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J o r r i tTornquistallo studio G.R.

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Finito di stampare nel mese di Maggio 2012

presso le Grafiche De Bastiani - Godega di S. Urbano - TV

© Dario De Bastiani Editore, Vittorio Veneto 2012

ISBN 978-88-8466-269-9

A cura di:

Studio d’Arte G.R.

Coordinamento scientifico:

Alberto Pasini

Coordinamento tecnico:

Maria Lucia Fabio

Direzione:

Ugo Granzotto

Testi in catalogo:

Giovanni Granzotto

Elsa Dezuanni

Alberto Pasini

Cortney Lane Steel

Fotografie:

Archivio Studio G.R.

Archivio Tornquist

Trasporti:

Fabio Ianna

Flavio Fasan

Un particolareringraziamento a:

Antonio, Fiorenzo,

Gaspare e Giancarlo Lucchetta

Rosella Tornquist

Si ringraziano:

Flavia Artico

Duilio Dal Fabbro

Galleria Poliart

Giorgione

Renzo Limana

Anna Mascorella

Daria Patrucco

Massimo Pignat

Ennio Pouchard

Anselmo Villata

Progetto grafico:

Ketty Gallucci

1 giugno - 29 luglio 2012

Studio d’Arte G.r.Viale Zancanaro, n. 44 - Sacile - PN

Studio d’Arte G.R. - Sacilewww.studioartegr.com

Con il sostegno di:

Lo sponsor

Il colore come

interpretazione della natura

di Alberto Pasini

“Biasi e Tornquist:

L’arte oltre le intenzioni”

di Giovanni Granzotto

Jorrit Tornquist:

L’intersezione tra colore e pensiero

di Cortney Lane Stell

OPERE

Le origini

Opus, senza titolo e luci 1964-1980

Pieghe sfumature e stracci anni ’80 e ’90

Ultimo periodo

Cenni biografici e

percorso artistico

di Elsa Dezuanni

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Dal 1985 il Gruppo Euromobil ha caratterizzato tutta la propria attività accompagnando-

la alla promozione dell’arte moderna e contemporanea. Motivato e sostenuto dalla per-

sonale passione e sensibilità dei fratelli Lucchetta, titolari dell’azienda, l’intervento si è

gradualmente articolato e differenziato nel tempo: dal sostegno all’attività espositiva di

artisti contemporanei, al contributo alla realizzazione di importanti rassegne storiche, alla

produzione editoriale.

Il prodotto di Industrial design del Gruppo, d’avanguardia nelle linee e nella scelta dei

materiali, trova il suo naturale partner comunicativo nell’arte contemporanea, campo nel

quale l’innovazione, anche estrema, non rinnega la tradizione.

Antonio, Fiorenzo, Gaspare, Giancarlo Lucchetta

il gruppoeuromobil

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Alchimista, biologo, designer, fisico, professore e anche un po’ artista…Jorrit Tornquist è

noto a livello internazionale per l’originale ricerca, intrapresa oltre cinquanta anni fa, sul

tema del colore. Tale soggetto, già ispezionato fin nei minimi dettagli da numerose correnti

artistiche, è in realtà indagato dal maestro austriaco, non solo attraverso gli ormai abusati

studi prettamente tonali ed emotivi, caratteristici del settore creativo, ma esattamente sotto

la guida specifica di ognuno degli appellativi attribuitogli all’inizio del periodo precedente.

Come biologo studia i fattori che determinano la percezione del colore, analizza gli ele-

menti del regno naturale ed animale e il loro rapporto con le varie tinte, le mutazioni, le

interazioni, il mimetismo e ogni particolarità che la natura e gli organismi viventi possie-

dono in relazione a questo soggetto; forte di tali apprendimenti giunge alla totale padro-

nanza degli effetti possibili e delle proprietà del pigmento. Grazie al coinvolgimento con il

mondo del design infonde all’elemento cromatico una dimensione quotidiana, in grado di

dialogare continuamente con la vita e le abitudini i tutti i giorni; e proprio tale particolarità

avvicina le sue produzioni alla cultura popolare, le rende più semplici da comprendere e,

dall’altro lato, ne fa prevedere il risultato. Un altro aspetto fondamentale è quello di fisico-

scienzato, attraverso questo l’artista è in grado di conoscere le innumerevoli reciprocità

che si vengono a creare tra gli agenti esterni e il colore stesso, primo di tutti la luce; tale

nozione risulta di fondamentale importanza per la creazione di opere d’arte in grado di

interagire e di rapportarsi con l’ambiente in cui vengono collocate e di modificarsi di con-

seguenza. La qualifica di professore indica poi la riconosciuta padronanza delle teorie che

formano il “comportamento” del colore e la capacità di trasmetterle, nonché di applicarle,

in maniera semplice e stimolante.

Per concludere si è detto, non senza una buona dose di ironia, che Tornquist è anche un

po’ artista, ovviamente è per questo suo titolo che questa mostra è stata organizzata e che

ora stò scrivendo queste righe, ed è esattamente per lo stesso motivo che è conosciuto in

tutto il mondo. La verità in fondo però è che Jorrit risulta solo alla fine essere un artista,

infatti la sua attitudine verso la creatività e l’innata capacità tecnica gli conferiscono la

rarissima possibilità di trasmettere una forma compiuta, e direi, anche decisamente gra-

devole, al colore e a tutte le teorie e sfumature che stanno alla base di questo.

Questa breve descrizione, rappresentativa di questo grande e preparatissimo artista,

appare ovviamente scarna e piena di lacune. Si potrebbero così citare le fondamentali

nozioni di psicologia che permettono di associare ad una combinazione i colori deter-

minate sensazioni, quelle di chimica, che rendono possibile un particolare effetto e una

sfumatura, grazie alla fusione di particolari elementi, o la grande manualità che è richiesta

per la realizzazione di queste opere. Abbiamo inoltre tralasciato le doti di paesaggista e

Alberto pAsini

il colore come

interpretazione

della natura

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urbanista che entrano in gioco nel momento in cui si cimenta nella colorazione di edifici

o monumenti su scala ambientale e persino di interi quartieri. Senza stare a dilungarsi in

elenchi noiosi di qualifiche e definizioni fine a loro stesse, sono convinto che “alchimista”,

il primo appellativo attribuito all’artista, appaia incredibilmente azzeccato; egli infatti, forte

di rigide e fondamentali leggi scientifiche, di altre conoscenze di base ottenute attraverso

lo studio e l’esperienza e per mezzo di materiali d’uso comune, dà forma e vita a raffina-

tissime opere d’arte, apparentemente grazie ad una strampalata magia.

Una simile raffigurazione, che sintetizza idealmente le peculiarità e la compiutezza

dell’artista-scienzato, funge da introduzione ideale a questa completa mostra antologica,

omaggio che lo studio d’arte G.R. dedica a Jorrit Tornquist dopo un decennio esatto di sti-

molante collaborazione. Fino ad ora la “parata” espositiva delle opere dell’artista austriaco

prendeva inizio con la tela origine della luce del 1961, il cui contenuto è perfettamente

sintetizzato da queste righe: -Poi cominciai ad usare materiale bianco, inteso come luce

strutturata. Nel centro del bianco sorgevano intesi come elementi del bianco stesso, i

colori; in modo che dal bianco che simbolizza la luce, potessero nascere colori che sensi-

bilizzavano il bianco stesso, strutturandolo con rientranze e protuberanze, in maniera che

apparisse trasparente-trascendente e così anche captabile come luce. Da questo fondo

originario penetrava colore strutturato1-. Per la prima volta in quest’occasione, tale capo-

lavoro chiuderà la prima sezione della mostra e saranno presentate alcune opere inedite

risalenti alla fine degli anni ’50, che ci aiuteranno a comprendere ancor più approfondita-

mente il complesso iter storico e creativo dell’artista.

Si tratta perlopiù di opere su carta esteticamente complesse e visivamente poco attraenti,

realizzate attraverso l’accumulo di cera e bruciature, collage di carta velina e altri mate-

riali, il tutto armonizzato e reso comprensibile da esili disegni a china e a matita. Queste

composizioni, alla creazione delle quali contribuiscono altre svariate tecniche e materiali,

sono caratterizzate da forme che assumono a tratti l’aspetto di elementi naturali e in par-

ticolar modo vegetali. Questi quadri sono dunque rigorosi studi artistico-scientifici che ri-

coprono il ruolo fondamentale di trait-d’union tra la dura ricerca sperimentale, tipica dello

scienziato-biologo, e quella sublime e raffinata che definisce l’artista. Tale esercizio crea-

tivo funge insomma da anello mancante tra le analisi teoriche e gli insegnamenti appresi

sulla natura, e gli splendidi risultati formali che, proprio con origine della luce, segnano

l’esordio vero e proprio nel mondo dell’arte. Come già accennato, appare ora molto più

chiaro come la natura funga da primaria ispirazione per l’opera di Tornquist, e soprattutto

1 Jorrit Tornquist, Contenuto simbolico, materiale smaterialiazzato da Analysis di una krisis, 1978

come i colori, la relatività di un punto di vista, la luce, primariamente come elemento che

determina il processo visivo, e le più svariate particolarità del mondo bio-chimico, siano

realmente i piloni portanti di un’elegantissima opera d’arte che apparentemente non sem-

bra trovar giustificazione se non in sé stessa.

Giunto a tale primario risultato, Tornquist inizia a sperimentare febbrilmente tutte le poten-

zialità dell’elemento cromatico in relazione alla struttura che definisce il modello dell’ope-

ra: colore e modulo si compenetrano e si fondono insieme dando origine a composizioni

che giocano sulla destabilizzazione visuale del riguardante. Malgrado i numerosi punti in

comune non si tratta comunque di Optical Art in senso proprio, la struttura è infatti pen-

sata non per creare interferenze attraverso l’accostamento di differenti forme geometriche

ma per sfruttare al massimo la possibilità di dialogo e lo studio delle varie tinte.

