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Anno III - numero sei Cercando l’equilibrio Periodico di informazione sulle dipendenze Fatti Stupefacenti! è il prodotto editoriale realizzato dagli ospiti della Comunità Terapeutica “Stella Polare” di Roma attraverso il Corso di Formazione Altri Giornali organizzato dall’Associazione La Farfalla e condotto dai formatori Paola Anelli e Nicolò Sorriga e con la partecipazione di Gianni Catella. Le nostre nonne si raccomandavano sempre affinché non vivessimo come degli squilibrati anche se non si è mai ca- pito bene chi fossero questi squilibrati. A volte gli squilibrati sembravano essere persone affette da una ma- lattia, altre volte lo squilibrio era l’espressione di uno stato di di- soccupazione, altre volte ancora lo squilibrato era una persona senza dimora. Chiunque fossero, di certo era chiaro che bisognava fare di tutto per non diventare così. Ma cos’è esattamente questo equilibrio che non bisogna mai perdere? Il termine equilibrio riporta velo- cemente i miei ricordi a quando da bambina, nella palestra della scuola, le mie coetanee cammina- vano lentamente sull’asse, attente a non cadere. Allora pensavo che per riuscire nella difficile prova fosse indispensabile essere esili e leggere e che l’equilibrio dipen- desse proprio da questa assenza di peso. Ma non era esattamente così perché tutte perdevano o mantenevano l’equilibrio indipendentemente dal loro peso e dalla loro forma. Crescendo, l’esperienza della vita mi ha mostrato che l’equilibrio è spesso il giusto bilanciamento tra i pesi della vita. Ho visto ritrovare l’equilibrio a persone che avevano portato sulle loro spalle il peso ed il dolore della perdita, della sconfitta, della malattia. Così come ho visto persone destabilizzate da uno stile di vita leggero e superficiale. Equilibrio. È una bella parola, in origine indicava lo stato della bilancia che pesava sui suoi bracci masse di uguale peso. Quel significato si è poi trasposto anche ad altri og- getti e situazioni e qui, in questo nu- mero di Fatti Stupefacenti! se ne parla come di una condizione ricer- cata, desiderata, in alcuni casi troppo stabile tanto da essere te- muta. L'equilibrio interiore non è qualcosa di misurabile, non c' è alcuna tabella dove poterne segnare le caratteristi- che, ma comunque rispetta quell'an- tico concetto di Æquilibrium, stesso peso appunto, tra diverse masse. Ma qui le bilance sono dentro di noi, le bilance siamo noi e anche se a volte certi bracci appaiono un po' arruggi- niti mantengono la loro perfetta re- golazione, sono precise più delle bilance degli antichi orafi del- l'oriente. Credo che sia così perché ogni per- sona dentro di sé ha un punto d'equi- librio che la mantiene in asse con il resto. E quel punto cambia nel corso della propria vita, cambia in base alle scelte dettate dalle voglie o dalle esigenze, raggiunge dei limiti estremi che in certe alterate condizioni e convinzioni lo fanno apparire regolare, equi- librato appunto, anche quando non è così. Nella vita si modifica qualcosa costantemente, le priorità di alcuni istanti prima passano in secondo piano, mentre ba- nalità considerate tali per tutta una vita cominciano ad ap- parire significative e stimolanti. E quel punto di equilibrio si modifica, torna verso un centro per poter dare una misu- razione giusta. Non dico corretta, perché anche le bilance interiori più strampalate offrono giuste misurazioni per chi le porta e le vive dentro di sé. continua a pag. 19 di Nicolò Sorriga L’uguale peso continua a pag. 19 Forse le nonne si sbagliavano di Paola Anelli www.centrostellapolare.it - www.lafarfalla.org [email protected]

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Anno III - numero sei

Cercando l’equilibrio

Periodico di informazione sulle dipendenze

Fatti Stupefacenti! è il prodotto editoriale realizzato dagli ospiti della Comunità Terapeutica “Stella Polare” di Roma attraverso il Corso di Formazione Altri Giornali organizzato dall’Associazione La Farfalla e condotto dai formatori Paola Anelli e Nicolò Sorriga e con la partecipazione di Gianni Catella.

Le nostre nonne si raccomandavano sempre affinché nonvivessimo come degli squilibrati anche se non si è mai ca-pito bene chi fossero questi squilibrati.

A volte gli squilibrati sembravanoessere persone affette da una ma-lattia, altre volte lo squilibrio eral’espressione di uno stato di di-soccupazione, altre volte ancoralo squilibrato era una personasenza dimora. Chiunque fossero,di certo era chiaro che bisognavafare di tutto per non diventarecosì.

Ma cos’è esattamente questoequilibrio che non bisogna maiperdere?

Il termine equilibrio riporta velo-cemente i miei ricordi a quandoda bambina, nella palestra dellascuola, le mie coetanee cammina-vano lentamente sull’asse, attentea non cadere. Allora pensavo cheper riuscire nella difficile provafosse indispensabile essere esili eleggere e che l’equilibrio dipen-desse proprio da questa assenza dipeso.

Ma non era esattamente così perché tutte perdevano omantenevano l’equilibrio indipendentemente dal loro pesoe dalla loro forma.

Crescendo, l’esperienza della vita mi ha mostrato chel’equilibrio è spesso il giusto bilanciamento tra i pesi dellavita. Ho visto ritrovare l’equilibrio a persone che avevanoportato sulle loro spalle il peso ed il dolore della perdita,della sconfitta, della malattia. Così come ho visto personedestabilizzate da uno stile di vita leggero e superficiale.

Equilibrio. È una bella parola, in origine indicava lo statodella bilancia che pesava sui suoi bracci masse di ugualepeso. Quel significato si è poi trasposto anche ad altri og-

getti e situazioni e qui, in questo nu-mero di Fatti Stupefacenti! se neparla come di una condizione ricer-cata, desiderata, in alcuni casitroppo stabile tanto da essere te-muta.

L'equilibrio interiore non è qualcosadi misurabile, non c' è alcuna tabelladove poterne segnare le caratteristi-che, ma comunque rispetta quell'an-tico concetto di Æquilibrium, stessopeso appunto, tra diverse masse. Maqui le bilance sono dentro di noi, lebilance siamo noi e anche se a voltecerti bracci appaiono un po' arruggi-niti mantengono la loro perfetta re-golazione, sono precise più dellebilance degli antichi orafi del-l'oriente.

Credo che sia così perché ogni per-sona dentro di sé ha un punto d'equi-librio che la mantiene in asse con ilresto. E quel punto cambia nel corsodella propria vita, cambia in basealle scelte dettate dalle voglie o dalle

esigenze, raggiunge dei limiti estremi che in certe alteratecondizioni e convinzioni lo fanno apparire regolare, equi-librato appunto, anche quando non è così.

Nella vita si modifica qualcosa costantemente, le prioritàdi alcuni istanti prima passano in secondo piano, mentre ba-nalità considerate tali per tutta una vita cominciano ad ap-parire significative e stimolanti. E quel punto di equilibriosi modifica, torna verso un centro per poter dare una misu-razione giusta. Non dico corretta, perché anche le bilanceinteriori più strampalate offrono giuste misurazioni per chile porta e le vive dentro di sé.

continua a pag. 19

di Nicolò SorrigaL’uguale peso

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Forse le nonne si sbagliavanodi Paola Anelli

www.centrostellapolare.it - www.lafarfalla.org

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La seconda pagina...

La comunità diurna Stella Polare è unastruttura terapeutica semiresidenzialevolta alla riabilitazione ed al reinseri-mento sociale di persone tossicodipen-denti. Nata nel marzo 1998 comeprogetto finanziato dal Fondo Nazio-nale Lotta alla Droga, è oggi parte in-tegrante dei servizi attivati dalla ASLRoma E.Gli obiettivi vengono perseguiti affian-cando attività terapeutiche (psicotera-pia di gruppo, psicoterapiaindividuale), attività di sostegno(gruppi di auto-aiuto, di chiarifica-zione, di progettazione, incontri con lefamiglie), terapie farmacologiche (nai-trexone cloridrato,come antagonistadegli oppiacei) e attività integrative diformazione (cultura generale, uso delcomputer, visite guidate).Le finalità del percorso terapeuticoadottato nella comunità sono quelle difavorire un aumento di consapevolezzae di possibilità di contatto con l’altro,facilitare il recupero di risorse perso-nali, promuovere l’apprendimento diabilità e competenze utilizzabili in am-bito lavorativo, migliorare la capacitàdi autopercezione dei propri progressie delle proprie difficoltà, esplorare edelaborare meglio gli aspetti problema-tici della personalità e del proprio ‘es-sere nel mondo’, conseguire/facilitareuna maturazione globale della persona-lità, promuovere il consolidamento direlazioni sociali e familiari stabili.Si accede al programma terapeutico -completamente gratuito – della comu-nità diurna su invio del Ser. T. di ap-partenenza, previa relazioneconoscitiva. Non sono ammessi tossicodipendentiin trattamento metadonico, in regimedi arresti domiciliari o portatori digravi disturbi di tipo psichiatrico.I trattamenti in alternativa alla deten-zione (art. 94 DPR 309/90) sono pos-sibili fino al 40 per cento deipartecipanti.Il centro, che ha sede a Roma, nel pa-diglione numero 23 all’interno delcomprensorio di Santa Maria dellaPietà, a Monte Mario alto, con accessoal pubblico dalla fine di via Cesare

Lombroso, è aperto dal lunedì al ve-nerdì dalle 09.00 alle 17.00.Le attività della comunità diurna StellaPolare vengono gestite da medici, edu-catori, psicologi, psicoterapeuti, assi-stenti sociali e volontari, messi adisposizione dalla ASL RM E e dallaCooperativa Sociale Azzurra 84.In rapporto alla metodologia, caratteri-stica distintiva dell’intervento intesoalla riabilitazione ed al reinserimentosociale di persone tossicodipendenti èil supporto psicologico intensivo af-fiancato alla terapia farmacologica.Schematicamente, la metodologia con-siste in una prima fase di elaborazionedelle esperienze pregresse e contin-genti attraverso il lavoro sulla rela-zione tra residenti e tra residenti edoperatori, la psicoterapia di gruppo/in-dividuale, le riunioni organizzative.Successivamente viene fornito un am-biente protetto e contenitivo, con i con-trolli sui liquidi biologici, l’uso difarmaci antagonisti degli oppiacei e ilconfronto con le regole della comunità. Contemporaneamente viene agevolatoil reinserimento sociale e lavorativo,attraverso l’apprendimento di abilitàsociali e il supporto di attività integra-tive di formazione.Il percorso di valutazione delle attitu-dini e di orientamento, della durata mi-nima di 18 mesi, si sviluppa in tre fasi.La prima, della durata di due – tremesi, è finalizzata ad agevolare l’inse-rimento nel gruppo e alla individua-zione degli obiettivi terapeutici. Laseconda, di sei – otto mesi, è finaliz-zata al mantenimento della condizionedrug-free ed alla elaborazione terapeu-tica delle esperienze. Nell’ultima fase,di completamento, alla verifica deiprogressi compiuti viene affiancatauna preparazione specifica, a livellopsicologico ed organizzativo, finaliz-zata al reinserimento lavorativo e so-ciale.Per tutta la durata del programma i fa-miliari partecipano ad incontri organiz-zativi che hanno luogo a cadenzaquindicinale.Stella Polare – tel. 06 68352954 06 68362953 e-mail [email protected]

La Comunità Diurna “Stella Polare”Fatti Stupefacenti!

