ORIANA FALLACI. - lucacarbone.it · tro il sacro e profanato principio della Libertà di 10 Stampa....

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ORIANA FALLACI. La vedo molto stanca. Moltoconsunta, molto dimagrita. Come sta?

ORIANA FALLACI. Male, grazie. Però non se nepreoccupi. La testa resiste benissimo. Nel mio ca-so il motto «Mens sana in corpore sano» va sosti-tuito col motto «Mens sana in corpore infirmo».Perché ragiono, scrivo, combatto come prima epiù di prima. È come se la mia mente fosse del tut-to estranea al mio corpo. O come se col male delcorpo la mente si rinforzasse. Un fenomeno inte-ressante. I medici dovrebbero studiarlo, scoprirese tra il sistema neurologico e la malattia v'è unasorta di rivalità, infine chiedersi: può il cervellocontrollare, tenere a bada, un mucchio di celluleimpazzite? Può la mente opporsi alla morte, osta-colarla, ritardarla? Io penso di sì. Non a caso so-stengo che l'anima è una formula chimica. Bè, for-se quella formula contiene gli anticorpi che rifiu-

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tando di lasciarsi soggiogare dalle cellule impazzi-te mi forniscono, per ora, una specie di immunità.

Me ne rallegro e chiarisco subito un punto. Questa

intervista non avrà nulla in comune con quelle chefacevamo ai potenti della Terra. Tantomeno se-

guirà la traccia de Il compagno segreto: il racconto

dove, attraverso l'alter-ego che si nasconde sullasua nave, Joseph Conrad fruga nella propria co-

scienza e cerca di capire sé stesso. Il mio ruolo, sta-volta, sarà semplicemente quello di porle brevi do-

mande, spronarla a parlare. D'accordo?

D'accordo, ma di punti io devo chiarirne altri dueo tre. Primo: detesto le interviste. Le ho sempredetestate, incominciando da quelle che facevamoai cosiddetti potenti-della-Terra. Per esser buonaun'intervista deve infilarsi, affondarsi, nel cuoredell'intervistato. E questo mi ha sempre incussodisagio. In questo ho sempre visto un atto di vio-lenza, di crudeltà. Secondo: in maniera particola-re ho sempre detestato quelle che i giornalisti fa-cevano a me, non di rado manipolando le mie pa-role, alterandole fino a rovesciarne il significato,aggiungendo al testo scritto domande che nonavevano avuto il coraggio di porre e quindi rispo-ste che non avevo mai dato, poi riparandosi die-tro il sacro e profanato principio della Libertà di

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Stampa. Infatti a un certo punto dissi basta, nonmi beccate più. Smisi di farmi intervistare, e perfi-no quando uscì La Rabbia e l'Orgoglio, perfinoquando uscì La Forza della Ragione, mi guardaibene dal mostrarmi e dall'aprir bocca. Sa, i mieirapporti col giornalismo sono sempre stati diffici-li. Oserei dir dolorosi. Ai miei occhi il giornalismonon ha quasi mai corrisposto all'idea platonicache ho di tale mestiere. E sebbene a lui abbia de-dicato la maggior parte della mia esistenza, sebbe-ne a lui debba il privilegio d'aver vissuto come untarlo dentro la Storia della mia epoca, io mi sentopiù a mio agio nella solitudine della letteratura.

Allora perché ha accettato di vedermi?

Perché ho la morte addosso. La Medicina hasentenziato: «Signora, Lei non può guarire. Nonguarirà». Stando a quel verdetto, e nonostantegli anticorpi del cervello, non ho molto tempoda vivere. Però ho ancora tante cose da dire, eun'intervista m'è parsa il mezzo più sbrigativoper dirne almeno alcune.

Il terzo punto qual è?

Questo. La proposta di far intervistare la Fallacidalla Fallaci mi insegue da decenni. Cento volte

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me la son sentita rivolgere, cento volte. In ogni lin-gua, in ogni paese. E l'ho sempre respinta con unsecco no-grazie. Io non ho compagni segreti che sinascondono a bordo della mia nave. Non ho biso-gno di frugare dentro la mia coscienza attraversodi loro. La mia coscienza traspare in modo lam-pante da ciò che scrivo, ossia dalle idee che espri-mo senza ipocrisia. Non mi piace, insomma, indul-gere ad autoritratti. Non mi piace nemmeno offri-

re il volto ai fotografi, ai cameramen, alla curiositàdella gente. Mi dolgo d'averlo fatto in passato e,ogni volta che rivedo quelle dannate fotografie,sbuffo. Anche se stanno sulla controcopertinad'un libro. Ho ormai raggiunto quella che chiamol'Età d'Oro della Vita cioè quel che il vocabolariochiama vecchiaia. Conduco una vita molto ritirata,molto spartana, e sono molto gelosa della mia pri-vacy. Scrivendo, è vero, mi servo di riferimenti per-sonali. Di esperienze che mi appartengono, di epi-sodi che mi riguardano. E questa intervista è inco-minciata con la rivelazione brutale della malattiache oggi condiziona la mia esistenza. La domina.Ma a parte il fatto che la mia malattia non la na-scondo mai, poi le dirò perché, ne ho parlato perintrodurre l'argomento che mi preme. E questo ar-gomento non è la Fallaci: è l'Italia. L'Occidente,l'Europa, l'Italia più ammalata di me. Faremoun'intervista politica, amica mia. Lo sa?

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Lo so, anche se qua e là cercherò di non rispettareal mille per cento il patto. Mettiamoci al lavoro,dunque. Continuando a darci del Lei o passandoal tu?

Continuando a darci del Lei, per carità. Non amoindulgere a mode giacobine. E poi Lei appartie-ne al mio passato. Io appartengo al mio presente.Mischiandosi ad esso subirebbe traumi per cuinon è preparata. Da dove incominciamo?

Incominciamo dalla ottocentomillesima copia omeglio dalla ennesima edizione del Suo libro LaForza della Ragione che porta una nuova e lun-ghissima dedica. Indirizzata non solo ai morti diMadrid, stavolta, ma ai nostri morti. Ai morti ita-liani, americani, inglesi, canadesi, danesi, francesi,polacchi, tedeschi, bulgari, giapponesi, russi, corea-ni, iracheni, insomma a tutte le vittime del terrori-smo islamico. Nonché a chi, in buonafede, quellevittime non le piange quanto dovrebbe. Bè: è unadedica feroce, direi. Impietosa e feroce.

No. È giusta e necessaria. Perché sono successecose nefande in questi quattro mesi cioè dal gior-no in cui uscì La Forza della Ragione. Massacriquotidiani, rapimenti, esecuzioni... Mutilazioni edecapitazioni incluse. Cose nefande eppure accol-

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te, assai spesso, con indifferenza o con le consuetemenzogne di coloro che parlano di «resistenzairachena». La dedica ai morti di Madrid, dunque,non mi bastava più. E mi dispiace soltanto di nonessere stata sufficientemente dura, d'aver mitigatoil mio sdegno con la riflessione. Sono troppi quel-li che tacciono. Che la pensano come me ma han-no paura di dire ciò che dico io. Che per conve-nienza o viltà fanno i furbi, fingono di non vedereciò che vedono come me. Sicché il loro silenzio èlo stesso silenzio, la loro paura è la stessa paura, laloro furbizia è la stessa furbizia con cui negli anniVenti poi negli anni Trenta del Novecento i lorononni accolsero il fascismo e il nazionalsocialismoe il bolscevismo. M'è scoppiata come uno starnu-to, quella nuova dedica. E il fatto che certa gentela giudichi impietosa, feroce, non mi preoccupa.Alle incomprensioni, ai processi, agli autodafé,«Brucia-l'eretica-bruciala», ci sono abituata. Ba-sta che apra bocca perché mi aggrediscano con gliarticoloni, i titoloni, addirittura i comunicati diRedazione. Anche se esprimo un faceto commen-to sullo sputo d'un calciatore. È una moda, ormai.Ma io continuerò a parlare finché avrò fiato. L'im-portante è che a leggermi qualcuno finisca col ra-gionare e col trovare il coraggio che ora non ha. Ilcoraggio di piangere insieme a me e ribellarsi.

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Piangere? Ne La Rabbia e l'Orgoglio Lei ha scritto

che non è capace di piangere dacché era bambina...

No. Ho scritto che da allora non piango con le la-crime, che non piango bagnato, ma che senza la-crime piango più di quelli che piangono infradi-ciandosi il viso e la camicia. È diverso. Cristo, sen-za lacrime in questi quattro mesi ho pianto fino arestare disidratata. Ho pianto quando le bestieche i furbi chiamano «guerriglieri» o «resistentiiracheni» hanno scannato il pacifista Nick Berg.Che mentre urlava come un bove al mattatoio glihanno tagliato la testa con un coltello da macella-zione halal, gliel'hanno strappata assieme al mi-dollo spinale e con un video ce l'hanno mostratatutti contenti. Ho pianto quando hanno fatto lostesso con l'ingegnere americano Paul Johnsonpoi l'hanno fotografato con la testa mozza e posa-ta sullo stomaco. Ho pianto quando hanno ripe-tuto l'infamia col sudcoreano Kim Sun che implo-rava di non essere ucciso, «io-che-c'entro, che-c'entro». Ho pianto come piansi quando decapi-tarono Daniel Pearl, il collega del Wall Street Jour-

nal. Ho pianto come ho pianto quando hanno as-sassinato Fabrizio Quattrocchi morto dicendo«Ora ti faccio vedere come muore un italiano». Hopianto anche quando le nostre pavide autorità glihanno negato i funerali di Stato e perfino la ca-

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mera ardente che in Campidoglio concedono aidefunti attori comici. E quando nemmeno i fami-liari dei tre ostaggi catturati con lui sono andati arendergli omaggio nella cappella che le Clarisse diGenova avevan prestato per la veglia funebre. Ipolitici della presunta Sinistra lo stesso, visto chenon si trattava d'un uomo di Sinistra, sicché i fu-nerali sono caduti nelle mani dei mammasantissi-ma dell'altra sponda. I mammasantissima col ta-tuaggio di Mussolini sul collo. E poi ho piantoquando le medesime bestie hanno decapitatoGheorghi Lazov, l'ostaggio bulgaro il cui corposenza testa è stato ritrovato nel Tigri, ma nessunoha battuto ciglio. Quasi che a certe cose ci avesse-ro fatto l'abitudine. E poi ho pianto quando a Yu-nes Mohammed Alì, l'ostaggio iracheno che gesti-va una lavanderia nella base americana di Mosul,hanno amputato le mani e tolto un occhio sebbe-ne si fossero messi in tasca un riscatto di ventimiladollari. Ho pianto come piango ogni volta che i fi-gli di Allah sgozzano le loro vittime o commetto-no massacri nei quali muoiono i loro stessi bambi-ni e i loro stessi fratelli. E come avrei voluto pian-gere quando coloro che chiamo collaborazionisti,cioè traditori, volevano impedire la nostra Festadella Repubblica. O come avrei voluto piangerequando i cosiddetti Disobbedienti dell'estremaSinistra hanno berciato o scritto sui muri di Roma

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«Dieci, cento, mille Nassiriya». Razza di delin-quenti.

Per questo tiene quella grossa bandiera tricolorealla finestra?

Anche per questo. Ce la misi la notte in cui seppiche Fabrizio Quattrocchi era stato ucciso. Dioche notte. Faceva un freddo invernale, qui in To-scana. Pioveva a dirotto, lampeggiava, il vento tiportava via, ed io ero più malata di sempre. Avevoun dolore tremendo ai polmoni e alla trachea e al-l'esofago, dove l'Alieno s'è fatto il nido. Così nonpotevo neppure scendere dal letto. Potevo strin-gere i denti e basta. Però appena seppi che Quat-trocchi era stato ucciso, mi alzai. Presi il tricoloreche tenevo nel cassettone, mi trascinai alla fine-stra e bagnandomi tutta, prendendomi schiaffi divento, lo fissai alla griglia del balcone con gli spil-li da balia. La mattina dopo chiamai tre amicioperai, operai dell'Enel, e: «Ragazzi, bisogna chemi aiutiate a installare bene un tricolore che hofissato con gli spilli da balia perché l'asta non cel'ho». Vennero subito. «S'arriva di corsa, Falla-ci!». Uno portò addirittura l'asta. Di nascosto allamoglie l'aveva tolta dalla camera da letto dovereggeva le tende, e ogni poco ripeteva: «Quandola se n'accorge, quella la mi divorzia!». Io stavo

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peggio della notte prima. Il dolore era aumentatoe mentre fissavano l'asta, ci inchiodavano la ban-diera, non li osservai. Ma a lavoro concluso andaia vedere e mi commossi. Guardi, non è una bel-lezza? Se qualcuno me la tocca, gli sparo nel sede-re col fucile da caccia. Eh! Sebbene la mia Italiasia un'Italia ideale, un'Italia che non esiste, cheforse è esistita soltanto nel Risorgimento, guai seil mio orgoglio patriottico viene ferito.

Però alla base di quel tricolore vedo anche duebandierine americane.

Sissignori. Due bandierine di carta impermeabile,venti centimetri per quindici, che insieme a duebandierine italiane comprai a New York quandoD'Alema venne in America per incontrare tuttoemozionato Bill Clinton. Le bandierine americanele ho messe due mesi dopo, cioè il giorno in cui siseppe che i militari della Delta Force avevano libe-rato i tre ostaggi italiani e il polacco. Le ho messe econtinuo a tenerle per ringraziarli come vuole labuona educazione. Fuorché Cupertino, pubblica-mente non l'ha fatto nessuno. Nemmeno Berlu-sconi. Nemmeno il presidente della Repubblica.Entrambi ci hanno raccontato che il merito anda-va ai servizi segreti italiani, cosa di cui dubito for-tissimamente, e a proposito dell'irruzione nel covo

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non hanno mai parlato di americani. Hanno sem-pre parlato di «Forze della Coalizione», così indu-

cendoci a credere che tali Forze fossero composteda militari di varie nazionalità. Quindi anche daitaliani e da polacchi. Non a caso prima di metterele due bandierine americane cercai una bandierapolacca, e non la aggiunsi al tricolore solo perchénon la trovai. Peggio: scendendo dall'aereo che liaveva riportati in patria, nessuno dei tre ostaggi li-berati ringraziò gli americani. Ringraziarono tutti.Anche i giornalisti, chissà perché. Ma gli america-ni, no. Quasi avessero ricevuto un ordine preciso,come il presidente del Consiglio e il presidentedella Repubblica parlarono solo di Forze dellaCoalizione. Peggio ancora: riferendosi alle parolepronunciate dai Delta Force al momento dell'irru-zione, nei giorni seguenti ci raccontarono che pri-ma di tagliar le catene i liberatori avevano detto:«Doni worry, we are friends. Non allarmatevi, sia-mo amici». Non ci credo. I Delta Force non si pre-sentano dicendo «We are friends, siamo amici». Sipresentano dicendo: «We are Americans, siamoamericani». È il regolamento. Peggio ancora edancora: se il Corriere della Sera non avesse pubbli-cato la fotografia in cui si vedono i Delta Force checon le tenaglie spaccano le manette, oggi si dubite-rebbe che i nostri ostaggi e il polacco siano stati li-berati da loro. Si crederebbe ai parolai che attri-

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buendosi il merito del rilascio si comportano co-me se dagli «imperialisti americani» fossero statiscippati. E questo mi disgusta al punto che quelledue bandierine ce le terrò per sempre. Ora possotornare al mio discorso sul piangere?

Un momento. Prima ho una domanda sull'Alienoche, uso le Sue parole, s'è fatto il nido nei polmonie nella trachea e nell'esofago. So che per Alieno in-tende il cancro, e sebbene mi dispiaccia indurla adapprofondire quel tema...

No, no, di lui parlo sempre. Apertamente, con

tutti. Ne parlo anche per rompere il tabù di cuidivenni consapevole quando lui mi aggredì la pri-ma volta, e il chirurgo che mi aveva operato disse:«Le dò un consiglio. Non ne parli con nessuno».Rimasi allibita. E così offesa che non ebbi la forzadi replicare: «Che cosa va farneticando?!? Avereil cancro non è mica una colpa, non è mica unavergogna! Non è nemmeno un imbarazzo, vistoche si tratta d'una malattia non contagiosa». Eper settimane continuai a rimuginare su quelleparole che non comprendevo. Poi le compresi.Perché se dicevo d'avere il cancro molti mi guar-davano come se avessi la peste descritta da Man-zoni ne I promessi sposi. O come se fossi già sot-toterra. Impauriti, disturbati. Quasi ostili. Alcuni

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mi toglievano addirittura il saluto. Voglio dire:sparivano, e se li cercavo non si facevan trovare.Infatti fu allora che coniai il termine Alieno. Ogginon accade più, ne convengo. Però stia attenta: dirado lo chiamano col suo vero nome. I giornali adesempio dicono «malattia inguaribile». Gianni-e-Umberto-Agnelli-sono-morti-d'una-malattia-in-guaribile. Jacqueline-Kennedy-morì-d'una-malat-tia-inguaribile. Questo perpetua il tabù, e quasiciò non bastasse alimenta una menzogna. Perdio,non è vero che dal cancro non si guarisce! Spessosi guarisce. E se non si guarisce, si dura. Col miosono durata circa undici anni. E grazie agli anti-corpi che tengo nel cervello potrei durare un po-co di più. Ora posso riprenderlo il discorso sullagente che non piange e non si ribella?

Un altro momento, la prego. Poco fa mi ha rispo-sto che ne parla «anche» per rompere il tabù. Ciòmi autorizza a pensare che vi sia un secondo moti-

vo. Qual è?

Convincere chi ce l'ha a non fare quel che ho fattoio. È colpa mia se dopo undici anni lui s'è risveglia-to. Colpa mia. Tutta mia. Con 1'11 settembre smisidi curarmi. Di frequentare gli oncologi, di farmi gliesami. Infatti il direttore del Boston Hospital, allo-ra l'ospedale che mi teneva d'occhio, mi mandò

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una letteraccia in cui diceva: «Ms Fallaci, you areputting in jeopardy the reputation of my equipe.Lei sta mettendo a rischio la reputazione della miaéquipe». Ma non avevo il tempo di andare a Bo-ston. Prima l'articolone, La Rabbia e l'Orgoglio, e ilfracasso che ne seguì. Poi il libro omonimo e il fra-casso che si raddoppiò. Poi le traduzioni... Dopoaverlo pubblicato in Italia mi misi a tradurlo in in-glese e in francese nonché a controllare, parola perparola, la versione spagnola. Non mi fido mai deitraduttori, tra me e loro v'è un'ostilità sanguinosa,e nelle lingue che conosco preferisco tradurmi dasola. Poi i processi in Francia, le accuse di razzismoreligioso, di istigazione all'odio, di xenofobia. Poile stronzate dei no-global che volevano entrare nelCentro Storico di Firenze e sfregiare i monumenti,sicché venni in Italia per tentar d'impedirglielo. Poila guerra in Iraq dove stavo per andare e non andaiperché non si può salire sui carri armati o correresotto le mitragliate con un corpo che non ti obbe-disce. Per oltre due anni queste cose requisironoogni istante della mia vita, e m'indussero a dimen-ticare l'Alieno che dormiva. Dio, che sciocchezza.Che suicidio. Comunque il vero suicidio l'ho com-messo a evitare i medici per scrivere La Forza della

Ragione. Non a caso mia sorella Paola odia quel li-bro in maniera maniacale e quando ne vede una co-pia sibila: «Maledetto. Sei tu il responsabile».

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Si spieghi meglio.

Bè, io non mi proponevo di scrivere un altro librosu noi e l'Islam. Volevo fare soltanto un Post-Scriptum a La Rabbia e l'Orgoglio. Invece mi fiorì

tra le mani La Forza della Ragione, e quando scri-vo un libro io mi comporto come una donna in-cinta che pensa al feto nel suo ventre e basta. Nonconta che lui. M'accorsi, sì, che l'Alieno s'era sve-gliato. Scrivevo e tossivo, scrivevo e tossivo. Unatossaccia secca, cattiva, e simile a quella che in po-chi mesi s'era portata via mio padre con un cancroai polmoni. Ma anziché correre a Boston o cercar-mi un medico a New York continuai a lavorare. Seci vado e mi conferma che s'è svegliato, conclusi,mi opera. Se mi opera, interrompo la gravidanza:abortisco. Mi trovai insomma nelle condizioni d'u-na donna che deve scegliere tra la propria vita equella del figlio. E scelsi la vita del figlio. Con otti-mismo, però. Proprio come facevo alla guerra, peresempio in Vietnam, quando sceglievo di seguirele truppe in combattimento e sapevo che potevomorirci ma con una sorta di scommessa puntavosul non-morire. Mi dicevo: ce-l'ho-fatta-la-volta-scorsa-e-ce-la-farò-di-nuovo. Bè, ho perso la scom-messa. Quando a marzo sono venuta in Italia perdare il Visto-si-Stampi a La Forza della Ragione, ilchirurgo di Milano ha detto: «Troppo tardi per

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operare». E mi ha passato all'oncologo che mi am-ministra le chemio. Ma ora mi lasci riprenderequel discorso. Ci tengo perché il mio piangere sen-za lacrime riguarda un altro cancro. Un cancroben più tragico, ben più irrimediabile, del mio. Uncancro per il quale non esistono chirurgie, chemio-terapie, radioterapie. Il cancro del nuovo nazifa-scismo, del nuovo bolscevismo, del collaborazio-nismo nutrito dal falso pacifismo, dal falso buoni-smo, dall'ignoranza, dall'indifferenza, dall'inerziadi chi non ragiona o ha paura, cioè. II cancro del-l'Occidente, dell'Europa, e in particolare dell'Ita-lia. Il cancro per il quale soffro assai più di quantosoffra per il mio. Ne soffro a tal punto che vi sonomomenti in cui non capisco se il mio tormentovenga dai dolori del corpo o dai dolori dell'anima.Di questo mi resi conto durante un'altra notte ditregenda. Un sabba pieno di diavoli, di streghe, difantasmi che ballavano orgiasticamente dentro lapioggia e ballando mi pugnalavano al cuore. Mi ri-devano in faccia, si facevano beffe di me. La nottein cui scoprii le nequizie di Abu Graib.