Superato il periodo della formazione e compiutosi anche il riconosciuto approdo nel mon-

do del jet set artistico, forte dei primi successi avviene il passaggio agli anni’ 70, momento

del primo basilare cambio di tendenza verso un’estetica più intellettuale e minimalista.

Nel decennio precedente la produzione era essenzialmente identificata da due soggetti:

colore e forma (geometrica), ora invece avviene il sostanziale superamento della forma in

favore del colore. Sulla scia delle nuove tendenze di pensiero e delle ultime derive dell’arte

e del disegno industriale, Tornquist semplifica (a livello visivo) la sua produzione a livelli

estremi creando una serie di opere, identificate solo dal titolo opus (“opera” in latino),

che relegano nell’oblio qualsiasi riferimento oggettivo al modulo geometrico così come

ogni estenuato collegamento ai moti dell’anima. Questi dipinti prendono le sembianze

di un quadrato monocromo, a ben guardare però la monocromia è solo apparente e si

percepisce una leggera sfumatura che raggiunge il massimo contrasto tra l’angolo in alto

a sinistra e quello in basso a destra; persino il telaio è sagomato verso l’interno in modo

che non possa in alcun modo interferire con l’opera. Osservando con maggior attenzione,

si nota però che questi opus sono formati da una serie di venticinque quadrati più piccoli,

ognuno colorato a tinta unita ed ognuno accostato ad un altro di colore talmente simile da

non distinguerne la differenza, se non nella visione d’insieme. In altri casi, più rari, i qua-

drati monocromi vengono combinati inserendo quello più chiaro al centro ed ottenendo

una sorta di croce. I colori più frequentemente utilizzati sono l’azzurro, il rosa e il grigio

e rimandano velatamente al cielo da cui prendono ispirazione. L’indicazione dell’artista è

quella di esporli alla luce naturale, in questa maniera è possibile notare un radicale cam-

biamento di tinta al variare delle condizioni luministiche cui è esposto questo schermo di

colore puro, il dialogo con la natura e le numerose variabili presenti in essa contribuiscono

sia alla creazione che alla fruizione dell’opera. Di certo gli anni ’70 non si esauriscono in

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questo ciclo di opere, ma è quello fondamentale e di maggior portata creativa, da cui gli

altri prendono ispirazione.

Scandendo la carriera di Tornquist per fondamentali periodi, esattamente in relazione

parallela alla scelta espositiva divisa in sezioni, è il momento di passare agli anni ’80 e

alle grandi innovazioni che questa fase ha determinato. Dopo le Sfumature, virtuoso ciclo

pittorico che riprende le forti variazioni cromatiche presenti nel cielo al tramonto, o in altre

variabili, Tornquist si rende conto che la superficie pittorica piatta non sembra essere più

sufficiente a contenere tutte le possibilità racchiuse nel colore. Il primo esperimento si

concretizza nella piegatura di un ritaglio di tessuto dalla forma rettangolare su sé stesso,

al fine di ottenere un determinato numero di parti uguali. Ognuno dei rettangoli ricavati,

come nel caso degli opus, è colorato con una tinta differente, spesso viene utilizzata

anche una vernice metallica per accentuare la mutevolezza dell’opera e l’incisività della

sfumatura. La stoffa non è poi fissata ad alcun supporto ma è lasciata svolazzante in

modo da sottolinearne la tridimensionalità ottenuta attraverso le pieghe; queste “garze”

dialogano continuamente con l’ambiente circostante e con la luce che ne modifica la

percezione di continuo. Dopo una serie di nuovi esperimenti, il risultato compiuto è ot-

tenuto attraverso le pieghe, in questo ciclo, poi protratto fino ad oggi, la tela non viene

fatta aderire completamente al telaio ma ne lascia libera una parte ed è arrotolata su sé

stessa dando origine ad una serie più o meno vasta di pieghe. La colorazione della tela

è di norma tendenzialmente monocroma ed assume una vaga sfumatura in prossimità

delle pieghe, queste invece sono impregnate di colore dalle tinte differenti e dalla compo-

sizione metallica. La dura ricerca ha dato i suoi risultati e l’effetto ottenuto è folgorante: la

luce scivola sulla superficie piatta, si modifica in corrispondenza del cambio di cromia ed

inizia a danzare imprevedibilmente quando incontra le nuance mutevoli delle grinze, per

poi spegnersi nel buco lasciato dal telaio vuoto e continuare a comunicare con il sito in

cui è collocata l’opera. Al fine di ottenere differenti effetti, tale produzione è diversificata

attraverso l’accumulo di pieghe che pur non scoprono il telaio o di strappi sulla tela, che

danno origine a nuove forme. Con questa intuizione l’opera, un po’ come nel caso dell’arte

Programmata, è sempre mutevole a seconda del punto di vista, della posizione, della luce

e persino del muro su cui è poggiata, tale spettro di variazioni non ha però bisogno della

collaborazione del riguardante ma esiste fin tanto che esiste l’opera. La similitudine con

la natura, con le increspature dell’acqua provocate dal vento, e la luce del tramonto che

scintilla e gioca a contatto con queste onde, è facilmente riscontrabile. Tali innovazioni

decretano un radicale abbandono di ogni intellettualismo a favore di una formula più

vicina alla vita e alla natura.

Nel periodo successivo continua a sperimentare, portando alle estreme conseguenze

l’idea di tridimensionalità in un’opera da parete e i riferimenti ad una superficie concreta,

naturale e quotidiana. Sono così ideati gli stracci, protagonisti di un ciclo pittorico unico

e attualissimo che fugge dalla bidimensionalità e si avvicina alla vita comune. Un telaio

rinforzato, coperto da una sottile tela di lino neutro, funge da base di appoggio per una

serie di pseudo-corde del diametro di un paio di centimetri, ottenute attraverso l’intreccio

di stracci. Queste sono fissate una accanto all’altra sulla superficie e sono imbevute di co-

lore acrilico che anche in questo caso è pensato per ottenere una ben precisa variazione

cromatica. La caratteristica del materiale, con le sue scavature, le sporgenze, gli spazi che

si formano tra una corda e l’altra, i lembi imperfetti e i fili che rompono la composizione

del piano, si presta perfettamente agli effetti cangianti che offre la luce in corrispondenza

del pigmento; l’effetto è dunque potenziato ma non in termini complessi o accademici, gli

stracci sono infatti un materiale che è talmente d’uso comune da essere comprensibile da

tutti e vicino ad ogni interpretazione. Le tinte e le sfumature non seguono poi uno schema

fisso ma si adattano di volta in volta all’effetto ricercato, concretizzandosi in monocromi

quanto più in virtuosi cangianti multiformi. Un principio molto simile è poi applicato anche

alla cartapesta, trattata in maniera da ottenere un più o meno fitto reticolo dal modulo

quadrato, viene colorata, anche in questo caso senza seguire uno piano fisso, e le tinte

prendono intonazioni variopinte e mutevoli in corrispondenza dei pieni o dei vuoti.

La ricerca di Jorrit Tornquist continua imperterrita ad innovarsi senza tregua così come

la sua produzione avanza e si protrae fino ad oggi, ma credo che a questo punto non

abbia senso insistere su descrizioni forzate, quando un solo sguardo è in grado di chiarire

meglio di molte parole il soggetto trattato. Spero però di avere fornito una chiave di lettura

chiara per l’interpretazione di questa complessa forma d’arte che prende origine dalla

scienza e si avvicina in maniera comprensibile all’uomo e alla vita inseguendo il sogno di

ricreare la natura.

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giovAnni grAnzotto […] Anche per Tornquist la stimolante stagione degli anni sessanta aveva significato il

portare l’elaborazione intellettuale all’interno del mondo fenomenico; ma per lo studioso

austriaco — allora non aveva ancora intrapreso gli intricati sentieri dell’arte — il campo

d’azione era inteso in una visione molto più dilatata, generale, onnicomprensiva; ed il pia-

no operativo era quello di scandagliare i valori e le misure della luce per poter riconoscere

tutti i portati dello spettro cromatico, e conseguentemente poterne elaborare una strategia

operativa, di comunicazione e di soddisfazione sensoriale. Davvero Tornquist, per strade

molto rigorose, stava battendo l’altro versante della “gestalt”, quasi in bilico fra scienza

e utopia, in una crescente perlustrazione del crinale sottile della percezione cromatica,

delle sue componenti strutturali e delle sue mutevoli manifestazioni. L’ambizioso progetto,

in parte comunque realizzato con lo sviluppo della sua ricerca, di costruire una teoria

sperimentale sulle regole fondanti la definizione dei rapporti fra i pigmenti e su quelle

sottostanti alla loro manifestazione, e, inoltre, sulle modalità della percezione del colore,

sulle sue possibilità espressive e sulle sue potenzialità nell’influenzare la psicologia indivi-

duale, non prevedeva inizialmente digressioni nel mondo della creatività. Le prime opere

pittoriche di Tornquist, datate inizio anni sessanta, nascevano infatti come testimonianza

empirica, soggette però a coordinate di ordine strettamente scientifico, dei suoi studi e

delle sue teorizzazioni. Tutti gli Opus ed i Senza titolo di quei primi anni sessanta, anche

quello in bianco e nero del 1965, presente in mostra — dove comunque i due colori non

esprimono una condizione ed una manifestazione neutra, bensì un preciso passaggio

percettivo — inizialmente non aspiravano alla dignità di opera d’arte, e nemmeno a quella

proto artistica di oggetti d’arte. Si limitavano a testimoniare, ad offrirsi come delle dimo-

strazioni, come degli esempi concreti. […]

