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Orario di lavoro di dirigenti e quadri: le problematiche

di Gesuele Bellini - venerdì, 28 febbraio 2014 Il lavoro dei dirigenti e per alcuni aspetti dei quadri, si caratterizza per l’elevata professionalità e managerialità e viene svolto con autonomia decisionale, al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa; tra le peculiarità più rilevanti del rapporto, la disciplina dell’orario di lavoro subisce diverse deroghe a quella valevole per tutti gli altri dipendenti. Lavoro : Rapporto di lavoro : Orario di lavoro C. Cass. sent. n. 22003 del 2008 Corte Cost. Sent. n. 101 del 1975 C. Cass. sent. n. 12367 del 2003 C. Cass. sent. n. 13107 del 2003 Legge n. 370 del 1934, art. 1 D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 4 D.Lgs. n. 66 del 2003 art. 16

Disciplina generale dell’orario di lavoro

L'orario di lavoro, ai sensi della normativa vigente è definito come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni.” Nella carta Costituzionale, l’art. 36 si limita a stabilire che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite irrinunciabili, non ponendo limiti all’orario di lavoro ma rimandando alla disciplina legale la durata massima della giornata lavorativa; un ulteriore rinvio a leggi speciali e alla contrattazione collettiva della determinazione temporale della giornata e della settimana lavorativa viene sancito dall’art. 2107 c.c. La disciplina dell'orario di lavoro è stata regolamentata per lungo tempo dal R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692, convertito in Legge 17 aprile 1925 n. 473, che fissava in 8 ore giornaliere e 48 ore settimanali il tetto massimo di esigibilità del lavoro; la stessa norma si preoccupava di assicurare dei limiti anche al lavoro straordinario, rispettivamente in 2 ore giornaliere e 12 ore settimanali. Questa disciplina è stata soggetta a parziale revisione dalla Legge 24 giugno 1997 n. 196 che, in adesione alla prassi della contrattazione collettiva, ha posto un tetto all'orario settimanale di lavoro in un massimo di 40 ore settimanali ed in 8 giornaliere. E’ con il D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, emanato in attuazione delle direttive dell'unione europea n. 93/104/CE e 2000/34/CE, che nel modificare parte

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della disciplina della Legge n.196/1997, si introducono significative novità alla disciplina generale dell'orario di lavoro. In particolare, vengono abrogati tutti i precedenti limiti alle ore di straordinario giornaliero, settimanale, annuale, viene individuato per la prima volta il concetto di pausa giornaliera e viene introdotto il concetto di orario medio, la cui la durata deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi, che può essere dilatato con contrattazione collettiva fino a sei o a dodici mesi. L’orario di lavoro viene fissato in 40 ore settimanali, modificabile in senso riduttivo dai contratti collettivi ma con l’obbligo di riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno. All’art. 4 del D.Lgs. n. 66/2003 si sancisce la durata massima dell’orario di lavoro fissata volta per volta dalla contrattazione collettiva e che non può comunque superare mediamente le 48 ore settimanali, comprese le ore di straordinario. In realtà, non può darsi neanche una definizione rigida della “settimana lavorativa”, giacché si può considerare tale ogni periodo di sette giorni, con la conseguenza che i datori di lavoro possono far decorrere la settimana di riferimento a partire da qualsiasi giorno. Anche per il lavoro straordinario – inteso quello prestato oltre il normale orario di lavoro, cioè oltre la quarantesima ora ovvero oltre la minore durata stabilita dai contratti collettivi – viene disposta una specifica regolamentazione. Si stabilisce che in assenza di una disciplina collettiva applicabile, il ricorso allo straordinario è ammesso solo previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le duecentocinquanta ore annuali.

Orario di lavoro per quadri e i dirigenti La sopra richiamata disciplina sull’orario di lavoro e conseguente straordinario trova applicazione generale per tutti i tipi di contratti lavorativi, compreso il settore pubblico, e per tutte le tipologie lavorative, compresi gli apprendisti maggiorenni, con alcune eccezioni, tra cui i dirigenti. Già una disciplina speciale del 1923, il R.D. 10 settembre 1923, n. 1955 all’art. 3, numero 2, stabiliva che le limitazioni relative all’orario massimo normale di lavoro di cui al R.D.L. 15 marzo 1923, n. 962, non trovano applicazione nei confronti del personale direttivo vale a dire “quello preposto alla direzione tecnica o amministrativa dell’azienda o di un reparto di essa con la diretta responsabilità dell’andamento dei servizi e cioè, gli institori, i gerenti, i direttori tecnici o amministrativi, i capi ufficio ed i capi reparto ….” Analoga disposizione è contenuta nel D.Lgs. n. 66/2003, secondo cui la disciplina relativa all’orario normale di lavoro, alla sua durata massima, al lavoro straordinario, al riposo giornaliero, alle pause, ai riposi settimanali, alla durata del lavoro notturno, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, “non si applicano ai lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta: a) di