Periodico sulle dipendenze

Anno III- Numero 6Settembre 2013

EditoreCooperativa Azzurra 84

Direttore ResponsabileGianni Catella

Responsabili di RedazionePaola Anelli, Nicolò Sorriga

Grafica, impaginazione e disegniClaudio Asara

In RedazioneGraziano C., Marishine,

Maurizio Andreacchio, Billy, Bekale Aimé, Valentina B.,

Maddalena, Giuseppe, Giancarlo, Puya,

StampaCooperativa Azzurra 84

Via dell’Acquedotto Paolo 7300168 - Roma

RedazioneComunità Diurna “Stella Polare”

Padiglione 23 del Complesso Ospedaliero

Ex S.M. della Pietà

Testata in attesa di registrazione presso il Tribunale di Roma

Redazione

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Potete leggere e scaricare in PDF tutti i numeri di

suwww.lafarfalla.org

www.centrostellapolare.it

Associazione

Fondo lotta alla droga-Regione Lazio

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Le attività della Comunità diurna“Stella Polare”

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A cura della Redazione

Salve a tutti! Vogliamo illustrarvi quali sono le attività e le terapieche noi, ospiti del Centro Diurno, svolgiamo.

Frequentiamo il Centro dal lunedi al venerdi, dalle 9:00 alle 17:00.Il lunedì e il venerdì sono i giorni in cui siamo sottoposti agli esamifisiologici.

Il nostro percorso si divide in due fasi. Si entra in “osservazione e diagnosi”, cioè un periodo divalutazione/recupero/formazione durante il quale, una volta raggiuntideterminati obbiettivi, si passa alla seconda fase e si entra al CentroDiurno, ossia al programma vero e proprio.

La nostra giornata si divide in due momenti ben definiti: la parte terapeutica e le attività quotidiane.

La “Stella polare” è la nostra casa e noi la sua famiglia, e come ognicasa che si rispetti la dobbiamo migliorare, pulire, curare e vivere. A turno ci occupiamo di fare la spesa, dei pasti, delle pulizie, del giar-dino e dell'orto.

Tutte le mattine ci ritroviamo insieme per la colazione dove insiemeallo staff facciamo la programmazione delle varie attività della gior-nata.

Oltre ai suddetti momenti ci occupiamo di informatica, laboratoriomusicale, lettura e dibattito, autonarrazione e naturalmente del corsodi giornalismo.

Un giorno alla settimana viene dedicato all'aggregazione che consistenello stare insieme, spesso uscendo dal centro: visite ai musei, pas-segiate a cavallo, gite al mare o al lago, attivita' sportive. Sono mo-menti per noi di un importanza rilevante in quanto ci fanno ritrovareil significato dello stare insieme senza eccessi, godendoci cose sanee LUCIDAMENTE.

Ci sono poi le attività terapeutiche che consistono in colloqui indivi-duali, gruppi e psicoterapia. In qualsiasi momento possiamo ricorrereall'aiuto dello staff composto da più figure professionali.

La “Stella Polare” e' un centro semiresidenziale e quindi il venerdìinsieme agli operatori programmiamo le attività che svolgeremo sin-golarmente durante il nostro fine settimana e che saranno verificateil lunedì.

Svolgiamo inoltre un laboratorio di espressione teatrale due volte almese con l’Associazione La Farfalla.

In compagnia dei nostri simpatici conigli viviamo il nostro momentoalla ricerca di serenità e di equilibrio.

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Storie di redattori Mi chiamo Billy,sono al Centro Diurno da circa nove mesie sono entrato nel Programma Terapeu-tico di seconda fase.

Vivo l'aiuto del Centro come una sorta dipersonal trainer che ti indica e consigliasu ciò che devi o non devi fare, su ciò che

è giusto o sbagliato. Un padre normaleche ti indirizza e ti dice come funzionaquesta vita piena di difficoltà, aiutandotia sviluppare un comportamento che sibasa innanzitutto sul non frequentaregente negativa che ti porta a fare azioniillegali. La frequentazione del Centro e il

mio percorso mi stanno aiutando a capireche c'è gente giusta, che sa divertirsi le-galmente e in modo sano. Ho voglia di vi-vere questo momento perché credo chenon ricapiterà più. Qui il tempo è tempoprezioso da sfruttare il più possibile.

Mi chiamo Giancarlo,sono nato a Roma nel 1960. sono separatoed ho due figli, Alessio e Laura.

È la prima volta che frequento una Comu-nità. Mi trovo bene anche se mi manca illavoro, ma non potevo andare avanticome ho ho fatto per molto tempo nellamia vita. Ho sempre lavorato ma ho ca-pito che non posso ammazzarmi di lavoro

per un mese e poi giocarmi in due giornitutti i soldi che ho guadagnato. Ecco per-ché ce la metterò tutta in questo percorso,ma non per gli altri, per me stesso.

Ho iniziato a giocare alle macchinette a25 anni. All'inizio mi controllavo, poi an-dando avanti non riuscivo a fermarmi. Isoldi finivano e quando vincevo, quei

soldi vinti li rigiocavo perdendo anchequelli. Avevo contratto molti debiti ed hoperso tutto, la famiglia, i parenti e gliamici. Il gioco mi ha portato chiedere unprestito ad una finanziaria, ma quando laditta per la quale lavoravo chiuse ho ri-schiato il pignoramento della mia casache, dopo alcune vicende legali ho pas-sato ai miei figli.

Mi chiamo Puya,sono rumeno, nato a Bucarest il 7 settem-bre 1985.

Fin da piccolo ero molto vivace, addirit-tura mi ricordano che bucai un muro conil trapano a soli 5 anni e sempre a quel-l'età feci la cacca per terra sporcando imuri della stanza. Per mio padre ero unartista. Ero incontrollabile, insultavoanche i ragazzi molto più grandi di meche una volta, mi ricordo, per difendersi,mi tirarono un sasso e ancora oggi neporto i segni sulle labbra. Mio padre be-veva molto, tornava a casa e picchiavafortissimo mia madre che non stava beneera affetta da crisi ossessivo compulsive.Neanche mio padre stava bene. I miei ge-nitori infatti si erano conosciuti in unpspedale psichiatrico nel qual erano statiricoverati. Gli era stato vietato di aver re-lazioni e soprattutto di avere dei figli. Maloro non ascoltarono nessuno e così nac-quero cinque figli. Mio padre aveva unaforte depressione e mia madre terribili di-sturbi ossessivi. La nostra vita non era fa-cile. Mentre mio padre beveva senzalimiti, mia madre vedeva Gesù e parlavacon Dio, ossessionata dal controllo perse-cutorio degli altri. Intorno ai miei setteanni mio padre scappò e venne a vivere aRoma. Io rimasi in Romania con miamadre e mi ricordo giorni terribili. Qual-che anno dopo mio padre disse a mia

madre di accompagnare in Italia i due trai figli che creavano maggiori problemi.Fummo scelti io e mia sorella, di 8 e 11anni. Io avevo tanta paura di mio padre,mi ricordo che prima di partire per l'Italia,mia nonna materna, l'unica persona buonacon me, mi portò da una veggente che milesse il futuro con la tecnica del piomboe mi disse tante cose vere di me, passatee future. Inoltre la nonna mi diede dell'ac-qua dove fece bollire il piombo della di-vinazione e mi disse che avrei dovutobere l'acqua e mettere il piombo sotto alcuscino così che io smettessi di fare lapipì a letto ogni notte. Ma quando miopapà se ne accorse si arrabbiò molto, mibuttò tutto e io ripresi a fare la pipì peraltri anni. Quando arrivammo a Roma ri-cordo che mio padre salutò mia sorella einvece mi accolse con un fortissimoschiaffo in faccia, in quanto spesso loavevo offeso telefonicamente prima di ar-rivare. Il giorno che arrivammo a Roma,mia madre che ci aveva accompagnati,scoprì che mio padre viveva con unadonna. Scoppiò subito una lite terribilecosì il giorno stesso mia madre si trasferìda un amico di papà. Noi restammo a vi-vere con papà e la nuova donna. La rela-zione non durò a lungo in quanto, aseguito di tante liti, lei se ne andò. Cosìmio padre ricercò subito mia madre mascoprì che mia madre aveva intrapreso

una relazione con l'uomo che la ospitava,tanto che la scoprimmo a letto con lui.Questo per me è un ricordo ancora moltoforte. A questo punto mio padre rimandòmia madre in Romania e tornò con la suaex compagna. Furono anni molto duri perme, mio padre lavorava molto ed erastressato, beveva e ci picchiava. Sonostato picchiato ogni giorno e per ognicosa. Una colta mi picchiò perché non sa-pevo pregare in Rumeno. Fui bocciato inprima media, mio padre mi picchiò tan-tissimo perché lo avevo esposto ad unagrande vergogna e perché falsificavospesso la sua firma sulle note. Lo facevoperché avevo paura delle botte. Ripeteil'anno e proseguii il mio percorso scola-stico fino alla terza media. Mio padre mipuniva sempre, mi faceva stare ore ore edore in ginocchio ed io non mi alzavo mai.Avevo un amico del cuore che avevo co-nosciuto a scuola. Lui mi ha sempre aiu-tato, mi stava vicino ed un altro ragazzoche mi aiutò nei momenti difficili ospi-tandomi spesso a casa a dormire. Quandoiniziai la scuola alberghiera mia sorella sene andò di casa e io rimasi da solo conmio padre che nel frattempo aveva cono-sciuto un'altra donna con la quale si erasposato. A questo punto decisi di andarmeneanche io. Avevo 15 anni e già facevo uso di co-caina. Andai a vivere dal mio amico che miaaveva ospitato per dormire. (continua a pag.5)

