Oscar Romero, Omelia del 23 Marzo 1980 - Parrocchiamilanino.it

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www.parrocchiamilanino.it - La Scossa in Vetrina” - gennaio 2011 1 OSCAR ROMERO “Se mi uccidono risusciterò nel popolo di El Salvador” Oscar Arnulfo Romero temeva la morte e non si sentiva un eroe. Arcivescovo della capitale di El Salvador al tempo in cui il piccolo stato centroamericano era lacerato dalla guerra civile, nel suo ultimo passaggio a Roma (gennaio 1980) confidò al cardinale Moreira Neves che sarebbe stato ucciso presto, anche se non sapeva se dalla Destra o dalla Sinistra; ma non chiese un posto in Vaticano per salvarsi e tornò alla sua diocesi di San Salvador. Un mese prima del suo assassinio scriveva: Ho paura per la violenza verso la mia persona. Sono stato avvertito di serie minacce. Temo per la debolezza della carne ma chiedo al Signore che mi dia serenità e perseveranza… Gesù Cristo assistette i martiri e, se necessario, lo sentirò più vicino nell’affidargli il mio ultimo respiro. Ma più prezioso che il momento di morire è affidargli tutta la vita, vivere per Lui”. Le sue omelie terminavano con i “Fatti della settimana”: un dettagliato resoconto (con nomi e cognomi di vittime e persecutori) di terribili omicidi, torture e violenze di ogni genere nei confronti del popolo e degli operatori della Chiesa che ne prendevano le difese. Il 23 marzo, di fronte all’orrore di decine di morti innocenti, saccheggi e soprusi di “una settimana tremendamente tragica” pronunciò le parole che gli valsero la condanna a morte da parte di chi da esse sentiva minacciato il proprio potere. Oscar Romero è stato ucciso sull’altare, durante la Consacrazione, mentre celebrava la Messa nella cappella dell’ospedale il 24 marzo del 1980. Poco prima, nell’omelia aveva pronunciato queste parole: Chi si consegna, per amore verso Cristo, agli altri, questi vivrà come il seme di grano che muore, però che muore solo apparentemente. Se non morisse resterebbe solo. Se il raccolto si da invece perché il seme muore, allora il seme si lascia immolare su questa terra, perché solo così produce il raccolto. Vinta la morte i figli di Dio resusciteranno in Cristo. Tutto lo sforzo per migliorare una società, soprattutto quando è sprofondata nell’ingiustizia e nel peccato, è uno sforzo che Dio benedice, vuole, esige. Vale la pena lavorare affinché tutte queste aspirazioni di giustizia, di pace e di bene che abbiamo ora su questa terra, li possiamo formare nell’illuminazione di una speranza cristiana. Questa Eucaristia è precisamente un atto di fede: con

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OSCAR ROMERO

“Se mi uccidono risusciterò nel popolo di El Salvador”

Oscar Arnulfo Romero temeva la morte e non si sentiva un eroe. Arcivescovo della capitale di El Salvador al tempo in cui il piccolo stato centroamericano era lacerato dalla guerra civile, nel suo ultimo passaggio a Roma (gennaio 1980) confidò al cardinale Moreira Neves che sarebbe stato ucciso presto, anche se non sapeva se dalla Destra o dalla Sinistra; ma non chiese un posto in Vaticano per salvarsi e tornò alla sua diocesi di San Salvador. Un mese prima del suo assassinio scriveva: “Ho paura per la violenza verso la mia persona. Sono stato avvertito di serie minacce. Temo per la debolezza della carne ma chiedo al Signore che mi dia serenità e perseveranza… Gesù Cristo assistette i martiri e, se necessario, lo sentirò più vicino nell’affidargli il mio ultimo respiro. Ma più prezioso che il momento di morire è affidargli tutta la vita, vivere per Lui”. Le sue omelie terminavano con i “Fatti della settimana”: un dettagliato resoconto (con nomi e cognomi di vittime e persecutori) di terribili omicidi, torture e violenze di ogni genere nei confronti del popolo e degli operatori della Chiesa che ne prendevano le difese. Il 23 marzo, di fronte all’orrore di decine di morti innocenti, saccheggi e soprusi di “una settimana tremendamente tragica” pronunciò le parole che gli valsero la condanna a morte da parte di chi da esse sentiva minacciato il proprio potere. Oscar Romero è stato ucciso sull’altare, durante la Consacrazione, mentre celebrava la Messa nella cappella dell’ospedale il 24 marzo del 1980. Poco prima, nell’omelia aveva pronunciato queste parole: “Chi si consegna, per amore verso Cristo, agli altri, questi vivrà come il seme di grano che muore, però che muore solo apparentemente. Se non morisse resterebbe solo. Se il raccolto si da invece perché il seme muore, allora il seme si lascia immolare su questa terra, perché solo così produce il raccolto. Vinta la morte i figli di Dio resusciteranno in Cristo. Tutto lo sforzo per migliorare una società, soprattutto quando è sprofondata nell’ingiustizia e nel peccato, è uno sforzo che Dio benedice, vuole, esige. Vale la pena lavorare affinché tutte queste aspirazioni di giustizia, di pace e di bene che abbiamo ora su questa terra, li possiamo formare nell’illuminazione di una speranza cristiana. Questa Eucaristia è precisamente un atto di fede: con

