Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis … · 2016-02-04 · cominciato ad...

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Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis Beteseb – ONLUS Anno 18 – numero 4 (70) Dicembre 2015 - Trimestrale POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD

Transcript of Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis … · 2016-02-04 · cominciato ad...

Organo ufficialedell’Associazione Nuova Famiglia

– Addis Beteseb – ONLUS

Anno 18 – numero 4 (70) Dicembre 2015 - Trimestrale

POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD

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RIEPILOGO DEL PROGETTO “CASA FAMIGLIA ASNAKESCH”

La casa famiglia si trova alla periferia di un villaggio che sorge ai margini di un grande lago diventato negli ultimi anni una vera e propria città turistica: Awassa, in Etiopia, e prende il nome da una donna dal cuore grande: Asnakesch, che ad un certo punto ha deciso di aprire la sua casa ai bambini di strada che mendicavano per le vie in cerca di un futuro segnato da miseria ed ignoranza. Asnakesch ed il marito Yohannes hanno cominciato ad ospitare questi bambini offrendo loro un tetto e la possibilità di andare a scuola. Trasferitisi in Italia continuano a mantenere la casa famiglia con i loro pochi risparmi e noi di Nuova Famiglia cerchiamo di aiutarli. Ora ci sono circa una ventina di ragazzi di varie età che convivono fraternamente, i più grandi accudiscono i più piccoli e portano avanti gli studi tanto che qualcuno è riuscito ad arrivare alla laurea. Oltre alle spese per garantire un minimo di sostentamento quotidiano, le spese per la scuola e la cura, attualmente la casa ha bisogno di interventi di sistemazione: manca infatti una vera e propria cucina, il bagno è fatiscente e dal tetto di alcune stanze comincia ad entrare acqua durante la stagione delle piogge. La cosa più urgente è sicuramente la recinzione costruita con pali e frasche dalla quale spesso entrano ladri che rubano quel poco che riescono a trovare, lasciando gli ospiti anche senza vestiti. La cura della casa è essenziale anche perché il governo, vedendola in stato di degrado, potrebbe confiscarla per dar spazio ad un albergo turistico. La gioia e la speranza che i ragazzi trasmettono quando andiamo a trovarli ci fa capire quanto importante sia questa realtà, perciò vogliamo impegnarci per donare loro un ambiente accogliente e sicuro.

Chi fosse interessato a sostenere questo importante progetto può darci una mano con donazioni utilizzando il conto corrente per contributi a progetti riportato qua sotto indicando nella causale: Progetto Casa Asnakesch. Grazie!

Anno 18 – numero 4 (70) – Dicembre 2015 – TrimestraleOrgano ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS

in copertina foto di Monica Abriola

QUOTA ASSOCIATIVA: socio ordinario € 55,00CONTRIBUTI A PROGETTI: specificare sempre la causale (il nome del progetto da sostenere)PARLIAMO AFRICA: abbonamento annuale (4 numeri) € 15,00

AIUTI A DISTANZA: Aiuto ad un minore: € 130,00 (per Brasile: € 250,00)Aiuto ad una famiglia: € 250,00 Per il pagamento SPECIFICARE SEMPRE LA CAUSALE O IL NUMERO DI ADOZIONEPagamenti con bollettino postale: c.c.p. n. 13772355 intestato a: "Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS".

Pagamenti con bonifico: bonifico su c.c.b. con coordinate: IT - 14 - H - 088 - 4362 - 8900 - 00000453689 presso la Banca di Credito Cooperativo Sant’Elena, agenzia n.002 di Selvazzano Dentro (PD) (conto corrente n. 002 453689) intestato a: Nuova Famiglia Addis Beteseb (ONLUS) vicolo Ceresina 6, 35030 Caselle di Selvazzano Dentro (PD)

L E N O S T R E C O O R D I N AT E

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S O M M A R I Os o m m a r i o

D I C E M B R E 2 0 1 5

EDITORIALEdi Giulia Consonni

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5 x1000, QUALE DESTINAZIONE?

di Nicola Zanella

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IL NOSTRO NATALE a cura della redazione

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RIChIESTA D'AIUTOa cura della redazione

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MOSTRA FOTOGRAF®ICAdi Mauro Valentini

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UN SALTO NELLA TRADIZIONE D'AFRICA...L'EPIFANIA!di Chiara Durello

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COM'è BELLO REALIZZAREUN SOGNOdi Thomas Lelo Leon Mushi

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MITI E LEGGENDE D'AFRICAa cura di Elena Coin

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CI SCRIVONOa cura della redazione

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IL MIO SOGNO CONDIVISOdi Teresa Miante

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L'ANGOLO DELLA CREATIVITàa cura di Erika Cesaro

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IL MIO PRIMOCIELO STELLATO

di Erica Ortile

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RIFLESSIONIa cura della redazione

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UN SOGNO COMUNQUE INTERROTTOdi Ivo Babolin

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CARO LETTORE...di Sonia Ferrara

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SPAZIO AI NOSTRI SOGNIdi Sonia Ferrara

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ROCk SOLIDALE, VI EDIZIONEdi Erika Cesaro

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PER OGNI FINE C’E’ UN NUOVO INIZIO

Spazio ai Sogni

Cari lettori e Care lettrici,

mentre scrivo sono i primi giorni del nuovo anno, carichi della magia speciale che hanno tutti i nuovi inizi. L’inizio di un progetto, l’inizio di una storia d’amore, l’inizio di un viaggio. La cultura popolare ci ha abituati fin dalla nascita al detto “anno nuovo, vita nuova”. E così, nel passaggio tra il vecchio dicembre e il nuovo gennaio ci sentiamo improvvisamente carichi di energia, speranza, voglia di iniziare un nuovo capitolo della nostra vita. Qualcuno mentalmente, altri sui social network, altri sul retro di una bolletta ancora da pagare, iniziamo tutti a stilare una lista di buoni propositi. Lo facciamo perché in fondo ci aiuta ad affrontare il domani con uno spirito rinnovato e a sentirci delle brave persone. Ma poi, li rispettiamo i nostri buoni propositi? Nessuno o quasi, dimenticando la lista nel giro di qualche giorno. Meglio smettere di farli, allora, e cambiare prospettiva! Nessun “mettersi a dieta” o “smettere di fumare”. Niente programmi, doveri, impegni da sommare ai moltissimi che già occupano tutti i giorni di tutti gli anni. Concentriamoci sui nostri valori. E realizziamo i nostri sogni. Nelle pagine di questo numero (che chiude il 2015 e apre il 2016) troverete più di qualche articolo dedicato a loro, i SOGNI: un sogno condiviso, un sogno realizzato, un sogno interrotto. E ancora: dare spazio a nuovi sogni. Non una scelta editoriale, semplicemente una coincidenza. I nostri redattori non si sono messi d’accordo ed io, quando ho ricevuto gli articoli da editare, ho deciso di non modificare i loro titoli solo per dover evitare ripetizioni poco armoniose. Perché, se in molti hanno parlato di sogni, un motivo c’è. Tutti abbiamo bisogno di sognare, di sperare che sia possibile ottenere qualcosa di più di quanto abbiamo. Di scoprire il lato bello e buono delle cose, di stupirci come bambini, in un mondo che si è fatto troppo adulto. Così, leggendo i loro racconti, ho voluto cominciare il mio anno senza stilare elenchi. ho voluto cominciare sognando. E a voi auguro lo stesso: di alimentare i vostri sogni e non lasciarli marcire nel cassetto. Non chiederti di cosa ha bisogno il mondo...chiediti che cosa ti rende felice e poi fallo. Il mondo ha bisogno di persone felici! (Antoine De Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe)

Un mondo diverso

31 dicembre 2015 – Impazzava quel pomeriggio sui principali social network il “Discorso di fine anno dei bambini”, realizzato da The Jackal, nel quale erano i più piccoli a formulare buoni auspici per il nuovo anno e a fare pure un bilancio del 2015 che entro poche ore si sarebbe concluso. I bambini - seduti dietro a una scrivania, con tanto di tricolore sullo sfondo - nel loro discorso hanno unito tematiche internazionali (“i terroristi che sono andati in Francia”, una cosa “che solo in un film si potrebbe fare, ma non veramente”) a istanze personali (“una volta mia cugina mi ha tirato i capelli”). Nel 2015 qualcuno aveva “conosciuto una ragazza bellissima”, un altro “imparato a nuotare senza braccioli con il mio bagnino preferito”. Tra gli auspici per il nuovo anno, quello di “prendere un bel voto”, o di “imparare l’italiano più bene”, ma anche che i genitori “abbiano un po’ più tempo per giocare”. Venivano dunque fatti gli auguri a tutti, ma proprio tutti, inclusi bambolotti e tartarughe. Con la consapevolezza che “se tutti facessero la propria parte il mondo sarebbe meglio”, e per questo serve l’impegno di tutti. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. (Antoine De Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe)

di Giulia Consonni

e di tor i a l e

Quest’anno Vi inviamo gli auguri di Buone Feste con una lettera di richiesta di aiuto. Chiediamo un Babbo Natale per i bambini di Santo Stefano di Enemore, in Etiopia. Che la luce di Gesù che nasce illumini i Vostri cuori ed accompagni la Vs/vita. Il Consiglio di Nuova Famiglia augura alle Vostre Famiglie gioia, serenità e salute.

