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Ormai da diverso tempo la cultura, che è sempre più una tecno-cultura, si rifiuta di affrontare l’esistenza di fini e obiettivi. Svanendo la speranza di un domani migliore, diverso da quello che ci è stato prefigurato, viene anche bandita la questione sulle origini. Per escludere i fini bisogna delegittimare la ricerca dei principi. Infatti la tesi cardine dell’etica post-moderna ancora predominante, è che questa condizione di rottura c’era, c’è e sempre ci sarà.

La teoria attende che da qualche parte arrivino buone intuizioni. Dovremmo stupirci nello scoprire che ciò che ha dato origine al nostro percorso e ciò che abbiamo sperimentato affrontandolo ci possa essere di qualche utilità? Il bisogno di immaginare e ricercare obiettivi non alienati, potrebbe unirsi alla necessità di comprendere le origini della nostra condizione attuale.

Nietzsche probabilmente ha cercato, più di ogni altro filosofo moderno, di rigettare l’importanza dei punti di partenza. Nella sua opera Aurora disse che “quanto più perseguiamo l’origine, tanto meno ne siamo partecipi con i nostri interessi”.1 Questa accusa di irrilevanza è erronea.

Titolo originale: “Origins and the Trickster”, John Zerzan, giugno 2011

Storie trickster tratte da:“Coming To Light: Contemporary Translations of the Native Literatures of North America”, Vintage Books, New York 1996.

Stampato in proprio, Settembre 2013

IndiceCinqueLe Origini e il TricksterTrentottoStorie Trickster

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possano raccontare come il mondo è cambiato, di come è diventato più ricco o più povero.

Marx, Nietzsche e Heidegger hanno individuato, ognuno, uno stato primordiale distrutto dalla progressiva dominazione del capitale, della morale cristiana o dalla tecnologia. Marx proiettò la lotta di classe e la produzione al di sopra di tutta la storia precedente, confondendo la liberazione delle forze produttive con la liberazione degli esseri umani. La sua origine fu una mancanza: abbiamo fallito fin da subito nel soddisfare le nostre necessità basilari. Nietzsche esaminò le origini violente e sanguinarie della moralità cristiana e le trovò ingiustificabili. Heidegger ci consigliò di fare un passo indietro nelle origini per vedere meglio come il nichilismo tecnologico abbia decretato la fine della metafisica.

Ma il pensiero contemporaneo ha ormai definitivamente abban-donato questo tema. Secondo James Hans “nell’ultimo secolo, siamo diventati sempre più diffidenti sull’importanza delle origini”4. Lo stesso vale per molta teoria sociale radicale. Nei termini dell’insurrezionalismo francese, per esempio, la figura del “Bloom” di Tiqqun, che esiste solo nel presente, “non piange per la perdita di autenticità ed autonomia”.5 Dato che siamo continuamente

Qualcosa dentro di noi non vuole rinunciare a queste origini, anche se la modernità tenta in ogni modo di convincerci che queste appartengono al nostro passato. “La post-modernità” è la soppressione cosciente di ogni consapevolezza sulle origini, di ogni tenace speranza in un pensiero originario.

L’origine è la sorgente, ciò da cui qualcos’altro deriva. Dimenticare e negare l’origine sta diventando uno sviluppo storico in sé, un feno-meno di una certa rilevanza.

Tutti i miti hanno come soggetto l’origine di qualche cosa. Possiamo affermare di non avere miti? Di base, anche il mito dell’anarchia è una storia di originaria innocenza corrotta dalle istituzioni. Similmente, Schelling disse che: “ogni cosa che ci circonda ci rimanda ad un passato di incredibile splendore”2. In Miti, sogni e misteri, Mircea Eliade spera in una rinascita che è in parte un ritorno alle origini. Questo ritorno, a suo parere, è più una questione di ricreare piuttosto che di riaggiustare.3

Ma in un’epoca senza senso, noi non cerchiamo di ristabilire un “senso originario”. È come se ci avessero ufficialmente proibito di pensare che la ricerca delle origini e delle storie che le narrano ci

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pressione è insopportabile” dice il sociologo tedesco Ulrich Beck.8 Diventa sempre più difficile essere d’accordo con Kant quando dice che il paradiso è un’origine ed è meglio dimenticarselo, un utopia persa allora e per sempre.

Dev’esserci una qualche cognizione primordiale che ci guida, in qualche modo, a riconoscere questa perdita, a sentire la profonda man-canza di questo ricongiungimento negato. Rimpiangere “le epoche piene di senso, il cui ritorno era bramato dal primo Lucáks,...”9...e, per trovare un’immagine, attraverso le splendide parole di Kevin Tucker, quando “corpi ancestrali cominciano a ricordare”† 10

Prima e al di fuori della dimensione dei calendari, dell’addomes-ticamento, del monoteismo, della scrittura, ecc, i limiti del passato, presente e futuro erano più permeabili, come anche il confine tra gli esseri umani e gli altri animali. Alcune di queste cose permangono

† The Agrarian Curse è un disco della metal-crust-punk band di Kevin, Peregrine. Riporto tutta la frase della citazione: “Again the bands still gather around a bow drill fire. Communities arise from decay: ancestral bodies begin to remember. As we awaken to our beings after the death of the civilizers.”

impoveriti nella realtà del qui-ed-ora, avere un orientamento può sembrare strano. La spiegazione principale del perché in molti non trovano questa cosa strana, sta nel fallimento delle previsioni sul lungo termine basate su teorie quali il marxismo. L’esito distruttivo del marxismo, nei fatti, era già perversamente implicito nella visione di Hegel dove da un’originaria unità primordiale sarebbe emerso uno stato del mondo perfetzionato e più elevato. Neanche a dirlo, non abbiamo assistito a nulla del genere.

Qualcosa è andato profondamente storto, e non solo in teoria. L’intuizione di Adorno risulta molto attuale anche oggi. “Alla catastrofe che si prepara corrisponde meglio la presunzione di una catastrofe irrazionale agli inizi”6 Agli inizi, cioè, all’origine dell’addomesticamento e della civilizzazione. Ma come aggiunge Hilary Lawson, “...siamo persi, persi in un mondo che non ha mappe.”7

Quando la fiducia soccombe ad un senso di fallimento, non si ricerca più nessuna mappa. Quindi, non solo abbiamo smarrito la nostra strada; abbiamo perso il senso dell’immanenza e prossimità delle origini. E il numero di queste perdite aumenta. Sopprimere o negare i pensieri sulle origini fa aumentare i livelli di ansia e paura. “La

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civilizzazione. Uno dei miti basilari dei babilonesi propone la vittoria di Marduk su Tiamat, instaurando l’autorità reale di Marduk. Il Rgveda† dell’India Vedica mostra il dio Idra che domina Vitra, il caos primordiale. Vitra è molto simile alla figura egiziana di Apep o Apophis, oscurità, mancanza di ordine.

Gli abitanti delle isole Andamane, cacciatori-raccoglitori dell’est dell’India, non praticano culti, nessun sacrificio rituale né preghiera di ringraziamento12. Invece gli indiani Vedici compivano sacrifici, i loro rituali hanno marcato con i solchi delle coltivazioni tutte le forze del caos, recintandole al di fuori. Un ordine naturale contro il mantenimento dell’ordine civilizzato e politico. Come sempre l’origine al cospetto di quella approvata ufficialmente.

Il Cananeo Ba’al soggiogò l’indomita acqua cosmica, al pari di Yahweh degli israeliti che, dividendo le acque del mar Rosso, permise la fuga dall’Egitto. Potere al di sopra della natura unito a un movimento verso un monoteismo addomesticato. La storia della creazione è finita e la “Storia” inizia. D’ora in poi il tempo senza giorni e senza anni è bandito.

† Il Rgveda è la prima raccolta di inni religiosi composti in una forma arcaica di Sanscrito.

tutt’oggi tra le popolazioni indigene che si tramandano, in diverse parti del mondo, innumerevoli storie della creazione. Queste storie, raccontate in maniera più originaria che rappresentativa, fanno rotta verso un passato che è un presente che resiste. La creazione come un momento privilegiato nella quale l’origine dischiude la sua essenza.

