ORTI E GIARDINI - Rome – The Imperial Fora ... · L’iniziativa è promossa dalla Soprintendenza...

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ORTI E GIARDINI IL CUORE DI ROMA ANTICA — Roma, Palatino, 6 maggio – 14 ottobre 2012 Il percorso di visita si articola in 8 stazioni, cui si aggiunge il cosiddetto Criptoportico neroniano, dove viene allestita l’a- rea didattica che illustra la storia dei luoghi interessati. 1) Il giardino della Casa di Augusto 2) I fiori azzurri nel Ninfeo ellittico 3) Orti e giardini nelle stampe antiche in mostra alla Casina Farnese 4) Le piante e il vetro per imitare l’ acqua della fontana ottagona 5 e 5a) Le petunie e la plumbago nei peristili della Domus Augustana 6) Le verbene dello Stadio 7) Le essenze del Vivaio Farnesiano 8) Il giardino di rose antiche negli Orti Farnesiani La storia degli spazi verdi del Palatino, dal momento in cui furono formati ai nostri giorni, rappresentano la storia stessa delle specie vegetali, che hanno arricchito i nostri giar- dini in questi secoli. Allestiti in maniera sontuosa in età impe- riale, trasformati in parte in Orto Botanico dai Farnese, per accogliere soprattutto le nuove piante importate dalle Ame- riche, furono ripristinati nell’Ottocento ad opera dell’arche- ologo Giacomo Boni. Accanto alla flora “classica” romana, vi volle introdurre anche le nuove piante che a partire dalla fine del ‘700 arrivavano dall’Oriente e dal sud Africa grazie all’in- tensificarsi degli scambi commerciali favoriti dal dominio in- glese e che hanno costituito nel tempo l’”erbario” della flora ornamentale italiana. Il vivaio che riuniva queste piante viene oggi riproposto negli Orti farnesiani. Numerose testimonianze letterarie e alcune iconografiche hanno consentito di riprodurre i giardini di età imperiale, sebbene non sia possibile conoscere con esattezza quali fos- sero le specie effettivamente coltivate nei vasti peristili, anche per l’impossibilità di condurre indagini scientifiche per le vi- cende che hanno caratterizzato i luoghi nel corso dei secoli. Per questo motivo è stata dedicata particolare attenzione ai ninfei presenti sul Palatino, dei quali restano i confini ben definiti. Per restituire l’immagine di un ninfeo, ferma restante la forma, si è pensato di richiamarne le due componenti fon- damentali, ossia il / i materiali in cui è costruito e l’acqua: nel primo caso sono state utilizzate fioriture bianche (marmo), nel secondo fioriture nelle diverse tonalità di blu-azzurro (acqua). Con tali criteri sono stati ricostruiti tutti i ninfei, varian- do, però, le specie (Plumbago, Surfinia, Solanum, Convolulus, Verbena, Tapiens e Petunia nei colori bianco e gamma del blu e viola). La tecnica usata per rendere visivamente l’idea dei nin- fei è, infatti, assimilabile a quella della mosaico coltura, che è di spettacolare impatto estetico, concentrandoci su piante (circa 12.000) in soli due colori, con predominanza di quelle azzurro-blu. Diverso è invece il caso del peristilio della casa di Augusto, solo in parte scavato: l’intimità del luogo ha sugge- rito di riproporre in vivo, e quindi in rapporto 1:1, la struttura del giardino raffigurato sulle pareti affrescate della Villa di Livia attualmente esposte nel Museo Nazionale Romano in comunicato stampa — Roma, 5 maggio 2012 Nel cuore di Roma anticala Soprintendenza per i beni archeologici di Roma ha ricreato le suggestioni degli antichi giardini sul Palatino. Tra rose, cotogne, viburni, pervinche, petunie e verbene una passeggiata alla scoperta dei fasti del passato, da Augusto ai Farnese.

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O RT I E G I A R D I N II L C U O R E D I R O M A A N T I C A — Roma, Palatino, 6 maggio – 14 ottobre 2012

Il percorso di visita si articola in 8 stazioni, cui si aggiunge il cosiddetto Criptoportico neroniano, dove viene allestita l’a-rea didattica che illustra la storia dei luoghi interessati.

1) Il giardino della Casa di Augusto2) I fiori azzurri nel Ninfeo ellittico3) Orti e giardini nelle stampe antiche in mostra alla Casina Farnese4) Le piante e il vetro per imitare l’ acqua della fontana ottagona 5 e 5a) Le petunie e la plumbago nei peristili della Domus Augustana6) Le verbene dello Stadio7) Le essenze del Vivaio Farnesiano 8) Il giardino di rose antiche negli Orti Farnesiani

La storia degli spazi verdi del Palatino, dal momento in cui furono formati ai nostri giorni, rappresentano la storia stessa delle specie vegetali, che hanno arricchito i nostri giar-dini in questi secoli. Allestiti in maniera sontuosa in età impe-riale, trasformati in parte in Orto Botanico dai Farnese, per accogliere soprattutto le nuove piante importate dalle Ame-riche, furono ripristinati nell’Ottocento ad opera dell’arche-ologo Giacomo Boni. Accanto alla flora “classica” romana, vi volle introdurre anche le nuove piante che a partire dalla fine del ‘700 arrivavano dall’Oriente e dal sud Africa grazie all’in-tensificarsi degli scambi commerciali favoriti dal dominio in-glese e che hanno costituito nel tempo l’”erbario” della flora

ornamentale italiana. Il vivaio che riuniva queste piante viene oggi riproposto negli Orti farnesiani.

Numerose testimonianze letterarie e alcune iconografiche hanno consentito di riprodurre i giardini di età imperiale, sebbene non sia possibile conoscere con esattezza quali fos-sero le specie effettivamente coltivate nei vasti peristili, anche per l’impossibilità di condurre indagini scientifiche per le vi-cende che hanno caratterizzato i luoghi nel corso dei secoli.

Per questo motivo è stata dedicata particolare attenzione ai ninfei presenti sul Palatino, dei quali restano i confini ben definiti. Per restituire l’immagine di un ninfeo, ferma restante la forma, si è pensato di richiamarne le due componenti fon-damentali, ossia il / i materiali in cui è costruito e l’acqua: nel primo caso sono state utilizzate fioriture bianche (marmo), nel secondo fioriture nelle diverse tonalità di blu-azzurro (acqua).