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Storie di redattori Inizialmente la sua famiglia mi accolse con affetto, quasicome un figlio. Dopo un po' di tempo, però, questa fami-glia cominciò ad avere dei sospetti su di me. Io negai,ma non li convinsi e così fui allontanato da casa. Cosìandai a vivere in un posto letto che potevo pagarmi per-ché avevo iniziato a lavorare in un ristorante. Contem-poraneamente frequentavo la scuola e lo feci fino al terzosuperiore. Ma ero sfinito, tra il lavoro, la scuola e la so-stanza non dormivo più. Così decisi di tornare a viveredalla famiglia del mio amico e lì rimasi fino ai miei ven-t'anni. Continuavo a fare uso e anche a vendere la co-caina. La sostanza mi faceva sentire forte ed invincibilee mi permetteva di lavorare tante ore. Mi ritrovai cosìtanto denaro da poter aiutare mia madre ed anche mia so-rella. Di mio padre non avevo più notizie. Nel 2007 venniarrestato davanti al ristorante perché mi trovarono condel fumo. Rimasi in carcere solo due giorni, mi fecero ilprocesso per direttissima e fui condannato a sette mesidi reclusione con la pena sospesa perché ero incensurato.Questo mi costò il lavoro. Già da qualche anno avevo ini-ziato ad utilizzare l'eroina e fin dai 16 anni usavo lo sha-boo. Così diventai un poliassuntore, frequentavoregolarmente i rave e tutte le sostanze insieme riuscivanoa nascondere un malessere interiore terribile che mi por-tavo fin da bambino. Durante questa vita adrenalinica emaledetta ho frequentato di tutto, soprattutto le donne,ma solo quelle che facevano uso come me. Nel 2008 unmio amico d'infanzia mi consigliò di rivolgermi ad unSer.T per iniziare una cura con il metadone. All'inizionon riuscivo ad essere costante, aggiungevo il metadonealla sostanza. In quel tempo vivevo a casa di un mioamico che mi aveva affittato una stanza. Dentro di me ar-rivò forte la decisione di smettere così iniziai a prendereil metadone a dosaggi altissimi e in questo riuscii, tantoche fino ad oggi non ho più fatto uso di alcuna sostanza.Mi trasferii da casa del mio amico e presi parte all'occu-pazione di un luogo, oggi ormai chiuso, che si chiamava“Area ingovernabile”. Finita l'occupazione andai a vivereda mia sorella alla quale confessai tutto. Le dissi che mi

stavo curando e lei mi accolse. Iniziai in quel tempo lafrequentazione del Centro Diurno di Villa Maraini aRoma. A causa della frequentazione del Centro Diurnodovetti lasciare il mio lavoro di allestitore di palchi perconcerti, però mi venne incontro il proprietario di casadi mia sorella che mi risparmiò molti mesi di affitto. Ilpassaggio successivo fu quello di decidere di entrare incomunità, ma in quel momento decisi di suicidarmi. Ten-tai il suicidio con gli psicofarmaci, mi buttai sotto lametro e feci altri diversi tentativi. Così mi ripresero e michiusero a Villa Maraini dove rimasi chiuso all'internodel CAD (Centro Arresti Domiciliari) per il tempo utilea trovare il posto in una Comunità. Dopo alcuni mesi en-trai in una Comunità residenziale a Vicenza. All'inizio fumolto difficile. Non riuscivo ad ambientarmi, così mi ta-gliai le vene. Tutti mi stettero molto vicino, forse queltentativo era da ricondursi ad un o scalaggio incontrol-lato degli psicofarmaci. Ero tanto fragile però non misentivo solo. Terminai il mio programma a Vicenza erientrai a Roma a casa di mia sorella. Decisi da solo, esenza consultare nessuno, di riprendere il metadone e ri-comincia da assunzioni altissime. Fu così che l'assistentesociale mi consigliò di fare un tentativo al Centro Diurno“Stella Polare”. Accettai, iniziai il programma e di con-seguenza un o scalaggio serio del metadone. Sono passatialcuni mesi ed ora sto bene, grazie ai colloqui. Grazie aicolloqui ho riscoperto delle emozioni e sentimenti co-perti da una vita difficile e da tanta terapia farmacolo-gica. Mi trovo bene con i miei compagni e credo che lorosi trovino bene con me. Ci aiutiamo tanto, mi piace anchelo staff degli operatori. Vivo sempre con mia sorella efrequento ancora gli amici d'infanzia, in particolare un odi loro che ha aperto un'attività di ristorazione e dove ioil sabato e la domenica trascorro del tempo e se serve doanche una mano. Sto riprendendo in mano la mia vita e,lentamente, anche i rapporti con i miei genitori che pur-troppo continuano a stare male. Le mie sorelle sono delledisperse per me, non ci siamo mai potuti incontrare.Chissà...

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La rivalutazione degli affetti attraverso il programma terapeutico nella Comunità

di Aimé

Mi chiamo Aimé e frequento la seconda fase delprogramma terapeutico nel Centro Diurno “StellaPolare”.

Al centro mi sono sentito al mio agio sin dal primogiorno, come in una famiglia. La mia famiglia na-turale pur troppo l 'ho “persa” a causa dell 'alcol.Sono entusiasta di frequentare il Centro, la volontàdi al lontanarmi dalla sostanza e cambiare vita èforte, so di potere farcela.

Da più di 11 mesi sono un alcolista sobrio e qui stomigliorando giorno dopo giorno il mio rapporto conme ed anche con la madre dei miei figli; devo direche sento migliorato anche il rapporto con il mondointero. Mi sento decisamente meglio anche perl’aiuto della terapia che sto prendendo; sento cheintorno a me le cose si stanno muovendo, non fre-quento più i vecchi amici dei bar, dei quali unavolta credevo di non poterne fare a meno. Addiri t -tura mi veniva più facile tradire la mia compagnache questi ultimi.Da quattro mesi a questa parte sto iniziando a ve-dere le cose con un ott ica tutta nuova. Arrivo ad af-frontare diversamente i problemi senza accusare oscaricare la responsabili tà del mio fallimento suglialtri . Oggi riesco a vedere la realtà dei fatt i , misono lasciato distruggere mentalmente e psicologi-camente da solo, condizionato dall’alcol. Sto attra-versando un periodo buio della mia vita ma atirarmi fuori , nonostante tutto i l male che ho pro-curato, è la mia piccola famiglia che nel bene e nelmale non mi ha mai veramente abbandonato. Sisono stretti intorno a me e a volte sento la voce diMonika che mi dice “resist i , non abbandonare i lpercorso, pensa ai tuoi figli , io non t i ho fattonulla, ho fatto solo la cosa giusta per tutti noi”. Ecosi sento l’amore della mia famiglia che cresce ela vita affettiva che diventa profonda.

In passato non credevo alla comunità, ma per fareun buon lavoro è importante riconoscere e analiz-zare in profondità, insieme ai professionisti, il pro-pr io vissuto per capire le cause del disagio efavorire la consapevolezza che mi potrà portare aduna maggiore conoscenza dei miei bisogni e ad unpossibile cambiamento. La sofferenza del mio sti ledi vita, da anni mi impediva di aver una vita so-ciale e relazionale soddisfacente. Neanche la na-

scita dei figli , che a volte può rappresentare un po-tenziale cambiamento, è stata utile. Per me è stataor igine di l it igi e confli t t i che hanno messo a re -pentaglio la stabilita dei rapporti e minacciato l’in -tegrità della mia piccola famiglia. Quindi al Centro“Stella Polare” sto cercando di superare questo mioproblema creatosi con l’abuso dell'alcol e costruireun momento di confronto, di crescita per l’avviodei miei nuovi equil ibr i e soprattutto per i mieifigli. Spesso sento dire che i bambini, quando sonopiccoli , esprimono i l proprio disagio, la propriasofferenza e l’ansia attraverso manifestazione dicollera e irri tabil i tà, quindi sono disposto a tuttoper non aggravare la loro condizione.

La separazione dalla mia famiglia è stata dolorosaanche per i l fatto di aver interpretato in modo er-rato la notifica del tribunale dei minori: sospen-sione della potestà genitor iale e a llontanamentodell’abitazione, dando alla madre l’affidamentoesclusivo. Ma so di poter riappropriami di mestesso, del mio io, affrontando sentimenti di solitu -dine e di responsabil ità senza più proiettare colpee rivendicazioni, anche se questa separazione hafatto emergere in me sentimenti di rabbia e ama-rezza che mi impedivano di essere in contatto conla sofferenza che ho procurato ai miei cari.

Solo l’elaborazione di ciò che ho perduto e l’accet -tazione della mia nuova si tuazione può essere l’ini -zio di un vero cambiamento di vita; saper coglieranche da un'esperienza dolorosa energia e capaci -tata potenziali per andare avanti….. ovviamentecon l’aiuto degli specialist i del Centro.

Una testimonianza sul cambiamento che si costruisce giorno dopo giorno

Dalla Redazione...

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Sono circa 10 mesi che mi trovo al CentroDiurno “Stella Polare” e nonostante cisiano molte difficoltà sto riuscendo ad an-dare avanti. Per affrontare le problemati-che quotidiane sono aiutato molto daglioperatori del Centro e, parlando con glioperatori, ho capito che dovevo occupareil mio tempo libero fuori dal Centro condegli hobby, attività che veramente mi do-vevano piacere, che mi facevano tenere latesta occupata e che mi davano anche unpo’ di gioia, che mi scaricavano un po’ dirabbia.

Attraverso alcuni colloqui ho capito chequesto hobby doveva essere il pugilato, losport che ho praticato da quando avevo 16anni e che poi, con l’arrivo della sostanzae con la vita sballata, ho lasciato.

Quando presi la decisione di ricominciareil pugilato feci dei colloqui con i mieioperatori perché volevo andare in palestrama mi vergognavo del mio aspetto fisico.Entrando al Centro “Stella Polare” infatti,smisi di fare uso di sostanze e mi ingras-sai di venti chili! Con l’aiuto dello staffriuscii a superare queste paranoie, a farmiforza e il 1 settembre ricominciai ad an-

dare in palestra.

Tornai alla mia vecchia palestra e sia i ra-gazzi che i proprietari mi chiesero comemai mi ero ingrassato cosi tanto, però allostesso tempo mi dissero che avevo unafaccia più rilassata e di questo ne ero con-tento! Il corso di pugilato era condotto daun signore che non conoscevo, un uomotutto di un pezzo e io ero molto titubanteanche perché era molto rigido e allorapensavo che sarei durato poco.