Dunque, come avevamo già notato, pur con premesse molto lontane — Biasi era tentato

da una fenomenologia empirica che doveva guidarlo verso tanti nuovi e liberi approdi;

Tornquist era invece interessato all’edificazione di una teoria generale del colore, soste-

nuta da una ben strutturata impalcatura razionalista, anche se costantemente posta a

confronto con le prove dell’esperienza sensibile — nella prima parte della loro ricerca

entrambi i Maestri si erano disinteressati alle problematiche di natura estetico-formale

dell’opera d’arte; anzi avevano proprio preso le distanze dall’opera d’arte stessa. Ma così

come Biasi aveva mutato rotta in corso d’opera, anche Tornquist, quasi a sua insaputa,

inizia a consolidare un nuovo tipo di rapporto con le testimonianze dirette, concrete, della

sua ricerca: con i suoi dipinti, con le sue tele, con le sue tavole, con i suoi materiali. Pian

piano, il controllato distacco dello studioso e del ricercatore va lasciando il campo ad

una partecipazione più attiva, più emotivamente sostenuta, quasi ammirata, comunque

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fortemente attratta dalle potenzialità espressive ed ammaliatrici dell’opera. Fra Tornquist

ed il prodotto della sua fatica viene istaurandosi un cortocircuito affettuoso, che spinge

infine l’artista a mettere in gioco anche la propria istintività, la propria carica emozionale, e

non solamente la propria dimensione ed il proprio ruolo di osservatore e ricercatore. Ecco

sopraggiungere in opere come Riflessi, e altre, la materia, la distonia cromatica, perfino il

gesto! E poi i materiali, tessuti, gesso, cartapesta, tutti supporti, elementi funzionali a far

affiorare le prerogative, le costanti, le potenzialità e le sorprese del colore, si trasformano

anche in occasioni per un rapporto sempre più personale e coinvolgente fra l’artista ed

il suo manufatto. Quando poi Tornquist inizia il ciclo, estremamente ricco e articolato,

delle Pieghe, allora la partecipazione fra l’artista e l’opera si fa particolarmente eccitante.

Entrano in scena le pulsioni sensoriali ed emotive, le attrazioni e le curiosità per aspetti

della vita quotidiana e della cronaca, che diventano spunti per una operazione artistica

capace di coniugare il colore nella sua versione tattile e materica, con inquadrature della

realtà atemporali, scenografiche, letterarie, tese a procurare un particolare senso di stra-

niamento in chi le osserva. Anche con Tornquist, dunque, il filo rosso dell’arte ha concluso

il proprio percorso di avvolgimento e conquista.

da: “biasi e tornquist: l’arte oltre le intenzioni”

Catalogo mostra “Alberto Biasi - Jorrit Tornquist”

Treviso - Musei Civici di Santa Caterina

Cortney lAne stell

Jorrit tornquist:

l’intersezione

tra colore e pensiero

La musica potrebbe essere il linguaggio universale, ma il colore è qualcosa di molto

più infinito laddove si lega alla psiche umana. Lo sviluppo delle nostre retine deter-

mina la tavolozza che usiamo per dipingere, e i filosofi si sono a lungo interrogati

sull’affinità della percezione del colore fra individuo e individuo. Ed è proprio il rap-

porto umano universale con il colore quello che su cui indaga il pittore austriaco Jorrit

Tornquist. I colori che vediamo sono luce riflessa di una ristretta porzione di tutte

le onde luminose elettromagnetiche disponibili; nel momento in cui una particolare

lunghezza d’onda colpisce la retina del nostro occhio, vediamo quella precisa sensa-

zione di colore. Mentre non possiamo vedere se non una porzione dell’intero spettro

luminoso, ciò che abbiamo fatto con il nostro cerchio cromatico unico è altrettanto

profondo quanto il cerchio stesso. Gli ultimi cinque decenni di pittura di Tornquist

agiscono come un prisma, esponendo la luce nelle sue parti separate e indagando il

nostro rapporto con il colore.

Jorrit Tornquist: L’intersezione tra colore e pensiero è la prima retrospettiva dell’opera

dell’artista che si terrà negli Stati Uniti. La mostra presenta una selezione di oltre ven-

ticinque opere realizzate dal maestro dal 1959 ad oggi. La prima mostra di Tornquist

negli Stati Uniti si tenne nel 1978 presso il Museo di Arte Moderna di New York.

L’esposizione era composta sia da dipinti geometrici astratti minimalisti che da qua-

dri su tele sagomate. Trentatré anni dopo, questi generi rimangono il punto centrale

della sua opera. L’intersezione tra colore e pensiero segue una disposizione più o

meno cronologica, guidati dai distinti gruppi di opere realizzati da Tornquist nel corso

degli ultimi cinque decenni. La mostra comprende lavori che enfatizza l’intersezione

tra luce e colore, l’abbraccio della struttura della tela (telai), e l’esplorazione delle

tecniche di impasto. Attraverso questi svariati stili, l’opera di Tornquist ha assimilato

teorie metafisiche e scientifiche al fine di descrivere accuratamente ed interpretare le

informazioni raccolte dalla percezione umana della luce e del colore. Noto architetto

e designer di professione, Tornquist trasferisce nella tela anche la sua conoscenza

funzionale in ambito spaziale, cromatico e luministico.

La visione fornita dalla retrospettiva di un’artista non è dissimile da uno scavo ar-

cheologico intrapreso al fine di portare alla luce ed esporre materiali del passato.

Contemplare il lavoro di una vita, bisogna prendere in considerazione il fatto che negli

ultimi cinque decenni vi è stata un’evoluzione nella teoria dei colori. Nella vita di Tor-

nquist, il colore ha visto una miriade di cambiamenti culturali e scientifiche. Egli ha

vissuto le prime trasmissioni della televisione a colori, lo sviluppo di un sistema per la

misurazione quantitativa del colore, nonché la scoperta e lo studio dei coni recettori

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cromatici presenti negli occhi. Tali sviluppi, a loro volta, permeano e dirigono il lavoro

dell’artista.

Nato a Graz, in Austria, nel 1938, tre anni dopo l’invenzione della pellicola Koda-

chrome, Tornquist apparteneva ad una generazione che vide il modo di intendere e

l’uso del colore cambiare drasticamente. Negli anni ‘50 studiò biologia ed architettura

presso l’Università di Graz, una delle maggiori istituzioni di istruzione superiore in

Austria che vanta l’impressionante numero di ben sei vincitori del premio Nobel tra

il suo corpo docente. La sua formazione lo portò a Cagliari e, successivamente, a

Milano, dove ha insegnato la teoria del colore e della luce presso l’Istituto Europeo di

Design (European Institute of Design). Negli anni 1950, in concomitanza con gli studi

biologia, Tornquist dava inizio alla sua esplorazione del colore e della luce attraverso

la pittura.

LE OPERE INIZIALI: i primi lavori di Tornquist si basano su forme strutturali, e più

precisamente sul quadrato. In questo periodo, il colore non era la forza dominante

della tela. Omaggio a Malevich, del 1959, mostra un uso forte della forma per creare

la struttura dell’immagine. In questo dipinto, un grande quadrato nero riempie la tela

nera, circondato da quattro rettangoli marroni. L’opera rende omaggio al Quadrato

Nero, importante creazione del pittore e teorico dell’arte russo, Kasimir Malevich, pio-

niere dell’astrattismo geometrico degli inizi del ventesimo secolo. Ed è la serie radicale

di dipinti di Malevich ad aver liberato i pittori dal loro far riferimento alla realtà esterna,

consentendo agli artisti di concentrarsi esclusivamente sulle forme e i colori puri. Scri-

vendo a proposito della propria motivazione riguardo alla creazione di opere astratte,

Malevich spiegava: “È emersa in me con chiarezza la consapevolezza della necessità

di creare nuove strutture di colore puro basandosi su ciò che il colore richiede ed

anche del fatto che il colore, a sua volta, dovesse passare dalla mescolanza pittorica

ad una unità indipendente, una struttura nella quale sarebbe stato ad un tempo in-

dividuale in un ambiente collettivo e individualmente indipendente.”1 Senza questo

movimento di fondamentale importanza, noto come Suprematismo, Tornquist non

avrebbe potuto sentirsi liberato per esplorare la forma, il colore e la luce come unici

soggetti del suo lavoro. In questo quadro, Omaggio a Malevich, Tornquist reagisce al

Quadrato Nero aggiungendo quattro rettangoli marroni simili nastro agli angoli della

forma minimalista, in maniera tale da far sì che il quadrato nero dia l’impressione di

essere stato applicato alla tela con del nastro, appunto. L’atto di aggiungere del nastro

fa sì che il suo quadro rappresenti qualcosa di più di una semplice immagine di un

quadrato. Qui, Tornquist nega la purezza del lavoro di Malevich e trasforma il quadrato

nero in un oggetto del mondo. Qui, Tornquist trasforma la famosa forma di Malevich

in un oggetto fisico.

Prendendo degli oggetti rappresentativi dalla tela, Tornquist isolava la sua indagine

nelle varie proprietà del colore: valore, lunghezza d’onda e tonalità. Per molti aspetti,

i primi lavori che si concentrano sulla forma, il colore e la luce diventano, in qualche

modo, “immateriali”, trascendendo i limiti della tela e fungendo da composizioni ra-

zionali di colore puro. Successivamente alle sue prime austere composizioni in bian-

co e nero, nel 1959 Tornquist iniziò a concentrarsi sulla fenomenologia del colore

(ciò, proprio mentre l’attenzione del mondo dell’arte americana si stava allontanando

dall’Espressionismo Astratto per orientarsi verso Minimalismo). Gli studi iniziati attor-

no ai vent’anni influenzarono la carriera di tutta una vita dedicata alla ricerca sulla

consapevolezza e gli oggetti dell’esperienza diretta in relazione al colore.