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dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo …” Invero, il lavoro dei dirigenti, al pari di quello degli impiegati che svolgono funzioni direttive, è orientato alle esigenze della struttura cui sono preposti ed all'espletamento dell'incarico affidato, in relazione agli obiettivi e programmi da realizzare e perciò è retribuito in ragione ai risultati conseguiti. Per tale motivo, il dirigente non è tenuto ad osservare alcun orario di lavoro, neppure il rispetto delle cadenze festive, fermo restando il diritto ad un giorno di riposo settimanale, normalmente coincidente con la domenica. Alla stessa disciplina speciale è soggetta anche la categoria dei quadri che, secondo la giurisprudenza, va individuata in base ad alcuni caratteri distintivi, tra cui sono stati identificati l'autonoma responsabilità gestionale delle funzioni demandate, la gestione diretta dei rapporti con i terzi, la responsabilità di budget, la dipendenza diretta dai dirigenti, l'originalità e la creatività dei contributi. I quadri, dunque, al pari dei dirigenti, non hanno l'obbligo di rispettare alcun orario di lavoro e quindi di far rilevare la loro presenza all'ingresso o all'uscita dalla sede di lavoro, se non ai fini relativi alla protezione della sicurezza e della salute, salvo che la contrattazione nazionale collettiva o quella aziendale di lavoro dispongano diversamente. L’eventuale previsione di un orario di lavoro per dirigenti e quadri, qualora contenuto nelle norme pattizie in base al predetto orientamento è da ritenersi a carattere indicativo.

Part-time Il contratto di lavoro part-time per le qualifiche dirigenziali, secondo un consolidato orientamento, è da ritenersi legittimo quando indica il limite quantitativo della prestazione lavorativa, rimettendone all’autonomia del dipendente la distribuzione dell’orario. Invero, per il corretto utilizzo del contratto di lavoro a tempo parziale è necessario che la collocazione temporale dell'orario di lavoro sia debitamente e preventivamente determinata, al fine di evitare che il datore di lavoro possa disporre unilateralmente delle variazioni dei tempi della prestazione, che finirebbe con lo snaturare l'essenza del lavoro part-time, obbligando il dipendente ad una disponibilità tale da eliminare i vantaggi derivanti della riduzione di orario, pur nella persistenza della riduzione dei compensi. In questo contesto normativo, eventuali “clausole elastiche”, cioè che permettono lo spostamento del margine temporale concordato (che di per sé sarebbero da considerarsi nulle per contrarietà all’art. 5 D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, conv. con modif. nella Legge 19 dicembre 1984, n. 863) sono invece da ammettere, ai sensi del D.Lgs. n. 61 del 2000, quando sono vincolate a specifiche pattuizioni tra datore di lavoro e lavoratore in ordine alla collocazione della prestazione in determinati orari; ciò sempre nel rispetto della valenza anche pubblicistica del contratto, che impone la comunicazione all’ufficio del lavoro competente ai fini degli adempimenti, dei controlli e delle ispezioni. Poste tali premesse, per quanto invece concerne la prestazione di mansioni della qualifica dirigenziale, come prima evidenziato, la legge non prevede

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limitazioni dell’orario di lavoro, ma possono in ogni caso derivare da altre fonti, quali la contrattazione collettiva o individuale ed altresì, secondo la giurisprudenza, dalla prassi aziendale, tuttavia, in presenza di un lavoro part-time è sempre necessario prevedere un limite quantitativo di orario, in assenza del quale non sarebbe possibile configurare tale contratto. Ma tale previsione, non può considerarsi come orario di lavoro la cui distribuzione, nell'arco della giornata, della settimana o del mese, sia rimessa al potere del datore di lavoro, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la disciplina che esclude la limitazione dell’orario di lavoro al personale dirigente, e dunque, al riguardo si può affermare che il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, per lo svolgimento di mansioni di livello dirigenziale, è rispettoso del disposto della normativa vigente laddove si limita ad indicare solamente il limite quantitativo della prestazione lavorativa, rimettendone all’autonomia del dipendente la distribuzione dell’orario.