Le cosmologie parlano di eventi antecedenti la creazione degli esseri umani, quando era impossibile distinguere tra animali e dei. Da lì in poi, forse, la creazione degli esseri umani che gestiscono il mondo nell’interesse degli dei, è molto rivelatrice dei cambiamenti della società. L’identità adattata dei Nativi Americani contemporanei spesso trova forza in un autentico passato che rimane vivo in queste fonti sotto forma di racconti delle origini, come anche nell’attuale letteratura indigena. Louis Owens, come molti altri, trova un nesso tra valori e intuizioni “eterni e immutabili” che resistono alla frammentazione del presente.11

L’origine può anche rivelare, negativamente, paradigmi fondamentali che gettano luce sulla nostra intricata situazione attuale. Molti di questi racconti ripetono spesso la storiella di come l’ordine scaturì a partire dal caos originario, nel quale il disordine senza forma (acqua e nulla più) è sopraffatto dalla struttura, anche nota come

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la sua crescita squilibrata “...e la crescita continua e aumenta sicuramente visto che l’undicesimo raccolto è stato seminato”15. Il patriarcato e l’addomesticamento sembrano svilupparsi assieme ma, di nuovo, non senza timori o tentativi di resistenza. “Ci fu un tempo in cui l’agricoltura degli uomini aumentò”, insieme a molti rituali, “mentre le donne giocavano ed erano promiscue con varie forme di vita inferiori”16. “Promiscue” in particolare con il Coyote, il trickster. I racconti degli Indiani del sud-est, inclusi quelli dei Navajo, rivelano come i cacciatori sciamani abbiano abbandonato l’etica dei cacciatori-raccoglitori ponendo grande enfasi sulla conoscenza cerimoniale. Nello stesso momento, i principi più egalitari degli umani perdevano di valore.17

Nella storia originale dei Navajo sono tanti gli inizi e altrettante le fini, mantenendo così viva la possibilità di una condizione egalitaria. I primi dei esistevano sotto forma di trickster divini, senza paura alcuna del “caos”. Quando il cosmo incominciò ad essere ordinato nell’immobilità, si vede chi si oppose a tale approccio: “Allora il Coyote venne e disse: ‘Cosa sta succedendo?’ e afferrò il sacco delle stelle e le riversò dappertutto in cielo.”18

Come Coyote – o sotto altre forme – il trickster è la figura più antica

Un uovo cosmico è al centro delle storie della creazione in Africa, Polinesia e Giappone, per citare luoghi diversi. Esso è un simbolo archetipo dell’agricoltura e della fertilità e annuncia l’arrivo del regime che va nascendo. La simbologia dell’acqua è presente non solo come flusso pre-umano ma anche come distruzione: le storie su diluvi e inondazioni sono presenti in molte culture, sia come promessa di un nuovo ordine sia come minaccia per quelli che resistettero. Un’altro tema comune è l’earth-diver†, una figura che si immergeva in profondità nelle acque per portare in superficie i primi fondanti pezzi di terra. Charles Long associò “il dualismo dei miti degli earth-diver con la tensione tra caccia-pesca e un’attitudine più agricola” in nord America.13

Nella storia principale della creazione dei popoli Dinè e Navajo, Primo Uomo si cimenta nel soggiogare e organizzare la natura con una Pietra sacra Rossa e Bianca. Ma ciò suscita una domanda: “Perché questa pietra sacra, causa di questo desiderato movimento ascendente, disturba e spaventa violentemente le persone?”14 Nello stesso tempo, questo “movimento ascendente” procede e continua † Si potrebbe tradurre con “sommozzatore terrestre”

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Parente dello sciamano, “il trickster sarebbe tornato per rendere il mondo felice come fu un tempo.”20

Elementare, l’energia amorale del trickster non riconosce confini, non è facile mettere bene a fuoco il suo carattere, che molto spesso mostra elementi contraddittori. In letteratura non c’è sempre una distinzione formale tra le storie trickster e quelle non-trickster; il popolo Ewe, per esempio, non divide le storie in questa maniera. Coyote è certamente troppo vivace e irrequieto per essere rinchiuso all’interno dei sistemi accademici.

Ture è un trickster degli Zande dell’Africa. I genitori Azande mettono in guardia i loro figli da questo essere depravato. Rifiuta con disprezzo ogni convenzione ed è indomabile, un eroe che aiuta la sua gente – e tuttavia – le sue azioni disinibite possono anche essere considerate mostruose.21 Un altro trickster africano è la tartaruga briccona Yoruba, conosciuto come Ajàpá. Nelle storie principalmente raccontate da donne, Ajàpá è avverso al lavoro, pigro e spensierato. Aiuta le persone, benché è lontano dall’essere senza difetti; nel racconto Bounteous Ladle †, per esempio, agisce in favore delle creature affamate.22 Creatura selvaggia e golosa come † “Il mestolo abbondante”

delle storie dei Nativi americani, presente in tutte le mitologie. Lo scandinavo Wotan incarna la sensibilità del trickster; nell’Africa occidentale c’è Anansi il Ragno; anche la Polinesia ha i suoi trickster. Che dire anche della leggenda medioevale francese di Renart la Volpe, e del Calibano di Shakespeare che protestano contro la civilizzazione?

I racconti dei trickster ci riportano ad un tempo in cui il mondo era un tutt’uno ma, quando ebbero luogo i primi tentativi di trascrivere tali storie, già in frammenti. Le storie sui trickster non sono pensate per edificare, ma per dar conto e partecipare alle origini dell’universo. Coyote, per esempio, ha a che fare con delle origini locali, e così spinge le persone ad esplorare il loro retaggio e i loro ambienti.

Secondo Mathias Gruenther, “Il trickster è virtualmente una figura universale nella mitologia mondiale, specialmente quella dei cacciatori-raccoglitori, nel cui scenario mitologico occupa una posizione centrale”.19 Coyote è un vagabondo, che non ha appartenenza – tantomeno nella società addomesticata. Nessuno appartiene del tutto alla civilizzazione, quindi il fascino del trickster perdura in una vita da cacciatore-raccoglitore, un’inusuale convergenza di interessi che oggi appare più importante che mai.

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sempre”, aggiungendo che il compito del trickster è “farci conoscere la natura e il significato dell’esistenza sul pianeta terra.”26

Possiamo spostare Coyote dal mito e portarlo in tempi moderni. I Comanches delle Pianure del sud raccontano come ingannò i soldati e i predicatori bianchi.27 Il Coyote del popolo Nez Perce può destituire un capo che sta agendo in modo inappropriato.28 Il popolo Wishram Chinook del Fiume Columbia ci dona questa citazione: “Coyote disse: il salmone è un capo, l’aquila è un capo, e le persone potrebbero essere dei capi. Io sono Coyote, io non sono un capo”.29 Ma secondo l’opinione di Barre Toelken, Coyote è “l’espressione di tutte le possibilità.”30

Molti Indiani Americani vivono ora nella città, così come i coyote, Canis latrans, conosciuti anche per le loro capacità adattive. Questi due gruppi abitatori delle città hanno un impressionante talento su come sopravvivere a dispetto di grandi difficoltà. Come il ragno trickster degli Azande (Ture nella lingua Azande), una creatura che si crea un bozzo di ragnatela per se stessa, il trickster Coyote e l’animale coyote sono ingegnosi, tenaci e inafferrabili. Entrambi possono vivere negli interstizi – sui margini e attraverso i confini – sfuggendo alle strutture negative della società per sopravvivere ed

spesso si è dimostrata, il trickster sembra agire spinto dalla pura gioia dell’inganno.