L’opera L’Origine della Luce Opus II, del 1961, è un’analisi descrittiva della luce.

L’opera demolisce tutte le frequenze cromatiche percepibili dall’occhio umano, unifi-

candole a livello centrale attraverso l’utilizzo di uno sfondo di bianco, ovvero il colore

che è il riflesso di tutte le lunghezze d’onda della luce visibile. Collocati contro questo

campo bianco, due anelli di quadrati multicolori si irradiano da un cerchio al pari di

un cerchio cromatico esploso. Il lavoro ne risulta in movimento; il colore potrebbe es-

sere percepito come irradiantesi all’esterno o in movimento all’interno verso il cerchio

centrale. Il titolo dell’opera, L’Origine della Luce, fa pensare che la luce vi stia traendo

origine, che sia, per così dire, il luogo di nascita della luce. La questione evocata è di

tipo esistenziale: da dove proviene la luce, innanzi tutto? Quest’opera illustra chiara-

mente l’approccio di Tornquist nei confronti della pittura, coniugando studi intuitivi e

scientifici al fine di indagare l’esperienza umana in termini di colore e di luce.

Le maggiori influenze subite da Tornquist nel corso della sua vita spaziano da Charles

Darwin ad Oscar Wilde, passando per Johann Wolfgang Goethe. Tutti questi pensa-

tori sono stati dei capofila creativi nei loro rispettivi campi, dallo sviluppo della teoria

dell’evoluzione alla teoria letteraria, fino alla teoria dei colori. Nel 1810, Goethe pub-

blicò la Teoria dei Colori, in cui qualificava il colore come il risultato dell’interazione tra

luce e buio. Dopo la traduzione in inglese del testo, le osservazioni di Goethe influen-

zarono largamente le successive teorie dei colori, che continuano a pervadere il mon-

do dell’arte contemporanea. Goethe fu il primo a dedicarsi ad una ricerca metodica

sugli effetti psicologici dei colori, che portò allo sviluppo del cerchio cromatico – alla

base delle indagini di Tornquist.

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Il contrasto è stata una proprietà fondamentale nella scoperta delle caratteristiche

della luce e del colore; ed è stato anche al centro di molte delle opere iniziali di

Tornquist. In Opus 45, del 1965, una composizione astratta a scacchiera copre lo

sfondo della tela, mentre delle linee gialle, verdi e rosse formano su di esso un motivo

a griglia. Quest’opera dinamica ricorre alla piattezza della tela e, allo stesso tempo,

attraverso quel motivo, dà l’impressione di due piani tenuti in una giustapposizione

tesa e contraddittoria. A causa del processo della visione, le linee gialle, verdi e rosse

creano delle immagini residue positive, mantenendone il colore originale. Questo di-

pinto, come del resto molte delle opere di Tornquist degli anni ‘60, è un esercizio di

comprensione del rapporto esistente tra visione e percezione, unificate dalla purezza

della geometria matematica e dalla teoria dei colori.

In quel periodo Tornquist stava iniziando a guardare alla percezione della luce come

soggetto, la scienza cambiò radicalmente la teoria dell’origine del mondo grazie all’in-

venzione di strumenti in grado di percepire la luce invisibile ad occhio nudo. Nel

periodo compreso fra gli anni ‘40 e ‘60, con l’aiuto di un radiotelescopio per osservare

questa luce, gli scienziati Arno Penzias e Robert Woodrow riuscirono a fornire una

prova sperimentale a sostegno della teoria del Big Bang. Questi studi ci hanno aiutato

a capire meglio i limiti della percezione umana, con una conseguente migliore com-

prensione del mondo che ci circonda e dei limiti del nostro stesso corpo. Mentre gli

scienziati ricorrevano all’uso della luce per studiare l’origine dell’universo, Tornquist

si spingeva all’interno, nel tentativo di usare la pittura per trasmettere gli effetti psico-

logici del colore.

IL PROGETTO CROMATICO: I Color Projects sono dei progetti di collaborazione che

integrano la luce e il colore all’interno della funzione dello spazio architettonico. Tor-

nquist crede che il suo lavoro faccia parte del proprio impegno nei confronti del

mondo, ed afferma che le sue opere d’arte prendano forma non già interpretando il

mondo, bensì ascoltando e reagendo ad esso. Il procedimento pittorico di Tornquist

si riflette nell’attenzione alla luce, allo spazio ed al colore che trova applicazione nella

sua prassi progettuale. Mentre la carriera architettonica di Tornquist aveva già attra-

versato gran parte della sua vita, egli portò a termine il suo primo Progetto Cromatico

solo nel 1966.

Collaborando con altri studi di architettura, egli progettò molti spazi pubblici e pri-

vate, che vanno dai municipi agli impianti industriali. Nella sua attività nel campo

dell’architettura e del design, egli attribuisce una grande importanza al rapporto e

all’interazione tra l’esperienza umana e il colore; ad esempio, negli studi medici si

dovrebbero usare dei colori calmanti per la sala d’attesa ed una forte illuminazione

bianca per i locali destinati ai trattamenti. In alcuni edifici, come l’Istituto Afroasiatico

di Leechgasse, a Graz, la preoccupazione principale di Tornquist era quella di creare

un equilibrio psicologico derivante dagli effetti della luce uniforme. Il risultato, secon-

do i critici, era che l’edificio si convertiva in un cerchio di luce. La struttura in legno

esterna dell’Istituto è decorato con colori scelti per evocare l’ambiente naturale e

un’energia edificante. All’interno, Tornquist usò il rosso per simboleggiare la battaglia

della vita e dell’amore, ricorrendo invece, sulla parte esterna del palazzo, ai blu e ai

verdi per evocare il paesaggio circostante. Nel suo lavoro di progettazione, egli mette a

frutto le proprie conoscenze sugli effetti del colore per creare impostazioni ambientali,

rendendo così il pubblico cosciente del colore che lo circonda. Nei suoi progetti, così

come nei suoi dipinti, Tornquist utilizza il colore come forma unificante, dando prova

di una profonda preoccupazione per il rapporto e l’interazione tra l’esperienza umana

e il colore.

LO SPAZIO AMPIO: Negli anni ‘70, Tornquist esplorò l’impiego della tela sia come spa-

zio ampio che come spazio contenuto. Questa esplorazione è testimoniata dall’attenta

considerazione del rapporto ottico tra figura e sfondo, così come dall’uso di molteplici

oggetti in relazione gli uni agli altri. In lavori come Senza titolo, 1974, egli si è cimen-

tato con le sottigliezze dell’interazione tra spazio positivo e negativo. Qui, una griglia di

puntini bianchi è disseminata su di una tela di colore blu scuro. Un singolare puntino

bianco campeggia, brillante come una stella nel cielo, nella sezione centrale di destra

della composizione. Nessuna linea o forma è estranea, in quest’opera; l’applicazione

della pittura stessa e la giustapposizione degli elementi, tutto contribuisce al raggiun-

gimento di un’intensa armonia euclidea. L’acuto senso della proporzione, il senso

dello spazio, e la nozione di ordine si fondono per fare di questo dipinto un complesso

esempio, finemente armonico, della capacità del pittore di trasmettere l’ordine e la

percezione in un unico lavoro. Quest’opera potrebbe essere letto in molti modi, dal-

la pura astrazione ad una interpretazione dell’ordine dell’universo. La sensibilità di

Tornquist per il peso delle varie forme colloca questi dipinti lontano dall’astrazione

geometrica, all’interno di un genere di opere più teorico.

Senza titolo, 1971 è un’opera monocromatica composta da due quadri sospesi in una

cornice di legno. Ciascuna pittura monocromatica presenta l’immagine fantasma di

una griglia quadrata, in parte presente ed in parte assente, quasi a rappresentare il

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ricordo di un’immagine. La cornice è integrata nella composizione da un colore az-

zurro unificante, che la rende parte del quadro stesso. Il ricorso ad un unico colore

unifica i dipinti con la cornice, evidenziando, nel contempo, le differenze esistenti

nella consistenza dei materiali. Quest’opera fa parte di una serie più ampia che af-

fronta la questione delle sottili distinzioni rese disponibili attraverso la semplificazione

dell’interazione tra spazio positivo e negativo. Un’altra opera appartenente a questa

serie, Senza titolo, del 1971, riguarda la stessa struttura di base. Due dipinti si librano

in una cornice a teca, sebbene il colore neutralizzare, nella fattispecie, sia il bianco.

Questo dipinto rafforza ulteriormente il collegamento tra Tornquist e le composizioni

suprematiste di Malevich. Il quadro infame di Malevich, Composizione Suprematista:

Bianco su Bianco, del 1918, è inteso come il primo quadro monocromatico. Senza

titolo, del 1971, prende in considerazione il bianco monocromatico da un’angolazione

leggermente diversa, collocandolo in una posizione spaziale. La tela monocromatica

di Tornquist è quasi scultorea; la tela diventa un oggetto tridimensionale poco profon-

do in cui il gioco di luci e ombre ne definisce fortemente la forma.

IL PROFESSORATO: Tornquist è stato docente della teoria del colore e della luce pres-

so l’Istituto Europeo di Design (IED) dal 1980 al 1997. L’IED è un centro universitario

in cui si svolgono corsi di laurea e di specializzazione in design, moda e comunica-

zione visiva. L’IED possiede varie sedi, distribuite in dodici città (Milano, Torino, Vene-

zia, Cagliari, Firenze, Roma, Barcellona, Madrid, San Paolo, Rio de Janeiro, Pechino

e Shanghai), e Tornquist ha insegnato nei campus di Milano e Cagliari. L’elemento

centrale delle sue lezioni era la teoria del colore in relazione all’esperienza umana.