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fede cristiana pare che in questo momento la voce di diatriba si converta nel corpo del Signore che si è offerto per la redenzione del mondo e che in questo calice il vino si trasforma nel calice che fu il prezzo della salvezza. Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini ci alimenti anche per offrire il nostro corpo e il nostro sangue alla sofferenza e al dolore, come Cristo, non per noi stessi, ma per dare un messaggio di giustizia e di pace al nostro popolo.”. Aveva memorizzato e interiorizzato i documenti di Papa Paolo VI il cui magistero era decisivo per lui. Nel 1977 scriveva: “Alcuni tendono a radicalizzarsi e a far uso della violenza come risposta, il che la Chiesa non può accettare e condanna… Ci preoccupa pure la durezza di cuore di quelli che potrebbero fare qualcosa di più per la tremenda miseria del nostro popolo… I nostri appelli alla non violenza e a una vita e giustizia cristiane basate sul Vangelo e sul magistero della Chiesa sono attaccati pubblicamente e anonimamente da chi si sente colpito. Ci consola pensare che la nostra attività è conforme al Vangelo e a quanto la Chiesa universale ha proclamato…”. Romero era un uomo semplice, gli piaceva guardare i cartoni animati in TV. Ma aveva la semplicità e la chiarezza di Gesù. Si occupava dei poveri e degli oppressi perché aveva letto il Vangelo. Era critico contro le violenze di destra e di sinistra convinto che al di sopra delle tragedie, del sangue e della violenza, c’è una parola di fede e di speranza che ci dice: “C’è una via d’uscita… Noi cristiani possediamo una forza unica”. È venerato dagli anglicani. A Westminster, sul frontone della cattedrale, c’è una sua statua, accanto a quella di Martin Luther King. Fu proposto al Nobel per la Pace nel 1979 (quell’anno il premio andò a Madre Teresa di Calcutta). Nel 1983, in visita in El Salvador, Papa Wojtyla, contro la volontà del Governo fece deviare il percorso dell’auto che lo portava e si impose per lasciare il corteo ed andare a pregare sulla tomba di Romero. Davanti alla Cattedrale il Papa attese 10 minuti prima che qualcuno arrivasse con le chiavi. Nel 2000 Giovanni Paolo II alla celebrazione dei nuovi martiri al Colosseo lo citò dicendo “Pastori zelanti come l’indimenticabile arcivescovo Oscar Romero, assassinato sull’altare durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico”. Nel 2010 il parlamento di El Salvador ha decretato il 24 marzo “Giorno di mons. Oscar Arnulfo Romero”. Il mandante dell’omicidio è stato individuato nel leader dell’estremismo di Destra. I quattro sicari sull’auto da cui venne sparato il colpo di fucile letale non sono ancora noti. In occasione dei “Dialoghi di Pace 2011” (vedi relativa sezione su www.parrocchiamilanino.it LA SCOSSA IN VETRINA) sono stati letti stralci della sua più celebre omelia: quella pronunciata nella Cattedrale di San Salvador il 23 marzo 1980. Di questa è facile trovare l’appello finale. Più difficile è averne l’intero testo, lo proponiamo nella traduzione di Donata Marocchi, pubblicata in Oscar Romero Il mio sangue per la libertà di El Salvador Le omelie dell’Arcivescovo Eurostudio, Milano, 1980 Disponibile presso il Centro di Documentazione San Fedele dei Gesuiti di Milano Piazza San Fedele 4 - 20121 Milano Le evidenziature sono una sorta di personale lettura per vivacizzare graficamente la pagina e dire al lettore sconosciuto: “queste parole mi hanno colpito, mi dicono qualcosa di te e di me”…

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In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, vi ordino: non uccidete! Soldati, gettate le armi...

Chi ti ricorda ancora,

fratello Romero? Ucciso infinite volte

dal loro piombo e dal nostro silenzio.

Ucciso per tutti gli uccisi; neppure uomo,

sacerdozio che tutte le vittime riassumi e consacri.

Ucciso perché fatto popolo:

ucciso perché facevi cascare le braccia ai poveri armati,

più poveri degli stessi uccisi: per questo ancora e sempre ucciso.

Romero, tu sarai sempre ucciso,

e mai ci sarà un Etiope che supplichi qualcuno

ad avere pietà.

Non ci sarà un potente, mai, che abbia pietà

di queste turbe, Signore? nessuno che non venga ucciso?

Sarà sempre così, Signore?

David Maria Turoldo

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IL MIO SANGUE PER LA LIBERTÀ DI EL SALVADOR Omelia della 5a domenica di Quaresima, 23 marzo 1980 Condividono con noi questa celebrazione della parola di Dio e dell’Eucarestia i nostri fratelli che compongono una missione ecumenica che visita El Salvador in questi giorni per rendersi conto della nostra situazione riguardo ai diritti dell’uomo. Sentiamo in essi la solidarietà del Nord America nella sua componente cristiana e così comprendiamo come il Vangelo possa illuminare le diverse forme di società. A loro la nostra gratitudine e che questi giorni che passano fra di noi siano sommamente benefici per riaffermare il comune impegno cristiano. Vediamo che il nostro sforzo è compreso ed appoggiato da tutti coloro che si illuminano veramente con la luce del vangelo. Vogliamo salutare, inoltre, i radioascoltatori di YSAX che per tanto tempo hanno atteso questo momento che, grazie a Dio, è arrivato. La radio funziona di nuovo, anche se non ignoriamo il rischio che corre la nostra povera emittente per essere strumento e veicolo della verità e della giustizia. Ma sappiamo che bisogna correre rischi perché dietro a questo rischio c’e tutto un popolo che appoggia la parola di verità e di giustizia. Mi fa felice contare anche, questa mattina, sulla collaborazione di Radio Noticias del Continente che sta portando, dalla nostra emittente, come le domeniche passate, la nostra voce all’America Latina. È con noi il giornalista Demetrio Olaziregui, che ci ha raccontato di una bomba che è scoppiata nello studio radio di quella emittente in Costa Rica. Si trattava di varie cariche di dinamite che hanno distrutto il muro di un edificio di due piani e tutti i vetri. La radio è stata in silenzio per un po’, ma poi ha ripreso a funzionare ed ora sta fornendoci questo meraviglioso servizio. Il giornalista ci dice che l’omelia continuerà ad essere trasmessa e che ci sono domande di collegamento dal Venezuela, dalla Columbia ed anche dal Brasile. Quella emittente ha ricevuto centinaia di lettere che confermano che si sente benissimo quest’onda in Honduras, in Nicaragua e in molte altre parti. È dunque per rendere grazie a Dio che il messaggio, che non vuole essere altro che un modesto riflesso della parola divina, trova canali meravigliosi per propagarsi ed arrivare a molti uomini e dire loro che questa Quaresima è una preparazione per la nostra Pasqua. Già di per sé la Pasqua è grido di vittoria, e niente può spegnere quella vita che Cristo resuscitò: né la morte, né tutti i segni di odio contro di Lui, né contro la sua Chiesa potranno vincere. Così come Cristo fiorirà in una Pasqua di Risurrezione, è necessario accompagnarlo in questa Quaresima, in una Settimana Santa che è croce, sacrificio,martirio. Come Egli diceva: “Fortunati quelli che non si scandalizzano della loro croce!” La Quaresima è dunque un richiamo a celebrare la nostra redenzione in questo difficile insieme di croce e di vittoria. Il nostro popolo ha ora molte possibilità, tutto ci parla di croce; ma coloro che hanno fede e speranza cristiana sanno che dietro a questo calvario di El Salvador c’è la Pasqua, la resurrezione. È questa la speranza del popolo cristiano. Ho cercato durante queste domeniche di Quaresima di scoprire nella rivelazione divina, nella Parola che si legge alla messa, il progetto di Dio per salvare i popoli e gli uomini; per cui oggi, nel momento in cui si presentano diversi progetti storici per il nostro popolo, possiamo assicurare che conseguirà la vittoria quello che meglio rispecchia il progetto di Dio. Questa è la missione della Chiesa. Alla luce della Parola che rivela il progetto di Dio per la felicità dei popoli abbiamo il dovere, cari fratelli, di indagare anche la realtà, vedere come si rispecchia fra noi, oppure come viene disprezzato fra noi il progetto di Dio. Nessuno se ne abbia a male se alla luce delle parole divine che vengono lette durante la nostra messa illuminiamo le realtà sociali, politiche, economiche; se non facessimo così, non ci sarebbe cristianesimo per noi. Cristo ha voluto incarnarsi perché questa luce che Egli Trae dal Padre si faccia vita per uomini e popoli. So che ci sono molti che si scandalizzano per queste parole e mi accusano di aver abbandonato la predicazione del vangelo per occuparmi di politica. Non accetto questa accusa, anzi faccio uno sforzo affinché quello che il Concilio Vaticano II, le Conferenze di Medellin e di Puebla hanno voluto insegnarci non rimanga solo negli scritti, non venga studiato solo in teoria, ma lo viviamo e