Un trickster può avere le sembianza di un animale, di un umano o mezzo animale e mezzo umano, persino quella di prezioso assistente di uno sciamano. Generalmente distrugge e sovverte le norme sociali e culturali, ma spesso lo fa con compassione e umorismo, mostrando che la risata può aprirci molte porte e permetterci di vedere la realtà in maniera differente. Come ha concluso Michael Jackson, “tutte le storie sui trickster sembrano dimostrare che l’immergersi nei valori prefissati, nelle convenzioni stabilite, deve essere controbilanciata dal gioco libero, dalla sperimentazione e dal distacco.”23

La studiosa Jo-Ann Archibald degli Sto:lo dei Salish della Costa va oltre e, riferendosi alle condizioni “deboli e frammentate” di molte comunità indigene, fa notare come le storie dei trickster aiutino queste ultime a sopravvivere nonostante le avversità.24

Colardelle-Diarrassouba, commentando il ciclo di storie Hare degli Ewe in Togo, ci dice quanto esse siano fondamentali per preservare le tradizioni ancestrali.25 Tomson Highway della Cree Nation afferma che senza il trickster, “il cuore della cultura indiana sarebbe perso per

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Bright fa notare come in California e nel Grande Bacino†, dove la maggior parte degli indigeni furono cacciatori e raccoglitori fino alla metà del 19° secolo, Coyote è molto spesso “la figura mitica prototipo del trickster”. Tra gli indigeni del sud-ovest, più sedentari e più dediti all’agricoltura, è generalmente il perdente o il pasticcione.37

Eppure il trickster persiste, e ha un grande fascino. In alcune sue personificazioni viene addomesticato, come noi. “Egli” è inesora-bilmente il suo pronome corretto, benché ci siano anche alcune femmine (ad esempio tra gli Hopi e i Tiwa).38

Uno spirito provocatorio addomesticato rimane intrappolato. Questa provocazione continua a infestare un mondo sempre più mansueto e infelice. Sembra esserci una coincidenza diretta tra il numero di racconti sui trickster e il grado di oppressione sociale.

Il trickster può ostentare le credenze cerimoniali, ridicolizzando qualsiasi cosa venga considerata con grande reverenza o rispetto, come, per fare un esempio, Wadjunkago dei Winnebagos.39 Wadjunkago ha fatto anche una satira molto feroce sulle abitudini della guerra, prodotto principale dell’addomesticamento.40

† Il Grande Bacino è un bacino idrografico del nord America.

andare avanti.

Il trickster, come ci ricorda Barbara Babcock-Abrahams, “mantiene la possibilità di trascendere le restrizioni sociali contro le quali ci scontriamo regolarmente.”31 Lo fa nello stile del cacciatore: infatti, ogni cacciatore per aver successo è necessariamente un trickster. Paul Radin scrive del trickster dei Winnebagos: “egli è ancora in stretto contatto con i mondi della natura”32 Un secolo e mezzo fa Daniel Brinton scrisse, riferendosi ad un consiglio dei Tonkaways, un “popolo selvaggio” del Texas: “Fate come fa il lupo... non coltivate mai la terra.”33 Robert Pelton ha riconosciuto che “probabilmente quei cacciatori hanno immaginato i loro trickster in maniera differente dagli agricoltori.”34

Se il trickster era “la figura mitologica principale del mondo Paleolitico”, come scritto da Joseph Campbell35, passò anche, attraverso la transizione, a un ruolo di eroe culturale più controllato. Anche la vitalità originaria di questo giocherellone, a volte osceno, subisce la forza della repressione, come la vita del cacciatore-raccoglitore lasciò il posto a società agricole sedentarie. Il ruolo del trickster perse di importanza man mano che le persone furono influenzate fortemente da uno stile di vita addomesticato.36 William

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in Turchia, ma che io sappia non ho alcun rapporto di parentela con questo popolo. Offro le parole di questo saggio consapevole di essere un profano non-Nativo, con la speranza che possa avere un suo pur modesto valore d’uso. In quanto anarco-primitivista, rispetto e sono profondamente ispirato dalla dimensione indigena, passata e presente.

Il post-modernismo, in particolare e nel suo senso più generale, si è contrapposto all’idea delle storie della creazione frantumando le realtà del trickster. Espressione di cinismo, isolamento e di assuefazione alla tecnologia, il postmodernismo sostiene la “cancellazione delle origini e dei fini storici”44. Accettando la realtà frammentata e superficiale della società di massa, il postmodernismo si allontana dalle tradizioni, dalle origini, a favore di un mondo superficiale e dei giochi di parole.

Jacques Derrida, il de-costruzionista post-moderno per eccellenza, sottolinea che non può esserci un significato ben preciso, perché il suo senso è stato continuamente differito (“differente”). La decostruzione è il primo aspetto di ciò che Stefan Morawski ha chiamato la conseguente “teoria universale dell’impossibilità della teoria”. Un approccio debilitante riflette una condizione culturale debilitante, che è quella della pressione vincente della civilizzazione moderna.45

Andando contro tutto ciò che è proibito, il trickster, ovviamente, non sempre vince. In un comico ribaltamento della storia ufficiale, si ritrova a de-costruire i limiti sociali. Come Nanabozho della tradizione Ojibway, egli è alternativamente il salvatore del suo popolo, un buffone e un aggressore sessuale.41 Bisognerebbe anche aggiungere che alcune storie non hanno niente a che fare col rompere i tabù o portare disordine.

Patricia Clarke Smith, l’ultima scrittrice Mi’kmaq, ci avvertì che i tentativi dei non-nativi di comprendere il significato del trickster sono pieni di trappole.42 Barre Toelken, un non-nativo, spese 30 anni a studiare le storie del Coyote Navajo e dimostrò umiltà e senso del limite. Capì, in particolare, che queste storie possono essere utilizzate nelle cerimonie di guarigione e non debbano essere compromesse.43

Questo breve resoconto non è che un timido approccio ad un soggetto di per se vasto e profondo. Alla lontana, potrei far parte della tribù Curda degli Zerza, come mi venne detto durante una visita

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ovviamente profonde. Paul de Man afferma che “l’etica non ha nulla a che vedere con la volontà (contrastata o libera) di un soggetto, e neppure, a maggior ragione, con una relazione tra soggetti”48. Il linguaggio in se, “definendo” ogni cosa, si riferisce in fin dei conti solo a se stesso. Perciò parlare di etica tra persone che realmente esistono non ha alcun “senso”. L’impossibilità di dare un senso prestabilito al discorso porta necessariamente alla fine della responsabilità. Situazione perfetta per un ordine sociale corrotto e decadente che ha perduto il senso di comunità.

Il post-modernismo alimenta chiaramente la sensazione di un opera umana che si è chiusa in se, senza più né origini né scopi. Ci riserva un pessimismo fatalista e diventa il modello dell’era digitale, asservito al funzionamento di questo gigantesco sistema tecnologizzato. È la prospettiva dominante, troppo limitata per essere capace di criticare razionalmente le attuali infauste condizioni della società e della biosfera.

“Il postmodernismo è ciò che ci si trova di fronte allorché il processo di modernizzazione si è compiuto e la natura è svanita per sempre”, questa la sintesi di Frederic Jameson49. Un altro aspetto agghiacciante, come ha detto David Wood, è che “non si

Contro “la possibilità di capire ciò che il trickster celebra”, riprendendo una frase di Anne Doneihi46, il post-modernismo nega sia le possibilità del trickster sia il suo possibile collegamento ad una realtà indipendente. Come disse Derrida in una sua frase famosa, “non c’è niente al di fuori del testo”, e successivamente aggiunse che, non c’è niente neppure “dentro”47. All’interno del simbolico, quindi, può esserci soltanto un gioco infinito di “significati”, senza nessun contatto reale con nient’altro. Come poi aggiunge, questo è ciò che avviene, che è sempre avvenuto e sempre avverrà.

Per definizione, ogni origine reale deve essere negata; perché ovviamente sono tutte extra linguistiche. Il mito di una terra o di un pensiero nativo perduto deve essere abbandonato. Perfino l’espressione di un pensiero simile, originario, qualsiasi pensiero di questo tipo viene scartata a priori. Tradizioni orali? L’assurdo privilegio che Derrida dà allo scrivere rispetto al parlare è la risposta a questa fonte piena di significati profondi. Vedere il “mondo” come un insieme di segni su un foglio o su uno schermo – segni i cui significati devono essere per forza arbitrariamente prestabiliti – significa rifiutare un processo di vita attivo.