Autonomia dei tempi di lavoro E’ stato innanzi chiarito che la disciplina del lavoro ordinario non trova applicazione nei confronti dei soggetti tradizionalmente esclusi dalla normativa vincolistica dell’orario e tra questi i dirigenti ed anche il personale direttivo. In merito a quest’ultima categoria, parte della dottrina, facendo leva sulla disposizione letterale dell’art. 17, comma 7, lett. a, del D.Lgs. n. 66/2003, ritiene che tale normativa abbia ampliato la precedente formulazione del R.D. L. n. 692/1923, includendo anche altre categorie professionali diverse dei dirigenti che pur non titolari del potere gerarchico, in ogni caso fruiscono di spazi di discrezionalità nella gestione dei loro tempi di lavoro. Nel concreto, tuttavia, le cose non sono mutate, poiché la giurisprudenza già prima della riforma del 2003 soleva comprendere nel personale direttivo anche gli impiegati di prima categoria con funzione direttiva e i capi ufficio o reparto. I dirigenti e i quadri, pertanto, possono avvicendare in modo autonomo lavoro e riposo condizione che sia rispettato l’obbligo di lavoro quotidiano. Di conseguenza se il dirigente presta la propria attività lavorativa oltre il normale orario di lavoro non ha diritto ad alcun compenso per il lavoro straordinario. Sul fronte della legittimità, questa differenza di trattamento dei dirigenti e quadri rispetto alle qualifiche più basse, a prima facie, potrebbe apparire ingiustificata, tuttavia la giurisprudenza nel porre l’accento sul carattere fiduciario delle prestazioni della funzione direttiva e alle connesse responsabilità, è concorde nel ritenere che non possono stabilirsi vincoli normali e costanti di orario, poiché la sua durata è intrinsecamente e necessariamente variabile. Si può quindi affermare che la retribuzione del personale investito di funzioni direttive non è stabilita in rapporto alla quantità del lavoro prestato, ma alla qualità di tale lavoro, che, per la sua natura, non sembra suscettibile di stima e remunerazione commisurata ad ore, così come avviene per il lavoro ordinario e straordinario di altre categorie di lavoratori.

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Lavoro straordinario Con riguardo all'eventuale diritto in capo ai quadri e dirigenti di ricevere un compenso per lavoro straordinario, essendo esclusi dalla disciplina legale sulle limitazioni dell’orario di lavoro non compete loro una remunerazione addizionale per il maggior lavoro prestato. Tuttavia, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che i dirigenti possono avere diritto ad un compenso ulteriore per il maggior lavoro prestato solo nell'ipotesi in cui le norme pattizie stabiliscono un orario normale di lavoro ovvero quando la durata della prestazione ecceda i limiti della ragionevolezza in rapporto alla tutela del diritto alla salute, costituzionalmente garantita, a causa della sua natura troppo pesante e logorante. In altre parole, il suddetto criterio in merito alla durata delle prestazioni dei dirigenti e personale direttivo va ancorato a due criteri concorrenti, che ne costituiscono il limite di legittimità: da un verso al fatto che la retribuzione tenga conto della maggior attività possibile in relazione all’assenza del limite massimo e dall’altro che la mancanza di tale limite massimo sia contemperata con le esigenze della salute e della loro integrità psico-fisica. Il superamento del confine di ragionevolezza da giustificare una ulteriore retribuzione deve essere valutato dal giudice che, nei casi più gravi, può anche stabilire un risarcimento del danno subito per superlavoro. Nell’ipotesi, invece, che le norme pattizie delimitano un orario normale di lavoro e questo venga superato, è pacifico che il dirigente può pretenderne la relativa retribuzione.

