Commission 2005

33

Schemi di qualità dei sette Paesi: le principali caratteristiche (segue)

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Agri-confiance Confederazione per la cooperazione Agricoltura e stoccaggio Nazionale Francia X X X X

Caprabo GDO Tutti i livelli Nazionale Spagna X X X XEroski Natur GDO Tutti i livelli Nazionale Spagna X X X XFriland Compagnia privata + ONG Produzione Nazionale Danimarca X X X XDanish Veal Compagnia privata Produzione Nazionale Danimarca X XUK Pigs Consorzio Produzione Internazionale Danimarca X X X X

DQC Agricoltori, panettieri e partner commerciali Produzione Nazionale Danimarca X X X

Kongelig Hofleverandoer Istituzione pubblica Produzione + Distribuzione Nazionale Danimarca

Uniquely Finnish Associazione di agricoltoriProduzione,

trasformazione e distribuzione

Nazionale Finlandia X

Good from Finland - Blue Swan Organismo per la qualità Trasformazione Nazionale Finlandia

Swedish Seal Associazione di agricoltori Produzione Nazionale Svezia X X X X

Arla Farm Agricoltori Produzione e stoccaggio Nazionale Svezia X X X X

Key Hole Istituzione pubblica

Industria alimentare, ristoranti,

dettaglianti

Nazionale Svezia

Czech Made Istituzione pubblica Tutti i livelli Nazionale Repubblica Ceca

Klasa Programme Istituzione pubblica Tutti i livelli Nazionale Repubblica Ceca X X X

PDZ Label Istituzione pubblicaProduzione,

Industria Alimentare

Nazionale Polonia X X

Q Label Istituzione pubblicaProduzione,

Industria Alimentare

Nazionale Polonia X

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Fonte: Food supply chains dynamics and quality certification, European Commission 2005

34

12. Le certificazioni ambientali e la qualità degli alimenti Un altro punto di riferimento è la necessità di dimostrare la conformità del proprio processo

produttivo ad una corretta gestione ambientale, sia a livello di attività agricola che, soprattutto, di

industria alimentare.

Anche la scelta se optare per l'introduzione di un Sistema di Gestione Ambientale, integrato o

meno con il Sistema Qualità, dipende dalla situazione aziendale, senza dimenticare che nelle

aziende agricole qualità dei processi produttivi e tutela dell' ambiente molto spesso coincidono e,

quindi, potrebbe risultare oltremodo conveniente puntare sull'adozione di Sistemi Integrati.

Una necessità nuova potrebbe sorgere per la "garanzia sociale", se si volesse dimostrare il non

utilizzo di forza lavoro minorile, oppure la garanzia del benessere degli animali, o, infine altre

garanzie riferite a nuove esigenze del sempre più volubile consumatore.

In questo ambito, quindi, si può ricorrere alla adozione di certificazioni tipo EMAS, definite

dall’Unione Europea, o tipo ISO 14001.

La norma standard ISO 14001 (Environmental Management Systems) è il punto forte di tutto il

sistema delle ISO 14000, in quanto è la norma fondatrice del sistema di gestione ambientale. La

ISO 14001 si applica ad un'organizzazione, cioè un'azienda, una società, un'impresa o

un'istituzione o una loro parte o combinazione, avente o meno specifica personalità giuridica,

pubblica o privata, provvista di proprie strutture funzionali e amministrative.

La norma si applica ad ogni organizzazione che desideri:

- implementare, mantenere attivo, migliorare un SGA;

- assicurarsi di ottemperare alla propria stabilita politica ambientale;

- dimostrare tale conformità agli atti;

- richiedere la certificazione e/o la registrazione del proprio SGA presso un organismo terzo;

- fare un’auto-valutazione o un’auto-dichiarazione di conformità alla stessa norma.

A livello comunitario l'esigenza di nuovi strumenti ha contribuito a far nascere il regolamento n.

1836/93 sull’adesione volontaria delle imprese ad un sistema comunitario di ecogestione ed

ecoaudit: EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) la cui normativa, riconosciuta a livello

europeo, diventa importante punto di riferimento. Nel regolamento, non solo sono fissati i criteri

base per la predisposizione di un efficiente sistema di gestione e audit ambientale, ma sono anche

presenti, attraverso specifici allegati, i principali passaggi operativi che l'azienda deve predisporre

e realizzare.

Il sistema proposto, finalizzato al costante miglioramento delle prestazioni ambientali delle attività

produttive, prevede i seguenti passi fondamentali:

• Lo svolgimento di un’approfondita analisi ambientale iniziale del sito produttivo;

• L’introduzione e l’attuazione, da parte delle imprese, di politiche, obiettivi, programmi e

di un sistema di gestione dell’ambiente;

35

• La valutazione sistematica, obiettiva e periodica delle prestazioni ambientali

dell’impresa;

• La redazione di una dichiarazione ambientale per l’informazione del pubblico;

• La convalida della dichiarazione ambientale, previo accertamento dell’attendibilità dei

dati riportati da parte di un verificatore accreditato;

• La registrazione del sito.

Un nuovo regolamento, il n. 761 del 19 marzo 2001 è venuto ad integrare e completare il

precedente sulla certificazione EMAS (per questa ragione talvolta si fa riferimento ad esso come al

regolamento EMAS 2).

Alcune novità introdotte dal nuovo regolamento riguardano:

1. la partecipazione ad EMAS aperta a qualsiasi organizzazione (non solo industriale); questo

significa introdurre sistemi di gestione non più solo rivolti alle imprese, ma anche ad enti ed

organizzazioni;

2. si riconosce ufficialmente la ISO 14001 come norma di riferimento del sistema di gestione

ambientale anche per EMAS.

3. la possibilità di utilizzare da parte delle organizzazioni partecipanti a EMAS in possesso di

una valida registrazione, il logo EMAS nella dichiarazione ambientale, nei documenti e

nella pubblicità dell’organizzazione stessa (art.8, comma 1).

Pertanto, le imprese, per partecipare ad EMAS devono possedere due requisiti fondamentali:

conformità legislativa dimostrata (rispetto dei limiti imposti dalla legge) e trasparenza.

E’ spontaneo pensare subito che la tutela dell’ambiente non possa che comportare dei costi per

l’impresa, ma in realtà i vantaggi economici che ne derivano sono, secondo alcune indagini svolte

nell’agroalimentare, anche a detta anche di chi vi ha aderito, maggiori dei costi. In definitiva quindi

l’adozione di queste certificazioni sembra avere permesso, almeno alle imprese che per prime si

sono certificate, non soltanto di soddisfare richieste specifiche di clienti importanti, ma anche di

migliorare l’immagine esterna dell’azienda, di ridurre i rischi e di avere risparmi economici rilevanti.

13. La dimensione etica della qualità Oggi più che mai il consumatore al momento dell’acquisto, non fa solo una scelta di costo-

beneficio del prodotto o del servizio offerto, ma tende sempre più a valutare i prodotti anche in

base a criteri più ampi e globali: tra i fattori sempre più determinanti, infatti, ci sono anche scelte

che implicano aspetti etici, o altri atteggiamenti che spesso sconfinano nell'ambito politico e

morale.

Perciò è sempre più importante l'impegno esplicito e concreto che un'azienda promuove rispetto a

taluni particolari valori. Non è pertanto solo un impegno economico, bensì è l'intera cultura

aziendale che deve prima di tutto cercare in sé una propria coerenza e un proprio stile. L'azienda

36

pertanto trova all'esterno una sua rappresentazione nell'immaginario collettivo e interagisce con il

tessuto sociale.

Uno degli strumenti più indicati per dare visibilità alle domande ed alla necessità di informazione e

trasparenza del proprio pubblico di riferimento, è il Bilancio Sociale, cioè: "l'utilizzo di un modello

di rendicontazione sulle quantità e sulle qualità di relazione tra l'impresa ed i gruppi di riferimento

rappresentativi dell'intera collettività, mirante a delineare un quadro omogeneo, puntuale, completo

e trasparente della complessa interdipendenza tra i fattori economici e quelli socio-politici

connaturati e conseguenti alle scelte fatte".

Il Bilancio Sociale rappresenta uno strumento che legittima il ruolo sociale di un soggetto agli occhi

della comunità di riferimento, un momento per enfatizzare il proprio legame con il territorio,

un'occasione per affermare il concetto di impresa come "buon cittadino", cioè un soggetto

economico che perseguendo il proprio interesse prevalente contribuisce a migliorare la qualità

della vita dei membri della società in cui è inserito.

Il Codice Etico è l’altra faccia del Bilancio Sociale. Infatti dalla missione aziendale si possono

diramare due attività concomitanti, una più generale rivolta al controllo delle politiche d’impresa (il

Bilancio Sociale), l’altra ai comportamenti individuali (il Codice Etico). Questo può definirsi forse

come la “Carta Costituzionale” dell’impresa, una carta dei diritti e doveri morali che definisce la

responsabilità etico-sociale di ogni partecipante all’organizzazione imprenditoriale.

E’ un mezzo efficace a disposizione delle imprese per prevenire comportamenti irresponsabili o

illeciti da parte di chi opera in nome e per conto dell’azienda, perché introduce una definizione

chiara ed esplicita delle responsabilità etiche e sociali dei propri dirigenti, quadri, dipendenti e

spesso anche fornitori verso i diversi gruppi di stakeholders.

La struttura del Codice Etico può variare da impresa ad impresa, ma generalmente viene

sviluppato su quattro livelli:

1. i principi etici generali che raccolgono la missione imprenditoriale ed il modo più corretto di

realizzarla;

2. le norme etiche per le relazioni dell’impresa con i vari stakeholder (consumatori, fornitori,

dipendenti, etc.);

3. gli standard etici di comportamento: principio di legittimità morale, equità ed

eguaglianza, tutela della persona, diligenza, trasparenza, onestà, riservatezza,

imparzialità, tutela ambientale, protezione della salute; 4. le sanzioni interne per la violazione delle norme del Codice.

La metodologia prevede:

1. un’analisi della struttura aziendale per l’individuazione della mission e dei gruppi di stakeholder

di riferimento;

2. la discussione interna per l’individuazione dei principi etici generali da perseguire, le norme

etiche per la relazioni dell’impresa con i vari stakeholder, gli standard etici di comportamenti;

37

la consultazione degli stakeholder per la condivisione dei principi etici generali e particolari per

ogni gruppo;

3. l’adeguamento dell’organizzazione aziendale, delle procedure, delle politiche imprenditoriali

con riferimento ai principi etici del Codice. In particolare riveste una notevole importanza

l’attività di formazione etica finalizzata a mettere a conoscenza tutti i soggetti dell’impresa

dell’esistenza del Codice e di assimilarne i contenuti. Il dialogo e la partecipazione sono

indispensabili per far condividere a tutto il personale i valori presenti in questo importante

documento.

L'impegno etico e sociale di un'impresa oltre ad essere testimoniato dal proprio Codice etico e/o

Bilancio sociale, può anche essere certificato con riferimento ad una norma di riferimento

internazionale denominata SA 8000. Questo nuovo standard internazionale di certificazione riguarda, in particolare:

• il rispetto dei diritti umani,

• il rispetto dei diritti dei lavoratori,

• la tutela contro lo sfruttamento dei minori,

• le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro.

E’ proprio con riferimento a questo tipo di certificazione che talune imprese alimentari si stanno

muovendo, soprattutto quando le materie prime provengono da paesi e contesti per i quali si può

ragionevolmente temere che proprio i diritti di cui sopra non siano rispettati.

38

PARTE 3 – ANALISI DI MERCATO

14. L’evoluzione dei consumi alimentari

14.1. I consumi domestici Dal 2000 al 2005 l’evoluzione dei consumi delle famiglie italiane è stata influenzata dalla pesante

recessione che ha colpito l’economia italiana e dal cambiamento negli stili di vita. Come mostrato

nel grafico 1, il volume totale degli acquisti alimentari domestici ha subito una flessione del 10%

(con una variazione media annua pari a -2,6%), mentre la tendenza in valore è stata decisamente

irregolare a causa della fluttuazione dei prezzi (graf. 2).

Graf. 1- Acquisti domestici del totale agroalimentare (000 ton)

25.317

24.572

23.02122.625

22.87023.095

21.000

21.500

22.000

22.500

23.000

23.500

24.000

24.500

25.000

25.500

26.000

2000 2001 2002 2003 2004 2005

Fonte: Ismea

39

Graf. 2- Acquisti domestici del totale agroalimentare (mln €)

45.518

46.307

46.152

46.392

45.99046.064

45.000

45.200

45.400

45.600

45.800

46.000

46.200

46.400

46.600

2000 2001 2002 2003 2004 2005

Fonte: Ismea

Infatti l’indice dei prezzi Ismea al consumo è cresciuto nel 2005 dello 0,9, mentre nello stesso

periodo l’indice dei prezzi alla produzione agricola è diminuito del 5,1%. Questo è derivato dalla

capacità del sistema distributivo di incamerare le riduzioni dei prezzi all’origine, avvenute nella

prima parte dell’anno, e di trasferire sui listini finali una parte degli aumenti dei prezzi alla

produzione, registrati nel secondo semestre.

Dalla tabelle 3 e 4 si evince che nell’ultimo quadriennio il comparto che ha maggiormente

contribuito alla flessione dei consumi domestici è l’ortofrutticolo (-3% in volume di poco inferiore

alla contrazione in termini di spesa), nel quale, tra l’altro, è stato avvertito l’aumento di prezzi più

consistente.

Tab .3 - Dinamica dei volumi acquistati per comparto (ooo ton/mln litri)

2002 2003 2004 2005

Derivati dei cereali 2.998 2.880 2.847 2.863

Carne, Salumi, Uova 1.540 1.482 1.489 1.471

Latte&derivati 3.368 3.279 3.267 3.368

Ittici 405 411 418 426

Ortofrutta 5.269 5.115 5.210 5.123

Oli&Grassi 490 479 474 459

Vino e spumanti 816 810 817 805 Fonte: Ismea

40

Tab. 4 - Dinamica della spesa per comparto (mln euro)

2002 2003 2004 2005

Derivati dei cereali 7.112 7.014 7.030 7.055

Carne, Salumi, Uova 10.937 10.816 10.956 11.022

Latte&derivati 8.498 8.364 8.349 8.412

Ittici 3.521 3.611 3.676 3.730

Ortofrutta 7.932 8.165 7.703 7.655

Oli&Grassi 1.769 1.803 1.830 1.837

Vino e spumanti 1.644 1.687 1.739 1.713 Fonte: Ismea

Anche sul fronte del comparto di carne, salumi e uova si è registrata una forte diminuzione dei

volumi acquistati, circa un 4% in volume, mentre il comparto dei prodotti ittici sono cresciuti del 5%

Dall’analisi degli acquisti presso i vari canali distributivi emerge che le famiglie italiane

preferiscono la grande distribuzione: supermercati, ipermercati, discount e liberi servizi

costituiscono tre quarti del mercato sia in volume che in termini monetari (Graf. 3 e 4).

Graf. 3- Distribuzione dei volumi acquistati tra i canali di vendita nel 2005

Discounts9%

Alim entari tradizionali

14%

Altri canali9%

Liberi Servizi5%

Super+Iper63%

Fonte: Ismea

41

Graf. 4- Distribuzione della spesa nei canali di vendita nel 2005

Discounts5%

Alim entari tradizionali

19%

Altri canali7%

Super+Iper64%

Liberi Servizi5%

Fonte: Ismea

Tra il 2002 e il 2005 la composizione del paniere di spesa delle famiglie italiane si presenta per lo

più invariata. In termini di spesa i prodotti più acquistati sono carne, salumi e uova (28%),

immediatamente seguiti da latte e derivati (20%), ortofrutta (18%) e derivati dei cereali (17%)

(Graf. 5).