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lo riportiamo nella nostra conflittuale realtà. Perciò ho chiesto al Signore, durante tutta la settimana, mentre recepivo il clamore del popolo ed il dolore per così gravi crimini, per l’ignominia di tanta violenza, di concedermi la parola giusta per consolare, per denunciare, per chiamare al pentimento. Benché continui ad essere una voce che implora nel deserto, la Chiesa prosegue lo sforzo per compiere la sua missione. Durante le domeniche di Quaresima abbiamo dunque visto questo programma di Dio che si potrebbe sintetizzare così: Non c’è peccato che non possa essere perdonato, non c’è inimicizia che non si possa riconciliare quando c’è conversione e ritorno sincero al Signore. Questa è la voce della Quaresima! Alla luce delle parole divine di oggi presenterò questa riflessione con questo titolo: La Chiesa è un servizio di liberazione personale, comunitaria, trascendente. Questi tre aggettivi caratterizzano i tre pensieri dell’omelia di oggi:

1) La dignità della persona è la prima che si deve salvaguardare. 2) Dio vuole salvare tutto il popolo 3) La trascendenza dà alla liberazione la sua dimensione vera e definitiva.

Non c’è immagine più bella di quella di Gesù che salva la dignità umana quando ha davanti a sé l’adultera, umiliata perché è stata scoperta in flagrante adulterio. Vogliono sia lapidata. E Gesù, dopo aver rinfacciato, senza dire parola, il peccato dei giudici, chiede alla donna: “Nessuno ti ha condannata?” “ Nessuno, Signore” “Nemmeno io ti condannerò, ma non peccare più”. Fortezza e tenerezza. La dignità umana prima di tutto. Era un problema legale ai tempi di Gesù. Nel Deuteronomio qualsiasi donna sorpresa in adulterio doveva morire e se c’era la possibilità di discutere il tipo di morte discutevano i farisei e i saggi: “lapidazione o strangolamento?” Ed a questo si riferisce la domanda: “Questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio, la nostra legge dice che deve morire, tu che cosa dici? Secondo le disposizioni attuali, come dobbiamo ucciderla?” A Gesù non interessavano i dettagli legali. La grande risposta della sua sapienza è stata: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Ha toccato le coscienze. Erano i testimoni, secondo le leggi antiche, quelli che dovevano tirare la prima pietra. Ma i testimoni, guardando la loro coscienza, sentivano di essere testimoni del loro peccato. La dignità della donna è salva. Dio non salva il peccato, ma la dignità di una donna sommersa nel peccato. Egli ama, è venuto proprio per salvare i peccatori e qui ne abbiamo un esempio. Convertire è molto meglio che lapidare. Perdonare e salvare è molto meglio che condannare. La legge deve essere un servizio alla dignità umana e non un falso legalismo col quale si calpesta l’onore delle persone. Dice il Vangelo con stupendo realismo: se ne andarono, cominciando dai più vecchi. Si passa la vita ad offendere Dio e gli anni che avrebbero dovuto servirci per rafforzare questo compromesso con l’umanità, con la dignità dell’uomo, si sprecano rendendo ogni volta più ipocrita la vita, nascondendo i peccati che aumentano con l’età. Bisogna tener presente ciò, cari fratelli, perché oggi è molto facile, come i testimoni dell’adultera, incolpare e chiedere giustizia. Quanto poco si guarda la propria coscienza! Com’è facile denunciare l’ingiustizia delle strutture, la violenza delle istituzioni, il peccato sociale! E queste sono cose vere: ma dove sono le sorgenti di questo peccato sociale? Nel cuore di ogni uomo. La società attuale è come una specie di società anonima in cui nessuno vuole addossarsi colpe e tutti sono responsabili. Tutti siamo peccatori e tutti abbiamo messo il nostro granello di sabbia in questa mole di crimini e violenze. Perciò la salvezza comincia dall’uomo, dalla dignità dell’uomo. Bisogna strappare dal peccato ogni uomo. In Quaresima è questo il richiamo di Dio: convertitevi individualmente. Non ci sono qui, fra tutti i presenti, due peccatori uguali. Ognuno di noi ha ne proprie colpe e vogliamo rinfacciarle agli altri per nascondere le nostre. È necessario che mi tolga la maschera, anch’io sono uno di quelli e