Per Tornquist, il materiale “è il mezzo, non il messaggio.”2 Il suo insegnamento è

stato orientato verso le professionalità commerciali e l’uso applicato del colore. Egli

ha attuato una interpretazione del colore attinente alla moda, al design industriale e

all’architettura. Questa esperienza ha rafforzato ulteriormente, in Tornquist, i valori

della creazione del colore come un importante elemento della vita quotidiana.

I NUOVI SVILUPPI DEGLI ANNI ‘80: La conoscenza e l’esplorazione del colore da

parte di Tornquist ha continuato a svilupparsi per tutti gli anni ‘80. In questo periodo,

egli inizia ad interessarsi alla sua ulteriore esplorazione del colore e dello spazio at-

traverso composizioni a campi di colore e nuove tecniche di stiramento della tela. In

opere come Senza titolo, 1985, il colore oscilla tra l’uniforme ed l’espansivo. Un velo

di colore, come un tramonto, va sfumando da un azzurro pallido ad un rosso fuoco.

La delicata transizione del colore uniforme in opere come questa evoca un paesaggio,

ma nega qualsiasi oggetto riconoscibile, lasciando lo spettatore in un sublime spazio

di contemplazione. La gradazione espansiva del colore nella pittura implica l’infinito,

sebbene il bordo della tela funga sia da barriera che da contenitore. A differenza dei

pittori americani del campo colore (Color Field), Tornquist incorniciava la sua com-

posizione, contenente la tela rettilinea. Dotando di un margine l’espansività di questo

‘paesaggio cromatico’ (colourscape), lo spazio percepito del dipinto risulta limitato,

provocando una tensione tra espansione e compressione. La scala dell’opera aumen-

ta ulteriormente questa tensione. La maggior parte dei pittori del campo di colore

dipingevano su tele grandi abbastanza da riempire il campo visivo dello spettatore,

inserendo letteralmente lo spettatore all’interno del paesaggio del dipinto. Senza titolo

è una tela relativamente piccola che presenta con un telaio di finestra simile ad un

fregio. Restringendone la scala ed inserendovi una cornice, la pittura diventa un’espe-

rienza cromatica non immersiva.

Forse a causa della formazione dell’artista nel campo del design, la sperimentazione

di Tornquist con la tela ed il telaio di supporto cominciò anch’essa negli anni ‘80. In

una storia più recente della pittura, la tela sagomata è divenuta una celebratissima

icona dell’artista Frank Stella, che, abbandonando la profondità illusionistica, ha op-

tato per nuove forme della tela, come la L, la U, la T o il poligono. Al pari di Stella,

Tornquist ha scelto di abbracciare la materialità e la forma della tela inserendo la

struttura sottostante nella composizione. Tuttavia, a differenza di Stella, Tornquist ha

scelto di rivelare letteralmente la struttura sottostante della tela. Le opere di queste se-

rie coniugano le qualità estetiche e strutturali del dipinto. In opere come Senza titolo,

del 1989, la tela viene tesa dal telaio, mostrando tutte le parti del dipinto. Il supporto

in legno diventa parte dell’estetica di questo oggetto, un dipinto posseduto dalla sua

stessa struttura. In queste opere, Tornquist infrange la gerarchia dei materiali; il telaio

costituisce una parte integrante dell’opera d’arte tanto quanto lo è la pittura stessa.

Allontanandosi dalla rappresentazione del mondo fisico, Tornquist è in grado di im-

maginare una nuova realtà usando il colore come il suo soggetto. Ma alcune opere

degli anni ‘80 e oltre mostrano i segni evidenti di una narrazione personale. Profumo

di Pelle, del 1989, è un esempio di questo mutamento negli stili di lavoro. Come ‘cilie-

gina sulla torta’, quest’opera mostra un’adesione alla materialità della pittura. Il titolo

dell’opera, Profumo di Pelle, fa riferimento all’esperienza personale, un’interpretazio-

ne visiva della memoria di un profumo, appunto. Sebbene lo stile di Tornquist non si

fondi, in genere, sull’espressione individuale, in quanto l’artista evita la presenza della

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propria impronta individuale, qui vediamo l’esperienza intima, soggettiva, insinuarsi

nella sua opera. Queste opere di stile ad impasto racchiudono sia l’impronta umana

che l’esperienza personale.

I DIPINTI SCULTOREI: Tornquist ha iniziato a sperimentare dipinti in cui abban-

donava l’ordinaria configurazione rettangolare, uniforme degli anni ‘80. Queste tele

conservavano la loro uniformità, passando, tuttavia, ad altre forme geometriche come

gli ovali e i triangoli, incanalando ancora una volta l’opera di Stella. Al di là di ogni

considerazione estetica, vi sono considerazioni di carattere tecnico che andrebbero

fatte al momento di abbandonare la forma tradizionale. Il fatto di lasciar da parte il

quadrato rappresentò un’ulteriore incitamento, per Tornquist, a proseguire sulla via

dell’esplorazione della tela in quanto materia. In questi casi, le pitture su tele sago-

mate si muovono nella direzione della scultura. Tornquist ha affermato che le tele

sagomate sono “oggetti estremamente fisici, la cui realizzazione è una verifica del mio

rapporto con me stesso e con il mondo che mi circonda.”3

In Con Burqa, del 2009, l’artista tira la tela al centro del dipinto dai lati dello stesso,

il che implica un movimento. Il titolo dell’opera “Con burqa” fa riferimento al burqa,

un indumento indossato da certe donne di fede islamica per coprire il proprio corpo

nei luoghi pubblici. Il titolo di quest’opera evoca il tessuto inteso come una barriera o

schermo. Le pieghe verticali nella tela sono in diretto contrasto con le pieghe orizzon-

tali create dalla stoffa di un burqa. Il tirare la tela raccogliendola assieme in questo

modo fa pensare, piuttosto che ad un abito, ad una vagina, suggerendo che qualsiasi

cosa la mente umana faccia per distogliere l’attenzione dal corpo umano, il corpo è

sempre presente.

Tornquist ha cominciato a cimentarsi con il tessuto acrilico su tela negli anni Novan-

ta. Questi dipinti offrono un diverso tipo di qualità scultorea proprio. La comparsa di

queste opere è strettamente legata al processo tessile, dando spesso una esperienza

di leggera profondità. In Il verde non può essere mai lungo abbastanza, del 1997,

Tornquist esplora questo processo su grande scala. Con una lunghezza di poco meno

di cinque metri, il dipinto è il pezzo più lungo in esposizione. Il titolo, Il verde non può

essere mai lungo abbastanza, consente molteplici interpretazioni dell’opera tanto in

senso letterale quanto metaforico. Il verde può essere una metafora di molte idee, tra

cui: la novità, la stagione primaverile, l’erba, il denaro, la crescita o, semplicemente, il

colore stesso. Il titolo potrebbe implicare la sensazione di una nostalgia della gioventù,

o di un sentimento verso la natura fugace della primavera, o ancora, semplicemente,

una risposta descrittiva alla lunghezza ed al colore dell’opera. L’approccio al tessuto

acrilico utilizzato in questo lavoro consente di far riflettere la luce in uno schema stria-

to, dando a Tornquist un ulteriore controllo sul gioco di luce del dipinto.

Jorrit Tornquist: L’intersezione tra colore e pensiero mostra la ricca diversità di stile

e di intenti estetici che caratterizza questo vasto filone di astrazione contemporanea.

La diversità di approccio alla pittura che si può osservare in tutta questa retrospettiva

testimonia la profonda risonanza che la forma geometrica e la struttura hanno avuto

sia sugli spettatori che su Tornquist stesso. Con chiarezza, tranquillità e senso della

forma, l’operta della sua vita distilla luce, colore e forma nella sensazione visiva. Que-

sta indagine lucida ed illuminante sulla carriera di Tornquist sfida il rapporto tra tela

e struttura, mettendo in evidenza lo studio del colore e della luce condotto per tutta

la vita dall’artista.

1 Kaiser Malevich, citato in Charles Harrison and Paul Wood eds., Art in Theory 1900 -

2000 (Malden, MA: Blackwell Publishing, 1982), 292-293.