Graf. 5- Composizione del paniere di spesa alimentare in valore nel 2005

Ortofrutta18%

Vino e spum anti4%

Oli&Grass i4%

Derivati dei cereali17%

Carne, Salum i, Uova28%

Latte&derivati20%

Ittici9%

Fonte: Ismea

In volume, invece, la percentuale maggiore di prodotti acquistati ricade nel comparto bevande

analcoliche (31%) seguita dal comparto ortofrutticolo (24%) (Graf. 6).

42

Graf. 6- Composizione del paniere di spesa alimentare in volume nel 2004

Carne, Salum i, Uova10%

Derivati dei cereali20%

Ortofrutta35%

Ittici3% Latte&derivati

23%

Vino e spum anti6%

Oli&Grass i3%

Fonte: Ismea

L’inflazione e la propensione al risparmio si sono tradotti in una sostanziale stabilità della spesa

totale per consumi in termini reali. Secondo l’Istat, infatti, nel 2005 la spesa media mensile di una

famiglia italiana è stata di 2.397 euro (2.381 nel 2004, 2.308 € nel 2003, 2.198 € nel 2002). La

spesa media mensile delle famiglie per prodotti alimentari risulta praticamente immutata, passando

da 453 euro nel 2004 a 456 euro nel 2005. Più o meno stabile la spesa media mensile alimentare

delle famiglie del Nord (da 450 a 454 euro mensili) e del Mezzogiorno (da 456 a 452 euro mensili)

mentre aumenta di 12 euro mensili quella delle famiglie del Centro (da 455 a 467 euro mensili). In

tabella 5 sono riportati i dati per regione.

43

Tab. 5 - Spesa media mensile delle famiglie per prodotti alimentari (in euro)

2002 2003 2004 2005 Var. 05/02 (%)

Piemonte 402 428 445 443 10,2Valle d'Aosta 400 428 427 416 4,0Lombardia 440 462 479 486 10,5Trantino Alto Adige 358 371 405 425 18,7Veneto 403 453 440 435 7,9Friuli Venezia Giulia 355 377 395 390 9,9Liguria 444 462 444 456 2,7Emilia Romagna 388 423 431 442 13,9Toscana 426 443 440 470 10,3Umbria 451 502 448 445 -1,3Marche 465 492 506 492 5,8Lazio 443 462 451 462 4,3Abruzzo 428 447 459 471 10,0Molise 353 407 459 404 14,4Campania 465 478 496 462 -0,6Puglia 432 476 452 480 11,1Basilicata 391 415 401 436 11,5Calabria 405 436 462 461 13,8Sicilia 434 423 424 418 -3,7Sardegna 444 465 449 453 2,0Italia 426 449 453 456 7,0 Fonte: Istat

Nonostante l’andamento negativo di alcuni comparti agro-alimentari, un’analisi più

particolareggiata sui singoli prodotti alimentari fa emergere alcune tendenze interessanti.

Considerando la diffusione di un prodotto tra i consumatori italiani è possibile indicarne il grado di

penetrazione: tra i prodotti con una penetrazione maggiore troviamo i formaggi, la pasta di semola,

l’acqua minerale, i salumi, il pane, le carni e il pesce; tra i prodotti con una penetrazione intorno al

60-70%, ma in crescita nell’ultimo quinquennio, troviamo, il latte fresco, il vino Doc/Docg e

soprattutto l’olio extravergine di oliva (Tab. 6).

44

Tab. 6 - Percentuale di penetrazione dei principali prodotti alimentari nella popolazione

2000 2004 2005 var 05-00 var 05-04Formaggi 99,9% 99,5% 99,8% -0,1% 0,3%Pasta di semola 99,2% 98,9% 98,9% -0,3% 0,0%Acqua minerale 94,4% 98,6% 98,3% 3,9% -0,3%Salumi 98,7% 97,8% 97,7% -1,0% -0,1%Pane 94,1% 91,5% 91,3% -2,8% -0,2%Carne bovina 90,5% 86,8% 88,0% -2,5% 1,2%Carne avicola 89,0% 84,6% 84,2% -4,8% -0,4%Pesce congelato 84,2% 81,3% 78,7% -5,5% -2,6%Olio di oliva extravergine 61,3% 68,0% 71,3% 10,0% 3,3%Vino da tavola 68,4% 64,8% 70,3% 1,9% 5,5%Pesce fresco 75,6% 72,4% 69,8% -5,8% -2,6%Latte fresco 56,1% 59,3% 63,7% 7,6% 4,4%Vino Doc/Docg 44,0% 48,4% 47,3% 3,3% -1,1%Olio di oliva normale 30,2% 30,6% 25,1% -5,1% -5,5% Fonte: Ismea

Analizzando, invece, il grado di elasticità al prezzo (Graf. 7), i prodotti possono essere classificati

come segue, anche se qualche cautela è d’obbligo, nel caso di una classificazione come questa,

basata su dati di pochissimi anni:

- prodotti trainanti (scarsa elasticità al prezzo) come ortaggi di IV e V gamma, vini a

denominazione, oli biologici e oli Dop Igp., latte di alta qualità, mozzarella di bufala, pasta

biologica, primi piatti surgelati etc;

- prodotti in crisi (contrazione dei consumi maggiore alla media nonostante incremento dei

prezzi inferiore alla media) come carne avicola, prosciutto cotto, ortaggi freschi, pasta

ripiena secca, mozzarella vaccina etc;

- prodotti maturi (elasticità discretamente proporzionale al prezzo): caffé, carne suina, Grana,

pesce fresco, spumante etc;

- prodotti discendenti (elasticità più che proporzionale al prezzo) come Parmigiano

Reggiano, latte fresco, frutta fresca, pane, riso etc.

45

Graf. 7- La classificazione dei prodotti alimentari secondo il grado di elasticità degli acquisti al

prezzo.

-7,0%

13,0%

-50,0% -30,0% -10,0% 10,0% 30,0%

Trainanti

Crit ici M aturi

D iscendenti

Var. quantità

Vini Do c/Do cg, B irraDessert al latte

Rico ttaA cqua minerale

P asta frescaB ibite, Olio extravergine,

Grissini, Yo gurt, P rimi piatt i surgelati

Latte fresco , Frutta fresca

Riso , P armigiano Reggiano , Olio di

semi, P ane, Champagne,

Ortaggi in scato la

Caffè, Grana, P an carrè, P asta semo la

P asta uo vo , Surg pesce, Surg vegetali,

carne suina, So st. P ane, Spumante

P asta ripiena secca, o rtaggi freschi, carne

avico la, pro sciutto co tto , burro , mo zzarella

vaccina

Fonte: Ismea/ACNielsen

14.2. Consumi extradomestici In base ai dati della Federazione Italiana Pubblici Servizi, nel 2005, i consumi alimentari extra-

domestici hanno costituito il 30,9% della spesa totale per alimenti delle famiglie, in aumento

rispetto alla relativa quota di dieci anni fa, quando ne rappresentavano il 25,8%.

Secondo un’indagine Istat il totale dei consumi alimentari extradomestici è cresciuto dal 2004 al

2005 del 2,6%, attestandosi su 58.119 miliardi di euro, di cui 31.270 mld in ristoranti e pizzerie,

20.065 mld nei bar e 6.334 mld nelle mense.

L’indagine qualitativa Ismea,/AC Nielsen, condotta a livello nazionale, evidenzia come la crescita

dei pasti fuori casa abbia trovato, nel 2005, una sostanziale conferma, seppur con un lieve

decremento rispetto al II semestre del 2004: il 74% degli individui con più di 14 anni ha consumato

almeno un pasto fuori casa. (Graf. 8). Risultano in leggero calo tutte le occasioni di consumo

tranne la colazione.

46

Graf. 8- I consumatori di pasti fuori casa nel periodo 04-05 (%).

68

3834 33

24

49

75

4539 41

28

57

73

4541

44

33

59

74

4639 40

28

57

0

10

20

30

40

50

60

70

80

Pas ti fuori casa Pranzo funzionale Merenda/Spuntino

I sem 04 II sem 04 I sem 05 II sem 05

Fonte: Ismea/ACNielsen

Per la colazione, che è l’occasione di consumo con il maggior numero di consumatori medio-alti

(almeno una volta alla settimana), continuano ad essere consumati principalmente brioche, caffè e

cappuccino; il consumatore tipico è un uomo del Nord-Ovest o del Sud, tra i 25 e i 44 anni, con

licenza di scuola media inferiore e con lavoro indipendente. Il pasto maggiormente consumato fuori

casa è la cena (57%) soprattutto in pizzeria (nel 76% dei casi, seguita dal ristorante italiano con il

49%, e dalla trattoria con il 18%). Le bevanda più bevuta durante la cena è l’acqua minerale

(65%).. A preferire la pizza per cena sono soprattutto i giovani residenti nel Centro-sud, mentre gli

italiani che si concedono un pasto completo a cena sono prevalentemente uomini tra i 45 e i 64

anni, settentrionali, piuttosto istruiti e con un lavoro autonomo.

Il pranzo funzionale, cioè legato ad impegni di lavoro o studio, viene consumato soprattutto al bar

(Graf. 9) e si tratta solo per il 37% di un pranzo completo (soprattutto per uomini anziani del Sud);

più spesso si tratta di un piatto unico variabile in base alle caratteristiche del consumatore

(panino/tramezzino per adolescenti,; primo piatto per uomini e donne laureati con 25-34 anni nelle

regioni centrali, secondo più contorno per uomini e donne con 55-64 del Nord, un’insalata per le

giovani donne del Nord laureate e lavoratrici dipendenti). Anche in questo caso la bevanda più

bevuta è l’acqua minerale (74%), seguita da vino (20%), bevande analcoliche (19%) e birra (16%);

più di un italiano su quattro prende il caffé. Da sottolineare in crescente aumento l’attenzione per i

prodotti biologici tra gli acquisti per la casa effettuata dai giovani (cfr. Graf. 11), che potrebbe

suggerire una maggiore attenzione verso gli aspetti salutistici e qualitativi dei prodotti nelle mense

aziendali e pubbliche.

47

Graf. 9- Luogo di consumo del pranzo funzionale

2322

26

17

1113

12 11 11

24 2422

18

14 13 13

1012

22

25

29

19

1415 15

12

9

27

24

27

1412

16

11 12

17

0

5

10

15

20

25

30

35

Ris torante italiano Bar/Snack bar Self Service Tavola calda Altro

I sem 04 II sem 04 I sem 05 II sem 05

Fonte: Ismea/ACNielsen

Il pranzo conviviale, meno frequente di quello funzionale, viene generalmente e sempre più spesso

consumato in un ristorante italiano (65%), seguito dalla pizzeria (45%) e dalla trattoria (23%).

Spesso viene consumato un pasto completo (nel 63% dei casi), oppure una pizza, ma in ogni caso

si beve soprattutto acqua (75%), poi vino (42%) e birra (22%).

Secondo i dati del panel consumi Ismea-ACNielsen, nel periodo febbraio-settembre 2005, gli

acquisti effettuati dai pubblici servizi sono ammontati a 2,4 milioni di tonnellate pari a circa 6

miliardi di euro. Il 41% di tali acquisti è destinato alle bevande analcoliche, soprattutto acqua (7%

in valore). Percentuali che si attestano tra il 13% e il 10% della spesa sono state destinate agli

ortaggi e derivati (7% in valore), alle carni, salumi e uova (36% in valore), ai cereali (8% in valore)

e al vino (15% in valore). Tali acquisti prevalgono nelle regioni del Nord (solo nelle regioni nord

orientali la spesa ammonta al 33%) e ciò a conferma del fatto che i consumatori che più

consumano prodotti alimentari fuori casa vivono nel Nord Italia (indagine I semestre 2005). Fatta

pari a 100 la quantità acquistata in totale per ogni tipo di produzione si rileva che, mentre nelle

regioni del Nord i pubblici servizi acquistano un quantitativo maggiore di carne, salumi e uova

(38%) e vino (36%), al Sud comprano una maggiore quantità di prodotti ittici (33%) e frutticoli

(37%).

Secondo una stima di Federalimentare, la composizione della spesa delle famiglie italiane

continuerà a registrare lo stesso trend decrescente per i consumi alimentari domestici (dal 15% sul

totale degli acquisti nel 2003 al 12% nel 2015) e un trend ancora crescente per i consumi extra-

domestici, ivi compresi quelli alimentari (dal 13% sul totale degli acquisti nel 2003 al 14% nel

2015). Secondo stime basate sui dati Euromonitor 2004, il mercato del food service in Italia

48

potrebbe passare dai 58 miliardi di euro del 2003 ai 69 miliardi di euro nel 2008, con un incremento

del 3,5% (Mark Up, Febbraio 2006).

Prodotti biologici e marchiati In riguardo ai prodotti biologici e con denominazione di origine le tendenze sembrano ricalcare in

parte quelle dei prodotti convenzionali, con differenze relative ai comparti e ai sistemi distributivi.

Come mostrato nella seguente tabella, infatti, alcuni prodotti sembrano essere entrati in una fase

di maturità di mercato mentre altri manifestano tendenze evolutive (Tab. 7).

Tab. 7 - Percentuale di penetrazione di alcuni prodotti di qualità nel 2000-2005 e relativa

variazione (%)

2000 2004 2005 04-00 05-04

Grana Padano 66,5 64,8 65,6 -1,7 0,8Parmigiano Reggiano 66,8 60,3 60,3 -6,5 0,0Prosciutto crudo di Parma 56,8 51,8 52,3 -5,0 0,5Mozzarella Bufala 47,4 48,8 47,8 1,4 -1,0Vino Doc/Docg rosso 35,0 38,2 39,1 3,2 0,9Prosciutto crudo San Daniele 35,5 34,1 34,5 -1,4 0,4Vino Doc/Docg bianco 28,7 29,0 26,9 0,3 -2,1Olio di oliva Dop+Igp 3,2 4,5 5,1 1,3 0,6Vino Doc/Docg rosato 5,7 6,6 4,8 0,9 -1,8Olio oliva Bio 1,2 3,2 2,2 2,0 -1,0Vino sfuso Doc/Docg 3,5 2,7 1,9 -0,8 -0,8 Fonte: Ismea

Dopo il boom del 2001, le imprese biologiche vivono, dal 2003, un periodo di crisi segnato dalla

impossibilità di ottenere un margine superiore a quello assicurato dalla commodity, dalla variabilità

del prezzo legata ai differenti canali commerciali, dalla scarsa cooperazione imprenditoriale, da

guadagni che non compensano gli investimenti. Inoltre, bisogna tener conto del fatto che il mercato

dei prodotti biologici sta vivendo una fase di trasformazione strutturale, possibile premessa di uno

stato di maturità. Di contro, la domanda risulta decrescente (soprattutto per il comparto lattiero-

caseario) per la scarsa fiducia e la mancanza di informazione, per la difficoltà a reperire tali

prodotti nei propri negozi, ma soprattutto per i ricarichi che la distribuzione effettua sui prezzi,

fenomeno percepito principalmente presso la GDO. Quest’ultimo fattore è cruciale se si considera

che, secondo un’indagine Pragma, viene effettuato il 78,7% della spesa per prodotti biologici

attraverso i canali della distribuzione moderna (Tab. 8). Solo, infatti, coloro che vengono individuati

come ‘fedeli’ si servono, in maniera abbastanza consistente, al negozio specializzato, per

l’acquisto di prodotti biologici.