Le conseguenze del ridurre tutto quanto alla linguistica sono

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ragioni naturali, sono limitati nella coscienza umana e nella distanza del discorso.”52

Quale post-modernista parigino ha scritto quanto sopra, vi chiederete? Niente meno che Gerald Vizenor degli Anishinaabe, tra i più talentuosi e provocatori scrittori Nativi americani degli ultimi anni. Questo passaggio oscuro non rende giustizia alla serie di storie, saggi, romanzi e poesie di Vizenor, di solito originali, scherzose e stimolanti,53 ma spiega il motivo per il quale abbia detrattori sia indigeni che non-indigeni.

I frequenti riferimenti a teorici post-strutturalisti e post-modernisti come Derrida e Roland Barthes, assieme a passaggi illeggibili come quello sopra, ci aiutano a identificare Vizenor come uno scrittore disinteressato alla prosa chiara delle storie dei Nativi. Infatti, secondo Robert Berner, per lui “le narrative tribali tradizionali sono soltanto gli inevitabili tragici residui di culture morenti”.54

Questo non per dire che egli sia indifferente alla condizione dei popoli nativi. Sopravvivenza e speranza sono i temi chiave dei suoi racconti e delle sue poesie sui trickster, come in Le nonne degli Anishinaabe, e infatti molto spesso i suo personaggi principali sono Anishinaabe.

può pensare all’importanza della natura senza provare rimpianto”. Wood aggiunge che questo “non significa rimpiangere una purezza perduta, un’identità privilegiata, ma piuttosto una ricchezza perduta di molteplici possibilità”50.

Il postmodernismo si dichiara contro queste possibilità, ma mi sembra che le porte per queste possibilità – tanto disprezzate da alcuni – siano chiuse dall’interno. Proseguendo, Adorno ci dice che “la speranza non è il ricordo tenuto fermo bensì il ritorno dell’obliato”51.

“La coscienza post-indiana è un tumulto di ombre in lontananza, l’impronta di ragioni naturali che conduce a una panca in pietra; il silenzio umano delle ombre, e le ombre animate al di sopra della presenza. L’ombra è quella sensazione di moto intransitivo verso il referente: il silenzio nelle memorie. Le ombre non sono né l’assenza di entità, né il fardello di riferimenti concettuali. Le ombre sono il silenzio pre-narrativo ereditato dalle parole; le ombre sono i movimenti che raffigurano il silenzio, ma non la presenza o assenza di entità. I suoni delle parole, e non il criterio delle ombre e delle

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qualità. Si fa beffa dei sociologi repressivi della parola al Biovaricious Word Hospital, che chiedono chiarezza (grande nemica del postmoderno), in un capitolo chiamato “Word Wars in the Word Wards”† 59. In generale, e spesso con lo spirito del trickster, dichiara che le parole guariscono rifiutando di prendersi sul serio, e che la scrittura post-moderna non è il posto dove cercare significati o verità.

Quando gli viene chiesta la sua definizione di post-modernità, Vizenor risponde conciso, “L’idea che le parole siano selvagge, ovviamente”60. Il problema, ovviamente, è che le parole non sono selvagge, malgrado la loro incomparabile venerazione da parte dei post-modernisti. Secondo Vizenor il gioco del linguaggio in sé è l’ultimo e definitivo trickster.

Per questo talentuoso narratore, il gioco libero delle parole mina i significati immutabili e “le credenze definitive”. Queste parole di Vizenor si riferiscono a ogni orientamento fondante, il quale viene rifiutato categoricamente dal post-modernismo (uno stratagemma fondamentale in se). Con questo spirito, Vizenor castiga Scott

† “Guerra della parola al padiglione della parola” - Bioavaricious Word Hospital invece è il nome di un capitolo del libro Bearheart (Cuore Di Orso), la parola “Bioavaricios” è un gioco di parole, non esiste in inglese, come suono mette insieme le parole “Bio” abbreviazione di biologico probabilmente e “avaricious” avaro.

Eppure in quanto post-modernista, nell’opinione del critico Robert Warrior degli Osage, l’insistenza di Vizenor su “le conclusioni e le prassi della teoria francese” va a discapito dei bisogni degli indigeni.55 Tra i modi con cui comunemente viene definito Vizenor, James Sinclair degli Niigonwedom si riferisce a lui come a un relativista culturale impegnato nel “processo di minare, sovvertire e screditare l’identità dei Nativi in tutte le sue parti”56.

Dall’altro lato, Deborah Madsen applaude il suo “discorso di sopravvivenza decostruttivo ed ermeneutico [come] una potente strategia per sovvertire le strutture coloniali di oppressione degli Stati Uniti.”57 Alcuni accademici difendono Vizenor proprio in quanto post-moderno; altri tendono a vedere questa teoria maliziosa come eurocentrica, oscurantista e colonizzatrice in sé o, nella migliore delle ipotesi, lungi dall’essere liberatoria. Ad una conferenza a Yale del 1998 “Translating Native Culture”†, la scrittrice Elizabeth Cook-Lynn dei Santee/Yakton Sioux ha criticato aspramente le idee accademiche “post-indiane” definendole confuse e ridicole.58

Gerald Vizenor, nel suo primo e più conosciuto romanzo, Bearheart, ha dimostrato di avere grandi virtù da commediografo, tra le altre

† “Interpretare le culture native”

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abbiamo forse bisogno di un senso della vita stabile e impegnato?

Il presentimento che l’esistenza umana potrebbe non essere così dolorosa – come molte persone pensano – sta al centro di molte storie immortali. Spesso, e apparentemente dappertutto nel mondo, queste storie vengono raccontate per spiegare perché le cose non sono come dovrebbero essere. E c’è sempre la possibilità (forzata) di adattarsi al declino generale sentito profondamente da persone di ogni background. Todd May fa notare come venga accettata la perdita della comunità e di come ci si arrende nel ridefinirla65. Marianna Torgovnick ci ricorda che nelle culture primitive possiamo scorgere un faro di unità e di connessione, una luce che non si è ancora estinta come qualcuno spererebbe66.

Una relazione fondamentale è certamente quella che ogni persona ha con la natura. L’attivista Nativa Janet McCloud: “Il tuo cuore batte sempre ed è sempre in movimento dentro e fuori, non è così? Le leggi della natura sono con te dovunque tu sia... Il tuo corpo è natura. Tu hai anche un fiume, un sole e una luna dentro di te. Tutto quello che c’è fuori esiste anche qui dentro.”67

Il legame con le origini non è separato dal legame con la regolarità del

Momaday per volersi aggrappare ad una passata età dell’oro indiana61. Afferma che questo è un errore razzista. I Nativi, nelle città, ora sono “post-indiani” e la riserva non rappresenta più il modello di vita di riferimento. In Bearheart, per esempio, Belladonna Darwin-Winter Catcher muore perché si aggrappa alla “perfezione del passato” invece di “sopravvivere nel presente”62.

Tanto per cominciare, il rifiuto funzionale di significati prestabiliti è, per alcuni, il rifiuto di qualsiasi base da dove partire per affrontare ciò che riguarda gli interessi sociali e politici degli indigeni. Craig Wornack si chiede come qualsiasi movimento politico significativo possa esistere senza solide fondamenta63. Jennifer Nez Denetdale, nella sua meditazione Navajo Remembering our grandmothers†, sente che “la memoria ancestrale e le forme che essa prende nella tradizione orale sono tra le risorse più potenti che gli indigeni hanno per affermare i loro status di indigeni.”64

Nel suo insieme, l’etica tecno-consumista post-moderna ci taglia fuori dalle origini, dagli obiettivi e anche da noi stessi. Il soggetto decentrato, frammentato è stato posto sul trono, in un modo o nell’altro, sia come realtà e persino come ideale. E di nuovo, non † “Ricordando le nostre nonne”