Caselle, 30/10/2015

Ai ns/soci Ai ns/sostenitori A quanti, attraverso noi, desiderano aiutare l’Etiopia Oggetto: Scuola materna villaggio di Shebrabher, regione Guraghe – Etiopia. Parrocchia di Santo Stefano di Enemore

01 febbraio 2015,

Grande Festa al villaggio di Shebrabher in Etiopia – Regione Guraghe. Alla presenza del Vescovo Musiè Gebregeorghis e del Vicario Generale Abba Teshome Fikre si inaugurava, con taglio del nastro come nelle migliori occasioni, la nuova Scuola Materna dedicata a Nuova Famiglia. La nostra Associazione era presente con Presidente, Vice presidente e tre soci. Tutto bello: discorsi, canti, balli, bambini e gente proveniente da tutti i villaggi vicini. La struttura, divisa in tre blocchi collegati fra loro da un’unica copertura è composta da tre aule di circa 50 mq. cadauna, un grande salone per varie attività e per mensa, tre uffici, sala insegnanti, cucina, magazzino e servizi igienici per insegnanti, per maschi e femmine. Una bella struttura che … non è ancora completata e, soprattutto, mancano i fondi per farlo. L’impresa è andata avanti fino a che ha avuto le forze e poi si è fermata. Pertanto mancano dei lavori da finanziare ed alcuni lavori già eseguiti stanno attendendo di essere pagati. Le aule della scuola aspettano di essere popolate da bambini che, pur nella precarietà di lavori non completati, la trovano già bellissima. Si è dovuto procedere all’inaugurazione, pur non essendo la scuola completamente agibile, per dare speranza alla popolazione, per far capire loro che siamo loro vicini con tutte le nostre forze.

Ma ora viene “il bello”, per favore non cestinate questa comunicazione e provate ad inserirvi fra la gente che ha festeggiato quel giorno di febbraio. Quante aspettative verso il futuro (ed in questo momento il futuro siamo noi), quanta volontà di crescere (e noi siamo il tramite verso la crescita), quanta riconoscenza verso i nostri sponsor… Non possiamo tradirli e dobbiamo completare il lavoro iniziato. Pur conoscendo la difficoltà che in questo momento attanagliano tante ns/famiglie, siamo a chiederVi un sacrificio per portare a compimento il progetto della Scuola Materna di Shebrabher. Anche una piccola goccia…ma servirà. Grazie,

Il Consiglio di Nuova Famiglia

richiesta d'aiutoa cura della redazione

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COME AIUTARCI:Bonifico bancario a: Nuova Famiglia Addis Beteseb ONLUS BANCA: Credito Cooperativo Sant’Elena IBAN: IT 14 h 08843 62890 000000453689 CAUSALE: Scuola S. Stefano

Da qualche anno nel nostro giornale vi è un riquadro che dice: DONACI IL TUO 5 PER MILLE.

Sono state 474 le persone che hanno accolto l’invito permettendo, nel mese di novembre 2014, l’erogazione di un valore complessivo di € 18.332,21.

Per scelta del Consiglio di Nuova Famiglia, l’intera somma è stata utilizzata per supportare quei progetti che richiedevano un pronto intervento economico e per quelle situazioni di emergenza che si sono manifestate nell’anno in corso. Ecco un breve riepilogo:

€ 2.000,00 a favore dell’Associazione Famiglie Tornado, per le famiglie della Riviera del Brenta colpite dal tornado dell’8 luglio 2015;

€ 1.490,00 per l’acquisto di un bajaj (motocarro) per Nestanet Abera (vedi articolo in quarta di copertina, alla fine di questo giornale);

€ 2.000,00 per il nuovo Centro Servizi di Emdibir (Etiopia), con funzione di coordinamento lavori e servizi rivolti alle missioni ed alle parrocchie dell’Eparchia di Emdibir;

€ 160,00 per il completamento dei lavori di costruzione di una piccola casa di una famiglia molto povera in località Gigar (Etiopia),

€ 4.106,00 per i lavori di ristrutturazione e rifacimento delle opere murarie della scuola primaria di Wogepecha (Etiopia);

€ 1.700,00 per l’acquisto dei testi scolastici e del materiale didattico per insegnanti e studenti della scuola primaria e secondaria di Gighessa (Etiopia);

€ 3.000,00 per il completamento dell’ambulatorio medico Ponta Dolfo (Guinea Bissau),

€ 3.000,00 per l’avvio del progetto di piccole attività artigianali di autosostentamento degli studenti universitari di Debremarkos (Etiopia);

€ 876,00 per il completamento del progetto linea elettrica Villaggio S. Marco Nadene (Etiopia);

GRAZIE a tutti coloro che con una semplice firma ci hanno permesso di realizzare tutto questo!

5 x1000, quale destinazione?di Nicola Zanella

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il nostro natalea cura della redazione

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Domenica 27 Dicembre 2015 la Parrocchia di S. Fidenzio di Sarmeola di Rubano ha ospitato, all’interno delle proprie celebrazioni e strutture, la Messa del Santo Natale di Nuova Famiglia, allietata dalla musica e dalle preghiere del coro gospel Free Voice. Un bellissimo momento di condivisione e raccoglimento, seguito dallo scambio degli auguri per un 2016 di pace e serenità.

Sempre nel mese di Dicembre, Nuova Famiglia ha partecipato ai mercatini di Natale nella parrocchia di Tencarola (a Selvazzano) e di Sant’Angelo (Piove di Sacco) con un banchetto ricco di doni e lavoretti, piccole golosità e creazioni delle nostre bravissime donne! Una bellissima occasione per farci conoscere sul territorio e per condividere i nostri auguri e il nostro messaggio di solidarietà.

Grazie a tutti coloro che hanno partecipato e collaborato per realizzare questi preziosi momenti di incontro e, anche se in ritardo, auguri di cuore a tutti i nostri lettori!

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mostra fotograf®icadi Mauro Valentini

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ho fatto delle foto. ho fotografato invece di parlare. ho fotografato per non dimenticare. Per non smettere di guardare.

D. Pennac

Come contorno alla Festa di Settembre dell’Associazione è stata realizzata una mostra fotografica centrata sull’esperienza vissuta all’interno dei Campi di Conoscenza in Etiopia e Tanzania nel periodo di luglio e agosto 2015.

La selezione di scatti che ne è emersa ha raccolto il favore dei partecipanti alla festa ed ha colpito soprattutto una ragazza, una studentessa, italiana di adozione ma dai natali etiopi; la quale, sapendo degli eventi organizzati al centro Zabarella, ci ha tenuto a pubblicizzare la nostra raccolta di foto al Don (Roberto Ravazzolo) che si è occupato di gestire l’organizzazione dell’evento.

La nostra Art-Director (Sonia Ferrara) ha fatto da tramite con Don Roberto per proporre la nostra mostra, e così siamo approdati con le nostre testimonianze visive al centro Zabarella.

La rassegna di incontri:

“Perché si fugge dall’Africa? Il Centro universitario di Padova, in collaborazione con i Missionari Comboniani e con il Centro Servizi Volontariato di Padova, pone a tema di un ciclo di incontri che si dipaneranno da ottobre 2015 a maggio 2016 questa domanda di cogente attualità.

Il ciclo di incontri intende coniugare i saperi sull’Africa di esperti e di testimoni significativi per una conoscenza più chiara e approfondita su tematiche di attualità e di interesse comune, in primis sulle migrazioni e con l’obiettivo di uscire dalle solite categorie per addentrarsi in un’analisi che metta in gioco delle conoscenze che fuoriescono dalla propaganda o dal comune sentire. Verranno proposti temi trasversali che, mostrando diverse prospettive, oltre a fornire un quadro il più ampio e critico possibile, possono interessare gli universitari iscritti a diversi corsi di laurea fungendo da iter culturale su questa questione di grande attualità.

In numerosi incontri verrà proposta la testimonianza di chi ha vissuto la fuga in prima persona o da testimone/narratore. Questo tipo di approccio favorirà il confronto diretto con la descrizione di situazioni concrete, storie e problemi che attanagliano la questione africana delle migrazioni.

L’iniziativa vede il patrocinio dell’Università degli Studi di Padova, Fondazione Nigrizia, Caritas Padova e Medici con l’Africa – Cuamm”

Ha ottenuto e sta ottenendo un discreto successo di affluenze di pubblico “interessato”, e dico ciò con cognizione di causa dato che sempre tramite il lavoro della nostra PR Sonia ci è stata accordata la possibilità di fare una breve presentazione dell’Associazione a monte di uno degli incontri previsti. Mercoledì sera 9 Dicembre siamo stati ospiti del centro Zabarella ed abbiamo avuto modo di raccontare chi è e cosa fa Nuova Famiglia, ed abbiamo lasciato brochure e riviste a contorno della mostra FotogrAf®ica.

Il costante lavoro di tutta l’Associazione ha ricevuto così un premio di visibilità anche in ambiti più ampi; le energie e gli scatti dei “reduci” dai campi hanno dato e stanno dando ottimi frutti! Sulla scia di questo entusiasmo, legato a questo evento “visivo”, l’intenzione e le speranze sono quelle di non fermarsi e di cercare di portare la nostra mostra FotogrAf®ica in altre location dove poterci far conoscere.

Un ringraziamento a tutti quelli che hanno contribuito e stanno contribuendo a portare avanti il lavoro di Nuova Famiglia.

Avanti Tutta! Safari ‘njema!

rock solidale, vi edizionedi Erika Cesaro

Signori e Signore, a me l’onore di lanciare ufficialmente la nuova edizione di Rock Solidale! La sesta, per la precisione!

Riproporre Rock Solidale è come aprire un tesoro lasciato in cantina, in uno scrigno polveroso, che ogni volta che si apre ci fa sognare come quando eravamo bambini. E’ come riaccendere una fiamma di speranza, di umanità e di solidarietà che si esprime fino in fondo attraverso le emozioni che solo la musica riesce a regalare. Rilanciare Rock Solidale significa puntare ai giovani con la volontà di coinvolgerli in questa bellissima esperienza: un evento solidale musicale. COS’E’ ROCK SOLIDALE?

Si tratta di un concorso musicale aperto alle tutte le band di giovani emergenti, (non solo rock, di qualsiasi genere musicale) che gareggiano con un brano musicale originale, realizzato appositamente per il concorso, su tema specifico. Il tema di quest’anno è l’ACCOGLIENZA.