49

Tab. 8 - Dove acquista prevalentemente prodotti biologici? (Domanda a risposta multipla)

Campione totale (%)

Occasionali insicuri (%)

Potenziali consumatori (%)

Occasionali sostenitori (%) Fedeli (%)

Super+ipermercati 78,7 84,7 84,9 70,7 54,1Negozi specializzati 13,9 9,8 12,6 14,9 35,1Dal produttore 7,9 6,7 5,4 11,3 10,8Lo produco io/un familiare lo produce per me 6,6 4,9 4,3 7,7 24,3Mercato/ambulanti 6,0 6,7 4,0 7,7 8,1Alimentari tradizionali 2,9 1,8 3,6 3,2 0,0Erboristeria 1,3 0,0 0,7 1,8 8,1Altro 0,1 0,6 0,0 0,0 0,0 Fonte: Ismea

Il target principale delle imprese biologiche rimane la famiglia di livello socio-economico medio e

medio-alto, residente nel Nord Italia (Graf. 10), spesso con figli piccoli.

Graf. 10- Ripartizione degli acquisti domestici di prodotti biologici per area geografica al 2005(%)

Nord Est32%

Nord Ovest39%

Centro+Sardegna

21%

Sud+Sicilia8%

Fonte: Ismea/ACNielsen

I maggiori acquirenti, come nel 2004, hanno inoltre un’età compresa tra i 35 e i 44 anni (Graf.11).

50

Graf. 11- Ripartizione degli acquisti domestici di prodotti biologici confezionati per classe di età del

responsabile d’acquisto al 2005 (%)

Responsabile d'acquis to da 35 a

44 anni30,1%

Responsabile d'acquis to da 45 a

54 anni17,8%

Responsabile d'acquis to da 55 a

64 anni15,5%

Responsabile d'acquis to oltre 64

anni19,9%

Responsabile d'acquis to fino a 34

anni16,7%

Fonte: Ismea/ACNielsen

Nel 2005, tra i 16 prodotti più acquistati (che rappresentano il 64,5% della spesa totale per prodotti

bio confezionati, ovvero circa 264 milioni di euro), il prodotto biologico leader in termini monetari è

rappresentato dallo yogurt fresco, anche se, rispetto al 2001, i consumi di tale prodotto sono

diminuiti del 9%. In graduatoria ci sono poi uova, bevande alla soia e latte fresco, più o meno

stabili o in calo rispetto all’anno precedente, ma in notevole aumento rispetto al 2001 (Tab. 9).

Rispetto al 2001 risulta cresciuto anche la spesa per l’olio di oliva biologico. Tra i prodotti con una

maggiore incidenza sul totale biologico e non biologico si evidenziano le performance di bevande

alla soia, orzo perlato e cereali per l’infanzia.

51

Tab.9 - I primi 15 prodotti bio acquistati (in migliaia di euro).

Prodotto 2001 2002 2003 2004 2005 Var % 05/04 Var. % 05/01

Quota prodotto/ totale bio

Quota bio/ totale

prodotto

Yogurt fresco 22.808 30.739 26.079 19.915 20.762 4,3 -9,0 7,8 2,3Uova 14.426 18.413 19.979 21.322 20.203 -5,2 40,0 7,6 7,6Bevande alla soia 8.145 7.170 12.054 18.838 19.242 2,1 136,2 7,3 49,2Latte fresco 10.525 13.298 21.296 19.215 18.133 -5,6 72,3 6,9 1,5Verdura fresca 18.208 23.599 22.114 18.895 15.911 -15,8 -12,6 6 2,7Cereali preparati 6.748 8.171 8.957 10.043 11.535 14,9 70,9 4,4 3,7Bevande frutta 12.952 16.519 15.018 13.520 11.406 -15,6 -11,9 4,3 1,7Olio di oliva 4.431 7.401 8.454 10.268 8.873 -13,6 100,2 3,4 1,2Pasta semola 4.921 7.647 7.792 7.835 7.503 -4,2 52,5 2,8 1Biscotti frollini 5.061 8.468 8.117 6.181 6.101 -1,3 20,6 2,3 1,1Omogeneizzati 15.803 14.197 12.355 8.465 5.799 -31,5 -63,3 2,2 2,4Miele 3878 4780 4941 5.630 5.513 -2,1 42,2 2,1 8,3Cereali infanzia 4.218 3.530 4.914 6.978 5.438 -22,1 28,9 2,1 27,4Brioches - 4.114 4.647 5.626 4.765 -15,3 - 1,8 0,6Dessert da cucchiaio - - - 4.105 4.701 14,5 - 1,8 3,9Frutta 2.623 5.350 5.878 5.780 4.630 -19,9 76,5 1,8 1,3Totale primi 16 134.747 173.396 182.595 182.616 170.516 -6,6 26,5 64,5 2,2 Fonte: Ismea/ACNielsen

In generale, a parte alcuni prodotti che hanno registrato una impennata negli acquisti (come ad

esempio salumi ed elaborati di carne o pane e sostituti) e altri per i quali le dinamiche di consumo

hanno segnato una crescita contenuta, ma costante. Dunque, il mercato del biologico sembra

essere giunto ad un momento di cambiamento strutturale (Tab. 10).

Tab.10 - La spesa per categorie di prodotti biologici (in euro).

2002 2003 2004 2005 Var. 05/02 (%) Var. 05/04 (%)

Latte e derivati 76.435.847 74.232.148 58.545.752 54.439.067 -28,8 -7,0Ortofrutta fresca e trasformata 46.387.397 48.363.458 44.997.716 39.573.189 -14,7 -12,1Biscotti, dolciumi e snack 35.464.607 34.032.414 34.280.111 34.811.254 -1,8 1,5Bevande analcoliche 23.689.132 27.071.844 32.357.459 30.647.941 29,4 -5,3Uova 18.412.633 19.979.348 21.321.870 20.203.086 9,7 -5,2Zucchero, caffè e tè 10.108.476 10.598.730 10.859.630 15.689.998 55,2 44,5Prodotti per l'infanzia 17.848.602 17.477.522 15.704.047 11.775.246 -34,0 -25,0Riso e pasta 14.501.369 13.742.834 12.121.615 11.721.308 -19,2 -3,3Oli 10.739.189 10.595.984 12.301.892 10.856.771 1,1 -11,7Gelati e surgelati 10.480.039 10.018.867 9.226.086 6.892.473 -34,2 -25,3Pane e sostituti 4.283.755 4.218.560 6.410.889 6.886.944 60,8 7,4Miele 4.779.656 4.940.787 5.630.223 5.513.220 15,3 -2,1Condimenti 3.898.184 4.624.837 3.557.013 4.071.556 4,4 14,5Prodotti dietetici 9.680.664 5.156.185 3.341.858 2.885.267 -70,2 -13,7Bevande alcoliche 2.205.941 3.440.212 3.309.557 1.723.359 -21,9 -47,9Salumi ed elaborati carne 485.555 744.443 1.134.227 1.265.639 160,7 11,6Altri prodotti bio 4.034.640 4.832.881 5.853.984 5.563.116 37,9 -5,0Totale prodotti bio 293.435.686 294.071.054 280.953.929 264.519.434 -9,9 -5,8* Nella rilevazione Ismea/ACNielsen non sono compresi gli acquisti effettuati presso i negozi specializzati bio Fonte: Ismea/ACNielsen

52

Dopo la stabilità del 2003, infatti, il consumo di prodotti biologici continua ad accusare il calo già

subito nel 2004: nel 2005 si registra un decremento del 5,8% in termini di valore e una flessione

ancora maggiore in termini di quantità (-7,5%) (Tab.11).

Tab. 11 - La dinamica degli acquisti di prodotti biologici (%)

Valore Quantità Valore Quantità Valore QuantitàOrtofrutta fresca e trasformata -12,1 -10,8 -6,5 -26,1 4,3 -4,3Riso e pasta -3,3 -9,4 -12,3 -11,8 -5,2 -4,8Pane e sostituti 7,4 11,9 48,3 15,7 -1,5 8,8Oli -11,7 -12,7 12,5 8,6 -1,3 -10,8Latte e derivati -7,0 -7,6 -20,4 -16,9 -2,9 7,7Biscotti, dolciumi e snack 1,5 0,4 2,2 3,6 -4,0 -3,7Bevande alcoliche -47,9 -43,3 3,8 -7,8 56,0 86,7Bevande analcoliche -5,3 -5,7 19,9 17,1 14,3 21,0Uova -5,2 -5,1 3,5 -1,0 8,5 11,0Condimenti 14,5 8,1 -22,5 -10,2 18,6 8,9Prodotti dietetici -13,7 1,1 -30,0 -29,2 -46,7 -43,3Prodotti per l'infanzia -25,0 -20,1 -4,4 2,7 -2,1 -3,4Zucchero, caffè e tè 44,5 40,7 0,7 18,5 4,8 5,3Gelati e surgelati -25,3 -28,8 -6,1 2,8 -4,4 13,7Miele -2,1 -9,0 11,8 -0,5 3,4 4,0Salumi ed elaborati carne 11,6 -17,6 43,5 123,3 53,6 53,6Altri prodotti bio -5,0 -21,9 12,0 21,8 19,8 12,5Totale prodotti bio -5,8 -7,5 -4,1 -9,4 0,2 3,6

Var. % 04/03Var. % 05/04 Var. % 03/02

Fonte: Ismea/ACNielsen

Come evidenziato dalla seguente tabella, però, anche il consumatore dei prodotti biologici, risulta

più sensibile ad alcuni aspetti caratteristici del panorama economico e influenzato dai cambiamenti

socio-culturali in corso, che lo spingono a consumare maggiormente tipologie particolari anche di

prodotti biologici (Tab. 12).

53

Tab. 12 - Gli acquisti domestici di prodotti biologici ad elevato contenuto di servizio e

salutistico/funzionali (in euro).

2003 2004 Var.% 04/03

Prodotti bio ad elevato serviziodi cui 8.169.612 8.473.769 3,7Primi piatti pronti 132.382 223.911 69,1Formaggi grattugiati 435.196 242.950 -44,2Torte pronte 517.011 529.341 2,4Condimenti pronti 855.572 480.054 -43,9Caffè solubile 76.290 306.507 301,8Vegetali preparati e surgalati 4.061.475 3.719.909 -8,4Primi piatti surgelati 464.669 407.843 -12,2Carne avicun. elab. cotta 41.797 640.807 1.433,1Polenta rapida 320.244 470.047 46,8Preparati per brodo 1.264.976 1.452.400 14,8Prodotti bio salutistico/funzionali 16.174.393 21.896.552 35,4di cuiLatte arricchito 467.776 647.728 38,5Bevande alla soia 10.878.118 17.942.430 64,9Preparati energetici 368.001 242.494 -34,1Succhi dietetici 935.715 652.299 -30,3Biscotti dietetici 3.524.783 2.411.601 -31,6 Fonte: Ismea/ACNielsen

Ciò potrebbe suggerire all’imprese biologiche un’evoluzione maggiore in termini di servizio e di

valore aggiunto commisurati al grado di preparazione del prodotto e ai contenuti ad esso intrinseci

in grado di concorrere al benessere psico-fisico del consumatore.

Dall’indagine emerge inoltre, che, mentre la scelta di acquisto dei consumatori fedeli al biologico

avviene prima di entrare nel negozio, nel 64,5% dei casi la scelta avviene al momento

dell’acquisto, fenomeno che spinge a considerare come il posizionamento dei prodotti sugli scaffali

possa essere determinante. Altrettanto condizionante risulta il reperimento dei prodotti biologici nei

punti vendita presso i quali ci si rifornisce: mentre il consumatore fedele è disposto a cercare

altrove il prodotto non reperibile, in generale il 70% dei consumatori sceglie il prodotto non

biologico.

Se, inoltre, il consumatore fedele utilizza maggiormente il ‘passaparola’ come canale di

trasmissione di informazioni (35,1%) sul mondo biologico, la maggior parte del campione deve ai

mass media la conoscenza di esso (38,1%); tuttavia la confusione dovuta al proliferare dei marchi

e una comunicazione che viene percepita più come pubblicitaria che informativa rendono la

conoscenza del biologico ancora lacunosa. I consumatori associano i prodotti bio a quelli di

qualità, perché ottenuti nel rispetto di precise regole e a quelli tipici perché ottenuti attraverso

processi tradizionali. Dunque, li acquistano perché naturali, più sicuri, più controllati. Sia, però, in

una parte di coloro che consumano prodotti bio – il 59,7% gli attribuisce controlli maggiori, ma il

35,3% e il 5% gli attribuisce, rispettivamente, controlli standard o addirittura inferiori a quelli dei

prodotti convenzionali – sia, in maniera maggiore, tra quelli che non li consumano, è diffusa

54

l’opinione che le garanzie di sicurezza e la maggiore qualità non possano godere di sufficiente

fiducia. Inoltre, per la maggioranza degli intervistati il costo superiore di tali prodotti non è

giustificabile e crea una elite di consumatori (Tab. 13).

Tab. 13 - Per quali motivi non acquista prodotti bio ?(risposta multipla) (%)

Totale Conoscenza bio

Conoscenza parziale bio

Non conoscenza bio

Hanno un prezzo eccessivo 31 37 30 27Scarsa fiducia nelle garanzie fornite 17 11 17 23Scarsa fiducia sulla qualità 13 8 16 12Li produce da solo 12 14 10 14Difficile reperibilità dei prodotti 8 7 9 10Abitudine 8 10 9 4Non interessato ai prodotti biologici 7 10 5 10Scarsa fiducia sui controlli 7 4 9 4Altro 16 23 13 17

Fonte: Ismea

Nonostante un quadro così pessimistico bisogna, però, considerare l’aumento dell’incidenza di

alcuni canali alternativi per la spesa biologica: le famiglie si organizzano in gruppi di acquisto, si

diffondono l’e-commerce e il commercio equo-solidale, aumentano le aziende che organizzano

punti vendita in sede, un numero sempre maggiore di mense scolastiche usufruisce di prodotti

biologici, la GDO esce sul mercato con private labels dedicate ai prodotti biologici. E’ necessario,

quindi, che le imprese biologiche, trovino strategie adeguate sia ai nuovi percorsi socio-economici

del Paese sia ai canali fisici di reperimento dei prodotti che il consumatore sta facendo propri.

Nel periodo 2003-2005, i consumi dei prodotti Dop e Igp, secondo i dati Ismea-ACNielsen, sono

incrementati leggermente, dopo la forte contrazione nel passaggio dal 2002 al 2003, riconducibile

ad una riduzione, percepita o reale, del potere di acquisto.

Come si può rilevare dalla tabella 14 sono in fase di recupero gli oli di oliva (+48%), che avevano

registrato una forte flessione nel 2003 (-11% sul 2002). Performance negativa per i formaggi (-

1,7%) che, invece, avevano segnato una ripresa delle vendite negli anni precedenti (+1,1% sul

2002). Simili tendenze si rilevano anche se si compie un’analisi in termini di volume eccetto per il

comparto dei formaggi dove i volumi crescono, ma la spesa globale si contrae (Cfr. tab. 15).