2 Jorrit Tornquist, messaggio e-mail a Cortney Stell, 16 agosto 2011.

3 Ibid.

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le origini

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1. Senza titolo 1957 - Acquarello,cartavelina, bruciaturesu cartacm 31 x 58,3

2. Senza titolo acquerello su cartacm 34 x 16,5

3. Senza titolo acquerello su cartacm 34 x 16,5

1

2 3

4. Senza titolo 1958 - china, pastello,

bruciature su cartacm 50 x 36

5. Senza titolo 1958 - china, acquarello,

cera, carta velinasu carta

cm 50 x 65

4

5

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6. Senza titolo 1959 - china, pastello,

bruciature su cartacm 65 x 50

7. Senza titolo 1959 - china, pastello,

bruciature su cartacm 65 x 50

6

7

8. Senza titolo 1961 - materiali

vari su telacm 67 x 77,5

8

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9. Senza titolo 1962 - materialivari su telacm 55 x 71

9 10. Senza titolo 1961 - materiali

vari su telacm 77,5 x 67

10

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11. origine della luce1961 - tempera su tela

applicata su tavolacm 89 x 116

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opuS, SenzA titolo e luci

1964-1980

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12. Senza titolo 1964 - acrilico su tela

cm 110x110

12

13. opuS 42 1965 - olio su tela

applicata su tavolacm 80 x 80

13

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14. opuS 257 1969 - acrilico su telacm 80 x 80

14

15. opuS 2071969 - acrilico su tela

cm 80 x 40

15

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16. opuS 260 1969 - acrilico su telacm 40 x 80

16

18. opuS 4201971 - acrilico su tavola

cm 29 x 53,5

17. SenzA titolo1971 - acrilico su telaapplicata su tavola

cm 29 x 53

17

18

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19. SenzA titolo 1972 - acrilico su telacm 120 x 120

19

20

21

20. opuS 461 1973 - acrilico su tela

cm 80 x 80

21. opuS 461 1973 - acrilico su tela

cm 80 x 80

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22

23

22. opuS 475 1973 - acrilico su cartacm 40 x 40

23. opuS 483 1974 - acrilico su tavola

cm 40 x 40

24

24. rifleSSo roSSo

1980 - acrilico su telacm 29 x 30

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25. luce-ombrA1980 - acrilico su tela

cm 69,5 x 62

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SfumAture

pieghe e StrAcci

anni ’80 - ’90

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26 27

26. SenzA titolo1980 - acrilico su tessutocm 115 x 36,5

27. SenzA titolo1980 - acrilico su tessutocm 115 x 39,5

28

28. SenzA titolo1981 - acrilico su tessuto

cm 94 x 40,5

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29 30

29. SfumAture1985 - acrilico su telacm 58 x 33

30. SenzA titolo1985 - acrilico su tela

cm 80 x 40

31

31. SfumAture1985 - acrilico su tela

cm 81 x 56

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33

32

33. venuS1990 - pieghe-acrilico

su tela

cm 130 x 130 x 130

32. SommertAg in trAchtenlooK1990 - pieghe-acrilico

su tela

cm 160 x 160 x 160

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34 35

34. Double fAce virgin1991 - pieghe-acrilico su tela

cm 69 x 40

35. Double fAce1989 - pieghe acrilico su tela

cm 160 x 80

36

36. veStitocerimoniAle

DellA mongoliA1992 - pieghe e acrilico su tela

cm 120 x 70

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37

38

37. ficA D’orAtA1987 - pieghe acrilico su tela

cm 24 x 18

38. SenzA titolo 1987 - pieghe acrilico

su tela

cm 24 x 18

36

36. veStitocerimoniAleDellA mongoliA particolare1992 - pieghe e acrilico su tela

cm 120 x 70

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39. quADrAto roSSo 1990 - pieghe e acrilico su tela

cm 110 x 110

39

40. pieghe1991 - pieghe e acrilico su tela

cm 120 x 60

40

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41. il SilenzioDel violA 1997 - acrilico su telacm 60 x 40

4142. SenzA titolo

1998 - acrilico su telacm 40 x 20

42

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43. SenzA titolo1999 - acrilico su tela

cm 32 x 24

43

44

44. SenzA titolo1995 - stracci acrilico

su cartapestacm 100 x 50

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46. SenzA titolo1996 - stracci-acrilico

su cartapestacm 100 x 50

45. SenzA titolo1995 - stracci acrilicosu cartapestacm 100 x 50

4645

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ultimo perioDo

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47. SenzA titolo 2006 - pieghe e acrilico su tela cm 100 x 100

48. SenzA titoloparticolare

2006 - pieghe e acrilico su tela cm 100 x 100

47

48

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49

50

49. homAge A

2009 - pieghe e acrilico su tela

cm 50 x 50

50. SenzA titolo 2005 - pieghe acrilico su telacm 50 x 50

51. burquA 2009 - pieghe acrilico su tela

cm 100 x 100

51

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53. golDen SeA 1 2009 - pieghe acrilico su telacm 20 x 100

55. SenzA titolo 2009 - pieghe acrilico su tela

cm 45 x 200

52. DArK golDen SeA 2009 - pieghe-acrilico su telacm 20 x 100

54. SenzA titolo 2009 - pieghe acrilico su tela

cm 40 x 200

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54

53

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57. SenzA titolo 1975-2010 - acrilico su telacm 80 x 80

58. SenzA titolo 1972-2008 - acrilico su tela

cm 100 x 100

56. SenzA titolo 1975-2010 - acrilico su telacm 50 x 50

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Jorrit Tornquist è nato a Graz, in Austria, il 26 marzo del 1938. Nella città natale, nel

1956 si è iscritto all’università frequentando i corsi di biologia, passando due anni dopo

al Politecnico per studiare architettura. Nel 1959, ventunenne, iniziava la sua ricerca

artistica scientificamente incentrata tutta sul colore, sulle relative modalità di percezione

visiva e le possibilità espressive, pur tenendo saldo il dato estetico.

Nel ‘64 decideva di stabilirsi definitivamente in Italia (otterrà la cittadinanza nel 1992,

mantenendo comunque quella austriaca), senza interrompere i contatti con Graz che in

quegli anni era diventata il centro culturale più importante dell’Austria, in cui maturarono

nuovi fermenti, scaturiti dal bisogno di riflettere la realtà secondo una visione aperta

verso il futuro, e che nel fare arte favorirono la formulazione di linguaggi inediti. Qui,

già nel ‘66 ha realizzato, per la Caffetteria dell’Università Cattolica, il suo primo color-

project architettonico a destinazione pubblica; nello stesso anno è entrato a far parte

del Forum Stadtpark (la principale istituzione che dal ‘58 animava la vita culturale della

città stiriana, e raccoglieva artisti, letterati, architetti). Nel 1967, sempre a Graz, venne

invitato alla rassegna Trigon, curata da Wilfried Skreiner, riservata alle nuove proposte

di artisti austriaci, italiani e jugoslavi (commissario per l’Italia era Umbro Apollonio e per

la Jugoslavia Zoran Krzisnik). E qui, nello stesso anno, è stato tra i fondatori dei gruppi

Ricerche su griglie di impulsi, Austria e Graz-A. Nel frattempo, un primo riconoscimento

gli era arrivato nel ‘66 con l’assegnazione del Premio Wittmann a Vienna.

I dipinti del suo primo periodo presentavano forme di derivazione geometrica, spesso

elaborate con rimandi al suprematismo di Malevic. Fu dopo un’incursione nell’informale,

con opere di rilevante matericità, che la sua ricerca andò assestandosi nel corso del 1964

su approfondite sperimentazioni dei parametri di valutazione dei colori primari (rosso-

giallo-blu), e sull’analisi degli effetti di complementarità, sia per accostamento sia per

sovrapposizione. Ne risultarono costruzioni geometriche dai contrasti brillanti, elaborate

secondo schemi logici, varie ma coerenti. Dal ‘66 tali sperimentazioni si arricchirono della

componente tridimensionale, in particolare con la realizzazione di Colonne, strutturate

da moduli colorati, poi di pannelli con elementi aggettanti e di gabbie modulari in metallo

denominate Xyz.

Allo scadere del decennio la tavolozza timbrica si allargava, spostando nei primi anni

Settanta la grammatica del colore dalla saturazione alla sfumatura, ovvero orientandosi

verso una sintesi tonale sviluppata in composizioni che al primo impatto sembrano dei

monocromi — dal colore freddo, caldo o neutro — ma a ben guardarle sono invece

costituite da riquadri di materia magrissima colorati con varianti così sottili che l’occhio

le percepisce appena, da cui l’impressione della tinta unita; di fatto l’esito finale — che

elsA dezuAnni

Cenni biografici

e percorso artistico

Page 42: orrit ornquist - Studio d'Arte GR TORNQUIST cat MOSTRA... · tema del colore. Tale soggetto, già ispezionato fin nei minimi dettagli da numerose correnti artistiche, è in realtà

si ripresenterà nelle opere future — fu di trasformare il colore in un generatore di luce.

Da qui il percorso si è sviluppato in una full-immersion in quella ricerca che ha caratterizzato

tutta la sua carriera, facendo allora di lui un anticipatore della futura figura professionale

di color-designer. Su tale nuovo orientamento applicato all’architettura, nel 1972 a Milano

dava vita al gruppo di lavoro Team-color.

Intanto, cogliendo le pulsioni di quanto gli accadeva intorno, nel ‘73 a Tokyo diventava

membro del Colour Center e nel 1977 a Milano partecipava alla fondazione del movimento

internazionale multidisciplinare Surya (Sole in sanscrito) insieme ad altri sette intellettuali

e all’ideatore Hsiao Chin, pittore cinese attivo dal ‘59 nella città meneghina, inserito

nell’ambiente di Lucio Fontana e della Galleria Azimut (aperta e gestita da Piero Manzoni

ed Enrico Castellani).

Riconosciuto quale conoscitore e interprete delle più avanzate tecniche d’uso del colore

e delle implicazioni psicologiche che esso può avere applicato a spazi abitativi, in

rapporto all’ambiente, nel 1979 riceveva l’incarico di colorista per il Piano Regolatore

della città di Torino.

Sul versante pittorico, verso il 1980 la pennellata riprendeva corposità nel creare delle texture

vigorose e molto materiche, fatte di campiture compatte rese vibratili da un andamento ondoso

chiaroscurale, che coprivano tutta la tela salvo rarefarsi in un angolo in basso prendendo

altre tonalità, cosÏ generando uno squarcio di luce improvvisa. La sperimentazione si estese

anche all’utilizzo della carta, spiegazzandola o modellandola, e in altri artifici. Si trattava di

interpretazioni più spigliate dell’elemento cromatico, e tuttavia non deviate, nè incoerenti

rispetto alle proposte precedenti, bensì più mirate sull’indagine psico-emotiva dell’insieme

dell’opera. Erano esperienze che segnavano il passaggio allo studio del rapporto luce-ombra,

indagato in parallelo nella nuova versione delle Colonne ora denominate Stele.