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Note

1 Friederich Nietzsche. “Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali”, Editore Newton Compton 1990. Tesi 442 F.W.J. von Shelling - “Die Weltalter” (Le età del mondo, nelle traduzioni in italiano), 1811: ci sono varie versioni di questo testo rimasto incompiuto tra cui un’edizione della Micromegas del 1991. 3 Mircea Eliade. “Miti, sogni e misteri”, Torino, Lindau, 2007.4 James S.Hans. “The Origin of Gods” , Albany, State University of New York Press, 1991 p.15 Branden W.Joseph. “Dark Energy”, in ArtForum, Febbraio 2011, p.1976 Theodor Adorno. “Dialettica negativa”,Torino, Einaudi, 2004. p.2887 Hilary Lawson. “Closure: A story of Everything”, New York, Continuum, 2007. p.IX8 Citato da David Simpson. “Situatedness, or Why We Keep Saying Where We’re coming from”, Durham, Duke University Press, 2002 p.2339 Theodor Adorno. “Dialettica negativa”, Torino, Einaudi, 2004. p.17210 Kevin Tucker. da: “When lights go out”, The Agrarian Curse (CD), Milwaukee, FC Records, 2008. 11 Luis Owens. “Mixedblood Messages: Literature, Film, Family, Place”, Norman, University of Oklahoma Press, 1998. p.25-2612 Mircea Eliade. “Il sacro e il profano”, Torino, Bollati Boringhieri, 1973 (1956).13 Charles Long. “Alpha: The Myths Of Creation”, Chico, CA, Scholars Press, 1963. p. 19214 Sheila Moon. “A Magic Dwells”, Middletown, CT, Wesleyan University Press, 1970. p. 67.15 Ibid., p. 140.16 “Emergence Myth According to the Hanelthnayhe or Upward-Reaching Rite”, registrato da Berard Haile, O.F.M., Santa Fe, Museum of Navajo Ceremonial Art, 1949 p. 129.17 Karl W. Luckert. “The Navajo Hunter Tradition”, Tucson, The University of Arizona Press, 1975. p. 18818 Moon. op.cit, p. 161. Vedi anche J. Frank Dobie, Mody C. Boatwright and Harry H. Ransom,

mondo naturale, malgrado il progetto implacabile della “Macchina” di volerli spezzare entrambi. Assieme al suo complice post-moderno, la tecno-sfera ci suggerisce di sottomettersi a questa nuova dottrina. Non è una coincidenza che la figura del cyborg della maliziosa scrittrice post-moderna Donna Haraway sia destinata esplicitamente a cancellare l’interesse per le origini68. L’amara ironia sta nel nome di questo simulatore di vita cibernetica: Origin.

Per comprendere questa nostra inquietante condizione, dobbiamo capire come ci siamo finiti dentro. Comprendere il tutto non è mai stato tanto necessario. Mentre anche senza negare la loro particolarità, le voci e le tradizioni degli indigeni dovrebbero essere ascoltate per la sopravvivenza stessa.

Non dobbiamo soccombere alla cieca obbedienza, essere spazzati via da quelle forze che si sono sempre schierate contro i popoli Originari e ad altre cose di valore. Questo sforzo continua e, come dice lucidamente Benjamin “solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato”.69 Affido il mio destino a questa frase di Celan: “sarà un andare, ma grande, ma tanto al di là dei confini che essi ci assegnano.”70

John Zerzan, 2011

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1980. p. 271.35 Cited in David Leeming and Jake Page. “The Mythology of Native North America”, Norman, University of Oklahoma Press, 1998. p. 46, 48.36 Marc Linscott Rickett. “The North American Trickster”, History of Religions 5, 1965 p. 328.37 Bright, op.cit., p. 367.38 Ellen Datlow and Terri Windling. “The Coyote Road: Trickster Tales”, New York, Viking, 2007. p. 11-12.39 Babcock-Abrahams, op.cit., p. 178.40 Radin, op.cit., p. 154.41 John A. Grim. “The Shaman: Patterns of Siberian and Ojibway Healing”, Norman, University of Oklahoma Press, 1983. p. 85.42 Patricia Clark Smith. “Coyote Ortiz: Canis Latrans in the poetry of Simon Ortiz” in Studies in American Indian Literature, Paula Gunn Allen, ed. New York, Modern Language Association of America, 1983. p. 194.43 Barre Toelken. “Life and Death in Navajo Coyote Tales” in “Recovering the Word”, Brian Swann and Arnold Krupat, Berkeley, University of California Press, 1987. p. 388-401.44 Christopher Nash. “The Unravelling of the Postmodern Mind”, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2001. p. 124.45 Stefan Morawshi. “My Troubles with Postmodernism,” in The Philosophical Forum XXVII no. 1, Fall 1995 p. 78.46 Anne Doueihi. “Inhabiting the Space Between Discourse and Theory in Trickster Narratives”, in William J. Hynes and William B. Doty, eds., “Mythical Trickster Figures”, Tuscaloosa, University of Alabama Press, 1993. p. 201.47 Cited in David Wood. “The Step Back: Ethics and Politics after Deconstruction”, Albany: State University of New York Press, 2005. p. 223.48 Paul de Man. “Allegorie della lettura”, Torino, Einaudi, 1998. p. 206.49 Frederic Jameson. “Postmodernismo, ovvero La logica culturale del tardo capitalismo”, Roma, Fazi, 2007. p. 5

eds., Coyote Wisdom, Dallas, Southern Methodist University Press, 1965. p. 72.19 Mathias Gruenther, “The Trickster” in Bron Taylor et al, eds., Encyclopedia of Religion and Nature, vol. II, New York, Thoennes Continuum, 2005. p. 1663.20 Weston La Barre. “The Ghost Dance: Origins of Religion”, New York, Dell Publishing, 1972. p. 21621 E.E. Evans-Pritchard. (Oxford: The Clarendon Press,1967), p. 32, 28.22 Oyekan Owomoyela. “Yoruba Trickster Tales”, Lincoln: University of Nebraska Press, 1997 p. x11123 Michael Jackson. “Allegories of the Wilderness: Ethics and Ambiguity in Kuranko Narratives”, Bloomington, Indiana University Press, 1982. p. 296.24 Jo-Ann Archibald (Q’UM Q’UM XIIEM), “Indigenous Storywork: Educating the Heart, Mind, Body, and Spirit”, Vancouver, University of British Columbia Press, 2008 p. 129.25 Zinta Konrad. “Ewe Comic Heroes: Trickster Tales in Togo”, New York, Garland Publishing, 1994 p. 19.26 Cited in Archibald, op.cit., p. 7.27 William Bright. “A Coyote Reader”, Berkeley: University of California Press, 1993 p. 19.28 Deward E. Walker, Jr. “Blood of the Monster : the Nez Perce Coyote Cycle, Worland”, WY: High Plains Publishing, 1994. p. 224.29 Dell Hymes. “Now I Know Only So Far”, Lincoln: University of Nebraska Press, 2003. p. 279.30 Cited in Bright, op.cit., p. 21.31 Barbara Babcock-Abrahams. “A Tolerated Margin of Mess: A Trickster and his Tales Reconsidered” in Journal of the Folklore Institute 11, 1974 p. 147.32 Paul Radin. “The Trickster”, Westport, CT, Greenwood Press, 1969 p. 133. In italiano si può trovare “Il bricone divino” di Paul Radin, Carl Gustav Jung e Karl Kerényi, Milano, Bompiani, 1965.33 Daniel G. Brinton. “Myths of the New World”, New York: Leypoldt & Holt, 1868 p. 231.34 Robert D. Pelton. “The Trickster in West Africa”, Berkeley, University of California Press,

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60 Gerald Vizenor and A. Robert Lee. “Postindian Conversations”, Lincoln, University of Nebraska Press, 1999 p.21.61 Chadwick Allen. “Indigenous Identity in American Indian and Maori Literature and Activist Texts”, Durham, Duke University Press, 2002. p. 191.62 Blair, op.cit., p. 79.63 Henry et al., op.cit., pp 227, 229.64 Jennifer Nez Denetdale. “Remembering our Grandmothers: Navajo Women and the Power of Oral Tradition”, in Julian E. Kunnie and Nomalungelo I. Goduka,eds., Indigenous Peoples’ Wisdom and Power (Burlington, VT: Ashgate, 2006), p. 82. In un’intervista del 1999, Vizenor elogia la democrazia costituzionale degli Stati Uniti per aver difeso gli interessi dei Nativi americani. Sorprendentemente, senza ironia! Hartwig Isernhagen, Momaday, Vizenor, Armstrong. “Conversations on American Indian Writing” , Norman, University of Oklahoma Press, 1999. p. 94.65 Todd May. “The Community’s Absence in Lyotard, Nancy, and Lacone-Labarthe,” in Philosophy Today 37 (Fall 1993), specialmente p. 280.66 Marianna Torgovnick. “Gone Primitive”, Chicago, University of Chicago Press, 1990. E in “Primitive Passions”, New York, Alfred A. Knopf, 1997.67 Janet McCloud. “On the Trail”, in Jonathan White. “Talking on the Water”, San Francisco, Sierra Club Books, 1994 p. 253.68 Jane Bennett. “The Enchantment of Modern Life”, Princeton, Princeton University Press, 2001. p. 177.69 Walter Benjamin. “Tesi di filosofia della storia” (1940),in “Saggi e frammenti”, Torino, Einaudi.1981. Tesi III70 Paul Celan. “Luce coatta e altre poesie postume”, Mondadori, 1983. p. 193 oppure “Poesie”, Mondadori, 1998. p.1321