Mai come in questo periodo abbiamo necessità di parlare di accoglienza. Non è più tempo di chiuderci in noi stessi, nelle nostre convinzioni, nei pregiudizi e nelle comodità, è arrivato il momento di aprire le porte al mondo, altrimenti sarà il mondo stesso a riversarsi su di noi COME PARTECIPARE

Per iscriversi al concorso è necessario seguire le indicazioni riportate nel regolamento disponibile nel sito www.nuovafamiglia.it (alla sezione Eventi).

La giuria selezionerà 4 finalisti che si esibiranno in una serata concerto, in cui verrà nominato il vincitore, in programma Venerdì 20 Maggio 2016 a partire dalle ore 21.00, nel contesto della sagra della Parrocchia di S. Maria Ausiliatrice, a Caselle di Selvazzano. IL CALENDARIO DELL’EVENTO

Dal 31 Gennaio al 31 Marzo 2016: raccolta iscrizioni

Dal 4 al 18 Aprile: pubblicazione online (su pagina evento di

Facebook) di tutti i brani in gara dei partecipanti. Potrete esprimere la vostra preferenza cliccando MI PIACE in corrispondenza del brano da voi prescelto.

Dal 19 al 23 Aprile: selezione dei finalisti

Entro il 27 Aprile: comunicazione dei 4 finalisti

20 Maggio: gran finale con evento-concerto e premiazione del vincitore. COSA SI VINCE?

In palio c’è buono da 500,00 € spendibile in un negozio musicale.

Ogni musicista partecipante dovrà versare un’offerta minima di 5,00 € a sostegno della realizzazione della Scuola Materna di Santo Stefano di Enemore (Etiopia). L’offerta minima funge da quota di iscrizione, per sensibilizzare tutti i partecipanti all’aiuto di uno dei nostri progetti. E ora... bando alle ciance! E’ il momento di sentire cos’è stato (e cos’è) Rock Solidale, dalle parole di Alice, che ha partecipato con la sua band (e ha vinto) una delle passate edizioni: “Gli Istanbul Café hanno partecipato alla terza edizione di Rock Solidale (2009) con gli inediti Nuvola, Quadro e Scintille di Buio, aggiudicandosi la vittoria proprio grazie a quest’ultimo brano.

Per tutti i componenti della band è stata un’esperienza ricca di stimoli... infatti la partecipazione al contest era subordinata alla composizione da zero di almeno un brano (sia in parole che musica) e una volta nata Scintille di buio, è stato impossibile frenare la creatività!

Senza alcun dubbio, il gruppo ha deciso di arrivare sul palco di Rock Solidale con altri due inediti che, come il primo, sono stati eseguiti con l’utilizzo di più strumenti (marimba, kazoo e percussioni tipiche dei paesi africani) grazie alla libertà concessa dagli organizzatori on stage e alla disponibilità dei fonici. Gli Istanbul Café ricordano con grande affetto questa esperienza e si augurano che Rock Solidale possa

essere organizzato nuovamente perché sarebbe un ottimo incentivo per i gruppi emergenti, per la loro creatività e la loro voglia di suonare!”. Un grazie speciale agli Istanbul Cafè per la loro testimonianza: Alice Bortoletto (voce), Margherita Michelotto (voce), Alessandro Arcolin (batteria e percussioni etniche), Francesco Rocco (chitarra classica, marimba, armonica a bocca), Marco Stefanelli (chitarra elettrica e acustica, kazoo), Enrico Storti (basso elettrico). Rock Solidale, nelle 5 passate edizioni, è stato molto più di un concorso musicale: è stato un luogo di incontro, di espressione, di condivisione, di spensieratezza, di crescita, di festa…e ha fatto anche nascere un grande amore!

Ce la metteremo tutta perché anche quest’anno, con il suo grande e atteso ritorno, Rock Solidale lasci il segno nei vostri cuori, che batteranno insieme ai nostri, a ritmo di musica...solidale!

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ci scrivonoa cura della redazione

MODJO, NATALE 2015

"...ANCHE LE PENTOLE SARANNO SANTE"

“Togliti le scarpe, stiamo entrando in un luogo sacro” mi dice il monaco che mi ha accolto al monastero ortodosso in cima al monte Zequala. Ero salito qualche giorno fa sul monte santo con nove giovani della missione: 3 ore di salita dura. Zequala è un vulcano semispento che si eleva in mezzo alla pianura a est di Modjo. La cima è coperta di fitta vegetazione, e nel fondo del cratere un bel laghetto di acqua ingolfata nelle alghe ma considerata “sacra” nella tradizione ortodossa. Per scendere al lago ad attingere acqua per la purificazione bisogna essere digiuni dalla mezzanotte e a piedi scalzi. Eravamo tutti a digiuno. Potemmo così girare attorno al laghetto (40 minuti di cammino sostenuto) come segno della centralità di Gesù il Signore nella nostra vita. Risalita la cresta del vulcano ci troviamo davanti un monaco che ci offre un po’ di pane e mi invita a visitare qualche angolo del monastero. E’ lì che, visitando la cucina del monastero femminile, mi chiede di togliermi le scarpe: cucina, un luogo sacro! Qui tutto è quotidiano, quindi sacro: il fuoco nelle spaziose cucine tradizionali costruite in fango, le pentole, il pane appena cotto, il silenzio, i viottoli dentro il monastero, i recinti delle celle, la bella chiesa ottagonale ... tutto sacro! In quel momento ho capito quello che il profeta Zaccaria diceva molti secoli fa: quando il Messia sarà in mezzo al suo popolo ... tutto, anche le pentole saranno sante (cf Zaccaria 14,21). Quale lezione di vita! Il Natale mi si è, così, illuminato d’improvviso. In fondo, il Natale è proprio questo, un avvenimento quotidiano: Dio nel «quotidiano»! La vita di tutti i giorni infatti è il luogo della venuta del Messia, la sua venuta è festa e fa santa la vita! Per salvare il mondo Dio non se ne fa uno più pulito e non se ne ritaglia una fetta per farvi una zona «sacra», ma lo salva entrando nella storia così com’è. Natale: festa in cielo, festa in terra: la gioia di Dio inonda la terra perché Natale è Dio che corre alla ricerca dell’uomo ed è felice di trovarlo finalmente; e lo abbraccia, lo bacia e organizza un grande banchetto per dargli il benvenuto a casa... e tutti sono invitati! Ma è soprattutto chi sente nostalgia di casa: i poveri, i peccatori, gli esclusi, gli ultimi ..., che corrono alla festa! Natale è la festa nel quotidiano della vita che da’ significato a tutte le cose. La festa è l’essenza della vita umana, come è l’essenza del Regno di Dio. E’ voglia di gioia, di danza, di amicizia. E’ desiderio di trovare significato e di andare oltre il quotidiano faticoso vivere dell’uomo. La festa solleva l’uomo come “su ali d’aquila” per vedere la vita dall’alto ... da Dio. Nella festa dell’uomo, la presenza di Dio, fa la differenza. Dove Dio è assente o non invitato, la festa è destinata a essere un macabro banchetto dove si consuma morte... da Erode in avanti. La società moderna che ha i suoi templi nelle «borse», che vive in adorazione delle leggi di mercato e forma l’uomo all’idolatria del denaro,... ha spento i fuochi della festa con Dio, e quindi della vita. Senza il Natale non c’è gioia di Dio e pace per l’uomo, così come senza la Pasqua, la morte avrà sempre l’ultima parola, e i giorni che seguiranno la festa (o

le baldorie) saranno giorni di cenere e di solitudine. Si racconta che “un santo venne un giorno a casa nostra. Mia madre lo scorge nel cortile, mentre fa le capriole per divertire i bambini. «Oh, mi dice, è veramente un santo. Figlio mio puoi andare da lui». Egli mi mette la mano sulla spalla e mi dice: «Piccolo mio che cosa vuoi fare?». «Io non so, che cosa vuoi che faccia?». «No, di’ tu quello che vuoi fare». «Oh, a me piace giocare». «Allora vuoi giocare con il Signore?». Io non so che cosa rispondere. Egli aggiunge: «Vedi, se tu potessi giocare con il Signore, sarebbe la cosa più grande che si potesse fare. Tutti lo prendono così sul serio che l’annoiano mortalmente... Gioca con Dio, figlio mio. Egli è il miglior compagno di gioco». Quanto spesso Dio lo vediamo proprio così: serio, «castigamatti», corrucciato quando non arrabbiato! Eppure la Scrittura parla di Dio che danza di gioia per i suoi figli come nei giorni di festa (cf Profeta Sofonia 3,14), che a Cana di Galilea ha donato e bevuto il vino nuovo per la gioia dell’incontro dello sposo con la sua sposa perché egli, che rivela il volto di Dio, ce ne racconta l’amore. La missione è tutto questo: è il Natale di Gesù vissuto in mezzo al popolo. Il luogo sacro dell’incontro con Dio non è lontano dal quotidiano, perché la fede è vivere i giorni normali della vita con Dio. Il punto di arrivo della missione è il bel banchetto dell’Eucarestia dove tutti siamo invitati e abbracciati e dove la nostra vita semplice, povera, faticosa, a volte dolorosa è trasformata da Colui che rende tutte le cose sante. Natale è gioire della vita nel quotidiano, perché una vita con Dio è «divina», santa in qualunque posto si viva. La cucina e le sue pentole sono i luoghi sacri della nostra vita mentre spesso noi insistiamo a cercarne altri come se per trovare Dio fosse necessario scappare dalle ... pentole! Il Natale è il vino nuovo di una vita dono di Dio, vissuta con Dio: quel vino che tutti vogliamo bere, perchE “allieta il cuore dell’uomo” (Salmo 104,15). Allora, cantare, danzare, sedersi a mensa, giocare con Dio, gioire il quotidiano della vita, ... a partire dalle pentole della cucina, è il Natale che vi auguriamo.

Padre Paolo Angheben di Modjo, Etiopia

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Pubblichiamo la lettera di Padre Giancarlo Guazzotti, Missionario della Consolata, un arzillo ottantenne che dopo una decina d’anni passati in Italia è ritornato nella “sua” Colombia. Con lui Nuova Famiglia ha collaborato, anni fa, per il progetto dell’allevamento dei polli e dei pesci, presso Florencia, in Colombia.