Man mano che andavo in palestra pren-devo confidenza con tutti tranne che conlui. I ragazzi mi chiedevano che lavoro fa-cevo e io andavo in difficoltà, poi parlaidi questo argomento in Comunità e cosìriuscii ad affrontarlo, e a dire a qualcunodella palestra che frequentavo una Co-munità. Non mi sentii giudicato, anzi,dato che qualcuno si ricordava di me e dicome ero stato in passato mi disse chestavo meglio. I mesi passavano e io co-minciavo a prendere un po' di confidenzacon il mio istruttore, correvo con altri ra-gazzi prima di allenarmi e questo mi aiutòa dimagrirmi. A novembre organizzammouna cena con i ragazzi della palestra e

venne anche l’istruttore. Cominciai a ve-dere quell’istruttore severo e tutto di unpezzo molto tranquillo e scherzoso. Ci sipoteva anche parlare perché capiva. Ini-ziammo ad entrare in confidenza e ungiorno, parlando, gli dissi che stavo inComunità. Il nostro rapporto divenne piùsciolto e diventammo amici.

Ho scoperto che il mio istruttore è unapersona che mi capisce. Nel periodo diNatale gli avevo detto che il sabato pome-riggio e la domenica non sapevo che fare.Da quel giorno il sabato mi fa allenareall’eur, nella palestra dove si allena lui ela domenica mi porta ad allenarmi alla pa-lestra del figlio. In questo modo mi haaiutato a superare i momenti di noia, mista aiutando a rimettermi in forma e mi hafatto riscoprire un hobby che avevo la-sciato molto tempo fa. Ora questo sport èdiventato nuovamente importante perchémi occupa cinque giorni alla settimana eperché mi scarica dalle tensioni.

Ora con il mio istruttore ho un bel rap-porto, infatti gli mando il buongiornotutte le mattine!

L’aiuto dello sportOccupare il tempo fuori dalla Comunità in maniera sana

per superare disagi e difficoltàdi Graziano C.

Cercando l’equilibrio

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Cercando l’equilibrio

Sì, forse oggi come non mai e un po' dipiù, posso parlare di un nuovo equilibriointeriore. Non ne avrei mai potuto parlareprima di adesso in quanto non avevo laminima idea di cosa fosse. O perlomenopensavo di averne, benché non avessinessun tipo di conoscenza di me stessa.

Sono arrivata ad avere più consapevo-lezza di me nel momento in cui ho comin-ciato a conoscermi nei miei sentimenti,ovvero a riconoscerli, capire come e per-ché reagivo in un determinato modo e aviverli in maniera totale. Oggi riconoscoe dico grazie alla mia famiglia, soprattuttoed in particolar modo alla mia caramamma. Dal momento in cui lei ha sco-perto della mia tossicodipendenza mi èstata ancora più vicina. Ha cercato invanodi farmi capire che avevo bisogno d'aiuto,ma quell'aiuto io l'ho sempre rifiutato acausa della mia presunzione, non mi sen-tivo una tossica. Negandolo a me stessapensavo che gli altri non se ne potesseroaccorgere. In realtà non era così. Miamadre ha cercato all'inizio, per il grandeamore che aveva per me, di essere miacomplice perché aveva paura di una miareazione negativa. L'ha nascosto per annia mio padre, mentre da mia sorella, cheaveva ben chiara la situazione, mi coprivadicendole che mi stavo riprendendo, manon era così.

Durante la mia tossicodipendenza ci sonoalti e bassi. Quando infatti tentavo da soladi riprendermi sembrava che mia madrerinascesse, ma puntualmente – e giusta-mente – mia sorella le metteva la realtà difronte, dicendole che non poteva andareavanti solo con le speranze, ma che biso-gnava intervenire in un altro modo, inmodo concreto. Mia sorella arrivò alpunto di interrompere i rapporti con me,disposta a riaprirli solo se mi fossi decisaa farmi curare. Nonostante mia madrenon ne parlasse con nessuno, sostenevada sola quel dolore provocato da una fi-glia malata che si abbandonava a sestessa. Quante preoccupazioni le ho dato,quanta paura ha avuto, quanta energia eanni della sua vita le ho portato via, to-gliendole la serenità. L'ho fatta solamentesoffrire. Ha dovuto sopportare e subireanche i miei comportamenti ambigui eaggressivi che nel corso degli anni ho svi-luppato, soprattutto le mie bugie e i primifurti che ho commesso a causa della so-stanza. Non avrei mai voluto che andassea finire così ed oggi ne pago le conse-guenze portando il peso della vergogna dime stessa e carica di sensi di colpa neiconfronti della mia mamma e di tutti co-loro che hanno voluto bene.

Si arriva comunque, nel corso del tempo,a bruciare tutto ciò che è intorno a te. Perdiverso tempo ho vagato come un lupo

solitario, mi faceva compagnia solo la so-stanza. Non avevo più amici di nessuntipo e man mano la mia famiglia diven-tava sempre più rabbiosa nei miei con-fronti. Quando anche mio padre è venutoa conoscenza del mio problema inizial-mente ha provato ad esortarmi ma quandoha visto che non ne volevo sapere più ditanto mi ha messo alle strette. È passatocosì ai fatti, imponendomi delle condi-zioni ben precise, mi ha chiesto cosa vo-lessi fare della mia vita e che era ilmomento di fare una scelta. Due piedi inuna scarpa non li potevo avere. Lui, comemia sorella, ha voluto interrompere i rap-porti.

Oggi ho deciso di prendermi cura di me,affinché, riacquistando la mia dignità, ilmio rispetto e la mia stima posso ripren-dermi quei pezzi mancanti che mi servi-ranno a ricostruire la mia vita. Ed eccomiqui a “Stella Polare”, a 43 anni rimetto indiscussione nuovamente la mia vita e ilmio passato. Mia sorella e mio padre sonopiù contenti e sereni per me. Si sono riav-vicinati per sostenermi in questo percorso“salvavita” e fanno il tifo per me. Pur-troppo oggi non posso dare queste soddi-sfazioni alla mia cara mamma perché nonc'è più, ma so che da lassù mi guarda, ve-glia su di me e sorride perché sa che oggiho voglia veramente di cambiamento

L’aiuto degli affett iPer ritrovare il proprio equilibrio è importante anche la presenza delle persone che sono accanto a noi

di Maddalena

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Cercando l’equilibrio

È molto difficile il lavoro di ricostruzione di una vita segnatadal dolore e dall'autodistruzione psicologica e fisica di una per-sona che ha usato l'eroina. Cambi il tuo modo di essere con testessa e con gli altri. La realtà in cui vivi non ti piace. La perce-pisci faticosa, incolore e insapore. L'eroina è la tua coperta diLinus, ti copre, ti scalda, ti nasconde da questa realtà. Questa èstata la mia storia per 33 anni.

La persona che si disintossica, fisicamente sta bene, ma a livellopiù profondo vive un vuoto enorme. La fede ha riempito il miovuoto. Avere un rapporto con Gesù ha dato un senso alla miavita, anche perché si tratta di un modo di vivere cristiano com-pletamente controcorrente rispetto al mondo nel quale sono vis-suta. Un mondo basato sull'egocentrismo e sul raggiungimentopatologico del successo. Si pensa che la fede sia teoria e la genteha bisogno di qualcosa di pratico e di visibile, ecco perché citante immagini e tante statue di santi che vengono toccati, ba-ciati, nella speranza che esca qualche fluido magico. Ma la fedenon si vede e soprattutto non si tocca. Gesù diceva al popolod'Israele: “Voi avete visto e non avete creduto, beati quelli che

non vedranno e crederanno”. Io sento che si riferiva a noi.

Gli uomini dimenticano spesso che esiste una stretta correla-zione tra ciò che crediamo e come viviamo. Certamente se ci li-mitiamo a riempirci il cervello di teologia che non trova maiespressione in una santa condotta di vita, le persone hanno ra-gione a scuotere la testa di fronte al nostro comportamento. Sa-rebbero per l'appunto le nostre azioni a sollevare il loro biasimo,poiché essi non possono vedere la nostra dottrina ma solo il no-stro stile di vita. L'apostolo Matteo diceva: “Dall'abbondanzadel cuore parla la bocca – l'uomo buono dal suo buon tesoro traecose buone e l'uomo malvagio dal suo malvagio tesoro trae cosemalvagie”.

Io sto cercando di essere più coerente possibile a livello cri-stiano, certo la strada è lunga e non si è mai arrivati alla meta.Ogni giorno mi devo fare questa domanda: oggi da che partevoglio stare? Ricercare la serenità, avendo come punto di rife-rimento l'esempio di vita di Gesù Cristo. Ecco il mio messaggioper me e per chi mi sta accanto.

di Marishine

L’aiuto del la FedeLa persona che si disintossica, fisicamente sta bene, ma a livello più profondo vive momenti di vuoto enorme.

La fede ha riempito il mio vuoto

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Le interviste... a cura della Redazione

Tra pensieri e sentimenti

Qual è il tuo ruolo e quali sono le tue mansioni all'in-terno della comunità?Il mio è un ruolo abbastanza complesso perché io sonouna psicoterapeuta e quindi in realtà mi occupo di tera-pie. In questo momento storico però all'interno del Cen-tro Diurno il mio è un ruolo di coordinamento. Questosignifica che verso l'equipe e lo staff ho un ruolo rac-cordo, di verifica, di controllo e di gestione affinché tuttovada bene. Per quanto riguarda il Centro e gli ospiti dellastruttura, io sono un operatore come gli altri, anche senella posizione che ricopro ho un ruolo molto normativo,gestisco le conflittualità e mi occupo di valutare gli scon-finamenti o comportamenti non adeguati alla strutturacercando di gestirli e ricondurli. Naturalmente lavorocon una equipe, quindi ogni decisione viene concertatainsieme ai miei colleghi.

Come sei approdata nel tuo lavoro ad occuparti di tos-sicodipendenza?Io lavoro in questo campo da tanti anni. Quando ero piùgiovane ho iniziato facendo un tirocinio. Devo dire chequesto settore non era il mio interesse principale, avevoiniziato in un DSM (Dipartimento di Salute Mentale ndr)per poi passare in una Cooperativa che si occupava ditossicodipendenza. All'inizio ero molto spaventata, mada tirocinante iniziai a vedere come funzionavano leunità di strada che sono dei servizi detti “a bassa soglia”.Significa che si tratta di servizi ai quali possono accederepersone alle quali non viene chiesto di intraprendere unpercorso terapeutico specifico. Nelle unità di strada,come accade oggi, distribuivamo siringhe sterili e profi-lattici. Per me che ero laureata in psicologia, con il desi-derio di proporre soluzioni a stati di malessere, quella fuuna grande lezione di umiltà perché capii subito che lacura non poteva essere coatta. Quello fu il mio primo ap-proccio alla tossicodipendenza e successivamente iniziaia lavorare nel campo della riabilitazione.