Proprio un punto a cui volevo arrivare.

Ne son certa. E non mi piace. Perché in questi me-si i giornali e le televisioni ci hanno vissuto di ren-dita, su Abu Graib. Non passava giorno senza che

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ci inzuppassero il pane, e per inzupparcelo megliominimizzavano le nequizie che avvenivano sull'al-tra sponda. E a tal proposito mi lasci subito direche su certe faccende non accetto lezioni di civiltàda nessuno. Io le ho impartite tutta la mia vita,quelle lezioni. Attraverso i miei libri, le mie cor-rispondenze di guerra, e il mio comportamentoquotidiano. Sono stata educata bene, io, non comegli ipocriti che fanno i moralisti da una parte e ba-sta. Avevo quattordici-quindici anni quando in viaPonte alle Mosse, a Firenze, vidi mia madre pic-chiare una mascalzona che maltrattava i prigionie-ri tedeschi. Prigionieri incatenati e ammassati suun camion aperto. Il camion s'era fermato accantoal marciapiede e la mascalzona, peraltro moglied'un ex-federale fascista (cosa che la dice lunga su-gli italiani voltagabbana) s'era messa a colpirli conschiaffi e con pugni. Bè, non so immaginare unadonna che a quel tempo odiasse i tedeschi più dimia madre. Nella Resistenza, fino al giorno prima,c'era stata anche lei: ricorda? Non so immaginarenemmeno una signora più garbata, quindi menomanesca, di mia madre. Eppure appena s'accorseche nessuno reagiva allo scempio si gettò su quelladonna come un gatto infuriato. La agguantò per ilcollo e prese a picchiarla selvaggiamente. In fac-cia, sulla testa, sullo stomaco. E picchiandola rug-giva: «Miserabile, iena, vigliacca! Non si tocca un

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uomo in catene! Un uomo in catene è sacro anchese è un sudicione come te!». Non l'ho mai dimen-ticato. Mai. Infatti la notte in cui le streghe e i dia-voli e i fantasmi ballavano orgiasticamente dentrola pioggia, si beffavano di me, soffrii quanto avevosofferto per l'assassinio di Quattrocchi. Di queimilitari americani pensai cose che i professionistidell'antiamericanismo non si sognan nemmeno.Del signor Rumsfeld che certo sapeva, lo stesso.Mi sentii tradita, offesa, ingannata. Mi sentii comeuna moglie che ha sorpreso il marito a letto conun'altra donna, e volevo divorziare. Volevo lascia-re la mia casa di New York e restituire a Rumsfeldla mia Permanent Resident Card. E se avessi in-contrato la sgualdrina che vestita da soldatessa s'èfatta fotografare mentre tiene un detenuto irache-no a guinzagl io, l'avrei picchiata come mia madreaveva picchiato la moglie dell'ex-federale fascista.L'avrei massacrata di botte.

Senza intervistarla, senza interrogarla sui perché?

Ovvio. E senza chiedermi se quel detenuto ira-cheno fosse un criminale di Saddam Hussein. Seavesse gassato i curdi, torturato e ucciso i suoicompatrioti. Se fino alla vigilia del suo arresto sifosse divertito a mutilare i cadaveri dei Marines,a tagliargli le gambe, le braccia, i genitali per esi-

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birli dinanzi alla marmaglia esultante. Senza dir-mi, inoltre, che episodi uguali a quelli di AbuGraib sono sempre avvenuti. In ogni esercito,ogni società, ogni momento storico. Tanto perandar sul recente, pensi ai mussulmani che in Li-bano crucifiggevano i cristiani maroniti. Dopoavergli mozzato gli arti e cavato gli occhi, badabene. Pensi alle allucinanti torture cui i nordviet-namiti sottoponevano nei campi di prigionia gliamericani catturati. Pensi ai vietcong che faceva-no a pezzi i neonati dei Montagnard cattolici epoi li buttavano dentro la capanna del capovil-laggio. Pensi agli Khmer Rouges che in Cambo-gia schiacciavano i poliziotti con le jeep. E che ilnostro collega Sean Flynn, il figlio di Errol Flynn,lo ammazzarono così: lo legarono a un albero, vi-vo lo aprirono dal collo all'inguine, gli tolsero ilfegato, e... Anche senza il fegato, Sean ci misetanto a morire. Storia, questa, di cui gli ipocritiche fanno i moralisti da una parte e basta hannoparlato ben poco o non hanno parlato affatto.Oh, sì: quella sgualdrina l'avrei massacrata dibotte senza dirmi tutto questo. E senza rammen-tare a me stessa che dei nostri delitti noi ci vergo-gniamo. I figli di Allah, no. I nostri delitti noi liprocessiamo, li condanniamo. I figli di Allah, no.I loro estimatori, i loro sostenitori, nemmeno. Mapoi, giorno dopo giorno, presi a riflettere sulle

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cose che ho detto prima. Cioè sulle mostruositàcommesse dai mussulmani in Libano, dai vietconge dai nordvietnamiti in Vietnam, dagli KhmerRouges in Cambogia. E conclusi che, a qualsiasirazza o religione o credo politico appartengano,gli esseri umani sono capaci di tutto. La perfidiascorre nelle loro vene come il sangue, la crudeltàappartiene alla loro natura. Quindi a lasciare lamia casa di New York, a restituire la mia Perma-nent Resident Card non soltanto sarei stata ingiu-sta con gli americani che si sentivano ancor piùtraditi e offesi e ingannati di me: avrei portato ac-qua al mulino degli ipocriti che osano paragona-re una testa mozza con una testa incappucciata.La fotografia dell'iracheno al guinzaglio, col vi-deo di Nick Berg che in nome di Allah viene de-capitato. Infatti son io che ora pongo due o tredomande. Perché gli editoriali sulla decapitazio-ne di Nick Berg sono stati così cauti? Perché iquattro giornalisti che hanno pubblicato o tra-smesso il fotogramma dove si vede la sua testamozza e strappata sono stati denunciati da un lo-ro collega alla magistratura e minacciati di san-zioni disciplinari? Perché alle decapitazioni degliostaggi la stampa e la Tv non hanno dato il me-desimo spazio, il medesimo rilievo, che hannodato e danno alle nequizie di Abu Graib?

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Non lo chieda a me. Io la penso come Lei e sonoqui solo per spronarla a parlare, ricorda?

L'hanno dato a Nick Berg lo spazio, il rilievo. Per-ché era il primo, suppongo. A Paul Johnson e aKim Sun, ne hanno dato assai meno. E a Gheor-ghi Lazov quasi punto. Cristo! Nessuno può ne-gare che in Europa e soprattutto in Italia il Malevenga presentato con due pesi e due misure. Nes-suno può negare che pei nemici dell'Occidente inostri media avanzino sempre qualche giustifica-zione. Nessuno può negare che le nequizie islami-che siano sempre accompagnate da qualche silen-zio o da qualche ma, qualche però. E la risposta almio interrogativo è proprio il cancro incurabiledel nuovo nazifascismo, del nuovo bolscevismo,del nuovo collaborazionismo. Soprattutto il colla-borazionismo di coloro che berciano o scrivonosui muri «Dieci-cento-mille-Nassiriya». Che suisiti Internet chiedono «Dieci Euro per la Resi-stenza Irachena». Che durante i loro cortei bru-ciano le automobili e spaccano le vetrine dei Mc-Donald's. Che nei loro comizi definiscono Bushun criminale, un boia, un assassino da consegnarealla Corte dell'Aja. Il collaborazionismo, insom-ma, d'una Sinistra che le bandiere rosse le ha so-stituite con le bandiere arcobaleno. E che le ban-diere arcobaleno le sventola solo a favore del-

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l'Islam. Il collaborazionismo, infine, di coloro chein buona fede gli si accodano. Oppure si tappanogli occhi, gli orecchi, la bocca, e tacciono per viltà.

Il termine buona fede è importante. Del resto, loripeto volentieri, è anche alla gente in buonafedeche Lei ha indirizzato la nuova dedica de La Forzadella Ragione.

Gliel'ho indirizzata nella speranza che ritrovino laragione. Con la ragione, un po' di buonsenso e unpo' di dignità. Perché la buona fede non basta acancellare la colpa. La paura, la viltà, nemmeno.Durante gli anni Trenta del Novecento, gli anni incui il cancro del nazifascismo travolse l'Italia e laGermania, molti collaborarono in buona fede. Lefolle oceaniche che imbottivano piazza Venezia edAlexanderplatz non eran composte soltanto da fe-delissimi, da picchiatori. Erano composte ancheda ingenui o da scriteriati che credevan d'averetrovato la manna, o da pecore senza dignità. (Ten-go-famiglia). Senza di loro Hitler e Mussolini nonce l'avrebbero fatta. E va da sé che il contributomaggiore gli venne fornito dalle debolezze dellademocrazia, dalla cecità o dall'imbecillità degli uo-mini politici, dal cinismo dei governi europei. InItalia le Camicie Nere randellavano, gestivano ladittatura, e l'Europa zitta. In Germania le Camicie

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Brune e le SS facevan lo stesso, e l'Europa zitta. ARoma Mussolini blaterava le sue sciocchezze e lesue minacce contro le democrazie-plutocratiche, el'Europa zitta. A Berlino Hitler istituiva i Tribuna-li Speciali, emanava le leggi razziali, costruiva cam-pi di concentramento ad Auschwitz e a Dachau,spingeva i suoi sogni di espansionismo alla Polo-nia, e l'Europa zitta. O condiscendente. Zitto an-che il Vaticano, del resto. Zitto anche Pio XII, conle sue arie da monarca. Non per nulla in quegli an-ni la Chiesa Cattolica benedisse più gagliardetti diquante sigarette io abbia fumato nella mia vita. Sigiunse così al 1938 cioè all'anno in cui Hitler siprese l'Austria e celebrò il Patto di Monaco. Anzi,quell'anno l'Europa fece qualcosa di peggio chestare zitta: l'Inghilterra gli mandò Chamberlain, laFrancia gli mandò Daladier, entrambi si calaron lebrache, e... C'è nessuno che se ne ricorda?

Non sia ingiusta. Sul Patto di Monaco, ad esempio,Il Riformista ha addirittura tenuto un convegno.

Sì, e il presidente del Senato ha detto: «Sull'Unio-ne Europea soffia lo spirito di Monaco, lo spiritodel 1938». Ma il tacito paragone è caduto nel vuo-to. I più non hanno nemmeno capito di quale spi-rito parlasse, ed io non so se disprezzarli o invi-diarli. Perché è quel paragone, è la similitudine tra

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il nazifascismo e il cosiddetto fondamentalismo-

islamico, che alimenta il mio dolore dell'anima.

Quel dolore che a volte mi impedisce di capire sele sofferenze mi vengono dal corpo o dall'anima,dal mio Alieno o dal cancro di questa Eurabia di

nuovo venduta dai Chamberlain e dai Daladier.

Cioè dalle opposizioni ancora ammalate di bolsce-vismo, dagli arcobalenisti che sostengono il nemi-co, dai mascalzoni che buttano il crocifisso dalla

finestra e vogliono imporci il Corano. Quanto oliodi ricino dovremo farci ficcare in gola prima di

realizzare che l'Eurabia, pardon, l'Unione Euro-

pea è l'Europa del 1938?! Oh, sebbene fossi unabambina di appena nove anni, lo ricordo bene il1938. Ricordo bene la sera di fine settembre in cui

il babbo tornò a casa ansimando: «Quel mentecat-to di Chamberlain e quel traditore di Daladierhanno venduto il Territorio dei Sudeti a Hitler!».

E quando gli chiesi chi fossero i Sudeti rispose:«Un popolo che ora finisce come presto finiremo

noi». Ricordo anche la sera di novembre in cui

prese a parlare con la mamma d'una certa Nottedei Cristalli. Cosa che mi lasciò smarrita in quanto

per me i cristalli erano i bicchieri buoni e non ca-

pivo perché, oltre a prendersi il Territorio dei Su-deti, i nazisti si fossero messi a rompere i bicchieribuoni. Ma poi il babbo mi spiegò che non s'erano

messi a rompere i bicchieri buoni: s'eran messi a

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spaccare le vetrine dei negozi appartenenti agli

ebrei. A picchiare gli ebrei, a bruciargli i libri, adarrestarli. Sicché mi sentii piegare le gambe. Elena

Rubicek, la mia maestra di scuola, era ebrea. E seavessero arrestato anche lei? Bè, sarebbe stata ar-

restata davvero. Nel 1944, dai repubblichini. In-sieme alla madre ottantenne. Ed entrambe sareb-

bero finite a Dachau. In un forno crematorio.

Ricorda anche la visita di Hitler a Firenze? Pure

quella avvenne nel 1938.

Se la ricordo! Era maggio, faceva un caldo da Fer-

ragosto, e la zia Febe m'aveva portato in centro amangiare il gelato. Di lì in piazza Santissima An-nunziata, una delle piazze da cui doveva passare il

corteo. D'un tratto nel sole accecante si profilò

un'automobile nera con due individui in piedi.

Quello grosso sembrava una maschera di Carne-vale. Sulla testa portava un grande elmo sovrastatoda piume bianche, e sullo stomaco tante medaglie.Era Mussolini. L'altro era un ornino con strani baf-

fetti neri. E, al contrario di Mussolini che sotto le

piume ostentava un broncio quasi cagnesco, sorri-deva con molta benevolenza. Questo mi consolòmolto, specialmente per la mia maestra di scuola,

e tornando a casa strillai tutta contenta: «Mamma!Ho visto Hitler! Ha un'aria gentile!». Ma la mam-

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ma mi fulminò con un'occhiata e puntando il me-stolo disse: «Cretina, idiota. Io con la zia Febenon ti ci mando più!». Mi colpì anche il fatto chein piazza Santissima Annunziata ci fossero tantepersone che applaudivano ebbre di gioia. «Duce,Duce!». «Fiihrer, Fiihrer!». Del resto l'intera cittàpartecipò con letizia ai festeggiamenti. L'aristo-crazia fiorentina invitò a cena l'omino con gli stra-ni baffetti neri, dopocena le marchese e le contes-se e le baronesse spolverarono i loro gioielli, cor-sero al Teatro Comunale dove si dava un concertoin suo onore, e dinanzi a lui si inchinarono comeserve. Gli fecero la reverenza. «Mein Fiihrer, meinFùhrer». Eh! Buon sangue non mente. Erano lenonne o le bisnonne delle marchese e delle contes-se e delle baronesse che oggi sventolano la bandie-ra arcobaleno, fanno le antiamericane, votano al-meno Ds, e frequentano il Tepidarium. Elegantis-sima serra ottocentesca dove i comunisti miliarda-ri danno i ricevimenti nuziali. Tempo fa ce n'è sta-to uno dove invece delle bomboniere coi confettidistribuivano le iscrizioni ad Emergency. L'asso-ciazione che si ritiene scippata dai Delta Force.

Loro stanno anche a Destra, però.

Macché Destra. Per tenersi a galla, oggi bisognastare a Sinistra. Comunque, l'ho già detto ne La

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Rabbia e l'Orgoglio e soprattutto ne La Forza del-la Ragione, ormai Destra e Sinistra sono i duevolti della medesima faccia. Quando parlo di De-stra e Sinistra io non mi riferisco a due entità op-poste e nemiche, l'una simbolo di regresso e l'al-tra di progresso. Mi riferisco a due schieramentiche come due squadre di calcio rincorrono la pal-la del Potere e che per questo sembrano davverodue entità opposte e nemiche. Se le guardi bene,però, t'accorgi che nonostante il diverso coloredelle mutande e delle magliette sono un bloccoomogeneo: un'unica squadra che combatte séstessa. La Destra laida, la Destra reazionaria edottusa, feudale, in Occidente non esiste più: gra-ziaddio. O esiste soltanto in Islam. È l'Islam.

E come hanno reagito, le due squadre di calcio, alsecondo libro su noi e l'Islam?

Se si escludono i giocatori leghisti, tutti contentiperché mi scaglio contro chi vorrebbe dare il vo-to agli immigrati, con la congiura del silenzio. So-prattutto fra gli attaccanti in magliette e mutanderosse, l'ordine del Minculpop è stato perentorio:«Tacere. Ignorarla nel modo in cui si ignora unavecchia pazza che parla al vento». Oppure: «Almassimo dire io-non-l'ho-letto-e-non-lo-leggerò».Così le offese, le denigrazioni, le scritte Fuck-

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you-Fallaci, stavolta non ci sono state. Dio, chesollievo. E che favore. Perché ciò ha evitato ilconsueto lavaggio cerebrale degli italiani e favori-to il successo del libro. Un successo assai più im-mediato di quello che benedisse La Rabbia e l'Or-goglio. Quello, infatti, impiegò circa un anno perraggiungere il milione di copie. La Forza della Ra-gione, invece, ha raggiunto le ottocentomila co-pie in meno di quattro mesi. E ciò significa che almilione di copie ci dovremmo arrivare, stavolta,assai prima. Inoltre sono quasi sempre rimastaprima in classifica. Il «quasi» sta per la settimanadurante la quale venni retrocessa dal libro di Pa-pa Wojtyla. Passata quella settimana, però, tornaisubito al mio posto.

Complimenti. A Lei, non al Papa. E a proposito: iosu quel libro in apparenza difficile ho una grossacuriosità. Sapere chi sono i lettori.

Quelli di sempre. In gran maggioranza, coloroche i superciliosi chiamano con una punta di di-sprezzo «gente del popolo». Giorni fa, qui in To-scana, mi dissi: «Basta col fare l'ammalata a let-to». Mi alzai ed andai a comprare i fagioli di Spa-gna. Quelli grossi che mi piacciono tanto. «Mene dia un chilo». Data l'aria sparuta che il ritor-no dell'Alieno m'ha inflitto, credevo anzi spera-

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vo che il bottegaio non mi riconoscesse. Io nongioisco quando mi riconoscono. Invece il bravuo-mo mi riconobbe e: «Porca miseria, l'è la Falla-ci! Cara Fallaci, ho letto il su' nòvo libro e di fa-gioli non gliene dò un chilo: gliene dò un chilo emezzo. Gratis». Parole per cui anche gli altriclienti mi riconobbero, mi copriron di abbracci.«Grazie, brava, grazie! Quanto vorrei avere quila mi' copia per fargliela firmare!». Dopo i fagio-li andai dal benzinaio che insieme alla benzinavende i giornali. Gli chiesi i quotidiani, e al mo-mento di pagare m'accorsi di non avere gli spic-cioli necessari. Mancavano otto centesimi. Maanche lui m'aveva riconosciuto e: «La mi' mogliel'ha letto il su' libro. La dice che all'Oriana biso-gnerebbe fargli un monumento. Sicché i su' spic-cioli io 'un li voglio. Anzi i giornali glieli regalo».E di nuovo via con la merce gratis. Dopo il gior-nale andai a comprare la rete per cingere il pol-laio che viene costantemente attaccato dalla vol-pe. Questa volta la bottegaia non mi riconobbe.Ma quando mia sorella Paola pronunciò il nomeOriana, scoppiò il finimondo. «L'Oriana?!? Dinotte leggo il suo libro e non mi riesce di metter-lo giù. Ma è l'Oriana vera, lei, o un'altra Orianache si chiama Oriana?». Unica differenza, la reteper il pollaio me la fece pagare. Quanto alle let-tere che ricevo...

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Da chi vengono?