Tab.14- Ripartizione per comparto dei consumi domestici di prodotti Dop-Igp (.000 euro)

2003 2004 2005 Var 05/04 % su totaleFormaggi 1.635.160 1.653.239 1.625.908 -1,7% 78,4%Prodotti a base di carne 420.297 402.956 430.539 6,8% 20,8%Oli extravergini di oliva 13.458 11.911 17.686 48,5% 0,9%Totale 2.068.915 2.068.106 2.074.133 0,3% 100,0% Fonte: Ismea/ACNielsen

55

Tab.15 - Ripartizione per comparto dei consumi domestici di prodotti Dop-Igp (.000 t)

2003 2004 2005 Var 05/04 % su totaleFormaggi 167.046 169.573 172.407 1,7% 86,4%Prodotti a base di carne 24.656 23.855 24.848 4,2% 12,5%Oli extravergini di oliva 1.923 1.642 2.244 36,6% 1,1%Totale 193.625 195.070 199.499 2,3% 100,0% Fonte: Ismea/ACNielsen

Se si considera il peso degli acquisti domestici nei vari comparti Dop e Igp sul totale di ciascun

settore (Graf. 11), l’incidenza maggiore è dei formaggi (32%), seguiti dalle carni trasformate (13%)

e dagli oli (3%).

Graf. 11- Confronto tra gli acquisti di prodotti Dop-Igp rispetto a quelli dei rispettivi comparti (in

migliaia di euro, 2005)

0

1.000.000

2.000.000

3.000.000

4.000.000

5.000.000

FORMAGGI CARNITRASFORMATE

OLI EXTRAVERGINIDI OLIVA

.000

TOTALI

DOP-IGP

Fonte: Ismea/ACNielsen

L’acquirente più assiduo di prodotti a marchio certificato appartiene alla classe con un’età

superiore ai 64 anni (25% nel 2005, 28,2% nel 2004), seguita dalla classe 55-64 anni (in aumento

rispetto al 2004) e da quella 45-54 anni, in leggero calo (Tab. 16 e Graf. 12).

56

Tab. 16 - Gli acquisti domestici di prodotti Dop-Igp nel periodo 2001-2005 (.000 euro)

Quantità (t) Valore (.000 €)2003 2004 2005 Var 05/04 2003 2004 2005 Var 05/04

Totale Italia 193.625 195.070 199.499 2% 2.068.915 2.068.106 2.074.133 0%Nord Ovest 56.530 57.627 58.146 1% 614.615 623.572 618.933 -1%Nord Est 44.639 43.196 45.264 5% 466.353 448.832 461.213 3%Centro+Sardegna 36.849 37.878 39.471 4% 412.280 416.504 423.138 2%Sud 55.611 56.366 56.623 0% 575.669 579.198 570.844 -1%Supermercati+Ipermercati 122.661 123.890 126.671 2% 1.336.533 1.332.221 1.332.467 0%Superette 12.184 12.453 13.635 9% 143.054 146.232 156.444 7%Discount 14.973 17.053 17.722 4% 118.371 134.590 136.243 1%Negozi tradizionali 16.259 15.553 15.848 2% 180.138 176.398 176.644 0%Negozi specializzati 14.235 13.451 13.137 -2% 161.465 154.331 153.106 -1%di cui Gastronomie 160 186 192 3% 2.560 2.564 3.069 20%Ambulanti/mercato rionale 10.592 9.856 9.224 -6% 101.721 96.302 88.424 -8%Famiglie monocomponenti 18.841 19.464 22.502 16% 210.487 217.666 257.676 18%Famiglie con 2 componenti 51.696 52.018 57.207 10% 566.587 564.326 604.575 7%Famiglie con 3 componenti 48.483 48.722 48.475 -1% 523.170 518.339 501.978 -3%famiglie con 4 componenti 49.174 49.334 49.297 0% 510.450 509.284 494.169 -3%Famiglie con 5 o più componenti 25.429 25.527 22.016 -14% 258.222 258.490 215.733 -17%Responsabile acquisti fino a 34 anni 25.966 25.123 23.213 -8% 274.676 255.875 242.807 -5%Responsabile acquisti da 35 a 44 anni 37.312 36.973 38.433 4% 396.539 395.304 396.613 0%Responsabile acquisti da 45 a 54 anni 39.914 39.992 39.961 0% 418.005 412.800 408.902 -1%Responsabile acquisti da 55 a 64 anni 39.176 40.087 42.524 6% 411.732 419.960 430.419 2%Responsabile acquisti oltre 64 anni 51.248 52.901 55.365 5% 567.961 584.162 595.391 2% Fonte: Ismea/ACNielsen

Graf. 12- Gli acquisti domestici di prodotti Dop-Igp per fascia di età in quantità nel 2005 (%)

Responsabile acquis ti fino a 34

anni12%

Responsabile acquis ti da 35 a

44 anni19%

Responsabile acquis ti da 55 a

64 anni21%

Responsabile acquis ti oltre 64

anni28%

Responsabile acquis ti da 45 a

54 anni20%

Fonte: Ismea/ACNielsen

Come nel 2004, la suddivisione degli acquisti per area geografica dei consumi dei prodotti tipici è

risultata piuttosto omogenea nelle quattro aree Nielsen, con prevalenza del Nord Ovest e del Sud

Italia (Graf. 13).

57

Graf. 13- Gli acquisti domestici di prodotti Dop_Igp per ara geografica in quantità nel 2005 (%)

Centro+Sardegna

20%

Sud28%

Nord Est23%

Nord Ovest29%

Fonte: Ismea/ACNielsen

Tuttavia secondo i dati Agrifood 2005, il consumo di prodotti con denominazione di origine è

concentrato: il 76% di esso ricade nell’area della Lombardia, del Friuli Venezia Giulia e dell’Emilia

Romagna) e il 72% in sole 10 province (Parma, Udine, Mantova, Reggio Emilia, Modena, Brescia,

Cremona, Vicenza, Sondrio, Bologna). Su tale fenomeno incide, ovviamente, oltre al prezzo di tali

prodotti che li rende accessibili maggiormente nelle regioni più ricche, anche la prossimità del

luogo di consumo al luogo di produzione. Ciò potrebbe suggerire una maggiore efficienza in

termini di trasporto, logistica e rintracciabilità che permetta ai prodotti marchiati di arrivare su

mercati distanti mantenendo le stesse caratteristiche di gusto, ma anche di sicurezza dei controlli.

Anche per i prodotti marchiati il canale distributivo che ricopre il ruolo principale è quello degli iper

e supermercati, senza grandi variazioni rispetto al 2004 (Cfr. Graf. 14 e Tab. 17). Come per i

prodotti biologici, infatti, la GDO ha permesso di far accedere a tali prodotti anche i consumatori

estranei al circuito dei negozi specializzati.

58

Graf .14- Quote di mercato dei diversi canali distributivi per i prodotti Dop-Igp in quantità nel 2005

Super+Iper64%

Discount9%

Negozi specializzati

7%

Negozi tradizionali8%

Am bulanti/m ercato rionale

5%

Superette7%

Fonte: Ismea/ACNielsen

Tab. 17 - Quote di mercato dei canali distributivi per i prodotti Dop-Igp

2003 2004 2005 Var. % 2005/1999

Super+Iper 65,5 65,3 65,2 10,5Superette 7,0 7,2 7,7 -10,5Discount 5,8 6,6 6,7 42,6Negozi tradizionali 8,8 8,6 8,6 -28,3Negozi specializzati 7,9 7,6 7,5 -18,5Ambulanti/mercato rionale 5,0 4,7 4,3 -21,8 Fonte: Ismea/ACNielsen

Tab. 18- Gli acquisti domestici dei principali formaggi Dop nel periodo 2003-2005 (in tonnellate,

migliaia di euro)

Quantità (t) Valore (.000 €)2003 2004 2005 Var 05/04 2003 2004 2005 Var 05/04

Totale Formaggi Dop 167.046 169.573 172.407 1,7% 1.635.160 1.653.239 1.625.908 -1,7%Grana Padano 48.201 51.204 49.080 -4,1% 443.253 462.544 424.074 -8,3%Parmigiano Reggiano 33.044 33.892 36.956 9,0% 432.717 442.412 438.733 -0,8%Gorgonzola 15.661 14.791 16.012 8,3% 136.817 128.320 137.324 7,0%Pecorino Romano 5.647 5.553 5.335 -3,9% 50.584 47.713 42.846 -10,2%Pecorino Toscano 4.797 4.336 3.941 -9,1% 50.986 46.554 42.718 -8,2%Pecorino Sardo 5.364 5.482 5.784 5,5% 58.677 59.842 61.646 3,0%Asiago 12.374 12.303 12.654 2,9% 86.985 87.058 88.866 2,1%Fontina 8.074 8.487 7.918 -6,7% 59.155 61.923 56.996 -8,0%Taleggio 4.245 3.818 3.771 -1,2% 35.201 31.936 30.342 -5,0%Quartirolo 1.372 1.403 1.484 5,8% 11.063 11.521 11.775 2,2%Montasio 4.714 4.514 4.269 -5,4% 35.321 34.025 32.403 -4,8%Mozzarella di Bufala Campana 23.550 23.790 25.200 5,9% 234.376 239.339 258.183 7,9% Fonte: Ismea/ACNielsen

59

Altrettanto concentrato è il consumo dei prodotti marchiati rispetto alla numerosità dei prodotti: nel

comparto caseario solo il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano coprono il 50% degli acquisti in

quantità e il 53% in valore (tab. 19).

Nel settore dei prodotti a base di carne il prosciutto di Parma, il prosciutto San Daniele e la

Mortadella di Bologna rappresentano la totalità degli acquisti sia in termini quantitativi che monetari

(tab. 19).

Tab.19 - Gli acquisti domestici dei principali prodotti a base di carne Dop_Igp nel periodo 2003-

2005 (in tonnellate, .000 di euro)

Quantità (t) Valore (.000 €)2003 2004 2005 Var 05/04 2003 2004 2005 Var 05/04

Totale Italia 24.656 23.855 24.848 4,2% 420.297 402.956 430.539 6,8%Prosciutto di Parma 13.874 13.092 14.409 10,1% 274.133 258.256 282.373 9,3%Prosciutto San Daniele 4.754 4.567 4.940 8,2% 98.807 95.632 103.542 8,3%Mortadella Bologna 5.616 5.739 4.982 -13,2% 38.701 38.969 32.375 -16,9%Salame Brianza 4 1 4 300,0% 93 28 94 235,7%Speck dell'Alto Adige 408 459 510 11,1% 8.563 10.074 12.144 20,5% Fonte: Ismea / AC Nielsen

Nonostante tre tra questi cinque prodotti a base di carne Dop-Igp abbiano segnato una tendenza

positiva nell’ultimo biennio, tale concentrazione è sintomo di una fase di maturità di mercato o

perlomeno evidenzia uno stallo nella valorizzazione dei prodotti tipici.

Anche nel caso del comparto ortofrutticolo, nel quale il mercato dei prodotti marchiati ammonta a

114.000 tonnellate e 187 milioni di euro, l’87% a volume e l’80% a valore è costituito unicamente

dalla Mela della Val di Non (Nomisma, Aprile 2005). A parte pochi altri prodotti, infatti, la situazione

è scoraggiante: alcune produzioni raggiungono quantitativi produttivi sufficienti, ma registrano

quantità certificate marginali, mentre altre non vengono prodotte in volumi sufficienti da

raggiungere il mercato (tab. 20).

Tab. 20 - Dop e Igp ortofrutticole in Italia al 2005 (i principali prodotti riconosciuti in tonnellate e

migliaia di euro)

Quantità certificate Valore al consumo

Mela Val di Non 100.000 150.000Nocciola del Piemonte 3.590 9.334Pera dell'Emilia Romagna 2.665 6.104Pesca e nettarina di Romagna 1.259 2.770Fagiolodi Sarconi 600 3.720Radicchio rosso di Trevignano 240 2.889Noccila di Giffoni 200 1.800Altri 5.650 10.173Totale 114.204 186.790 Fonte: Nomisma

60

Inoltre, secondo un’indagine condotta a fine 2004 dall’Agriturist su incarico del Ministero delle

Politiche Agricole, solo un italiano su dieci sa cosa significhi Igp e uno su cinque cosa voglia dire

Dop. Anche da un’indagine condotta dalla Doxa, risulta che l’86% degli italiani comprerebbe

prodotti certificati da enti indipendenti, ma che il 93% di essi vorrebbe maggiori informazioni e che

solo il 20% degli intervistati sa cosa siano le certificazioni alimentari. Per passare da una

percezione della certificazione come riconoscimento ad una percezione di essa come leva di

strategie di marketing sono necessarie campagne informative. Se il consumatore non è disposto a

spendere di più per la qualità igienico-sanitaria, perché la considera un prerequisito del prodotto, è

disposto a spendere di più per i prodotti di qualità. Secondo il ‘Barometro dei consumatori’ di

Eurisko, infatti, il 76% dei consumatori spenderebbe il 10% in più rispetto al prezzo di una

commodity, il 53% il 20% in più, il 24% fino al 50% in più.

14.3. Fattori critici I cambiamenti in atto nei consumi alimentari italiani, fortemente influenzati dalla situazione

economica, dai mutamenti demografici (diminuzione del tasso di natalità e aumento della vita

media che comportano senilizzazione della popolazione e riduzione dei nuclei familiari, con

l’aumento relativo dei nuclei composti da una o due persone) e dai rinnovati modelli di consumo,

possono essere sintetizzati come segue:

- crescente ricorso a cibi preconfezionati e precotti per la minore disponibilità di tempo,

soprattutto da parte delle donne, delle quali è aumentata la percentuale di occupate;

- tendenza a razionalizzare lo spazio e il tempo dell’acquisto (one stop shopping);

- ricerca della qualità: standard in termini di gusto e profilo igienico sanitario, freschezza,

scelta delle materie prime (soprattutto per prelibatezze e specialità) e certificazione;

- destrutturazione dei pasti e aumento dei pasti fuori casa (prodotti porzionati);

- crescente sensibilizzazione agli aspetti dietetici, salutistici, ambientali, edonistici ed etici del

prodotto acquistato;

- maggiore razionalità del consumatore con conseguente tendenza a perdere la fedeltà alla

marca;

- omologazione dei gusti e delle esigenze, dettata, in parte, dalla dissociazione tra

produzione e consumo, si affianca un processo di differenziazione e personalizzazione

delle scelte di consumo, che può far leva anche sulla presenza di prodotti regionali tipici,

sul gusto e sul legame con il territorio.

Di fronte a tali tendenze appare necessario sviluppare tecnologie idonee in termini di qualità e

sicurezza, percorsi informativi trasparenti e adeguati per garantire un flusso di comunicazioni dal

produttore fino al consumatore adeguato. La situazione di difficoltà economica che ha colpito negli

ultimi anni molte famiglie, inoltre, potrebbe suggerire di far leva sulla ‘filiera corta’ che permette di

ridurre i costi di transazione, favorendo il consumatore finale.

61

Riguardo ai prodotti biologici e marchiati, in particolare, a segmentare la domanda concorre proprio

la variabile prezzo proprio perché discrimina tra gli acquirenti potenziali e limita gli acquisti effettivi

soprattutto in un contesto economico difficile. Ancora più che per i prodotti convenzionali, quindi, la

scarsa informazione del consumatore risulta fortemente penalizzante per i prodotti DOP, IGP e bio.

Questa carenza informativa dovrebbe essere colmata con una comunicazione mirata a rendere

chiaro e riconoscibile il differenziale di questi prodotti.

15. Le dinamiche della distribuzione alimentare La distribuzione moderna, ormai, rappresenta uno dei punti di riferimento per l’espansione delle

imprese agroalimentari, data la fitta rete di relazioni esistenti tra agricoltura, industria di

trasformazione alimentare e sistema logistico e distributivo. In particolare, essa si pone quale

principale interlocutore del settore agricolo, avendo ampliato la propria offerta anche ai prodotti

freschi, in particolare carni ed ortofrutta, e favorendo la nascita di un forte rapporto di fidelizzazione

del cliente al punto di vendita. Il nuovo modello organizzativo della GDO tendente ad escludere

ogni forma di approvvigionamento dai canali tradizionali (mercati all’ingrosso) e a privilegiare canali

diretti operanti con piattaforme logistiche, eleva l’efficienza della distribuzione a fattore di successo

delle strategie competitive della GDO, in un comparto dove la logistica è lo strumento

fondamentale per gestire il tempo ed i costi.