Le esplorazioni di quel decennio proseguirono con l’adozione di materiali differenti per

investigare le diverse possibilità di assorbimento e di rifrazione della luce, allo scopo di

creare strutture cromatiche variabili. In questa fase è giunta l’idea di sostituire la tela

con la stoffa per avere luminosità più liriche e per ottenere più sottili vibrazioni di luce

attraverso il colore.

Poliedrico nel suo proporsi, dal 1980 iniziava un’intensa attività didattica: all’Istituto Europeo

del Design a Milano, alla Facoltà di Architettura dell’Università di Graz, all’Accademia

Carrara di Bergamo e al Politecnico di Milano presso la Facoltà di Disegno Industriale,

portando il frutto delle sue ricerche.

Gli anni Novanta furono caratterizzati dal rendere plastica la tela, increspandola totalmente

in modo tale che il supporto stesso diventasse materia che si aggregava per creare con la

pittura luminosità in un gioco finissimo di luci e ombre.

Era il preludio a quella che sarebbe diventata la sua cifra futura, ovvero dilatare la tela per

panneggiarla in un certo punto, preferibilmente lungo l’asse centrale, oppure drappeggiarla

mettendo a nudo una porzione di telaio, così accrescendo il valore dell’opera con lo spazio

esterno ad essa; ed è nelle pieghe in cui il colore si concentra, nel cui garbato rigonfiarsi

si accentra la forma, che va a situarsi il punto vitale dell’opera; ancora una volta il colore-

luce è l’energia dinamica di tutta l’immagine.

L’intera produzione, dagli anni Sessanta del secolo scorso ai nostri giorni, si presenta con

un notevole variare di proposte, ma è evidente che l’artista non ha mai ricercato uno stile,

essendo il suo obiettivo la sperimentazione delle possibilità linguistiche del colore.

Il 1995 è l’anno in cui è entrato a far parte del comitato scientifico del Laboratorio di

colore del Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura, corso di laurea in Disegno

Industriale) e ha aperto lo studio Color & Surface, attivo tra Barcellona-Milano-Vienna,

che si occupa a tutt’oggi di progetti cromatici pubblici e privati. Nella pluridecennale e

intensa attività di color-designer ha avuto molte committenze pubbliche (asili nido, case

di riposo, ospedali, municipi, scuole, case popolari, impianti industriali, ponti, sovrappassi

pedonali, arredi urbani) e private (abitazioni, alberghi, negozi, gallerie, stand) che ha

assolto nella piena considerazione dell’habitat circostante. Operando nel convincimento

che il colore è “una frequenza elettromagnetica che si unisce al rumore di fondo di un

luogo e in quanto tale, colto dai nostri sensi, interferisce sul nostro stato d’animo”,

ha coniugato la tecnologia alla sensibilità, elaborando una propria teoria del colore in

cui il valore strutturale-cromatico va a coniugarsi con il valore sensitivo-affettivo (l’ultima

pubblicazione è del 1998, Colore e luce. Teoria e pratica).

Dei tanti color-project, per cogliere l’importanza di suoi interventi sono da ricordarne in

particolare due di essi: il Progetto Giotto del 1985-88, per una casa di riposo a Graz,

dove i corridoi di un ex ospedale sono stati acutamente trasformati in stradine inserendo

facciate di casette dai colori confortanti che li costeggiano in modo da dare la sensazione

all’anziano di abitare in una piccola via urbana illuminata e di non sentirsi isolato dal resto

del mondo; e il termoutilizzatore di Brescia del 1996-99, che ha vinto il primo premio

Wtert 2006 Industry Award della Columbia University di New York, e che appare come

una vera e propria scultura, alta più di 120 metri, per la quale ha studiato un’armonia di

colori perfettamente integrata con il paesaggio circostante.

A questo proposito merita osservare che tutta la sua ricerca, volta a sviscerare

anatomicamente il colore in ogni sua possibilità, non può prescindere da un’osservazione

attenta della natura e da una passione per essa.

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Un riconoscimento del suo lavoro gli arrivava nel 1998 con la nomina a direttore scientifico

dell’Istituto del Colore di Milano.

La sua attività espositiva, di artista-scienziato del colore, è cospicua, con la presenza

in oltre trecento mostre. Sue opere sono state acquisite in numerosi musei d’Europa,

Giappone, Sud e Nord America.

1974

Palazzolo S/O., Studio F 22

Como, Centro Culturale Serre Ratti

Milano, Team-colore

La Spezia, Teatro civico “Le quattro

stagioni” in collaborazione con i musici

di Roma, Livorno, Galleria Giraldi

Genova, Galleria il Salotto

1975

Bergamo, Galleria dei Mille

Milano, Cassina

Modena, Effemeridi

Novara, Centro Culturale UXA

Rapperswil, Galerie Seestrasse

Salò, Centro d’arte Santelmo

Graz, Katholische Hochschulgemeinde

Roma, Studio FL

La Spezia, Studio 17

St.Gallen, Galerie Look

1976

Berlin, Galerie Bossin

Genova, Galleria La Polena

Schwäbisch Gmünd, Galerie Edith

Wahlandt Neuenkirchen, Galerie Falazik

Arezzo, Galleria Quarta Dimensione

Milano, arte struktura

1977

Alassio, Galleria Galliata

Firenze, L‘Indiano Grafica

St.Gallen, Galerie Look

1978

Alessandria, Sala Comunale

Brà, Galleria L’Angolo

Novara, Centro Culturale UXA

1979

Macerata, Pinacoteca Comunale

Sassoferrato, Pinacoteca Comunale

1980

Firenze, L‘Indiano Grafica

Graz, Neue Galerie Milano, arte

struktura St.Gallen, Galerie Look

Bari, Cooperativa Esperienze Culturali

1981

Como, Centro Culturale Serre Ratti

Foggia, Laboratorio arti visive

München, Galerie von Braunbehrens

Firenze, Galleria Vera Biondi

Schwäbisch Gmünd, Galerie Edith

Wahlandt

1986

Palazzolo S/O., Studio F 22

Buchberg, Schloss Buchberg, Exakte

Tendenzen

1987

Graz, Neue Galerie, Studio

Graz, Katholische Hochschulgemeinde,

Münzgraben

1987

Graz, Galerie Glacies

Graz, Hauptplatz, Aktion: apARTheid

Attività EspositivA

Mostre Personali:

1965

Graz, Afro-Asiatische Institut

Graz, Old Inn

1966

Wien, Galleria Basilisk

Graz, Schauspielhaus

Milano, Galleria Vismara

1967

Trieste, Centro Feltrinelli

1968

Wien, Galerie nächst St. Stephan

Venezia, Galleria del Cavallino

Graz, Möbelhaus Ertl

1969

Graz, Ecksaal des Joaneums

1970

Milano, Cenobio Visualità

Brescia, Galleria Sincron

Rimini, Galleria Sincron

Graz, Forum Stadtpark

1971

Milano, Galleria Vismara

Novara, Centro Culturale UXA

Bergamo, Ponteur, Abstracta

Milano, Biffi, Galleria Vittorio Emanuele

Genova, Galleria La Polena

Venezia, Galleria Barozzi

Torino, Centro Ti

Frankfhurt, Galleria Lichter

Bruxelles, Disque Rouge

Milano, Club dei Bibliofili

1972

Pesaro, Galleria Il Segnapassi

Zagreb, Museum Suvremene Umjetnosti

Köln, Galerie Reckermann

Verona, Galleria Ferrari

Salò, Centro d’arte Santelmo

Castellanza, Galleria del Barba

St.Gallen, Galerie Look

Osnago, La Cappeletta

Padova, Studio d’arte Eremitani

Venezia, Galleria del Cavallino

1973

Genova, Galleria d’Arte Parodi

Zürich, Galerie Suzanne Bollag

Graz, Neue Galerie

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1988

Monza, Libreria Manzoni Cultura

Wien, Galerie Gajetan Grill

Spital am Pyhrn, Galerie an der Fabrik

1989

Salò, Centro d’arte Santelmo

1990

Graz, Neue Galerie

Klagenfurt, Kärntner Landesgalerie

Budapest, Galèria Dorottya

Graz, Galerie Glacies

1992

Palazzolo S/O., Studio F 22

1993

Bergamo, BidArt, Fiera d’arte, Galleria

Valente Verona, Galleria Linea ’70

Graz, Galerie Glacies

1994

Milano, arte struktura

Novara, Centro Culturale UXA

1995

Palazzolo S/O., Studio F 22

Cernusco sul Naviglio, Galleria Zozos

1996

Como, Galleria Il salotto

Tokyo, Plaza Gallery

1998

Milano, Galleria Vismara

St.Gallen, Naturparkzentrum

Kulturverein Gazoldo degli Ippoliti,

Museo D’Arte Moderna

1999

Sondrio, Galleria del Credito Valtellinese,

Palazzo Sertoli

Verbania, Galleria d’arte Verbania

Palazzolo S/O., Studio F 22

2000

Cornate D’Adda, Torre di Colnago

Cortina D’Ampezzo, Spazio Cultura

Furstenfeld, Elektro Franz Sommer Oeg

Albissola, Galleria Anna Osemont

Montichiari, Fiera d’arte, Expoarte 2000

2001

Milano, Galleria Vismara

Milano, Palazzo della Triennale, Colore

Casa Palazzolo S/O., Studio F 22

2002

Osnago, “Color-Works” Festa dell’unità

2003

Graz, Galerie Lendl, Red color-works.it

Valenza Po, Galleria R. Costa, Jorrit

Tornquist

2004

Palazzolo S/O., Studio F 22, Red & Blue

2006

Cesena, Galleria Comunale d’Arte,

Palazzo del Ridotto - Cesena, Galleria

Free Time Club - Brescia, “Color-

Works”, Palazzo della Loggia, Salone

Vanvitelliano Brescia, “Color-Works”