Cosa pensi di chi decide di intraprendere un percorsoper curarsi?Provo un grande rispetto. Mi viene da pensare che nellavita di queste persone c'è stata tanta sfortuna. Forse,ognuno di noi, se messo nelle stesse condizioni, nellestesse famiglie, nelle stesse dinamiche sociali, avrebbecorso gli stessi rischi. Oltre al rispetto c'è un senso di so-lidarietà. A volte penso che certe esperienze che lorohanno vissuto siano state profondamente ingiuste equello che voglio qui al Centro è costruire un ambienteche sia rispettoso, tollerante, ma che sia anche in uncerto senso genitoriale. Che queste persone possano spe-rimentare in qualche modo il valore di una famiglia sana

con i suoi equilibri, basandosi sul rispetto reciproco alfine di conoscere nuovi modi di comportamento e poiesportarli nella propria vita una volta usciti dal Centro.

Nella tua visione terapeutica il pensiero ha un ruolofondamentale. Ci puoi spiegare il rapporto tra pen-siero e sentimenti?Io sono una terapeuta cognitivo-comportamentale equindi il mio approccio è legato a questo elemento cheavete individuato nella domanda che mi avete rivolto.Nella mia esperienza mi sono molto avvantaggiata diquesto approccio perché ho visto che le persone capi-scono, imparano e poi cambiano. Tutti noi sappiamo chel'emotività è una cosa molto importante ma la colle-ghiamo ai fatti. Ad esempio: tizio mi ha risposto male eio mi sono arrabbiato. Questo in realtà è un errore perchél'emotività non è prodotta dalle cose che ci capitano maè prodotta da quello che noi pensiamo di quelle cose. Peresempio, se qualcuno mi risponde male ed io penso chequesto sia accaduto perché quella persona sta male o viveun momento di difficoltà o sia semplicemente maledu-cata, questo mio pensiero mi dispone verso quella per-sona in modo differente rispetto al fatto che io possapensare che quella persona mi risponde male perché mivuole male. Credo che questo sia un principio terapeuticoche, una volta capito, può aiutare una persona a diventaremolto più padrona della propria vita, riuscendo anche acontrollarsi.

Intervista a Stefania Sciortino, psicoterapeuta e coordinatrice del Centro Diurno “Stella Polare”

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Ti è mai capitato di investire tanto sul programma te-rapeutico di una persona e poi di rimanerne delusa?Si, mi è capitato. Non di rimanerne delusa, ma di rima-nerne sconfortata e triste. Mi è capitato con Marco,Marco Liberini, un ragazzo che ha frequentato il Centroper tanto tempo. Si è messo a mia disposizione, ha chie-sto aiuto. Io ne ho sentito il disagio e la precarietà e hoprovato molto ad aiutarlo, in qualche modo ad allonta-nare anche il pensiero di morte che sapevo faceva partedi questo gioco. Decidemmo con alcuni colleghi di man-darlo in un'altra struttura, ma Marco è morto ugualmentepoco prima di entrarci. Per me e per i miei colleghi èstato molto, molto doloroso. È stato difficile accettare lamorte ed accettare che nonostante tutto il buono che noipossiamo fare le persone a volte non ce la fanno. È statodifficile confrontarsi con il senso d'impotenza di frontea dei limiti che abbiamo anche noi terapeuti. È stato undispiacere fortissimo e quando penso a Marco il doloreè qualcosa di tangibile.

Il tuo essere così chiara ed autorevole è proprio deltuo carattere o fa parte del ruolo che ricopri all'in-terno della struttura?Mi fa tanto sorridere questa domanda! Posso dire chequello che noi siamo lo portiamo a lavoro. In realtà noinon possiamo bluffare e fingere. Nessuno dei miei colle-ghi lo fa, ognuno è come lo vedete. In realtà il ruolo che

ricopro ce l'ho perché in realtà io sono così. Onofrio Ca-sciani, che è il nostro capo, mi ha sempre incoraggiata,ma indubbiamente riesco a svolgere con più facilità ilruolo che ho nella struttura perché ho questo carattere ri-spetto ad altri. Significa che il ruolo si sposa con il miocarattere e quindi non fingo. Se fingessi, le persone cheho davanti se ne accorgerebbero, forse non sarei credi-bile.

Qual è per te il valore del segreto?Per me il valore del segreto è altissimo. Io sono la cu-stode di cose inenarrabili. Mi sono state raccontate coserelative a comportamenti e fatti subiti o realizzati chesono anche oggetto di reati. La cosa che protegge un te-rapeuta è il segreto professionale. Quello che racco-gliamo sono cose che meritano il massimo rispetto edunque le vincoliamo ad un segreto. Certo è che il se-greto professionale si interrompe nel momento in cuiuna persona comunica che vuole realizzare un reato. Alivello generale il segreto è importante ma a volte si puòessere vittima dei propri segreti. Le persone che incon-tro, molto spesso conservano segreti che ritengono indi-cibili. Ma qui non c'è nulla che può essere tacciato comevergognoso. Esprimere un segreto che ci si porta dentroaiuta ad elaborarlo, soprattutto quando, come moltospesso accade, è legato ad eventi o fatti dolorosi.

Le interviste...

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Approfondimenti

Il gioco d’azzardoIntervento di Claudio Dalpiaz sul tema del gioco e dei comportamenti patologici ad esso correlati,

un fenomeno sempre più diffuso soprattutto in tempi di crisi economica

Negli ultimi anni la disponibilità dei gio-chi d’azzardo è aumentata vertiginosa-mente, ed anche il panorama dei nostriterritori è oggi trasformato dalla prolife-razione di sale gioco in stile Las Vegasche progressivamente si accaparrano lospazio degli spazi di produzione e com-mercio che chiudono per via della crisi.

Una crisi che però non sembra toccare ilmercato del gioco: preso nel suo insiemeil “sistema azzardo” è la terza impresa ita-liana dopo Fiat ed Eni. Nel 2012 il girod’affari legale ha sfiorato i 100 miliardidi euro e si stima che nel mercato illegaledell’azzardo circolino altri 50 miliardi dieuro. I soldi del gioco fanno gola allemafie, tanto che nel rapporto pubblicatoda Libera nel 2012 si sottolineava il coin-volgimento di più di 40 diversi clan in at-tività legate all’azzardo. E’ notizia diquesti giorni il sequestro di un sito inter-net illegale che proponeva gioco d’az-zardo ed era nelle disponibilità deicasalesi. Sappiamo per testimonianze di-rette e per notizie giudiziarie che le 400mila slot installate in Italia sono forse sot-tostimate: in molti luoghi sono gli stessiclan ad imporre ai gestori l’installazionedi apparecchi che spesso sono scollegatidalla rete telematica di controllo, gene-rando profitti incommensurabili.

Attualmente, il gioco sta quindi diven-tando il business mafioso principale intermini di volume d’affari anche perchéle pene legate alle irregolarità ed ai reatiin materia di gioco sono risibili. Quasisempre, chi viola la legge in questocampo subisce unicamente delle sanzioniamministrative: irrilevanti per chi ha di-sponibilità economiche sconfinate che de-

rivano da comportamenti illeciti e tutt’al-tra cosa rispetto alle pene previste per iltraffico di droga e armi o per lo sfrutta-mento della prostituzione. L’ingigantirsidel sistema gioco è causato anche da unmeccanismo di espansione tipico dellebolle speculative: la necessità delle con-cessoniarie di reperire sul mercato i soldinecessari ad investire ha generato il pro-liferare di prodotti finanziari legati almondo del gioco e lo stesso Stato si vedecostretto a concedere allargamenti di mer-cato per garantire la redditività e quindila solvibilità delle aziende coinvolte. Unmeccanismo che in scala ridotta possiamoosservare in ogni piccolo esercente che,essendosi esposto con le banche peraprire o ampliare la propria attività, ogginon riesce a rinunciare all’installazione dislot machines o alla promozione e distri-buzione di altri giochi nel proprio eserci-zio commerciale, pena il fallimento.

Recuperare terreno e riconvertire un’eco-nomia del gioco che specula sulla situa-zione di crisi e sulla fragilità personale dichi (quasi 1.000.000 di persone in Italia)sviluppa forme di dipendenza legate al-l’azzardo non sarà cosa facile né imme-diata: è necessaria una ristrutturazioneculturale che, passando da un’informa-zione chiara ed esplicita, aiuti ognuno dinoi a riappropriarsi di nuovi modelli disocialità ed a difendere il proprio territo-rio, anche in una chiave politico-emanci-patoria, come è stato fatto nel quartire diSan Lorenzo con l’esperienza dell’Ex Ci-nema Palazzo (destinato a diventare unasala gioco, è stato occupato dagli abitantidella zona e trasformato in uno spazio so-ciale, in un laboratorio culturale che rendei cittadini parte attiva nella programma-

zione e nella realizzazione degli eventi).

Un’informazione chiara comincia dallaterminologia che usiamo: “ludopatia” èun termine confusivo che non va assolu-tamente utilizzato, si dice “gioco d’az-zardo patologico”, come da indicazioniche vengono dalla comunità scientifica edai sistemi di cura che in tutti questi annihanno studiato il fenomeno in crescita estrutturato programmi di prevenzione etrattamento. Come responsabile Area Suddel Progetto Orthos ho visto in questi annicentinaia di pazienti con forme di dipen-denza da moderate a gravi e questa espe-rienza mi ha consentito di espandere almia consapevolezza anche in merito alleripercussioni che questo fenomeno inge-nera a livello sociale: dietro ad ogni per-sona che gioca in maniera problematica opatologica c’è una famiglia, ci sono degliamici, o delle aziende e dei dipendenti, ele conseguenze di situazioni stressanti sulpiano relazionale, nonché i danni sul ver-sante economico si espandono a macchiad’olio nel tessuto sociale, alimentandofallimenti, separazioni, aumento di atti-vità illecite, disgregazione dei legami so-ciali, assenteismo, disturbi psicologici epsicosomatici, ed un degrado generaledella qualità della vita personale e sociale.

E come sempre, chi meno ha più paga: ilgioco d’azzardo si configura come una“tassa volontaria” che colpisce soprattuttole fascie economicamente più deboli dellapopolazione, vittime della quotidiana ca-techesi dei “Pacchi” (ma “pacco”, non si-gnifica anche “fregatura” nel linguaggiocorrente ?) dispensata dalla televisonepubblica…

di Claudio Dalpiaz - Psicologo e Psicoterapeuta del Centro Diurno “S. Polare”

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Come stai e com'è la tua vita adesso?Sto bene, diciamo che ho raggiunto un equilibrio che non avevo.La mia vita è cambiata radicalmente. È una vita normalissimafatta di bisogno di affetti che non avevo mai considerato prima,di lavoro e di buone e scelte amicizie fidate. Dopo molto tempovedo arrivare delle soddisfazioni. Bisogna saper aspettare eavere pazienza. La fretta fa sbagliare. I miei affetti sono un figliodi 15 anni, la mia famiglia e nuovi amici con i quali ho strettolegami all'interno del Centro. Vedo spesso mio figlio e con luiho un buon rapporto affettuoso.