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voglio chiedere perdono a Dio ed alla società. Questo è il richiamo di Cristo: la persona prima di tutto! Come starebbe bene qui un capitolo sulla promozione della donna da parte del cristianesimo! Se la donna ha ottenuto posizioni simili a quelle dell’uomo, lo si deve largamente al vangelo di Gesù Cristo. Ai tempi di Gesù ci si meraviglia che egli parlasse con una samaritana perché la donna era indegna di parlare con un uomo. Gesù sa che tutti siamo uguali: non c’è greco o giudeo, uomo o donna, tutti siamo figli di Dio. La donna dovrebbe essere doppiamente grata al cristianesimo perché Cristo, col suo messaggio, è Colui che ha promosso la grandezza della donna. E di che altezza sono capaci questi doni femminili, che spesso a causa del maschilismo sono stati deprezzati. Anche i testimoni hanno capito che la redenzione comincia dalla dignità umana e che prima di essere giudici che amministrano la giustizia devono essere uomini onesti e devono poter dare con limpida coscienza una sentenza. Bisogna fare particolare attenzione a questo vangelo: Quale delicatezza vive in Gesù. Per quanto peccatore sia un uomo, Egli lo considera figlio di Dio, immagine del Signore. Non condanna, ma perdona. Non è consenziente nel peccato, è forte per resistere al peccato, ma sa condannare il peccato e salvare il peccatore. Per non stancarvi, cari fratelli, non sto a leggervi tutto il ricco contenuto del documento di Puebla in una delle sue basi teologiche. Sono tre i profili teologici di Puebla: la verità su Cristo, la verità sulla Chiesa e la verità sull’uomo. Parlando dell’uomo, noi vescovi del continente americano a Puebla abbiamo parlato delle false visioni della terra che l’uomo adduce a seconda dei suoi interessi: soprattutto quelle che fanno dell’uomo uno strumento di sfruttamento, o quelle che fanno dell’uomo, nelle ideologie marxiste, solo una rotella dell’ingranaggio economico, o quelle che fanno della Sicurezza Nazionale l’immagine dello stato, come se lo stato fosse il padrone e l’uomo lo schiavo. L’uomo deve essere in cima a tutta l’organizzazione umana per promuovere l’uomo. Noi Vescovi dell’America Latina ci siamo dunque impegnati: “Professiamo che qualsiasi uomo e qualsiasi donna, per quanto insignificanti sembrino, hanno in sé una nobiltà inviolabile che essi stessi e gli altri devono rispettare e far rispettare senza condizioni. Ogni vita umana merita per sé stessa, in qualsiasi circostanza, la sua dignità. Qualsiasi convivenza umana deve basarsi sul bene comune, che consiste nella realizzazione sempre più fraterna della comune dignità, il che esige che gli uni non vengano strumentalizzati in favore degli altri” Questa è la base della nostra sociologia, quella che abbiamo imparato da Cristo nel suo vangelo: è l’uomo prima di tutto che bisogna salvare ed è il peccato individuale la prima cosa di cui dobbiamo occuparci. I nostri conti con Dio, le nostre relazioni individuali con Lui, pongono le basi per tutto il resto. Falsi liberatori sono quelli che rendono l’anima schiava del peccato e per questo a volte sono tanto crudeli, perché non sanno né amare né rispettare la persona umana. Il secondo pensiero passa dall’individuale al comunitario. Nelle letture di oggi è bello osservare che Dio vuole salvare gli uomini come popolo. È tutto il popolo che Dio vuole salvare. La prima lettura di oggi, i famosi inni d’Isaia, presentano un Dio che parla col popolo; è il dialogo di Dio con una “personalità collettiva” (come se si parlasse di una persona); Dio parla con un popolo e di questo popolo Dio fa il suo popolo, perché ad esso affida promesse, rivelazioni che serviranno poi a tutti gli altri popoli. Fate attenzione, cari fratelli, che nella storia della Bibbia, del Vecchio Testamento, ci sono concetti che si riferiscono unicamente al “popolo di Dio” e ce ne sono altri che si riferiscono al popolo nel senso comune, al popolo naturale. Molte volte i profeti rimproverano la gente d’Israele perché si vantava di discendere da Abramo e non di obbedire a Dio e di credere in Dio. I credenti, questo numero limitato, erano e sono il vero Popolo di Dio. Ne abbiamo un esempio questa mattina. Negli Stati Uniti c’è un gruppo di cristiani che non sono tutti gli Stati Uniti così come in El Salvador pure c’è un gruppo della Chiesa che non è tutto El Salvador. E quando io come Pastore mi rivolgo al popolo di Dio, non pretendo di essere un maestro per tutto El Salvador, ma di essere al servizio di un nucleo che si chiama la Chiesa, l’Arcidiocesi, di

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coloro che voglio servire Cristo e riconoscere nel vescovo il maestro che parla in nome di Cristo. Da loro attendo rispetto, obbedienza, con loro mi sento molto unito e non mi stupisce che coloro che non sono Popolo di Dio, benché siano dentro la Chiesa, mi critichino, mormorino contro di me. Costoro non sono popolo di Dio, quantunque siano battezzati, quantunque vengano a messa ma non seguono gli insegnamenti del Vangelo, le applicazioni concrete della nostra pastorale. Noi ci rivolgiamo al Popolo di Dio come al nucleo dei salvadoregni che credono in Cristo e che vogliono seguirlo fedelmente e si alimentano della sua vita, dei suoi sacramenti, attorno ai suoi pastori. Questo popolo di Dio si sussegue nella storia. Ricordate quanto dice la prima lettera di oggi: “Voi vi fate vanto del primo esodo, quando vi ho tratti dall’Egitto, quando attraversavate il deserto. Quante meraviglie avvennero durante quel viaggio con Mosè! Ma non gloriatevi più di questo passato, già fa parte della storia, io faccio cose nuove”. Che splendida frase! È Dio che fa le cose nuove ed è Dio che va con la storia. Ogni paese vive il proprio “esodo” Oggi anche El Salvador vive il proprio esodo, oggi pure noi stiamo attraversando un deserto cosparso di cadaveri, in cui un dolore angoscioso ci sta stremando. Molti provano la tentazione di coloro che camminavano con Mosè: tornare indietro e non collaborare. La grazia del Cristiano non sta nel fissarsi in tradizioni che non si possono ormai più sostenere, ma nell’applicare la tradizione eterna di Dio alle realtà presenti. La storia non finirà, la svolge Dio. Perciò dico: nella misura in cui i progetti storici cercano di rispecchiare il progetto eterno di Dio, in questa misura divengono riflesso del Regno di Dio. Perciò la Chiesa, popolo di Dio nella storia, non si situa in alcun sistema sociale, in nessuna organizzazione politica, in nessun partito. La Chiesa non si lascia cacciare da nessuna di queste forze perché essa è la pellegrina eterna della storia e va segnalando in tutti i momenti storici ciò che veramente rispecchia e ciò che non rispecchia il Regno di Dio. Il gran lavoro dei Cristiani deve essere questo: immergersi nel Regno di Dio e con questo spirito collaborare anche ai progetti della storia. È bene che ci si organizzi in organizzazioni popolari, è bene che si formino partiti politici, è bene che si prenda parte al governo, è bene che si porti il riflesso del Regno di Dio e si cerchi di stabilirlo dove si lavora. È questo il grande obbligo degli uomini di oggi. Miei cari cristiani, vi ho sempre detto e lo ripeterò sempre: da qui, dal gruppo cristiano, dal Popolo di Dio, devono uscire gli uomini destinati ad essere i veri liberatori del nostro popolo. Qualsiasi progetto storico che non si basi sulla dignità della persona umana, sull’amore di Dio, nel Regno di Cristo fra gli uomini, sarà un progetto effimero mentre sarà sempre più stabile quello che rispecchia questo eterno disegno di Dio. Per questo bisogna essere grati alla Chiesa, cari fratelli politici: non manipolare la Chiesa, per farle dire quello che Voi volete che dica. Io non ho alcuna ambizione di potere e perciò con tutta libertà dico al potere ciò che è bene e ciò che è male, ed a qualsiasi gruppo politico dico ciò che è bene e ciò che è male. È mio dovere. Non abbiamo niente da mendicare da nessuno perché abbiamo molto da dare a tutti. E questa non è superbia ma l’umiltà grata di chi ha ricevuto da Dio una rivelazione per comunicarla agli altri. Infine il terzo pensiero tratto dalle letture di oggi è che il progetto di Dio per liberare il popolo è trascendente. Che cos’è la trascendenza? Nella storia, dal principio alla fine, Dio svolge un progetto e bisogna trovare la soluzione tenendo conto di questa prospettiva di Dio perché sia efficace. Secondo questa prospettiva di Dio, come appare nelle parole di oggi che sono state lette nella Bibbia, bisogna in primo luogo riconoscere che Dio è il protagonista della storia; secondo, che si deve partire dalla redenzione dal peccato; terzo, non rifiutare Cristo che è il cammino e la meta della vera liberazione. Lo troviamo nelle letture di oggi, ed è questo il progetto che abbiamo studiato durante tutta la Quaresima.