Con tali criteri sono stati ricostruiti tutti i ninfei, varian-do, però, le specie (Plumbago, Surfinia, Solanum, Convolulus, Verbena, Tapiens e Petunia nei colori bianco e gamma del blu e viola). La tecnica usata per rendere visivamente l’idea dei nin-fei è, infatti, assimilabile a quella della mosaico coltura, che è di spettacolare impatto estetico, concentrandoci su piante (circa 12.000) in soli due colori, con predominanza di quelle azzurro-blu. Diverso è invece il caso del peristilio della casa di Augusto, solo in parte scavato: l’intimità del luogo ha sugge-rito di riproporre in vivo, e quindi in rapporto 1:1, la struttura del giardino raffigurato sulle pareti affrescate della Villa di Livia attualmente esposte nel Museo Nazionale Romano in

comunicato stampa — Roma, 5 maggio 2012

Nel cuore di Roma anticala Soprintendenza per i beni archeologici di Romaha ricreato le suggestioni degli antichi giardini sul Palatino.

Tra rose, cotogne, viburni, pervinche, petunie e verbeneuna passeggiata alla scoperta dei fasti del passato, da Augusto ai Farnese.

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Palazzo Massimo. Le specie utilizzate, i cui macro e micro re-sti sono stati rinvenuti anche negli antichi giardini pompeiani, sono rigorosamente quelle raffigurate negli affreschi - melo-grani, viburni, oleandri, cotogni, rose, cipressi, pervinche -in-sieme ai due grillages, che nella pittura ripartivano il giardino, e poi il platano, l’abete e il pino, specie estranee secondo Pli-nio alla flora autoctona del tempo, e forse celebrate in questi affreschi come specie ornamentali di recente introduzione.

Specie che sono poi oggetto, insieme ad altre, del per-corso didattico relativo alla flora di età imperiale realizzato ricorrendo anche alle citazioni dei classici, a completamen-to dell’illustrazione dei giardini del tempo e presentato e il-lustrato in una serie di pannelli presentati nel criptoportico cosiddetto neroniano.

Per quanto concerne gli Orti Farnesiani, è chiaro che il loro recupero è di fatto impossibile. In quest’area i Farnese allestirono un Hortus secondo un criterio collezionistico. La ragione fu dovuta dall’arrivo di nuove specie dalle Americhe, come la yucca e l’agave. Nel Novecento poi, l’archeologo Gia-como Boni allestì un giardino all’italiana a conclusione degli scavi promossi per riportare alla luce le dimore imperiali. Piantò cipressi e lauri, ma accolse anche specie importate a seguito dell’espansione del dominio inglese come peonie e camelie. Con questo evento si ripropongono, in un’area che nella vita recente del giardino ha fatto tradizionalmente da vi-vaio, le piante raffigurate nelle tavole seicentesche dell’Aldini e del Ferrari, con apposite didascalie che segnalano le specie

Ufficio stampa Electaper la Soprintendenza

per i Beni Archeologici di RomaGabriella Gatto

tel. +39 06 [email protected]

Ufficio stampa ElectaEnrica Steffenini

Tel. +39 02 [email protected]

che arrivarono in Europa a partire dalla fine del ‘700 quali la glicine, le bouganvillee, il mandarino, le peonie, i ciliegi e i meli da fiore, le gerbere, per citarne solo alcune. Sicuramente desterà meraviglia nei visitatori meno esperti constatare che piante oggi a noi notissime come la Yucca, la Passiflora, l’Aga-ve, la Mimosa furono introdotte in Europa per la prima volta dalle Americhe proprio negli “Orti Farnesiani”, e con esse i pomodori, i peperoni e i peperoncini, il tabacco e il fico d’ India, per citare solo quelle più note, che hanno contribuito a modificare abitudini alimentari e paesaggio. L’intero roseto, costituito negli anni Sessanta, è stato anch’esso rinvigorito in quest’occasione utilizzando varietà rigorosamente ottocen-tesche.

La genesi e la ricchezza degli Orti Farnesiani vengono invece narrate attraverso un’esposizione di stampe riunite nella Casina Farnese, riaperta al pubblico in questa occa-sione. La Casina, che utilizzava le strutture antiche nel sot-tosuolo come fondazioni, non aveva carattere abitativo. Era un “punto d’appoggio”, destinato a brevi soggiorni, visite, appuntamenti galanti, colloqui segreti, ma soprattutto per l’osservazione del panorama. In questa occasione sarà possi-bile seguire il restauro degli affreschi del loggiato realizzati da artisti riconducibili all’ambiente degli Zuccari.

Il progetto ideato da Electa con la Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma è curato da Annamaria Ciarallo, Giuseppe Morganti, Maria Antonietta Tomei .

informazioni tecniche

Orari dalle 8.30 a un’ora prima del tramonto.

Non si effettua chiusura settimanale.La biglietteria chiude un’ora prima

Ingresso Palatinovia di San Gregorio 30

intero € 12,00ridotto € 7,50

Lo stesso biglietto consente l’accessoal Colosseo e al Foro romano

Informazioni e visite guidatePierreci/Codess

tel. +39.06.39967700 www.pierreci.it

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L’iniziativa è promossa dalla Soprintendenza Specialeper i Beni Archeologici di Roma

Cura dell’esposizioneAnna Maria Ciarallo Giuseppe MorgantiMaria Antonietta Tomei

Soprintendenza Specialeper i Beni Archeologici di Roma

SoprintendenteMariarosaria Barbera

Direzione Foro Romano PalatinoRoberto Egidi

Direzione Servizi AggiuntiviRosanna Friggeri

Responsabile ServizioGiardini del PalatinoMarco Merelli

Assistenza tecnica e organizzativaStefania TrevisanDaniela Spadonicon Silvia Borghini

Segreteria del PalatinoMaurizio RulliGloria Nolfo

Servizio Fotografico (Domus di Livia)Bruno AngeliLuciano Mandato

Si ringraziano per la preziosa collaborazioneBarbara NazzaroGabriella StranoGiampaolo Rimediocon Alessandra Capodiferroe Miriam Taviani

per electaDirezioneAnna Grandi

CoordinamentoMarta Chiara Guerrieri

StaffRoberto CassettaClaudia Nardicchia

Comunicazione e Ufficio stampaGabriella Gatto

Exhibit design e coordinamento generaleAndrea Mandara,Studio di Architettura, Romacon Fabiana Dore

Immagine CoordinataPitisMassimo Pitiscon Aurora Biancardie Serena di Fidio

Realizzazione dell’impianto a verdeMaisto Luigi srl, Napoli

Realizzazione degli apparati graficiOperaprima srl, Roma Realizzazione dell’allestimentoArticolarte srl, Roma

Impianti e allarme della mostraDuilio Ciancarella, L’Aquila

Impianti multimediali Sharks, Roma

Sponsorizzazione TecnicaArticolarte srl, Roma

Si ringraziano i Vivai di Torre San Lorenzo per aver messo a disposizione le piante perenni esposte nel Vivaio Farnesiano.