Come è stato il tuo inizio del percorso?Il mio percorso percorso è iniziato quando avevo perso tutto,avevo tanti debiti con una banca, una finanziaria. Non era piùvita, addirittura non mi lavavo più, ero disperato. Incontrai Si-mone de Persis, il figlio di Furio, lo psichiatra del Centro, chemi consigliò un ricovero in clinica psichiatrica. Mi sentivo uncieco che cercava la strada. Mi fidai e iniziai a disintossicarmidopo un ricovero di due mesi. Poi entrai nel Centro “Stella Po-lare”. Il mio inizio nel Centro fu caratterizzato da una grandeapatia. Lì dentro nulla aveva un senso per me. Facevo tutto malee controvoglia. Non mi sembrava utile nulla.

Quale è stato il momento più difficile del percorso? Hai vistoricadere qualcuno?Ho visto persone ricadere e ho visto persone che nel ricaderesono morte. La ricaduta, spesso, su un fisico pulito e disintossi-cato può essere fatale. Durante il percorso anche io ho avuto unapiccola ricaduta con la sostanza che poi, letta con attenzione,era una comunicazione di ricerca di affetto.

In che modo e quanto ti ha aiutato il gruppo con il quale haicondiviso il percorso?Tantissimo e ancora oggi è così. Continuo a frequentare gliamici del gruppo. È fondamentale perché stimola ed aiuta a ri-conoscere parti di noi che non riusciamo a vedere. Molto spessoil nostro trascorso è fatto di isolamento ed auto isolamento. Chiha problemi di dipendenza tende ad evitare di affrontare i pro-

blemi e le questioni. Si entra in una modalità di chiusura che fasentire apparentemente più sicuri.

Come facevi durante il percorso a focalizzare i tuoi punti didifficoltà?Sono stato aiutato dagli operatori del Centro. Ma per me è statodifficile perché io ho evitato per molto tempo di incontrare glioperatori. È un processo molto lungo, richiede tempo per capirebene e centrare il punto. Però mi ha fatto bene. Ho seguito i con-sigli dello staff anche quando ho terminato il percorso.

Quali emozioni hai provato nel momento in cui hai ricomin-ciato a lavorare?Ho provato tante emozioni, diverse tra loro. Anche per il lavoroci è voluto un po' di tempo e mi sono dovuto confrontare con lapaura del giudizio degli altri. Non mi sentivo in grado di farecerte cose, ero sfiduciato, lentamente le cose sono andate sempremeglio. È un po' come un allenamento...

Visti gli strumenti che hai acquisito, come pensi di poter aiu-tare qualcuno che vive una condizione che tu hai attraver-sato?Mi capita di incontrare persone con problemi di dipendenza. Iosono molto diretto e chiaro da quando sto bene. Se mi capita diincontrare qualcuno non evito più di dire la mia. Mi rendo contoche è un comportamento spesso duro e difficile da accettare.Quindi parlo in faccia direttamente.

Ti capita di avere paura di ricadere in vecchi comporta-menti?La paura ti deve accompagnare per tutta la vita. Altrimenti seifottuto.

Cosa vorresti per il tuo futuro?Penso che ognuno debba perseguire i propri sogni, a prescinderedal fatto che si possano o meno realizzare. Mi auguro di viverebene, senza pensare a grandi eventi, ma cercando di realizzarepiccoli obiettivi alla volta.

Le interviste...

Ora guido ioa cura della Redazione

Intervista ad Alessandro, un uomo che ha frequentato il Centro “Stella Polare”e che oggi è tornato alla sua vita con una nuova e ritrovata consapevolezza di sé

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Dalla Terza fase...

La mia uscita dal CentroAvere i miei spazi fuori, coltivarli e portarli avanti mi fa stare bene dentro

di Maurizio AndreacchioSono passati quattordici mesi da quandosono passato in terza fase. Con molta sin-cerità devo dire che si è trattato di un pe-riodo non indifferente, in alcuni momentianche di enorme difficoltà. Credo però diaverlo attraversato con molta umiltà, gra-zie agli strumenti acquisiti durante il miolavoro al Centro Diurno e con una diversapresa di coscienza e responsabilità ri-spetto agli eventi che mi accadevano in-torno.

Questo, fino ad ora, è stato possibile per-ché sono sempre stato in contatto con mestesso, senza dimenticarmi mai chi sono.Purtroppo, in passato, mi è spesso capi-tato di dimenticarmi chi ero e sistemati-camente ricadevo. Quella che hofrequentato è stata infatti la mia terza co-munità. Vorrei soffermarmi su un punto,su una mia riflessione. Le Comunità cheho frequentato in passato erano comunitàresidenziali, cioè “chiuse” a differenzadel Centro Diurno “Stella Polare” che èuna comunità semi – residenziale. Eccoperché credo che la mia uscita da questoultimo programma sia sta un po' menotraumatica del passato.

Nelle precedenti esperienze comunitarie,finito il programma ero stato catapultatoin una realtà “a me sconosciuta”. In treanni chiuso (tanto erano durati i miei per-corsi), tante cose erano cambiate e l'im-patto con il mondo esterno era stato molto

forte. Durante il mio ultimo percorsosono sempre stato a contatto con il mondoesterno. Entravo alle 9.00 e uscivo alle17.00, il fine settimana potevo passarlo acasa. Questo mi ha aiutato molto. In pas-sato pensavo che per stare bene, dovessecambiare tutto ciò che stava fuori di me.Ma ero io sbagliato, ero io che dovevocambiare modalità di approccio e intera-zione con il mondo esterno. Ho quindi la-vorato su me stesso, grazie all'aiuto deglioperatori, al fine di poter costruirmi unavita DIGNITOSA e così, da quando hoterminato il mio programma, tutto il la-voro che ho fatto mi ha dato una forza in-teriore non indifferente.

Oggi quando mi succede qualcosa, invecedi prendermela con gli altri, cerco di ca-pire dove ho sbagliato. E devo dire che inquesto ultimo anno di batoste ne ho presetante... Ma a differenza del passato,quando certe situazioni mi facevano sen-tire in diritto di avere comportamenti sba-gliati facendo uso di droghe e alcol, oggimi fermo, ragiono e non accetto di subiree farmi male.

Questo per me è importantissimo perchéio avevo una pessima opinione di me ecredevo che il mondo esterno ce l'avessesempre con me. In poche parole mi sen-tivo una VITTIMA degli altri, ma conumiltà ho ammesso di essere stato vittimaprima di tutto dei miei errori. Ecco perché

andarli ad affrontare e prenderne co-scienza ha significato fare qualcosa diconcreto affinché tutto ciò non mi ricapiti.

Oggi cerco di analizzare ciò che mi suc-cede intorno, parlandone, senza tenermifardelli dentro, cercando un dialogo congli altri pronto ad accettare anche le criti-che che mi vengono fatte. Per stare beneho imparato nel mio percorso a stare benecon me steso. In passato venivano primala famiglia, la donna, il lavoro e di menon mi ricordavo mai. Oggi non è piùcosì, mi metto al primo posto, e così fa-cendo riesco ad affrontare tutto ciò che mista intorno consapevole di dove sono.

Aver raggiunto questo obiettivo è per meun motivo di grande orgoglio, soprattuttoperché la dipendenza affettiva è stato permolto tempo il mio cavallo di battaglia.Avere i miei spazi fuori, coltivarli e por-tarli avanti mi fa stare bene dentro. Oggi,nella società, solo io posso essere attoreprincipale o carnefice della mia vita, esono consapevole che la percezione di ciòche succede intorno a me nasce dalla miavolontà, nel bene e nel male. Con questaconsapevolezza sono uscito dal Centro.

Sopratutto ho capito quanto è rischiosoesaltarsi o deprimersi per momenti belli obrutti. Come ho imparato al Centro, tuttoha un inizio e tutto ha una fine.

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Dalla Terza fase...

Tra le capovolte del tempoCerco di recuperare il piacere di vivere e la mia risata ed insieme a questo il desiderio.

Desiderio che spinge una vita e la muove.

di Valentina B.Sono uscita da due settimane e il temposi è dilatato. Come non sia quella cosaretta che scorre inevitabilmente in unasola direzione lo sto sperimentandoadesso. Il tempo a volte denso contorto ècambiato. Non più contenuto in una strut-tura che dalle nove alle cinque mi accom-pagnava nella sua scansione mi ritrovoora ad esserne padrona. Non esageriamo.A gestirlo. E sono tante le capovolte chequesto tempo fa. Giocare con il passato inun continuo tira e molla, anticipare futuroe accelerare conseguenze e così mi sem-bra che il presente un poco si nascondadietro tutti questi trucchetti.

Nell’ancorarmi al passato e mettere inatto regressioni che mi riportano ai mieimeccanismi di chiusura e isolamentovedo con lucidità l’estremo tentativo didifesa di un corpo che non vorrebbe cre-scere. Il mio problema principale è sem-pre stato questo: crescere. E non è solorifiuto quello che temo ma coinvolgi-mento, quella dose di caos imprevedibileche sfugge al mio controllo e mette ingioco emozioni e pensieri parole che fa-ticano ad uscire. Ma sono qui che lottocon il buono che ho imparato. Non mollo.Come se nell’improvviso confronto conil mondo esterno abbia bisogno di tutte lerisorse disponibili che in questi due annimi hanno aiutato a costruire un’immaginedi me sana. Perché i pensieri di svaluta-zione e le idee ossessive che mi fannosentire in qualsiasi luogo fuori posto nonabbiano il sopravvento. Quando lavoro a

volte la tensione è tale che devo rimanereferma e disciplinare il pensiero elabo-rando la mia ansia da perfezione e il miovoler controllare il mondo con un sorriso,ossia reagire con la solita compiacenzache sento stridere con il profondo di mestessa. Mi ripeto allora: ancora vuoi ap-parire a tutti i costi buona carina e brava?Per ottenere quali vantaggi? Amore? Gra-tificazione? Stima… tutte cose che misono mancate si ma che ora voglio stabi-lizzare ed essere in grado di darmi dasola.