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Fatti della settimana Ad Anguilares abbiamo celebrato il terzo anniversario dell’assassino di p. Grande. Si nota che la repressione ottiene i suoi effetti: c’era poca gente, c’è paura, è una zona sommamente martirizzata. A Tejutlà, nel cantone di Los Martinez, abbiamo celebrato la festa del patrono del cantone e là mi hanno consegnato una denuncia spaventosa. Il 7 marzo, a mezzanotte, arrivò un camion pieno di militari, alcuni vestiti da civili ed altri in uniforme. Questi aprirono le porte, si introdussero in casa, con violenza ne fecero uscire, colpendoli coi calci dei fucili ed a pedate, tutti i membri della famiglia; violentarono quattro ragazze, colpirono selvaggiamente i loro genitori, li minacciarono di ritorsioni se avessero parlato. A Cojutepeque, il parroco p. Ricardo Ayala è stato vittima di una falsa denuncia. Arrivò alla Curia questo telegramma, copia di un telegramma del Direttore della Guardia Nazionale al Capo di Stato Maggiore: “Mi onoro trascrivere radiocomunicazione proveniente Guardia Nazionale Cojutepeque, che dice: Signor Comandante, alla fine della settimana scorsa Ricardo Ayala, parroco chiesa San Sebastiàn, si riunì con un gruppo di persone di ambo i sessi cantone San Andrés, giurisdizione Monte San Juan questo dipartimento, dicendo loro che giorno 15 corrente partirà per Nicaragua o Cuba per cercare rinforzi per continuare lotta in nostro paese”. Ridicolo, vero? In un’altra comunità del dipartimento di Cuscatlan, a Candelaria, si denuncia che la Guardia Nazionale dei cantoni di San Miguel, Nance Verde e San Juan Miraflores Arriba del comprensorio di Candelaria Cuscatlàn, durante la sera ha catturato il giovane riservista Emilio Mejia che stava andando con altre persone verso Cojutepeque. Venne portato al suo cantone San José La Ceiba, dove quella stessa sera fu ucciso di fronte alla casa di Salvador Mejìa. Lì fu raccolto da sua madre Carmen Martinez de Mejìa la mattina del giorno dopo e sepolto nel pomeriggio. Si dice che ciò sia successo per un equivoco, poiché cercavano un’altra persona con lo stesso nome. Equivoco fatale. È stato catturato a casa sua il signor Mejìa nel cantone San Juan Miraflores Arriba, davanti alla sua sposa Pilar Raymundo de Mejìa; dopo essere stato sottoposto a maltrattamenti fu portato via da casa. Il giorno seguente sua moglie lo trovò a duecento metri da casa, decapitato. Sono stati catturati a casa loro, nel cantone San Miguel Nance Verde, Josè Cupertino Alvarado e le sue figlie Carme Alvarado e Maria Josefa Alvarado. I loro cadaveri sono stati trovati dietro l’eremo del Cantone San Juan Miraflores Arriba. Sono stati sepolti in una fossa comune il giorno seguente dai loro familiari. Al richiamo della nostra Curia per la perquisizione della casa dei Padri Belgi della Colonia Zacamil, il Ministro della Difesa ha risposto: “Per quanto riguarda la perquisizione della casa menzionata, desidero fornirle i seguenti dettagli: 1) Non c’era alcuna targa che la indicasse come casa di sacerdoti o come luogo di culto religioso. 2) Non venne perquisita solo questa casa ma anche un’altra della zona, sulla quale pure si avevano informazioni che imponevano indagini. 3) Quando ci si rese conto che la casa apparteneva a sacerdoti e che non c’era nulla di compromettente, si sospese la perquisizione. 4) Non si esclude la possibilità che dopo la perquisizione altre persone siano entrate nella casa allo scopo di fare danni e far credere che la perquisizione sia stata violenta. Ammetto che, su richiesta, il corpo della Guardia Nazionale non ha negato di aver effettuata la perquisizione; ho comunque ordinato di fare maggior attenzione e di avere maggiore rispetto nei casi particolari, quali quello segnalato; ho inoltre chiesto di essere consultato prima di agire”. Purtroppo i fatti dimostrano che le cose sono andate diversamente. Ci può essere stata confusione circa due fatti particolarmente gravi e per questo motivo la nostra Segreteria d’Informazione ha preparato due dichiarazioni. La prima si riferisce alla guardia di polizia torturata nella Cattedrale. La versione ufficiale è ambigua. Dice che accorsero all’Arcivescovado il ed risultato fu negativo. Il Bollettino spiega: “Il giorno 21 marzo, membri del FAPU sollecitarono l’Arcivesco affinché li aiutasse a dare sepoltura ai diciassette cadaveri nella Cattedrale, perché temevano di essere assaliti lungo la strada per il cimitero e perciò si vedevano obbligati a seppellirli nella Cattedrale. L’Arcivescovo promise di ottenere delle garanzie per la sepoltura e le richiese attraverso il