Da ogni tipo di persone incluse quelle che i su-perciliosi chiamano «gente del popolo». Genteche scrive in ottimo italiano, oltretutto. Che con-trariamente a molti politici e a certi giornalisti,nonché certi conduttori televisivi, conosce laConsecutio Temporum a menadito e non sbagliamai un indicativo col congiuntivo. O un congiun-tivo col condizionale. Guardi, questa viene dauna giovane donna secondo la quale, bontà sua,sarei una specie di Madre della Patria... Ascolti ilbrano finale. «Non sono colta. Di politica nonme ne intendo. Soltanto leggendola ho aperto gliocchi su quell'ambiente che mi fa rabbrividire.Però credo che i nostri principii occidentali, insostanza i principii dei Dieci Comandamenti, sia-no giusti. E mi chiedo: dobbiamo aspettare di ve-nir fagocitati dal Mostro senza far niente? Non èforse vero che c'è un mostro peggiore del Mostroed è il mostro che si lascia fagocitare senza farniente?». Ora ascolti quest'altra. Viene da un ca-mionista bolognese di trentaquattr'anni, sposatocon due bambini. «Ho appena finito di leggereLa Forza della Ragione, l'unico libro che abbia re-galato ai miei cari, ed è da quando lessi La Rab-bia e l'Orgoglio che vorrei scriverle. L'emozioneche esso mi provocò fu pari a quella che avevo

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provato leggendo Furore di Steinbeck. Così d'im-pulso mi alzo dalla poltrona, cerco la carta, mibutto sulla penna, e parto dall' 11 settembre. Ov-vio. Nel farlo sento ancora il dolore che mi bru-ciò a vedere quei palestinesi che esultavano men-tre New York era ancora dentro il polverone. Ecome non rivedere i tristissimi personaggi italianiche le saltarono addosso? Dallo squallido cantan-te no-global ai Politically Correct. Dagli intellet-tuali di sinistra ai clericali. Quanta gente le ha da-to contro, Oriana! Non se la prenda. Lo hannofatto, lo fanno, perché devono criticarla. Devonodire che la Fallaci ha torto. Ma nel segreto del lo-ro cuore la pensano come Lei. Il popolo le vuolbene, molto bene, e vorrei conoscerLa. Vorreibussare alla Sua porta con mia moglie e portarletanti fiori, tanti tortellini».

Nessuna che la insulta?

A tutt'oggi, soltanto queste due. Come vede,non hanno il mittente sulla busta perché nel no-vantanove per cento dei casi quelli che m'insul-tano non ce lo mettono. Non mettono nemmenola firma. Vigliacchi! Però una di queste due miinsulta per procura. Cioè riferendomi che nonriesce a far leggere La Forza della Ragione ai suoicolleghi e ai suoi studenti dell'Università di Ve-

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rona. A quanto pare si rifiutano dicendo che lafascista son io. Mah! Se all'Università di Veronac'è gente simile, possiamo sperare poco nellenuove generazioni. Comunque le altre lettere miconsolano. Perbacco, io credevo che in gran mag-gioranza gli italiani fossero degli Alberti Sordi einvece...

Parentesi: non le piaceva Alberto Sordi?

No. Mi disturbavano i personaggi ai quali presta-va il suo volto e il suo corpo. Se ci pensa bene, tut-ti personaggi che si riassumevano in un solo per-sonaggio sempre uguale a sé stesso. Quello dell'i-taliano vile, ignorante, furbo anzi furbacchiolo.Nonché godereccio, maligno, egoista, uso a servi-re i potenti e a maltrattare i disgraziati. Ergo, nonmi divertiva. E tantomeno mi commuoveva. Inol-tre m'irritava il fatto che i suoi estimatori lo sban-dierassero come un simbolo da rispettare. Miod-dio! Gli inglesi hanno il culto di Robin Hood, uneroe che ruba ai ricchi per regalare ai poveri. Glisvizzeri hanno il culto di Guglielmo Tell, un altroeroe che si batte per gli oppressi e per difenderlirischia d'ammazzare suo figlio. Gli scandinavihanno il culto di Santa Klaus, un dolce vecchioche porta regali ai bambini. I francesi hanno ilculto della Marianna, una bella guerriera popputa

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che al solo guardarla suscita fierezza. Gli america-ni hanno il culto di Topolino, un tipo che nonsopporta mosche sul naso e ogni volta si batte co-me un Rambo. Gli italiani, invece, avevano il cul-to di Alberto Sordi. O del suo personaggio.

Parentesi chiusa e torniamo alle lettere. Ce n'è nes-suna che le rivolge un meritato rimprovero?

Sì. Questa. Viene da un gentile medico di Romaed è molto intelligente. Ecco qua. «Ho appena fi-nito di leggere La Forza della Ragione: libro cheho letteralmente divorato nei ritagli di tempoconcessimi dal mio lavoro e che razionalizza lenozioni, le sensazioni, i timori, le incertezze dacui in maniera confusa e disarticolata ero turba-to. Ora tutto è più chiaro. Però nella mia mentesi affollano domande. Prima domanda: cosa pos-so fare, io? Pagina dopo pagina ho cercato la Suarisposta. E non l'ho trovata. Così dico: se tutti noichiusi nel quotidiano prestiamo poca attenzionea ciò che sta avvenendo, se releghiamo la Suaanalisi a una mera speculazione filosofica e dopoaverla letta riabbassiamo la testa, come possiamofar sopravvivere la nostra cultura? In democraziaun cittadino sceglie di venir rappresentato da al-tri individui, ma alla luce della Sua analisi (analisiche condivido) non sappiamo a chi affidare la no-

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stra delega per un giusto impegno a favore del-l'Occidente. Che fare, dunque? Astenerci dal vo-to? Candidarci in prima persona e rinunciando alnostro mestiere? Spero che mi risponda». Bè,vorrei. Ma non posso. E il vero motivo non è nep-pure il fatto che di lettere ne ricevo troppe. Ven-gono da ogni parte del mondo, in diverse lingue,e se rispondessi a tutte passerei il tempo a far sol-tanto quello. Devo dedicarlo al lavoro, il miotempo, alle cose che ho da dire prima di andar-mene... Ma in questo caso il vero motivo è che larisposta alla domanda del medico gentile e intel-ligente io non ce l'ho.

Davvero non ce l'ha?

No perché investe i limiti e le bugie della democra-zia. Non vi sono alternative alla democrazia. Se sirinuncia a quella, se muore quella, la libertà va afarsi friggere e come minimo ci ritroviamo in ungulag o in un lager o in una foiba. Insomma in pri-gione o sottoterra. Ma quando ci riempiamo labocca con la parola Democrazia sappiamo beneche la democrazia fa acqua da tutte le parti. Sap-piamo bene che è un sistema disperatamente im-perfetto e sotto alcuni aspetti bugiardo. Lo sosten-go anche ne La Forza della Ragione. AttraversoTocqueville, uno che di queste cose se ne intende-

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va. Sono due, dice Tocqueville, i concetti su cui sibasa la democrazia: il concetto di Uguagl ianza e ilconcetto di Libertà. Ma gli esseri umani amano l'u-guaglianza assai più della libertà, e della libertàspesso non gliene importa un bel nulla. Costa trop-pi sacrifici, troppa disciplina, e non è forse veroche si può essere uguali anche in stato di schiavitù?Quasi ciò non bastasse, il concetto di uguaglianzanon lo comprendono. O fingono di non compren-derlo. Per Uguaglianza la democrazia intende l'u-guaglianza giuridica, l'uguaglianza che deriva dalsacro principio «La Legge t Uguale per Tutti».Non l'uguaglianza mentale e morale, l'uguaglianzadi valore e di merito. Non il pari merito d'una per-sona intelligente e d'una persona stupida, il parivalore d'una persona onesta e d'una persona diso-nesta. Quel tipo di uguaglianza non esiste. Se esi-stesse, non esisterebbe la Vita. Non esisterebbel'individualità, non esisterebbe la competizione.Cosa che include le Olimpiadi, le gare, le partite dicalcio cui gli italiani tengono tanto. E saremmo tut-ti identici come automobili uscite da una catena dimontaggio. Il guaio è che la democrazia aiuta gliignoranti e i presuntuosi a negare questa verità,questa evidenza. Li aiuta col voto che si conta manon si pesa cioè col suo affidarsi alla quantità nonalla qualità, li aiuta con la retorica e la demagogia eil populismo. Risultato, qualsiasi marrano o qual-

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siasi incapace può presentarsi candidato e venireeletto. Magari con una valanga di voti. E visto chemolti esseri umani non sono Leonardo da Vinci oSan Francesco, a rappresentare l'elettorato sonospesso gli incapaci e i marrani. Infatti chi, se nonloro, è il primo responsabile della catastrofe chestiamo vivendo? Chi, se non loro, rischia di ripor-tarci secoli addietro? Chi, se non loro, ha conse-gnato la nostra civiltà a una non-civiltà?

È un ben triste giudizio quello Suo e di Tocqueville.

Sì perché dimostra che i limiti della democraziasono i nostri limiti. Che le sue bugie sono le no-stre bugie. E toglie speranza. Come me la cavodunque con chi mi rimprovera di non fornireuna risposta, di non suggerire una soluzione?Guardi, non me la cavo. Io posso soltanto racco-mandargli di non tacere, di non avere paura, dinon rassegnarsi, di non farsi lavare il cervello. Epoi posso ricordargli le parole di Alekos Pana-gulis. Appena uscito dal carcere di Boiati doveper cinque anni era rimasto in una minuscolacella con la sua condanna a morte, Alekos vollerivedere il Partenone. Lo portai a rivedere il Par-tenone, qui scoppiò in singhiozzi, e singhiozzan-do ripeteva: «Puttana democrazia ma democra-zia... Puttana democrazia ma democrazia...».

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Domanda indiscreta. Per chi ha votato, Lei, nelleultime elezioni? Per chi vota?

L'ho già detto, nero su bianco, ne La Rabbia el' Orgoglio: per nessuno. Non mi riconosco innessuno e non delego a nessuno l'arduo compitodi rappresentarmi. Voto soltanto per i referen-dum cioè quando si tratta di accettare o rifiutareuna legge, non un uomo o una donna. Sbaglio, loso. Dò un cattivo esempio, lo so. Montanelli di-ceva che quando non ci si riconosce in nessunobisogna tapparci il naso e votare lo stesso. Per ilmeno peggio. E lo capisco. Capisco anche che anon tapparmi il naso faccio un favore al nemico.Infatti nelle ultime amministrative pensai di tap-parmelo per votare contro il sindaco diessino diFirenze che insieme al diessino presidente dellaRegione ha regalato la città allo straniero. Che coifigli di Allah devoti a Bín Laden, coi cinesi pa-droni di Prato, coi somali e i nigeriani che infe-stano il Centro Storico imponendo banchi abusi-vi, coi rumeni e gli albanesi da cui le case dellacampagna toscana vengono regolarmente sac-cheggiate coi furti notturni, si comporta come lemarchese e le contesse e le baronesse che nel1938 facevano le reverenze a Hitler. «Mein Fiihrer,mein Fiihrer». Ma poi non lo tappai, questo po-vero naso. Non mi riuscì, non mi riesce. A quanto

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pare, hanno ragione quelli che mi accusano d'es-sere manichea.

E ad entrare in politica, far politica direttamentenon per delega, ci ha mai pensato?

Sì, una volta sì. Sono un animale politico. Vengoda una famiglia ossessionata dalla politica, vedotutto in chiave politica, e la politica la frequentoda quand'ero bambina. Mi appassiona da quan-do ero adolescente. Così trent'anni fa PietroNenni voleva che diventassi senatore e insistevaperché mi presentassi come candidata indipen-dente nella lista del Psi. «Fammi contento! Ti ga-rantisco l'elezione!». Bè, per un po' tentennai.Poi rifiutai. «Mi dispiace, Nenni. Non posso, nonposso». A parte il fatto che il Psi lo dirigevaCraxi, tra me e Craxi non è mai corso buon san-gue, me lo impedì il manicheismo che mi impedi-sce di votare per un simbolo nel quale non mi ri-conosco. E la tentazione non rinacque mai più.Vede, per me la parola politica non è una paro-laccia. È una parola santa. Un nobile impegno,un dovere. Non uno strumento per far carriera,per assicurarsi privilegi immeritati, per compia-cere la propria vanità o brama di potere. E dac-ché mondo è mondo la politica appartiene quasisempre a chi non la pensa come me. «In politica»

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mi disse un giorno l'allora presidente polaccoMieczyslaw Rakowski «anche un angelo diventauna sgualdrina». Bè, non credo che in Parlamen-to sarei diventata una sgualdrina. Ma i tipi percui la politica è uno strumento per far carriera,assicurarsi privilegi immeritati, compiacere lapropria vanità o brama di potere, son troppi. Miavrebbero sopraffatto e non sarei servita a nulla.Scrivendo, invece, servo a qualcosa. Vi sono tantimodi per fare la politica vista come nobile impe-gno, dovere. Io la faccio scrivendo.

Allora come si sentì quando La Malfa e Sgarbi leoffrirono pubblicamente di presentarsi alle elezio-ni europee con la loro lista?

Lì per lì non lo seppi nemmeno. La cosa accaddenei giorni in cui i medici mi confermarono chel'Alieno s'era risvegliato e che era troppo tardi peroperare. Non leggevo i giornali, non avevo con-tatti col mondo, e pensavo a ben altro. Poi lo sep-pi e ci restai male. Pensai che prima di pubbliciz-zare l'offerta avrebbero dovuto parlare con me,chiedermi se la gradivo o no. Pensai anche chenon avrebbero dovuto aspettare l'uscita de LaForza della Ragione per trasformare il «Partitodella Bellezza» nel «Partito della Bellezza e dellaRagione». Se l'avessero fatto, si sarebbero rispar-

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miati la fatica di giustificarsi raccontando cheSpadolini amava molto il vocabolo «Ragione».Tuttavia evitai una polemica vana. Cioè tacqui,non volli mischiare il mio nome alle disinvolturecui s'erano già abbandonati. Forse vi s'erano ab-bandonati perché mi conoscono poco. Sgarbi l'hovisto una volta sola, circa due anni fa. Cioè quan-do trovandosi a New York chiese d'incontrarmi eio lo invitai a casa mia ponendogli due condizioni:che poi non scrivesse l'articolino e che non mi im-ponesse uno dei suoi leggendari ritardi. Arrivòpuntualissimo, anzi con cinque minuti d'anticipo,e le due o tre ore che passammo insieme mi piac-quero. È davvero intelligente, e simpatico. Inoltreè molto educato, comunque lo fu con me, e bene-detto da una inconfessata timidezza che gli invi-dio. Però l'articolino lo scrisse. Peggio: ne scrissedue. Quanto a Giorgio La Malfa, anche lui l'hovisto una volta sola. Venti o trent'anni fa, nella re-sidenza dell'ambasciatore italiano all'Onu. Sede-va su un gran divano rosso, tutto immusonito, enon mi degnò d'uno sguardo. Non rispose nem-meno alla domanda che gli avevo fatto per avviarela conversazione. Cosa che mi sorprese perché finda bambina avevo frequentato suo padre, Ugo LaMalfa, e ben sapevo quanto Ugo La Malfa fossecivile, brillante. C'est tout.

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E se le offrissero un seggio per cui non è necessario

entrare in politica, un seggio di senatore a vita?

Impensabile. Inconcepibile. Le nomine dei sena-tori a vita spettano al presidente della Repubbli-ca. E Ciampi mi preferisce Mike Bongiorno oStefania Sandrelli.

Torniamo alle elezioni, all'ultima campagna elet-torale. So che a un certo punto l'ha seguita assai davicino.

Purtroppo sì. Costringendomi a letto, l'Alieno fa-vorì per settimane quel masochismo. E lessi, vidi,udii cose ripugnanti. Cose che mi nausearono fi-no allo spasimo perché erano dolorose confermedel cancro che non si può curare nemmeno conla chemioterapia. La ferocia, anzitutto. La man-canza di civiltà, il cannibalismo, con cui la squa-dra di calcio che indossa le mutande e le magliet-te della Sinistra esercita l'opposizione. Tanto perincominciare: è mai possibile che nei dibattiti te-levisivi i comunisti non lascino parlare l'avversa-rio?!? I loro compagnons de route, i neo-Keren-ski che gli reggono lo strascico, ad esempio l'in-sopportabile e petulantissimo verde che si è di-chiarato bisessuale, lo stesso. I Margheritai, idem.Appena l'avversario apre bocca, lo interrompo-

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no. E se nonostante ciò lo zittito continua a par-lare o rivendica il diritto di dire la sua, gli sovrap-pongono la propria voce come un cane che ab-baia. «Scusa, tocca a me. Io non ti ho interrotto,dunque lasciami rispondere» protesta lo zittito.Ma l'altro continua inesorabile a latrare. Senzache il conduttore glielo impedisca, visto che il no-vanta per cento dei giornalisti e quindi dei con-duttori televisivi giocano la partita nella squadracon le mutande e le magliette rosse. Tutti. Inclusiquelli delle reti che appartengono a Berlusconi.Una sera vidi un dibattito cui partecipavano Ru-telli e Tremonti. Bè, fino a un paio di anni fa cre-devo che Rutelli fosse più liberale dei suoi com-pagnone de route. Quando uscì La Rabbia e l'Or-goglio dichiarò al New York Times che avevo spe-so una vita nell'impegno civile e bisognava ascol-tarmi anche quando non s'era d'accordo con me.Ma è proprio vero che chi pratica lo zoppo impa-ra a zoppicare. Più che un intervento, quella seraaveva fatto un comizio senza fine. Alla Fidel Ca-stro. Ergo, noi spettatori eravamo curiosi di udi-re ciò che Tremonti gli avrebbe risposto. Ma,quando giunse il suo turno, Rutelli lo interruppenel modo consueto. «Ti prego: tocca a me, toccaa me» pigolava l'educatissimo Tremonti. Bè, in-vano. Dopo avergli lasciato pronunciare qualcheparola, l'uomo che col New York Times aveva di-

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feso il mio diritto all'eresia gli sovrappose la pro-pria voce. Sempre senza che il conduttore si op-ponesse. E la vocina dell'avversario si spensedentro un altro comizio alla Fidel Castro chedurò fino alla fine della trasmissione.

Succede in tutte le campagne elettorali, purtroppo.E non solo in Italia.

Succede soprattutto in Italia. Nell'Italia che par-torì la Settimana Rossa e si consegnò a Mussolinigià membro del partito socialista e direttoredell'Avanti! L'Italia che inventò le Camicie Neree le bastonate agli avversari, le purghe con l'oliodi ricino. L'Italia che coniò lo slogan «Ha da venìBaffone» e che oggi tollera le tracotanze degli In-cappucciati. All'inizio dell'anno ho seguito le pri-marie del partito democratico americano e sì: è ve-ro che le campagne elettorali tirano fuori il peggiodi chi brama il Potere. È vero che autorizzano adogni sconcezza. È vero che anche in America il can-nibalismo elettorale trionfa nel modo più sgomen-tevole. Ma, in paragone ai nostri candidati, i prota-gonisti di quelle primarie sembravano gentiluo-mini. Sofisticatissimi Monsignor Della Casa. I no-stri... Io non dimenticherò mai ciò che una seraquello delle mani pulite disse ai microfoni dellaTv per sostenere il ritiro delle nostre truppe dal-

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l'Iraq. «Gli americani sodomizzano le mogli e lesorelle e le figlie, le bambine, degli iracheni» dis-se. E, se ne dubita, se non lo ha udito con le sueorecchie come l'ho udito io, cerchi le registrazionifatte dai molti giornalisti che tenevano il microfo-no sotto la sua bocca. Bè, lo disse con tale sicurez-za che nelle strade di Bagdad mi parve di vedereorde di pedofili in uniforme, di Marines intenti astraziare le neonate con l'orrenda operazione. Esbalordita, indignata, mi chiesi: ma si rende con-to, costui, di ciò che dice? Lo conosce il significa-to del verbo sodomizzare? Forse no. Sia nel ma-neggiare la sintassi sia nello scegliere i vocaboli,egli è quello che la lingua italiana la offende dipiù. Poi mi chiesi: quanti italiani gli hanno credu-to? E conclusi: certe cose non giovano certo allaloro educazione politica. Infatti quando gli Incap-pucciati berciano «Dieci-Cento-Mille-Nassiriya»il mio disprezzo è accompagnato da una certapietà. Mi domando: sono delinquenti o vittime? Ècolpa loro o d'una Sinistra che li corrompe con lasua rozzezza, la sua inadeguatezza, la sua dema-gogia, la sua mancanza di idee?

A Lei piaceva Berlinguer, si sa.