Un pensiero grato

Agli amici dell’Associazione “Nuova Famiglia” ONLUS (Addis Beteseb) Carissimi amici,

nella ricorrenza del Santo Natale, ormai vicino, ci è gradito inviarvi i nostri migliori auguri avvalorati dalla preghiera e da un pensiero grato per tutto quello che fate a favore dei nostri bambini, delle famiglie disagiate, degli handicappati, degli studenti universitari e per lo sviluppo integrale della persona umana nella Diocesi di Emdibir, in Etiopia.

L’Associazione Nuova Famiglia riesce a svolgere

tutte queste attività perché ha con sé il sostegno di persone di buona volontà che dedicano il loro tempo, i loro talenti e le loro risorse per l’ideale nobile di estendere lo spirito di famiglia ai bisognosi in qualsiasi parte del mondo si trovino, senza alcuna distinzione di lingua, provenienza o colore di pelle. Si addossano, cioè, i problemi di sussistenza, di salute, della formazione scolastica e tanti altri diritti umani, riconosciuti dalla Nazioni Unite, delle famiglie nei paesi in via di sviluppo per dare loro una risposta di incoraggiamento e di speranza per dire loro: “condividiamo il vostro disagio e vi siamo vicini con il nostro gesto di solidarietà così come, in circostanze normali, l’avremmo fatto con i nostri cari”.

Abuna Musiè Gebregheorghis, vescovo dell’Eparchia di Emdibir, in occasione del Santo Natale ci ha scritto:

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Durante questo Natale vogliamo riservare un pensiero grato alle famiglie che hanno adottato a distanza i nostri bambini. E’ il più grande regalo che potete fare ad un bambino, nei Paesi in via di sviluppo come il nostro, perché attraverso il vostro sostegno i bambini hanno la possibilità di andare a scuola, acquistare la cancelleria di cui ne hanno bisogno per andare a scuola, vestirsi, avere l’assistenza medica e, con il tempo, costruirsi un futuro migliore che li abiliterà a diventare i fautori dello sviluppo del loro paese, oltreché sostenere le loro famiglie. In realtà abbiamo già diversi giovani che con l’adozione a distanza promossa da Nuova Famiglia hanno raggiunto la scuola superiore e l’Università, ed è sicuramente di grande soddisfazione per le famiglie che con grandi sacrifici e rinunce hanno condiviso i loro risparmi con i nostri bambini. Quello che più ci commuove è che, anche in questi momenti di crisi economica mondiale, il sostegno non è mai mancato ai nostri bambini. Questo dimostra quanto sia grande la nobiltà d’animo delle famiglie “adottive” disposte a condividere non il superfluo ma il poco che hanno con chi ne ha maggior bisogno.

Che dire poi delle persone che hanno contribuito per la costruzione di scuole e dispensari in diversi villaggi. Progettati da persone competenti e ricche di esperienza ci portano aria di progresso. Le nostre scuole sono le più affollate e le migliori per il risultato scolastico. Lo stesso si può dire dei dispensari (cliniche, sale parto e quant’altro interessi la salute). In un paese dove la mortalità infantile e materna è una delle più alte a livello mondiale, grazie ai dispensari disegnati e costruiti dall’Associazione

Nuova Famiglia, tanti bambini e tante mamme hanno la vita assicurata.

Come se tutto questo non bastasse, ogni anno, abbiamo anche un gruppo di volontari dell’Associazione Nuova Famiglia che dedicano il loro tempo e talenti per mantenere in forma le strutture socio-pastorali. Qui c’è da imparare anche come si lavora ed è di grande beneficio per i nostri giovani. A vedere tutte queste persone che rinunciano alle loro vacanze, si pagano il viaggio, vitto ed alloggio, uno si chiede: qual è il segreto di questo impegno? Che profitto ne ricavano? C’è solo una risposta: lo spirito di famiglia che anima l’Associazione. Preparati bene alla nuova avventura si adattano all’ambiente, apprezzano usi e costumi, lavorano da mattina a sera, aggiustano le porte e le finestre rotte, rubinetti fuori uso, pitturano le pareti imbrattate di fango, disegnano figurine attraenti per i bambini, insomma ognuno ci lascia l’impronta della sua professionalità ed alla fine ci lasciano, dalle testimonianze che si raccolgono alla fine dell’esperienza, anche il loro cuore.

Il nostro augurio è che questo Natale ed i giorni a venire portino giustizia, pace, gioia, felicità e benessere a voi tutti amici di Nuova Famiglia. E’ vero che l’aria di Natale non esiste da noi perché diamo più importanza al Battesimo di Gesù piuttosto che alla Sua nascita. Nello stesso tempo, però, secondo il detto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi” ci sentiamo uniti a voi. Il 25 dicembre celebreremo il Natale con tutti i religiosi che operano nella nostra Diocesi.

Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo,

Abba Musiè

caro lettore...di Sonia Ferrara

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Caro Lettore, con il nostro giornale, da diversi anni, cerchiamo di raccontarti delle storie, storie che riguardano l’Associazione, chi ci lavora con grande passione ma soprattutto questo meraviglioso e magico continente che è l’Africa. Come avrai notato ogni Parliamo Africa è unico, non solo per i suoi contenuti, che cerchiamo di rendere originali e per quanto possibile attuali con semplici spunti di riflessione, ma anche per la sua foto di copertina. Ogni volta è un’emozione diversa e la scelta della copertina più “adatta” suscita sempre “dibattiti” interessanti anche all’interno della nostra Redazione.

Abbiamo quindi pensato di rendere partecipe anche te, caro lettore, delle nostre riflessioni! Per ogni numero lo staff della Redazione cerca di esprimere con un’immagine significativa quello che per noi rappresenta questo continente, ma non solo. Sul numero di Dicembre che stai sfogliando, per esempio, abbiamo pensato di inserire una foto che facesse riferimento ai Campi di conoscenza, una foto che parlasse di noi come Associazione e del nostro esserci… E ora guardala…Lo splendido paesaggio, sconfinato, infinito…

Lo sguardo verso l’orizzonte e il perdersi nei pensieri…Lo sguardo dei due bambini al centro della foto che, a differenza di tutti gli altri, guardano verso di noi, puntano il nostro obiettivo, come se volessero riportarci alla realtà…Diversi punti di vista che si incrociano…L’essere gruppo, insieme…....Gli ultimi puntini di sospensione sono per te, caro Lettore: cos’hai provato guardando questa foto?

Scrivi alla Redazione di Parliamo Africa ([email protected]) e raccontaci la tua emozione, siamo desiderosi di condividere emozioni, idee e punti di vista!

il mio primo cielo stellatodi Erica Ortile

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Riguardando le mie vecchie foto del Camerun mi sembra quasi di aver sognato quell’esperienza, sono

passati già otto anni...La mia storia potrebbe apparentemente avere un risvolto amaro, e di amarezza all’epoca ne avevo provata tanta, ma a distanza di tempo mi rendo conto di come sia stata determinate per quella che sono oggi.Nove anni fa ero profondamente innamorata di un ragazzo camerunese, avevo ventiquattro anni e Ero una ragazza molto timida e insicura, avevo le idee confuse su di me e su cosa volevo essere. Non sapevo che direzione dare alla mia vita, avevo tantissimi sogni, ma sembravano tutti così irraggiungibili. Ero una pessimista cronica. Non avevo mai viaggiato né tantomeno conosciuto altre culture e mi sentivo cos tan temen te indecisa.Quando conobbi lui, S., trovai che fosse una persona e s t r e m a m e n t e d e t e r m i n a t a , decisa, con le idee a dir poco cristalline. Era talmente diverso da me, forte, positivo, pacato, paziente. Vedevo in lui quello spirito che avrei voluto avere anch’io.S. voleva diventare medico e stava studiando con mille sacrifici all’Università di Padova. Di sera lavorava come lavapiatti per pagare l’affitto, mantenersi gli studi e mandare quel poco che rimaneva alla famiglia in Camerun. Di giorno studiava e, anche se non riusciva a passare tutti gli esami, non si

demoralizzava né si lamentava, era instancabile.Mi raccontò la sua storia.Proveniva da una famiglia molto modesta, quarto di otto figli. Sua madre era malata e dentro di lui c’era sempre stato il forte desiderio di essere medico per aiutare la sua gente. L’impossibilità di studiare nel suo paese aveva fomentato in lui il sogno dell’Europa, dove agl’occhi di un africano tutti i desideri diventano realtà. Per avverare il suo sogno dovette superare non poche sofferenze ed umiliazioni allo scopo di ottenere prestiti da amici e parenti solo per racimolare la somma richiesta per il visto e per il biglietto aereo per l’Italia. E poi l’arrivo a Padova senza un soldo, dove non conosceva nessuno, che lo costrinse a passare le prime notti all’agghiaccio su una panchina, spaventato da un luogo così diverso dal suo. La sua forza mi stregò, non avevo mai conosciuto una persona simile... Quasi due anni dopo mi portò in Camerun, e solo quando misi piede lì mi resi conto di cos’è l’Africa.Tutti i racconti che avevo sentito e le foto che avevo visto avevano dipinto nella mia fantasia

un’immagine che si rivelò essere totalmente distorta e fittizia, cieca come ero nella mia piccola realtà. Il caldo torrido che mi accolse all’arrivo nella notte a Duala era soffocante, la fatiscenza dell’aeroporto e la lentezza nelle procedure era

estenuante.Così iniziò un viaggio che mi portò ad attraversare diverse zone del paese come Douala, Yaoundé, Bafang, Limbe.Di giorno la bellezza mozzafiato della natura, il calore del sole e la brillantezza dei colori erano semplicemente commoventi. E di notte, con i suoi silenzi, conobbi il buio dell’Africa, così intenso da far paura ma al contempo così