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I vasti ninfei, che ornavano i peristili im-periali del Palatino, vengono riproposti in questa esposizione ricordandone i marmi che li rivestivano mediante pian-te dai fiori bianchi e l’acqua con fioriture nella gamma del blu. Le specie utilizza-

te, già presenti sul luogo nelle tre fasi più significative della sua storia, sono state scelte tenendo conto delle con-dizioni microclimatiche, della presenza delle strutture archeologiche e dei tem-pi di fioritura.

QUESTA ESP OSIZIONE

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IL PERCORSO DI VISITA

IL PERISTILIO DELLA CASA DI AUGUSTO

Il peristilio occidentale della Casa di Augusto, la cui sistema-zione originale non ci è nota, è stato per la mostra utilizzato per ricostruirvi al vero il giardino raffigurato nella decorazio-ne pittorica del triclinio invernale della Villa di Livia, moglie di Augusto, situata sulla via Flaminia, le cui pitture sono attual-mente esposte al Museo di Palazzo Massimo.

La grande sala sotterranea (m 11,70 x 5,90) era infatti completamente decorata da un ampio giardino aperto, con una vegetazione lussureggiante e numerose specie di fiori e di uccelli. L’architettura del giardino si articola in una dop-pia recinzione tutta intorno. Una cura attentissima rende la profondità spaziale attraverso i dettagli che, molto accurati in primo piano, diventano via via più sfumati. Ne risulta che lo spettatore ha la sensazione di trovarsi nel mezzo del giar-dino fiorito, per assaporare il piacere di vivere nella natura pacificata e di poter godere dell’ordine e della giustizia che Augusto, dopo le guerre civili, aveva riportato a Roma e nel mondo.

IL NINFEO ELLITTICO DEL PALAZZO FLAVIO

Il ninfeo ellittico aveva un gemello in posizione simmetrica, oggi nascosto sotto l’edificio del Museo Palatino, ma scavato e documentato durante gli scavi ottocenteschi.

Le due fontane si trovavano ai lati del triclinio del palazzo di Domiziano, nella sala denominata dagli autori antichi (Sto-ria Augusta, Pertinace, 11) Coenatio Iovis, sala per le cene di Giove. I banchetti del Palatino, durante i quali si gustavano le vivande più raffinate e si beveva nettare, furono descritti con vero entusiasmo dagli scrittori latini che vissero all’epoca dei Flavi, particolarmente Stazio e Giovenale. Le splendide cene dovevano svolgersi proprio in questa parte del Palatino, dove i ninfei giocavano un ruolo importante, visibili attraverso le ampie finestre del Triclinio. Erano formati da un bacino ret-tangolare rivestito di marmo, entro cui si innalzava la fontana ellittica, decorata da nicchie arricchite da decorazioni sculto-ree, dalle quali uscivano zampilli.

LA FONTANA OTTAGONADELLA DOMUS FLAVIA

Il grande Peristilio della Domus Flavia – la parte pubblica dell’edificio – era occupato al centro da una fontana ottagona a forma di labirinto, motivo molto antico.

A differenza dei giardini di età augustea, limitati per lo più agli spazi ridotti dei peristili, e per i quali la pittura ci ha lasciato una ricca e dettagliata documentazione, nei palazzi imperiali le aree verdi, più estese, erano strettamente colle-gate all’architettura e arricchite da grandi fontane, giochi di acqua, raffinata decorazione marmorea e scultorea. In que-sto peristilio, ben esposto e assolato, i ribelli assassinarono l’imperatore Pertinace, secondo il racconto della Storia Au-gusta (Pertinace, 11). La grande fontana, circondata da por-tici, era fiancheggiata da una serie di ambienti da cui, attra-verso ampie finestre, si godeva la vista sulle fontane e sulle aiuole. Nei canali che formano l’ottagono scorreva l’acqua, come attestano i residui di cocciopesto idraulico che li rive-stono.

IL PERISTILIO SUPERIORE DELLA DOMUS AUGUSTANA

All’interno della grande vasca rettangolare dal profilo mol-to articolato, si innalza un tempietto su podio, raggiungibile attraverso un ponticello sostenuto da piccoli archi, probabil-mente aggiunto in epoca più tarda.

La funzione della piccola costruzione non è sicura: quasi certamente si tratta di un sacello ma c’è chi ipotizza un pic-colo luogo di ritiro per l’imperatore, o anche un impianto ad acqua. Il fondo e le pareti della vasca erano in origine comple-tamente rivestite di lastre di marmo.

Ai lati di questo peristilio gli scavi hanno individuato una complessa disposizione di ambienti diversi, tra cui una diaeta (terrazza) porticata e delle vasche. Questi elementi conferi-scono a questo settore del palazzo i caratteri tipici di un am-biente idillico-sacrale, dove il giardino, seguendo schemi di età ellenistica, si estende a occupare gli spazi tra la vasca e le circostanti costruzioni aperte. Numerosi i materiali scultorei provenienti dagli scavi di questo peristilio.

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IL PERISTILIO INFERIOREDELLA DOMUS AUGUSTANA

Il peristilio inferiore, visibile dall’alto, era riccamente deco-rato e occupato al centro, come di consueto, da una grande fontana, caratterizzata da un motivo di quattro peltae (scudi delle Amazzoni) separate da canali semicircolari.

L’ ’altezza originaria delle pelte e della fontana al cen-tro non è più determinabile, ma è probabile che fos-se di alcuni metri. Al centro si può ricostruire un get-to di acqua di notevole altezza. L’ambiente era inoltre arricchito da folte aiuole, da vaschette forse per pesci decora-tivi e da un sontuoso apparato scultoreo. Questa particolare scenografia di acqua e di architettura servì certamente di ispi-razione ad alcune costruzioni di Villa Adriana.