Mi piaceva, sì. E avevo buoni rapporti con lui.Sono una liberale: per accettare una persona, per

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rispettarla, non ho mica bisogno che quella per-sona la pensi nel modo in cui la penso io! Altri-menti come avrei fatto a voler bene a Pietro Nen-ni? Come avrei fatto a provar simpatia per Gior-gio Amendola? Come avrei fatto ad andare a ce-na con Pajetta che, lo racconto ne La Forza della

Ragione, per obbedire al suo partito m'avrebbefucilato? Mi piaceva, Berlinguer, perché era ungran signore. Un aristocratico nel senso miglioredel termine. Un uomo serio, raziocinante, elegan-te, e in più premuroso. Il tipo che se hai la febbreti telefona per farti gli auguri. Una volta ebbi unbrutto attacco di malaria. Lo seppe e mi telefonò.«L'ho avuta anch'io, ed è un tormento. Ma Lei èuna stoica, ho capito. Rimanga tale. Nella vita lostoicismo è una necessità». Nei comizi eccedevaanche lui, d'accordo. Con la faccia distorta urla-va e sembrava il dottor Jekyll che diventa MisterHyde. Però non credo che avrebbe mai ordinatoa Pajetta di fucilarmi. V'era un fondo di liberali-smo, nella sua psiche. Un giorno gli feci un rega-lo. Un bel disegno del Settecento, un quadrettoche ritraeva un Conclave di cardinali. Lo avevocomprato da un antiquario di Stoccolma, e glielodetti pronunciando una frase provocatoria: «L'hocomprato perché questi pretacci mi ricordano ilSuo Comitato Centrale». Esplose nella risata piùdivertita che abbia mai udito, e commentò: «Ha

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proprio ragione». Inoltre non era vanesio, nonera presuntuoso. Virtù rara tra i comunisti. I co-munisti credono sempre d'essere padreterni, aglialtri guardan sempre con una stupidissima aria disuperiorità. E vuol sapere quant'era diverso, Ber-linguer, anche in quel senso? Un paio d'anni pri-ma che morisse lo intervistai per il Corriere e ilWashington Post, e a un certo punto gli dissi:«Durante la Guerra Fredda un giornalista pose aTito questa domanda: "Se anziché in Iugoslaviafosse nato in America, chi sarebbe oggi?". E Titorispose: "Un ultramiliardario americano, natural-mente". Berlinguer, le pongo la stessa domandacon la parola Italia al posto della parola Iugosla-via». Rimase a lungo zitto poi rispose: «Un picco-lo professore, ad esempio un professore di filoso-fia, in un piccolo College d'una piccola città ame-ricana».

Conosce Fassino?

Un po'. Lo incontrai nella tarda estate del 2002,quando i no-global volevano entrare nel CentroStorico di Firenze e sfregiare i monumenti senzache il sindaco e il presidente della Regione muo-vessero un dito. Anzi, mentre a spese dei cittadinigli prestavano la Fortezza da Basso dove una seraalcune squadracce avrebbero tentato di dare alle

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fiamme i miei libri. Bruciarli come nel 1933, a Ber-lino, i nazisti avevano bruciato quelli degli ebrei.Bè, per impedire che quei gentiluomini entrasseronel Centro Storico mi detti un gran daffare. L'hogià detto parlando dei motivi che quell'anno mifecero dimenticare l'Alieno. Venni in Italia, dun-que, e mi rivolsi a un mucchio di cosiddette auto-rità. A Destra e a Sinistra. Ed una di queste fu Fas-sino che venne a trovarmi in casa di mia sorellaPaola a Milano. Sì, al momento di riceverlo prova-vo un po' di curiosità. Dopotutto era l'uomo cheora stava al posto di Berlinguer: compito nel qualei suoi predecessori avevano miseramente fallito.Con quella curiosità aprii la porta. Entrò un gio-vanotto lungo lungo e secco secco, col naso a pun-ta e il completo grigio piombo, la faccia angoscia-ta e gli occhi inquieti di Carlo Alberto.

Carlo Alberto principe di Savoia e Carignano, re diPiemonte e di Sardegna, concessore dello Statutonel 1848?

Proprio così. Stessa altezza, stessa magredine, stes-sa espressione insicura. Non gli mancavano che ibaffi e la barba ottocentesca, l'uniforme blu e laspada. Infatti pensai: Gesù, anche lui è piemonte-se. Che una sua antenata sia stata a letto con CarloAlberto? Era un gran tombeur de femmes, Sua

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Maestà. Alla povera Maria Teresa d'Asburgo-Lore-na metteva più corna d'un toro, e una somiglianzadel genere non può essere frutto d'un caso. Di Car-lo Alberto aveva anche l'alterigia mitigata da unaregale cortesia, e mi stupì molto quando dopo leprime battute mi chiese: «Perché non ci diamo deltu?». Domanda alla quale risposi che ero una si-gnora all'antica: il tu lo davo soltanto ai vecchi ami-ci, alle persone con cui ero stata alla guerra, agliamanti e ai bambini. Risposta alla quale reagì condisinvoltura cioè allargando le braccia in un gestoche sembrava dire: «Peggio per te». Guardi, seb-bene ritenga che il merito principale vada al mini-stro degli Interni cioè a Pisanu, penso d'aver salva-to i monumenti di Firenze anche grazie alla suacortesia. (Dico salvato in quanto l'oceanico corteocoi cartelli «Oriana puttana» e gli striscioni «Falla-ci la terrorista sei tu» venne deviato sui viali perife-rici. L'accesso al Centro Storico gli fu proibito, e dilì passaron soltanto alcuni cani sciolti che scriven-do altre sconcezze su di me si limitarono a imbrat-tare i muri o le saracinesche abbassate). Però du-rante la campagna elettorale quella cortesia nonl'ho più rivista, e il suo comportamento m'è parsoben poco regale. Gli avversari li ha aggrediti ab-baiando come i suoi compagni, nei dibattiti televi-sivi li ha interrotti o gli ha sovrapposto la voce conidentica mancanza di stile, e Carlo Alberto me l'ha

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ricordato solo attraverso le sue incertezze. Le suetitubanze, i suoi ripensamenti. Specialmente sul ri-

tiro delle truppe italiane dall'Iraq. Il suo dire, adesempio, che «Zapatero non è la Bibbia» e poi ilsuo allinearsi con la scelta di Zapatero che oltretut-to è un poveraccio senza qualità e non ha nulla dainsegnarci. La mancanza di stile l'ha dimostrata an-che attraverso il suo offendere Bush con linguaggioda no-global, il suo dar di «criminali» agli america-ni, e poi il suo ammettere che centinaia di migliaiadi americani erano morti per liberarci dal n azifasci-smo. Anche Carlo Alberto era un gran tentennone.Cambiava idea ogni cinque minuti, sia con gli au-striaci che coi risorgimentali faceva sempre il pescein barile. E di lui non ti potevi mai fidare.

Ma non c'è proprio nessuno, a Sinistra, che oggi su-sciti in Lei un po' di fiducia?

Temo di no. Più ci penso e più concludo che inmodo diverso sono tutti uguali. Incominciandoda quelli che negando la Storia anzi pretendendodi riscriver la Storia (vizietto tipicamente bolsce-vico) diseducano i giovani con le loro balle. Pren-da il caso del vanesio con la testa rapata alla YulBrinner. Quello che appartiene al Partito dei Co-munisti Italiani e che come il petulantissimo ver-de che s'è dichiarato bisessuale ci affligge sempre

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con la sua smania di esibizionismo. Ricorda checosa disse nel dibattituccio elettorale organizzatoin piazza Navona da Sgarbi e da La Malfa? Disse:«Da Firenze in su l'Italia venne liberata dai parti-giani comunisti». M'andò il sangue al cervello.Ignorante, mi dissi, è questo che racconti ai tuoiamici Incappucciati?!? Non conosci nemmeno laStoria recente? E se menti sapendo di mentire,come fai a mentire su un fatto che perfino gli stu-denti dell'Università di Verona conoscono? ! ? Fi-renze non venne liberata dai partigiani comunisti,perdio! Venne liberata, 1'11 agosto 1944, dall'Ot-tava Armata e dalla Quinta Armata degli alleati!Il resto del Centro-Nord, lo stesso. Dal Tirrenoall'Adriatico i tedeschi avevano opposto la LineaGotica che tennero ben nove mesi. E per liberareLa Spezia, Bologna, Modena, Cesena, ReggioEmilia eccetera, gli inglesi e i canadesi e gli ameri-cani ebbero ben sessantasettemila tra morti e feritie dispersi. Sessantasettemila! Digli almeno grazie,maleducato! Ingrato! Quanto al Nord, lo libe-rammo da soli insorgendo subito dopo lo sfonda-mento della Linea Gotica: sì. Però lo facemmomentre i tedeschi in rotta fuggivano inseguiti, in-calzati, dall'avanzata americana. Se tale avanzatanon fosse stata in atto, non saremmo insorti. Nonci avremmo pensato nemmeno. E come a Firen-ze, come in tutta l'Italia, a combattere non furo-

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no i comunisti e basta. Nel Comitato di Libera-zione Nazionale diretto da Ferruccio Parri, uo-mo di Giustizia e Libertà cioè del Partito d'Azio-ne non del partito comunista, c'eravamo anchenoi di Giustizia e Libertà. In gran numero, per-dio. C'erano anche i partigiani democristiani co-me quelli guidati da Enrico Mattei. C'erano an-che i partigiani liberali e monarchici come quelliguidati da Edgardo Sogno. C'erano anche varicarabinieri e vari militari dell'esercito disfattosil'8 settembre!

Suvvia, non si arrabbi...

È mio sacrosanto diritto arrabbiarmi. Perché ioc'ero. Ero una piccola comparsa di quattordici-quindici anni. Una comparsa con le treccine. Mac'ero. E non ho bisogno di leggere i libri di Storiache il vanesio con la testa rapata alla Yul Brinnernon ha letto, o finge di non aver letto, per buttar-gli in faccia la verità che vorrebbe falsare. C'ero,sì, c'ero. A Firenze, l'11 e il 12 e il 13 agosto 1944il mio compito era portare le munizioni ai parti-giani che Di Là d'Arno aiutavano gli Alleati a eli-minare le retroguardie tedesche e repubblichine.Poiché i guastatori della Wehrmacht avevano fat-to saltare i ponti e la città era divisa in due, glieleportavo attraversando il fiume alla Pescaia di San-

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ta Rosa che quell'agosto era in secca e offriva unpassaggio largo trenta centimetri. Coi rotoli dipallottole in spalla, pallottole da mitragliatrice, at-traversavo il fiume sotto i colpi dei cecchini chemi sparavano dai tetti, perdio! E non ero una par-tigiana comunista. Ero una partigiana di Giustiziae Libertà. Anche i partigiani cui consegnavo lemunizioni non erano partigiani comunisti. Eranopartigiani di Giustizia e Libertà. E i morti che alterzo andirivieni trovai sul marciapiede, lo stesso.Cinque li avevo conosciuti pochi mesi prima sulMonte Giovi. La zona dove gli americani ci para-cadutavano le armi. Appartenevano alla BrigataRosselli e avevan poco più della mia età. Perdio!

Suvvia, non se la prenda così..

Me la prendo, invece. Perché è da mezzo secoloche i comunisti tentano di procurarsi l'esclusivadella Resistenza, far credere che l'hanno fatta lo-ro e basta. Quando la si celebra nelle piazze sipermettono addirittura di cacciare chi non sven-tola la bandiera rossa. Qualche anno fa questoaccadde anche a Milano. Del resto l'hanno fattoanche in Vietnam. E Fronte di Liberazione Na-zionale vietnamita era composto da uomini edonne di varie correnti politiche, a combatterenel Sud non c'erano i comunisti e basta. C'erano

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anche i buddisti, i cattolici, i liberali. Ma di loronon si parlava mai. Già nel 1967, cioè l'anno incui io andai per la prima volta in Vietnam, si par-lava dei vietcong (vietnamita-comunista) e basta.La parola Vietcong era entrata nell'uso comuneanzi nel vocabolario fino a sintetizzare le altre, esai perché? Perché, già allora, i comunisti s'eranoappropriati dell'Fln quindi della Resistenza. Pro-prio come certi comunisti italiani hanno tentato,ancor oggi tentano, di fare in Italia. E ciò non èsoltanto un insulto alla Storia: è un insulto aimorti altrui. È come dire che nei campi di con-centramento tedeschi sono morti gli ebrei e ba-sta, che i non-ebrei cioè i cattolici polacchi, i pri-gionieri russi, gli zingari, gli omosessuali, gli anti-fascisti di ogni nazionalità e religione incomin-ciando da Mafalda di Savoia e dalla figlia di Nen-ni che morì a Dachau, stavano lì in vacanza. Co-munque i motivi per cui in quella Sinistra non mipiace nessuno sono ben altri.

Quali?

Quelli di cui parlo nei miei due ultimi libri. Quel-li che conoscono tutti. Il terrorismo intellettualeche, applicando la medesima strategia seguita perimpadronirsi delle Resistenze, quella Sinistra eser-cita da sessant'anni. Il lavaggio cerebrale cui ha

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sottoposto la gente dandogli a bere che chi nongioca nella sua squadra di calcio è un cretino anziun retrogrado, un reazionario, una persona spre-gevole e destinata all'Inferno. Poi, l'egemoniaculturale che grazie a ciò ha stabilito in tutti i gan-gli della società. Nelle scuole, nelle università.Nei giornali, nelle televisioni. Nelle case editrici,nel mondo della musica, nel cinema. Nell'eserci-to, nella polizia, nella magistratura. Pensi ai magi-strati rossi che la Sinistra ha tirato su. Ai pretoriche danno ragione al mussulmano anti-crocifisso,ai giudici che scarcerano i complici del terrorismoo gli impongono condanne da burletta. E a quelliche dichiarano: «La legge Turco-Napolitano eragiusta, quella Bossi-Fini è ingiusta». E diventatauna moda, ormai, essere-di-sinistra. Una modacome portare le gonne corte o lunghe, un confor-mismo. E perdio: soltanto la Chiesa Cattolica erariuscita a imporre una simile egemonia culturale,una simile tirannia. Bisogna tornare alla tiranniacon cui la Chiesa Cattolica ci ha rimbecillito espaventato per secoli, ai suoi lavaggi cerebrali, al-le sue Inquisizioni, per trovare un caso simile aquello che da sessant'anni stiamo vivendo. La dit-tatura di Hitler e Mussolini, infatti, durò solo unventennio. Rifletta anche sulle bandiere arcobale-no. Sono diventate i nuovi stendardi della Madon-na, le bandiere arcobaleno. E guai se al posto di

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quelle tieni, come me, il tricolore. È ormai un'ere-sia, il nostro tricolore. Vieni considerato un rea-zionario, se tieni alla finestra il nostro tricolore.Ma lo sa che non lo vende quasi più nessuno? ! ?Lo sa che molti hanno paura, dico paura, a ven-derlo?! ? Lo sa che per comprarlo bisogna andarenei negozi che vendono gli articoli militari?!? Enon finisce qui.

Oddio, a chi tocca?

Tocca al falso pacifismo: la carta che la Sinistra gio-ca dal tempo in cui se lo faceva imporre dall'Unio-ne Sovietica dove il vocabolo Pacifismo imperavama il Primo Maggio si celebrava con un'orgia dicannoni, carri armati, missili, bombe, truppe chemarciavano a passo d'oca come le truppe di Hitler.La carta che nelle ultime elezioni la Sinistra ha gio-cato con ipocrisia ancora più raggelante attraversoi suoi non-leader e i suoi guerraioli. I guerraioli chein nome della Pace insultavan perfin Fassino conla sciarpa arcobaleno al collo. E ringraziare Iddiose lo stesso giorno la Tv ci consentì di vedere unpoliziotto che ad una «pacifista» col microfono di-ceva: «Signorina, la pace è una cosa e il pacifismoun'altra». Tocca al feroce antiamericanismo concui la Sinistra già serva dell'Unione Sovietica sisciacqua la bocca. Tocca al filoislamismo cioè al si-

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grid-hunkismo che ha sposato senza pudore. Il si-grid-hunkismo a cui ne La Forza della Ragione miriferisco parlando della nazista Sigrid Hunke e delsuo libro Il Sole di Allah brilla sull'Occidente. Toc-

ca insomma all'antioccidentalismo di cui la Sini-stra si macchia. Al suo sostenere i nemici della no-stra cultura, della nostra civiltà. Al suo definire iterroristi «combattenti» o «resistenti». Al suo fa-vorirli minimizzando o ignorando le loro stragi. Alsuo aiutarli con gli estremisti che non condannamai quanto dovrebbe. O dai quali prende le di-stanze però agli Incappucciati presta i locali per leconferenze-stampa. Tocca al calcolato cinismo concui ormai alimenta l'invasione islamica, con cui im-pone il farisaico concetto di «accoglienza», con cuiincoraggia e protegge i clandestini, con cui propa-ganda la cosiddetta cultura islamica. Del resto nonfu durante il governo Prodi e il governo D'Alemache quella propaganda esplose e l'invasione s'in-cancrenì?

E dall'altra parte, la parte dell'attuale governo?

Non mi faccia arrabbiare di nuovo. Che cosa han-no fatto, dall'altra parte, per impedire che l'Euro-pa diventasse l'Eurabia cioè una colonia dell'I-slam, e l'Italia un avamposto di quella colonia?!?Che cosa hanno fatto per spengere almeno in Ita-

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lia ciò che nel mio libro chiamo l'Incendio diTroia? ! ? Se si escludono alcune battaglie della Le-ga che però finisce sempre col cedere ai compro-messi, se si esclude l'insufficiente legge Bossi-Finiche Fini ha macchiato con la sua incostituzionaleproposta di dare il voto all'invasore, le rispondo:ben poco. Gli sbarchi sono diminuiti, lo ammet-to. Però continuano, inesorabili. E se una barcanon ce la fa, ci pensa la nostra Guardia Costiera adarle una mano. Magari in acque internazionali...Le elargizioni degli asili politici, lo stesso. Il proli-ferare dei clandestini e l'inettitudine nonché la ti-midezza con cui le Questure li affrontano, idem.Zitte zitte le moschee sorgono ovunque, e la tra-cotanza degli invasori è raddoppiata a tal puntoche nessuno ci fa più caso. Chi si ribella, oggi, allostraniero che spadroneggia nel nostro paese?!?Chi si indigna, oggi, per il marocchino che infran-gendo il Codice Penale tiene due o tre mogli evorrebbe mettere il burkah anche a me? Chi si ar-rabbia, oggi, con l'albanese che gestisce la prosti-tuzione e che ubriaco investe i passanti, li uccide?Chi si oppone, oggi, al sudanese che fa la pipì suimonumenti e spaccia la droga sui sagrati dellechiese? Chi protesta, oggi, contro il somalo cheper salvare il barbaro principio dell'infibulazioneinventa e diffonde attraverso un pubblico ospeda-le la farsa della cosiddetta soft-infibulation? Chi si

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scandalizza, oggi, per l'algerino che aggredisce oricatta il carabiniere in procinto di arrestarlo?«Guarda- che- se-ti-avvicini-mi-taglio-il-cazzo-con-questa-lametta, poi- dico- che-me-l'hai-taglia-to-tu-e-in-galera-ci-finisci-tu». Chi si sorprende,oggi, per gli articoli strappalacrime dei cosiddettigiornali indipendenti o per le oltraggiose insensa-tezze di quelli che come l' Unità darebbero il per-messo di soggiorno anche a Bin Laden? La genteè rassegnata, ormai. Abituata, addormentata. Su-bisce queste cose passivamente, le accetta comel'alternarsi delle stagioni. E la colpa di tutto ciò èanche dell'Altra Parte.

Sospendo per un attimo il mio ruolo di ascoltatriceconsenziente e le dico: noi due siamo quelle chedurante la guerra in Vietnam raccontarono le tur-pitudini dell'una e dell'altra sponda. Quelle che laverità la scrissero sia da Hanoi sia da Saigon. Il suosdegno salomonico, quindi, lo capisco. Però non sipuò condannare tutti in uguale misura. Non si puòattribuire a tutti lo stesso ammontare di colpa.

Ne convengo. Il guaio è che esistono tanti modi perfavorire, volontariamente o involontariamente, ilnemico. Uno è il silenzio, l'inerzia, uno è l'ambi-guità. Li osservi bene, quelli dell'Altra Parte. Sullostraniero che spadroneggia a casa nostra, hanno

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sempre un atteggiamento ambiguo. O fanno il pe-sce in barile, danno un colpo al cerchio e un colpoalla botte, o tacciono. Ma si rende conto che nel-l'ultima campagna elettorale nessuno di loro haparlato di immigrazione, di problemi connessi al-l'immigrazione?!? Nessuno. Neanche quelli dellaLega. Era un tema che riguardava, riguarda, l'Eu-ropa e quindi i deputati del Parlamento Europeo:sì o no? Era un tema che riguardava, riguarda, lenostre città e quindi i sindaci da eleggere: sì o no?Il tema più evidente, direi. Il più urgente. Il piùdrammatico. Ma loro hanno cianciato solo del-l'Iraq, delle truppe da ritirare o non ritirare, del-l'Onu da coinvolgere o non coinvolgere. E sullostraniero che spadroneggia a casa nostra, che sbar-ca quando vuole e come vuole, che in ogni senso sifa beffe di noi, silenzio di tomba. Quasi avesserofirmato un accordo coi loro avversari. Eh! Forse loavevan firmato davvero. Perché in pubblico si az-zannano, sì. O si lasciano azzannare. Ma in privatofanno lingua in bocca. Vanno al bar insieme, a cenainsieme, alla partita insieme, al mare insieme. Si ti-rano le pacche sulle spalle, si considerano «colle-ghi». L'altra sera, in Tv, ho visto una scenetta signi-ficativa. Sullo sfondo di piazza Montecitorio si ve-devano due omìni che camminavano insieme. Cam-minando si parlavano cordialmente, direi affettuo-samente. Si sorridevano come due fidanzati. Ho

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aguzzato gli occhi, e indovina chi erano: il segreta-rio dell'Udc e il segretario dei Comunisti Italiani.Bè, son certa che non pochi commenteranno: «Checondotta civile». Io no. Alla mia etica, al mio rigoremorale, non va affatto bene che due individui aiquali i rispettivi elettori hanno affidato scelte cosìopposte vadano a spasso insieme, sorridendosi co-me due fidanzati. Anzi, come se dicessero: «Hai vi-sto? Quei cretini non si sono accorti che sull'immi-grazione entrambi abbiamo tenuto il becco chiu-so». E questo senza contare gli errori e le mancan-ze che dall'Altra Parte mi scorano o addiritturam'indignano.