Dirigenti pubblici Anche per la dirigenza pubblica è sancito il principio della onnicomprensività del trattamento economico – escludendo dunque retribuzioni per lavoro straordinario – la cui disciplina è contenuta all’art. 24 del D.Lgs. n. 165/2001. L'art. 24 stabilisce innanzitutto che la retribuzione dei dirigenti viene definita nella contrattazione collettiva e che il trattamento economico accessorio deve essere correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità, nonché a qualsiasi incarico ad essi conferito. Su quest’ultimo punto, secondo un autorevole parere i compensi relativi a lavoro svolto per espletare incarichi “conferiti in ragione dell'ufficio”, “su designazione” e “comunque” conferiti dall'amministrazione ricadono nel regime dell'onnicomprensività, atteso che trattasi di attività connesse in maniera più o meno diretta al rapporto organico tra il dirigente e l'amministrazione. Merita puntualizzare che, al di fuori della retribuzione onnicomprensiva dei dirigenti, si ammette la possibilità di fruire di gettoni di presenza che abbiano carattere meramente restitutorio, in quanto costituiscano lo strumento per assicurare il rimborso delle spese minute connesse all'espletamento dell'incarico. Vanno, invece, incluse nel regime di onnicomprensività, tutte le altre erogazione che, pur avendo eventualmente analoga denominazione, vengano sostanzialmente ad assumere, per la misura del suo valore, un carattere indennitario, con conseguente assoggettamento anche agli oneri contributivi ed erariali.

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Riposo settimanale L'art. 1, n. 4, della Legge 22 febbraio 1934, n. 370, disponeva che il riposo domenicale e settimanale non si applica al personale preposto alla direzione tecnica od amministrativa di un'azienda ed avente diretta responsabilità nell'andamento dei servizi. Con l’entrata in vigore della Costituzione, l’art. 36 ha affermato che “il lavoratore” ha diritto al riposo settimanale senza far distinzione tra categorie di lavoratori e tale formulazione lascerebbe propendere che nel diritto si comprenda anche il personale dirigente e direttivo. Tuttavia, la stessa Corte Costituzionale ha precisato che l’obbligo del riposo settimanale almeno come precetto costituzionale non riguarda il dirigente, atteso che il giudice può sempre valutare la congruità della retribuzione in relazione con l’effettiva prestazione e, di conseguenza, la questione si sposta dunque alla durata complessiva della prestazione che non deve essere tale da compromettere l’integrità psicofisica del lavoratore. Al riguardo, la Corte aveva avuto modo di precisare, che l’art. 36, Cost., co. 3, riconosce e garantisce al lavoratore nel riposo settimanale un diritto soggettivo perfetto e irrinunciabile ma tuttavia specifica che il significato del predetto termine è da riconoscersi sostanzialmente nel concetto della “periodicità del riposo”, che si esprime di norma nel rapporto di un giorno su sei di lavoro. Con ciò, tuttavia, non si deve escludere la possibilità di discipline difformi in relazione alla diversa qualità e alla varietà di tipi del lavoro, giustificate da un regime eccezionale, con riguardo ad altri apprezzabili interessi. Pertanto, ad avviso dell’indirizzo giurisprudenziale citato, la normativa citata deve essere interpretata tenendo conto innanzitutto della sua ratio, e cioè non nel senso che ai dirigenti tale riposo sia o possa essere negato, bensì in quello che per questa categoria di lavoratori, in rapporto alla natura delle loro funzioni e alle esigenze connesse alla loro responsabilità gestionali, non può applicarsi la normativa generale circa la scadenza festiva e la periodicità settimanale del riposo, atteso che si ammette la prestazione del lavoro anche nella domenica ed il differimento della pausa settimanale, ove le circostanze lo richiedano. Ovviamente la completa disciplina del riposo festivo potrà variare in base alla natura dell'attività d'impresa e alle variegate contingenze straordinarie o occasionali che possono verificarsi, restando comunque fermo il diritto del dirigente al riposo periodico a cui ogni lavoratore ha incontestabile diritto nel rispetto della norma costituzionale. Un nuovo indirizzo ha affermato che l'esclusione dai riposi settimanali e festivi del personale avente qualifica dirigenziale non ha valore assoluto, essendo soggetta a limiti di ragionevolezza – allo stesso modo di come avviene per il compenso per lavoro straordinario – ma va verificato di volta in volta dal giudice e provato e provato dal dirigente interessato. Al riguardo, sotto il profilo sanzionatorio si ritiene opportuno ricordare l’applicabilità delle sanzioni relative al rispetto degli obblighi in materia di riposo settimanale, tra gli altri, anche ai dirigenti e al personale direttivo (ex art. 17, co. 5, D.Lgs. n. 66 del 2003).