Lagorio Arte Contemporanea

2007

Pordenone, Galleria Tarozzi

Milano, Museo Fondazione Matalon,

“Jorrit Tornquist. La forma e il suo

Labirynthus”

2008

Roma, Musei di San Salvatore in Lauro,

“Jorrit Tornquist. Viaggio a Roma”

2009

Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria,

“Jorrit Tornquist. Viaggio a Perugia”

2010

Genova, Museo di Palazzo Reale, “Jorrit

Tornquist, Viaggio a Genova”

Pordenone, Fiera, “Omaggio a Jorrit

Tornquist”

2011

Abano Terme, Galleria Comunale d’Arte

Contemporanea, “Jorrit Tornquist, Oltre

il Colore”

Cappella Maggiore, Galleria Comunale,

“Jorrit Tornquist, Il Colore Universo”

2012

Denver, Philip J. Steele Gallery, Rocky

Mountain College of Art + Design, “Jorrit

Tornquist, The Intersection of Color and

Thought”

Mostre Collettive:

1966

Stutgard, Galerie am Jakobsbrunnen

Graz, Forum Stadtpark, Maler ei und

Grafik aus Österreich

1967

Graz, Fondazione gruppo A

Milano, Palazzo del Turismo, Presenze

a Sesto Graz, Bratislava, Künstlerhaus,

Trigon 67 Wien, Galerie nächst

St.Stephan, Accrochage Milano, Galleria

Ariete, Luce & movimento

1968

Torino, Eurodomus II

Hamburg, Kunsthaus, Public Eye

Milano, Scultura internazionale

L’ Aquila, Museo Civico, Alternative 3

Milano, Galleria V ismara

1969

Zagreb, Modern Museum Suvremene

Umjetnosti Graz, Trigon 69, n° 4

Innsbruck, Alternativen Milano, Napoli,

Mikro 69 Graz, Neue Galerie

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1970

Wien, Tangenten 70

Graz, Schloss Eggenberg,

Österreichische Kunst 70

Wien, Galerie nächst St. Stephan

1970

München, Hofheim, Miniaturen

International Graz, Internationale

Malerwochen Zagreb, Modern Museum

Suvremene Umjetnosti,

Nuove tendenze 4

1971

Bruxellles, Gallerie Disque rouge,

Recherches objectives

Novara, Centro Culturale UXA, Rapporto

naturale Torino, Centro Ti. zero

Basel, fiera internazionale d’arte Kõln,

fiera internazionale d’arte

Kõln, Galerie Teufel, Accrochage

1972

Zagreb, Modern Museum Suvremene

Umjetnosti, N°4 Kõln,

fiera internazionale d’arte

Basel, fiera internazionale d’arte

Düsseldorf, fiera internazionale d’arte

Düsseldorf, Galerie Mayer-René,

Accrochage Brescia, Grafica

internazionale

St. Gallen, Galerie Loock, Accrochage

Amsterdam, Galerie Swart

Gent, Galerie Fonke

Antwerpen, Multicenter

Graz, Neue Galerie, Österreichische

Malerei Venezia, Galleria del Cavallino,

Faites votre jeu

Roma, Palazzo Taverna, Incontri

Internazionali Neuenkirchen

Galerie Falazik, AktionHeidebild

Roma, Palazzo delle Terme 1972 Saint-

Vincent, 1°Rassegna d’arte, Arte e

Società

Paris, Museè d’art moderne, VI festival

de la peinture

1973

Berlin, fiera internazionale d’arte

Basel, fiera internazionale d’arte

Kansas City, Museum

Monza, Mostra internazionale

dell’arredamento,

Arte del colore

1974

Münster, Westfählischer Kunstverein,

Geplante Malerei

Rotwei, Stadtfest, Künstler machen

Fahnen

Cagnes sur mer, 6° Festival international

de la peinture

1975

Modigliana, Didattica

1976

Modigliana, Colore

1977

Buchberg an der Kamp, Schloss

Buchberg, Geometrica 77

Milano, Studio Marconi, Colore

Graz, Neue Galerie, 10 Jahre Steirischer

Herbst

1978

Modigliana, Forlì, Lodi, Cantù, Parola

Graz, Neue Galerie, Zeitige Kunst in

Steiermark

Rapperswil, Galerie Seestrasse, Konkrete

in Poskartenform

Zürich, Kunsthaus, Schubladenmuseum

New York, Museum of modern art

Graz, Neue Galerie, Rahmen meine

Welt, hommage a Luigi Crippa

Ameno, Collezione Calderara

Milano, Centro S. Fedele, SURYA

Eisenstadt, Schloss Esterhazy, Landes

Museum Joanneum, Zeitgenössische

Kunst aus der Steiermark

1979

S. Martino dei Lupari, V° Biennale

d’arte Sassoferrato, Palazzo Olivia, XXIX

Edizione rassegna G.B. Salvi

1980

Darmstadt, Staatstheater, Grazer Malerei

1981

Graz, Neue Galerie, 70-80, 11 Jahre

Kunst Steiermark

1982

Graz, Stadtmuseum, Analyse

1983

Ascoli Piceno, Civica Gallerria d’Arte

Contemporanea, Palazzo Malaspina,

Morbide trame

1986

Venezia, XLII Biennale d’arte, Colore

Buchberg an der Kamp, Schloss

Buchberg,

Kunstraum-Raumkunst

Friedberg, Galerie Hoffmann, Die Ecke,

Beograd, Pittura moderna in Stiria

1987

Buchberg an der Kamp, Schloss

Buchberg, Geometrien

Graz, Neue Galerie, geschichtliche

Documentation, Animal art

1988

Fulda, Galerie new space, Null-

dimension

1989

Gmünden, Hipp-Halle, Null-dimension

Graz, Künstlerhaus, Aus grazer

Sammlungen

Braunau, e Schloss Ratschendorf,

Augen weid

1990

Faenza, L’apprendista stregone

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1991

Wien, Museum moderner Kunst

Graz, Lyon, Un museé en voyage, la

Neue Galerie Graz, a Lyon

1992

Torino, Chiesa maggiore di S.Filippo

Neri, Dioce Graz, Wien, Steirischer

Herbst, Identität und Differenzen

1993

Torino, Chiesa Maggiore di S.Filippo

Neri, Dioce, Ecbatana Roma,

Accademia di Romania, Scuderia di

Palazzo Ruspoli, DIA + LOGOS ’93

1994

Brescia, Palazzo Martinengo,

Big & Great

1995

Torino,Palazzina Stupiningi,

Barcelona,Museo Diocesano La

sindrome di Leonardo

1996

Budapest, Ludwig Museum, Jenseits

von Kunst Montorfano,Convento

dell’Annunciata,Geometrie dell’universo

1997

Dozza, 17 Biennale del muro dipinto

Salò, La civica raccolta del disegno

Graz, Neue Galerie, Jenseit von Kunst

1998

Lecco, Arte festival

1999

Gazoldo degli Ippoliti, Museo d’Arte

Moderna, Les couleurs de la memoire,

1968-1998

Milano, Galleria Credito Valtellinese,

Refettorio delle Stelline, Collezione

Calderara

Matera,I^ Biennale internazionale di Arti

Applicate, Mater Materia

Salò, Klatovy, Civica raccolta del disegno

di Salò, Arte contemporanea italiana

2000

Palazzolo S/O. Studio F22, Forme

dimeraviglia

Montichiari, fiera d’arte, Expoarte 2000,

Studio F22

Napoli, Palazzo Reale, Cartoline per

Napoli

2001

Buenosaires, 10° Ferìa de galerìas de

arte,

arte struktura, Arte BA 2001

2002

Frankfuhrt, fiera internazionale d’arte,

Galleria Vismara, Black&white

Roma, Complesso monumentale S.

Salvatore in Lauro, Le Parc, Garcia

Rossi, De Marco, e altretestimonianze

del cinetismo in Francia e Italia

2003

Graz, Kunsthaus am Landesmusem

Joanneum, Einbildung das

Wahrnemehnen in der Kunst

Milano, fiera internazionale d’arte

MIART, Galleria Vismara

2005

Cortina d’Ampezzo, Casa delle Regole,

Titolo e Sottotitolo

Torino, Museo Internazionale delle Arti

Applicate Oggi, Miaao’s super craft

2006

Catania, Galleria Virgilio Anastasi, Arte

Contem- poranea, Color-Works

San Petersburg, The State Hermitage

Museum, Alberto Biasi, Testimonianze

del cinetismo e dell’arte programmata in

Italia e in Russia.

2007

Ivrea, Officine H, I Cinetismo subalpino,

arte programmata ieri e oggi,

Zagabria, Il Cinetismo dalle origini ad

oggi - Cervia, Antichi Magazzini del

Sale, On l’Opera Nuda dentro e oltre le

apparenze

National Gallery in Prague, International

triennale of Contemporary Art, Moviment

as a message

2009

Treviso, Musei Civici di Santa Caterina,

“Arte, Scienza, Progetto, Colore: Alberto

Biasi, Jorrit Tornquist”

Brescia, Fondazione Ambrosetti,

“Spazio, Colore, Immagine. Emblemi

d’ arte contemporanea: da Hartung a

Fontana da Tàpies a Warhol”

Neue Galerie, Graz, “Prinzip Farbe”

2012

Roma, Galleria Nazionale d’Arte

Moderna, “Arte Programmata e Cinetica,

da Munari, a Biasi, Colombo e…”

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