Ad esempio?

Ad esempio, l'ho già detto ma lo ripeto volentieri,il fatto che non abbiano avuto i coglioni per im-porre i funerali di Stato a Quattrocchi. Ad esem-pio il fatto che non siano riusciti a procurarsi il vi-deo censurato dai lacchè di Al Qaida cioè dall'e-quivoca rete televisiva che ha nome Al Jazeera.Perché? Era un nostro concittadino il boia al qua-le Quattrocchi disse nella nostra lingua «Ora tifaccio vedere come muore un italiano»? Era uncomplice legato alle Brigate Rosse o agli Incap-pucciati o a certi no-global? Quelli dell'Altra Par-te avrebbero dovuto scoprirlo. E dircelo. Avreb-

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bero dovuto anche scoprire chi c'era dietro il co-municato col quale, per liberare i tre ostaggi rima-sti, le Brigate Verdi di Maometto avevan chiesto eottenuto un corteo pacifista. E questo proprio du-rante la campagna elettorale. Domanda: chi sug-gerì alle Brigate Verdi di Maometto quel comuni-cato? Chi glielo redasse? Peggio. Chi ha redatto, ochi ha suggerito, il messaggio con cui Bin Laden ciinforma in italiano che il suo prossimo obbiettivosarà l'Italia-di-Berlusconi-servo-della-Casa-Biancaeccetera? Perfino il linguaggio stavolta è simile allinguaggio delle Brigate Rosse, degli Incappuccia-ti, di certi no-global. Ed io escludo che Bin Ladensia un profondo conoscitore della politica italiana.Escludo che Berlusconi lo interessi più di Bush edi Blair. Escludo che l'idea di affrettarne il tra-monto infliggendoci una strage o una serie di stra-gi appartenga a lui. Ergo, in quel messaggio ci ve-do lo zampino d'un boia nostrano. E ripeto: quel-li dell'Altea Parte dovrebbero scoprirlo, dircelo.Ma non lo scopriranno. Non ce lo diranno.

Vedo che la mia messa a punto sul Suo salomonicosdegno è servita a ben poco.

Il fatto è che non riesco ad applicare il Suo ragio-namento. Se guardare i calciatori della squadracon le mutande e le magliette rosse o rosa o verdi

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o arcobaleno m'infuria, guardare quelli della squa-dra con le mutande e le magliette bianche o nereo azzurre mi scora. Anche esteticamente. Ce n'èuno che sembra il jolly interpretato da Jack Ni-cholson nel film Batman. Il suo sorrisetto ghiac-cio ha qualcosa di sinistro. Ma è vero che facevail dentista? Gesummio. Piuttosto che vedermiquel ghigno addosso mi terrei il mal di denti. Emi sono divertita tanto quando il quotidiano Li-bero ha pubblicato in prima pagina la sua foto-grafia sotto un titolo che dice: « Siamo nelle manidi questo qui». Ce n'è un altro che sembra lo sce-mo del villaggio. Ha una faccia così poco intelli-gente, poverino, e un labbro così pendulo, chevien voglia di pagargli una plastica. Quanto a ciòche dice, bè: non molto tempo fa scivolò sullabuccia di banana farfugliando un discorso da cuirisultava, in sostanza, che Mussolini fu un Padredella Patria. Ce n'è un altro ancora che sembraun capo-gang dei film western. Se fossi un registadi western, gli offrirei subito un contrattino perle parti di cattivo. In più solleva in me cattive me-morie. Le memorie di quand'ero bambina e lapolitica si faceva con l'olio di ricino. Ideologica-mente, del resto, il suo partito viene da lì, e comenel caso degli ex-comunisti non credo che certeradici si dissolvano facilmente. Quanto agli ex-democristiani della squadra, oddio. Mi ricordano

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tutti Mortadella cioè Prodi. Non capisci mai conchi stiano e che cosa rincorrano. A parte, benin-teso, il potere. Ho scoperto che in dieci anni quel-lo che ora sostituisce Mario Monti nel ruolo diCommissario Europeo per la Concorrenza hacambiato indirizzo cinque volte. Nel 1994 abita-va in un posto che si chiamava Ppi: Partito Popo-lare Italiano. Nel 1995, in uno che si chiamavaCdu: Cristiani Democratici Uniti. Nel 1998, inuno che si chiamava Udr: Unione Democraticaper la Repubblica. (Ma non ce l'abbiamo già, larepubblica?). Nel 1999, in un quarto che si chia-mava Gruppo Misto. Nel 2002, in un quinto cheancor oggi si chiama Udc: Unione DemocraticaCristiani di Centro. Oh, lo so che a dir queste co-se faccio un regalo al sosia di Carlo Alberto, al va-nesio con la testa rapata alla Yul Brinner, allostesso Mortadella. Lo so che a fare il Salomonescoraggio coloro che poi mi pongono la doman-da alla quale non so rispondere: «E allora con chistiamo, per chi votiamo?». E me ne dolgo contutta l'anima. Ma non sarò certo io a usare il si-stema dei due pesi e delle due misure.

Il che ci porta dritto a Berlusconi.

Sì, ma senza leccarci le labbra. Senza infierire sudi lui come i vignettisti che lo sansebastianizzano

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per far piacere ai Ds. Io non sono mai stata unasostenitrice di Berlusconi: ne La Rabbia e l'Orgo-glio gli ho dedicato un capitoletto impietoso, qua-si villano, ed anche ne La Forza della Ragione gliho dato una tirata d'orecchi. Ma non sarò nemme-no il suo Maramaldo cioè l'ottuso e feroce soldatodi ventura che nel 1530, durante l'assedio di Fi-renze, uccise Francesco Ferrucci ferito e in cate-ne. Sicché Ferrucci spirò dicendo con disprezzo:«Maramaldo, hai ucciso un uomo morto».

Lo vede dunque come un moribondo anzi un morto?

No, morto no. Ancora no. La Sinistra non ha vintole elezioni. In Francia e in Germania quelle euro-pee le ha perse clamorosamente, e in Italia ha ap-pena pareggiato col Centro Destra. Quanto a quel-le amministrative, le hanno vinte gli estremisti concui l'Ulivo dovrà fare i conti. E vedo già le piume,le creste, i bargigli che volano nel pollaio. È maipossibile che i no-global e i Bertinotti e i Cossuttapossano digerire Mortadella? Nel 1998 Bertinottilo piantò in asso, e ancor oggi ne va fiero. Uso ilparagone di Maramaldo perché Berlusconi è feri-to, gravemente ferito, e in catene. Prigioniero di séstesso, anzitutto. Dei suoi errori, dei suoi difetti.Primo difetto, una desolante mancanza di umiltà.Primo errore, non aver capito che gli italiani lo

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avevano eletto per disperazione non per convin-zione. Cioè perché non riuscivano più a sopporta-re le incapacità e le arroganze della Sinistra: i suoisgomentevoli Prodi, i suoi boriosi D'Alema, i suoisigrid-hunkisti da strapazzo. Eppure nel 1994 luilo aveva intuito. Ricordo perfettamente come reagì,in Tv, alla notizia che aveva vinto le elezioni. Ap-pariva incredulo, sbalordito. Sembrava dicesse:«Perdiana, è capitato proprio a me?!?». Anzi incerto senso lo disse. Non rammento le parole esat-te ma in sostanza disse che la politica non era il suomestiere tuttavia avrebbe cercato di cavarsela e, seavesse fallito, sarebbe tornato a casa. Parole chemi spaventarono e nel medesimo tempo mi piac-quero. Non a caso pensai: «Grullo! Se temi di fal-lire, perché ti sei presentato?!?». Poi, quasi sedot-ta dall'involontaria innocenza di quel discorso,pensai: «Perbacco! Chi l'aveva mai detta una cosasimile?!?».

Torniamo alle catene. E alle ferite.

Prigioniero di sé stesso e dei suoi infidi alleati, hodetto. Delle loro meschinerie, delle loro imbosca-te, dei loro tradimenti, dei loro ricatti, dei loro fu-turi ribaltoni. E ferito, gravemente ferito, dal can-nibalismo degli avversari che cianciano di demo-crazia ma in fondo al cuore sono democratici

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quanto io son mussulmana. Gronda sangue datutte le parti, il sansebastianizzato Berlusconi. Inemici lo hanno morso con tutti i denti che ave-vano in bocca. I magistrati che sappiamo. I sin-dacati che da sessant'anni sono un feudo perso-nale di Karl Marx. I banchieri che in barba al Po-polo custodiscono i miliardi dell'ex-Pci. I giorna-li che sognano di vederlo penzolare a capo in giùda un gancio di piazzale Loreto. Le televisioniche egli possiede invano. I pacifisti guerraioli checome minimo se la fanno con Al Jazeera. I siti In-ternet che possono blaterare qualsiasi calunnia.L'Olimpo Costituzionale che, non avendo con luidebiti di gratitudine, ha sempre fatto di tutto perdimostrare che non lo può soffrire. E la stessaConfindustria che al solito va dove la porta il ven-to dei suoi calcoli finanziari, sicché non meravi-gliarti se il suo presidente si presenta come unAgnelli alla festa che la Cgil ha organizzato a Ser-ravalle Pistoiese e gli operai lo applaudono nelmodo in cui applaudivano Togliatti o Berlinguer.Ferito, infine, dal fatto di non appartenere allamafia politica e d'essere in quel senso un parve-nu. I parvenus, cioè i new-comers, i self-mademen, piacciono in America dove la moderna de-mocrazia è stata inventata. Non in Europa doveneanche la Rivoluzione Francese servì a spengerel'asservimento psicologico al concetto di aristo-

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crazia. D'accordo, la storia d'Europa è colma diparvenus e new-comers e self-made men giunti alpotere. Ma incominciando da Napoleone che peresser veramente accettato dovette farsi re e impe-ratore, sono sempre durati poco. E in Italia farlicadere è particolarmente facile perché gli italianisono volubili. Impazienti e volubili. Ora ti amanoe ora ti odiano, ora ti esaltano e ora ti buttano via.In più sono gelosi di chi ha molti soldi e, quasiciò non bastasse, non si assumono mai le proprieresponsabilità. Le attribuiscono sempre al poterein carica. Piove-governo-ladro.

Parliamo dei difetti.

Sono difetti che derivano dalla sua mancanza diumiltà. Berlusconi non è un uomo stupido: sonostupidi quelli che lo trovano stupido. Berlusconiè un uomo intelligente. Se non fosse intelligente,non avrebbe avuto l'enorme successo che ha avu-to come imprenditore e come politico improvvi-sato. Non sarebbe diventato una delle trenta per-sone più ricche del mondo. Più ricco del re del-l'Arabia Saudita, più ricco dello sceicco degliEmirati Arabi Zayed Bin Sultan Al Nahyan, assaipiù ricco della regina Elisabetta e di Bush. Lo hadetto lo scorso febbraio la rivista Forbes, che suqueste cose non sbaglia mai. Se non fosse intelli-

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gente, non avrebbe nemmeno inventato nel girodi cinque mesi un partito che al primo colpo vin-ce le elezioni. Cioè il temo al lotto che nel 1994stupì anche lui. L'autentico successo non nascedal caso, dalla fortuna. Nasce dal merito, figliodell'intelligenza. Però è anche un uomo sfrenata-mente presuntuoso, povero Berlusconi. Credesempre d'essere il più bravo di tutti. Il più capa-ce, il più astuto, un genio in grado di risolverequalsiasi problema. Incluso il problema di gover-nare da solo un paese. E governare un paese èdavvero il compito più difficile che esista. Perfarlo ci vuole una grande umiltà. PersonalmenteBerlusconi non lo conosco. Ma in questi anni l'hoosservato bene. Ho analizzato bene ciò che face-va, ciò che diceva, e ogni volta sono arrivata allamedesima conclusione: quell'uomo è troppo pre-suntuoso. Più presuntuoso dei comunisti che so-no i presuntuosi più presuntuosi della Terra. An-che i suoi errori di gusto derivano dalla sua pre-sunzione. Pensi all'errore di gusto che commisel'anno scorso, quando invece di recarsi in Iraq aringraziare i nostri militari si assentò per fare illifting. Mi caddero proprio le braccia. Con sgo-mento esclamai: «Porca miseria, ci sono andatitutti in Iraq! Perfino quel babbeo di Carlo d'In-ghilterra. Lui non c'è ancora andato e ora perdetempo a lisciarsi le rughe come Gloria Swanson

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nel Viale del Tramonto!». E va da sé che, rispettoallo sbaglio principale, quell'errore di gusto fuun'inezia. Una quisquilia.

Quale sarebbe, secondo Lei, lo sbaglio principale?

Il fatto che, ritenendosi un genio in grado di risol-vere tutto da solo, si circondi quasi sempre di per-sone che non valgono un fico. Di mediocri, di yes-men, cioè di tipi che gli dicon sempre sì. Tanto-ci-sono-io, ci-penso-io, pensa lui. Anche Napoleoneera un presuntuoso. Era il dio, il simbolo, dei pre-suntuosi. Eppure si sceglieva sempre il meglio delmeglio. I migliori generali, i migliori diplomatici, imigliori giuristi, i migliori scienziati, i migliori ar-chitetti, i migliori artisti, i migliori consiglieri. An-che se gli erano odiosi come Talleyrand. («Mon-sieur Talleyrand, vous étes une merde dans un basde soie. Lei è una merda dentro una calza di se-ta»). Berlusconi, no. E, se ne licenzia uno, si met-te senza esitare al suo posto. Diventa ministro de-gli Esteri, dell'Ambiente, dell'Economia, del Te-soro, dell'Istruzione, dello Sport, della Giustizia,della Sanità, degli Affari Sociali, delle Pari Op-portunità. Peggio: se per grazia divina gli capitaun tipo in gamba, un tipo che pensa con la pro-pria testa, prima o poi lo molla o si fa mollare. Unconsigliere in gamba ce l'aveva, infatti. Era Giu-

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liano Ferrara. A me non piace Ferrara. Non per-ché è mostruosamente grasso ma perché è cattivo.Viene dal partito comunista, in lui dorme qualco-sa che è ancora bolscevico. Inoltre non sopportale vittorie altrui e, sebbene su molte cose la pensiesattamente come me, su di me ha scritto o lascia-to pubblicare cose ributtanti. False, diffamatorie,ributtanti. Non a caso l'ho querelato e, se in Italiaandasse di moda anche la giustizia, verrebbe con-dannato almeno all'ergastolo. Però nessuno puònegare che sia intelligente. Che sia colto, che lasua mente funzioni in modo egregio, e che di po-litica se ne intenda come pochi. Bè: a quanto pa-re, Berlusconi lo ha mollato. Anzi, si è lasciatomollare. A quanto pare, non lo ascoltava e alla fi-ne Ferrara s'è rotto le scatole. Gli ha detto: «Faiquel che diavolo vuoi».

Parentesi: e del caso Tremonti che ne pensa?

Io non parlo mai delle cose che non capisco. E dieconomia, di finanza, non capisco nulla. Nemme-no che cosa sono i soldi, le banche, la Borsa, e viadicendo. O meglio: capisco soltanto che in tuttal'Europa l'economia va male per via del club fi-nanziario che ha nome Unione Europea. Cioè pervia del fottutissimo euro che costa molto più deldollaro sicché un pomodoro lo paghi quanto un

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diamante e i prodotti europei vendono meno diquelli americani. Se due negozi offrono a prezzodiverso l'identica merce, vai da quello che te la fapagare meno: o mi sbaglio? Così non posso sape-re se nel governo Berlusconi il professor Tremon-ti fosse un Einstein dell'Economia, un tipo di-nanzi al quale bisogna levarsi dieci volte il cap-pello. Però so che il suo licenziamento fatto at-traverso la solita lettera di dimissioni m'ha scan-dalizzato. Vi ho visto un gesto di debolezza neiconfronti d'una opposizione che pretende di go-vernare. Un atto di masochismo. E vorrei tantoche quella battuta di Tremonti fosse vera.

Quale battuta?

«Caro Berlusca, sul piatto d'argento io ci mettola testa. Ma tu mettici i coglioni».

Parentesi chiusa, e riprendiamo il J'accuse.

Bè, secondo me Berlusconi ha studiato poco. Hauna laurea in legge, sì, ma la laurea non basta: hoconosciuto più ignoranti con la laurea che senzala laurea. L'ignoranza è una caratteristica moltodiffusa tra i nostri politici, si sa. Basti pensare aquelli che fanno gli sfondoni di sintassi: la mia os-sessione. Ma non si può governare da soli igno-

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rando le basi della politica. Per incominciare, laStoria e la Filosofia. E mi meraviglierei molto seBerlusconi fosse un esperto di Storia e di Filoso-fia. Inoltre mi sembra che del Potere abbia unconcetto piuttosto frivolo, superficiale. Che perlui il Potere significhi stare su un trono. E non untrono che si regge sull'autorità morale o intellet-tuale ma sull'autorità politica. Si eccita troppoquando si trova accanto a Bush o a Putin. E perfi-no quando incontra quelle due nullità che si chia-mano Schróder e Chirac. Il suo eterno sorriso siallarga fino alle orecchie anzi fino alla nuca, gon-gola tutto e, per una volta dimentico della sua pre-sunzione, sembra dire: «Guarda con chi sto! ».Sotto sotto ne sembra anche un po' intimidito.Proprio come un parvenu che badando al grado,all'apparenza non alla sostanza, si sente finalmen-te accettato. Arrivato. Non capisce, insomma, chenella stragrande maggioranza dei casi chi siede suun trono dell'autorità politica è un poveraccioqualsiasi cui è capitata la fortuna di vincere la lot-teria. Forse Ferrara s'è dimenticato di spiegarglie-lo. Se lo incontrassi, cosa che non desidero per-ché incontrandolo ci litigherei a morte, glielospiegherei io. Gli direi che ho conosciuto più uo-mini al potere di quanti ne abbia conosciuti lui.Per intervistarli sono stata giornate intere con lo-ro, e posso garantirgli che cinque casi su dieci si

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trattava di poveri stronzi, sicché lasciarsene inti-midire sarebbe stato insensato. Del resto, nellamaggior parte dei casi, ero io a intimidire loro...Oppure si trattava di tipi da non prender sul se-rio. Pensi a Kissinger che il risibile Nobel lo vinseper una Pace mai conseguita. E anche con me fe-ce un mucchio di figuracce. Inclusa quella d'avernegato la famosa frase sul cowboy e quella d'averdetto che in fotografia sembravo una bella donnama in realtà ero un brutto anatroccolo. «A littleugly duck». E quella d'aver scritto nel suo libroLe Memorie della Casa Bianca che aveva accettatod'incontrarmi per «vanità» cioè perché voleva es-sere incluso nel mio «Olimpo dei potenti». Equella d'aver scritto, nel libro successivo, che conlui ero stata cattiva ma con Le Duc Tho ero statabuonissima. Coglione! Le Duc Tho io non l'homai intervistato. Non l'ho mai incontrato. E nean-che visto da lontano... Diciamolo chiaro e tondo,amica mia: quelli da prender sul serio noi due liabbiamo contati sulle dita di una mano. Khomei-ni, Deng Xiao Ping, Golda Meir, forse IndiraGandhi. E anche loro avevan vinto la lotteria.

Sospendo di nuovo il ruolo di ascoltatrice consen-ziente e le dico: io penso che la maggior colpa diBerlusconi sia stata quella di non aver saputo avvia-re, neanche tentar d'avviare, una classe dirigente in

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grado d'opporsi al dispotismo dell'egemonia cultu-

rale comunista. Oltretutto, un'egemonia basata su

vecchie ideologie. Vecchie demagogie, vecchie reto-riche, situazioni superate dal crollo del comunismononché dal sorgere d'un benessere mai visto. E di

conseguenza un'egemonia logora, stantia, tenuta in

piedi solo con l'ignoranza e la prepotenza.

Anche l'egemonia culturale della Chiesa Cattoli-ca era logora e stantia quando a Firenze fiorì il

Rinascimento. Eppure Savonarola teneva in pu-gno un mucchio di cittadini e grazie all'ignoran-

za, alla prepotenza, quell'egemonia durò per se-coli. Resistette anche dopo l'avvento dell'Illumi-

nismo, della Rivoluzione Francese, di Napoleo-ne. Così le rispondo: anche se avesse avuto lastoffa cioè il tipo d'intelligenza che ci vuole per

dare il via a un rinascimento, anche se fosse statoLorenzo il Magnifico e il suo denaro lo avesse

speso per riempire Palazzo Chigi di Aristoteli edi Platoni, di Leonardi da Vinci e di Galilei, Ber-

lusconi non sarebbe riuscito neanche a recupera-re la Corea del Nord. Perché gliene sarebbe man-

cato il tempo. La Sinistra ci ha messo più d'un se-colo a stabilire, grazie all'apparato chiesasticoche lui non ha, la sua egemonia. E, per settanta-

quattr'anni, col formidabile mecenatismo dell'U-nione Sovietica nonché con l'apporto di brillanti

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cervelli. Insieme all'assenza di brillanti cervelli,

invece, Berlusconi non ha avuto che qualche an-

no. Partendo dal 1994 cioè dall'anno in cui andòper la prima volta al governo ma grazie al tradi-mento della Lega vi rimase solo nove mesi, dieci

anni. Partendo dal 2001 cioè dall'anno in cui ha

vinto di nuovo le elezioni, tre. Davvero pochi perfare ciò che Lei e non soltanto Lei gli rimproveradi non aver fatto. Inoltre Berlusconi è un libera-

le. Alla libertà, ne son certa, ci tiene davvero. Per

crederci basta osservare la pazienza con cui sop-porta le ostilità dei canali televisivi che gli appar-tengono. Unica eccezione, quello che gli è devoto

al punto di ridicolizzarlo. E l'illiberalismo si com-batte male con la pazienza che la libertà richiede.