15.1. Dimensione del settore Si è scelto di analizzare il sistema distributivo italiano ricorrendo ai dati dell’Osservatorio nazionale

del Commercio, integrandoli con quelli Databank.

Nel 2004, in Italia operano nel settore 40 aziende che gestiscono 27.310 unità di vendita e

fatturano, al netto di IVA, 75.800 Mn di euro. I leader del settore sono Coop Italia (14,9% quota di

mercato), Conad (8,7% quota di mercato) e Gruppo Selex (7,6% quota di mercato).

In particolare, la distribuzione alimentare ha fatturato un 4,4% in più nel 2004 rispetto all’anno

precedente, mentre i consumi alimentari sono cresciuti appena del 2,5% in valori correnti.

Nonostante una situazione economica generale di sostanziale stagnazione, dunque la

distribuzione alimentare moderna è andata decisamente in contro-tendenza: le imprese hanno

registrato incrementi consistenti delle vendite.

Le ragioni della vitalità di questo comparto sono da ricercarsi almeno in due direzioni. La prima è

senza dubbio il processo di integrazione e di concentrazione assecondato da politiche

maggiormente orientate alla liberalizzazione del settore che hanno consentito così lo sviluppo delle

strutture distributive più moderne. Una seconda ragione, altrettanto importante, di vitalità del

sistema distributivo è da ricercarsi nell’evoluzione degli stili di vita e delle abitudini di acquisto dei

consumatori. In particolare il ruolo della donna nella moderna economia è cambiato a favore di un

62

maggiore inserimento nel mondo del lavoro: l’incremento del reddito familiare e il minore tempo da

dedicare alla preparazione dei pasti si sono tradotti in specifici bisogni (riduzione dei tempi e

concentrazione dei momenti di acquisto, richiesta di prodotti ad elevato contenuto di servizi, cibi

pronti per il consumo, ecc.).

E’ per questo motivo che negli ultimi anni il modello di sviluppo della distribuzione italiana ha

presentato, accanto alla tendenza ormai consolidata alla concentrazione e quindi al superamento

del dettaglio tradizionale, una grande attenzione verso nuove tipologie distributive (centro

commerciale, ipermercato e discount). L’evoluzione del settore sta avvenendo però in un quadro di

grande disomogeneità a livello di diffusione geografica delle strutture (cfr. tab. 21).

In particolare, a dati 2004 la presenza di supermercati ed ipermercati nelle regioni del Nord-ovest,

come Piemonte e Lombardia, stride con la modesta densità nelle regioni del Sud ed Isole. Nel

2004, la superficie per 1000 abitanti di ipermercati e supermercati è rispettivamente di 42 e 116 mq

a livello nazionale: nelle regioni settentrionali tali valori sono abbondantemente superati (62 e 148

mq per 1000 abitanti), mentre in quelle di Sud e Isole i rispettivi valori sono di 20 e 75 mq per 1000

abitanti (solo per il Centro i valori sono vicini ai dati nazionali).

Nel grafico 15 sono mostrate le variazioni percentuali nel numero di punti vendita tra il 2004 e il

2003 a livello nazionale: ipermercati (619 aperture) e supermercati (29 aperture). La lenta crescita

degli ipermercati è giustificata soprattutto dall’entrata in vigore del D. Lgs. 114 del 31 marzo 1998

(Decreto Bersani), che di fatto limita l’apertura delle grandi superfici distributive.

63

Tab. 21 - Evoluzione strutturale della distribuzione regionale, dati 2004

N.Superficie di vendita (mq) N.

Superficie di vendita (mq) N.

Superficie di vendita (mq) N.

Superficie di vendita (mq)

Piemonte 288 90.967 633 544.288 54 279.132 71 872.004

Valle d'Aosta 22 6.502 12 10.371 2 15.075 - -

Lombardia 536 164.406 1.300 1.286.518 112 724.999 140 2.131.820

Liguria 188 53.739 176 133.975 5 30.760 14 184.607 Nord Ovest 1.034 315.614 2.121 1.975.152 173 1.049.966 225 3.188.431 Trentino A.A. 131 38.904 247 191.254 7 21.967 19 140.998

Friuli V.G. 124 40.419 269 231.149 14 66.066 13 273.248

Veneto 426 129.247 967 884.326 48 268.929 76 946.587

Emilia Romagna 296 91.002 653 539.425 33 204.684 93 978.030 Nord Est 977 299.572 2.136 1.846.153 102 561.646 201 2.338.863 Toscana 126 38.367 449 414.427 28 162.626 57 566.941

Umbria 117 33.882 181 159.092 5 27.738 31 382.662

Marche 193 55.703 285 214.641 21 107.547 31 258.736

Lazio 188 60.915 606 532.235 21 118.456 30 438.859 Centro 624 188.867 1.521 1.320.395 75 416.367 149 1.647.198 Abruzzo 56 18.384 239 191.585 11 75.273 29 329.422

Molise 10 3.050 55 41.973 2 9.700 8 88.811

Campania 320 92.483 440 311.145 12 72.208 16 184.924

Puglia 370 108.845 396 270.191 15 124.731 20 457.059

Basilicata 43 13.390 54 35.285 2 9.910 - -

Calabria 77 22.483 202 170.215 7 35.114 5 58.921

Sicilia 158 47.925 519 423.434 10 53.156 10 136.522

Sardegna 47 13.548 138 113.061 8 44.369 16 248.772 Sud Isole 1.081 320.108 2.043 1.556.889 67 424.461 75 1.175.009 Tot. Italia 3.716 1.124.161 7.821 6.698.590 417 2.452.440 679 8.678.923

Minimarket Centro CommercialeSuper Iper

Fonte: elaborazioni Ismea su dati M.A.P..

64

Graf. 15 - Variazione percentuale annua 2004-03 del numero di punti vendita iper e super

0

2

4

6

8

10

12

14

16

%

Tot. Nord Oves t Tot. Nord Es t Tot. Centro Tot. Sud Isole Tot. Italia

Super

Iper

Fonte: elaborazioni Ismea su dati M.A.P..

15.2. Scenario competitivo Negli ultimi anni il settore della Grande Distribuzione alimentare è stato interessato da continue

evoluzioni dello scenario, influenzato dai seguenti fattori:

− la presenza dei grandi gruppi distributivi stranieri, soprattutto francesi (ad esempio

Carrefour e Sma-Auchan) e tedeschi (ad esempio Lidl e Metro), che contano su un’elevata

massa critica, ampie esperienze internazionali e consolidati know-how gestionali. Essi

rappresentano una minaccia in quanto in grado di contendere la leadership di mercato alle

aziende italiane, da sempre caratterizzate da piccole dimensioni, gestione famigliare,

modesta capitalizzazione, destinate più ad essere acquisite che ad acquisire;

− entrata in vigore della nuova Legge Bersani, che pur introducendo una maggiore

autonomia a livello regionale, ha di fatto rallentato lo sviluppo delle grandi superfici di

vendita: lo dimostra la crescita dello 0,05% a livello nazionale degli ipermercati nel biennio

2002-03. Questo trova giustificazione nell’interpretazione restrittiva data alla normativa da

parte delle Regioni;

− la crescita delle marche private (private label), che si è attestata nel 2004 su un 12,4%

(fonte Ac Nielsen). Preso atto della recente e crescente competitività delle private label, va

sicuramente ravvisato il differenziale di prezzo sussistente tra prodotti a marchio

dell’insegna e prodotti della corrispondente marca leader, decisamente a favore dei primi e

quindi economicamente più attraenti per i consumatori (in media del 20%, fonte Ismea). A

65

questo interessante rapporto qualità prezzo si aggiunge un ampliamento dell’offerta con

prodotti tipici a marchio comunitario e biologico, nonché equo-solidali e a filiera controllata.

Ad esempio Esselunga vende con il marchio Esselunga Bio oltre 450 prodotti biologici,

mentre i prodotti a marchio Coop coprono 2.449 referenze (+18% rispetto al 2003) e hanno

un’incidenza sulle vendite totali pari al 19%;

− la concentrazione degli acquisti in poche Centrali di acquisto. Infatti, la ricerca di massa

critica ha spinto le catene della Distribuzione alimentare moderna ad unirsi in Centrali di

acquisto con lo scopo di gestire in comune i contratti di fornitura di società indipendenti. Le

Centrali leader che concentrano oltre il 50% degli acquisti per ipermercati e supermercati

sono Centrale Italiana1(21,8), Intermedia2 (17,9%) ed ESD Italia3 (17,4%; dati Kpmg su

fonte Iri);

− il formato economico del discount continua ad incontrare successo, grazie soprattutto alla

combinazione di economicità e ampliamento dell’offerta puntando ad una valorizzazione

del punto vendita e dell’insegna. Infatti nel 2004 il numero di punti vendita rilevati da Iri-Ifo

Scan a livello nazionale è di 2.835, con 252 nuove aperture e un trend positivo nell’ultimo

decennio del +3,6%. Inoltre secondo una recente indagine Censis-Confcommercio, nel

2004 la frequentazione d’acquisto nel discount si è affermato sul 6,7%, crescendo del 3,3%

rispetto all’anno precedente, a svantaggio delle grandi superfici di vendita iper e

supermercati.

15.3. Fattori critici di successo Attualmente la competizione tra catene distributive alimentari si gioca su diversi fattori ed essi

sono:

− la logistica, sia come strumento di contenimento dei costi, sia come funzione atta ad

accrescere gli standard di servizio dell’insegna e conseguentemente la sua immagine;

− il livello di servizio, ossia quell’insieme di fattori materiali ed immateriali in grado di far

avvicinare l’insegna al cliente, ad esempio: le caratteristiche strutturali del punto vendita

(edificio, parcheggio, sicurezza e gestione del punto vendita), la sua comodità ed

attrattività (disponibilità di punti di ristoro, zone di relax e riservate ai bambini, qualità

dell’ambiente), la cortesia e la competenza del personale, nonché tutta l’assistenza post-

vendita;

− la qualità, che ha acquisito importanza dopo gli scandali alimentari degli ultimi anni. Infatti

l’attenzione del consumatore verso la composizione organolettica del prodotto è cresciuta

così come la sensibilità nei confronti dell’impatto che il processo industriale ha

1 vi appartiene Coop, Sigma e Despar. 2 vi appartiene Auchan, Gruppo Pam, Bennet, SUN e Gruppo Lombardini. 3 vi appartiene esselunga, Selex e Agorà.

66

sull’ambiente e sul benessere dei lavoratori (commercio equosolidale, agricoltura

biologica, agricoltura integrata, prodotti tipici). Dunque gli operatori della distribuzione

alimentare assumono nuove responsabilità e competenze, sia perché essi stessi produttori

della propria marca commerciale, sia perché interlocutori diretti e visibili tra le filiere

produttive e il consumatore;

− l’offerta più vicina alle esigenze locali, infatti ad un processo di accentramento dei

rifornimenti attraverso le Centrali di acquisto si affianca una crescente attenzione alle

attitudini e abitudini di consumo locale, lasciando al punto vendita una certa flessibilità

negli acquisti;

− il posizionamento dell’insegna, sono sempre più alti gli investimenti dei distributori volti a

creare una propria e distinta immagine di insegna agli occhi del consumatore, in un quadro

difficile per le famiglie sul piano economico e reddituale. La criticità di questo fattore è

anche evidenziata dalla spesa pubblicitaria, che nel 2004 si è attestata sui 538 milioni di

euro, circa un +9% rispetto all’anno precedente;

− la capillarità della rete di vendita, in quanto strumento attraverso il quale l’azienda cresce il

proprio fatturato e sviluppa economie di scala.

15.4. Prospettive Le previsioni per il settore distributivo alimentare sono:

− nel breve termine una crescita del fatturato collocata interno al 2-3%, in linea con i risultati

del 2005;

− la rete di vendita sarà interessata da un ulteriore sviluppo, soprattutto delle medie

superfici, quali supermercati e superstore, mentre le nuove aperture di ipermercati

risentiranno delle difficoltà derivanti dall’impatto della normativa commerciale del Decreto

Bersani;

− i cambiamenti demografici (invecchiamento della popolazione, riduzione del nucleo

familiare, immigrazione) richiederanno da parte della GDO un adeguamento della rete di

vendita, delle localizzazioni (negozi di prossimità e facilmente raggiungibili), degli

assortimenti (confezioni monoporzione, gastronomia, cibi precotti) e dei servizi (ordini

telefonici o via internet e servizi a domicilio);

− lo sviluppo della marca commerciale, in quanto gli operatori del settore vi esercitano un

maggior controllo in termini di prezzi, promozioni e margini. Una crescita che comporta

l’esplorazione di nuove nicchie di mercato quali i prodotti tipici nazionali ed esteri, così

come l’ampliamento della gamma di alimenti biologici;

− la crescente pressione promozionale sul consumatore, sia con operazioni di taglio prezzo,

concorsi a premio e raccolte punti, sia con iniziative studiate da hoc grazie ai dati messi a

67

disposizione delle tecnologie informatiche (carte fedeltà e scanner) per l’analisi del

consumatore e delle sue esigenze.

16. La ristorazione collettiva e commerciale moderna L’analisi viene condotta su fonte Databank separando le due aree d’affari, poiché le caratteristiche

dei business sono differenti. L’attività di ristorazione collettiva riguarda l’erogazione di un servizio

sulla base di un contratto che ne stabilisce il valore economico e le caratteristiche (composizione

del menù, layout ed attrezzature della mensa, servizi accessori). L’attività è rivolta alle comunità,

prevalentemente aziende, scuole, ospedali pubblici e cliniche private, residenze per anziani e

comunità militari. Sono escluse dall’analisi le mense autogestite.

La ristorazione commerciale moderna riguarda invece l’erogazione di un servizio di ristorazione

veloce ed a prezzo variabile. In tale area si comprendono: self service, free-flow (self service

organizzati in isole libere dove il cliente può comporre come vuole il suo pasto), ristoranti a servizio

rapido e fast food localizzati in aree urbane ed autostradali. Sono escluse le imprese con un solo

esercizio e quelle che pur avendone diversi, utilizzano numerosi marchi/insegne.

16.1. La ristorazione collettiva Dimensione del settore

Nel 2004 si registrano 1.200 aziende operanti nel settore, che danno lavoro a 72.000 addetti e

producono ricchezza per un fatturato di 6.115 Mn di euro, di cui il 19% rappresenta il valore

aggiunto. Il mercato si presenta frammentato tanto che le prime quattro imprese servono il 31,2%

del mercato, mentre le prime otto appena il 45,5%. In particolare, nel corso dell’ultimo triennio si è

assistito alla concentrazione dell’offerta in un numero di operatori sempre più ristretto, costituito da

un lato da grandi gruppi internazionali (le più importanti sono Accor, Sodexho, Elior e Compass)

che stanno progressivamente sostituendosi all’imprenditoria italiana, e dall’altro dalle società

italiane di natura cooperativa (la maggior parte fanno riferimento alla Lega delle cooperative).

Tuttavia il sistema imprenditoriale rimane a carattere familiare, infatti oltre il 75% delle aziende

gestisce meno di 10 mense.