50 Wood, op.cit., p. 185.51 Theodor Adorno. “Sulla scena finale del Faust” in “Note per la letteratura”, Einaudi, Torino, 1974. p.6552 Gerald Vizenor. “Shadow Survivance, Manifest Manners: Postindian Warriors of Survivance”, Hanover NH, University Press of New England, 1994. p. 64.53 Una delle mie favorite è “Manifest Manners: The Long Gaze of Christopher Columbus,” in “American Indian Persistence and Resurgence”, Karl Kroeber, ed: Durham, Duke University Press, 1994. p. 224-236.54 Robert L. Berner. “Defining American Indian Literature”, Lewiston, NY, The Edwin Mellen Press, 1999. p. 54.55 Citato in “A Sovereignty of Transmotion” di James Sinclair dei Niigonwedom, in “North American Indian Writing, Storytelling and Critique”, East Lansing, Michigan State University Press, 2006. p. 132.56 Ibid., p. 129.57 Deborah L. Madsen. “Native Authenticity: Transnational Perspectives on Native American Literary Studies”, Albany; State University of New York Press, 2010. p. 14. La Madsen più avanti, mentre sottolinea l’enfasi ironica di Vizenor, non riesce a vedere l’ironia del titolo del proprio libro. L’autenticità è un concetto completamente screditato dai post-modernisti in quanto illusione. Baudrillard, Deleuze e Guattari e altri pensatori di quel tipo, ai quali Vizenor ha di continuo legato il suo approccio, basano il loro orientamento teorico proprio su questo punto. Vedere Arnold Krupat, The Turn to the Native, Lincoln, University of Nebraska Press, 1996. p. 67.58 Elizabeth Cook-Lynn. “American Indian Studies: An Overview. Keynote address at the Native Studies Conference”, Yale University, February 5, 1998. in Wicazo Sa Review 14:2 (Autumn 1999), pp 14-24.59 Gerald Vizenor. “Bearheart: The Heirship Chronicles”, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1990. See Elizabeth Blair, “Text as Trickster : Postmodern Language Games in Gerald Vizenor’s Bearheart,” MELUS 20, No. 4 (Winter 1995), p. 88.

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Popolo: Innu (Naskapi), Labrador, Quebec (Canada).

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Così Ghiottone chiese a Topo Muschiato di portagli su della terra. “Ci proverò” disse Topo Muschiato “ma solo se legherai una stringa di cuoio intorno alla mia zampa.” La stringa fu legata e Topo Muschiato saltò in acqua. Era sott’acqua già da un po’ di tempo. “Spero non sia annegato” pensò Ghiottone. Tirò su la stringa, e quando finì, gli rimase in mano...senza Topo Muschiato.Brutta storia, pensò Ghiottone. Questo significa d’ora in poi solo acqua, acqua e ancora acqua.

Ma appena persa ogni speranza, Topo Muschiato riemerse. La sua bocca era così piena di terra da non riuscire a parlare. E nemmeno a respirare. Ghiottone mise le sue labbra sul culo di Topo Muschiato e soffiò più forte che poté. E la terra schizzò fuori dalla bocca di Topo Muschiato, sempre più terra, cumulo su cumulo, sembrava non avesse fine.

Questa terra è proprio la terra sulla quale oggi noi camminiamo.

Tanto tempo fa tutto ci fu un tempo di grandi inondazioni. Quasi l’intero mondo giace sott’acqua. Ghiottone fu in grado di rimanere asciutto solo saltando da un masso all’altro. Disse a se stesso: “se queste inondazioni continuano, anche le pietre dove saltello saranno sommerse, e questo porrebbe fine al mio vagare, e forse, anche alla mia vita”. Così convocò una riunione fra tutte le creature acquatiche. Chiese ad ognuno di aiutarlo a salvare il mondo dall’annegamento.Per primo si rivolse a Lontra: “Tuffati Lontra” disse Ghiottone “e portami della terra.”

Lontra si tuffò, ma tornò su senza terra. Disse che non riusciva a vedere nulla li sotto se non alghe e qualche pesce.Poi si rivolse a Castoro. Disse: “se mi porti su della terra, ti troverò una graziosa compagna.”

Anche Castoro si tuffò ma anche lui non riuscì a portar su neanche un po di terra. “Non riesco a immergermi così in profondità da raggiungere il fondo.” ansimò “e per la compagna, preferisco farne a meno piuttosto di annegare.”

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e continuò a schiacciarlo.

A questo punto Ghiottone chiamò i suoi fratelli in cerca di aiuto.“Lupo, liberami da questo maledetto masso!”“Volpe, liberami da questo maledetto masso!”Né Lupo né Volpe poterono aiutarlo. Dissero che era quello che si meritava, visto che aveva insultato il masso, perciò poteva anche rimaner bloccato li sotto.

“Rana, vieni qui e aiutami a liberarmi da questo masso!”Rana cercò di alzare il masso, ma le sue zampe erano troppo scivolose e non riusci a spostarla di un centimetro.“Topo, mi puoi aiutare?

“Mi spiace, fratello” disse Topo, “ma sono troppo piccolo.”Alla fine Ghiottone chiamò suo fratello Tempesta. Tempesta gli diede un’occhiata e fece una fragorosa risata: “Che ci fai sotto quel masso, fratello?”“Sto facendo di nuovo lo stupido” sospirò Ghiottone. “Ora puoi per favore aiutarmi a rialzarmi?”Tempesta chiamò Fulmine, il quale zigzagò dal cielo e colpì il masso, bamm! E lo ruppe in tanti tanti piccoli pezzi.

Molto tempo fa non c’erano rocce nel mondo. Solo un enorme e gigantesco masso. Ghiottone esaminò questo masso e disse, “ Scommetto che riesco a correre più veloce di te, amico.”

E il masso rispose: “Probabilmente è vero, anche perché io non posso correre per niente. In effetti sono qui fermo nello stesso posto da talmente tanto tempo che non riesco neanche a ricordare quanto.”“Non puoi correre? Ma persino Lemming riesce a correre. Anche Formica ci riesce. Tu potresti essere il più lento dei lenti, amico”

E dopo ciò Ghiottone sferrò al masso un forte calcio. Il masso non rispose con un calcio e tantomeno con gli insulti di Ghiottone, così cominciò a rotolare verso di lui.“Bene quantomeno riesi a mmmm,” Ghiottone sogghignò, e si precipitò giù per la collina con il masso che rotolava dietro di lui.“Sei soddisfatto ora?” disse il masso.“Lo sono, ma spero che tu rallenterai, mi stai facendo male ai talloni”.“Pensavo tu volessi vedermi correre...”

Di colpo Ghiottone cadde e il masso rotolò proprio sopra di lui.“Scendi! Mi stai schiacciando!” gridò. Ma il masso stette li dove stava

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Ghiottone stava cercando in giro un compagno con cui andare a caccia. Arrivò in un posto dove due donne, una madre e sua figlia, avevano piantato il proprio accampamento. La figlia disse che avrebbe cacciato con lui.“Ma tu sei una donna”“Non proprio, è solo che qualcuno mi ha fatto un incantesimo, e ora appaio così.”“Se sei un uomo” disse Ghiottone, “fammi vedere come pisci”Lei si accovacciò.