Quanto crede che possa durare, Berlusconi?

Boh! Nella immutabile giungla della politica ita-

liana Berlusconi è una parentesi bizzarra. E sequesta parentesi si chiuderà tra un giorno o tra

un mese o tra un anno o due anni o sette anni, ionon lo so. Qualcosa di buono, in fondo, lo ha fat-to. Non ha imitato Zapatero, ad esempio. In poli-

tica estera ha dimostrato d'aver più coraggio diquanto credessi quando lo accusai di non aver

palle e gli buttai in faccia l'esempio di mia madreche fa a pezzi l'uomo dal quale s'è sentita dire:

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«Signora, domattina alle 6 fucileremo suo mari-to». Ha anche frenato un po' le orde dell'avanza-ta islamica, ripeto. E dulcis in fundo: la libertà cel'ha mantenuta. Però so che i Maramaldi in gra-do d'ucciderlo non sono i suoi sgangherati avver-sari. Sono i suoi insinceri alleati. Gli omìni che inpiazza Montecitorio vanno a spasso con l'opposi-zione, che per un pugno di voti si sono montati latesta e lo pugnalano coi ricatti, che per non tra-dirlo esigono nuove poltrone ministeriali. Lo uc-cideranno loro, sì. O lo manderanno a Sant'Ele-na. Poi celebreranno un Congresso di Vienna insostanza simile a quello con cui nel 1815 Metter-nich effettuò la Restaurazione, e cadremo tuttidalla padella nella brace. Ma ora basta. Sonostanca, mi sento male. Dovevamo fare un'intervi-sta e invece stiamo improvvisando un libro.

Infatti. Non se n'era accorta? Si rivolga ai Suoi an-ticorpi, dunque, e mi consenta di spronarla ancoracon qualche domanda. Questa, ad esempio. Le pia-ce Bush?

Se il bombardamento di insulti e accuse e vituperie maledizioni non si abbattesse su Bush come il Di-luvio Universale, un bombardamento a paragonedel quale il crucifige di Berlusconi sembra una qui-squilia, le risponderei con una battuta e basta: «No.

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Mi piace sua moglie». Il che è vero, by the way. Suamoglie mi piace, e parecchio, perché è la sosia dimia madre. Lo è a tal punto che quando la vedo inTv faccio sempre uno scossone ed esclamo: «Checi fai li, mamma?!?». Secondo me Laura Bush èstata clonata con una cellula di mia madre primache mia madre morisse. Stesso volto cioè stessabocca, stesso naso, stesse guance, stessi occhi, stes-si capelli. Stesso corpo cioè stessa altezza, stesso pe-so, stessi fianchi, stesse gambe. Stessa voce, stessosorriso, stessa risata, stesso modo di muoversi e divestire. Nonché stesso amore per la scuola. LauraBush è una fiera maestra di scuola. Mia madre rim-piangeva sempre di non essere una maestra discuola e avrebbe voluto che lo diventassi io. Maquel bombardamento me lo impedisce, me lo proi-bisce, e su Bush non dirò cose che possan servire achi lo dipinge come un criminale anzi un Anticri-sto. Non è un'aquila, ne convengo. In più non èmolto simpatico, è antipatichino, e temo ignoran-tello. Infatti quando si presentò alle elezioni mi sco-rai e quando venne eletto presidente mi rallegraisoltanto perché ci evitava quella patata lessa, quelpresunto ecologo, che si chiama Al Gore. Ma an-che i leader non-leader europei, e in particolare ita-liani, non sono aquile. Spesso sono addiritturaoche che servono a starnazzare e basta. La nostra èun'epoca priva di leadership, si sa. Se pensi ad

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esempio che quell'ubriacone di Yeltzin è stato unozar e che quell'ignorante di Walesa è stato un sim-bolo di Libertà, ti senti mancare il fiato. Ed è unfatto che negli ultimi decenni la nostra epoca hapartorito soltanto due leader: Karol Wojtyla e BinLaden, ahimè. Ergo, non essendo un'aquila, il po-vero Bush s'è tirato un mucchio di volte la zappasui piedi. Per incominciare ha scelto, come Berlu-sconi, la gente sbagliata. Un pessimo Segretario diStato cioè lo scialbo Powell, un pessimo Segretariodella Difesa cioè il tracotante Rumsfeld, una pessi-ma Consigliera per la Sicurezza Nazionale cioèquella Condoleeza Rice che non è affatto stupidama è impastata con la medesima pasta di Rumsfelde piuttosto che seguire un suo consiglio io mi suici-derei. E a ciò aggiunga un capo della Cia e un capodell'Fbi da processare per incapacità. Tutti insiemecostoro lo hanno portato in Iraq dove le armi chi-miche e biologiche non sono riusciti a trovarle,probabilmente perché erano state subito nascostein Siria o in qualche banca svizzera, e... Ma sull'o-dio che il repubblicano Bush ha calamitato con laguerra in Iraq io avrei da fare due osservazioni.

Le faccia, le faccia.

Osservazione numero Uno: i parolai della Sinistraitaliana anzi europea che per la guerra in Iraq lin-

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ciano Bush dimenticano, o fingono di dimenticare,che a condurre la guerra in Vietnam furono duepresidenti democratici. La guerra in Vietnam fu av-viata dall'osannatissimo John Kennedy. Non damia zia. Fu portata avanti da Lyndon Johnson chedall'osannatissimo John Kennedy l'aveva ereditata.E fu conclusa da Nixon che era repubblicano non-ché odiato come Bush. Osservazione numero Due:quando i parolai del partito democratico america-no attaccano Bush per la guerra in Iraq dimentica-no, o fingono di dimenticare, che ad essa dettero illoro consenso. Questo incominciando dallo sme-morato John Kerry al quale la Sinistra europea anziitaliana fa le reverenze, per il quale i Fassino e i Ru-telli in cerca di credibilità vanno alla Convention diBoston e dicono bischerate. Quel John Kerry chela guerra in Vietnam la approvava quanto un annoe mezzo fa avrebbe approvato la guerra in Iraq.Che alla guerra in Vietnam ricevette ben tre meda-gliucce cioè tre Purple Hearts. E che oggi si pre-senta alla folla della Convention dicendo come unMarine: «John Forbes Kerry a rapporto». Poi fa-cendo il saluto militare. In entrambi i casi, dunque,quei parolai dovrebbero tenere il becco chiuso.Mostrare un po' di pudore. E detto ciò torniamo aBush. No, anche dopo l' 11 Settembre non ha bril-lato. Sì, sull'Iraq è scivolato. Ma qualche merito cel'ha ugualmente. Quello d'essere un uomo abba-

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stanza coraggioso, per incominciare, e d'aver fattoqualcosa per combattere un terrorismo che non sicombatte coi baci e gli abbracci. Quello d'essereun uomo coerente cioè un tipo che tiene fede allesue scelte e non si lascia intimidire dai ricatti o daiberci, inoltre. E quello d'essere una persona digni-tosa. Anche nella sua vita privata. Io non so imma-ginare Bush che toglie dignità alla Casa Bianca co-me Clinton fece all'epoca del suo superpubbliciz-zato adulterio. Non so immaginare Bush che incor-na Laura nella Stanza Ovale cioè la stanza dove ipresidenti degli Stati Uniti decidono i destini delproprio paese anzi del mondo e non di rado man-dano la gente a morire. Non so immaginarlo men-tre in un simile luogo si sbottona i pantaloni per fa-re i suoi comodi con la cicciona, poi punta l'indiceverso le macchine da presa e guardandoti negli oc-chi tuona: «Io quella donna non la conosco». E amio avviso certe cose contano. Eccome se contano.

Forse sarebbe stato meglio se fosse stato meno di-gnitoso e avesse catturato Bin Laden.

D'accordo. Parlando dei suoi errori ho dimenti-cato il più grosso: non aver catturato o eliminatoBin Laden. A tutt'oggi, un buco nell'acqua chenessuna cattura di Saddam Hussein può compen-sare. Infatti, se nei prossimi tre mesi non ci riesce,

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Kerry ha ancora più probabilità di vincere le ele-zioni. Ma anche la mancata cattura di Bin Ladenè dipesa dalle pessime scelte che Bush aveva fatto.

E di Kerry che pensa?

Quel che posso pensare d'un possibile presidenteche non ha niente da offrire fuorché un nome conle stesse iniziali di John Fitzgerald Kennedy: JFK.E che per questo è stato inventato, mecenatizzato,imposto dal peggior uomo politico che l'Americaabbia prodotto negli ultimi trent'anni: Ted Ken-nedy. Il Kennedy di Chappaquiddick. La baia dovecadde con l'automobile e dove tornando a galla,scappando per evitar lo scandalo, lasciò affogare lagiovane segretaria con cui si trovava al momentodell'incidente. Kerry è un piccolo opportunista enient'altro. Per dimostrarlo basta ricordare che do-po aver intascato le tre medagliucce e accettato direcitare il ruolo dell'eroe, (ruolo ora smentito damolti veterani che erano con lui in Vietnam), si pre-sentò a Meet the Press cioè il programma televisivodella Nbc e facendo il super-pentito disse: «In Viet-nam ho commesso atrocità d'ogni tipo. Ho brucia-to villaggi, condotto missioni Cerca-e-Distruggi, hoviolato tutte le convenzioni di Ginevra. Ho offesogli stessi principii per cui fu celebrato il Processo diNorimberga». Però le tre medagliucce, le tre Pur-

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ple Hearts, non le restituì e ancor oggi posa aderoe. È anche un uomo molto insicuro, molto in-deciso, un piccolo Carlo Alberto del Colorado. Co-sa che un presidente degli Stati Uniti non può per-mettersi. Infine è un uomo privo di fantasia: nonha la minima idea di ciò che potrebbe fare perestrarre l'America dal pantano dell'Iraq. Sull'Iraqdice soltanto: «Dovremo starci almeno fino al2006». Oh, l'ho guardato bene, lo scorso inverno,durante la campagna per le primarie. E l'ho guar-dato ancor meglio durante la Convention dove, do-po quel saluto militare, ha fatto un discorso sem-plicemente penoso. In barba alla sua vecchia sce-neggiata di super-pentito, in-Vietnam-ho-commes-so-atrocità-etcetera, ha detto che vuole un esercitopiù forte e che se diventa presidente lo aumenteràdi quarantamila soldati. Ha detto che non rinunceràmai all'uso della forza, che il suo primo grazie andràai militari. E sul modo di risolvere il problema del-l'Iraq ha taciuto di nuovo. Di nuovo! Anche nel suocaso, se vince, cadremo dalla padella nella brace.

E sull'Iraq che cosa mi dice?

Le dico ciò che ho detto ne La Forza della Ragio-ne e prima ancora nell'articolo che la vigilia dellaguerra pubblicai sul Wall Street Journal per espri-mere i miei dubbi sull'opportunità di farla. L'ar-

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ticolo in cui spiegavo perché gli iracheni io liavrei lasciati bollire nel loro brodo. Intendiamo-ci, a me fa piacere che Saddam Hussein sia statotolto di mezzo. E sebbene i processi di Norim-berga sollevino in me un profondo malessere, undisagio che dura dai tempi in cui nei loro corteitrionfali i romani si portavano dietro gli sconfittiin catene, non piangerò quando verrà condanna-to. Tutt'al più borbotterò: «La fortuna gli avevaproprio voltato le spalle. Sai quanti Saddam Hus-sein si sono spenti e si spengono nel loro letto?».Però il prezzo per toglierlo di mezzo è stato trop-po alto. II terrorismo islamico s'è moltiplicato, imorti hanno partorito morti e continuano a par-torire morti. E come scrissi in quell'articolo, ci ri-troveremo con una Repubblica Islamica dell'I-raq. Cioè con un paese nel quale i mullah e gliimam impongono i burkah, lapidano le donneche vanno dal parrucchiere, impiccano la genteallo stadio, e insomma nuotano dentro oceani disangue. Allora tanto valeva tenersi Saddam Hus-sein. Guardi, io non mi stancherò mai di ripeter-lo: la democrazia non si può regalare come unascatoletta di cioccolata. La democrazia bisognaconquistarsela, e per conquistarsela bisogna vo-lerla. Per volerla bisogna sapere e capire cos'è.Gli iracheni non lo sanno. Ancor meno la capi-scono. E di conseguenza non la vogliono. Non

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tanto perché sono diseducati da ventiquattr'annidi dittatura feroce ma perché sono mussulmani.Le masse mussulmane capiscono la teocrazia ebasta. E la teocrazia non insegna a ragionare, ascegliere, a decidere il proprio destino. Insegna asubire, a ubbidire, a servire un Dio che è un pa-drone assoluto. Un sovrano che controlla ognimomento e ogni aspetto della tua vita. Un tiran-no peggiore di Saddam Hussein. Forse tra un se-colo o due questo cambierà. Ormai il mondo sievolve alla svelta. Ma oggi come oggi la realtà èquella. Ieri ho visto un documentario dove unadonna colta e intelligente, una architetta di Bag-dad, indossava gli abiti imposti dal Corano e di-ceva: «I hope so much that we reach democracy.Islamic style, of course. Spero tanto che si arrivialla democrazia. Stile islamico, beninteso». Stileislamico, cioè regolata dai mullah e dagli imam.Dalle leggi di Maometto. Mi sbaglierò, ma illu-dersi che una farsa di elezioni possa cambiare lecose in Iraq è una scemenza.

Una scemenza?!?

Una scemenza. Lo dimostrano le folle che nellestrade di Bagdad esultano a guardare il cadaverestraziato, mutilato, dell'americano in uniforme.«Watahya, evviva, Watahya!». Lo dimostrano i

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«guerriglieri» che ogni giorno ammazzano un mi-nistro o un primo ministro del governo provviso-rio. Lo dimostrano i barbari che in nome di AllahMisericordioso decapitano gli ostaggi non-mus-sulmani. Dico non-mussulmani perché, non so sel'ha notato, quelli mussulmani li rilasciano sem-pre. Non li ammazzano mai. E a proposito: è riu-scita a guardare il video che mostra la decapita-zione di Paul Johnson, l'ingegnere americano ra-pito il giugno scorso? Io no. Però me lo sono fattoraccontare da uno che l'ha visto e... Bè, Johnson èsdraiato su un divano coperto da un lenzuolo. Epiange. Indossa la tuta rossa che ora mettono agliostaggi condannati a morte, ha le braccia legatecon una corda, e piange. Piangendo mugola qual-cosa che non si capisce. Forse chiede pietà. Il boiainvece indossa un càmice bianco, da medico o dainfermiere, e poiché è ripreso di spalle cioè in mo-do da renderlo irriconoscibile di lui si vede sol-tanto la mano destra che stringe un coltello a segalungo una trentina di centimetri e la mano sinistraal cui polso c'è un bellissimo orologio d'oro. Conpasso tranquillo s'avvicina a Johnson che continuaa piangere. Con la mano sinistra impreziosita dalbellissimo orologio d'oro gli afferra il faccione ba-gnato di lacrime. Con la mano destra gli appoggiail coltello alla base del collo, e incomincia a segare.Lentamente, accuratamente. Senza fretta. E senza

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curarsi delle urla che presto diventano rantoli, poigorgoglii, e infine si spengono. Intanto nella stan-za un disco diffonde una dolcissima nenia. La vo-ce d'una donna che canta: «Fateli esplodere, fate-li esplodere! Uccideteli ovunque siano! Distrug-geteli! ». Quanto alla testa di Johnson, la povera te-sta che sulle fotografie dei giornali era posata sulsuo stomaco, sa dove l'hanno ritrovata? Nel free-zer della casa d'un capo di Al Qaida arrestato aRiad. Se l'era presa lui. La teneva come trofeo.

Perché m'ha raccontato questa mostruosità e contanta dovizia di particolari, perché?

Per inorridirla. Per spaventarla, per indignarla.Ed anche per farle capire perché li odio nellastessa misura in cui loro odiano me. Ah! Mi fan-no ridere i parolai che declamano: «Il terrorismonon si combatte con le armi».

Ma Lei stessa ha scritto che questa guerra è unaguerra culturale non militare...

L'ho scritto a proposito dell'invasione con cuistanno soggiogando l'Europa, perdio, non a pro-posito del terrorismo! Con che cosa vorrebbecombattere chi ci sgozza, ci taglia la testa, ci fasaltare in aria a centinaia anzi a migliaia per vol-

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ta? Davvero coi baci e gli abbracci, il perdono, ivolemose-bene dell'Unità e di Papa Wojtyla? ! ?

D'accordo. E dimentichiamo quel coltello a sega,

quella testa nel freezer, parlando dell'Europa.

Che Europa? L'Europa non c'è più. C'è l'Eura-bia. Che cosa intende per Europa? Una cosiddet-ta Unione Europea che nella sua ridicola e truf-faldina Costituzione accantona quindi nega le no-stre radici cristiane, la nostra essenza? L'UnioneEuropea è solo il club finanziario che dico io. Unclub voluto dagli eterni padroni di questo conti-nente cioè dalla Francia e dalla Germania. È unabugia per tenere in piedi il fottutissimo euro e so-stenere l'antiamericanismo, l'odio per l'Occiden-te. Una scusa per pagare stipendi sfacciati edesenti da tasse agli europarlamentari che come glisquallidi funzionari della Commissione Europease la spassano a Bruxelles. Un trucco per ficcareil naso nelle nostre tasche e prodotti genetica-mente modificati nel nostro organismo. Carneche non è più carne, pesce che non è più pesce,verdura che non è più verdura, parmigiano chenon è più parmigiano, latte che non è più latte,vino che non è più vino. Sicché oltre a crescereignorando il sapore della Verità le nuove genera-zioni crescono senza conoscere il sapore del vero

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cibo, e insieme al cancro dell'anima si beccano ilcancro del corpo. E infine è un cinico mezzo perconsentire ai terroristi islamici di circolare senzaintoppi a casa nostra, l'Unione Europea. Unostrumento per introdurre sempre più invasori nelnostro territorio. Pensi alla storia della Cap Ana-mur, la nave tedesca insinuatasi nelle nostre ac-que con l'intento di procurare l'asilo politico atrentasette sudanesi che non erano sudanesi cioèpersone in fuga dal lercio regime schiavista diKhartum bensì furboni provenienti dal Ghana edalla Nigeria. Bloccata dalla Guardia Costiera lanave resta al largo per tre settimane durante lequali Roberto Castelli, il ministro della Giustizia,dice alla Germania: «Noi che c'entriamo? Stannoin acque internazionali. Sono a bordo d'una im-barcazione tedesca con equipaggio e comandantetedesco. Quindi l'asilo politico l'hanno chiesto avoi. Dateglielo voi». Ma la Germania, quella Ger-mania che non volle prendersi il curdo Ocalan sucui pesava un mandato di cattura tedesco, rispon-de no-grazie. E mentre i collaborazionisti italianiesaltano il comandante che è un arcobalenista de-dito all'immigrazione clandestina, un furbone cheprima di imbarcare i furboni s'è fatto pagare milledollari a testa, mentre sui trentasette furboni i gior-nalisti strappalacrime scrivono articoletti «umani-tari», il ministro Pisanu cede. Li fa arrivare a Por-

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to Empedocle, li fa sbarcare, li sistema nel CentroAccoglienza di Agrigento. Salvo poi scandire, esa-sperato o pentito, due opportunissimi versi diMontale: «Questa ondata di carità che si abbattesu di noi è un'ultima impostura».

Vedo che ci crede sempre meno all'Europa...

Ci credevo quand'era ancora Europa, quando nonera ancora Eurabia. Ci credevo fin da bambina,mioddio. Non per nulla sono cresciuta nei princi-pii del federalismo europeo. Ci credevo tanto chese in America un tassista mi chiedeva quale fossela mia nazionalità, rispondevo: «europea». Non di-cevo: «italiana». Dicevo: «europea». Ora dico «ita-liana» e basta. Non voglio neanche un legame ver-bale con la Bugia. Oltretutto, una bugia che nondurerà. Perché le nazioni non possono abolire lapropria lingua, il proprio passato, il proprio orgo-glio, le proprie leggi, le proprie abitudini, la pro-pria Patria, per diventar tasselli d'una Super-Pa-tria. D'una Super-Nazione, d'un Super-Stato nelquale si parlano una quarantina di lingue ma contasolo il francese e il tedesco e l'arabo. Prima o poichi non sopporta il francese e il tedesco e l'arabo siribellerà. Lo deduci anche dal fatto che alle elezio-ni europee molti paesi non hanno praticamentevotato... Non durerà, non durerà. D'un tratto si

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sfascerà come un castello di carte da gioco. E nonabitando più in questo mondo io mi mangerò lemani per la stizza di non poter sghignazzare: «Vel'avevo detto, io. Ve l'avevo detto».