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Ministero della Difesa, che mostrò attenzione al caso, concordando la partecipazione della Croce Rossa Internazionale e sollecitando la partecipazione del Ministero della salute pubblica. Ai rappresentanti delle organizzazioni FAPU e BPR vennero comunicati i passi compiuti dall’Arcivescovo, ma questi non si sono messi d’accordo. Gli uni accettavano di portare i morti al cimitero e gli altri dicevano che li avrebbero sepolti nella Cattedrale. Tanto i rappresentanti dell’Arcivescovado quanto i membri della Croce Rossa Internazionale intendevano collaborare per una sepoltura normale, ma non dissero che avrebbero favorito una manifestazione di denuncia che si sarebbe svolta in seguito. Mentre si discutevano queste cose, il Direttore della Polizia Nazionale, il Colonnello Reynaldo Lopez Nuila, sollecitò telefonicamente l’intervento dell’Arcivescovado affinché gli occupanti della Cattedrale liberassero la guardia Miguel Angel Zuniga, che era stata sequestrata dagli occupanti la Cattedrale. Immediatamente inviai un delegato alla Cattedrale, però non venne preso in molta considerazione e gli fu detto che Zuniga non c’era. Il delegato con un membro del Soccorso Giuridico si diresse all’Università di San Salvador per parlare con il Coordinamento Rivoluzionario di Massa e li vennero informati che era certa la cattura del poliziotto, ma che lo avevano già liberato. Assieme a rappresentanti della Croce Rossa Internazionale si parlò anche della sepoltura dei cadaveri e durante questo incontro si decise solo che quelli del BPR avrebbero sepolto i loro morti nel cimitero e quelli del FAPU nella Cattedrale. Una commissione composta da sacerdoti e laici si presentò all’Ospedale Militare per parlare con Miguel Angel Zuniga, il quale dichiarò che mentre passava davanti alla Cattedrale gli si avvicinarono quatto individui armati di pistola mitragliatrice che lo portarono nella cripta della Cattedrale, lopicchiarono, gli applicarono degli anelli di ferro al polso e alla mano e gli diedero scariche elettriche e dolpi agli occhi ed allo stomaco per fargli confessare il nome dei suoi capi e dei suoi compagni ed il numero dei veicoli. Uno di coloro che lo interrogavano gli inumidì gli occhi con un liquido di color giallastro che gli provocò grande dolore e bruciore. Gli dicevano che gli avrebbero fatto, se non collaborava, quello che avevano fatto alla gente di San Martìn e che avrebbero ucciso sua madre. Gli mettevano le rivoltelle alla testa. Egli giurava su Dio a su sua madre che non aveva mai torturato o fatto male ad alcuno. Alla fine lo portarono sulla via e lì fermarono un taxi. Il medico che lo cura all’ospedale dice che al momento Zuniga non può vedere ma che sperano possa recuperare la vista. Ha due dita immobilizzate a causa delle scariche elettriche. Questo è il caso del poliziotto. In nessun modo approviamo una cosa talmente crudele. La persona sta al di sopra delle ideologie e bisogna rispettarla. Ecco l’altro caso che vogliamo chiarire. La Chiesa Cattolica ha aperto le porte di quattro edifici di sua proprietà per proteggere i rifugiati che sono dovuti fuggire dalle loro case per timore della violenza che colpisce molte zone del paese. La nostra Chiesa è assolutamente convinta che proteggere con carità chi soffre è uno dei suoi obblighi principali, senza tener conto del credo che professa, né del colore politico, né del suo modo di pensare. Alla Chiesa basta che si tratti di una persona per accorrere in aiuto. In questo caso concreto la Chiesa ha ceduto quattro locali, perché siano rifugio e non centro di indottrinamento politico di alcun tipo, ed ancor meno perché siano campo d’allenamento militare (che invece di proteggere la gente la esporrebbero al pericolo). Per questo ha chiesto alle organizzazioni popolari di rispettare la funzione del rifugio, la finalità che è stata data ai locali. E di questo si è data notizia anche alle autorità militari. La Chiesa sta realizzando questa opera umanitaria per mezzo della Caritas, che è l’organismo ufficiale dell’Arcivescovado. Al di fuori della Caritas la Chiesa non riconosce nessun altro organismo che rappresenti la sua azione caritatevole ufficiale. È ben chiaro perciò che solo la Caritas rappresenta l’Arcivescovado per queste opere di beneficenza e di aiuto. La Caritas è membro del CEAH, Comitato Ecumenico di Aiuto Umanitario, che a livello ecumenico riunisce altre organizzazioni di carattere sociale, le quali però non rappresentano la Chiesa Cattolica. L’Arcivescovado testimonia che la sua azione ha carattere umanitario e cristiano e se non sempre si sono raggiunti i risultati desiderati non è stato per inerzia ma per non aver trovato la comprensione e la collaborazione necessarie.

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Abbiamo vissuto una settimana tremendamente tragica Non posso darvi i dati dal sabato scorso, il 15 marzo, ma in questa settimana si è registrata una delle più forti e dolorose operazioni militari nelle zone di campagna; i cantoni interessati sono stati: La Laguna, Plan de Ocotes, El Rosario ed il risultato dell’operazione è stato tragico. Molte fattorie bruciate, azioni di saccheggio e, come sempre, cadaveri. A La Laguna hanno ucciso la coppia di sposi Ernesto Navas, Audelia Mejìa de Navas ed i loro figlioletti Martin e Hilda di 13 e 7 anni, ed inoltre undici campesinos. Abbiamo poi dei morti senza nome: a Plan de Ocotes quattro campesinos, due bambini e due donne. A El Rosario, tre campesinos ancora. Questo fu al sabato. La domenica, otto giorni fa, ad Arcata vennero assassinati da quattro membri di Orden, i campesinos Vicente Ayala, 24 anni, suo figlio Freddy e Marcellino Serrano. Quello stesso giorno, nel cantone Calera de Jutiapa, fu assassinato il campesino Fernando Hernandez Navarro mentre fuggiva dai militari. Il 17 marzo fu un giorno tremendamente violento: sono state messe varie bombe nella capitale e all’interno del paese. Nella sede del Ministero dell’Agricoltura i danni sono stati enormi. All’università Nazionale il campus venne accerchiato militarmente fin dall’alba e l’assedio durò fino alle sette di sera. Durante tutto il giorno si sentirono raffiche di mitragliatrice nella zona universitaria. L’Arcivescovado intervenne per proteggere le persone che si trovavano all’interno. Diciotto persone morirono all’azienda Colima, quindici erano campesinos. Morirono pure l’amministrazione e l’enologo dell’azienda. Le forze armate affermano di essere state provocate. Per lo meno cinquanta persone morirono durante i gravi fatti di quel giorno. Nella capitale, sette persone negli incidenti della Colonia Santa Lucia. Nelle vicinanze di Tecnillantas, cinque persone. Nella sezione di raccolta della spazzatura, dopo il trasferimento di questa istituzione da parte della forza militare, vennero localizzati i cadaveri di quattro operai catturati durante un’azione. Al chilometro 38 della strada verso Suchitoto nel cantone Montepeque morirono sedici campesinos. Quello stesso giorno furono catturati a Tecnillantes due studenti dell’UCA, due fratelli: Mario Nelson e Miguel Alberto Rodriguez Velado. Il primo, dopo quattro giorni di detenzione illegale fu consegnato ai tribunali, non così suo fratello che è ferito e tuttora detenuto illegalmente. Il Soccorso Giuridico è intervenuto a sua difesa. Amnesty Inernational ha emesso un comunicato stampa nel quale ha descritto la repressione dei campesinos, specialmente nella zona di Chalatenango. In una conferenza stampa tenutasi a Managua, Patricio Fuentes, portavoce del Progetto di azione speciale per il Centro America di Amnesty ha assicurato che durante due settimane di indagini che condusse a El Salvador potè provare l’avvenuta uccisione di ottantadue perseguitati politici, fra il 10 ed il 14 marzo. Segnalò che Amnesty International condannò recentemente il governo di El Salvador considerandolo responsabile di 600 assassinii politici. Il Governo salvadoregno si difese dalle accuse argomentando che il rapporto di Amnesty si basava su supposizioni; ma noi abbiamo provato che in El Salvador si violano i diritti umani ancor più che nel Cile, dopo il colpo di stato. Il Governo salvadoregno disse pure che i 600 morti erano stati causati dallo scontro armato fra truppe dell’esercito e guerriglieri. Fuentes disse che durante la sua permanenza ad El Salvador potè vedere che prima e dopo le uccisioni ci furono torture. Il portavoce di Amnesty disse che i cadaveri delle vittime, come caratteristica, avevano i pollici legati dietro le spalle. Misero pure sui cadaveri dei liquidi corrosivi per evitare l’identificazione delle vittime da parte dei familiari, in modo da ostacolare denunce di carattere internazionale. Tuttavia i morti sono stati identificati dopo l’esumazione dei cadaveri. Fuentes disse che la repressione dell’esercito salvadoregno ha come scopo di smantellare l’organizzazione popolare mediante l’assassinio di dirigenti, sia nelle città che nelle campagne. Nell’area rurale, secondo il portavoce di Amnesty, per lo meno 3.500 campesinos sono fuggiti dai luoghi d’origine verso la capitale, per mettersi in salvo dalla persecuzione: “Abbiamo liste complete a Londra ed in Svezia di giovani e donne che sono stati assassinati solo per il fatto di essersi

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organizzati”, assicurò Fuente. Egli disse che Amnesty International, che è un’organizzazione umanitaria, non si identifica con governi, con organizzazioni, con persone, né pretende di far cadere il governo, ma combatte perché vengano rispettati i diritti umani in qualsiasi parte del mondo, ed in particolare dove maggiormente sono minacciati o calpestati. Questo conferma dunque quanto stiamo dicendo su questa settimana spaventosa. Vorrei fare, a proposito di lunedì 17 marzo, tanto violento, un’analisi di quella che fu forse la causa di queste violenze: lo sciopero generale dichiarato dal Coordinamento Rivoluzionario di Massa. Il suo fine era di protestare contro la repressione e domenica scorsa dissi che era un fine legittimo: si tratta di denunciare un fatto che non si può tollerare. Ma lo sciopero aveva pure uno scopo politico, quello di dimostrare che la repressione invece di intimidire le organizzazioni popolari le sta irrobustendo, e quello di denunciare l’attuale Governo, che ha bisogno della repressione violenta per venire a capo delle sue riforme, riforme che per diversi motivi non sono accettabili dalle organizzazioni popolari. Lo stato d’assedio e la disinformazione cui ci costringono sia i comunicati ufficiali che la maggior parte dei mezzi di comunicazione non permettono tuttavia di misurare con obiettività la portata dello sciopero nazionale. Radio straniere hanno parlato di una partecipazione del 70%, che sarebbe una percentuale altissima e potrebbe essere considerata un notevole trionfo. Anche considerando gli stabilimenti che hanno chiuso per paura sia delle azioni della sinistra sia di quelle minacciate dalla destra e dal Governo alla mattina del lunedì, non si può negare che la forza dimostrata dal Coordinamento nel campo dei lavoratori è stata grande. Il Coordinamento non è forte solo nelle campagne ma anche nelle fabbriche e nelle città. È probabile che si siano commessi errori, ma ciò nonostante si può ritenere che lo sciopero abbia rappresentato un passo avanti nella lotta popolare ed abbia dimostrato che la sinistra è in grado di paralizzare l’attività economica del paese. La risposta del Governo allo sciopero è stata dura. Ciò è dimostrato non solo dalle pattuglie in città e dalla sparatoria contro l’Università di San Salvador, ma anche e soprattutto, dalle morti che hanno causato. Non meno di dieci operai sono stati uccisi nelle fabbriche da agenti dei corpi di sicurezza; tre lavoratori del Municipio furono assassinati dopo essere stati arrestati da agenti della Polizia d’Azienda. E questa è una denuncia precisa dello stesso Municipio della capitale. A questi morti se ne aggiunsero altri lo stesso giorno e si arrivò ad almeno sessanta secondo alcuni, mentre altri dicono più di 140. Nelle campagne l’interruzione del lavoro è stata accompagnata da azioni militari da parte di alcune organizzazioni popolari, come a Colina, San Martin e Suchitoto. Si può dubitare della convenienza tattica di queste azioni, ma questa possibile inopportunità non giustificava l’azione repressiva del governo. Il Coordinamento ha certamente fatto degli sbagli e ha molto da fare per presentarsi come un’alternativa coerente di potere rivoluzionario democratico. Dio voglia che valuti e perfezioni un atteggiamento che sia veramente popolare e che non trovi, con alcuni gesti illogici, il rifiuto dello stesso popolo. Non è che questi errori siano sovversivi, o provocati da risentimenti sociali: avvengono perché non si permette loro uno sviluppo politico normale. Sono perseguitati, massacrati, messi in difficoltà nel lavoro di organizzazione, nel loro intento di ampliare il contatto con altri gruppi democratici. Quello che si ottiene è la loro radicalizzazione e la loro disperazione. In queste circostanze è difficile non buttarsi in attività rivoluzionarie, nella battaglia. Il meno che si può dire è che il paese sta vivendo una fase pre-rivoluzionaria e non assolutamente una fase di transizione. La questione fondamentale è come uscire nel modo meno violento da questa fase critica. A questo punto la responsabilità maggiore è quella dei governanti civili e, soprattutto, militari. Anche il Papa, a Roma, questa settimana ha contato le vittime che vi sono state in Italia a causa del terrorismo ed ha deplorato gli ultimi dieci crudeli assassinii avvenuti nella Capitale. Se fosse qui, anche il Papa si soffermerebbe, come stiamo facendo noi, a raccogliere giorno per giorno i dati su queste morti atroci. Il 18 marzo vennero localizzati i cadaveri di quattro campesinos morti in quel giorno in zone diverse. Due a Metapàn, due a San Miguel.