“Proprio come pensavo” disse Ghiottone, e continuò la sua ricerca. Ma dovunque vagò, sembrava non riuscisse a trovare un uomo che cacciasse con lui. In realtà non riuscì a trovare al mondo nessun uomo, di nessun tipo. Pensò: “Forse l’uomo non è ancora stato creato, ecco un lavoro per me per i prossimi giorni.”Ma ad ogni modo continuava ad aver bisogno di un compagno per cacciare. Così tornò all’accampamento delle donne. “Prendete le vostre cose,” disse alle donne “e venite con me”.La prima notte, Ghiottone offrì alle donne teste di caribù per cena.

Ecco come nacquero le rocce.D’allora Ghiottone si rivolse a queste pietre con parole gentili, perché nono voleva che il suo corpo fosse di nuovo schiacciato.

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“Una donna, una donna, gridarono gli altri.E di colpo tutti si misero a cercarla.

Dopo un po’ Ghiottone si svegliò, “cosa ci fa la mia coperta al vento”, disse fra se e se. Poi realizzò che era il suo pene che l’aveva sollevata. “Fratellino” disse al pene, “sembra quasi che tu abbia voglia di lavorare ancora un po... anche dopo la scorsa notte.” Così tornò dalle due donne nella tenda.

Le donne erano ancora addormentate. Ghiottone fece per svegliarle, quando si accorse che il ragno, il bruco e la formica strisciavano dentro e fuori dalle loro vagine. E nel mentre cantavano: “Che dolce sapore! Quanto è delizioso! Non ne avremo mai abbastanza!”Ghiottone allungò le zampe e li afferrò tutti e tre.“Hey! Perché fai questo, zampe corte!” gridarono.“Perché alle creature come voi non è permesso entrare nelle vagine delle donne, ecco perché”, disse Ghiottone, e aggiunse: “Volete un posto dove strisciare? Bene vi darò io un posto dove strisciare.”Al che li distese dentro un ceppo di un albero marcio.“Qui è dove vivrete d’ora in avanti, amici” disse.E nei ceppi di alberi marci è dove tutti e tre hanno vissuto fino ad oggi.

La figlia prese la testa e tentò di staccagli via le mascelle.Continuò a tirare e a tirare fino a che tirò talmente forte che cadde con la schiena all’indietro.“Ehe!” esclamò Ghiottone “Lo sapevo che non sei un uomo.” E le saltò addosso.“Non lasciarglielo fare”, disse la madre alla figlia.“Avrai un bambino, e non riuscirai più cacciare.” Ma la ragazza aveva già bloccato il pene di Ghiottone tra le sue gambe.La vecchia donna afferrò il pene “Io sono tua madre”, disse, infilandoselo tra le proprie gambe, “quindi, tocca a me per prima”. Quando finì, la figlia lo prese e se lo rimise in mezzo alla gambe. E quando ebbe finito la vecchia donna lo agguantò nuovamente.Il mattino seguente Ghiottone si svegliò presto per andare a caccia. Visto che le due donne dormivano ancora, decise di andare da solo. Ma era così stanco dalla notte precedente, che riuscì ad andare soltanto fino ad una piccola radura vicino alla sua tenda. Quindi si sdraiò sul muschio e si addormentò.

Ad un certo punto arrivò un ragno, un bruco, e una formica. Videro il pene di Ghiottone al vento. Il ragno diede un’annusata e disse, “c’e una donna qui da qualche parte.”

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sbattevano, i suoi piedi erano quasi congelati ma non volle ammettere che faceva freddo.

“Ti piace questo clima, amico?” chiese Tciwetinowinu.“Va bene”, disse Ghiottone, “ma speravo in qualcosa di più freddo.”Il giorno seguente la neve cadde ancora più copiosa. Quindi smise di nevicare, e diventò così freddo che i rami si staccarono dagli alberi.Ghiottone sedeva di fronte al suo fuoco, versandoci sopra del grasso.Tciwetinowinu passo per un’altra visita.“E adesso, che ne pensi del clima?”

Come in precedenza Ghiottone non volle demordere. Al contrario cominciò a raccontare al suo ospite tutti i pettegolezzi che aveva sentito quell’anno, chi aveva rubato più mogli e cose del genere. E mentre parlava continuava a versare grasso nel fuoco.Tciwetinowinu cominciò a sciogliersi. Ghiottone continuò a raccontare pettegolezzi, nel mentre che il suo ospite continuava a sciogliersi.

Alla fine Tciwetinowinu disse, “sei più forte di me, amico. Mi hai battuto con i miei stessi trucchi. Non c’è niente che possa fare ora se non dire addio.”

Un inverno Ghiottone stava vagando tra la fanghiglia. Dovunque andava, sprofondava fino alle cosce in questa fanghiglia. Non riusciva ad attraversare i fiumi perché non erano abbastanza ghiacciati. E non riusciva nemmeno ad attraversare i laghi perché c’era sempre troppa acqua sul ghiaccio. Alla fine disse: “Cosa c’è che non va con Tciwetinowinu?” Se veramente vuol dimostrare di essere un uomo dovrebbe mandarci un vero inverno.”

Poco dopo Ghiottone s’imbatté in un’enorme uomo vestito completamente in bianco. L’uomo disse, “Sono Tciwetinowinu. Ho sentito che non sei soddisfatto del tempo.”Ghiottone ripeté quanto detto sull’inverno, che non era abbastanza freddo.

Tciwetinowinu sorrise. “Vedrò cosa posso fare” disse.L’estate successiva fu molto calda. Anche l’autunno fu caldo. Cominciò l’inverno e pareva che anch’esso sarebbe stato caldo.“ Tciwetinowinu è una donna” pensò Ghiottone.La neve cominciò a cadere fitta e l’accampamento di Ghiottone venne sepolto. E divenne anche molto freddo.Un giorno Tciwetinowinu passò per una visita. I denti di Ghiottone

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e chiedere aiuto a nostro fratello Ghiottone, altrimenti moriremo anche noi.”

Così andarono a visitare Ghiottone nella sua tana. “Ho ucciso lupi, orsi, persino esseri umani” disse Ghiottone, “penso che potrò facilmente avere la meglio su una semplice puzzola.”Ma quando Ghiottone vide tutti quei cadaveri cambiò idea. Troppo tardi, la puzzola stavagià avanzando verso si lui.Improvvisamente si voltò e puntò il culo verso la sua faccia. Ghiottone serrò le sue mascelle direttamente sul culo della puzzola, sapendo che se avesse mollato la presa la puzzola avrebbe rilasciato le sue Rime mortali uccidendolo.

A quel punto il capo tribù e i suoi figli uscirono dal proprio nascondiglio.“Bel lavoro, Ghiottone, vecchio amico!” dissero. Quindi iniziarono a picchiare la testa della puzzola coi loro bastoni. La colpirono più volte alla testa finché crollò a terra. Ghiottone mollò la presa.E la puzzola, poco prima di morire gli spruzzo in faccia.“Mi ha colpito! Mi ha colpito!” gridò Ghiottone.Si precipitò verso il mare e si tuffò. Quindi si lavò finché non riuscì a togliersi tutta quella puzza di dosso...dentro al mare.

Uscì dalla tenda di Ghiottone, e proprio in quel momento, il freddo divenne meno rigido.E così da quel momento in poi, gli inverni sono stati inverni, né troppo freddi o troppo caldi, ma il giusto.

Un giorno una Puzzola gigante arrivò in un’accampamento e spruzzò due vecchie donne. Una donna disse all’altra, “questa è la scoreggia più potente che tu abbia mai fatto, sorella.”“Non ho scoreggiato, sorella. Ma la tua scoreggia è assassina...”Poco dopo le due donne erano morte asfissiate.Ora la puzzola si mosse verso un uomo che stava friggendo grasso di orso per fare l’olio. L’uomo pensò tra se, “questo grasso è davvero puzzolente, kue! Sarò io che puzzo cosi tanto...”Dopo non molto era morto anche lui.

La puzzola attraversò tutto l’accampamento, spruzzando donne e figli, bambini e persone anziane, persino i cani. Chiunque venne colpito cadde morto sulla sua scia. Alla fine solo il capotribù e i suoi due figli rimasero in vita. Il capo tribù disse: “Dobbiamo cercare

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e gridò: “Stupidi esseri umani! Stupidi esseri umani”

La vecchia donna prese il suo arco e scoccò una freccia, la quale colpì dritto una delle ali di Ghiottone. Mentre cercava di scuotersi via di dosso la freccia, la donna ne scoccò un’altra sull’altra ala. Precipitò proprio dove stava la donna che si tirò giù i gambali e si accovacciò sopra di lui dicendo: “Ho sempre voluto cagare su di un ghiottone.”Ghiottone le disse: “Non cagarmi addosso, nonna! Ti troverò una pernice per cena, una lepre, qualsiasi cosa, ma ti prego non cagarmi addosso!”

Le vecchia gli cagò addosso.Fù cosi che Ghiottone decise di rinunciare a volare. Così si narrava tanto tempo fa.

E da quel giorno, l’acqua del mare cominciò a puzzare, ad avere un cattivo sapore, e nessuno potè più farne uso in alcun modo.

Un giorno Ghiottone vide uno stormo di oche volare in cielo. “Se le oche possono volare” si disse, “dovrei esser capace di volare anch’io”. Sbatté le sue zampe anteriori, ma, niente sembrava succedere. Le scuoté ancora ma, di nuovo, niente. Così andò a trovare alcune oche e gli chiese di insegnarli a volare.

Le oche lo ricoprirono di piume e gli diedero un paio d’ali che nessuna stava usando, e immediatamente cominciò a volare proprio come un’oca.

“Devi stare attento agli esseri umani, fratello”, gli dissero le oche, “ti uccideranno se ti vedono”.Disse Ghiottone, “Non ho mai avuto paura degli esseri umani fino ad ora, e non comincerò ad averne adesso.”Così volò compiaciuto come avrebbe voluto fino a quando volò sopra un’accampamento. Giù nell’accampamento scorse una vecchia donna. “Ah” disse, “è uno di quegli stupidi esseri umani.”

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a vedere tanto bene?”

Ghiottone disse: “Nostro padre mi spruzzava succo di bacche negl’occhi. E come tutti sanno, il succo di bacche migliora la vista.”“Me ne spruzzeresti un po’ nei mie occhi?”“Con molto piacere, sorella. Ma prima ti devi sdraiare.”L’orsa fece quanto detto.

“Ora tieni a mente questo: prima di migliorare la tua vista peggiorerà.”“Me lo ricorderò, fratello.”Così Ghiottone cominciò a spruzzare bacche negli occhi dell’orsa. Il succo l’accecò.“Stai andando bene, molto bene, sorella” disse Ghiottone. Afferrò la sua lancia e glie la conficcò nel cuore.“È stato quasi troppo facile”, disse tra se e se.

Dopo aver ripulito la carcassa dell’orsa, Ghiottone moriva dalla voglia di mangiare le cervella. Solitamente le lasciava come dessert, ma sta volta tutto ciò che voleva era spaccare il cranio e mangiarselo. Tuttavia, il cranio non voleva rompersi. Non si ruppe nemmeno dopo averlo sbattuto contro una roccia.“Bene”, pensò, “Mi trasformerò in un baco”.

Da molto tempo Ghiottone stava mangiando soltanto lemming e topiragni. Bramava grasso, vero grasso, grasso succulento. Così quando vide una grande orsa che si aggirava nei paraggi, escogitò un piano per farla finire dentro il suo stufato.

“Come va sorella?” disse.“Perché mi chiami sorella? Rispose l’orsa” “Sono un’orsa e tu un ghiottone, due creature completamente differenti.”“Un ghiottone? La tua vista sembra far cilecca, sorella. Sono un orso, proprio come te. E a dire la verità sono tuo fratello.”“Le tue zampe son troppo corte per essere un orso.”

“Ammettilo sorella, stai perdendo la vista. Perché, scommetto che non riesci neanche a vedere quel piccolo mucchietto di bacche mature laggiù.” E indicò il fianco arido di una collina. “Vedo solo muschio e rocce...”

Con un incantesimo Ghiottone sparse delle bacche su tutta la collina. I due si spostarono laggiù. L’orsa esclamò, “Come fanno i tuoi occhi

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via mentre Ghiottone era incastrato dentro il cranio.Così Ghiottone tornò a mangiare lemming e topiragni.E non si trasformò mai più in un baco.

E fu proprio quello che fece.

Quindi strisciò dritto dentro la cavità di un occhio e cominciò a succhiare le cervella.. Succhiò...e succhiò...e succhiò. E divenne più grosso...e più grosso...e più grosso.

E alla fine Ghiottone divenne un baco talmente grosso che non riuscì più ad uscire dall’orbita oculare.“Aiuto!”, urlò. “Sono intrappolato dentro il cranio dell’orsa!”Ma nessun aiuto arrivò. Chi mai aiuterebbe una baco?“Morirò di fame”, pensò Ghiottone.

Ma non morì di fame. Diventò invece sempre più magro fino a che diventò così magro che riuscì a strisciar fuori dall’orbita oculare. Una volta uscito tornò alle sue sembianze originali. E non avendo mangiato dall’ultimo boccone delle cervella era ora molto affamato.“È una fortuna che ho ancora tutta questa carne d’orso” pensò Ghiottone.

Ma dov’era finita tutta quella carne? Non riusciva più a trovarla da nessuna parte. Strutò persino sotto le rocce ma senza trovarne più un pezzetto. Questo perché un lupo l’aveva trovata e l’aveva trascinata

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E così Ghiottone creò il mondo. Ma una volta tentò pure di disfarsene.Te lo racconterò.

Era inverno e faceva molto freddo, Ghiottone non aveva molta legna, e così bruciava ossa per il loro grasso. Ma dopo un po’ resto anche senza ossa.

“Bene”, disse “forse potrei trovare una qualche femmina per tenermi un po’ al caldo.” Dopo poco una ragazza molto graziosa arrivò nel suo accampamento.Ghiottone disse tra se e se, “mi infilerò sotto le sue vesti stanotte.” La invitò a condividere con lui cuore di caribù.“Solo se lo cuoci”, disse lei.“Non ho legna”, rispose, “e nemmeno ossa.”“Bene”, disse lei, “se non li cuoci, non li mangerò.”

E presto si rimise le sue scarpe da neve.Ora Ghiottone era talmente arrabbiato che cominciò a fare a pezzi la terra, afferrando e lanciandone pezzi al cielo. Molti di quei pezzi

Accadde che Ghiottone non riusciva a smettere di scoreggiare. E queste scoregge facevano scappare tutte le prede. “Taci!” disse al culo.

“Taci tu”, rispose il culo, “o smetti di mangiare così tanto muschio, ecco perché continui a scoreggiare tutto il tempo.”“No, è colpa tua se scoreggio tutto il tempo, amico, e ti punirò per questo”.

Così scaldò un’enorme pietra e si sedette sopra finché il suo culo non bruciò quanto una patatina fritta rossastra.“Mi stai uccidendo”, urlò il culo.“Forse così imparerai a non scoreggiare mentre sto cacciando”, disse Ghiottone. Dopo pochi giorni il suo culo cominciava a guarire, e una della croste cadde.

“Ah”, pensò Ghiottone, “un pezzo di carne secca, che fortuna che qualcuno l’abbia persa”. La raccolse e la mangiò, dicendo, “Um-m-m niente male...” Più tardi ne cadde un altro pezzo e si mangiò anche quello. E poi un altro pezzo, e un altro ancora.Fu così che Ghiottone visse tutto l’inverno mangiando il proprio culo.

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58 59Fip Milano 2013

ricaddero...e furono le montagne. Ma qualche altro restò la su... e non tornò mai più indietro...restando su per sempre.Quella divenne la Via Lattea.

Non è meraviglioso come capitano le cose?

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I racconti dei trickster ci riportano ad un

tempo in cui il mondo era un tutt’uno ma,

quando ebbero luogo i primi tentativi di

trascrivere tali storie, già in frammenti.

Le storie sui trickster non sono pensate per edificare, ma per rappresentare e partecipare alle

origini dell’universo.

Il legame con le origini non è separato dal legame con la regolarità del mondo naturale, malgrado il progetto implacabile della “Macchina” di volerli spezzare entrambi. Assieme al suo complice post-moderno, la tecno-sfera ci suggerisce di sottomettersi a questa nuova dottrina.

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