Bè, a questo punto diventa difficile portare il di-scorso sull'Onu.

L'Onu? Che Onu?!? L'Onu è la summa di tutte leipocrisie, il concentrato di tutte le falsità. È unabanda di mangia-a-ufo che a New York si permet-tono ogni infrazione legale perché posseggonol'immunità diplomatica. È una mafia di sottosvi-luppati e di imbroglioni che ci menano per il naso.Basti pensare che ai figli di Allah l'Onu ha consen-tito di non firmare la Carta dei Diritti Umani e disostituirla con la «Carta dei Diritti Umani inIslam». Vale a dire l'elenco degli orrori autorizzatio predicati dal Corano. Eh! Democracy-Islamic-style, Human-Rights-Islamic-style... Che Onu? ! ?L'Onu che tra i suoi Segretari Generali, tutti oquasi tutti buoni a nulla, ha avuto Kurt Waldheimcioè un tipo su cui ancor oggi pesa l'accusa d'averpartecipato come ufficiale della Wehrmacht agliarresti degli ebrei? Un tipo che durante il suo dop-pio mandato non ha mai perso l'occasione per pu-nire Israele e favoreggiare spudoratamente gli ara-bi? Bisogna essere proprio in malafede per miago-

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lare «Rivolgiamoci-all'Onu, in-Iraq-mandiamoci-le-truppe-dell'Onu». Che cosa ha mai fatto, l'Onu,fuorché sprecare migliaia di miliardi e vivere direndita sulle parole Pace ed Umanitarismo? Hamai mosso un dito, l'Onu, per chiudere i gulag edifendere le vittime di Stalin? Ha mai aperto boc-ca per frenare la spietata dittatura di Mao TseTung, per condannare i maoisti che distruggevanoi millenari templi di Lhasa e massacravano i mona-ci buddisti nonché i contadini del Tibet? Ha maifermato il genocidio compiuto in Cambogia dagliKhmer Rouges di Pol Pot? Ha mai tirato le orec-chie al cannibale Bokassa che quand'era presiden-te della Repubblica Centrafricana cucinava i suoiavversari, li mangiava cotti in salmì? Ha mai mes-so al bando il regime schiavista dell'ultra-islamicoSudan? Ha mai criticato i Talebani dell'Afghani-stan? S'è mai lamentata di Bin Laden ossia facen-do il nome di Bin Laden? Trent'anni fa le sue trup-pe non riuscirono neanche a difendere i greci dellapiccola Cipro. A fermare gli stupri che i soldatiturchi commettevano sulle donne e sulle vecchie esui bambini di Cipro. Tutto ciò senza contare chela Terza Guerra Mondiale l'abbiamo evitata nonperché l'Onu sia intervenuta ma perché l'Americaha tenuto duro e vinto la Guerra Fredda. Maledi-zione, per mesi i parolai italiani hanno recitato lacommedia del rivolgiamoci-all'Onu. In-Iraq-man-

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diamoci-le-truppe-dell'Onu. E la risposta di KofiAnnan è stata: «Spiacente ma non ce le mando.Troppo pericoloso».

Parliamo di Kofi Annan.

Non mi è simpatico Kofi Annan. Kofi Annan nonè quello che sembra. Cioè un bonario monarcacon la cravatta, un imparziale nobiluomo africano,un anti-Waldheim. All'inizio aveva sollevato in mequalche speranza, e di lui mi piacevano anche gliaspetti esteriori. La sua eleganza, la sua ricercatez-za verbale, la sua signorilità. La sua voce fonda esuasiva, il suo mite strabismo di Venere. Ma poi loosservai meglio, lo ascoltai meglio, e m'accorsi chenel suo mite strabismo v'era qualcosa di ambiguo.Qualcosa di insincero, di infido. E ora capisco per-ché Blair controllasse le sue telefonate. Da cheparte guarda, Kofi Annan, mentre con l'occhio de-stro fissa un punto e con l'occhio sinistro ne fissaun altro? Non certo dalla parte dell'Occidente,sebbene appartenga a una chiesa evangelica e ab-bia studiato nel Minnesota poi a Ginevra poi a Bo-ston. Le sue prese di posizione sono sempre a fa-vore dell'Islam. Come Kurt Waldheim trova sem-pre il modo di dar torto agli occidentali e ragioneai loro nemici. È anche lui un discepolo di SigridHunke? Mah! Forse è soltanto un freddo calcola-

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tore che obbedisce a un'Assemblea Generale do-minata dai paesi del Terzo Mondo cioè dai mus-sulmani più biliosi e impreparati. O forse è sem-plicemente un antiamericano che mira al PremioNobel ormai riservato agli antiamericani e basta.Bè, ovunque vi sia antíamericanísmo, v'è antíoccí-dentalismo. Ovunque vi sia antioccidentalismo,v'è filoislamismo. E ovunque vi sia antioccidentali-smo quindi filoislamismo, v'è antisemitismo. Per-bacco! In modo chiaro e inequivocabile, l'Onunon s'è mai pronunciata contro i rapimenti e gliassassinii compiuti dai terroristi islamici. Mai. E ilsignor Kofi Annan, idem. L'Assemblea Generalenon ha mai messo all'indice Bin Laden e i suoimozzatori di teste. Mai. E il signor Kofi Annan,idem. Il signor Kofi Annan non ha mai indotto ipaesi del Terzo Mondo a votare contro le stragiche i kamikaze di Hamas compiono in Israele.Mai. Anzi lascia che i paesi del Terzo Mondo voti-no per conto di Nasser Al-Kidwa, l'osservatore pa-

lestinese. Del resto l'Onu non ha mai condannatol'antisemitismo che appesta l'Europa. Nel 1975 di-chiarò in compenso che il sionismo è razzismo e loscorso luglio ha votato contro il Muro Antika-mikaze che Sharon sta costruendo al confine coiterritori palestinesi. Lo ha dichiarato illegale, hachiesto che venisse abbattuto, che i palestinesi fos-sero risarciti dei danni, e il signor Kofi Annan ha

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i

commentato il tutto con queste parole: «Il nostrovoto non può essere ignorato. Il nostro voto ha ungrande valore morale».

Contro il Muro ha votato anche l'Unione Europea...

Eh! Che cosa si aspettava da un'Eurabia che da de-cenni sostiene Arafat come un Giuseppe Garibaldio un George Washington, un'Eurabia che lo finan-zia quasi più dell'Arabia Saudita e degli Emirati? ! ?Che cosa si aspettava da un'Eurabia nella quale ilpresidente della Commissione Europea cioè il no-stro Mortadella fece quella figuraccia condita diantisemitismo? Che cosa si aspettava da un'Eura-bia che ospita e protegge i terroristi di Al Qaida edi Hamas, che si fa condurre per mano dalla Fran-cia e dalla Germania, una Germania dove Hitlerera alleato con lo zio di Arafat cioè col Gran Muftìdi Gerusalemme e con lui aveva fondato le «SSIslamiche»?! ? Una Germania dove Il Sole di Allahbrilla sull'Occidente è ancora un best-seller. UnaGermania dove nel 1983 il ministro degli EsteriHans-Dietrich Genscher inaugurò il Simposio diAmburgo cantando la grandezza, la misericordia,la benignità, la ineguagliabile ricchezza della civiltàislamica, e che per primo la definì un Faro di Luce.«Una luce che per secoli ha illuminato l'Europa,ha aiutato l'Europa a uscire dalla barbarie». Una

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Francia dove all'ultima manifestazione per la Pace,manifestazione cui partecipavano tutti gli esponen-ti della intellighenzia francese di Sinistra, i «pacifi-sti» col kaffiah sono usciti dal corteo e hanno pe-stato a sangue cinque giovani ebrei che col kippahin testa camminavano buoni buoni lungo il marcia-piede. (Come la mettiamo con Abu Graib, anchein questo caso?). Una Francia dove, nella sola Pari-gi, dal 2001 al 2003 sono avvenuti ben cinquecen-tocinquantaquattro episodi di violenza antisemita.E Rapporto Wiesenthal, consegnato dal rabbino diParigi nelle mani di Chirac, parla di ben ventinovesinagoghe bruciate nel corso d'un anno: perbacco!Parla di cimiteri profanati con le svastiche sulle la-pidi. Parla di botteghe appartenenti a ebrei boicot-tate fino al fallimento. Parla di pestaggi e aggres-sioni verbali di questo tipo: «A me dispiace soltan-to che Hitler non abbia potuto finire il suo lavo-ro». Oppure: «Ringrazia Iddio che Hitler non ab-bia portato a termine il lavoro incominciato»(Battuta cara soprattutto ai maghrebini divenuticittadini francesi, e ai seguaci di Le Pen). SicchéSharon dice agli ebrei che vivono in Francia: «Ve-nite a vivere in Israele». E con la sua vocetta non piùcaramellosa ma sferzante come la voce di Pétain aVichy l'ineffabile Chirac risponde: «MonsieurSharon n'est pas bienvenu en France. Non è ben-venuto in Francia».

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Torniamo al Muro. Lo ha dichiarato illegale anche

la Corte Internazionale dell'Aja.

Ovvio. Per muoversi e avere la complicità del-1'Eurabia l'Onu aveva bisogno di quella senten-za, e lo scorso 18 dicembre Kofi Annan sollecitòla Corte dell'Aja ad esprimere-il-proprio-parereprima-che-l'Assemblea-Generale-votasse. Giudi-ci di Sinistra cioè filopalestinesi a parte, s'è trat-tato d'una operazione concertata. Quel che inItalia chiamano inciucio.

Bè, a questo punto la domanda è superflua. Ma

non voglio togliermi il piacere d'ascoltare la Sua ri-sposta. Così le chiedo: e Lei che ne pensa del Muroe del resto?

Penso che la Corte dell'Aja abbia emesso un ver-detto scandalosamente ingiusto. Un verdetto de-gno di Chamberlain e Daladíer al Patto di Mona-co. Penso che, votando come ha votato, l'UnioneEuropea si sia comportata come l'Europa del1938. E che se ne debba vergognare. Penso cheordendo questo inciucio l'Onu abbia commessouna sudiceria. Penso che Simon Wiesenthal ab-bia fatto una cosa sacrosanta sfidando l'Assem-blea Generale a pronunciarsi finalmente controle stragi del terrorismo islamico, a etichettarle co-

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me «Crimini contro l'Umanità». E ha tutto il mioappoggio. Penso che, incominciando da Israeledove i sudditi di Arafat massacrano la gente concoscienziosa quotidianità, uno Stato abbia il do-vere di proteggere i suoi cittadini. La GrandeMuraglia cinese venne costruita per questo. Pen-so che a casa propria ciascuno abbia il diritto dicostruire tutti i muri che vuole. Specialmente seservono a bloccare i kamikaze. Per difendermidai ladri e dagli assassini io chiudo porte e fine-stre, metto cancelli e chiavistelli. E se qualcunome lo impedisce prendo il fucile da caccia. Sequalcuno entra per rubare o ammazzarmi, lo stes-so. E poi penso che nei tratti dove il Muro scon-fina anche per pochi metri in territorio non israe-liano, Sharon debba disfarlo e rifarlo ossia resti-tuire la terra che non gli appartiene. Naturalmen-te, chiedendo scusa. In campagna, quando un vi-cino mi ruba mezzo metro di terra, io lo denun-cio. Quindi esigo le sue scuse. Ma soprattuttopenso che col loro inciucio l'Unione Europea e laCorte dell'Aja e l'Onu di Kofi Annan abbianofatto un gran regalo ad Arafat.

Oddio. So che a far questo nome Lei perde le staffepiù di quanto le perda a parlar di Gheddafi o di Ca-

stro o dei comunisti che si appropriano della Resi-stenza...

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Le perdo, sì. Le perdo. Ogni volta. Quel burattinodagli occhi acquosi e l'anima nera come la pece!Quell'ignorante, quel rimbambito, quel falso lea-der che ormai piace solo alla Sinistra italiana e chenemmeno i palestinesi vogliono più. Quel despotaavido e corrotto che su di loro regna come un ca-po-mafia anzi come un sovrano assoluto. Che a di-rigere la polizia, una polizia non-polizia perché ser-ve soltanto lui, ci ha messo il cugino più corrotto dilui. Che al primo ministro non consente nemmenodi dare le dimissioni. Quel mangiasoldi che tiene ilsuo popolo nella merda, nella povertà, e presso lebanche svizzere custodisce un capitale da capogiro.Era un morto di fame quando lo conobbi, all'iniziodegli anni Settanta, in Giordania. Ora è nell'elencodi Forbes, la rivista che ho citato per Berlusconi, esia pure in coda figura tra gli uomini più ricchi delmondo. Sa a quanto ammonta il patrimonio perso-nale di Arafat? A duecento milioni di dollari pari aquattrocento miliardi di vecchie lire italiane. Piùdel comunista Fidel Castro il cui patrimonio perso-nale ammonta a centocinquanta milioni di dollaripari a trecento miliardi di vecchie lire italiane.

Davvero?!?

Sì, sì. Anche questo lo dice la rivista Forbes. Ma siapure in barba a Karl Marx, quel malloppo Castro

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se l'è guadagnato tagliando la canna da zuccherosenza la protezione dei sindacati. Quando andai aCuba per organizzar l'intervista che poi non feciperché ci litigai subito a morte, mi disse che ognipoco interrompeva le sue fatiche di Líder Màximoper aiutar gli operai a tagliare la canna da zucche-ro. E poiché non voglio credere che la tagliasse co-me Mussolini tagliava il grano durante la Battagliadel Grano, cioè per cinque minuti, concludo chepure lui è un self-made man alla Berlusconi. UnPaperon de' Paperoni che è diventato tale col su-dore della sua fronte. Arafat, no. Il sudore dellasua fronte Arafat non l'ha mai versato. Salvo il pe-riodo in cui posava a guerriero ammazzando levecchie e i bambini nei kibbutz, o addestrando ibei giovanotti della Baader Meinhof nonché i ter-roristi che ci massacravano sugli aerei o negli aero-porti, ha sempre fatto il monarca e basta. E tuttisanno che quei quattrocento miliardi di vecchie li-re italiane li ha accumulati mettendosi in tasca isoldi che i sostenitori della Resistenza Palestinesegli davano per il Popolo Palestinese. Ammeno-ché... Conosce la Mecca-Cola?

No. Che Mecca-Cola?!?

La nuova bevanda dei comunisti, pardon, degliex-comunisti italiani. Ora mi spiego. Il 15 luglio

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s'è aperta a Firenze l'annuale Festa dell'Unità.Inaugurata dallo stesso Segretario dei Ds cioè daFassino, badi bene. E per esprimere il loro ingua-ribile odio verso gli Stati Uniti i diessini di Firen-ze hanno scelto (riporto la frase che si legge nelcomunicato del loro Ufficio Stampa) il boicottag-gio dei «prodotti con cui gli americani sfruttano ilavoratori». La Coca-Cola, la Pepsi-Cola, i lattici-ni e le cioccolate della Nestlé che poi è una mul-tinazionale svizzera non americana, e le sigarettePhilip Morrís. Tutte cose di cui essi fanno granuso insieme all'americanissimo hamburger e agliamericanissimi blue-jeans e agli americanissimisneakers. Ma qualche dissetante esotico bisogna-va pur venderlo alla festa del giornale che usa an-cora il linguaggio di sessant'anni fa. Oggigiorno itrinariciuti non s'accontentano mica dell'acqua edel vino e dell'aranciata, roba da proletari non daborghesi snob che vanno alle Fiji o alle Seychel-les! Così indovina che cosa vendevano al postodella Coca-Cola e della Pepsi-Cola: la Mecca-Co-la. Bevanda fabbricata da una società italo-pale-stinese che il 10 per cento degli incassi lo devolveper lo sviluppo dei territori palestinesi. E sa per-ché ho detto «ammenoché»? Perché all'improv-viso m'ha colto il dubbio che Arafat sia diventatotanto ricco non per via di ciò che tutti sanno masgobbando nelle fabbriche della Mecca-Cola co-

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me un Fidel Castro che taglia la canna da zucche-ro. In altre parole, intascando legittimamente il10 per cento degli incassi. Perché scuote la testa?

La scuoto perché penso che i Suoi anticorpi in guer-ra con l'Alieno dovrebbero esser studiati davvero.Una dozzina di domande fa Lei era molto stanca.Protestava che invece d'una intervista stavamoscrivendo un libro, e non voleva continuare. Orainvece, e specialmente quando parla di Fidel Ca-stro o Arafat...

Sono stanca come prima, più di prima. Non si la-sci ingannare dalle apparenze. Il fatto è che io mo-rirò come Emily Bronté, l'autrice di WutheringHeights. Morì in piedi, Emily Bronté. Sbucciandopatate. E invece di cadere per terra rimase in pie-di. Con lo sbucciapatate in una mano e una patatanell'altra. A proposito: quante patate dobbiamoancora sbucciare per concludere questo libro im-provvisato?

Tre o quattro. E poiché vorrei concludere parlandodi ben altre cose, la domanda che sto per porle èl'unica che insista sul tema della politica italiana.Ecco qua: come ha reagito alla discussa senten-za della nostra Corte Costituzionale, ossia quellache dichiarando incostituzionale l'articolo 13 della

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Bossi-Fini vieta di arrestare i clandestini espulsima non partiti?

Lì per lì con incredulità. Stava bollendo il casodei trentasette sudanesi che non erano sudanesi

però reclamavano ugualmente l'asilo politico epretendevano di non essere espulsi, quindi rifiu-

tavano di partire, sicché lì per lì son riuscita soloa farfugliare: «Non è possibile, non è possibile.

Quei magistrati hanno perso il senno». Poi ho fat-to una piccola inchiesta, ho scoperto che la mag-

gior parte di loro sono diessini o simpatizzantidiessini, insomma persone allattate col latte del-l'egemonia culturale, e l'incredulità è divenuta

sgomento. Li ho immaginati avvolti nelle loro to-

ghe rosse come cardinali, imberrettati di biancoermellino come Babbi Natali, mi sono detta: «Sitratta certamente di uomini probi, di saggi che

applican la legge col ragionamento non col senti-mento, ma chi mi garantisce che quel verdetto

non sia stato influenzato dal latte dell'egemoniaculturale?». E ora aggiungo: la nostra Costituzio-

ne afferma, sì, che l'asilo politico dev'esser con-cesso a chiunque scappi da un paese che non hale nostre libertà democratiche. Ma venne conce-

pito quando il dramma dell'immigrazione nonesisteva, non si prevedeva, neanche si immagina-

va, e perfino la generosità va gestita con grano sa-

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lis. In tre quarti di questo pianeta le libertà demo-

cratiche non ci sono. In Cina, ad esempio, e intutti i paesi islamici. Asia, Africa, Medioriente.

Dovremmo dunque portare in Italia un miliardodi cinesi e non so quanti miliardi di mussulmani?

A parte il fatto che non c'entrerebbero nemmenofisicamente, qui sorge la domanda che ho già po-

sto per la follia che chiamo Voto allo Straniero:per chi è stata scritta la Costituzione? Per noi o

per gli stranieri? Dove vanno a finire, coi diritti

degli stranieri, i diritti dei cittadini?

Il ministro degli Interni ci ha informato che in Li-

bia e in Tunisia ben due milioni di stranieri aspet-

tano di venire in Italia...

Sì. Ha anche detto che in Europa i clandestini en-

trano al ritmo di cinquecentomila all'anno. Che inItalia i Centri d'Accoglienza son colmi come il

ventre d'una donna incinta, e non bastano più.Che per ricevere le prossime ondate migratorie sidovranno trovare alloggi. Alloggi da requisire,

suppongo. Alloggi che appartengono ai cittadini.O edifici che appartengono allo Stato, quindi ai

cittadini. E poi ci ha detto che il 75 per cento degliespulsi sordi all'ordine di espulsione e miracolati

dall'articolo 13 sono gli overstayers. Cioè coloroche scaduto il permesso di soggiorno non chiedon

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nemmeno di rinnovarlo e restano abusivamente inItalia. Ora neppure loro potranno essere arrestatie restituiti, a spese dei cittadini, ai paesi d'origine.Abbiamo anche saputo che l'orda dei clandestinista per essere impinguata da numerose cellule diAl Qaida in arrivo dall'Austria, dalla Germania,dalla Bosnia, per eseguire le stragi annunciate anzipromesse da Bin Laden. Arriveranno coi passa-porti falsi, naturalmente. E l'italiano che ha unpassaporto falso o fornisce una falsa identità vienemesso subito in galera. Lo straniero, no. Viene ac-compagnato a un Centro d'Accoglienza dove, aspese dei cittadini, rimane fino al processo. Eppu-re i collaborazionisti sono ben lieti della sentenzaemessa dalla Corte Costituzionale. E a coloro chenon ne sono lieti danno di razzista.

Superfluo chiederle di chi parla.

Brava. Di chi dovrei parlare? Parlo dei no-global,dei pacifisti guerraioli, dei delinquenti che gridanoDieci-Cento-Mille-Nassiriya! Che levando il pu-gno come ai tempi di Stalin e agitando cartelli conla scritta «Italia uguale Guantanamo» lo scorso lu-glio chiedevano anzi pretendevano l'asilo politicopei sudanesi non sudanesi! Parlo dei comunisti,dei rifondazionisti, dei diessini, degli ulivisti chechiedevano la medesima cosa. Parlo degli iscritti

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alla Cgil, fino a ieri specialista in scioperi e Setti-mane Rosse ma oggi in clandestini, che hanno ma-nifestato a Cecina per gli stessi motivi. Parlo dellaConferenza Episcopale, dei frati Comboniani, deicattolici che per i suddetti sudanesi-non-sudanesiesigevano almeno il «permesso di soggiorno uma-nitario». Parlo dei verdi che incoraggiati dal petu-lantissimo bisessuale difendono sempre chi s'ap-profitta delle libertà democratiche. I no-global chepretendono di viaggiare gratis sui treni, ad esem-pio, e al controllore dicono: «Il biglietto fallo pa-gare a Bush». O gli espulsi che all'aeroporto rifiu-tano di salir sull'aereo e picchiano i carabinieri.Sicché non capisci mai chi siano, in realtà, questiverdi più rossi dei rossi. E che cosa vogliano. Soloparlare di ecologia, impedire la caccia nei parchi,convincere il Brasile a votare contro la cattura del-le balene, oppure gestire il prossimo Comintern?

Sta dicendo, insomma, che il senno lo hanno persotutti.

Tutti no, visto che tanti italiani la pensano comeme. I signori che ho elencato sì, visto che in Italiacomandano loro. Ma forse non si tratta nemme-no di senno perduto. Si tratta del declino su cuipiango nel capitolo finale de La Forza della Ra-

gione. Il declino dell'intelligenza. Quella indivi-

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i

duale e quella collettiva. Quella inconscia che do-mina l'istinto di sopravvivenza e quella consciache nutre la facoltà di capire, apprendere, giudi-care, quindi distinguere il Bene dal Male.

Le capita mai di cambiare idea?

Su queste cose, certo no. Su altre, sì. Perdio, sol-tanto le pietre non cambiano idea. Non pensanoaffatto, loro. E non soffrono. Da ragazzina, adesempio, credevo che la giustizia sociale si potesseraggiungere col socialismo. Finita la guerra miiscrissi al Partito d'Azione che era un partito libe-ralsocialista cioè un partito che voleva conciliareil socialismo col liberalismo. Poi il Partito d'Azio-ne morì. Rimasi sola, da sola presi a rifletterequindi a crescere, e alle soglie della maturità com-presi d'aver speso la mia gioventù nel culto d'unautopia o almeno d'un equivoco. Perché mi con-vinsi che il socialismo era fratello del comunismo,un altro volto del comunismo. Anche il sociali-smo-dal-volto-umano di cui parlava Pietro Nennialla fine della sua vita. Perché realizzai che miopadre, pure lui liberalsocialista, aveva ragione adire che invece di rendere tutti ricchi il fratello delcomunismo rende tutti poveri e negando il meritotaglia le palle all'Uomo. Conclusi insomma che,nonostante le sue seduzioni, il socialismo non si

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poteva conciliare col liberalismo. E cambiai idea.Però, ecco il punto, sul tema della giustizia socialenon la cambiai. Il tema della giustizia sociale ri-mase in me come una spina nel cuore. E per chinon ha quella spina nel cuore provo un'istintivaostilità anzi un'istintiva ripugnanza. Io non potreimai schierarmi con la squadra di calcio che ha no-me Destra. Tale idea non mi sfiora nemmenoquando lo sdegno per la squadra di calcio che hanome Sinistra tocca lo spasimo. O quando la Cor-te Costituzionale dichiara che arrestare i clande-stini invano espulsi è incostituzionale e l'asilo po-litico viene concesso a chiunque. O quando i Fas-sino inaugurano le Feste dell'Unità dove i trinari-ciuti accusano gli americani di sfruttare-i-lavorato-

ri con la Philip Morris, la cioccolata Nestlé, la Co-ca-Cola, la Pepsi-Cola, e al posto di quest'ultimevendono la Mecca-Cola. Il fatto è che, contraria-mente a loro, io sono una rivoluzionaria. Delmondo che mi circonda non mi va bene nullafuorché le conquiste della Scienza. Non mi va be-ne nemmeno il suo concetto di rivoluzione. La Ri-voluzione, per me, non è la ghigliottina di Placede la Concorde. Non è la presa del Palais d'Hivera Pietroburgo. E tantomeno è il Corano che met-te il burkah, s'imbotte d'esplosivo, e la testa te lataglia col coltello halal. La Rivoluzione è la meta-morfosi del baco che senza far male a nessuno di-

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venta farfalla. Una bellissima farfalla. E vola. In-fatti io sogno sempre di volare. Come una farfallaanzi come un uccello.

E qual è l'idea su cui non ha mai cambiato idea,non cambierà mai idea?

La libertà, ovvio. Non la libertà intesa come licen-za, sfrenatezza, prepotenza, egoismo, cioè la li-bertà che s'inebria di sé stessa. Che si abbandonaagli eccessi, che toglie libertà agli altri. La libertàragionata, intendo dire. Cioè vissuta con discipli-na anzi autodisciplina. Me l'insegnò Platone in se-conda Liceo, quando il professor Morpurgo ci fe-ce tradurre dal greco in italiano quella mezza pa-gina dell'ottavo libro di Repubblica. Guardi, l'hoincorniciata. La tengo sul muro, sia qui che a NewYork. E va da sé che non ne avrei bisogno. La so amemoria, posso recitarla come i preti recitano ilPater Noster. Senta: «Quando un popolo divora-to dalla sete di libertà si trova ad aver coppieri chegliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacar-lo, accade che i governanti pronti ad esaudir le ri-chieste dei sempre più esigenti sudditi venganochiamati despoti. Accade che chi si dimostra di-sciplinato venga dipinto come un uomo senza ca-rattere, un servo. Accade che il padre impauritofinisca col trattare i figli come suoi pari e non è

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più rispettato, che il maestro non osi rimprovera-re gli scolari e che questi si faccian beffe di lui, che

i giovani pretendano gli stessi diritti dei vecchi eper non sembrar troppo severi i vecchi li accon-tentino. In tale clima di libertà, e in nome dellamedesima, non v'è più rispetto e riguardo pernessuno. E in mezzo a tanta licenza nasce, si svi-luppa, una mala pianta: la tirannia». Perbacco,non sembra scritto oggi per certi italiani d'oggi?

Eccome.

Ecco perché mi arrabbio tanto. Ecco perché par-lando della mala pianta parlo spesso del fascismo,dei suoi figli prediletti cioè del nazismo e del bol-scevismo, del suo concime preferito cioè del col-laborazionismo. Ne parlo senza considerare il ri-schio d'apparire monotona. Senza curarmi di co-loro che essendo fascisti, nazisti, bolscevichi, col-laborazionisti, certe cose non vogliono sentirseledire e le usano contro quel coglione di Bush chetutto merita fuorché questo. So che in un dibatti-to televisivo su La Forza della Ragione, un idiota

disse: «La Fallaci vive nel passato. È un'antifasci-sta vecchio stile». Idiota, sì. A parte il fatto che ol-tre a non aver colore il fascismo non ha età, se c'èuna persona che affoga nel presente questa sonoproprio io. Al passato mi riferisco per fornire un

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paragone, dare un avvertimento, non per crogio-larmi nella nostalgia di orrori che vorrei dímentí-care. Mi riferisco per dire agli immemori che laStoria si ripete e che a non conoscerla ci si fotte.Per dimostrare che la minaccia non viene solo daun Islam deciso a soggiogarci. Viene anche daicollaborazionisti che, consapevoli o no, in buonafede o no, berciano Bush-criminale-assassino ec-cetera. Ma che ride? Che c'è da ridere?

Non rido. Sorrido. M'è tornata in mente l'immagi-ne di Bush che nella Stanza Ovale non si sbottonai pantaloni come Clinton, non fa i suoi comodi conle ciccione. E a proposito: Lei lo tratta sempre ma-le, Clinton. Però di striscio. Su di lui, insomma,non si sofferma mai. C'è un motivo?

Lo tratto male perché la storia del suo indicepuntato e della sua voce che tuona «Quella-don-na-io-non-la-conosco» mi sta sullo stomaco. Seavesse detto «Signore e signori, la mia ciccionanon vi riguarda, questo è un problema tra Hillarye me», lo avrei applaudito. Gli avrei rimprovera-to soltanto l'uso della Stanza Ovale. Ma non loha fatto, non ne ha avuto il coraggio, e in quellasceneggiata ci vedo la protervia del politico cheprende in giro la gente come i due omìni che inbarba ai rispettivi elettori camminavano lungo

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piazza Montecitorio tenendosi quasi a braccetto.Lo tratto male perché secondo me non è stato unbuon presidente. Perdio, sapeva benissimo chifosse Bin Laden. Sapeva benissimo che dietro lestragi di Nairobi e Dar es-Salaam, ad esempio,c'era Bin Laden. Sapeva benissimo che a non fer-marlo si sarebbe arrivati alla guerra. Eppure, aparte un paio di stupide e inutili incursioni aereenon fece nulla. Continuò a perder tempo nellesue esuberanze sessuali, per mesi e mesi in Ame-rica non si parlò che di quelle, e anche questainerzia favorì l' l 1 Settembre. Inerzia nella qualevedo l'egoismo del politico che pensa solo a séstesso, alla scadenza del suo mandato, e pazienzase ciò condurrà a tragiche conseguenze. «Aprèsmoi, le déluge». Lo tratto male solo di striscio, in-fine, perché parlare di lui mi procura una sortad'imbarazzo. E mi procura una sorta d'imbaraz-zo perché ho scoperto che nei miei riguardi egli èpiù generoso di me. Lo dicono anche Naomi e

Adina e Judy.

E chi sono Naomi e Adina e Judy?!?

Le tre sorelle proprietarie dell'Argosy Bookstore.La mia libreria antiquaria a New York, il posto do-ve vado ogni volta che ho voglia di fare due passi efrugare tra quei polverosi volumi che per me sono

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II

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un oceano di delizie. Shakespeare settecenteschi esuperbamente illustrati, Aristoteli seicenteschi coltesto greco e il testo latino a fronte, trattati di Me-dicina cinquecenteschi... Non a caso i due passi micostan sempre un mucchio di soldi. Bè, Naomi eAdina e Judy me ne sono grate. E per dimostrarequanto mi vogliono bene tengono anche i miei li-bri in inglese. Proprio come se si trattasse di robapubblicata secoli addietro. Perché non passinoinosservati li tengono addirittura all'ingresso o vi-cino alla cassa. E qui, scortato da non so quanteguardie del corpo, circa un anno e mezzo fa capitòBill Clinton. Vicino alla cassa vide La Rabbia e l'Or-

goglio che era appena uscito in inglese, e: «Look atthat! Avete anche The Rage and the Pride? Hillarylo adora. Ne parla sempre, lo condivide da cima afondo». «E Lei, signor presidente?» chiese Naomiche è la più disinvolta. «Eh! La Fallaci dice di nonaver tenerezze per me, ma ha ragione su tante co-se...» rispose Clinton. Poi, tutto divertito: «È veroche è una donna molto dura, che ha un gran carat-teraccio?». Pensando alla mia incapacità di mer-canteggiare il prezzo degli Shakespeare e degliAristoteli, suppongo, Naomi replicò che no: ero ladonna più dolce, più mansueta del mondo. Ma luinon ci credette, e disse che la gente col mio carat-teraccio gli piaceva molto. Anche se parlava maledi Clinton.

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E di Hillary come ne parla?

Bè, prima non m'era molto simpatica. Ma daquando so che è d'accordo con me, che le mie ideele accetta da-cima-a-fondo, spero che diventi pre-sidente degli Stati Uniti e... Ah!

Che c'è? Si sente male di nuovo?

No, no. Solo un po'. Forse è un'altra botta di stan-chezza. Forse è l'Alieno che si difende dai miei an-ticorpi. E forse è anche la vecchiaia che ormaiavanza. Però mi piace, la vecchiaia, mi diverte. So-no sciocchi quelli che la rifiutano e che per rifiutar-la si fanno il lifting, si vestono da ventenni, baranosull'età. Sciocchi ed ingrati. Lo dissi anche ai due

amici che dopo l'uscita de La Rabbia e l'Orgogliovennero a New York per intervistarmi. L'intervistanon gliela detti, no. Però li invitai a cena, e a un cer-to punto gli dissi che la vecchiaia è una bellissimaetà. L'età d'oro della Vita. Non tanto perché l'alter-nativa è morire senza conoscere il lusso di quel pri-vilegio, quanto perché è la stagione della libertà.Da giovane credevo d'essere libera, aggiunsi. Manon lo ero. NE preoccupavo del futuro, mi lasciavoinfluenzare da un mucchio di cose o persone, e inpratica non facevo che ubbidire. Ai genitori, ai pro-fessori, ai direttori dei giornali dove lavoravo già a

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diciott'anni... Da adulta credevo d'essere libera.Ma non lo ero. Mi preoccupavo ancora del futuro,mi lasciavo condizionare dai giudizi malevoli, te-mevo le conseguenze delle mie scelte... Oggi non letemo più. I giudizi malevoli non mi condizionanopiù, il futuro non mi preoccupa più. Perché do-vrebbe? È arrivato, ormai. E sgombra di inutili de-sideri, di superflue ambizioni, di errate chimere, misento libera come non lo sono mai stata. Liberad'una libertà completa, assoluta. Inoltre la vec-chiaia è bellissima perché da vecchi si capisce ciòche da giovani e perfino da adulti non s'era capito.Perché con le esperienze, le informazioni, i ragio-namenti che abbiamo accumulato, tutto s'è fattochiaro. O molto più chiaro. Alcuni chiamano que-sto saggezza, e se sono saggia io non lo so. Spessolo escludo. Però so che grazie a quelle esperienze,quelle informazioni, quei ragionamenti, il mio cer-vello è migliorato come un buon vino rosso. Ha in-tensificato il suo sapore, ha assorbito le energie cheil resto del corpo ha perduto. Non che sia scanda-losamente vecchia, intendiamoci. Sulla faccenda cigioco un po'. È la mia civetteria. Ma l'Alieno miconsuma, a volte non mi reggo in piedi. E, come hodetto all'inizio della nostra chiacchierata, quandonon mi reggo in piedi penso meglio. Studio meglio,lavoro meglio. È come se la forza delle mie gambe,delle mie braccia, dei miei polmoni si fosse trasferi-

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ta nella mia testa. Mi sento più intelligente, insom-

ma. E questo mi riempie di tale felicità che non midico mai «Vorrei-tornare-indietro, ricominciare-daccapo». Tutt'al più, sapendo che non dureròmolto, esclamo: «Proprio ora! Dio, che spreco. Lamorte è uno spreco».

Ciò mi aiuta a porre l'ultima domanda. Una do-manda molto difficile. Brutale e difficile.

Dica.

Le fa paura la morte?

Non è una domanda brutale, non è una domandadifficile. Io l'ho posta tante volte agli altri. Peresempio ad Hailé Selassié, l'imperatore d'Etiopia,quando lo intervistai nella sua reggia di AddisAbeba. Povero Hailé Selassié. Era vecchissimo,ormai. Sicché s'arrabbiò come una belva. «Quellemort, che morte, quelle mort?» strillava. E a udir-lo strillare i suoi cagnolini, tre chihuahua che tene-va sulle ginocchia, mi saltarono addosso. Saltaro-no addosso anche al fotografo. A lui morsero ad-dirittura un polpaccio. Poi, urlando «Partez-fuori-partez», Sua Maestà ci cacciò via. Ci fece scaraven-tare dalle sue guardie nel parco attiguo alla sala deltrono, e Gesù. C'era un leone, nel parco. Il leone

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più grosso che avessi mai visto. E ruggiva. Bè, loscoprimmo l'indomani che era un leone mansue-to. Che passava le giornate a nutrirsi di bistecche,che la gente non la mangiava. In quel momentonon lo sapevamo e tremavamo come foglie al ven-to. «Ora che si fa, dove si va?» balbettava il foto-grafo. «Vagli incontro, prova a fargli una carezzasul muso» rispondevo io con voce strozzata. «Vac-ci tu, fagliela tu la carezza sul muso» replicava luiinviperito. E a un certo punto mi spinse in avantiperché gliela facessi davvero. Allora il leone smisedi ruggire, s'accucciò, sbadigliò con l'aria di bor-bottare siete-due-cretini, e piano piano raggiun-gemmo il cancello. Ce ne andammo pensando cheper trattarci così Sua Maestà doveva avere unagran paura della morte. Io no. Non ce l'ho. La co-nosco troppo bene. La conosco fin da bambina,quando correvo sotto le bombe della SecondaGuerra Mondiale e scavalcavo i corpi della genteche non aveva corso abbastanza. La conosco per-ché l'ho frequentata molto, ahimè. In troppi luo-ghi e in troppe maniere. Al Messico, per esempio,quando mi trovai dentro la strage di Plaza Tlate-lolco, e bucata dalle pallottole finii tra i cadaveridella morgue. In Vietnam, in Cambogia, in Bangla-desh, in Giordania, in Libano, quando facevo ilcorrispondente di guerra e mi trovavo sempre inqualche combattimento o in altre situazioni terro-

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rizzanti. Nel mio cuore, soprattutto, quando am-mazzarono Alekos Panagulis e quando il cancro siportò via mia madre e mio padre e mia sorellaNeèra e lo zio Bruno. Infine ora, attraverso quelmaledetto e i figli di Allah cui piacerebbe tanto uc-cidermi prima di lui sicché devo sempre guardar-mi alle spalle e... Voglio dire: a forza di frequentar-la, guardarla in faccia, sentirmela attorno e addos-so, con lei ho maturato una strana dimestichezza.Così l'idea di morire non mi fa paura.

Sul serio?

Sul serio. Non dico bugie. Sono troppo orgogliosaper dire bugie. E poi che ci sarebbe di indegno, didegradante, ad ammettere che la Morte mi spa-venta come spaventava Hailé Selassié? Glielo con-fesso con serenità: al posto della paura io sentouna specie di malinconia, una specie di dispiacereche offusca perfino il mio senso dell'umorismo.Mi dispiace morire, sì. E non dimentico mai ciòche Anna Magnani mi disse tanti anni fa. «Orianamia! Non è giusto morire, visto che siamo nati!».Non dimentico nemmeno che quella ingiustizia ètoccata a miliardi e miliardi di esseri umani primache a me, che toccherà a miliardi e miliardi di es-seri umani dopo di me. Però mi dispiace lo stesso.Amo troppo la Vita, mi spiego? Sono troppo con-

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vinta che la Vita sia bella anche quando è brutta,che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere ilregalo dei regali. Anche se si tratta d'un regalomolto difficile, molto faticoso. A volte, doloroso.E con la stessa passione odio la Morte. La odio piùd'una persona da odiare, e verso chi ne ha il cultoprovo un profondo disprezzo. Anche per questoce l'ho tanto coi nostri nemici. Coi tagliatori di te-ste, coi kamikaze, coi loro estimatori, coi loro pa-renti. «Mamma, Said s'è immolato! E diventatoun martire! Sei contenta, mamma?». «Conten-tissima, fegato mio. Contentissima! RingraziamoAllah». Il fatto è che pur conoscendola bene, laMorte io non la capisco. Capisco soltanto che faparte della Vita e che senza lo spreco che chiamoMorte non ci sarebbe la Vita.

Oriana Fallaci

Da qualche parte in Toscana,luglio 2004

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Autointervista di una donna che ha il coraggio

di scrivere la verità sugli altri e su sé stessa.

Temi: il cancro morale che divora l'Occidente e quello fisico

che divora lei. l]antioccidentalismo, il filoislamismo,il parallelo tra l'Europa del 1938 e l'Eurabia d'oggi,

il nuovo nazifascismo che avanza.

Tra i personaggi: Berlusconi e i Maramaldi, i protagonistie i leader noti-leader della politica italiana. Bush, l'Onu,

Kofi Annan, i tagliatori di teste e le loro vittime.Il Tricolore messo al bando dagli arcobalenisti,

i pacifisti guerraioli, i collaborazionisti

in buona e cattiva fede.Ed anche il suo libro La forza della Ragione,

i suoi lettori, i suoi ricordi incominciando (la quello di Hitler

e Mussolini visti (la bambina durante la loro visita a Firenze.Anche la sua passione politica- il suo umorismo,

l a Morte di cui parla senza disagio

e senza paura.

9 1311771129

Da y endrni in ahhinanento al Corriere della fiera.Supplemento al numero od,erno.€ 4,00 pii, il prezzo del quotidiano.

ORIANAFALLACI

intervista

ORIANAFALLACI

CI ORRCEnE 1)t:Ll,A SERA