Penso che Amarmi sia una parola enormeper me ma sono certa di non voler tornareindietro a soffrire come prima. E già que-sto è un grande risultato. Rispettare mestessa non usando sostanze, rimanendocon le mie piccole disperazioni e affron-tare i problemi che mi affliggono davent’anni è l’unica via. Ho dei buoniaiuti. Amici preziosi che mi stanno fa-cendo riscoprire il significato di una pa-rola che ho sempre avuto paura adusare:Amore e con i quali far crescere ilrapporto è una sfida e una prova per lamia costanza. I libri miei fidati che nellostudio incontro felice. Un nuovo rapportoda tentare con la famiglia. Riempire que-sti spazi che si sono aperti ed abitarli a mela prima settimana ha causato una speciedi horror vacui (paura del vuoto) che miha immobilizzato di fronte all’assenza.Ma come non c’è più nessuno a dirti cosafare, a incoraggiarti? Non sono riuscita ariappropriarmi delle mie cose e a far en-

trare in azione quegli strumenti preziosiche oltre la consapevolezza parlano difare. E questo ha lasciato spazio alle mieossessioni, ad un corpo che si vergognadi esporsi, all’insicurezza di sé. Cupezzache mi porta ad analizzare il rapporto conla mia memoria e di quanto essa sia selet-tiva ed emotiva.

Due anni di sfide di ricostruzione sonosembrati pallidi riflessi di fronte alla miaincapacità di rapportarmi con il mondo eal mio solito modo di reagire evitando.Poi però andando più in profondità mi ac-corgo che la questione è cambiata e ilconflitto nasce perché io ora so cosa èbene per me. Il non farlo genera il sensodi fallimento. E così non è un solito mododi comportarsi, ma un permesso che misto prendendo nei confronti del mio di-sturbo. Fragile pelle che cerca di diven-tare più forte esponendosi alle circostanzedella vita e alle persone. Ecco come misento. Cerco di recuperare il piacere di vi-vere e la mia risata ed insieme a questo ildesiderio. Desiderio che spinge una vitae la muove. Valori in cui esprimere ener-gia, trovare il canale. Che non sia uneterno oggi ,volto solo a mettere in tascaun’altra giornata, così non potrei soppor-tarlo.

Non parlo di uno scopo ma di qualche ap-proccio alla vita che dia senso al mio al-zarmi la mattina e che contempli la parolaamore e non più la parola paura.

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Laboratori

Da Novembre 2012, l’Associazione La Farfalla realizza due volte al mese con gli ospiti del Centro Diurno “Stella Polare” unLaboratorio di teatro ed espressione. Gli esercizi che caratterizzano il Laboratorio sono tecnicamente definiti “psicoattivi” enascono dal principio del gioco. Un gioco serio, con delle regole ben precise, ma pur sempre un gioco dove è lecito sperimentare:i propri limiti, il proprio corpo, le proprie capacità immaginative, il proprio rapporto con gli altri. Attraverso i giochi è possibilericontattare le proprie emozioni, le paure, le memorie. Esprimerle poi in un momento di condivisione alla presenza di terapeutied operatori per andarle a lavorare e analizzare. Il Laboratorio è diventato un momento importante per i partecipanti che hannoscelto di raccontare alcune sensazioni vissute durante questa esperienza.

Il laboratorio è realizzato dall’Associazione La Farfalla ed è condotto da Alessio Mosca e Paola Anelli con la collaborazionedi Nicolò Sorriga e la supervisione interna dell’educatrice del Centro Diurno “Stella Polare” Francesca Diori.

Teatro, espressione ed emozioni

In Comunità, il giovedì si fa teatro. È un'attività che smuovetante emozioni e ti fa lavorare sulle insicurezze.

Io, ad esempio, da quando facciamo teatro sto facendo tanta fa-tica a riconoscere le emozioni. Provo ad affrontarle, quindi cercodi avere più fiducia in me stesso! Sono ormai diversi mesi chefacciamo questa attività e qualche miglioramento l'ho trovato,

anche perché durante questa attività c'è uno spazio durante ilquale possiamo raccontare le emozioni che abbiamo vissuto.

Grazie al parlare delle emozioni sto riuscendo a fare quasi tuttii giochi del teatro. Certo, c'è voluto un po' di tempo perché al-l'inizio la vergogna mi faceva bloccare sempre.

Graziano

La prima volta che mi hanno detto che avremmo fatto un labo-ratorio teatrale, immediatamente ho alzato le antenne e si èmessa in moto la mia curiosità. Per quanto mi riguarda, da su-bito mi è piaciuto perché con i giochi che ci hanno insegnatosono stata catapultata nel mio mondo infantile. Menomale chemi ricordo di aver anche giocato e di essermi divertita! Per dirlabrevemente, in questo laboratorio teatrale è uscita la mia parte“bambina”. Che bello! Bello e affascinante sapere che, nono-stante i miei 43 anni, posso riscoprire come è emozionante rivi-vere quei momenti. Sarà la sindrome di Peter Pan? Ben venga,l'accolgo con tutta me stessa, perché anche questo mi aiuta asentirmi viva. La mia curiosità è stata, già dall'inizio, qualla dicapire il motivo dei giochi che ci suggerivano di fare. Per comesono fatta io, mi sono buttata quasi subito perché mi sono volutaaffrontare e soprattutto ho voluto vedere come funziono rispettoa me stessa e verso gli altri. Man mano che facevamo questi in-contri con Paola, Alessio e Nicolò, notavo come il sapersi la-sciare andare, affrontare la paura, la vergogna, il giudizio degli

altri e di se stessi, equivaleva a dire acquistare fiducia e stimain me stessa con grande soddisfazione. Per non parlare dellegrasse risate che mi sono fatta! Mi fa sorridere pensando ai mieimovimenti del corpo e al tempo stesso all'importanza di ciò chepuò comunicare. Mi ha lasciato sbalordita come la mia menteha sviluppato nuovamente la mia fantasia e creatività. Ho notatoanche la difficoltà di ogni singolo componente del gruppo, maman mano ho visto emergere come e quanto il coraggio di af-frontarsi aiuta a riconoscere quelle emozioni che tendono in ge-nere a bloccarti, a non lasciarti esprimere. Sono contentissimadi voler proseguire questa esperienza perché la mia curiositànon si ferma qui. Ho voglia, anzi, di rivedermi ancora bambinain tanti altri giochi che ci proporranno, ovvero in quei momentiche mi aiutano soprattutto oggi a crescere emotivamente e a sorridere, anche di me stessa!

Lo consiglio a tutti coloro che si giudicano e sono repressi nelleloro emozioni. Buttatevi! Il coraggio sostiene ognuno di noi.

Maddalena

L'impatto con il teatro non mi ha lasciato indifferente. Alcuni esercizimi hanno fatto rivivere delle forti emozioni del mio passato. L'eserciziosu come esprimere la paura mi ha riportato nella mia infanzia nella lon-tana Africa. Anche se ero molto piccolo i ricordi sono vivi in me: sen-tivo suonare le campane e qualcuno scappava dalle persone in camicebianco. Albert, un paziente dell'ospedale doveva essere portato in iso-lamento e veniva sempre a rifugiasi a casa nostra dove mia madre, cheera infermiera lo tranquillizzava. Poi veniva incatenato e portato conpianti e urli in un casotto. Io mi coprivo sempre il viso per la paura.Ogni tanto quando faccio il laboratorio teatrale rivivo ancora questaorribile scena. L'altro esercizio è stato la storia inventata su uno scia-mano. Si era parlato di un europeo che dopo tanti anni passati in Africadecide finalmente di tornare nel suo continente, ma prima di intrapren-dere il viaggio andò a salutare il saggio del villaggio che gli dette treoggetti misteriosi, dicendolo di farne buon uso. Strana coincidenza conla narrazione, quando mi sono cresimato a Roma, il mio padre spiritualemi aveva dato una bibbia, una 24 ore di pelle e una penna senza dirminulla anche se io desideravo altro. Questi regali non avevano nessun

significato, nessun valore per me, ma oggi quando ci penso forse labibbia era per l'equilibrio spirituale, la penna era la mia vita o gli studiche ero venuto a fare e la borsa era per portare in Africa l'esperienza divita acquisita in Europa. Oggi i tre oggetti si trovano in Africa e nonne ho fatto nessun uso. Per finire, il gioco sulla fiducia: quando vengoportato nello stretto, intendo nel corridoio del Centro, mi sento più omeno sicuro. Ma una volta tornato nel salone mi perdo, non ho piùpunti di riferimento. Proprio come accadeva in Africa quando navigavonel buio per i fiumi. Una volta entrati nel lago ci perdevamo quasi sem-pre e non lasciavo ad altri, anche se più bravi di me, di portare la barca,non mi fidavo. Soprattutto al ritorno trovare l'uscita del lago era un’im-presa, mi saliva l’ansia e la paura dentro questo ampio spazio. Nascon-devo e bloccavo bene le miei emozioni. Per miei amici ero moltocoraggioso ma dentro di me era un’altra cosa. Ho la sensazione oggiche nelle grandi piazze e metropoli mi manchino i punti di riferimento,marcisco e perdo il polo.Il teatro oltre a farmi divertire scava nel miopassato, nel vecchio continente Africano. Quanti misteri mi deve ancorarivelare... Aimé

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LaboratoriÈ stato un bel tempo questo del teatro. Mi ha dato la possibilità di espri-mere il mio essere. Le emozioni in me chiuse gelosamente piano pianocon vergogna i primi tempi e poi sempre più sciolte, le ho espresse anchegrazie all'aiuto di Alessio e Paola e dei ragazzi che erano nelle mie stessecondizioni emotive. Ci sono stati dei momenti in cui ho potuto esprimere il mio stato d'animosolo con il corpo; questo mi ha fatto capire quanto sia importante questo

linguaggio. Ci sono stati momenti nei quali, senza pensarci, durante unesercizio usciva fuori la mia emozione del momento e la cosa mi è pia-ciuta. Questa attività mi ha fatto prendere più confidenza con il mio corpo chea volte ho sentito molto lontano da me, sconosciuto e maltrattato. Ho avuto la possibilità di amarlo di più. Grazie per questo strumento chela mia comunità “Stella Polare” mi ha messo a disposizione.