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Mercoledì 19 marzo, alle 5,30 del mattino, dopo un’operazione militare nei cantoni di San Luis La Loma, La Cayetana, Leon de Pietra, La India, Paz, Opico, El Mono, vennero trovati i cadaveri di tre campesinos: Humberto Urbino, Oswaldo Hernàndez e Francisco Garcia. Nella capitale, alle 2 di notte, i locali dei Sindacati di Bebidas e della Federazione Sindacale Rivoluzionaria vennero occupati militarmente, mentre molti operai vegliavano il cadavere di Manuel Pacin, operaio consigliere dei lavoratori municipali, il cui cadavere venne trovato ad Apulo, dopo che era stato catturato. Durante questa occupazione morirono due persone, una delle quali era l’operaio Mauricio Barrera, dirigente del Sindacato delle Industrie Metalmeccaniche. Diciannove operai vennero consegnati ai tribunali. Su richiesta dei familiari Soccorso Giuridico è intervenuto in questo caso. È stato affermato che gli archivi dei sindacati sono stati confiscati. Sulla stampa nazionale è stata riportata la morte di nove campesinos in uno scontro, secondo la versione delle Forse Armate, nel villaggio di San Bartolo Tecoluca. Alle 12, soldati dell’esercito nel villaggio di El Almendral, giurisdizione di Majagual, La Libertad, catturarono i campesinos Miguel Angel Gomez de Paz, Concepcion Coralia Menjìvar e José Emilio Valencia. Essi non sono stati rimessi in libertà: chiediamo vengano consegnati ai tribunali. Giovedì 20 marzo, alle quattro del pomeriggio, nel cantone di El Jocote, Quezaltepeque, furono assassinati il dirigente campesino Alfonso Munoz Pacheco, Segretario per i conflitti di lavoro della Federazione dei lavoratori della campagna. Il campesino Munoz era molto noto nelle campagne per la sua attività in favore della causa dei contadini. E qualcosa di terribile successe lo stesso giovedì. Venne trovato ancora in vita il campesino Augustin Sànchez, che era stato catturato il giorno 15 da soldati a Zacatecoluca. Questi lo portarono alla Polizia di Azienda. Il campesino Sanchez ha affermato, in una dichiarazione rilasciata davanti a notaio e a testimoni, di essere stato catturato nell’azienda El Cauca, dipartimento di La Paz, mentre lavorava nella filiale della Unione Comunale Salvadoregna. Per quattro giorni rimase senza mangiare e bere, sottoposto a torture, frustato e sottoposto ad asfissia, finché il 19 marzo spararono alla testa a lui e ad altri due compagni. Ebbe fortuna di sopravvivere, il colpo gli aveva rovinato solo lo zigomo destro e l’occhio. All’alba, mentre stava per morire, venne aiutato da alcuni campesinos e successivamente trasportato all’ospedale da una persona di fiducia. Il campesino non poté firmare questa terribile testimonianza perché le sue mani erano rovinate. Persone degne di fiducia erano presenti a questo terribile episodio, ci sono documenti fotografici che rivelano le condizioni in cui è stato raccolto questo povero campesino. Ci è pervenuta un’informazione, ancora non confermata, dell’eccidio di venticinque campesinos a San Pablo Tacachico. All’ultimo momento, poco prima che cominciasse la messa, è arrivata la notizia di questa terribile tragedia. Venerdì 21, a partire dalle 6 del mattino, si è effettuata un’operazione militare nella via di Santa Ana che porta a San Paolo Tacachico. Detta operazione è stata condotta dai soldati delle caserme di Opico e Santa Ana, in collaborazione con la Polizia di Azienda, distaccata a Tacachico. Durante detta operazione effettuarono perquisizioni nei cantoni di El Resbaladero, San Felipe, Moncagua, El Portillo, San Josè La Cova, Magotes e nelle loro rispettive colonie Los Pozos e le Delicias. Nello stesso modo perquisirono anche tutti quelli che si trovavano sugli autobus o camminavano a piedi. Nel cantone Mangotes, giurisdizione di Tacachico, la repressione fu più crudele, poiché i soldati con due carri armati seminarono il terrore fra gli abitanti di questa zona. Durante la perquisizione rubarono quattro radio e 400 colones in contanti, bruciarono la casa e i beni di Rosario Cruz, lasciandolo nella più squallida miseria assieme ala sua famiglia. Assassinarono Alejandro Mojìca e Felix Santos: il primo nella sua abitazione ed il secondo in campagna. Entrambi lasciano moglie e figli. Per timore della repressione sono stati sepolti nei loro rispettivi campi. Hanno portato poi in località sconosciuta Isabel Cruz, Manuel Santos e Santos Urquilla. Dato finale, col quale vorremmo esprimere una solidarietà speciale. Ieri sera, l’UCA, Università Centro Americana, è stata attaccata per la prima volta e senza una provocazione. Una nutrita équipe di soldati iniziò questa operazione assieme alla Polizia Nazionale all’1,15 della notte; sono entrati nel campus sparando e fu assassinato uno studente di matematica, Manuel Orantes Gùillén. Mi si dice pure che sono spariti vari studenti e che i loro familiari e l’UCA protestano per la violazione di

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un campus di cui si deve rispettare l’autonomia. Quello che non hanno fatto all’Università Nazionale, senza dubbio per timore, lo hanno fatto all’UCA. L’UCA non aveva armi per difendersi ed è stata un’inutile violenza. Speriamo di poter dare maggiori dettagli su questo avvenimento che rappresenta un grave crimine contro la civiltà e la legalità. Significato di questi mesi Cari fratelli, sarebbe interessante ora fare un’analisi, ma non voglio abusare del vostro tempo, di quello che hanno significato questi mesi di un nuovo governo che voleva cancellare questa atmosfera d’orrore. Se ciò che si pretende è decapitare l’organizzazione del popolo e contrastare il processo che il popolo desidera, non si può ottenere altri frutti. Senza radici nel popolo nessun Governo può avere efficacia ed ancor meno può imporsi con il sangue ed il dolore. Vorrei fare un appello speciale agli uomini dell’esercito e in concreto alla base della Guardia Nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: NON UCCIDERE. Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine contro la legge di Dio. Una legge immorale non ha l’obbligo di essere osservata. È tempo di recuperare la vostra coscienza e di obbedire prima alla vostra coscienza che all’ordine del peccato. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, la Legge di Dio, la dignità umana, la persona, non può restare silenziosa davanti a tanta ignominia. Vogliamo che il Governo comprenda che non contano niente le riforme se sono tinte di sangue. In nome di Dio, dunque, ed in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorni più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di DIO: “cessi la repressione!”.