magico da permettermi di vedere una tempesta di stelle brillanti come diamanti sopra la mia testa. Fu il mio primo cielo stellato. Semplicemente incantevole.Descrivere un paese africano a chi non l’ha mai visto è quasi impossibile, è talmente diverso da tutto quello che conosciamo che è inevitabile l’incomprensione. Persino lo scorrere del tempo che consideriamo oggettivo, in Camerun mi sembrava distorto, più lento e tranquillo, forse quasi più vicino ai ritmi biologici dell’essere umano. Il modo di vivere e di concepire la vita per un africano, e nello specifico per un camerunese è quasi agli antipodi rispetto a noi. Nonostante si viva alla giornata, in Camerun la

cultura è molto tribale e tradizionalista, e la vita sociale è organizzata secondo specifiche scale gerarchie. Per molti aspetti della vita comune i camerunesi seguono complicate e spesso segrete procedure, e rituali che variano di villaggio in villaggio.La vita in Africa è intrisa di mistero. Ci sono così tante sfaccettature, credenze e superstizioni che ruotano intorno alla magia che gli stregoni sono personaggi

estremamente temuti e rispettati. Ad uno stregone ci si rivolge quando si è malati, quando si ha bisogno di qualcosa, per farsi levare il malocchio o persino per causarlo a qualcuno. I rimedi dello stregone sono considerati la medicina tradizionale mentre la medicina dell’ospedale è considerata la medicina dei bianchi. I bianchi spesso sono ammirati se non invidiati. Mi sconvolse sapere che un canone di bellezza in Camerun è avere la pelle chiara, e per schiarirla molte persone utilizzano saponi ultra aggressivi che promettono questo risultato, con conseguenze dannose per la salute. è quasi ironico che i bianchi vogliano avere una carnagione più scura mentre i neri ne vogliano una più chiara, per qualche motivo ci si vuole sempre diversi da quello che si è?Brevi come un respiro, passarono le mie due settimane da africana. Fui ospitata nelle loro case, mangiai il loro cibo, mi spostai con i loro mezzi. E in questo angolo di mondo imparai cos’è la gratitudine.

Quando, dopo la ricorrenza del 6 Gennaio, le luminarie nelle vie delle nostre città (e speriamo non le luci dei nostri cuori) hanno iniziato a spegnersi, i nostri amici Etiopi si apprestavano a festeggiare il Timkat, l’Epifania copta, la più importante festa sacra ortodossa. Il Timkat celebra il battesimo del Cristo nelle acque del Giordano per mano di Giovanni Battista e viene onorato il 19 Gennaio con liturgie cristiane dagli incalzanti ritmi africani. Due giorni di processioni, veglie e cerimonie che culminano nell’immersione rituale e nell’aspersione dei fedeli con l’acqua benedetta.Le strade e le chiese sono decorate a festa con coloratissime bandiere. Nel giorno dell’Epifania ci si sveglia in un’atmosfera solenne quanto magica e, in un Paese in cui la Fede è una roccia salda, anche chi non condivide il credo ortodosso si prepara a riconoscere e rispettare la giornata di festa. Le radici di questa festività affondano in parte nella storia biblica, in parte nel mito per manifestarsi con uno spettacolare connubio di danze incessanti,

preghiere, canti e colori.Protagoniste assolute dei cerimoniali sono le “Tavole della Legge” consegnate da Dio a Mosè. Secondo la tradizione, lo scrigno di legno d’acacia ricoperto d’oro, che conservava le Tavole della Legge, era custodito nel tempio di Salomone in Gerusalemme. Menelik, nato dall’unione tra la Regina di Saba e Salomone, avrebbe trafugato le Sacre Tavole durante uno dei suoi viaggi a Gerusalemme portandole in terra etiope. Da allora, esse sarebbero conservate ad Axum, l’antica capitale del regno. La tradizione vuole che una copia delle Tavole, i Tabot, sia custodita in ogni chiesa all’interno della parte sacra e inaccessibile (Sancta Sanctorum) e che solo con l’Epifania, che anche etimologicamente ci rimanda ad una rivelazione, esse siano manifestate pubblicamente. Il 19 Gennaio di ogni anno, infatti, le tavole vengono “ri-velate” ai devoti e condotte con processioni e canti verso un punto in cui vi sia un fiume o una sorgente a rappresentare

la fonte battesimale in cui il Battista battezzò Cristo. Tamburi, balli e canti di assonanze bibliche scortano le tavole ricoperte da stoffe damascate e parametri sacri coloratissimi; a seguirle, i sacerdoti protetti da grandi ombrelli e una folla di fedeli, tutti avvolti nei tradizionali teli di cotone bianco (shamma), fino al punto d’acqua stabilito per il momento del Battesimo. Qui, mentre nell’aria continuano a propagarsi cori e vibrazioni, i sacerdoti cospargono con l’acqua i tabot e i paramenti sacri. I fedeli nel contempo ripetono solennemente il rito della purificazione. Ed è proprio quest’ultimo la seconda rivelazione di cui è insignita l’Epifania ortodossa: con il bagno ogni credente manifesta la propria Fede che altro non è che ragione di tanta festa. Dopo le cerimonie di abluzione, le Tavole riprendono in lenta processione la via di ritorno verso la chiesa dove rimarranno, protette nel Sancta Sanctorum, fino al Timkat dell’anno che verrà.

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Solo quando ti manca q u a l c o s a che dai per scontato ti rendi conto del suo effettivo valore. E lì mancava tutto. Nulla poteva essere dato per scontato, nemmeno una bottiglia d’acqua che per assurdo costava più cara che in Italia. Trovarmi lì fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida in faccia. Aprii gli occhi per la prima volta.Improvvisamente tutti i miei “insormontabili” problemi si sgretolarono. Mi resi conto di quanto fortunata fossi. Ero talmente abituata a lamentarmi in continuazione che non capivo quante opportunità avessi a mia disposizione semplicemente per essere nata in un paese come l’Italia. Dovevo solo coglierle. Ma lamentarsi era sempre stata l’opzione più facile.A questo punto della storia sarebbe stato bello il finale “ ...e vissero per sempre felici e

contenti”, ma nel mio caso non fu così.La tradizione del villaggio di S. prevedeva i matrimoni combinati esclusivamente tra membri del villaggio stesso. La sua famiglia era grandemente tradizionalista, questo me lo aveva sempre detto, ma mi aveva anche detto che stava cercando di trattare con i familiari per poter essere un’eccezione. Ciò che non mi aveva detto era che il suo matrimonio era già stato celebrato e un bel giorno sua moglie arrivò in Italia. Fu così che con molta difficoltà le nostre strade si divisero ed io, purtroppo, mi caricai di un pesante bagaglio di rancore che portai dietro per anni.Oggi, finalmente, ho capito che il rancore avvelena principalmente chi lo prova, e che non sempre le

persone fanno quello che è giusto, me compresa.So con certezza che l’intenzione di S. non è mai stata quella di farmi del male volontariamente, e questo mi può bastare. Grazie a lui ho scoperto che esistono altri mondi, altri modi di concepire la vita che sono altrettanto degni di rispetto. ho imparato il valore della forza d’animo, della costanza e soprattutto della positività. Poco a poco sono diventata la persona che volevo essere e ovunque vada o qualsiasi cosa faccia questa esperienza è parte integrante di me, e mi sento fortunata per questo. Le cose sono semplicemente andate come dovevano andare, mi hanno fatta crescere e mi hanno aperto la porta sul mondo, così vasto e ricco di meravigliosa diversità.

un salto nella tradizione d'africal'epifania etiope...che la festa abbia inizio!

di Chiara Durello

il mio sogno condivisodi Teresa Miante

Il 30 novembre 2015, dopo 2 anni, sono ritornata nella mia Africa, in Guinea, con Silvana e Giovanna. Non diversamente dal solito sono partita con molta gioia e con altrettanta eccitazione per il difficile compito che andavo a svolgere. Si avvicinava sempre più la realizzazione del mio sogno condiviso con tante donne del villaggio di Ponta Dolfo: si realizzava il progetto di costruzione dell’ambulatorio, che cresceva di giorno in giorno. E ancora si accresceva l’emozione nel vedere la possibilità di inserire al suo interno anche due classi per i bambini dell’asilo. Ponta Dolfo si trova a circa 50 km dalla capitale Bissau, distanza per noi di poco conto se pensiamo alla qualità dei nostri mezzi e delle nostre strade, ma considerando la limitata disponibilità di mezzi di cui dispongono in quella terra, immaginiamo un tragitto così a piedi scalzi, magari ammalati e debilitati, e chiediamoci se noi ne saremmo capaci.

Questo villaggio è segnato da una triste miseria che va ben oltre la povertà: i bambini, quelli che possono, sono costretti a fare decine di km a piedi solo per avere la possibilità di andare a scuola, per imparare a scrivere e a leggere, al fine di una possibile emancipazione. Ma torniamo al mio sogno realizzato: vi assicuro che ogni volta che andavo a controllare i lavori del nostro ambulatorio non riuscivo a congratularmi solo con me stessa, ma in ogni mattone che piano piano dava forma all’edificio riscoprivo gli sforzi di tutte le persone che hanno sostenuto il progetto, credendoci fino in fondo. La forza che permette la realizzazione di questi grandi sogni condivisi sta nella fiducia e nella collaborazione di quelle persone che ricordo sempre di ringraziare: ringrazio Nuova Famiglia, la nostra solida Associazione che funge da “base di lancio” per i nostri sogni, il gruppo di amiche che mi sostengono sempre ( LE MARANTEGhE) e credono in me, e a chiudere, ringrazio tutti voi, amici e soci, che aiutate con generosità chi ha più bisogno.

Vorrei poi ingraziare il gruppo di Jesolo e in modo particolare Raul che si è occupato dell’organizzazione del cantiere, della recluta dei muratori e della coordinazione dei lavori. Segue un forte GRAZIE al gruppo di Vicenza che ci ha caldamente ospitati e all’Associazione “Solidarietà Umana” che ha permesso la costruzione delle due aule dell’asilo.