L’area aperta era circondata da numerose sale di soggior-no e da alcuni ninfei, che nelle calde giornate rendevano par-ticolarmente fresca questa parte del palazzo.

LO ‘ STADIO’

Il c.d. Stadio, altro importante settore del Palazzo Flavio, era in realtà un vasto giardino rettangolare, con un emiciclo a una delle estremità. Solcato da un largo viale ad anello, da cui si diramavano vialetti minori e aiuole, il giardino era circonda-to da un portico. Il viale ad anello (gestatio) era destinato al passeggio a piedi, in lettiga, o anche in carrozza, secondo un uso attestato da Marziale (I,12,82) e da Giovenale (VIII,178). Le splendide sculture recuperate (conservate nel Museo Pa-latino) attestano che l’area era arredata come una vera e pro-pria galleria d’arte. Su uno dei lati lunghi è visibile una grande esedra, da cui si godeva una completa vista del giardino. Alle estremità c’erano due fontane semicircolari, rivestite di mar-mi, al centro invece uno spazio libero, decorato da numerose statue. La presenza di canalizzazioni che portavano l’acqua fino al centro dello “Stadio” e la mancanza di qualsiasi pa-vimento, sono un’ulteriore conferma che ci troviamo in una zona di giardino.

I GIARDINI ANTICHIDELLA DOMUS TIBERIANA

Gli scavi in corso hanno rimesso in vista sul piano alto della Domus Tiberiana una grande vasca presente già in età giulio-claudia, ampliata e ristrutturata in seguito.

La fontana presenta una struttura architettonica al suo in-terno (un tempietto?) mentre intorno si estendeva un vasto peristilio porticato. A protezione dei sottostanti vani del pa-lazzo è emerso un accurato sistema di impermeabilizzazione, costituito da un’intercapedine isolante.

L’esistenza di giardini nella Domus Tiberiana era già at-testata dalle fonti: dalla Vita di Claudio di Svetonio emer-ge chiaramente come esistesse nel palazzo un padiglio-ne isolato in un giardino, con una tenda per riparo dai raggi del sole. Le fonti parlano infatti di un praepositus ve-larium (addetto alle tende), all’interno dei palazzi palatini. Terrazze adorne di verde, veri giardini pensili, erano diffu-sissimi sotto Nerone, e il filosofo Seneca si indignava alla loro vista, vedendovi una decadenza dei costumi (Lettere a Lucilio, 122, 8).

I GIARDINI BONI

L’ archeologo Giacomo Boni agli inizi del Novecento, al termine delle campagne di scavo promosse da Francesco Crispi e da lui dirette, provvide alla sistemazione di quella che rimaneva l’ultima porzione degli Orti Farnesiani dove realizzò aiuole delimitate da siepi di bosso. In seguito qui venne sepolto.

Il roseto venne costituito negli anni Sessanta. I pochi esemplari di rose più annosi risalgono a quel tempo, mentre le attuali integrazioni sono state fatte scegliendo varietà dif-fuse nell’Ottocento.

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ORTI E GIARDINI. NEL CUORE DI ROMA ANTICA

A differenza dell’antica Pompei, seppellita dalla violenta eru-zione del 79 d.C., non è possibile conoscere mediante speci-fiche indagini di laboratorio quali piante ornassero i giardini del Palatino.

Le notizie che abbiamo a disposizione sono quindi essen-zialmente iconografiche e letterarie anche se possiamo tro-vare qualche occasionale riscontro nei reperti vegetali carbo-nizzati rinvenuti in area vesuviana, senza tuttavia dimenticare che Pompei era una piccola città di provincia e che i dati da essa provenienti sono fermi al I sec. d.C.

Il lunghissimo periodo, che dall’età regia a quella imperia-le ha visto fiorire i giardini del Palatino è segnato dalla succes-sione temporale dell’acclimatazione di nuove specie prove-nienti dalle terre che venivano via via conquistate.

Mutamenti altrettanto profondi della flora locale si ebbe-ro nel XVI sec. ad opera delle specie importate dalle Ame-riche e nel XVIII sec. con l’espansione del dominio inglese verso Oriente e di tutto questo danno testimonianza gli spazi verdi del Palatino.

IL VERDE DALL’ETÀ REGIA ALL’ETÀ REPUBBLICANA (754 A.C. - I I SEC. A.C.)

I giardini antichi del Palatino, anche se nell’età imperiale si estendevano ad occupare ampie zone del colle, sono an-cora scarsamente noti, trascurati rispetto agli aspetti propria-mente architettonici e funzionali dei palazzi imperiali.Eppure il verde, sul Palatino, occupò una parte rilevante fin dalla fondazione della città: sappiamo che verso il Circo Massimo, fino al tempo di Cesare esisteva un corniolo, che si diceva nato dall’asta che Romolo aveva scagliato dall’Aventi-no per la fondazione di Roma (Plutarco, Romolo, 20).

La più antica area verde del Palatino è quella della domus del ricchissimo Vitruvio Vacco che, condannato nel 330 a.C., vide la sua proprietà dichiarata suolo pubblico e lo storico Li-vio riferisce che ancora al tempo di Cicerone esistevano sul Palatino questi spazi verdi (38,19,4).

Nel II secolo a.C., dopo che la conquista della Grecia aveva creato un clima culturale sensibile alla natura, a Roma ai primitivi horti, coltivati per la produzione di frutta e verdura, si sostituirono giardini veri e propri, ricchi di scul-ture, piante e fiori.

IL PERIODO DELLE ORIGINI

Come ricorda Plinio, “nelle XII Tavole che contengono le no-stre leggi non si trova mai menzione della villa, ma sempre, con questo significato, dell’hortus, e dell’heredium nel senso di hortus” (Storia Naturale, 19, 49-50).

Nella Roma arcaica, dunque, il “giardino” era uno spazio verde coltivato con piante utili all’economia familiare: albe-ri i cui frutti potevano essere facilmente conservati perché a guscio duro, come noci, noccioli e mandorli, o anche sec-chi, come fichi, uva, pere e mele, ortaggi, soprattutto cavoli, e piante utili alle diverse necessità della vita quotidiana: da quelle medicinali – la malva, il papavero, la camomilla, la sal-via e il rosmarino, per citare quelle più comunemente usate – a quelle utili a intrecciare corone da usare nei riti e nelle ce-rimonie sacre come mirto ed alloro.

I GIARDINI NEL I SECOLO A.C.

Il Palatino, divenuto zona residenziale esclusiva, nel corso del I secolo a.C. fu in gran parte occupato da lussuo-se dimore, tra cui si distingueva quella dell’oratore Lu-cio Crasso, notevole per i suoi maestosi bagolari (cel-tis australis) “lussureggianti per il rigoglio dei rami che facevano un’ampia ombra”. Erano proprio questi alberi il valore più grande dell’abitazione, tanto che Domizio Eno-barbo offrì a Crasso sei milioni di sesterzi per acquistare la domus. Questi bagolari esistevano ancora al tempo di Pli-nio (Storia Naturale, 17,3-6) e furono distrutti dall’incendio di Nerone.

Nelle case che la ricca borghesia aveva sul colle c’è da rite-nere che le aree verdi si concentrassero nei peristili, che erano di dimensioni ridotte, considerata la densità di abitazioni sul Palatino nel I secolo a.C. Sappiamo però che la casa di Cice-rone aveva una ambulatio, cioè un viale per passeggiare (Ad Attico, 2, 4, 7), e “offriva tutti i piaceri che possono dare i giar-dini” (Al fratello Quinto, 3,1,4). Il giardino, parte integrante dell’architettura, era strettamente legato alle attività quoti-diane, come il lavoro e lo svago.

LA STORIA

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I GIARDINI DI ETÀ TARDO REPUBBLICANA

Con il contatto con il modo greco, l’hortus si trasformò in uno spazio delimitato all’interno della casa, il peristilio, ma Plinio fu il primo a distinguere i “giardini” intesi nel senso di “orti”, dai roseti e dai “giardini ornamentali” (Storia Natura-le, 18, 242).

In questo periodo, come testimoniato da Cicerone (Al fratello Quinto, 1,55) che raccontava al fratello dell’abilità del suo giardiniere che aveva ricoperto di edera la terrazza della sua villa così da dare l’ impressione che fossero le stes-se statue ad abitarla, si diffuse la moda di rivestire supporti sagomati in forme diverse, o intere pareti con piante dai rami flessibili, quali ad esempio edere o pervinche.

Ai comuni giardinieri, intesi nel senso di “ortolani”, ven-nero dunque affiancati i “decoratori di giardini”, ovvero i celebrati topiarii, la cui arte consisteva nel dare forma alle piante.

I GIARDINI NEL PERIODO IMPERIALE

Secondo Plinio (Storia Naturale, 12, 13), a inventare “l’arte di tosare i boschi in varie fogge” fu Gaio Mario, amico di Augusto: l’ars topiaria fece dunque un ulteriore passo in avanti, questa volta utilizzando la potatura per realizzare forme e forge diverse “di ornamento per giardini: scene di caccia, flottiglie di navi e altre figure.” Oltre al cipres-so (ibid., 16, 139), erano usati il mirto, il bosso, la “barba di Giove” (Anthyllis barba-jovis: ibid., 16, 76), “l’alloro di Taso” (Ruscus aculeatus, il pungitopo: ibid., 15, 130).

Le specie utilizzate per ornare i giardini continuavano a es-sere quelle della flora autoctona, come del resto confermano le pitture provenienti dalla casa di Livia “ad gallinas albas”: melograni, viburni, oleandri, cotogni, rose affollavano aiuole delimitate da grillages di canne.

Con l’ espandersi dell’Impero arrivarono nuove specie, tra cui i peschi, i limoni e i ciliegi, e si diffuse anche l’ uso delle serre inventate dai giardinieri di Tiberio.

Negli anni successivi l’elemento architettonico prese il so-pravvento: i vastissimi peristili ornati di statue racchiudevano ninfei che davano all’acqua un ruolo fondamentale, esalta-to dal bianco dei marmi e dagli artifici creati dagli zampilli, mentre gli elementi arborei e arbustivi restavano di quinta alla scenografia.

IL PERIODO AUGUSTEO (27 A.C.-14D.C.)

In età augustea non vi era domus importante che non avesse il suo giardino. Nella casa di Augusto oltre ai peristili ornati di piante, fiori e vasche, anche la terrazza chiamata “ Siracusa”, dove Augusto amava appartarsi secondo Svetonio (Augusto, 72), doveva essere collegata con un giardino.

L‘importanza dell’arte dei giardini sotto Augusto è con-fermata dalla quantità di dipinti con alberi, fiori e paesaggi, trattati con arte raffinata e sapiente: fu proprio un pittore dell’età augustea, Studius o Ludius, l’inventore della pittura di giardino (Plinio, Storia Naturale, 12, 13 e 35, 116).

Nella Casa di Augusto segnaliamo la stanza detta ‘dei festoni di pino’, con rami e pigne disposti come ghirlan-de tra gli elementi architettonici. Nella Casa di Livia torna lo stesso schema del colonnato e dei pilastri lignei, tra i quali sono appesi festoni lussureggianti di foglie e di frutta, legati da nastri.

Anche intorno al tempio di Apollo, dedicato da Augusto nel 28 a.C., sappiamo da Solino (I,8) che c’era un’area siste-mata a bosco.

I GIARDINI IN ETÀ GIULIO-CLAUDIADA AUGUSTO A NERONE (14 – 54 D.C.)

Gli scavi effettuati a partire dal 2000 sul piano alto della Domus Tiberiana, a livello degli odierni Orti Farnesiani e nelle sottostanti gallerie interrate, hanno finalmente per-messo di ricostruire l’architettura del piano nobile del Palazzo, che sotto Tiberio, Caligola e Claudio era occupato da un ampio portico colonnato e da una grande vasca-ninfeo, che presenta diverse ristrutturazioni, ma la cui fase di impianto si deve attribuire a Tiberio.

Il rinvenimento di un condotto di piombo per l’adduzione dell’acqua, che reca inciso il nome dell’imperatore Claudio, non lascia dubbi sul fatto che non furono gli imperatori flavi, e neppure Nerone, a dare per la prima volta monumentalità al palazzo imperiale del Palatino, e a dotarlo di fontane e giar-dini, ma i loro predecessori della famiglia giulio-claudia. L’e-sistenza di giardini nel palazzo di Tiberio è del resto attestata dalle fonti latine: Flavio Giuseppe narra che Erode Agrippa fu incatenato a un albero – forse non l’unico – davanti alla Domus Tiberiana; le iscrizioni confermano l’esistenza di giar-dinieri e addetti alla cura del verde : topiarius e vilicus Domus Tiberianae.

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L’ETÀ DI NERONE (54-68 D.C.)LA DOMUS TRANSITORIA

In età neroniana le dimensioni e l’architettura dei giardini si svilupparono enormemente, così come pure i criteri costrut-tivi e l’urbanistica stessa della città.

Nerone, ad imitazione dei sovrani ellenistici, scelse il lin-guaggio della ricchezza e della sontuosità –espresso in parti-colare nei giardini, che univano un’aura di sacralità naturale alla grandiosità delle architetture – per impressionare il popo-lo e dare una giustificazione al proprio potere assoluto.

Anche per la prima residenza di Nerone sul Palatino, la Domus Transitoria, vale la famosa descrizione di Svetonio (Nerone 31) della Domus Aurea e dei suoi giardini che oc-cupavano una grande parte della città: lo scrittore latino si deve soprattutto riferire agli edifici del Palatino. Le ricche co-struzioni rivestite di marmi colorati e di raffinate decorazioni pittoriche, visibili sotto la Domus Flavia, appartengono alla Domus Transitoria di Nerone e sono in gran parte riferibili ad aree aperte connesse con giardini, vasche e giochi di acqua.

IL PALAZZO DEI FLAVI (69-96 D.C.)

Il palazzo di Domiziano sulla sommità del Palatino susci-tò enorme impressione sui contemporanei, come attesta-no le lodi degli scrittori del tempo. Marziale fa un preci-so riferimento agli alberi e ai giardini del palazzo quando dice che Domiziano “possedeva intere selve di allori, platani e pini” (XII,50,1 ss.). Molte iscrizioni del Palatino citano i giar-dinieri e agli addetti alle diaetae (ambienti all’aperto).Nella domus flavia – la parte pubblica della residenza – il giar-dino si estendeva principalmente all’interno del grande peristi-lio occupato dalla fontana ottagonale, presso il triclinio chia-mato Coenatio Iovis. Le Coenationes, cioè i grandi banchetti in prossimità di giardini e fontane, erano assai frequenti nei palazzi imperiali (Plutarco, Lucano, 41,7).

Nella Domus Augustana -la parte privata dell’edificio – sia il peristilio inferiore, che presenta al centro una grande fonta-na con motivo a pelte ( gli scudi delle Amazzoni), che il peri-stilio superiore – articolato intorno a un vasto bacino conte-nente un tempietto su podio- avevano estese zone di verde e di fiori. Anche un altro importante settore del palazzo, il c.d. Stadio, spazio rettangolare allungato, era in realtà un grande giardino con fontane, aiuole e splendide sculture.

LA EX VIGNA BARBERINIE I SUOI GIARDINI

Sulla vasta terrazza della ex Vigna Barberini, limite orienta-le del Palatino verso la valle del Colosseo, gli scavi effettuati in collaborazione con l’École Française de Rome dal 1985 al 1997 hanno evidenziato numerosi viali di giardino dislocati sull’ampia spianata, oggi reinterrata, come si vede nel plasti-co ricostruttivo.

Un passo di Filostrato (Vita di Apollonio di Tyana, 8,42) attesta l’esistenza sul Palatino, al tempo di Domiziano, degli Adonaea, i giardini creati dagli Assiri in ricordo della morte di Adone: le statue del dio morente e di Venere erano cir-condate da piante in vaso che rapidamente crescevano e ra-pidamente morivano, a simbolizzare l’esistenza effimera di Adone. In effetti i giardini scavati sulla Vigna Barberini sono caratterizzati proprio dalla presenza di piantumazioni in an-fore spezzate, utilizzate come vasi, che avevano il vantaggio di limitare la crescita delle piante ed evitavano la dispersione dell’acqua, mantenendo la terra umida. Anche se mancano conferme derivanti dai dati di scavo, l’ipotesi che i giardini di Adone si trovassero su questa terrazza del Palatino continua ad avere numerosi sostenitori.

DAI GIARDINI DEL PALAZZO IMPERIALE AGLI ORTI FARNESIANI

La destinazione della terrazza della Domus Tiberiana a giar-dino pensile è attestata anche dopo gli imperatori giulio-claudi: gli scavi infatti hanno dimostrato che non solo con gli imperatori flavi e con Adriano, ma per tutto l’impero i giardini continuarono a caratterizzare l’architettura del sito, sia pure in forme e disposizioni differenti. Nel Palazzo imperiale essi erano parte integrante del disegno architettonico, come at-testa la simmetria e l’assialità delle disposizioni, la cura degli allineamenti, la fusione con gli elementi più propriamente costruttivi.

Come i sovrani ellenistici, anche gli imperatori volevano che le loro residenze palatine fossero ornate di giardini splen-didi, che contribuissero con la loro magnificenza a legittimare la sacralità del potere autoritario. La destinazione a giardino, fin dalle origini, di gran parte del Palatino, in particolare della Domus Tiberiana , era in qualche modo nota anche ai Far-nese quando, intorno alla metà del Cinquecento, il cardinale Alessandro, nipote di papa Paolo III, nel suo collegamento ideale con l’antico decise di impiantare i suoi rigogliosi giar-dini sul Palatino.

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L’ORTO FARNESIANO

Dal punto di vista botanico l’opera più significativa realizzata dai Farnese nell’area del Palatino fu l’allestimento dell’Hor-tus impiantato secondo un criterio collezionistico moderno, non più legato cioè alla raccolta dei “semplici” finalizzata alla didattica farmaceutica.

La ragione fu suggerita dal tumultuoso arrivo di nuove specie soprattutto dalle Americhe: questo fece sì che l’Orto Farnesiano assumesse ben presto un importante ruolo scien-tifico, testimoniato dagli studiosi e dagli accademici del tem-po, e il primato di primo orto botanico del mondo moderno.

La direzione degli Orti fu affidata dal Cardinale Odoardo Farnese a Tobia Aldini, suo medico, che nell’“Exactissima de-scriptio rariorum quarundam quae contenintur Romae in Horto Farnesiano”, scritta forse insieme a Pietro Castelli, responsa-bile dell’Orto Vaticano, descrisse con la cura scientifica, che quel tempo permetteva, alcune specie che vi si coltivavano, come l’acacia farnesiana o “gaggia”, l’agave, la yucca, la passi-flora, mentre altre, come il topinambur, furono citate in altri testi coevi come ad esempio l’Ekphrasis dell’Accademico Lin-ceo Fabio Colonna.

I GIARDINI BONI

I cosiddetti giardini Boni furono allestiti agli inizi del Nove-cento a completamento delle campagne di scavi promosse per riportare alla luce le dimore imperiali del Palatino e che portarono alla quasi completa distruzione dei giardini farne-siani. Giacomo Boni voleva celebrare l’antica flora romana testimoniata dai classici rinnovando il fasto dell’orto seicen-tesco: piantò cipressi, lauri e bagolari e costituì un vasto ro-seto riproponendo la partitura degli antichi spazi con siepi di bosso.

Il tentativo, tuttavia, riuscì solo in parte per l’immissione di specie certamente estranee all’antica flora romana e frutto delle importazione di nuove specie soprattutto dall’Oriente a seguito dell’espansione del dominio inglese come le peonie, le ortensie, le camelie o i lillà, per cui attualmente la flora del Palatino è caratterizzata da moltissime specie importate da Paesi diversi in epoche diverse.

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CASINA FARNESE — LA MOSTRA

L’IMPIANTO ARCHITETTONICODEGLI ORTI FARNESIANI

Fra XIII e XVI sec., già teatro nel medioevo di scontri fra po-tenti famiglie romane, il Palatino scompare dalle cronache e si ricopre di vigne e giardini.

F ra questi gli Orti Farnesiani, creati (1542-1560) sopra la Domus Tiberiana e la Domus Flavia, da Alessandro Farne-se, cardinale nipote di papa Paolo III. Sul Campo Vaccino era un prospetto bastionato, chiaro rinvio alla Roma Quadrata, affacciato sul percorso trionfale degli imperatori, calcato nel 1536 da Carlo V in visita a Paolo III. Alle spalle del portale era il buio vestibolo, in contrasto con la luce trionfante nel Teatro d’ingresso, detto anche “Ovato dell’Androne”, con nicchie, sotto le quali zampillavano getti d’acqua, che ospitavano sta-tue antiche. Da qui partiva l’ascesa alle terrazze superiori, per tre ordini di scale, cordonate e passaggi. Prima tappa il Ninfeo della Pioggia, stanza sotterranea con una fontana incrostata di tartari, sul modello degli antichi Nymphaea. Poco a nord era la Palazzina, solo edificio residenziale degli Orti: da qui lo sguardo spaziava sul Foro, dal Campidoglio alla Basilica di Massenzio, al Colosseo e al Laterano, fino ai colli Albani. Al terzo ripiano un prospetto monumentale col Teatro del Fon-tanone nasconde i retrostanti ambienti – sostruzioni della Domus Tiberiana – che sono basamento delle Uccelliere: due padiglioni, in apparenza gemelli, al sommo dello scenografico insieme di terrazze, rampe, viali e criptoportici. Un crescendo culminante in uno dei più superbi panorami della città, acme della visita ed elemento di maggior spicco della composizio-ne. Al di là di esse, il geometrico giardino superiore, spartito da viali e riquadri bordati da siepi, dove l’architettura si risol-veva nel disegno del verde.

LE TRASFORMAZIONI DEL GIARDINO

Oltre una fascia dove si fronteggiavano il “boscho” di sem-preverdi e l’aiuola delle rarità vegetali, si stendeva il raffinato giardino all’italiana, dove variazioni dell’architettura del ver-de articolavano la regolarità dell’impianto a scacchiera.

A ovest era un basamento a scarpa, ben conservato, oggi in grado di risuggerire il muraglione sul Campo Vaccino. In origine passeggiata pensile con pergola e piante in vaso, ebbe in seguito il filare di cipressi visibile nella veduta del Falda. Al centro d’una corona di platani era la fontana che ospitò (1693-1699) il Bosco Parrasio e l’Arcadia. L’acqua alimentava il sottostante Ninfeo e le Peschiere, con pesci e altre creature acquatiche. I progetti napoleonici di parchi pubblici e prome-

nades, con viali e aiuole sulla sommità e aspetto naturalistico sulle pendici, ispirati ai modelli diffusi all’indomani della Ri-voluzione, non si realizzarono. Il Rosa, che scavò per Napo-leone III, arricchì le parti non scavate, facendone uno sfondo per i ruderi e per rendere più piacevole la visita. Non un ripri-stino rinascimentale, ma un embrionale parco archeologico, con nuovi viali e percorsi; giovani alberi e arbusti ornamen-tali, aiuole fiorite e tappeti erbosi; piante in vaso su terraz-ze e balaustrate. A occuparsi del giardino riprese Giacomo Boni, che reintrodusse esotiche a ricordo dell’Orto Botanico dell’Aldino e – con la scorta di autori latini e affreschi di Pom-pei e del Palatino – ricostruì la “flora classica” e il suo vivaio. A lui si deve l’impianto attuale, che vede, accanto a specie della tradizione nostrana, esemplari di Cedrus deodara, Bra-chychiton populneum, Sequoia sempervirens, Cinnamomum glanduliferum.

L’ALLONTANAMENTO DELLA FAMIGLIAE IL SACRIFICIO DEL GIARDINO

I Farnese si estinsero con Elisabetta, andata sposa a Filippo Vdi Borbone. I giardini furono dati in affitto e trasformati in azienda agricola. Cipressi, allori e lecci furono rimpiazzati da viti e carciofaie.

Restavano viali e aiuole, ma senza filari d’alberi o siepi ai bordi. Le costruzioni divennero abitazioni, depositi e pollai. Il complesso perse l’aura di giardino rinascimentale, benché la sua decadenza, gradita al gusto romantico, ne serbasse il fascino, cui si aggiungeva quello dei resti nel sottosuolo. I primi scavi si devono al Bianchini (1720), con la scoperta del Lararium, dell’Aula Regia e della Basilica, e il ritrovamento dei colossi dell’Ercole e del Diòniso Farnese. Un’ultima ipo-tesi di giardino fu il progetto (1809-1814) di L. M. Berthault per il “Jardin du Capitole”, che collegava Colosseo e Cam-pidoglio, e fra l’altro reinterpretava in veste neoclassica le Uccelliere, private dei tetti a pagoda e saldate da un corpo centrale. Acquistato nel 1861 da Napoleone III per condur-vi scavi, il complesso vide una profonda metamorfosi, che preludeva al parco archeologico in cui fu trasformato dopo il 1870 coi grandi scavi del Lanciani. La superficie a giardino fu drasticamente ridotta e il disegno quasi cancellato. Il lato nord fu raso al suolo, il portale smontato e le sue parti con-servate (un’anastilosi realizzata settant’anni dopo ne fece l’accesso monumentale al Palatino). Terrazze, rampe e viali furono demoliti; al termine dei lavori erano tornati in luce il fronte della Domus Tiberiana, la “Via Nova” imperiale e gli ambienti circostanti.

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LA CASINA FARNESE

Il muro di cinta che costeggia la via San Bonaventuraproseguiva in direzione sud separando la proprietà Farnese dagli Stati-Mattei.

In questa zona, dove gli scavi hanno rimesso in luce le preesistenze archeologiche, le testimonianze farnesiane sono scomparse, ad eccezione del Casino del Belvedere, isolato nei pressi del ninfeo occidentale della Domus Flavia. È probabile che un edificio più semplice fosse in una delle vigne acqui-state dal cardinale Alessandro. Alle trasformazioni operate dopo l’acquisto e l’inserimento nel complesso farnesiano ap-partiene il doppio ordine di loggiati ad ovest, orientato verso San Pietro, decorato dai dipinti a “grottesche” e con soggetti mitologici legati all’araldica della famiglia Farnese. La Casina, che utilizzava le strutture antiche nel sottosuolo come fon-dazioni, non aveva carattere abitativo. Era un “punto d’ap-poggio”, destinato a brevi soggiorni, visite, appuntamenti ga-lanti, colloqui segreti, ma soprattutto per l’osservazione del panorama. Nei documenti è ricordata come Casino “della Veduta” o “del Belvedere”. In un disegno di Charles Percier la Casina presenta un prospetto porticato, veste che trova confronti con altri similari, come la “Vignola Boccapaduli”, oggi in piazza di Porta Capena. Un recinto murario anch’esso fondato sui resti antichi proteggeva da sguardi indiscreti il cir-costante giardino segreto.

LE PITTURE DELLA CASINA FARNESE

La decorazione segue l’architettura, scompartita in pan-nelli. Nella volta di ogni loggia il riquadro centrale narra la leggenda di Ercole e Caco: nella superiore Caco nasconde i buoi rubati a Ercole; nell’inferiore Ercole uccide Caco.

Nel resto prevalgono le grottesche: ai lati dei riquadri sono raffigurate imprese farnesiane, la cui iconografia (“la vergine con il liocorno” e “la freccia che centra il bersaglio”; “la nave degli Argonauti” e “Pegaso”) si deve ad Annibal Caro. Sopra l’architrave della porta, al piano inferiore, è riconoscibile Ca-prarola, possesso dei Farnese. Sulle pareti lunghe è un gran-de paesaggio, ancora leggibile nella loggia inferiore, quasi scomparso nella superiore.

Le grottesche delle due logge sono di scuole diverse, stili-sticamente e tecnicamente. In basso sono di mano esperta ma veloce, abituata al lavoro di bottega; nella superiore invece è più esigente e meditativa: gli arabeschi floreali, le figurine, i mascheroni e gli altri elementi figurativi sono raffinati, tanto nell’esecuzione che nella scelta dei soggetti, come l’inedito elegante motivo della testa binata in chiave.

Una lettera di Fulvio Orsini al cardinale Alessandro (1577) rivela il nome dei pittori scelti per la decorazione: “Silvio scholaro di Taddeo” (Zuccari), identificabile nella loggia inferiore, e “Pasqualino di Livio da Forlì”, non meglio iden-

tificato, cui si deve forse la superiore. Il riquadro della volta superiore, di mano scadente, in contrasto col resto, potreb-be ricondursi a quel “Gio. Paolo da Pesaro”, che sappiamo essere escluso dalla selezione perché non all’altezza, ma poi recuperato perché raccomandato al Cardinale dall’influente fratello Rocco.

La superficie dipinta appare ricoperta da strati di depositi carboniosi e “croste nere”, concentrate sulla cornice in stuc-co. Ampie zone, erose dall’azione degli agenti atmosferici, sono letteralmente scomparse. Le infiltrazioni d’acqua han-no provocato depositi di carbonato di calcio che ha fissato gli strati di sporco. Sono presenti macchie di umidità, in parti-colare negli angoli della volta superiore, a causa del ristagno d’acqua sul pavimento soprastante. La parete destra e parte di quella d’ingresso in basso sono coperte da una tinta aran-cione, forse a base di caseina. Vento, sole e pioggia hanno completato l’azione di degrado. Un tale “Anacleto Ferri” nel 1794 firma e data, con iscrizione a lapis sulla volta inferiore, un intervento di restauro. Graffiti e scritte sono presenti su tutte le superfici dipinte, in particolare sul grande paesaggio in basso. Si osservano estese stuccature cementizie e conso-lidamenti dell’intonaco per mezzo di grappe in rame (31 nella volta superiore e 4 nell’inferiore) e in ferro (3 nell’inferiore). L’uso di silicato di sodio per consolidare la pellicola pittorica spiega gli aloni scuri sulle ghirlande nelle volte e nelle grotte-sche dei pilastri.

A seguito degli interventi preliminari (2007-2008), nel 2012 ha preso il via un intervento per il restauro di entrambe le logge, con il finanziamento del World Monuments Fund. I lavori prevedono la rifinitura dei consolidamenti dell’in-tonaco e della pellicola pittorica; la pulitura mediante varie metodologie d’impacco; la rimozione delle sovrammissioni, delle grappe e delle malte cementizie; la stuccatura e la pre-sentazione finale.

LA DOMUS TRANSITORIA

Sotto questa parte della Domus Flavia è situato uno spazio originariamente aperto facente parte della precedente Do-mus Transitoria neroniana.

Si trattava di un lussuoso padiglione con una fontana or-nata di nicchie e di particolari strutture “a gradini” per la ca-duta dell’acqua che hanno fatto ipotizzare si trattasse di una diaeta su una terrazza che Nerone si era fatto costruire per rinfrescarsi e godere del suono dei giochi d’acqua. Con tutta probabilità riferibilia un ambiente porticato del piano supe-riore del palazzo di Nerone sono anche il magnifico pavimen-to a intarsio di marmi colorati e le fondazioni in travertino delle colonne. In vicinanza, lavori di scavo hanno evidenziato sistemi di impermeabilizzazione – oggi reinterrati – tipici delle zone di giardini che dovevano estendersi intorno.