Scenario competitivo

Il settore della ristorazione collettiva sta risentendo di importanti dinamiche competitive, quali:

− la Pubblica Amministrazione è sempre più orientata verso appalti global service, per i quali

viene richiesta un’elevata capacità organizzative e di investimento economico. Infatti la

Consip, quale agenzia del Ministero dell’Economia per la razionalizzazione della spesa

pubblica, è preposta a selezionare a livello centrale i fornitori di beni e servizi per le

Pubbliche Amministrazioni;

68

− l’apertura di mense scolastiche con alimenti biologici, tanto che Biobank rileva che il

comparto è passato dalle 199 mense del 2000 a 608 mense del 2004 (e dai 267.000 ai

900.000 pasti serviti giornalmente);

− la qualità del servizio viene valutata unitamente al prezzo richiesto ed al tempo impiegato

per consumare il pasto;

− l’importanza del branding, in particolare tramite opportune operazioni di marketing i

principali operatori del sistema cominciano a sperimentare l’importanza del marchio, quale

strumento di fidelizzazione del consumatore.

Fattori critici di successo

Le imprese della ristorazione collettiva seguono politiche competitive centrate su:

− il prezzo, quale importante fattore di scelta dell’azienda fornitrice, soprattutto da parte

dell’operatore pubblico. In particolare la competizione basata sul prezzo genera non solo la

contrazione dei margini, ma anche il peggioramento della qualità del servizio, che in questo

ultimo biennio, pare essere diventata meno importante rispetto alla discriminante prezzo;

− la diversificazione dell’offerta (ad esempio pasti biologici, banqueting e attività di

consulenza), alla luce di quanto sopra esposto, consente di compensare i ridotti margini

ottenibili dai business tradizionali;

− la promozione e la formazione del personale, in quanto accrescono la motivazione e

migliorano la produttività e la professionalità;

− la gestione efficiente della liquidità, poiché assicura l’equilibrio tra le entrate e le uscite,

compensando i tempi esistenti tra i pagamenti e gli incassi;

− gli investimenti pubblicitari e la differenziazione, dove l’aumento dell’immagine positiva

della società di ristorazione collettiva presso i suoi clienti e gli utenti finali consente migliori

tassi di frequentazione oltre ad aumentare la fidelizzazione.

Prospettive

Si prevede che la ristorazione collettiva riporti nel corso del 2005 una crescita del fatturato pari al

5%, in linea con quanto già avvenuto nel 2004; grazie soprattutto al segmento dei buoni pasto.

Le strategie future verso cui saranno orientate le aziende del settore possono essere riassunte

come segue:

− ottimizzazione del proprio core business;

− sviluppo di differenti servizi sempre più mirate alle specifiche esigenze del cliente nell’ottica

del global service;

− esportazione in Europa dei propri marchi e/o servizi, come già effettuato dal gruppo

Onama, C.I.R. e Camst.

69

16.2. La ristorazione commerciale moderna Dimensione del settore

Nel 2004, le imprese operanti nella ristorazione commerciale moderna sono 30 organizzate in

catena e impiegano 28.000 addetti, anche se in misura adeguata ai picchi di domanda il settore

utilizza in misura crescente occupati part-time. Il fatturato registrato nello stesso anno è di 2.810

Mn di euro, di cui un 19% è il valore aggiunto prodotto dal settore. La struttura dell’offerta

comprende imprese di grandi dimensioni come Autogrill e Mc Donald’s e numerose imprese di

medie dimensioni (ad esempio Cibis, My Chef, Vera e Onama). Da un lato i primi tre operatori del

settore, per dimensione economica, soddisfano il 52,7% della domanda nazionale.

D’altra parte, in Italia, il peso delle grandi catene all’interno della ristorazione commerciale è

nettamente inferiore rispetto alle realtà europee e d’oltreoceano, a causa di:

− componente più individualistica degli operatori italiani;

− spirito di iniziativa dei ristoranti indipendenti;

− propensione verso modelli di consumo alimentare differenti da regione a regione;

− tendenza moderata all’imitazione.

Scenario competitivo

Il contesto socio economico in cui le imprese della ristorazione commerciale moderna si sono

trovate ad operare negli ultimi anni è stato caratterizzato da una forte stagnazione dell’economia e

di conseguenza una minore capacità di spesa delle persone. A questo si aggiungono altre

problematiche che gli operatori del mercato si trovano ad affrontare, quali:

− la possibilità di ingresso di società provenienti dal business della produzione alimentare.

Infatti le grandi aziende del largo consumo (Rana, Ferrero e Barilla) che hanno individuato

nella creazione di locali a tema una possibilità di business ricco di opportunità, puntando

sul branding di marca e stringendo accordi con importanti società di ristorazione;

− la domanda presenta un basso grado di fedeltà e alta mobilità;

− la minaccia da prodotti sostitutivi, proveniente soprattutto dalla presenza di bar che si

rivolgono allo stesso target di consumatori e recentemente dalla Grande Distribuzione

grazie all’offerta di piatti pronti e panini.

Fattori critici di successo

In questo settore, il successo è condizionato dal possesso di conoscenze organizzative e

gestionali capaci di ottimizzare la velocità di rotazione necessaria a ripagare l’investimento.

Risultano inoltre fondamentali:

70

− la standardizzazione del processo produttivo, fornendo nel contempo un prodotto-servizio

vario, di buona qualità;

− la localizzazione e il confort dei punti di ristoro;

− il valore dell’insegna (branding), in quanto strumento di differenziazione dalla concorrenza

favorendo la fidelizzazione della clientela e innalzando di conseguenza il fatturato;

− la dimensione, tale da permettere di sostenere la spesa degli investimenti puntando alle

economie di scala in attività quali, ad esempio, di comunicazione e di maggiore controllo

sulla qualità dei prodotti acquistati e dei pasti venduti.

Prospettive

Nel breve periodo le imprese che operano nel settore continueranno ad investire nell’innovazione

di prodotto e di servizio, oltre che su nuove azioni di marketing, per fornire maggior valore aggiunto

a parità di prezzo.

Le politiche di sviluppo, inoltre, saranno affiancate da più rilevanti investimenti in promozione e

comunicazione che consentiranno un ulteriore sviluppo del mercato. Si svilupperanno

maggiormente format di ristorazione leggeri, grazie anche all’impiego del franchising.

71

PARTE 4 – LA QUALITA’ COME OBIETTIVO DI POLITICA AGRO-ALIMENTARE

17. Il sostegno alla qualità nel nuovo sviluppo rurale La riforma della PAC del 2003, nella parte che riguarda la politica di sviluppo rurale, si caratterizza

anche per l’introduzione di nuove aree di intervento attraverso l’aggiunta, alle precedenti misure

per lo sviluppo rurale, di ulteriori aree e di nuove modalità di intervento tutte riconducibili, sia pure a

vario titolo, sotto il comune denominatore della qualità dei prodotti alimentari, della sicurezza

alimentare e ambientale. Tali misure sono: rispetto e adeguamento alle norme e agli standard,

nuove misure a sostegno della qualità dei prodotti alimentari, nuove misure agro-ambientali e per il

benessere animale.

Questi nuovi strumenti sono certamente coerenti con le nuove preoccupazioni in tema di sicurezza

(alimentare, ambientale e del lavoro) di cittadini e consumatori, nonché delle nuove opportunità

commerciali offerte dai mercati alimentari a chi persegua una politica di differenziazione dei

prodotti, anche nel campo agro-alimentare.

Spetta alle Regioni decidere, nei nuovi Piani di Sviluppo Rurale per il periodo 2007-2013, come e

quanto dedicare in termini di risorse a queste misure.

17.1. L’adeguamento alle nuove norme

La prima area di possibile intervento è quella denominata “Rispetto delle norme” nell’articolo 1 del

reg. 1783/2003, destinata a divenire il Capo V bis del modificato regolamento 1257/1999, che

intende “aiutare gli agricoltori a conformarsi alle norme rigorose basate sulla legislazione

comunitaria in materia di ambiente, sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere

degli animali e sicurezza sul luogo di lavoro”.

Stando allo spirito e alla lettera del regolamento, le nuove misure previste hanno come obiettivi:

- favorire una più rapida applicazione delle rigorose norme comunitarie da parte degli Stati

membri;

- promuovere il rispetto delle norme da parte degli agricoltori ed il rapido adeguamento ad

esse;

- favorire l’adozione e l’utilizzo di servizi di consulenza aziendale (audit) da parte degli

agricoltori, sempre con la finalità ultima di aiutarli all’adeguamento più efficace, efficiente e

tempestivo possibile alle norme di cui sopra, riducendo al minimo i costi diretti ed indiretti di

tali adeguamenti.

Per il raggiungimento dei primi due obiettivi è previsto un aiuto, erogato annualmente, in rate

uguali, su base forfetaria e decrescente, pari ad un massimo di 10.000 euro per azienda. Il

72

sostegno può essere erogato per un massimo di cinque anni a partire da quando la norma diventa

obbligatoria a livello di Unione Europea; per poter essere ammissibile al sostegno la norma deve

imporre nuovi obblighi o limitazioni alla pratica agricola, che incidano sensibilmente sulle spese

ordinarie di gestione aziendale e che riguardano un numero significativo di agricoltori. Inoltre, per

le direttive la cui data limite di recepimento è stata superata o che non sono state correttamente

recepite dallo Stato membro, il sostegno può essere erogato per un periodo di massimo cinque

anni a decorrere dal 25 ottobre 2003; infine, l’aiuto non può essere erogato quando la mancata

applicazione delle norme sia dovuta al mancato rispetto da parte dell’agricoltore richiedente di

norme già trasposte nella normativa nazionale.

La natura della misura è senza dubbio fortemente innovativa e va nella direzione di aiutare

l’agricoltore a coprire spese, talvolta anche importanti, determinate dalla necessità di adeguarsi

alla sempre più cospicua e severa regolamentazione comunitaria in materie di pubblica sensibilità

come l’ambiente, la sanità e la salute di piante e animali.

17.2. La promozione degli alimenti di qualità

Sotto il titolo di “qualità alimentare” il nuovo CAPO VI bis del regolamento 1257/1999 come

modificato dal regolamento 1783/2003 sono raccolte alcune interessanti ed innovative misure volte

a sostenere metodi di produzione intesi a migliorare e promuovere la qualità dei prodotti

agroalimentari con i seguenti obiettivi dichiarati:

- “assicurare i consumatori della qualità del prodotto o del processo produttivo impiegato

mediante la partecipazione degli agricoltori a sistemi di qualità” certificati;

- aumentare il valore aggiunto dei prodotti agricoli di base associato e migliorare gli sbocchi

di mercato per gli stessi;

- “informare i consumatori circa la disponibilità e le specifiche” dei prodotti di qualità.

Ai fini di questo regolamento, per prodotti agroalimentari di qualità si intendono i prodotti tutelati da

DOP, IGP, STG, i prodotti biologici, i vini di qualità (DOC, DOCG).

L’intervento richiama la necessità di rispondere adeguatamente alle esigenze dei consumatori che

sempre di più domandano qualità nei prodotti agro-alimentari, ma nel contempo richiedono di

essere informati per poter effettuare consumi consapevoli.

Dall’altra esso risponde anche al fatto che la crescente domanda di prodotti agroalimentari di

qualità da parte dei consumatori rappresenta, per gli agricoltori come per tutto l’agroalimentare,

una nuova e interessante possibilità per aumentare la propria competitività attraverso una

adeguata strategia di differenziazione del prodotto. Tale strategia, se ben perseguita, può

apportare quote crescenti di valore aggiunto al settore agricolo senza nessuna forma di sostegno

diretto da parte dell’intervento pubblico ma semplicemente attraverso sani meccanismi di mercato.

I primi due obiettivi della nuova misura “Qualità alimentare” dovrebbero essere raggiunti attraverso

un sostegno agli agricoltori che partecipano volontariamente a sistemi di qualità comunitari o

73

nazionali (per questi ultimi si veda il capitolo successivo). Risulta quindi confermata la scelta di

continuare ad incentivare la diffusione dei prodotti certificati comunitari che fin dagli anni novanta

sono presenti nell’Unione Europea e che con il tempo sono diventati la carta di identità agricolo –

alimentare della Comunità.

Il terzo obiettivo, invece, viene raggiunto mediante il co-finanziamento dell’attività di informazione

dei consumatori e di promozione dei prodotti agro-alimentari di qualità. La nuova regolamentazione

prevede, a tal fine, la possibilità di un sostegno che può raggiungere la misura massima del 70%

dei costi ammissibili. Tali risorse possono essere messe a disposizione solo di “gruppi di

produttori”; il sostegno può comprendere attività di informazione, promozione e pubblicitarie.

Le due modalità di intervento possono ovviamente agire sia in modo disgiunto che congiunto, ma

entrambe possono offrire un contributo non trascurabile allo sviluppo di queste produzioni con la

possibilità di aumentare sia il benessere dei consumatori che quello dei produttori di prodotti di

qualità.

La seconda possibilità di intervento, in particolare, può contribuire a colmare il persistente gap di

informazioni e conoscenze dei consumatori circa i prodotti alimentari di qualità certificati secondo

schemi dell’Unione Europea. A questo proposito tutte le indagini svolte a livello sia nazionale che

UE, continuano a rilevare da un lato la scarsa conoscenza di queste certificazioni e dei loro reali

contenuti, e dall’altro continuano a evidenziare un interesse potenziale degli stessi consumatori

proprio verso prodotti che abbiano le caratteristiche di informazione, garanzia e qualità che questi

prodotti presentano.

Per questa ragione, specie in un Paese come l’Italia che tanto deve ai prodotti alimentari di qualità,

pare certamente importante cogliere tutte le opportunità per superare questa scarsità e

inadeguatezza informativa. A tale fine appare sicuramente importante ed opportuno che le regioni,

nell’ambito dei propri PSR, allochino risorse adeguate per questa misura che è nuova rispetto ai

PSR precedenti.

17.3. Il miglioramento del benessere degli animali

Come già accennato in precedenza, la qualità dei prodotti alimentari ha una natura decisamente

multiforme e complessa; in particolare tende a crescere nei consumatori la consapevolezza della

rilevanza delle scelte di consumo anche rispetto alle modalità produttive e agli effetti che questa

hanno sia sulla qualità dei prodotti in senso più stretto che sull’ambiente e sulla società in genere.

Per questa ragione, anche una misura di natura agro-ambientale come quella relativa al

miglioramento del benessere degli animali, introdotta come una nuova azione all’interno delle

misure agro-ambientali tradizionali può essere considerata utile anche in un’ottica di miglioramento

e valorizzazione della qualità dei prodotti alimentari.

La misura nuova prevede un aiuto pari ad un massimo di 500 euro/capo per impegni diretti a

migliorare il benessere degli animali, naturalmente solo per quelli che vadano oltre la normale

74

buona pratica zootecnica. L’azione è strutturata come le altre già previste nell’ambito delle misure

agro-ambientali, e prevede un impegno almeno quinquennale. Il premio per tale impegno

composto da una parte diretta a coprire i maggiori costi derivanti dall’impegno, un'altra per

compensare le perdite di reddito derivanti dall’impegno stesso e una componente di incentivo non

superiore al 20%. L’introduzione di quest’azione risponde in modo chiaro all’esigenza sempre più

sentita dai consumatori, e dai cittadini in genere, di tutelare adeguatamente non solo il benessere

dei consumatori ma anche quello degli animali. In tal senso, un prodotto che grazie anche alla

rintracciabilità possa essere identificato e qualificato anche sul piano del tipo di trattamento

riservato agli animali, potrebbe anche risultare più apprezzato dai clienti finali e maggiormente

competitivo. In questo senso, quindi, potrebbero verificarsi interessanti sinergie tra comportamenti

di tutela del benessere animale, rispetto delle norme in tema di sicurezza, ivi incluse le norme sulla

rintracciabilità, e interventi di valorizzazione e promozione delle produzioni agroalimentari di

qualità.

18. Le politiche nazionali a sostegno della qualità

18.1. I marchi nazionali di qualità Le misure per la “Qualità alimentare” introdotte nel nuovo sviluppo rurale prevedono anche la

possibilità per gli Stati membri di istituire sistemi di qualità riconosciuti a livello nazionale. A norma

del regolamento 1257/99 come modificato dal Reg. 1783/03, perché tali sistemi possano essere

riconosciuti essi debbono essere conformi ad alcuni requisiti :

- la specificità del prodotto finale ottenuto nell’ambito del sistema deve essere riconducibile

ad obblighi precisi circa i metodi di produzione; questi, inoltre, devono garantire

caratteristiche specifiche e una qualità del prodotto finale significativamente superiore alle

norme commerciali correnti in termini di salute pubblica, salute delle piante e degli animali,

benessere degli animali e tutela ambientale;

- i produttori devono esseri controllati da un organismo indipendente;

- i sistemi di qualità devono essere aperti a tutti i produttori;

- deve essere assicurata la massima trasparenza oltre che la tracciabilità completa dei

prodotti;

- i prodotti oggetto di queste certificazioni devono rispondere agli sbocchi di mercato attuali e

prevedibili.

Questa norma rappresenta certamente una sfida per gli Stati membri ma anche una grande

opportunità. Non è certamente semplice l’identificazione delle modalità più idonee per realizzare

forme di certificazione della qualità che siano interessanti per i consumatori finali, e quindi

suscettibili di valorizzazione sui mercati, e motivate oltre che gestibili sia dal punto di vista tecnico

che dell’efficacia.

75

Il sostegno economico previsto dal regolamento, prevede, come già nel caso dei prodotti con

certificazioni UE (DOP, IGP, ecc.) la possibilità di un incentivo annuale per un importo non

superiore a 3.000 euro per azienda e per un periodo non superiore a cinque anni, e il

cofinanziamento del 70% delle spese ammissibili per attività di informazione, promozione e

pubblicità di questi prodotti.

In particolare, questo tipo di marchio nazionale potrebbe essere utilmente adottato con riferimento

ai prodotti ottenuti con tecniche di Produzione Integrata.

Un approccio quale quello prefigurato in sede UNI, cui si è fatto cenno nei paragrafi precedenti,

potrebbe essere strettamente integrato con le forme di “certificazione di qualità nazionale” previste

dal nuovo sviluppo rurale, permettendo così alle imprese di avere un contributo per contenere i

costi iniziali delle certificazioni stesse, ma soprattutto alle organizzazioni di produttori di accedere

anche a importanti sostegni economici per azioni di comunicazione, promozione e pubblicità dei

prodotti certificati.

L’aspetto più rilevante, infatti, potrebbe essere proprio quello della possibilità di definizione anche

di un marchio che sia facilmente identificabile ma allo stesso tempo utilizzato perché “spendibile”

da parte delle imprese della commercializzazione, più ancora che della produzione agricola.

A questo proposito sarebbe veramente utile poter cogliere questa opportunità in particolare a

beneficio delle filiere del settore ortofrutticolo che negli ultimi anni hanno dovuto affrontare

problemi crescenti di competitività.

Questo stesso approccio potrebbe essere utilizzato anche per mettere ordine, da un lato, e dare

efficacia maggiore, dall’altro, ai marchi che identificano prodotti alimentari ottenuti nell’ambito di

Parchi e aree protette, nazionali o regionali. Questa nuova norma, infatti, permetterebbe la

definizione di un marchio nazionale “Prodotto nel Parco” che potrebbe essere utilizzato per tentare

di valorizzare, con maggiori probabilità di successo rispetto a quanto non avvenga ora, i prodotti

agro-alimentari ottenuti in un contesto produttivo di particolare pregio e di particolare salubrità.

D’altro canto, i tentativi di creazione ed uso di marchi di parchi, in quanto aventi dimensioni

“commerciali” molto limitate, sono molto difficili da promuovere. Un unico marchio nazionale, con la

possibilità di identificare, poi, nello specifico, ogni singolo parco in particolare, permetterebbe la

realizzazione di attività di informazione, promozione e pubblicità di portata decisamente diversa e

con maggiori possibilità di conoscenza prima e di successo poi, presso un ampio pubblico di

consumatori.

18.2. La complementarietà con le regioni per le attività di promozione Un ulteriore aspetto che sarebbe importante definire è quello della assicurazione della

complementarietà tra risorse destinate alla informazione, promozione e pubblicità di prodotti agro-

alimentari di qualità tra livello nazionale e livello regionale. Posto che vi sarebbe una grande

necessità di intervento in questo ambito, sarebbe tuttavia utile concordare, tra Ministero e Regioni,

76

una ripartizione di aree di intervento, ad esempio basandosi sulle dimensioni economiche dei

comparti interessati. Potrebbe così aver senso che le grandi DOP/IGP, avendo ormai una

rilevanza economica decisamente nazionale e una capacità organizzativa maggiore, potessero

trovare come referente il MIPAF, pur continuando ad accedere anche a risorse all’uopo disponibili

in sede UE. Le DOP-IGP più “piccole”, invece, potrebbero essere quelle oggetto di attenzione e

finanziamento a livello regionale nell’ambito dei nuovi Piani di Sviluppo Rurale.

Al livello nazionale, invece, continuerebbero a competere, come pure a quello europeo, anche le

funzioni di informazione e promozione generica e ad ombrello, in altri termini “istituzionale” su tutte

le forme di certificazione di qualità.

18.3. La tutela dei marchi di qualità a livello internazionale Uno dei temi di maggiore interesse per l’Italia e per l’intera Unione Europea in discussione in sede

WTO nell’ambito dell’attuale round di negoziati, il cosiddetto Doha Development Round è quello

della tutela in quella sede, delle indicazioni geografiche, cioè per i prodotti che nell’Unione Europea

sono protetti dalla Denominazione di Origine Protetta o dall’Indicazione Geografica Protetta.

Quando l’Unione Europea preparò, ormai diversi anni fa, il suo pacchetto di richieste per il quello

che sarebbe diventato l’attuale round di trattative, infatti, anche per l’azione importante dell’Italia fu

inserita la richiesta di giungere, finalmente, ad una chiara regolamentazione sul piano

internazionale, dell’uso dei nomi con indicazioni geografiche per i prodotti agroalimentari. Si tratta

cioè di ottenere un riconoscimento mondiale, e non solo europeo, che finalmente elimini la

possibilità per produttori di paesi del resto del mondo, di abusare delle denominazioni di prodotti

famosi italiani ed europei, anche se lo stesso criterio dovrebbe poi valere anche per altri prodotti di

altri paesi. Se ormai, non senza grandi fatiche e non senza un impegno continuo e numerosi

interventi anche sul piano legale europeo, dopo ben 12 anni dall’approvazione del regolamento

dell’UE, possiamo forse affermare che nell’UE i problemi dell’agropirateria possono dirsi

largamente ridotti, se non superati, è del tutto evidente che questi problemi sono ancora

assolutamente presenti, se non in aumento, nel resto del mondo (USA, Canada, Sud America,

ecc.). Per questa ragione è assolutamente vitale giungere a regolamentare a livello mondiale,

finalmente, superando numerose e grandi resistenze, l’uso di queste denominazioni: sono in gioco

i grandi mercati di numerosi paesi ricchi oltre che di importanti paesi emergenti.

E’ degno di nota, l’interesse crescente anche da parte di altri paesi, compresi molti in via di

sviluppo, alla logica delle indicazioni geografiche: ci si accorge sempre più, forse, che esse

possono essere uno strumento utile per la tutela di produzioni tradizionali che da un lato

potrebbero guadagnare importanti quote di mercato sul piano internazionale, e dall’altra

potrebbero essere oggetto di imitazioni con effetti negativi sia per i produttori che per i

consumatori. Su questo fronte è importante continuare a cercare alleati per questa battaglia

negoziale.

77

Allegato I

78

Elenco per comparto delle Dop e delle Igp italiane riconosciute ai sensi del Reg. CE 510/06 del 20

marzo 2006 (ex 2081/92 del 14 luglio 1992)

Denominazione prodotto Regione Classificazione Riferimento normativo (Regolamento CE)

Formaggi (31)1 Asiago Trentino Alto Adige e Veneto DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)2 Bitto Lombardia DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)3 Bra Piemonte DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)

4 Caciocavallo Silano Calabria, Basilicata, Campania, Molise e Puglia DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)

5 Canestrato Pugliese Puglia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)6 Casciotta d'Urbino Marche DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)7 Castelmagno Piemonte DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)8 Fiore Sardo Sardegna DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)9 Fontina Valle d'Aosta DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)

10 Formai de Mut Dell'Alta Valle Brembana Lombardia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)11 Gorgonzola Lombardia e Piemonte DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)

12 Grana Padano Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige e Veneto DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)

13 Montasio Friuli Venezia Giulia e Veneto DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)14 Monte Veronese Veneto DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)15 Mozzarella di Bufala Campana Campania e Lazio DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)16 Murazzano Piemonte DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)17 Parmigiano Reggiano Emilia Romagna e Lombardia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)18 Pecorino Romano Lazio, Sardegna e Toscana DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)19 Pecorino Sardo Sardegna DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)20 Pecorino Siciliano Sicilia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)21 Pecorino Toscano Toscana, Umbria e Lazio DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)

22 Provolone Valpadana Emilia Romagna, Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)

23 Quartirolo Lombardo Lombardia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)24 Ragusano Sicilia DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)25 Raschera Piemonte DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)26 Robiola di Roccaverano Piemonte DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)27 Spressa delle Giudicarie Trentino Alto Adige DOP Reg. CE n. 2275/2003 (GUCE L. 336 del 23.12.2003)28 Taleggio Lombardia, Piemonte e Veneto DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)29 Toma Piemontese Piemonte DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)30 Valle d'Aosta Fromadzo Valle d'Aosta DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)31 Valtellina Casera Lombardia DOP Reg. CE n. 1263/96 (GUCE L.163/96 del 02.07.1996)

Olive da tavola (2)32 La Bella della Daunia Puglia DOP Reg. CE n. 1904/00 (GUCE L.228/00 del 08.09.2000)33 Nocellara del Belice Sicilia DOP Reg. CE n. 134/98 (GUCE L.15/98 del 21.1.1998)

Prodotti a base di carne (28)

34 Bresaola della Valtellina Lombardia IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)

35 Capocollo di Calabria Calabria DOP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)36 Coppa Piacentina Emilia Romagna DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)37 Cotechino Modena Emilia Romagna, Lombardia e Veneto IGP Reg. CE n.590/99 (GUCE L. 74/99 del 19.03.1999)38 Culatello di Zibello Emilia Romagna DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)39 Lardo di Colonnata Toscana IGP Reg. CE n. 1568/2004 (GUCE L. 324 del 27.10.2004)

40 Mortadella BolognaEmilia Romagna, Lazio, Lombardia,

Marche, Piemonte Toscana, Trentino Alto Adige e Veneto

IGP Reg. CE n.1549/98 (GUCE del 17.07.1998)

41 Pancetta di Calabria Calabria DOP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)42 Pancetta Piacentina Emilia Romagna DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)43 Prosciutto di Carpegna Marche DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)44 Prosciutto di Modena Emilia Romagna DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)45 Prosciutto di Norcia Umbria IGP Reg. CE n.1065/97 (GUCE L. 156/97 del 13.06.1997)

46 Prosciutto di Parma Emilia Romagna DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)

47 Prosciutto di San Daniele Friuli Venezia Giulia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)48 Prosciutto di Veneto Berico-Euganeo Veneto DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)49 Prosciutto Toscano Toscana DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)50 Salame Brianza Lombardia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)51 Salame di Varzi Lombardia DOP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)52 Salame d'oca di Mortara Lombardia IGP Reg. CE n. 1165/2004 (GUCE L. 224 del 25.06.2004)53 Salame Piacentino Emilia Romagna DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)

Fonte: http://ec.europa.eu/agriculture/qual/it/it_it.htm (al 28/09/2006)

79

(Segue) Elenco per comparto delle Dop e delle Igp italiane riconosciute ai sensi del Reg. CE

510/06 del 20 marzo 2006 (ex 2081/92 del 14 luglio 1992)

Denominazione prodotto Regione Classificazione Riferimento normativo (Regolamento CE)

54 Salamini italiani alla cacciatora

Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche,

Molise, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto

DOP Reg. CE n. 1778/2001 (GUCE L. 240 del 08.09.01)

55 Salsiccia di Calabria Calabria DOP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)56 Soppressata di Calabria Calabria DOP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)57 Sopressa Vicentina Veneto DOP Reg. CE n. 492/2003 (GUCE L. 73 del 19.03.2'03)58 Speck dell Alto Adige, Sudtiroler Speck, Sudtiroler

Speck Trentino Alto Adige IGP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)59 Valle d’Aosta Jambon de Bosses Valle d'Aosta DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)60 Valle d’Aosta Lard d’Arnad Valle d'Aosta DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)

61 Zampone Modena Emilia Romagna, Lombardia e Veneto IGP Reg. CE n.590/99 (GUCE L. 74/99 del 19.03.1999)

Ortofrutticoli e cereali (45)62 Arancia rossa di Sicilia Sicilia IGP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)63 Asparago bianco di Cimadolmo Veneto IGP Reg.CE n. 245/2002 (GUCE L. 39 del 09.02.2002)64 Asparago verde di Altedo Emilia Romagna IGP Reg. CE n. 492/2003 (GUCE L. 73 del 19.03.2003)65 Basilico Genovese Liguria Dop Reg. CE n. 1623/2005 (GUCE L n. 259 del 5.10.2005)66 Cappero di Pantelleria Sicilia IGP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)67 Carciofo di Paestum Campania IGP Reg. CE n. 465/2003 (GUCE L. 77 del 13.03.2004)68 Carciofo Romanesco del Lazio Lazio IGP Reg. CE n. 2066/2002 (GUCE L. 218 del 22.11.2002)69 Castagna del Monte Amiata Toscana DOP Reg. CE 1904/200 (GUCE L. 228/57 del 08.09.2000)70 Castagna di Montella Campania IGP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)71 Ciliega di Marostica Veneto IGP Reg. CE n. 245/2002 (GUCE L. 39 del 09.02.2002)72 Clementine del Golfo di Taranto Puglia IGP Reg. CE n. 1665/2003 (GUCE L. 235 del 23.09.2003)73 Clementine di Calabria Calabria IGP Reg. CE n.2325/97 (GUCE L.322 /97 del 25.11.1997)74 Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese Veneto IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)75 Fagiolo di Sarconi Basilicata IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)76 Fagiolo di Sorana Toscana IGP Reg. CE n. 1018/2002 (GUCE L. 155 del 14.06.2002)77 Farina di Neccio della Garfagnana Toscana DOP Reg. CE n. 465/2003 (GUCE L. 77 del 13.03.2004)78 Farro della Garfagnana Toscana IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)79 Fico bianco del Cilento Campania DOP Reg. CE n.417/06 (GUCE L. 72/8 del 11.03.2006)80 Ficodindia dell'Etna Sicilia DOP Reg. CE n. 1491/2003 (GUCE L. 214/6 del 26.08.2003)81 Fungo di Borgotaro Emilia Romagna e Toscana IGP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)82 Kiwi Latina Lazio IGP Reg. CE n. 1486/2004 (GUCE L. 273 del 21.08.2004)83 Lenticchia di Castelluccio di Norcia Umbria IGP Reg. CE n.1065/97 (GUCE L. 156/97 del 13.06.1997)84 Limone Costa d'Amalfi Campania IGP Reg. CE n. 1356/2001 (GUCE L. 182 del 05.07.2001)85 Limone di Sorrento Campania IGP Reg. CE 2446/00 (GUCE L. 281/01 del 07.11.2000)86 Marrone del Mugello Toscana IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)87 Marrone di Castel del Rio Emilia Romagna IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)88 Marrone di San Zeno Veneto DOP Reg. CE n. 1979/2003 (GUCE L. 294 del 12.11.2003)89 Mela Alto Adige/Südtiroler Apfel Provincia autonoma di Bolzano IGP Reg. CE n. 1855/2005 (GUCE L. 297 del 15.11.2005)90 Mela Val di Non Trentino Alto Adige IGP Reg. CE n. 1665/2003 (GUCE L. 235 del 23.09.2003)91 Melannurca Campana Campania IGP Reg. CE n. 417/2006 (GUCE n. L 72 del 11.3 2006)92 Nocciola del Piemonte Piemonte IGP Reg. CE n.1107/96 (GUCE L. 148/96 del 21.06.1996)93 Nocciola di Giffoni Campania IGP Reg. CE n.2325/97 (GUCE L.322 /97 del 25.11.1997)94 Oliva Ascolana del Piceno Marche DOP Reg. CE n. 1855/2005 (GUCE L. 297 del 15.11.2005)95 Peperone di Senise Basilicata IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)96 Pera dell'Emilia Romagna Emilia Romagna IGP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)97 Pera mantovana Lombardia IGP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)98 Pesca e nettarina di Romagna Emilia Romagna IGP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)99 Pomodoro di Pachino Sicilia IGP Reg. CE n. 617/2003 (GUCE L. 89 del 05.04.2003)

100 Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino Campania DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)

101 Radicchio rosso di Treviso Veneto IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)102 Radicchio variegato di Castelfranco Veneto IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)103 Riso Nano Vialone Veronese Veneto IGP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)104 Scalogno di Romagna Emilia Romagna IGP Reg. CE n.2325/97 (GUCE L. 322/97 del 25.11.1997)105 Uva da tavola di Canicattì Sicilia IGP Reg. CE n.2325/97 (GUCE L.322 /97 del 25.11.1997)106 Uva da tavola di Mazzarrone Sicilia IGP Reg. CE n. 617/2003 (GUCE L. 89 del 05.04.2003)

Fonte: http://ec.europa.eu/agriculture/qual/it/it_it.htm (al 28/09/2006)

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(Segue) Elenco per comparto delle Dop e delle Igp italiane riconosciute ai sensi del Reg. CE

510/06 del 20 marzo 2006 (ex 2081/92 del 14 luglio 1992)

Denominazione prodotto Regione Classificazione Riferimento normativo (Regolamento CE)

Carne fresca (e frattaglie) (2)107 Agnello di Sardegna Sardegna IGP Reg. CE n. 138/01 (GUCE L. 23 del 25.01.2001)

108 Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale a, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Molise, IGP Reg. CE n.134/98 (GUCE L. 15/98 del 21.01.1998)

Prodotti della panetteria, della pasticceria, della confetteria e della biscotteria (3)109 Coppia Ferrarese Emilia Romagna IGP Reg.CE n.2036/2001 (GUCE L. 275 del 18.10.01)110 Pane casareccio di Genzano Lazio IGP Reg. CE n.2325/97 (GUCE L.322 /97 del 25.11.1997)111 Pane di Altamura Puglia DOP Reg. CE n. 1291/2003 (GUCE L. 181 del 19.07.2003)

Altri prodotti di origine animale (uova, miele, lattiero-caseari di vario tipo, escluso il burro, ecc.) (2)112 Miele della Lunigiana Toscana DOP Reg. CE n. 1845/2004 (GUCE L. 322 del 23.10.2005)113 Ricotta Romana Lazio DOP Reg. CE n. 737/2005 (GUCE L. 122 del 14.05.2005)

Oli e grassi / Olio di oliva (37)114 Alto Crotonese Calabria DOP Reg. CE n.1257/2003 (GUCE L 177/3 del 16/07/2003)115 Aprutino Pescarese Abruzzo DOP Reg. CE n.1263/96 (GUCE L. 163/96 del 02.07.1996)116 Brisighella Emilia Romagna DOP Reg. CE n. 1263/96 (GUCE L163/96 del 2.7.1996)117 Bruzio Calabria DOP Reg. CE n. 1065/97 (GUCE L 156/97 del 13.6.1997)118 Canino Lazio DOP Reg. CE n. 1263/96 (GUCE L163/96 del 2.7.1996)119 Cartoceto Marche DOP Reg. CE n.1897/2004 (GUCE L.328/65 IT del 30.10.2004)120 Chianti Classico Toscana DOP Reg. CE n. 2446/00 (GUCE L281/00 del 7.11.2000)121 Cilento Campania DOP Reg.CE n. 1065/97 (GUCE L 156/97 del 13.6.1997)122 Collina di Brindisi Puglia DOP Reg. CE n. 1263/96 (GUCE L163/96 del 2.7.1996)123 Colline di Romagna Emilia Romagna DOP Reg. CE n. 1491/2003 (GUCE L 214/6 del 26.8.03)124 Colline Salernitane Campania DOP Reg. CE n. 1065/97 (GUCE L 156/97 del 13.6.1997)125 Colline Teatine Abruzzo DOP Reg. CE n.1065/97 (GUCE L. 156/97 del 13.06.1997)126 Dauno Puglia DOP Reg. CE n. 2325/97 (GUCE L322/97 del 25.11.1997)

127 Garda Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto DOP Reg. CE n. 2325/97 (GUCE L.322/97 del 25.11.1997)

128 Laghi Lombardi Lombardia DOP Reg.CE n. 2325/97 (GUCE L322/97 del 25.11.1997)129 Lametia Calabria DOP Reg. CE n. 2107/99 (GUCE L 258 del 5.11.1999)130 Lucca Toscana DOP Reg. CE n. 1845/2004 ( GUCE L322/14 IT del 23.10.2004)131 Molise Molise DOP Reg. CE n. 1257/2003 (GUCE L 177/3 del 16/07/2003)132 Monte Etna Sicilia DOP Reg. CE n. 1491/03 (GUCE L 214/6 del 26.08.2003)133 Monti Iblei Sicilia DOP Reg. CE n. 2325/97 (GUCE L 322/97 del 25.11.1997)134 Penisola Sorrentina Campania DOP Reg. CE n. 1065/97 (GUCE L 156/97 del 13.6.1997)135 Pretuziano delle Colline Teramane Abruzzo DOP Reg. CE n. 1491/2003 (GUCE L 214/6 del 26.8.03)136 Riviera Ligure Liguria DOP Reg.CE n. 123/97 (GUCE L22/97 del 24.1.1997) 137 Sabina Lazio DOP Reg. CE n. 1263/96 (GUCE L163/96 del 2.7.1996)138 Tergeste Friuli Venezia Giulia DOP Reg. CE n. 1845/2004 (GUCE L 322/14 del 23.10.2004)139 Terra di Bari Puglia DOP Reg. CE n. 2325/97 (GUCE L322/97 del 25.11.1997)140 Terra d'Otranto Puglia DOP Reg. CE n. 1065/97 (GUCE L 156/97 del 13.6.1997)141 Terre di Siena Toscana DOP Reg. CE n. 2446/00 (GUCE L 281 del 7.11.2000)142 Terre Tarantine Puglia DOP Reg. CE n. 1898/2004 (GUCE L328/66 IT del 30.10.2004)143 Toscano Toscana IGP Reg. CE n. 644/98 (GUCE n. L87 del 21.3.1998)144 Tuscia Lazio DOP Reg. CE n. 1623/2005 (GUCE L n. 259 del 5.10.2005)145 Umbria Umbria DOP Reg. CE n. 2325/97 (GUCE L322/97 del 25.11.1997)146 Valdemone Sicilia DOP Reg. CE 205/2005 (GUCE L 33/6 del 05.02.2005)147 Val di Mazara Sicilia DOP Reg. CE n. 128/01 (GUCE L 23 del 25.1.2001)148 Valle del Belice Sicilia DOP Reg. CE 1486/2004 (GUCE L 273/9 del 21.08.2004)149 Valli Trapanesi Sicilia DOP Reg. CE n. 2325/97 (GUCE L322/97 del 2.7.1997)

150 "Veneto Valpolicella", "Veneto Euganei e Berici", "Veneto del Grappa" Veneto DOP Reg. CE 2036/01 (GUCE 275/9 del 18.10.01)

Prodotti non alimentari e di altro tipo (3)151 Aceto balsamico tradizionale di Modena Emilia Romagna DOP Reg. CE n. 813/2000 (GUCE L. 100/5 del 20.04.2000)152 Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia Emilia Romagna DOP Reg. CE n. 813/2000 (GUCE L. 100/5 del 20.04.2000)153 Bergamotto di Reggio Calabria Calabria DOP Reg. CE n. 509/01 (GUCE L. 76 del 16.03.2001)

Altri prodotti dell'allegato I (spezie, …) (2)154 Zafferano dell' Aquila Abruzzo DOP Reg. CE n. 205/2005 (GUCE L. 33 del 05.02.2005)155 Zafferano di San Gimignano Toscana DOP Reg. CE n. 205/2005 (GUCE L. 33 del 05.02.2005)

Fonte: http://ec.europa.eu/agriculture/qual/it/it_it.htm (al 28/09/2006)

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Elenco dei prodotti trasmessi a Bruxelles

Denominazione prodotto Regione Classificazione N. fascicolo e data invio a Bruxelles

1 Fior di latte Appennino Meridionale Campania DOP (prot. trans) 7/99 - 31/07/20012 Stelvio o Stilfser Prov. Aut. Di Bolzano DOP (prot. trans) 5/2002 - 26/09/20023 Salame Cremona Lombardia IGP (prot. trans) 10/2002 - 4/12/20024 Carota dell'Altopiano del Fucino Abruzzo IGP 13/2002 - 31/12/20025 Pecorino di Filiano Basilicata DOP 1/2003 - 11/02/20036 Peperone di Carmagnola Piemonte IGP 3/2003 - 28/02/20037 Sardegna Sardegna DOP 4/2003 - 10/03/20038 Castagna di Vallerano Lazio IGP (prot. trans) 5/2003 - 20/03/20039 Radicchio di Verona Veneto Veneto IGP (prot. trans) 6/2003 - 20/03/2003

10 Albococca Vesuviana Campania IGP (prot. trans) 7/2003 - 28/03/200311 Abbacchio Romano Lazio IGP (prot. trans) 9/2003 - 8/05/200312 S. Andrea Piemonte Piemonte DOP (prot. trans) 10/2003 - 19/05/200313 Limone Femminello del Gargano Puglia IGP 12/2003 - 26/05/200314 Arancia Bionda del Gargano Puglia IGP 13/2003 - 26/05/200315 Radicchio di Chioggia Veneto IGP 15/2003 - 29/07/200316 Piave Veneto DOP 16/2003 - 29/07/200317 Pistacchio Verde di Bronte Sicilia DOP 17/2003 - 30/07/200318 Salame Sant'Angelo Sicilia IGP 19/2003 - 4/12/200319 Aglio Bianco di Monticelli Emilia Romagna DOP (prot. trans) 20/2003 - 4/12/200320 Riso di Baraggia Biellese e Vercellese Piemonte IGP 1/2004 - 19,20/2/200421 Asparago Bianco di Bassano Veneto DOP (prot. trans) 2/2004 - 5/03/200422 Marone del Trentino Prov. Aut. Di Trento IGP 3/2004 - 10/03/200423 Castagna Cuneo Piemonte IGP 4/2004 - 31/03/200424 Casatella Trevigiana Veneto DOP 6/2004 - 19/05/200425 Patata di Bologna Emilia Romagna DOP (prot. trans) 7/2004 - 31/05/200426 Acciughe sotto sale del Mar Ligure Liguria IGP 9/2004 - 23/07/200427 Marche Marche DOP 10/2004 - 26/07/200428 Tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino Piemonte DOP 11/2004 - 29/07/200429 Sannio Caudino Telesino Campania DOP 12/2004 - 3/09/200430 Colline Beneventane Campania DOP 13/2004 - 3/09/200431 Cipolla Rossa di Tropea-Calabria Calabria IGP 14/2004 - 6/09/200432 Pane di Matera Basilicata IGP 15/2004 - 20/09/200433 Fragola Cuneo Piemonte IGP 16/2004 - 23/09/200434 Mela Rossa di Cuneo Piemonte IGP 17/2004 - 23/09/200435 Piccoli Frutti Cuneo Piemonte IGP 18/2004 - 23/09/200436 Castagna Reatina Lazio IGP 19/2004 - 1/10/200437 Caseus Romae Lazio DOP 20/2004 - 11/10/200438 Amarene brusche di Modena Emilia Romagna DOP 21/2004 - 9/11/200439 Marchesato di Crotone Calabria DOP 22/2004 - 15/11/200440 Insalata di Lusia Veneto IGP 23/2004 - 15/11/200441 Riso del Delta del Po Veneto IGP 24/2004 - 15/11/200442 Aceto Balsamico di Modena Emilia Romagna IGP 25/2004 - 16/11/200443 Zafferano delle Colline Fiorentine Toscana DOP 26/2004 - 17/11/200444 Marrone di Rocca Daspide Campania IGP 27/2004 - 13/12/200445 Salame di Napoli Campania DOP 28/2004 - 22/12/200446 Vulture Basilicata DOP 1/2005 - 9/03/200547 Cipollotto Nocerino Campania DOP 2/2005 - 10/03/200548 Marrone di Caprese Michelangelo Toscana DOP 3/2005 - 11/04/200549 Provolone del Monaco Campania DOP 4/2005 - 19/04/200550 Sedano Bianco di Sperlonga Lazio IGP 5/2005 - 6/07/200551 Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco Basilicata IGP 6/2005 - 18/07/2005

52 Gran Suino PadanoPiemonte, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Fruili Venezia Giulia, Veneto, Marche, Lazio, Molise, Umbria e Abruzzo

DOP 7/2005 - 4/08/2005

53 Crudo di Cuneo Piemonte DOP 8/2005 - 5/09/200554 Suino Cinto Toscano Toscana DOP 9/2005 - 5/09/200555 Asparago di Badoere Veneto IGP 10/2005 - 20/09/200556 Irpinia-Colline dell'Ufita Campania DOP 11/2005 - 23/09/200557 Colline Pontine Lazio DOP 12/2005 - 27/09/200558 Limone di Siracusa Sicilia IGP 13/2005 - 10/10/200559 Colli Nisseni Sicilia DOP 14/2005 - 27/10/200560 Soratte Lazio DOP 15/2005 - 7/11/200561 Colline Ennesi Sicilia DOP 16/2005 - 11/11/200562 Prosciutto di Sauris Friuli Venezia Giulia IGP 17/2005 - 30/11/200563 Salame Piemonte Piemonte DOP 1/2006 - 1/01/200664 Carota Novella di Ispica Sicilia IGP 2/2006 - 25/01/200665 Formaggella del Luinese Lombardia DOP 3/2006 - 15/02/200666 Farina di castagne della Lunigiana Toscana DOP 4/2006 - 22/02/200667 Antico Cioccolato Artigianale STG 1/2004 - 10/12/200468 Pizza napoletana STG 1/2005 - 8/02/200569 Gallo Ruspante STG 03/08/2000