Il nostro ambulatorio è sotto la supervisione dell’attenta Suor Maria che, mantenendo l’ordine al suo interno, provvederà ad aggiornare l’istruzione dell’ infermiere che vi lavorerà. p.s. Domenica 29 Novembre, alla vigilia della mia partenza per la Guinea, abbiamo realizzato un altro, meraviglioso pranzo di condivisione presso la Parrocchia di Montà: eravate davvero in tantissimi e ciò rende tutto gratificante e speciale. Grazie al vostro contributo sono stati raccolti € 2.400,00 destinati al progetto “Latte in Guinea”.

Alla prossima!

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c 0 m ' è be l l o r e a l i z z a r e u n s o g nodi Thomas Lelo Leon Mushi

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Carissimi lettori di Parliamo Africa, con molta gioia vorrei condividere con voi ció che ho vissuto nei primi giorni del mese di luglio 2015

nella mia terra ossia a Moshi, ai piedi del kilimanjaro, in Tanzania. Credo che molti di noi, se non tutti, sogniamo cose grandi nelle nostra vita. Alcuni sogni sono realizzabili, altri no. La realizzazione di certi dipende da noi, dal nostro impegno continuo e dalla determinazione, mentre per altri interviene qualcuno superiore a noi, Colui che distribuisce i doni e le responsabilitá lasciandoci

sempre liberi di scegliere. É Colui che ci chiama ad abbracciare un progetto di vita matrimoniale o di vita consacrata. Lui ci chiama e poi ci lascia liberi nelle scelte. Se riusciamo a scegliere bene e giustamente, il risultato é vivere la vita felici e nella sua pienezza.

Alcuni sono stati chiamati ad essere padri e madri della famiglia, e quindi sceglieranno di abbracciare la vocazione matrimoniale. Questa é la vocazione madre, da cui nascono tutte le altre vocazioni. Altri sono

stati chiamati per consacrare la loro vita per il servizio divino offrendosi cosi al servizio di Dio e del suo popolo per tutta la vita. Questo include l’esercizio del sacerdozio di Cristo, cioé la continuazione della sua opera nel mondo tramite l’offerta del sacrifício, il perdono dei peccati e l’annuncio del regno di Dio.

9 Luglio 2015Questo giorno è e rimarrà indimenticabile. É il giorno in cui il mio sogno, aspettato per circa 19 anni, si é realizzato. Dopo la preparazione, la riflessione e l’accompagnamento in tutti questi anni di formazione, finalmente la madre chiesa mi ha concesso la grazia dell’ordine sacro attraverso l’imposizione delle mani e la

preghiera di consacrazione di sua eccelenza Isaac Aamani, vescovo della diocesi di Moshi. Questa giornata è cominciata con un pò di pioggia che, secondo la nostra tradizione, è segno di benedizione dal cielo e che ha accolto tutte le persone venute da diverse zone della regione del kilimajaro, dalle altre regioni di Tanzania e anche dall’estero per partecipare e testimoniare questo grande avvenimento. Io ero l’unico missionário della Consolata tra gli altri 28 diaconi ordinati in quel giorno. Eravamo davvero in tanti, tutti nativi della regione di kilimanjaro, figli della diocesi di Moshi. Alla celebrazione erano presenti 450 sacerdoti concelebranti e circa 9 mila persone (cristiani e non cristiani), e tutti insieme hanno cantato e ballato al Signore per circa 5 ore. É stato il giorno in

cui mi sono sentito l’uomo piú felice del mondo perché vedere il sogno di tanti anni realizzarsi mi ha trasmesso una gioia immensa che viene anche dal fatto di donare la mia vita come sacerdote, religioso e missionario al servizio del prossimo. Durante tutto il mio percorso non ho mai avuto il timore di accettare e abbracciare questa chiamata: le sfide non sono mai mancate

ma la forza e la convinzione interiore mi ha portato avanti con coraggio fino a qui al giorno della mia conferma per tutta la vita. Nel cammino per arrivare qui, non sono mai stato solo. Ci sono state tante persone che mi hanno accompagnato tra cui i miei cari genitori, i miei carissimi nonni che mi hanno cresciuto da quando avevo 5 anni, i miei fratelli, gli zii e le zie, confratelli, frati capuccini, amici e benefattori. La maggior parte di loro erano presenti a questa importante celebrazione. Vorrei ringraziare tutte queste persone con la preghiera affinchè

il Signore ascolti le loro preghiere e li porti alla realizzazione dei loro sogni. Quanto é stato bello cantare e ballare, mangiare e bere insieme a loro per festeggiare questo grande avenimento della mia vita. Lo stesso clima di festa é continuato anche nei giorni seguenti per la

mia prima messa in parocchia, a casa mia e participando alle feste degli altri neo sacerdoti. Il significato della missionarietá e del mio percorso da padre missionarioPrima di tutto vorrei sottolineare il fatto che tutti i battezzati sono missionari. Il sacramento del battesimo ci dá questa qualitá e questa responsabilitá. La differenza è che noi come religiosi missionari la viviamo in maniera radicale al punto di donare e dare la propria vita per gli altri. Quindi come missionário della Consolata sono chiamato a testimoniare la vera consolazione che nasce con Gesù stesso. Papa Fracesco nel libro “Rallegratevi,” dice che “la gioia del vangelo riempie il cuore , la vita intra di coloro che si incontrano con Gesú”. In Isaia 40,1-2 leggiamo “Consolate, consolate il mio popolo, dice il nostro Dio.” Mi sento la responsabilitá di fare tutto ciò, con tutto il mio cuore, mente e tutto il mio bene.

Il Papa dice “la consolazione deve essere l’epifania di una reciproca appartenenza, gioco di empatia intensa, di commozione e legame vitale”, così voleva anche il nostro fondatore: amare la gente, imparare la língua e stare con loro. Questo significa che dobbiamo intregrarci nella realtá in cui siamo chiamati a servire e solo così riusciremo a leggre e scaldere i cuori freddi, curare i cuore ammalati e prenderci cura di quelli che stanno bene. Questa é la vera missione. Riconosco il fatto che un missionario deve avere molta pazienza perché la missione ci chiede tanto. Ma lo Spirito di Dio in tutto ciò non ci lascia mai soli. Dico questo perché, come ha scritto una volta il nostro segretario generale, “il missionario deve essere coraggioso per affrontare tutto ciò che incontra, disposto al martirio e insieme essere consapevole che é Dio che porta avanti l’opera di evangelizzazione”. Al missionario é affidato il compito di agire con discrezione, di credere e di sapere, di parlare alla gente con il linguaggio del cuore, dando fiducia, convinto che il futuro del popolo di Dio é nelle mani di ognuno di loro. Non siamo noi i protagonisti della missione. Siamo solo gli strumenti. La mia esperienzia fino ad oggiSinceramente non posso dire molto su questo perché sono proprio nuovo nel campo missionario ma nelle mie vicessitudine ho sempre cercato di entrare in contatto con la gente. Mi permetto di usare alcune delle parole di San Paolo

“con i bambini mi sono fatto bambino, con gli adulti adulto, con gli anziani un figliolo e nipote, con i malati e i soferenti un consolatore, e con tutti uno su cui si può contare.”In tutti questi anni mi sono fatto ispirare dalle parole del nostro Papa Giovanni Paolo II “Spalancate le porte...” e di Papa

Francesco “Non lasciate che vi rubino il vostro sorriso, la vostra gioia da cristiani...”.

Con la luce del nostro fondatore Beato Giusseppe Allamano cioé di “Fare bene il bene e senza rumore” potrei dire che finora mi vedo come uno che sta cominciando il cammino. Sono all’inizio della mia missione e quindi vi prego di accompagnarmi con le vostre preghiere e la vicinanza.

Sono felicissimo per la scelta di vita che ho fatto anche se questo non vuol dire che sarà facile vivere fedelmente la mia scelta, anzi é un continuo impegno e ho bisogno dell’aiuto di Dio nel mio cammino, dell’intercessione della nostra Signora della Consolata, l’insegnamento del nostro maestro per eccellenza Gesú e certamente l’illuminazione e ispirazione dello Spirito Santo. Per questa ragione ho scelto le parole di S. Paolo per il mio souvenier di ordinazione “Per la grazia di Dio sono quello che sono” 1Cor. 15,1.

Ringrazio Dio per il dono della vocazione e prego che vi benedica tutti e vi protegga da ogni male facendo di voi gli strumenti della sua pace e la consolazione nel nostro mondo di oggi.Asanteni Sana!

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l'angolo della creativitàa cura di Erika Cesaro

Cercando ispirazione in internet in vista del Carnevale per realizzare qualcosa di creativo, facile ed originale, ma soprattutto alla portata di tutti, ho trovato su Pinterest un’idea davvero carina: una ciotola da realizzare con i coriandoli!

Sembra impossibile ma, come per magia, vedrete realizzarsi davanti ai vostri occhi una coloratissima ciotola con l’utilizzo di pochi materiali, facilmente reperibili.

ho preso la descrizione della procedura, le foto e i passaggi di realizzazione da Pinterest, un social network dedicato alla condivisione di immagini e video, ma il sito di riferimento è pianetabimbi.it di cui vedete il copyright indicato in ogni foto.

In questo sito potete trovare tantissime idee originali e di facile riproduzione, quindi... buon divertimento e buona festa a tutti!

MATERIALE NECESSARIO

Coriandoli; Palloncino; Colla vinilica; Pennello (è preferibile quello in spugna); Un vaso; Forbici

ISTRUZIONI

Avete a vostra disposizione tutto il materiale necessario alla creazione di questo splendido lavoretto? Procediamo allora scoprendo passo dopo passo i vari passaggi… Per prima cosa bisognerà gonfiare il palloncino dalla dimensione che si preferisce, tenendo presente che l’ampiezza della ciotola varierà proprio in base alla sua circonferenza.