Marishine

Una delle esperienze più piacevoli che ho incontrato nella Stella Polare,è il Teatro. Quando me ne parlavano all'inizio, credevo si trattasse di uncorso di recitazione o qualcosa del genere, non ne ero entusiasta, ancheperché i “giornalisti”, come li chiamiamo noi, non mi furono da subitosimpatici, devo ammetterlo. Quando cominciai a conoscerli come Paola,Alessio, Nicolò e non più come semplici giornalisti, cominciarono a pia-cermi.Il Teatro soprattutto è stata l'attività, da loro condotta, che ha contribuitoad avvicinarmi ad essi, sentendoli non più estranei ma amici che vengonoda noi per aiutarci con il loro lavoro.La prima esperienza di Teatro mi coinvolse molto, sentivo che mi facevabene e si poneva come alternativa ai gruppi statici che facciamo neglialtri giorni della settimana. Quello del giovedì, purtroppo ogni quindici giorni, è un appuntamentoatteso e desiderato, gli esercizi sono preparati con cura, sono gradevoli,a volte divertenti, suscitano allegria o sensazioni di dolce relax.Mi ricordano i gruppi, tantissimi, che ho fatto in passato, quando mi cu-ravo con la psicanalisi, che comprendeva appunto la terapia di gruppo.Erano gli anni settanta, quando, in seguito ad una grave crisi depressiva,la prima di tante, venni da Milano, dove lavoravo, a Roma. Ci venni per-ché c'era mio fratello che conosceva uno psicanalista molto bravo, e suoamico. Mi prese in cura sia al CIM che dirigeva, sia privatamente, cosìla cura era più che intensiva. Facevo due gruppi alla settimana, ero moltoattivo, ben stimolato, partecipavo con impegno, mettendo in campo,come altri, le mie emozioni che potevano essere rabbia, dolore, affetto,gelosia, frustrazione ecc.. Il rischio c'era, se nel gruppo facevo un buonlavoro, il benessere me lo portavo per una settimana, se andava male, ilmalessere mi seguiva fino al gruppo successivo. Oltre a vari esercizi,sempre sotto la guida del trainer che era lo psicanalista, a volte affiancatoda un co-trainer, sviluppavamo le dinamiche proiettando negli altri com-ponenti le proiezioni di persone che, all'esterno, facevano parte, influen-zandola, della nostra vita. In pratica, su indicazione del terapeuta,sceglievamo tra gli altri una persona in cui vedevamo una figura nota econ essa mettevamo in campo le emozioni che potevano essere di qual-siasi tipo. Ne poteva nascere una situazione amorosa, o di rabbia, o diodio, o di rifiuto. Nasceva una dinamica utilissima per il cammino dicura che avevamo intrapreso. Alcuni esercizi erano particolarmente pia-cevoli, rilassanti, gratificanti, la stanza in cui facevamo i gruppi era cir-condata da cuscini, su cui ci sedevamo, dopo esserci tolte le scarpe.Sicreava un'atmosfera piacevole, si entrava in contatto con i propri senti-menti, a volte con quelli degli altri, a volte era come se il gruppo fosseun'entità unica, con una sola anima, un solo respiro, un solo battito del

cuore.Ho tanti bei ricordi di quei gruppi, ci facevano crescere, nascevano al-l'interno storie che a volte continuavano fuori, ci portavano a fluttuarenell'irreale.Di tutta quella terapia, individuale e di gruppo, purtroppo non ebbi gio-vamento e la mia malattia, la depressione, me la porto ancora dentroanche se, in questi sette mesi di Centro Diurno, sto vedendo un po' diluce, e dalle grigie nubi del dolore vedo a sprazzi dei tiepidi raggi di sole.E comincio a credere che posso farcela, a liberarmi dalla mia malattia edalla mia dipendenza.Alla luce di questi ricordi, assaporo nel “ Teatro” del giovedì , il piaceredi venire in contatto con i miei sentimenti e le mie emozioni. Tutti gliesercizi sono piacevoli, il buonumore coinvolge tutti, il contatto fisico emorale con gli altri provoca sensazioni nuove, a volte inattese, ci met-tiamo in gioco, lasciando da parte l'imbarazzo e l'eventuale diffidenza,provando la gioia di essere non singole persone, ma una creatura unica,con un solo respiro.L'esercizio che maggiormente mi coinvolge, e credo sia così anche pergli altri, è quello della fiducia.Si tratta di mettersi a coppie uno di fronte all'altro, ed a turno uno chiudegli occhi, poggia il palmo delle mani su quello del compagno , e si lasciaguidare da quest'ultimo, nella sala dove vagano le altre coppie. Poi siscambiano i ruoli, chi prima guidava poi viene guidato.Al termine ognuno racconta la propria emozione, quasi sempre gratifi-cante.Un altro esercizio, divertente, è quello delle figure statuarie da creare, allequali tuttici aggiungiamo, fin quasi a creare una sola figura: un bell'esercizio difantasia, di coraggio.Sì, perché ci vuole anche coraggio, a mettersi in gioco, a far ridere, secapita, gli altri.Gli esercizi, alcuni sono i soliti, altri vengono aggiunti , fanno bene allospirito, ci sottraggono ai pensieri negativi, agli affanni quotidiani che ilmondo esterno ci dispensa.Certo, questi li ritroveremo fuori, quando il Teatro sarà terminato, ma ab-biamo tutti un po' di forza in più per contrastarli.Sarebbe bello se potessimo farlo tutte le settimane, ma bisogna accon-tentarsi.Chiudo dicendo grazie a Paola, ad Alessio, a Nicolò, per la luce e l'allegriache ogni volta ci portano. Vi vogliamo tutti bene ed apprezziamo l'impe-gno che ponete nella vostra opera, una vera missione, per aiutare tantepersone sofferenti ma decise a spezzare le catene del dolore.

Giuseppe

In circa tre mesi che sono qui al Centro mi sarà capitato di farelaboratorio teatrale quattro o cinque volte al massimo. Questo èdovuto anche al fatto che sono stato sospeso un paio di volte.L’impressione che ho avuto inizialmente non è stata propriodelle migliori. Sinceramente ho provato indifferenza e disap-punto, soprattutto sull’utilità di alcuni esercizi che richiedevanopartecipazione e coinvolgimento. Comunque, già dalla seconda volta ho provato a lasciarmi an-dare, a provare a partecipare ad alcuni esercizi che ho poi riva-lutato. Soprattutto mi hanno un po’ scombinato interiormente

come ad esempio l’esercizio sulla fiducia, sul guidare e farsiguidare da un’altra persona. L’affidarsi ad un’altra persona è per me la base di una societàper bene. Io vorrei potermi fidare del prossimo ma è una puraillusione in questa società dove tendenzialmente vince il piùforte, il più debole è sopraffatto e i cosiddetti furbi vanno avanti. La possibilità, almeno qui in Comunità, di potermi fidare diqualcuno, mi dà la speranza che qualcosa dentro di me possacambiare e soprattutto migliorare.

Gabriele

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In questo numero di Fatti Stupefacenti! abbiamo scelto di dedicare una pagina a chi ci legge. Potete utilizzarla per appuntarvi gli argomenti che vi hanno interessato, idee o commenti.

Fotocopiatela e inviatecela al numero di fax 06 68352953. Ci sarà utile ricevere il vostro parere e i vostri consigli per migliorare il nostro giornale!

I commenti dei lettori, le vostre opinioni, i vostri pensieri...

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Dalla prima pagina...

di Nicolò Sorriga

Arriverà, o forse no, anche per alcuniil tempo delle giuste misurazioni. Manon c'è niente di sbagliato in equilibriinteriori che sono precari o assenti.Manca qualcosa, in primis la centraturacon l'asse della vita, che non è poco,ma la vita è molto più generosa diquanto si pensi e lascia che si barcollianche a lungo prima di trovare unpunto stabile che ce la faccia re-incon-trare.

Cambiano anche i pesi da mettere suipiatti di queste bilance interne. Cam-biano, e di molto. Si può scoprire cheil peso dello sguardo di un figlio chechiede di giocare è infinitamente piùgrande rispetto al peso di una necessitàcercata di notte anche sotto la pioggiae la neve. Eppure quest'ultima, fino aqualche tempo fa sembrava la cosa piùimportante, l'unica. Ecco come cambiail punto d'equilibrio.

Su certi piatti non c'è più spazio percerti pesi perché sono diventati non mi-surabili, non necessari. Nuovi pesisono da sperimentare, ed è difficile. Avolte si va per tentativi, come quandosi mette il piombo di contrappeso su unpiatto della bilancia fino a trovare lamisura giusta, quella che lascia tutto inequilibrio e ci dice la cifra di qualcosa.

In questo numero del giornale si parladi questo, anche di questo. Dei pesi damettere sulle proprie bilance internedopo aver registrato e regolato i varimeccanismi. A rimanere in equilibrio cisi prova, con esercizio, pronti ad oscil-lare un po', ma si può scoprire molto.Si può scoprire ad esempio che met-tendo sul piatto una passione è difficilelasciarsi schiacciare da una voglia; cisi può stupire del tanto buono che vienequando la bilancia ha smesso di oscil-lare, dando un punto e una misurazione

utile per assaporare meglio la vita; ci sipuò anche impaurire, perché stare inequilibrio significa essere onesti e ab-bastanza spietati con se stessi. Non sista in equilibrio a forza, le leggi dellanatura e della vita hanno più peso dicerte furberie.

Leggendo queste pagine troverete sto-rie diverse e diversi pesi che hannoportato a raggiungere equilibri solidi,precari, in lenta evoluzione, o ancoradistanti dal venire. C'è comunque qual-cosa che si evolve, qualcosa che premeverso un meglio che a volte sembra unachimera. Non so se le bilance che tro-verete dentro Fatti Stupefacenti! torne-ranno a segnare misure oneste everitiere, queste sono scelte quotidianedove nessuno può mettere mano, ma sisappia che nessun braccio di bilancia èspacciato finché l'orizzonte continueràad indicargli la giusta posizione.

di Paola Anelli

Ed ora sono qui, in questo momento, a condividere questotema con gli ospiti di una comunità terapeutica. Il loro equi-librio è stato a lungo compromesso dagli eventi generati dal-l’uso delle sostanze. Quindi tutto più difficile, spesso alterato. Eppure in questocontinuo e doloroso saliscendi esistono dei tempi di riequi-librio delle cose.Quando questo si sperimenta è vitale imparare a mantenerel’equilibrio e per farlo ho visto utilizzare tanti strumenti,tante leve e tanti ponti per non cadere da quell’asse che sem-

bra non tenga conto della storia e non abbia reti di prote-zione. Ho visto la grande leva dell’amore per un figlio, per unpadre, per una compagna, la passione per lo sport, il deside-rio di stare bene per essere di nuovo scelti e felici.Forse le nostre nonne sbagliavano termine. Lo squilibrio èuno stato, un momento che nel cammino della vita tutti at-traversiamo e che possiamo recuperare e ristabilizzare nellanostra misura per poter rimanere sulla strada che abbiamoscelto di percorrere.

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è un periodico sulle dipendenze nato dal laboratorio editoriale Altri Giornali

che l’ realizza nel Centro Diurno “Stella Polare”

dal gennaio 2010.

è interamente composto daarticoli, scritti e pensieri realizzati dalle personeche frequentano la struttura e che si confron-

tano con tematiche legate alla dipendenza, ma non solo.

Punti di vista importanti perché appartengonoa persone che si sono confrontate o che stannoattraversando un percorso di guarigione e che

quindi possono offrire spunti di riflessione di comune utilità e attualità.

Potete leggere e scaricare in PDF tutti i numeri di

suwww.lafarfalla.org

www.centrostellapolare.it

Associazione

Fondo lotta alla droga-Regione Lazio

Per Info sui Proge , i Laboratori e le a vità dell’Associazione La [email protected]