Posizionate quindi il palloncino sul vaso che fungerà da base (vi consigliamo di bloccarlo con del nastro adesivo) e cospargetelo di colla vinilica con l’aiuto del pennello. Terminata questa operazione è possibile iniziare ad applicare i coriandoli spennellando ancora il tutto con la colla fino ad ottenere una superficie multistrato compatta e multicolore, come mostrato nelle immagini qui sotto.

Dopo aver atteso circa 8 – 10 ore per l’asciugatura completa ed uniforme della colla, è possibile procedere alla rimozione del palloncino bucandolo. Una volta sgonfio bisognerà separarlo delicatamente dalla ciotola ottenuta.

Ultimo tocco: sistemate i bordi della ciotola con l’aiuto delle forbici, potrete modellarli nella maniera preferita quindi optando per un tocco semplice e lineare o, ad esempio, ondulato.

La ciotola con coriandoli è finalmente pronta per l’uso! Come avete visto, si tratta di un lavoretto davvero perfetto da proporre ai bambini in occasione del Carnevale vista la sua semplicità e bellezza.

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La Scimmia e il Coccodrillo Favola dei Luo

Tanto tempo fa, la scimmia era molto amica del coccodrillo; non trascorreva giornata che i due amici non si ritrovassero per vedersi e chiacchierare. Il coccodrillo viveva nel lago e la scimmia su di un albero di mango, vicino al lago, cosicché ogni mattina e sera il coccodrillo usciva sulla riva e chiacchierava con la scimmia.

Un giorno la mamma del coccodrillo si ammalò gravemente. Il coccodrillo, disperato, andò a trovare tutti i dottori del vicinato, ma nessuno riuscì a farla guarire. Il coccodrillo portò allora la madre da un dottore stregone, il quale gli disse che sua madre poteva guarire soltanto mangiando il cuore di una scimmia. Il coccodrillo si chiese come avrebbe potuto ingannare la scimmia, che era la sua migliore amica, ma alla fine decise di sacrificare la sua amica poiché la vita della madre era più importante. Andò così dalla scimmia e la invitò a casa sua. La scimmia disse che non sapeva nuotare ed aveva paura dell’acqua, ma il coccodrillo la rassicurò dicendole che l’avrebbe portata sulla sua schiena e non ci sarebbe stato alcun problema. La scimmia accettò.

Il loro viaggio iniziò abbastanza bene, con la scimmia sul dorso del coccodrillo; ma, povera scimmia, quando furono nel mezzo del lago, il coccodrillo incominciò a nuotare immerso più profondamente nell’acqua. La scimmia, molto spaventata, chiese al suo amico di fare più attenzione, altrimenti lei si sarebbe bagnata. A questo punto il coccodrillo le rivelò che sarebbe diventata la “medicina” per sua madre; le confessò che in realtà non l’aveva invitata per averla ospite a casa sua, ma che in effetti ciò che lui voleva era il suo cuore.

La scimmia non aspettò che il coccodrillo ripetesse la storia e non domandò nessun chiarimento; finse invece di rimproverarlo per non averle detto subito che tutto ciò di cui aveva bisogno era il suo cuore. Poi gli spiegò con rammarico che le scimmie non portano mai con sé il loro cuore, quando vanno a trovare qualcuno o quando partono per un viaggio: se veramente aveva bisogno del cuore di una scimmia, doveva riportarla alla riva, dove gli avrebbe donato volentieri il proprio cuore. Nell’udire questo, il coccodrillo nuotò molto velocemente verso la casa della scimmia e raggiunse la riva in un attimo.

La scimmia era felice di averla scampata bella; cercò sull’albero dove abitava un grosso frutto di mango e disse al coccodrillo di aprire bene la bocca. Tirò il mango con tutta la sua forza e colpì il coccodrillo in modo da fargli male. Il coccodrillo si inabissò nelle acque del lago piangendo forte, mentre la scimmia gli gridava che la loro amicizia era finita, perché lui non era un tipo di cui fidarsi. E da quel giorno fino ad oggi la scimmia e il coccodrillo non sono più amici.

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fa...volare l'africaa cura di Elena Coin

Non so dove si trova il limite ma so dove non si trova…

Non so cosa sia l’Africa ma so di per certo di cosa non si sta parlando…

Non so cosa sia il volontariato ma so cosa non è e soprattutto cosa non dovrebbe essere…

ho visto, toccato, annusato, sentito e gustato le 3 “riflessioni” sopra ed ancora i miei sensi corteggiano il mio raziocinio per tornare a provare il caleidoscopio di sensazioni ed emozioni che le riflessioni riportano a galla.

Fame, povertà, morte…ma anche soprattutto vita e ricchezza, occhi, sorrisi e corpi…EMOZIONI…ecco questi sono i “limiti”, il volontariato e l’Africa.

La mia pelle scotta ancora del sole invernale dell’Africa sub-Sahariana,

i miei occhi sono ancora colmi delle stelle che solo nei documentari o nei sogni più fantastici si possono immaginare esistere, dei colori e delle genti che solo posti ancestrali possono mostrare, le mie papille gustative sono ancora “scioccate” dai sapori di tradizioni legate alla terra ed a quel poco che può offrire, massimizzando fantasie di gusti ed ingredienti, il mio naso ricorda i profumi di popoli e tradizioni così lontani nello spazio ma così vicini ora nella mente, nelle mie orecchie risuonano ancora le risate di bambini scalzi che mano nella mano mi hanno accompagnato alla ricerca ed alla scoperta di “limiti”, del senso del volontariato e soprattutto di una splendida e martoriata Africa.

Nonostante queste esperienze, questi doni, e le consapevolezze che ne sono emerse:

Non so cosa sia il volontariato ma so cosa non è e soprattutto cosa non dovrebbe essere…

Non so cosa sia l’Africa ma so di per certo di cosa non si sta parlando…

Non so dove si trova il limite ma so dove non si trova…

Ce lo diciamo spesso: il fondamento del nostro operare sta tutto nella logica del dono e della gratuità. Ma bisogna fare attenzione a non confondere queste espressioni con una retorica buonista di invito a ‘’fare del bene’’.

L’etica nel volontariato ci dice di assumere una prospettiva diversa, ci porta dal ‘’fare’’ o dalla generica disponibilità…all’essere. Nasce da una scelta di vita e dalla consapevolezza di sé e del significato che l’altro ha per la nostra esistenza. E’, in un certo senso, il punto di arrivo della maturità della persona, che giunge proprio quando si smette di pensare egocentricamente a se stessi e si comincia a pensare senza ulteriori scopi all’altro e a prendersene cura. Questa dimensione che nasce da una scelta personale e libera è molto esigente, ma una volta conosciuta non si può più farne a meno perché racchiude il vero senso del vivere.

Tutto questo potrebbe apparire illogico o addirittura folle: ‘’Ma perché dovrei fare o dare qualcosa per gli altri?’’ ‘’Che cosa me ne torna?’’. Aver fiducia, farsi promesse reciproche, collaborare, avere delle aspettative ma anche condividere conoscenze, esperienze e progetti sarebbero azioni impossibili se poggiassero unicamente sulla logica mercantile dello scambio o se fossero semplicemente espressioni di facciata per la ricerca della propria utilità e visibilità.

Il ‘’fare volontariato’’ chiede la sobrietà del silenzio (anonimato), chiede la pazienza del sopportare e del rispetto del tempo di ciascuno, tanto o poco che sia. Niente a che vedere perciò col far bandiera dei propri atti!

L’etica è esigente anche sul piano ASSOCIATIVO. Chiede di superare il timore di sbagliare e proprio perché non vuol essere

un’esortazione al ‘’vogliamoci bene’’ esige di costruire azioni concrete. Ma chiede, soprattutto, lo sforzo di costruire orizzonti sempre più ampi di partecipazione e di essere laboratorio quotidiano di relazioni positive e costruttive… una vera e propria scuola di umanità.

FARE VOLONTARIATO di Mattia Marchiori

NON SO DOVE SI TROVA IL LIMITE MA SO DOVE NON SI TROVA…di Mauro Valentini

r i f l e s s ion ia cura della redazione

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Tutto nasce dalla telefonata del mio capo una mattina di qualche giorno fa che dice: “Ti rinnoviamo il contratto di un altro anno”. Pausa. Ed io penso: cioè, un anno?! Wow! Un anno per la mia generazione è come dire un tempo infinito, sei praticamente padrone del mondo, caspita puoi addirittura iniziare a pensare alle vacanze estive (il massimo della visione a lungo termine), puoi tranquillizzare il tuo padrone di casa che per farti firmare il contratto di affitto ha voluto che allegassi anche l’albero genealogico “ a garanzia”.

Altra pausa. Quindi…solo un anno?! E ti assale l’amarezza, il solito magone…pensi che hai studiato una vita e sei precario da sempre, non c’è più spazio per i vecchi sogni, mi hanno detto. Bisogna vivere il qui e l’ora (?!). L’essere precario ti porta spesso a vedere anche le relazioni, qualunque esse siano, in maniera diversa, pensi che tutto sia a tempo determinato, immersi in questa società liquida sembra l’unica realtà possibile. E così, proprio quella stessa mattina, mi capita di leggere un’intervista a Zerocalcare*, un giovane fumettista italiano che riesce in maniera semplice ed ironica a descrivere i “drammi” della sua (ma anche della mia) generazione.

Quando gli viene chiesto che effetto gli fa il far parte di questa generazione “sfortunata”, dal

lavoro precario a quello «a vita», senza sicurezze sul futuro e sulla pensione, lui risponde: Mi terrorizza abbastanza, ma spero che, a differenza di oggi, tempo in cui ognuno si affanna per conto proprio, cercheremo una soluzione collettiva: il problema riguarderà tantissimi di noi.

E aggiunge: Questa è una generazione generosa, che si è dannata l’anima per trovare un posto nel mondo e ha visto tradite le sue aspettative.

E sulla soluzione collettiva mi sono soffermata un attimo, io che sono abituata ad arrangiarmi, a non chiedere mai aiuto a nessuno, a trovare la soluzione più giusta per le mie esigenze, spesso non mi accorgo che ci sono altri nella mia stessa condizione, quindi perché non unire le forze? Perché non utilizzare lo stesso binocolo? Uniamo le lenti e magari riusciremo a vedere al di là del nostro naso.

Altri spunti di riflessione sono scaturiti dalle risposte alle altre domande.

Ci sono rischi di una guerra generazionale fra chi ha e chi no?

Parlo per me, e certamente no. Non ho mai pensato che per ottenere diritti io avrei dovuto toglierli ad altri. I diritti si estendono, non si riducono. Non c’è risentimento, se non nei confronti di una classe politica che ci ha portati fin qui.

Da piccolo ti immaginavi con il posto fisso e la famiglia a 30 anni?

Sì, non sapevo cosa avrei fatto, ma pensavo che sarei stato sui binari giusti. Non pensavo di rimanere fuori dai cicli della produzione. Come mi è successo prima, perché ripeto, oggi sono un privilegiato, e come succede a tanti della mia età, che faticano a pagare l’affitto e devono vivere con tre coinquilini. Molti finiscono a spacciare, nelle borgate succede. Ma riguarda tanta gente: qualcosa, tutti insieme, dovremo inventarci. I vecchi sogni non esistono più, benissimo diamo allora spazio ai nuovi e soprattutto condividiamoli!

* Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech (Arezzo, 12 dicembre 1983), è un fumettista italiano. Il nome d’arte “Zerocalcare” nasce quando, dovendo scegliersi un nickname per partecipare ad una discussione su internet, si ispirò al refrain dello spot televisivo di un prodotto anti-calcare che stava andando in onda in quel momento.

s pa z io a i no s t r i s o g n idi Sonia Ferrara

Da molto tempo non leggevo e la scorsa estate, causa la rottura del televisore, ho ripreso in mano qualche libro. Robetta, nulla di impegnativo quando, su consiglio di un’amica, ho iniziato a leggere “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozzella. Prima di esprimere un giudizio sul contenuto e scrivere una breve recensione su quanto letto dico che è un libro assolutamente da leggere e da riflettere.

Saamiya Yusuf Omar e MoFarah, due facce della stessa medaglia, entrambi nati in Somalia, con la differenza che Mo, in quanto uomo, trova la possibilità di uscire dalla Somalia e di correre difendendo i colori del Regno Unito e, tra gli altri titoli vinti in carriera, vince alle Olimpiadi di Londra 2012 i 5.000 mt ed i 10.000 mt. Saamiya, in quanto donna mussulmana, non riesce ad allenarsi se non di nascosto, ed esce dalla Somalia solamente dopo aver vinto il campionato nazionale nei 200 mt, entrando così a far parte del CIO somalo. L’unico suo pensiero è di partecipare alle Olimpiadi e di lottare per liberare le donne somale dalla schiavitù imposta dall’integralismo islamico. Si allena di notte in uno stadio, quello di Mogadiscio, vuoto, di nascosto. Solo così può correre in pantaloncini e maglietta, altrimenti dovrebbe correre con il burqua. Come allenatore ha un amico d’infanzia che si limita a prendere i tempi ed a consigliarla. Però non hanno mezzi e soprattutto non hanno un’alimentazione che possa far crescere la massa muscolare. Questa differenza la si può notare quando Saamiya arriva a partecipare alle Olimpiadi di Pechino e si trova a gareggiare nei 200 mt.. Le capita la batteria dove gareggia a fianco di un’atleta che vincerà la medaglia d’oro, Veronica Campbell, giamaicana. Un fisico statuario, bella come una dea, vestita tutta griffata, truccata e con unghie lunghe, laccate e ben curate. Saamiya, di contro, con le gambe sottili sottili, senza muscolatura, vestita con pantaloncini a “pinocchietto”, una maglietta sdrucita ed una fascia attorno alla testa che raccoglie una pettinatura molto casual (cioè a caso) che stride al confronto dell’acconciatura di Veronica. La differenza di potenzialità si nota tutta in quanto la vincitrice chiude in 23”04 e Saamiya arriva ultima, staccatissima, con una corsa quasi compassata, per un tempo di 32”16 che diventa il suo record personale. Ritorna in Somalia con il ricordo del lunghissimo applauso che lo Stadio di Pechino le aveva tributato, ma con un unico desiderio: partecipare alle Olimpiadi di Londra 2012 e vincerle come farà - ma lei non lo saprà mai - il suo idolo MoFarah. Saamiya resta senza allenatore in quanto l’amico era stato quasi costretto ad arruolarsi nelle file del gruppo integralista che faceva il bello ed il cattivo tempo in quasi tutta la Somalia, ma soprattutto a Mogadiscio. Le serve un allenatore professionista e deve uscire dalla Somalia altrimenti non potrà coronare il suo sogno. Non entro e non commento la situazione islamica di quel momento, non molto lontana da quella attuale, ma la vita delle donne era molto difficile. La piccola guerriera, così la chiamava suo padre, parte di nascosto e, pagando i trafficanti di uomini, inizia il suo viaggio per arrivare a Londra preparata.Un inizio raccapricciante se pensiamo che riceve da Alì, il suo amico-allenatore sparito per un periodo, dei soldi, molti soldi. Soldi provenienti dal tradimento di Alì che ha consegnato alla morte il papà di Saamiya, confidando al suo nuovo gruppo tutto ciò che sapeva della famiglia Yusuf. L’uccisione del padre era una vendetta per gli atteggiamenti considerati non rispettosi

delle Leggi Islamiche da parte della ragazza. Inizia un viaggio allucinante suddiviso in varie tranches: Addis Abeba, karthoum, il Sahara in più tappe, Libia e attraversamento del Mar Mediterraneo verso Lampedusa, per poi passare in Italia ed arrivare in Finlandia dove già abitava la sorella di Saamiya che lì, finalmente, poteva prepararsi all’Olimpiade. Ogni sosta serviva ai trafficanti di esseri umani per chiedere altri soldi e Saamiya doveva, a sua volta, chiederli alla sorella. Fino quando i soldi non erano arrivati, via Money Transfer, non si ripartiva. Tra difficoltà inenarrabili, tra soprusi, violenze, fame e malattie il viaggio finalmente giunge alla tappa finale: il barcone. La biografia di Saamiya recita: nata a Mogadiscio il 25 marzo 1991; morta nel Mar Mediterraneo il 02 aprile 2012. Il suo corpo viene ripescato ed il medico italiano che lo esamina dice che Saamiya era incinta di 4 mesi, sicuramente il frutto di una violenza. In ogni caso il suo sogno di partecipare alle Olimpiadi di Londra sarebbe svanito.

u n s o g no , comu nq u e , i n t e r r o t todi Ivo Babolin

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P a r l i a m o a f r i c a

c h i s i a m o

i n o s t r i i n d i r i z z i

La Nuova Famiglia è un’associazione nata il 2 maggio 1994. E’ composta da persone diverse per idee politiche e religiose. Ci accomuna il desiderio di fare interventi, piccoli ma concreti, a favore delle popolazioni, e soprattutto dei bambini, dei paesi più poveri del mondo. I filoni principali del nostro lavoro sono:

• SOSTEGNO E SPONSORIZZAZIONI (adozioni a distanza)

• INTERVENTI E PROGETTI (sulla persona e sul territorio)

• AIUTI E SOLIDARIETA’

• INIZIATIVE CULTURALI

MARZO 2014 Copertina (foto) II di copertina Sommario p. 3 Editoriale di Ivo Babolin p. 4 Primo viaggio da Presidente di Lorenzo Tosato p. 5 Vent’anni da celebrare. Un libro per ricordare di Marcello Massaro p. 6 Il nuovo sito di Nuova Famiglia! di Erika Cesaro p. 7 Miti e Leggende d’Africa a cura di Giulia Consonni p. 8 Il Sapore della Terra di Maria Emanuela Spagnolo p. 9 La guerra delle donne di Giuseppina Torregrossa p. 10-12 Una nuova realtà a Maganasse di Francesco Magliarditi p. 13 L’importanza del raccontare di Francesca Babetto p. 14 Scoperte di Lorenza Veronese p. 15 Sede Nuova di Ivo Babolin p.16 Addio Suor Alfia di Elena Coin p. 17 Le parole sono finestre…oppure muri. di Deborah Favarato p. 18-20 Viaggio in Etiopia di Lorella Lacchini Cerulli p.21 Viaggio in Guinea Bissau di Antonella Scabia p.22 III di copertina p.23 IV copertina p.24 Da oggi puoi seguire Nuova Famiglia anche su Facebook, Twitter, Instagram e YouTube!

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UN BAJAJPER NETSANET ABERA - ETIOPIA

Un giorno in Etiopia abbiamo incontrato Netsanet Abera, una ragazza con disabilità a causa della poliomelite.

Una ragazza bella e piena di vita che abbiamo voluto aiutare a costruirsi un futuro.

Abbiamo sostenuto i suoi studi ed è riuscita a laurearsi in scienze infermieristiche.

Netsanet però non era del tutto autosufficiente, costretta a farsi trasportare a causa della sua disabilità. Così abbiamo pensato di farle un regalo: un bajaj.

Si tratta del mezzo di trasporto più diffuso in Etiopia, quello che da noi viene comunemente chiamato motocarro, utilizzato in quelle terre per lo più come taxi.

Gli amici di Vittorio Veneto ed in particolare Giovanni Colombo hanno subito sposato la causa condividendo in prima persona le difficoltà che Netsanet vive giornalmente così, poco alla volta, con rinunce e risparmi, sono riusciti insieme a noi e ad altri benefattori ad arrivare a coprire la spesa per l’acquisto del mezzo.

Dall’ Eparchia di Emdibir, che si è preoccupata di seguire le trattative, ci è arrivato l’ordine di acquisto e la somma che sono riusciti a trattare - con non poche difficoltà - è di 88.000 Birr, circa 4.000,00 €.

Ora Netsanet è veramente libera di costruirsi il proprio futuro.

Da parte sua e di tutti noi un grazie grande a coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto!