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opere di: Clelia Adami David Aaron Angeli Mattia Barbieri Nicola Biondani Angelo Bordiga Rudy Cremonini Gehard Demetz Matteo Fato Andrew Gilbert Giuseppe Gonella Svitlana Grebenyuk Federico Lanaro Dacia Manto Marco Pace Lorella Paleni Laurina Paperina

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Clelia Adami David Aaron AngeliMattia BarbieriNicola BiondaniAngelo Bordiga Rudy CremoniniGehard Demetz Matteo FatoAndrew Gilbert Giuseppe Gonella Svitlana GrebenyukFederico LanaroDacia MantoMarco PaceLorella Paleni Laurina Paperina

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VIII BIENNALE D’ARTE GIOVANI 2014

a cura diGianfranco Ferlisi e Renzo Margonari

Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano

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VIII BIENNALE D’ARTE GIOVANI 2014a cura di

Gianfranco Ferlisi e Renzo Margonari

Sindaco Nicola Leoni

Vicesindaco Maria Pia Soana

Responsabile del Servizio Cultura Melania Bellintani

Conservatore del Museo e responsabile dei servizi tecnici Isaela Sanguinini

Segreteria tecnica e organizzazione Roberta Ferrarini

Ufficio Stampa Pierpaolo Pizzi Alessandra Ferrari

Servizi di prenotazione mostraaccoglienza e informazioni turistiche Ufficio IAT di Mantova www.turismo.mantova.it www.comune.gazoldo.mn.it

Pagine web e realizzazioni multimediali Tiziana Borgo Cristina Gentiletti Maurizio Lionetti

Casa del MantegnaResponsabile Giovanni Cattabiani

Logistica e trasporti Luigi Grobberio

Ringraziamenti Donatella Marai · Lara Rigoni Elisabetta Martinelli · Tiziana Grizzi

Realizzazione editoriale e stampa Tipografia Operaia · Mantova

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L’VIII edizione della Biennale d’Arte Giovani del MAM di Gazoldo de-gli Ippoliti è dedicata a 16 giovani artisti emergenti, artisti anche stranieri (ope-ranti comunque in Italia) che per qualità, intensità espressive e uso della pittura ben rappresentano gli stati d’animo della più recente ricerca artistica con-temporanea. Il loro lavoro ci presenterà, così, una speciale capacità, propria dei creativi, quella di riscattare, con versa-tilità estrema, i materiali e le immagini della modernità dal loro uso consueto, per progettare e vagheggiare un mondo capace di risollevarsi dalla volgarità da cui siamo, di frequente, afflitti. La no-stra Amministrazione ha ritenuto che questa speciale collettiva, che questo appuntamento cadenzato nel tempo, volto a presentare sia al pubblico ga-zoldese sia al più vasto pubblico man-tovano una panoramica del contesto artistico nazionale, non potesse esau-rirsi, nonostante le difficoltà di questi tempi. Certamente non è mio compito addentrarmi oltre nella ricognizione della pluralità di linguaggi e degli stru-menti espressivi che caratterizzano le singole ricerche dei vari autori. Mi inte-ressa piuttosto sottolineare l’intenzione di ri-dare continuità alle attività del Mu-seo, di ribadire la volontà di dare soste-gno e vitalità a una struttura che vanta una tradizione più che trentennale per aggiornarne e rinvigorirne l’immagine pubblica, una immagine che, a mio pa-

rere, va anche «ringiovanita» a cominciare da un progetto operati-vo in cui far convergere percorsi organizzativi e culturali volti a fare del MAM un museo che, fedele ai caratteri e all’identità acquisi-ta, possa porsi quale esperienza ancora più originale e qualificata nell’ambito della museologia e museografia locale, per accendere interessi e collaborazioni sia da parte del pubblico, nelle sue varie tipologie (studenti, insegnanti, pubblico locale, associazionismo), sia in tutti quegli ambiti pubblici e privati richiamati dalle consuetu-dini di intervento già consolidate (arte contemporanea, mostre, di-dattica, visite guidate, conferenze ). Proporre un gruppo di giovani talenti ora, in questa nuova stagione, mi pare possa essere il modo migliore per mostrare attività esemplari per tutti i giovani della no-stra comunità che vogliono confrontarsi coi valori della cultura e delle arti figurative. Questo mostra vuole perciò assumere il valore di un messaggio chiaro, per dire all’intero paese e a tutto il territorio vicino che il MAM è ancora un collettore e un volano di energie che si offre come esperienza di eccellenza. In quest’occasione il Comune di Gazoldo e la Provincia di Mantova, hanno deciso di condividere e costruire, insieme, una manifestazione appassionante per accen-dere i riflettori su un Museo che chiede di partecipare al cambia-mento, di fare rete, di essere parte attiva e importante del Sistema Museale Provinciale, mai dimenticando che il MAM è tuttora rico-nosciuto anche Museo di interesse regionale da parte della Regione Lombardia. Sono dunque molte e ambiziose le sfide che si aprono a cominciare da questa rassegna. Ma questa VIII Biennale Giovani è importante anche per altri motivi: dice della capacità delle piccole comunità di fare cultura e parla di artisti che sanno calare un loro patrimonio di umanità e di valori in una dimensione appartata e tranquilla, una dimensione in cui riescono a presentare, con spon-taneità ma anche con autorevolezza, esperienze e riflessioni che la frenesia delle grandi città non consente.In questo senso l’investimento culturale che abbiamo affrontato servirà, senza retorica, a dare impulso alla sensibilità di chi saprà comprendere che esistono valori che, nella vita e nell’arte, merita-no di essere fissati e approfonditi, perché patrimonio di una uma-nità transculturale e senza barriere.

Il MAM: un collettore e un volano di energie

Nicola Leoni

*Sindaco di Gazoldo degli Ippoliti

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Francesca Zaltieri

L’VIII Biennale d’Arte Gio-vani 2014 che, fino al 31 dicembre, trova ospitalità a Villa Ippoliti, nella prestigiosa sede del MAM di Gazol-do, rientra tra gli eventi che danno spessore e realizzazione ad uno de-gli obiettivi da sempre perseguito dalla Provincia di Mantova: quello di migliorare sempre di più e sempre meglio l’offerta culturale sul ter-ritorio. E questo significa non solo cercare eventi di qualità, individuare risorse, valutare percorsi e interlo-cutori, significa anche - e forse so-prattutto - allargare e valorizzare le possibili collaborazioni capaci di esprimere e di sviluppare strategie comuni. In questo caso la ricerca ha trovato una felice sinergia nel comu-ne di Gazoldo degli Ippoliti, il cui Mu-seo d’Arte Moderna vanta ormai una ricca tradizione di vivace scenario di proposte espositive, caratterizzato dalla costante consuetudine di lega-re il mondo dell’arte appartenente al territorio con le più interessanti ed

aggiornate espressioni della ricerca d’arte contemporanea. Appare dunque particolarmente emozionante assistere alla realizzazione di una rassegna che guarda avanti, che sceglie talenti nuovi e giovani per testimoniare, in un palazzo di an-tichissima bellezza, l’importanza della continua evoluzione del mondo dell’arte, mai completamente avulso dalle radici che l’hanno preceduto e mai completamente soddisfatto dei risultati che raggiunge. E, comunque, proprio in questa irrequietezza sta la forza della cultura e questa forza meri-ta di essere riproposta, in ogni ambito d’intervento e in co-operazione con ogni possibile valido interlocutore, da chi ha il compito di valorizzare tutte le innumerevoli sfaccettature in cui si esprime il talento intellettuale. I sedici giovani artisti emergenti protagonisti di questa rassegna possono dunque risultare davvero rappresentativi di molti traguardi importanti per un ente che voglia fare, davvero, cultura sul, con e per il territorio. Emerge alla fine l’interessante indagine su nuove forme d’arte, l’affermazione di un legame, a volte sotteso ma sempre presente, tra tradizione e innovazione, la scelta di co-ordinarsi in costruttive collaborazioni tra le realtà attive sul territorio. Ed è davvero bello che in questi tempi difficili per il nostro Paese, e non solo nel campo della cultura, il messaggio di nuove prospettive di intelligenza e di talento sia affidato ai giovani attori di questa VIII Biennale d’Arte Giovani 2014: al MAM di Gazoldo il merito di avere condiviso, concretizzato e valorizzato questo messaggio.

*Vicepresidente, assessore al Lavoro, alle Politiche Culturali, ai Saperi e alle Identità dei territori

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Il messaggio dell’VIII Biennale MAM

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Sono trascorsi circa vent’anni da quando il MAM di Ga-zoldo istituì per la prima volta una Biennale dei Giovani. Questa manife-stazione a carattere nazionale è ormai un appuntamento importante per il mondo dell’arte italiana. Si sono spe-rimentate varie formule organizzative. Gli incarichi per la formazione di una lista d’invitati partecipanti sono stati di volta in volta dati a una commis-sione interna, poi a un ampio gruppo di critici che convocassero ciascuno un numero pari di artisti, poi ancora la Biennale è stata dedicata all’illu-strazione di un tema, infine affidata a un curatore unico. Così anche i mi-gliori critici italiani hanno frequentato il MAM definendo le proprie scelte. Hanno potuto operare in piena libertà senza dover subire alcuna limitazione. Bisogna dire che le indicazioni scatu-rite dalle liste da essi formulate sono state spesso preveggenti a meno di credere che fossero solo casualmen-te fortunate. Sta che un buon numero degli artisti invitati alle mostre bien-nali del MAM di Gazoldo si sono con-fermati penetrando il muro delle par-tecipazioni alle grandi mostre. Basta scorrere i cataloghi delle precedenti biennali del MAM per riscontrare la presenza di autori oggi famosi, alcu-ni dei quali, in seguito, sono tornati al Museo con mostre personali. E’ que-sto il vanto maggiore della piccola ma

ormai prestigiosa Biennale dei Giovani del MAM, un’iscrizione valida nella biografia professionale degli artisti che vi hanno partecipato e soprattutto la capacità –fatta d’intuito critico- di coloro che hanno realizzato le varie edizioni d’individuare eccel-lenze nell’arte giovane italiana poi considerate in situazioni ben maggiori e decisive per la loro carriera. La «Biennalina» - no-mignolo attribuito alla manifestazione dagli stessi partecipanti- ha, dunque, la capacità di promuovere giovani autori emergenti. Varrebbe, forse, la pena di analizzare come ciò avvenga di fron-te alla dimensione davvero piccola della manifestazione di un museo periferico sperso nella campagna mantovana con penu-rie d’ogni genere, sapendo di dover gratitudine agli intelligenti consiglieri che hanno assistito il MAM. Intanto, però, è impor-tantissimo garantire continuità a questa Istituzione che già dal-la sua fondazione ha svolto un ruolo fondamentale soprattutto nella ricostruzione storico-critica delle vicende dell’arte man-tovana nel Novecento fino allora pressoché sconosciuta, ma riservando lateralmente particolare attenzione all’arte giovane nazionale e in particolare quella lombarda, facendo di questa consuetudine una delle linee-guida della sua attività espositiva che si conduce dal 1979.Siamo giunti all’ottava edizione della Biennale dei Giovani, certi di veder confermati i valori che hanno distinto ogni appunta-mento. Nel frattempo, altre istituzioni hanno voluto porsi obiet-tivi simili imitando la formula gazoldese anche con mezzi mag-giori e migliore capacità organizzativa, attribuendo cadenza biennale a mostre tradizionalmente annuali, altre volte deno-minando come biennali manifestazioni che si sono riproposte un paio di volte e poi estinte o addirittura non si sono ripetute dopo la prima. Certo, la difficoltà a consolidare altre iniziati-ve non ci rallegra, ma serve a dimostrare nei fatti le difficoltà che si affrontano in queste occasioni, la volontà e la dedizione, il convincimento di coloro che negli anni hanno reso possibile la reiterazione della Biennale gazoldese. La Biennale dei Giovani del MAM ha potuto rigenerarsi di volta in volta con indicazio-ni sempre differenti e spesso incuranti degli interessi correnti

VIII Biennale di Gazoldo, la «Biennalina»

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delle mode sollecitate nelle cronache dell’arte, in piena autonomia, ponen-dosi talvolta, anzi, come alternativa e persino deviazione dai finti fermenti imposti dal potere culturale. Simile in-dipendenza, tuttavia, non ha impedito ai curatori succedutisi alla guida del-la manifestazione di restare in presa diretta alla congiuntura delle speri-mentazioni nelle arti visive fissando uno sguardo panoramico su quanto si muove nella realtà artistica giova-nile. Bisogna riconoscere che negli ultimi tempi, tale attenzione si è fatta vieppiù difficile da gestire equamente, poiché la fenomenologia ha registrato negli ultimi anni, una crescita forte sia nel numero delle evidenze individuali di nuovi autori interessanti sia nella qualità e differenziazione delle loro proposte. Va considerato che ormai il dibattito artistico si osserva quasi esclusivamente nell’ambito giovane delle ricerche, ma su piano individua-le. Ciascun artista è ormai da qual-che tempo teso in ricerche personali, esclusive, che svolge solitariamente senza identificarsi in una tendenza comune, né si possono isolare grup-pi di operatori per affinità poetica; al massimo delle collaborazioni in coppia. Ordine sparso, insomma, e ciascuno per sé lungo un percorso di orizzonte globalizzato e internazio-nale. Quando tutti sono protagonisti, in realtà non c’è alcun protagonista. Ancor più difficile, per i giovani arti-sti, è sopravvivere al successo mo-mentaneo e all’afflusso anagrafico di

moltissimi concorrenti, quando l’età anagrafica li conduce oltre i termini tacitamente prefissati per appartenervi. Difficile condi-videre l’affermazione collettiva delle forze nuove sempre ram-panti. Più difficile, dunque, anche per gli osservatori critici, poter indovinare quali saranno i maestri se mai ve ne saranno. Oggi le scelte sono imposte dal mercato, quanto mai volubile perché privo d’ideali alti e resistenti. Dopo che per tutta la seconda par-te del secolo XX gli estetologhi non hanno fatto che predicare la morte dell’arte (e non tanto, non solo, delle categorie espressi-ve tradizionali), assistiamo a un ritorno indicativo della Pittura e della Scultura che si avvalorano di una nuova bravura esecutiva d’ordine accademista e sembrano risucchiare la recente diffu-sione delle installazioni. Intanto si riproducono aspetti dell’ulti-ma pop art e Street art e si moltiplicano in forme rabbonite le più fantasiose installazioni, già annunciate negli anni Sessanta con l’arte ambientale, la performance, la body art, l’accademi-smo dell’Arte Povera, mentre irrompono scarse idealità della fotografia e del design. Insomma, niente di nuovo, ma tutto è fatto meglio, più approfonditamente, e con un atteggiamento di consapevole manierismo individuale che sembrerebbe fine secolo se non fossimo, invece, all’inizio di quello nuovo, il XXI. Un nuovo impulso all’immaginario artistico potrebbe venire agganciando il progresso scientifico e rinnovando i linguaggi attraverso un inedito uso degli strumenti, dei nuovi materiali disponibili, per affrontare la realtà cibernetica ed elettronica e le nuove possibilità già caratterizzate da importanti esempi. L’arte non è morta né è lì per morire, ma certe medialità materializza-no ancora convinzioni etiche ormai superate che perpetuandosi obbligano a rifacimenti e ripetizioni. I giovani artisti le lascino ai predecessori che hanno ogni diritto di sfruttare le proprie ide-azioni, e scrutino la possibilità di un’arte nuova, altrimenti non ci sarà più avanguardia né ricerca estetica ma solo un’arte ri-corrente, un affannato manierismo. La Biennale dei Giovani del MAM non si è mai posta l’obiettivo di essere promozionale, ma vuole esibire una campionatura di effetti, tastando il polso alla situazione artistica giovanile contemporanea. Per l’ottava volta offre una vetrina succinta e probante di quanto accade sotto i nostri occhi. E’ un osservatorio. Prendiamo atto in vista della IX Biennale prossima.

Renzo Margonari

*Direttore del MAM

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L’ispirazione degli artisti

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Sedici giovani talenti, testi-moni delle più attuali tendenze artisti-che, e il MAM, un museo specialissimo, con una incredibile capacità divinatoria, ricco di storia e aperto al sentire della contemporaneità: da tale felice bino-mio prende corpo l’VIII Biennale d’Arte Giovani 2014 di Gazoldo degli Ippoliti. Villa Ippoliti (sede del Museo e spa-zio architettonico di grande rilevanza storico-artistica) si offre dunque come prestigioso scenario in cui dare risalto alle ricerche di giovani talenti, mentre la Biennale si ri-accredita quale ap-puntamento importante per la crescita culturale dell’intero territorio virgilia-no. Clelia Adami, David Aaron Angeli, Mattia Barbieri, Nicola Biondani, An-gelo Bordiga, Rudy Cremonini, Gehard Demetz, Matteo Fato, Andrew Gilbert, Giuseppe Gonella, Svitlana Grebenyuk, Federico Lanaro, Dacia Manto, Marco Pace, Lorella Paleni e Laurina Paperi-na sono gli artisti che danno sostan-za estetica all’ appuntamento. Questi sono gli attori che danno vita, al MAM, ad un palcoscenico complesso e strati-ficato, in cui tradizione ed innovazione, temi attuali e tenaci, convivono senza entrare in contraddizione. Dunque uno scenario da cortocircuito visivo spazio/temporale, finalizzato ad inoltrare gli interlocutori sull’impervio sentiero di nuove possibili relazioni tra pittura e installazione, tra immagini digitali e fi-gurazione/astrazione, nella persistenza

di un operare che si appropria e si ibrida con altri e diversi linguaggi. Emerge, in sostanza, una panoramica di magici intrecci di tradizio-ne figurativa iconica e di contemporaneità, e l’orizzonte che viene così a delinearsi si allarga in cerchi sempre più ampi, grazie ad un inedito spettro di sperimentazione linguistica: creatività e poesia si misurano con gli aspetti rituali e simbolici degli spazi museali, per immaginare e lasciare immaginare l’arte contemporanea del futu-ro. Una trentina di opere di questi sedici artisti - giovani, che co-munque hanno raccolto esperienze formative qualificanti - danno la dimensione di personalità distinte e già determinate per stilemi e intensità espressiva. Faremo scorrere in passerella, uno per uno, questi sedici attori dell’arte, per cogliere in loro i dispositivi visivi che hanno voluto offrirci, per dare testimonianza e adesione alla loro ricerca. Clelia Adami, testardamente, opera ancora e si espri-me con il linguaggio della pittura. Nessuna abiura dunque di un linguaggio antico, declinato con la consapevolezza che non sono tanto le pratiche tecniche ciò che a lei particolarmente interessano, quanto l’obiettivo che, per il loro tramite, si può raggiungere , senza equivoci e senza compromessi modaioli. La scelta di Clelia, sin dagli anni della formazione accademica, si incentra sulla raffigurazione del corpo e, soprattutto, del volto femminile, nella convinzione che la figurazione si presti ancora a far emergere gli elementi rivelatori della più intima essenza della persona. Per condurre tale indagi-ne, che talora risulta spietata e comunque sempre sofferta, ricorre molto spesso a supporti di grandi dimensioni, che le permettono di rendere più forti ed evidenti – attraverso inquadrature che dia-logano strettamente con la fotografia – i dettagli che considera centrali, nel tentativo di focalizzare l’attenzione propria e dello spettatore (che viene in un certo senso «circondato» dal dipinto, e quindi costretto ad entrare all’interno di esso) sulla verità dell’uma-no. Questa stessa necessità spiega anche la predilezione per una inquieta e talora violenta figurazione di matrice espressionista, spesso accompagnata da una materia pittorica densa e rappresa. Negli ultimi anni, durante i quali ha cominciato a lavorare anche sul paesaggio ed ha intensificato la sua ricerca sul tema del sacro e della crocifissione (interpretati anche quali metafore di un dolore

L’ispirazione degli artisti

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che riguarda l’intera umanità), le sue figure – pur sempre ben presenti in sot-totraccia – si sono fatte meno imme-diatamente riconoscibili, sino a lambire, in taluni casi, un’astrazione di ispirazio-ne informale. Clelia è dunque una delle tante «postpittrici» in circolazione. David Aaron Angeli, altro giovane autore di straordinario talento, esprime com-piutamente una personalissima capaci-tà di costruire inedite relazioni figurali. È un artista che ama la carta, si intene-risce per questo antico supporto, per le sue grammature, per le diverse qualità che può esibire e per la sua essenza di materia povera, disponibile ad essere logorata dall’uso oppure recuperata perché utile solo alle bizzarrie di un ar-tista. Le sue carte, incorniciate o meno, utilizzate come frammenti e ritagli di un tutto che confluisce in una installazione ambientale, non sono tuttavia grafemi di una lingua morta. E l’artista non ha al-cun dubbio sulla liceità di utilizzare tutte le tecniche del disegno, dagli inchiostri di china alla grafite, e di ricorrere persi-no a tracce di pittura ad olio. Così il suo segno nasce da una metabolizzazione di altri segni e di altre espressioni sto-ricizzate, mentre lo spazio attribuito alla casualità strizza l’occhio alla necessaria invasione dello spazio, alla contamina-zione con materiali singolari ed oggetti.Le sue testine di cera d’api, ad esem-pio, rimandano ad una tecnica antica, già presente presso remote civiltà me-diterranee e ampiamente praticata in Italia fino a tempi recenti: lo testimo-niano diffusamente, nel mondo cristia-

no, statue di soggetto sacro ed ex-voto, ma anche ritratti in cera. Oggi, è vero, la ceroplastica è in declino, ma le micro installazioni di David Aaron rivelano l’intuizione geniale di un possibile, nuovo ed intrigante percorso nel contesto dell’arte contemporanea. È da qui che prende corpo il potenziale autentico mistero del divenire artista, inscindibile da un importante lavoro pregresso, strutturato in cicli e inteso come pratica costante. Il risultato è una solidità an-tica, frutto di un esercizio quotidiano, di una riflessione attenta ai possibili rapporti tra temi differenti e diversi riferimenti iconografici e simbolici. Un lavoro che, come scrive l’artista, tiene «attive men-te e mano». Il lavoro di Mattia Barbieri scaturisce - come afferma l’autore - «da una sensazione di fascinazione per un luogo, un per-sonaggio, per un evento o, più in generale, per un’atmosfera intesa come energia in continua evoluzione». Così il presupposto di ogni suo lavoro si trasforma nel tentativo di tradurre in una struttura espressivo-visiva questa sorta di magnetismo che, di volta in volta, lo sollecita e lo ispira: «mi piace pensare - spiega ancora Barbieri per chiarire la specie di folgorazione che anima la sua ricerca - che la pittura sia nata in una grotta e che queste siano pitture parietali in cui si fa largo un sedimento d’immagini che si ancorano al telaio, avvinghiandosi come se fosse l’unico posto dove andare».Ciò potrebbe far sorridere ma è così che la pittura sopravvive: emerge come un arcano ready made, con schizzi di fauvismi, con improvvisi oscurità alla Goya, o con subitanee fascinazioni fiam-minghe, da luci quasi veermeriane. Il linguaggio artistico che usa la pittura può essere dunque ancora «cool and trendy». E intanto la fisicità del supporto sagomato, reintrodotto nell’ultima serie delle opere di Barbieri, suggerisce la presenza di un elemento architet-tonico concepito come un prolungamento della parete, mentre, attraverso la stratificazione di più livelli di significazione e tramite l’annullamento affettivo delle immagini e dei colori che popolavano il vecchio spazio pittorico - rasando e graffiando la superficie - si rende manifesto lo scarto iconoclasta rispetto alla tradizione, in soluzioni che esaltano e giocano con l’illusionismo della bidimen-sionalità della pittura. Nicola Biondani presenta in mostra due scul-ture recenti, realizzate appositamente per l’occasione. Chi lo aves-se conosciuto qualche anno fa a Mantova non avrebbe mai immaginato la crescita formale ed espressiva raggiunta dall’artista in questi ultimi anni. L’iniziale scolastico realismo, l’attenzione a un

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linguaggio pulito e misurato, la capacità di mettere a punto un lavoro accurato e meticoloso sulla figura umana hanno trovato, dopo il suo trasferimento a Pie-trasanta, una accelerazione metamor-fizzante. Ed ecco che la forma, attraver-so il sempre complesso processo di decantazione e di indagine sottile del quotidiano, si è accesa di inedite solu-zioni formali per farsi struttura com-plessa e polifonica, capace di far sussul-tare le corde dell’anima. Figure stranianti e straniate osservano ora, quasi sfacciatamente, lo spettatore. E due parallele ispirazioni sembrano agi-tare oggi le sue sculture. La prima è, ov-viamente, quella classica, tutta intrisa degli umori novecentisti e di un gran mestiere: le sue sculture, amabili e in-quietanti, sono infatti rese con i raffinati virtuosismi tecnici degli esordi, senza che tutto ciò denoti vane cadute in le-ziosità retoriche. Ma è il brusio di fondo che si leva ora dalle opere di Biondani a dare vita a composizioni plastiche che brulicano di soluzioni inaspettate. Una ispirazione nuova, aderente alla con-temporaneità, modella un mondo po-polato di antieroi schiacciati dalla fatica del vivere, dalla banalità della vita quoti-diana e dalla solitudine. Il gioco di con-trappunti, la forza sostanziale che intri-de anche i lavori più piccoli gli permette così di creare personaggi delicati e fabu-listici, plasmati con la minuziosità inda-gatrice di chi sente, fantastica e imma-gina: angeli senza meta per le vie di un mondo avvertito come estraneo. Un altro dei sedici protagonisti è il brescia-

no Angelo Bordiga, un pittore eccellente, che in un Paese un po’ meno eccentrico del nostro avrebbe raggiunto sicuramente mag-giore considerazione. Sono dipinti, i suoi, che sarebbero piaciuti a Giovanni Testori: opere che parlano di spazi indefiniti, in cui l’uomo si piega alla condanna dell’intima solitudine, all’emozione del tem-po trascorso, a un impatto della sfera affettiva poco adeguato a questi tempi scanditi da post e tweet. Forse per questo Renzo Margonari parla, inascoltato, della sensualità dei suoi soggetti e ne rileva, non a caso, il pallore e la spettralità delle forme, la dissolu-zione dei volumi, la compartecipazione sofferta e dolorosa all’an-goscia dell’esistenza. A Rudy Cremonini appartiene invece la riven-dicazione di una forte capacità comunicativa, il dono di un’illuminazione sottesa alla propria opera e capace di trasferirne e tradurne il messaggio. L’artista ritiene che la pittura «sia un discor-so molto personale e intimo», una necessità, che emerge dal pro-fondo e che «risponde a necessità primarie, quasi carnali». Per Rudy l’immagine pittorica è dunque un impulso essenziale e speci-fico dell’essere umano, quasi come la parola. Tale approccio lo por-ta a sviluppare una sensibilità molto raffinata nei confronti della materia pittorica: attraverso la rarefazione di un segno lento e morbido, forte di una ricercatissima temperatura, di antica ascen-denza, conduce i più disparati soggetti ad un unico universo, coniu-ga immagini apparentemente distanti ma legate da una inestrica-bile trama poetica. È il percorso per cui Cremonini, quasi sul crinale dell’astrazione degli ultimi naturalisti di Francesco Arcangeli, si inoltra in una sorta di ebbrezza eccitante e suggerisce, al di là dell’opposizione stereotipa fra reale e astratto, una fusione di ma-teria e segno. Emergono allora, dalla polvere del tempo, lacerti di memorie, che appartengono alla storia pittorica occidentale, ad un prima della perdita di centralità della pittura. Ed ecco l’approdo: la sua tavolozza povera, quasi umile, dominata da colori spenti, da toni privi di accensioni, segue sentieri in cui viene esclusa ogni arti-ficiosità à la page. Gehard Demetz è, invece, scultore: realizza le sue figure assemblando, con qualche irregolarità, piccoli blocchi di legno, quasi volesse intagliare le sue creature usando materiali di scarto piuttosto che un tronco intero. Le sue opere, in genere bam-bini o adolescenti dallo sguardo trasognato e smarrito, si collocano sul confine della malinconia, nel passaggio difficile e ombroso che lascia il mondo dell’infanzia per il contesto grigio e problematico

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degli adulti. Marco Meneguzzo si chie-deva, a proposito delle sue sculture, «perché il soggetto unico scelto dall’ar-tista è così simbolicamente potente e così retoricamente gravido che tende a far dimenticare l’artificio che lo mette in scena, così come una storia natural-mente commovente fa passare in se-condo piano i modi e i termini in cui vie-ne narrata. L’infanzia (non l’adolescenza, si badi), in fondo, è un tabù di cui non si può parlare se non in termini retorici: è per questo che è un’età estranea, indici-bile, ineffabile». Interrogativi esisten-ziali, forse insondabili e mai risolti. Pare però importante constatare che Gehard ha l’abilità di dialogare con il reale, a cui riesce a contrapporre, con le sue scultu-re, un’alternativa significativa. Nei suoi simulacri, nei volti pallidi scavati nel ti-glio, nelle titubanze di giovinette e giovi-netti, si materializzano immagini che sono, appunto, arte: un’arte d’altri tem-pi, che nella realizzazione plastica del reale è in grado di riprodurre dimensioni emozionate e liriche classiche. Un arti-sta come Matteo Fato si muove invece sui margini ancora possibili della pittura, una pittura fatta però di tensione con-cettuale e di gioco, che sperimenta e che si appropria di altri linguaggi, che talvolta ricorre ai virtuosismi dell’arte calligrafica cinese. Spesso le sue opera-zioni si addentrano nella narrazione te-orica, per raggiungere una sorta di equi-librio tra immagine e segno, in un gesto nostalgico e riabilitativo. E sembra per-sino che l’azione di scavo dell’artista voglia dirigersi verso una ricognizione

alternativa della realtà, attraverso l’astrazione di un pensiero e, contemporaneamente, attraverso la fisicità della rappresentazio-ne cromatica e della messa in scena. Ciò che emerge è un nuovo ordine di idee con cui misurarsi: si va oltre la categorizzazione uffi-ciale di un realismo d’accatto, e verso, piuttosto, la scoperta delle infinite sfaccettature che creano legami tra gli aspetti più diversi del mondo fisico e sensoriale. Si può scoprire allora che, oltre il muro delle apparenze, è possibile realizzare escursioni nei meandri oscuri di ciò che ci circonda, e che è altrettanto possibile oggettiva-re, nelle rappresentazioni, calchi di ciò che esiste e che è destinato a scomparire. Le immagini ridondanti del nostro tempo si trasfor-mano, intanto, in oggetto e soggetto pittorico, e oggetto e sogget-to ridiventano - attraverso il meccanismo della rivisitazione - im-magine nuova. Siamo quindi davanti a un progetto d’idea di natura morta e di una sua ipotetica rilettura contemporanea? L’ironia non presuppone risposte. Tuttavia vale la pena di sottolineare che Mat-teo Fato paragona alcune creature dipinte - come il Lupo nero pre-sente in mostra - ai calchi in gesso di Pompei, che non restituisco-no vite umane, nella loro ultima agonia, ma solo le reliquie della carne e delle vesti, impastate col gesso, e il dolore del trapasso, che riacquista così immagine, corpo e forma. L’artista e la pittura si in-dirizzano dunque ad esprimere molteplici connessioni (anche emo-tive), rese possibili da una sorta di gesto sciamanico e da una disin-volta e nutrita capacità linguistico visiva: si viaggia sulle tracce della decostruzione, sulle strade dell’interpretazione creativa e dello scarto linguistico. L’artista scozzese Andrew Gilbert guarda al tema della guerra con un suo personalissimo approccio canzonatorio, af-fidando la sua controffensiva alle armi dell’ironia e del grottesco. Nei suoi dipinti e nelle sue installazioni si addentra negli eccessi delle guerre imperiali britanniche e, parallelamente, permette al pubblico di immergersi nel suo inquietante mondo interiore. La feticizzazio-ne delle guerre coloniali, la relativa propaganda, l’anti-islamismo e l’antisemitismo, il sionismo e molto altro sono i temi a cui Gilbert guarda in un modo che risulta contemporaneamente ingenuo e ci-nico. Il suo sguardo cerca di svelare l’assurdità insita in ogni conflitto attraverso una grande immediatezza e spontaneità antiretorica e antiaccademica: nessun banale pittoricismo, dunque, semmai una proposta di giocosa interazione e conoscenza intellettuale, un’evo-cativa narrazione che ha il potere di toccare il riguardante, di coin-

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volgerlo. Ma la ricerca artistica di Gilbert lo porta a indagare anche leggende e miti, immagini catturate e deformate delle affiches del cabaret degli anni Trenta, interpretazioni scanzonate dei manifesti dei vecchi film colossal. L’arti-sta realizza spesso allestimenti site-specific, che rappresentano la sua cifra caratteristica, unitamente ai soggetti visionari delle opere su carta. Ogni esposizione diventa così un piccolo tea-tro, i cui gli attori assumono le sembian-ze di ortaggi umanizzati, di volatili stilizzati e di personaggi storici caricatu-rizzati. Il “gioco” della guerra, messo in scena dall’artista, svela un’affascinante intelligenza che opera dietro le quin-te, dove non manca lo spazio per una riflessione divertita e raffinata sull’as-surdità di ogni violenza, sia essa reale o rappresentata attraverso la visione patinata del cinema.Giuseppe Gonella ci fa invece assistere, nelle sue opere, ad una sorta di destrut-turazione della narrazione neofigurati-va. Ne scaturisce, con forza, una tempe-sta di schegge figurali, volte a tradurre l’intensa urgenza di trasporre in pittura le piccole porzioni di verità che l’artista riconosce nel mondo circostante, attra-verso persone ed esperienze. Al centro della sua attività artistica viene posta, dunque, la condizione umana, con le sue mille sfaccettature, con i suoi mille interrogativi: esistenze in cui convivono, al tempo stesso, gioia, paura, angoscia, speranza. Inglobati nel vortice sincopa-to della sua destrutturazione immagini-fica, si può veramente restare stupiti dal

risultato delle più diverse deflagrazioni, che danno corpo ad una alchimia di colori graffianti. E la visione finale risulta potente, sor-retta da una evidente padronanza, a livello formale, del colore, sia nella composizione che nell’uso: in maniera anticonvenzionale e volutamente antirealistica, viene raggiunto così il limes dell’effetto fluo, si creano una serie di punti focali, si realizza una sequenza di centri di attenzione atti a catturare l’osservatore. Le persone sono state spesso i veri protagonisti delle sue iniziali storie oniriche e pittoriche. Ora predominano invece i dialoghi improbabili, le crona-che della contemporaneità costruite con un piglio quasi epico, tra paesaggi ed edifici spaesanti, tra lacerti e frammenti di colore che rarefanno lo spazio e la superficie dipinta per creare nuove geo-grafie, dense di rimandi e di allusioni, orizzonti spigolosi da visione accecante. Orizzonti dipinti come metafora di una verità possibile e testimonianza, forse, di un eterno inseguimento e del bisogno di una rappresentazione caleidoscopica.Svitlana Grebenyuk: della difficoltà di lettura del suo lavoro scrive, con estrema acutezza, Alessandro Riva. Parla dell’avventura este-tica e visionaria di una persona che si muove come se non ci fosse «un prima e un dopo, come se le avanguardie non ci fossero state» non perché ne disconosca o non ne condivida la lezione, ma perché gli steccati tra arte classica e avanguardia sono anch’essi morti, se-polti con la fine delle ideologie e del mito di un’umanità in sviluppo progressivo verso l’alba di un futuro radioso.L’artista ucraina, fondamentalmente una pittrice, non arretra, co-munque, di fronte alla necessità di sperimentare e realizzare in-stallazioni d’ogni tipo, quasi fosse indispensabile questo passaggio per trovare migliore accredito sul difficile crinale di un’arte che, nel-la sua più intrinseca sostanza, cerca di trovare soluzioni originali. E, in effetti, a tutt’oggi, Svitlana continua a muoversi da un linguaggio all’altro, con estrema libertà e, contemporaneamente, con gran-de forza espressiva, perennemente perseguendo una dimensio-ne onirica e fantastica in grado di restituire l’esperienza della vita attraverso la materializzazione pittorica. Nascono così opere me-ticce, abitate sempre da una grande verve intellettuale. Appaiono rovine immaginifiche, che sembrano scaturite dagli ambienti stra-lunati della sua stessa mente, e poi fantasmi russi, spettri di icone e arcani rumori, e sogni, che vagano, esuli, da una candida, divertita e stravagante innocenza.

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L’inequivocabile e prediletto obiettivo di catturare sensazioni scaturisce con evidenza dalle opere di Federico Lanaro, artista che coltiva una passione per la cultura giapponese e l’iconografia na-turalistica ma che percorre anche i ter-ritori della tecnologia e della fotografia. Coerentemente, quindi, la sua indagine artistica si addentra nei meccanismi della visione, con uno sbalorditivo gusto per la sorpresa, utilizzando un ecletti-smo e una ironia giocosa che facilitano l’empatia con lo spettatore. Il suo per-corso si distingue anche per la varietà delle tecniche utilizzate, che non gli fan-no mai perdere il contatto con la pittura vera e propria (ammesso che si possa poi definirla così). Lanaro sperimenta anche i modi espressivi della scultura e dell’installazione: questa volta, però, niente anomali cavalli o zebre e nem-meno orsi polari scanditi da tonalità aci-de e fluo. E meno che meno concettose installazioni. I due lightbox in mostra riprendono l’esperienza che l’artista ha condotto nell’incantevole cornice di Forte Strino a Vermiglio, nell’alta Val di Sole, nei pressi del Passo Tonale. Le due scatole luminose - veri e propri mi-cro spazi autonomi - accendono il rea-le e il simbolico e si offrono, grazie alla sperimentazione di un medium diverso, come esperienza spaesante dentro la fotografia di un paesaggio. Le due opere rendono le immagini quasi tridimen-sionali e si accendono di fasci luminosi che rivisitano oggetti appartenenti alla tradizione popolare, come i tipici basto-ni da caccia. E, chiaramente, i due light-

box, opere di raffinata sensualità visiva, vanno oltre l’estetica pop-surreale: essi realizzano un innovativo impegno ecosostenibile e un parallelo affinamento espressivo minimalista, in un processo in cui l’artista sembra prendersi gioco, sempre di più, della nostra storica difficoltà a liberarci di rigidi schemi interpretativi, quelli che immobilizzano la nostra visione del reale.Dacia Manto utilizza invece i linguaggi dell’installazione, del video e del disegno, per indagare la rappresentazione dello spazio e la sua percezione: la sua ricerca si muove tra analisi razionale e scienti-fica e riappropriazione delle responsabilità artistiche a difesa del-la natura. A proposito della sua arte Laura Luppi aveva parlato di un’esigenza dell’artista «di immaginare e riprodurre quello che vie-ne definito Jardin planétaire», vale a dire «un terreno fertile in cui variegate specie possano nascere ed evolversi in piena autonomia, lontane dal pericolo di un intervento invasivo da parte dell’uomo». Si constata comunque con evidenza che, nella concretezza della pratica artistica della Manto, è spesso il suo disegno che diventa elemento fondamentale: è il disegno al centro di un’azione che riflette sul momento generativo dell’atto artistico, su un fare che magicamente compie una azione salvifica e terapeutica, una sorta di esorcismo personale in un laboratorio aperto quale è la natura. Tra ecologia del segno e del disegno, l’artista reinterpreta e ripro-pone materiali semplici, poveri e immediati: la carta, la grafite, re-perti o altri materiali trovati in natura. E dunque Dacia si trasforma in custode e garante, nelle vesti del giardiniere planetario, di un rin-novato concetto di hortus conclusus, di uno spazio estetico che ri-manda alla rappresentazione simbolica del «Giardino dei Giardini», cioè dell’irrimediabilmente perduto Paradiso terrestre. Ovviamen-te, quantunque si abbia a che fare con carte e piani, che traducono graficamente la forza generatrice dell’ispirazione naturalistica, o con installazioni che diventano palcoscenici per la narrazione del-le radici mitologiche del giardino, ciò che appare interessante è l’ originale sentimento della natura che, attraverso il giardino, trova espressione: tra luogo del piacere dei sensi primordiali della Gene-si e i panorami in perenne mutazione delle comunità umane, che tutto antropizzano, anche, e soprattutto, a scapito dell’equilibrio ecologico del pianeta.La contaminatio ironica e paradossale del mito del buon selvaggio è uno dei principali «motori di ricerca» del giovane pittore abruz-

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zese Marco Pace. Tra natura e illusioni, l’artista riempie il tema di contenuti e significati nuovi, assolutamente inediti, per indagare la condizione dell’uomo. È dunque soprattutto in tale chiave espressiva che nei suoi dipinti sono rappresentati, spesso, interni d’archi-tetture moderne e contemporanee, abitate da figure che, talvolta, indossa-no maschere o costumi di arte primitiva africana e dell’Oceania. E ancora, sulla stessa lunghezza d’onda, in altre opere compaiono animali feroci oppure altri più miti abitatori della savana...Ciò che contraddistingue e caratterizza la sua operazione è che i suoi quadri sono dipinti, quasi sempre, dopo una accurata ricerca fotografica, attraverso veri e propri reportage, oppure dopo uno studio attento di reperti dei musei di arte primitiva e di storia naturale: tutto, poi, nel contesto di riferimenti ai capolavori dei principali musei d’arte contemporanea e alle nuove realizza-zioni d’architettura. Emerge alla fine una sorta di rinnovato sentimento neoromantico dell’ esotismo, un ten-tativo di spiazzare lo spettatore trami-te l’incongruità dei legami asseriti dalle immagini, cariche di improbabili sugge-stioni di paesi lontani. Marco Pace cerca insomma di mettere a fuoco il fascino che il «selvaggio» ha sempre avuto sul mondo occidentale, di fornire una rilet-tura della categoria dell’esotico, sentita spesso come uno schermo su cui far sostare superficialmente lo sguardo, volutamente riluttante ad addentrarsi in territori sconosciuti, diversi dai nostri:

la contraddittoria (stiamo ancora parlando di due universi lontani per tradizioni o costume) presenza di figure che non siamo abituati a incontrare nel contesto urbano a noi familiare crea un disorien-tamento percettivo, molto interessante dal punto di vista visivo. La categoria dell’altro, così, si stempera e sfugge ai luoghi comuni. L’esotico è pressoché disinnescato: nel territorio rappresentato, in cui si addentrano questi paradossali abitatori, non si distinguono - sopratutto essi non distinguono - pareti moderne da semplici spa-zi della natura. Tutto è Natura e terreno di caccia: appaiono perciò maschere di sacerdoti iniziati a riti vudù, animali che si assalgono reciprocamente, come è nella loro legge … Il territorio rappresentato nelle sue opere perde, naturalmente, di quella normalità usuale ai nostri sguardi: rimangono le linee archi-tettoniche urbane, spoglie però delle ritualità di cui sono funzionali. Marco Pace crea, alla fine, una atmosfera sospesa e lontana dal rassicurante senso di stabilità a cui siamo abitati per catapultarci in uno spazio assurdo e quasi metafisico. Non fa paura l’invasio-ne della natura selvaggia, fa paura il non riuscire a comprendere qualcosa che non conosciamo. Consideriamo ora le opere di Lorella Paleni, in cui la traccia più evidente è una lotta fra le forze interne dell’immagine e il limite del linguaggio testuale utilizzato per con-tenerle. È un’artista che si è gettata anima e corpo nella ricerca e attualmente vive a New York. Il suo pennello guizza, tra improvvisi vuoti, nel caos della memoria, avviluppato a un groviglio interiore di sentimenti, di emozioni e di sensazioni che si sciolgono in immagi-ni: il risultato è un complesso lavoro sulla percezione del sé. Attra-verso una contrapposizione/sovrapposizione di elementi naturali e artificiali, Lorella interroga la relazione fra umanità e ferinità. E il processo pittorico, come una sorta di magnetofono, registra un percorso il cui prodotto finale veicola la testimonianza dei conflitti, degli errori e dei pentimenti che hanno portato alla sua realizzazio-ne. L’umanità, l’identità propria e altrui sotto il controllo della natu-ra istintuale, la capacità di portare alla luce una sorta di componen-te animale rimandano a memorie di Francis Bacon. E tali memorie creano suggestive interazioni, tra una componente che sembra dare forma all’idea di un surrealismo contemporaneo e una figu-razione in cui si rapprendono, attraverso improvvisi e prepotenti tagli di luce, i temi tragici dell’esistenza. Emergono nelle opere stati di alterata percezione sensoriale, effetti di voluta distorsione

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dell’immagine, sguardi fissati sull’or-dinaria violenza presente nella vita. Le immagini che si depositano sulla tela, talvolta quasi miraggi psichede-lici, superata l’idea antica di mimesys, rivendicano una propria autonomia espressiva in virtù della forza di una pittura che, anche nella contempora-neità, può generare codici e linguaggi autonomi: disinteressata alla necessi-tà di giustificazione delle proprie cre-azioni antinaturalistiche e bizzarre, la pittrice veste la corazza dello stile. E la pittura mostra tutta la sua incredibile forza generativa, una forza in grado di fare apparire cose vere o non vere, ma, in ogni caso, capaci di rendere tutto il suo operare autonomo e veritiero: qui ogni errore, ogni dripping, ogni pennel-lata può causare una variazione inatte-sa e portare a una svolta imprevista e pur sempre vitale. La pittrice, in tutto questo suo procedere, rifugge dunque da ogni ingabbiante convenzione per cercare la costruzione di mondi pa-ralleli e sospesi in una realtà onirica. Il fluire del tempo, di ogni istante carico di eternità, è un altro punto importante della sua ricerca, tutta rivolta verso un risultato finale che evita ogni lettura concettosa dell’immagine. Ed ecco Laurina Paperina, enfant terri-bile, irriverente folletto dell’immagina-rio contemporaneo, il cui pseudonimo dichiara già la sua poetica giovanile

e irriverente. Non possono che scaturirne spiritose, disinibite e provocatorie immagini ciniche e caricaturali, ispirate a stili carto-oneschi e post-graffitisti. Alla maniera dei geniali Keith Haring o Jean-Michel Basquiat, Laurina affida il suo dialogo artistico alla semplicità di una immagine ad alto potenziale di seduttività pro-vocatoria ed emozionale. Un umorismo nero, radicale e plebeo sembra travolgere la misura di ogni immagine accettata dell’esta-blishment. Ne emerge un mondo popolato di miti tratti dal mon-do dell’infanzia e dalla cultura pop degli anni Ottanta e Novanta. Nessuna concessione a facili eleganze, nessun compromesso con bellezze pittoriche di tempi andati: l’opera di questa artista sembra rivolgersi alle masse che urlano insulti liberatori negli stadi e, come i loro urli, si libera da qualsivoglia ammiccamento al bob ton formale. Nelle sue opere i soggetti immediatamente riconoscibili (musicisti, superstar dell’arte contemporanea, attori, fumetti) si alternano a una miriade di eroi e anti-eroi che proven-gono direttamente da Duckland, il piccolo villaggio sperduto in un punto dell’universo creato dall’artista. In questo modo e in questo mondo i suoi personaggi diventano essi stessi icone pop, pronti a salvare, con una prorompente e stravagante energia, l’umano consesso dal rischio dell’appiattimento culturale.La Biennale Giovani del MAM chiude qui la sua vetrina affacciata sulla situazione artistica contemporanea. Le varie considerazio-ni sugli artisti che si sono ritenuti degni protagonisti di questa contemporaneità e le motivazioni della selezione sono sparse lungo il percorso dell’intero testo che precede l’inevitabile parola «fine». Continueranno come autentiche, tuttavia, le suggestioni che la mostra offrirà ai visitatori e che ha offerto a chi ha cercato di pensarla e tradurla nelle preziosa scena di un prezioso Museo. A tutti i partecipanti, infine, una sincera riconoscenza per la gioia che la loro arte ha saputo e saprà successivamente esprimere grazie ad un dono che appartiene soltanto a loro, un privilegio di cui saggiamente Montale ricordava che: «l’angosciante que-stione/ se sia a freddo o a caldo l’ispirazione/ non appartiene alla scienza termica».

Gianfranco Ferlisi

*Curatore

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Opere di- - Clelia Adami David Aaron Angeli Mattia Barbieri Nicola Biondani Angelo Bordiga Rudy Cremonini Gehard Demetz Matteo Fato Andrew Gilbert Giuseppe Gonella Svitlana Grebenyuk Federico Lanaro Dacia Manto Matteo Pace Lorella Paleni ^ Laurina Paperina

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Crocifissione 2013_tecnica mista su tavola/ cm 160x125

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Paesaggio grande 2013_fusaggine e bitume su tavola / cm 100x130

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Riflessioni II 2014_cera d’api/ cm 16x14x7

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Installazione realizzata con sculturine a forma di teste 2014_ cera d’api _ colore a olio/ cm 8x5x5

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WHITeWATHeRMELON 2014_tecnica mista su legno dimensioni variabili/ ingombro approssimativo m 3x2.50

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La dama delle scarpe 2014_cemento/ cm 170x90x80

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Il santo delle scarpe 2014_terracotta patinata_cemento e legno/ cm 210x20x20

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La dama bianca 2013_olio su tela/ cm 120x80

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I ricordi di Rosa 2013_olio su tela/ cm 100x80

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Perdo il ricordo 2014_olio su tela di lino / cm 150x190 ^

Senza titolo 2014_olio su tela/ cm 40x60 >

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You have stolen my silence 2006_legno/ cm 167.5x55x38

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Senza titolo con calco 2013_olio su lino e cassa da trasporto in multistrato / cm 103x127

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Senza titolo con Lupo Nero 2013_olio su lino e cassa da trasporto in multistrato / cm 60x70

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Masada - Starring Peter O’Toole 2012_acrilico_acquerello e penna su carta / cm 62x48

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Imperial Brocoli Victoria 2013 acrilico_acquerello e penna su carta/ cm 48x62

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Walking home 2013_acrilico su tela/ cm 40x34

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Dopo l’acqua le nuvole 2012_acrilico su tela/ cm 200x220

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Love 2013_smalto_acrilico su tela / cm 100x150

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Marduk 2013_smalto_acrilico su tela / cm 100x150

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RVRB (1) 2014_Lightbox / cm 90x80

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RVRB (2) 2014_Lightbox / cm 90x80

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Tyto Alba 2013-14_pastelli su carta/ cm 40x28

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Remiz Pendulinus 2013-14_pastelli su carta/ cm 40x28

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Due figure nel Quai Branly 2009_olio su tela / cm 160x140

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Surfista metabolista 2013_olio su tavola / cm 24x35

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Drifter 2013_acrilico e olio su tela/ cm 130x100

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Following 2013_acrilico e olio su tela/ cm 150x200

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Installazione di 4 copertine di dischi - Orange Clockwork - Natural Blues - Duty Free - Manhattan vs Godzilla.2012_tecnica mista su LP / cm 31.5x31.5

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Pink Floyd 2012_tecnica mista su tela/ cm 80x80

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Cenni biografici

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Clelia Adami L’artista compie i suoi studi all’Accademia di Belle Arti “Santa Giulia” di Brescia, Accademia presso la quale, nel 2006, consegue il diploma qua-driennale (con una tesi dedicata al rap-porto tra corpo e sensazione in Artaud, Bacon e Deleuze), e, nel 2008, il diploma di II livello in Pittura. A partire dal 2005 espone più volte in rassegne collettive allestite presso varie sedi del territorio lombardo, tra cui Palazzo della Loggia a Brescia (2005 e 2013), la Galleria Le Muse di Calcio (2008), il Museo dei Magli a Sarezzo (2009), Palazzo Coen a Salò (2010), la Sala del Podestà a Sore-sina (2011), la Rocca di San Giorgio ad Orzinuovi (2011), la Galleria Marchina di Brescia (2011). Nel 2007 allestisce la sua prima mostra personale, cui fanno presto seguito diverse altre occasioni espositive, tra cui la rassegna Sguardi ospitata nel 2011 dalle sale di Palazzo

Avogadro a Sarezzo. Nel 2009 è vincitrice del Premio Giovane Arte Bresciana e nel 2010 del Premio Moretto. Sin dagli anni di studio lavora moltissimo sulla raffigurazione del corpo e soprattutto del volto (specialmente femminile), nella convinzione che gli occhi si possano considerare gli elementi rivelatori della più intima essen-za dell’uomo. Per condurre tale indagine, che talora risulta spieta-ta e comunque sempre sofferta, ricorre molto spesso a supporti di grandi dimensioni, che le permettono di rendere più forti ed evidenti – attraverso inquadrature che dialogano strettamente con la fotografia – i dettagli che considera centrali, nel tentativo di focalizzare l’attenzione propria e dello spettatore (che viene in un certo senso “circondato” dal dipinto, e quindi costretto ad en-trare all’interno di esso) sulla verità dell’umano; con questa stessa necessità si spiega anche la scelta di una inquieta e talora violenta figurazione di matrice espressionista, spesso accompagnata da una materia pittorica densa e rappresa. Negli ultimi anni, durante i quali ha cominciato a lavorare sul paesaggio ed ha intensificato la sua ricerca sul tema del sacro e della crocifissione (interpretati anche quali metafore di un dolore che riguarda l’intera umanità), le sue figure – pur sempre ben presenti in sottotraccia – si sono fatte meno immediatamente riconoscibili, sino a lambire, in taluni casi, un’astrazione di ispirazione informale.

Brescia • 1983

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David Aaron Angeli David Aaron, attualmen-te, vive e lavora a Dimaro, in Trentino. Dopo la frequenza dei corsi in Orefice-ria all’Istituto d’Arte Vittoria di Trento, prosegue gli studi diplomandosi all’Ac-cademia di Belle Arti di Brera a Milano, nel 2006. La sua ricerca sull’immagine svaria oggi su vari percorsi. Ama dise-gnare e creare suggestive espressioni figurali utilizzando, di preferenza, la carta per ricercare l’interazione tra se-gno e le possibilità offerte dalla qualità del supporto, a cominciare dalla gram-matura, dallo spessore, dalla permea-bilità, dal colore… Le superfici disegnate si trasformano così in opere autonome oppure in frammenti e lacerti volti a creare immagini più complesse, vere e proprie installazioni ambientali. Ma ciò

che emerge è che l’artista usa con virtuosismo, maestria e cre-atività, tutte le tecniche possibili del disegno. Inchiostri, grafite, carboncini, pastelli e colori ad olio od acrilici offrono il ductus per un segno sempre calcolato nei suoi effetti finali. Interessanti le sue sculture in cera d’api, una materia modellabile molto versati-le che deve essere scaldata prima della lavorazione, per renderla più malleabile. Emergono qui le reminiscenze dei suoi studi da orafo. Ma David Aaron non crea più gioielli. Con la cera ammor-bidita accostata ad altri materiali da corpo a un ricco immagina-rio colmo di simboli, ad animali antropomorfe, a riscritture degli oggetti della ritualità sacra. L’artista dedica parte del suo lavoro alla didattica tematica per bambini. Tra le personali, si segnalano le mostre Conus Elaphus alla Fondazione Galleria Civica di Trento nel 2011, Lines on Limit a Innsbruck nel 2012 e In Antropomorfi al MART di Rovereto nel 2013.Dal 2009 cura una parte dell’Area Didattca del Parco Nazionale dello Stelvio (zona trentina). Attualmente collabora con il MART - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto per vari progetti didattico-museali.

Santiago [Cile] • 1982

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Mattia Barbieri Mattia Barbieri vive e lavo-ra a Milano, dove, nel 2010, consegue il diploma di laurea in Arti Visive con specializzazione in Pittura presso l’Ac-cademia di Belle Arti di Brera. Duran-te il periodo degli studi, in occasione del Premio di Pittura “Salon Primo” - concorso per giovani artisti allestito presso il Palazzo della Permanente a Milano - si aggiudica il primo premio. L’esordio come artista può però datare a cominciare dal 2006, quando ordina la sua prima personale (“retrospetti-va”) presso la Federico Luger Gallery a Milano. Nello stesso anno inaugura “Bicipiti di stracciatella” negli spazi della Galleria 42 di Modena (a cura di Maura Pozzati). Nello stesso spazio propone “Aperol Barbieri” e una enne-sima esposizione intitolata “Dessert on dessert” (2010). Con la mostra “Did you Dio, Opera Delocalizzata”, presso il Museo Internazionale delle Ceramiche (MIC), a Faenza l’idea che abbraccia la sua ricerca personale e che scaturisce,

spesso, da una sensazione di fascinazione per un luogo, da un personaggio, da un evento o, più in generale, da un’atmosfera intesa, come energia ispiratrice, comincia a trovare una sua de-finizione più matura. Con le “Pitture Domestiche” proposte nel 2013 da Federico Luger a Milano e poi a Trieste, presso lo studio Tommaseo, emerge una poetica fatta di una continua evoluzio-ne (cambiamento/trasformazione). È così che il presupposto di ogni lavoro diviene il tentativo di tradurre in qualcosa di visibile il magnetismo e la fascinazione che di volta lo lega all’identità di un luogo. Nel 2014 con “Vedute, The New Fragrance”, presso la galleria Oltredimore,a Bologna, sono visibili, in un percorso pa-rallelo, le intuizioni, le prove, gli errori, le solidificazioni, le tensio-ni, i rimandi continui tra i frammenti e la totalità. Tutto questo ( e molto altro) è, infatti, la new fragrance che l’artista ha distillato nel suo studio e portato nei nuovi spazi della galleria. Ha parteci-pato inoltre anche a importanti mostre collettive quali: La Pintura es una cosa de vida o muerte (2013), presso il L.E.M. di Sassari, a cura di Alberto Zanchetta; alla seconda Biennale Internazionale di Mosca per Giovani Artisti 2010 “Qui Vive?”: Attention! Border crossing, nella White Hall del Winzavod Contemporary Art Cen-ter; a Platform - Drawings alla Pablo’s birthday di New York, a cura di Jimi Bingsley, (2009).Ha vinto il Premio Lissone nel 2012 e ha partecipato alla X edi-zione del Premio Cairo nel 2009. È membro attivo della rivista d’Artista E IL TOPO.

Brescia • 1985

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Nicola Biondani Nicola si diploma pres-so l’Istituto d’arte di Guidizzolo, nel 1996. Due anni dopo ottie-ne il diploma di Maestro d’Arte. Nell’A.A. 2002-2003 completa, presso l’Accademia di Belle Arti “G.B. Cignaroli” di Verona, i corsi fonda-mentali e complementari della scuo-la di scultura. Nel febbraio del 2004 si laurea presso il medesimo istituto. Nello stesso anno inizia a lavorare come scultore scenografo nell’En-te Lirico veronese e qui rimane fino all’anno successivo quando decide di aprire, a Mantova, il suo primo labo-ratorio di scultura. Da quel momento intraprende una fitta attività lavora-tiva ed espositiva che si concretizza in numerose personali e collettive.Ciò che comunque conta, del suo iter formativo, è che, rapidamen-te, mette a fuoco le due parallele ispirazioni che agitano ancora oggi le sue sculture. La prima è quella classica, tutta intrisa degli umori

novecentisti e di un gran mestiere: le sue sculture, amabi-li e inquietanti, sono infatti rese con raffinati virtuosismi tecnici, senza che tutto ciò denoti vane cadute in leziosità retoriche. La seconda è quella contemporanea, colma di ri-ferimenti a un mondo popolato di antieroi, schiacciati dalla fatica del vivere, dalla banalità della vita quotidiana e dal-la solitudine. Il gioco di contrappunti, la forza sostanziale pertinente anche ai lavori più piccoli gli permette di creare personaggi fragili e fabulistici, plasmati con la minuziosità indagatrice di chi sente, fantastica e immagina: angeli sen-za meta per le vie di un mondo avvertito come estraneo. Ma osserviamo meglio il suo percorso di crescita. Nel 2006 si classifica primo nel concorso «Proposta a giovani artisti 2006», organizzato dalla Fondazione Tonio-lo, Associazione Amici di don Angelo Marini. Dal 2008 la-vora con la Galleria Gagliardi di San Gimignano e dal 2013 con la galleria varesina Punto sull’arte di Sofia Macchi.Ha collaborato nel contesto di numerosi concorsi di progettazio-ne ed attualmente è impegnato nella realizzazione di varie ope-re di scultura in una nuova chiesa nell’Arcidiocesi di Ugento (LE).Nel 2014 il comune di Badia Calavena (VR) gli commissiona un monumento da inserire nel tessuto urbano.Attualmente vive e opera tra Milano, Pietrasanta e Verona mentre sempre più opere entrano a far parte di collezioni pri-vate e pubbliche: in Italia e all’estero.

Mantova • 1976

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Angelo Bordiga L’artista, qualche anno fa, si diploma all’istituto d’Arte di Can-tù. Prosegue gli studi per diplomarsi all’Accademia di Brera a Milano. Dal-la fine degli anni Ottanta collabora come scenografo e «pittore realiz-zatore» con la compagnia teatrale “Uscita di sicurezza” di Milano. Al 1993 data l’esordio come pitto-re, con la sua prima vera persona-le intitolata «Gli Angeli di Angelo» all’Ambush Club di Roma. Dal 1994 al 1996 opera come decoratore per l’Istituto Grafico Italiano di Milano. Negli anni successivi lavora come re-stauratore di opere architettoniche con la «cooperativa per il restauro» sempre di Milano. Dal 1998 al 2000 esegue opere di decorazione trompe l’oeil con la ditta Gilmajo di Brescia. Dal 2001 ha deciso di votarsi inte-ramente alla pittura. Angelo, così racconta Renzo Margonari, è rima-sto un artista giovanissimo sebbene

abbia superato la soglia dei cinquant’anni. Come capitò già a Dorian Gray è riuscito a trasferire e a bloccare la corruzione del tempo per lasciare inalterato sia il suo aspetto fisico sia i sentimenti della sua anima. Lo si direbbe un ventenne ad osservarlo da vicino. Parallelamente i suoi numerosi auto-ritratti invecchiano e mostrano i segni del tempo del passa.Ma ai suoi collezionisti ciò non importa. Restio a rilasciare troppe informazioni sul suo percorso Angelo cita più spesso Italo Calvino che Oscar Wilde. Ma noi possiamo comunque sciorinare un piccolo ma significativo elenco delle iniziative in cui lo abbiamo visto protagonista. Ha infatti partecipato a numerose mostre in gallerie private e spazi pubblici. Tra le mostre personali ricordiamo l’allestimento proprio presso il M A M di Gazoldo degli Ippoliti (2012); presso l’Associazione La Parada di Brescia (2012); «Bianco e nero» presso la sala Santi Filippo e Giacomo a Brescia e presso la chiesa di San Lo-renzo a Bagolino (2011); «Studi» a Villa Brunati di Rivoltella di Desenzano (2010); «Metafore nella figura» al Civico Museo Paris-Valle di Maccagno (2009); «Autoritratti» presso il Cen-tro di Cultura e arte di Masovia-Galleria Elektor a Varsavia in Polonia (2007); «Perenne» presso lo Studio d’Arte Martini di Toscolano Maderno (2004). Il suo lavoro è, ovviamente, ricercato da numerose collezioni private e pubbliche in Italia e all’estero.

Bagolino [Bs] • 1963

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Rudy Cremonini Rudy si è diplomato all’Ac-cademia di Belle Arti di Bologna nel 2006. Dipinge dall’età di 17 anni. Dal 2005 (fino al 2010) lavora su una serie di ritratti in bianco e nero: crea così un archivio di immagini che lo porta a realizzare una sugge-stiva installazione al museo di cere anatomiche Luigi Cattaneo (proget-to GiaMaArt studio - Arte Fiera Off). Su tale base di remini-scenze figu-rative interviene, successivamente, al Museo Ebraico di Bologna dove, per il giorno della memoria del 2012, vengono installate una serie di valigie dipinte («La vita la vedia-mo a memoria», a cura di Luigi Me-neghelli, progetto GiaMArt studio). Dopo questa parentesi avviene il ritorno alla pittura ad olio, un per-corso intrapreso prima degli studi accademici e assai più intimo. Tale approccio porta Cremonini a svilup-pare una sensibilità molto ricercata e raffinata nei confronti della ma-

teria pittorica. Attraverso la rarefazione di un segno lento e morbido, forte di una ricercatissima temperatura, quasi d’ascendenza nordica, conduce i più disparati soggetti ad un unico universo, per coniugare immagini apparentemente distanti ma legati da una forte sensibilità poetica. A Bolo-gna ha intrapreso la sua attività espositiva. Al 2007 risale la sua prima vera personale («Harness» - Magazzini Criminali, Sassuolo). Da questo momento le personali si susseguono frequenti. Rammentiamo, nel 2008, «Soul Shibari» pres-so il Whitecube3 di Roma e poi, nel 2010, «Lebensraum» a cura di Lorenzo Canova, per Substance (Biennale della Marsica), «documenti d’alterità», a cura di Lorenzo Canova, presso il GiaMaArt studio per arrivare alle più recenti espo-sizioni presso la Galerie Thomas Fuchs a Stoccarda (2013) e a «Recent & Relevant - Rudy Cremonini/Reuven Israel», a cura di Sarah Crown, allestita presso lo Spazio 511 di New York.Numerose e prestigiose le diverse collettive tra le quali si citano «[Die Verführkraft schöner Kunst ] - Themenaus-stellung», a cura di Stephanie Lyakine-Schönweitz, pres-so la Galerie Stephan Stumpf di Monaco¸ «Dorian Gray», a cura di Ilan Cohen e Quang Bau, Second Guest, Ana Cri-stea Gallery di New York (2012), «Breaking God’s heart» a cura di Uwe Goldenstein (BSA), Liebkranz Galerie di Berlino (2012).

Bologna • 1981

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Gehard Demetz Gehard Demetz nasce a Bolzano nel 1972. Cresciuto in Val Gardena, dove la professionalità nell’intaglio del legno raggiunge li-velli altissimi, lo scultore ha saputo far proprie le conoscenze legate alla tradizione, preservandole e aggiun-gendovi le sue capacità inventive e combinatorie. Gehard frequenta l’Istituto d’Arte e la Scuola Profes-sionale Provinciale per scultori. Nel 1992 compie il suo apprendistato alla bottega di Matthias Resch e nel 1995 diventa maestro scultore. Dal 1996 inizia a svolgere attività di insegna-mento. Tra il 2000 e il 2001 frequenta i corsi degli Zhou Brothers e di Jacobo Borges all’Accademia di Salisburgo. Dal 2003 è socio del Südtiroler Kün-stlerbund.Nel 2005 allestisce la sua prima personale alla Galleria Rubin di Milano. L’anno seguente il suo la-voro viene presentato a Bologna, ad Artefiera 2006, dove le sue sculture non passano inosservate. In autunno, infatti, è tra i finalisti della VII Edi-zione del Premio Cairo.Nel 2007 si

riconferma ad Artefiera e ArtCologne in Germania. Nel giugno dello stesso anno propone la sua seconda mostra personale alla Galleria Rubin in cui espone l’opera «I want to be flexible», di oltre 3 metri di altezza. La grande scultura, che rappresenta una bambina che impugna un rossetto come se fosse un’arma, farà parte dell’esposizione SerrOne - Biennale Giovani alla Vil-la Reale di Monza, nell’autunno dello stesso anno. Nel 2008, dopo gli ottimi risultati conseguiti a MiArt di Milano, è il «sold-out» dello stand alla fiera di ArtCologne dove partecipa con due sculture che ritraggono Adolf Hitler e Mao Zedong bambini. In concomitanza con la fiera tedesca presenta i suoi ultimi la-vori in un’esposizione personale: Gehard Demetz. Skulpturen alla Villa Wessel di Iserloh, sempre in Germania. Del 2008 è la pubblicazione del volume Sculptural Child Figures pubblica-to da Silvana Editoriale, con testo di Rolf Lauter ed una inter-vista all’artista di Luigi Fassi. Nel 2008 la Galleria Greenberg Van Doren di New York propone le sue opere. Nel 2009, con «Superheroes: Kinder-Träume?» espone alla galerie Gefängnis Le Carceri di Bolzano e poi nell’ex Chiesa di San Francesco a Como. L’anno successivo lo troviamo nella Galeria Raquel Pon-ce a Madrid mentre nel 2011 è protagonista di varie personali tra Dusseldorf, Milano e Valladolid. Le sue opere sono attual-mente esposte alla Jack Shainman Gallery di New York men-tre emerge, sempre più, il percorso di uno scultore di successo invitato da importanti gallerie italiane, statunitensi, spagnole, tedesche e persino coreane.Ovviamente ha anche realizzato sculture monumentali, su commissione, per i collezionisti di tutto il mondo

Bolzano • 1972

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Matteo Fato Matteo vive e lavora a Pe-scara ed è alquanto restio a fornire i propri dettagli biografici. D’altra parte è famosa la renitenza per i dati per-sonali di Balthus il quale, sollecitato sull’argomento da John Russell, fece recapitare le seguenti righe: «Niente note biografiche. Scrivi così: Balthus è un pittore di cui non si sa niente. È bene piuttosto che si osservino i suoi dipinti». Ma noi, prima di osserva-re i dipinti di Matteo Fato, possiamo sciorinare un piccolo ma significativo elenco delle iniziative principali in cui lo abbiamo visto protagonista. Ha in-fatti partecipato a numerose mostre in gallerie private e musei pubblici: in Italia e all’estero. Tra le mostre perso-nali ricordiamo «(parentesi)» al Museo Civico / Spazio San Paolo Invest di Treviglio (2014); «Non di sola Pittura» presso la De Martino Gallery, a Mona-co in Germania (2013); la Personale con Alberto Zanchetta presso la Cart Contemporary Art di Monza e presso ARTcore a Bari (2013); «(Osservando la parola)» nella Casa natale di Raffa-ello a Urbino 2011; «Il senso dell’ or-dine» presso AB23 a Vicenza (2010); «[!m’a:t?t”e(o)f;a.t,o]» presso la Galle-ria Cesare Manzo a Roma e a Pescara, (2009); «Videosegnando» presso il MLAC di Roma (2007). Tra le mostre collettive rammentiamo solamente le seguenti: «Talent Prize» presso la Casa dell’Architettura a Roma (2014);

«Vita Activa - Figure del lavoro nell’arte contemporanea» pres-so il Palazzetto Albanese a Pescara (2014); «Piccolo Compendio d’istruzioni di Pittura» presso la Galleria Vault + BBSpro, a Prato (2014); «#painting. about, around & within» presso la Galleria UPP, a Venezia (2014); «Blumm Prize» presso l’ambasciata Ita-liana a Bruxelles in Belgio (2013); «1986 - 2013 / En kunstner som samler kunst», Vestfossen Kunstlaboratorium a Vestfos-sen, in Norvegia (2013); «(P)-(P)ARERGA & (P)ARALIPOME-NA DELLA (P)ITTURA» presso il BonelliLAB, di Canneto sull’Oglio (2013); «About Waves, deel III ‘Via het virtuele’», al Museumcultuur Strombeek di Gent e al Cultuurcentrum Strombeek di Grimbergen, in Belgio (2013); «Ishmael «uno è pittore»» al MAC (Museo d’Arte Contemporanea) di Lissone (2013); «Fuori Uso in Opera» presso il cantiere Caldora “Opera” di Pescara (2012); «Come una bestia fe-roce» al BonelliLAB, di Canneto sull’Oglio (2012); «Ceci n’est pas du cinema!» al Castello di Rivoli e al Museo del Cinema di Torino (2011); La partecipazione al XII Premio Cairo, presso il Palazzo della Perma-nente di Milano (2011); la partecipazione alla 54° Biennale di Vene-zia - Padiglione Accademie, Tese di S. Cristoforo (2011); «Impresa Pittura» al CIAC di Genazzano (2010); «Libri d’Artista dalla colle-zione Consolandi 1919-2009» al Palazzo Reale di Milano (2010); «Drawings in Action» presso il Centro Pecci di Prato (2008); «Video Lounge» in Artissima14 a Torino (2007); «L’ Immagine Sottile 01» al GC.AC di Monfalcone (2006). Nel 2012 conclude la residenza pres-so la Dena Foundation for Contemporary Art (Parigi) con la mostra personale «Vidéos_Dessins», e la partecipazione alla mostra «La collection Giuliana et Tommaso Setari, retour à l’intime» (La maison rouge, Fondation Antoine de Galbert). Ha ricevuto infine diversi ri-conoscimenti tra cui il premio «Level 0 – ArtVerona »(2013), come artista selezionato da Giacinto Di Pietrantonio per il Museo Gamec (Bergamo) e il Premio Città di Treviglio (2012). Nel 2008 è stato invi-tato in residenza presso la Fondazione Spinola Banna (Torino), con Adrian Paci, come visiting professor. Nel 2010 è stato selezionato come artista italiano in residenza presso ArtOmi, (New York). Il suo lavoro è, ovviamente, presente in numerose collezioni private e pubbliche in Italia e all’estero.

Pescara • 1979

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Andrew Gilbert Andrew Gilbert, dopo la tesi in Storia dell’arte medievale, si è trasferito a Berlino, città in cui attual-mente vive e lavora. Qui ha intrapreso la sua attività espositiva, e tenuto la sua prima personale, «Deutsch Afri-kanische Freundschaft», nel 2003 presso l’Autocenter. Tra le parteci-pazioni collettive si ricordano le mo-stre «Irresistible magazine», presso la Tate Modern di Londra (2007), «Moving Walls» presso il Museum of New Art di Detroit (2008), «Der Muede Tod» presso il Kai 10 – Raum fuer Kunst di Düsseldorf (2009), che ha acquisito alcune opere per la col-lezione permanente e «Apokalyptik als Wiederstand – Collection Tom

Biber» presso il Bavarian Army Museum di Inglostad (2012-2013). In questi anni l’artista ha tenuto alcune lezioni presso le università di Londra, Edimburgo e Praga, ha partecipato ad alcuni progetti in residenza e a numerose fiere internazionali. Tra le personali recenti si ricordano «Andrew Emperor of Afri-ca» a Parigi (2011), «Colonial Exhibition – Culloden 1746», a cura di Felix Zdenek, ad Amburgo (2012), «1.per.sing» presso lo spazio b-05 di Montabaur e «Andrew Gilbert and Akiyoshi Mishima» presso la Galleria Nanzuka di Tokyo (2013). Tra il 2013 e il 2014 Andrew Gilbert ha collaborato con lo spazio Blank Southern Projects a Cape Town, incontrando per la pri-ma volta quel mondo sud-africano che aveva ispirato in pre-cedenza molti dei suoi lavori.L’artista è stato conosciuto in Italia con la personale «An-drew’s Glorious Army Crosses the Alps» presso lo Studio d’Arte Raffaelli di Trento (2013) e con la doppia personale «Forte comune 1914/2014» presso il Forte Strino di Vermi-glio, riallestita presso lo Studio d’Arte Raffaelli (2014).

Edimburgo [Regno Unito] • 1980

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Giuseppe Gonella L’artista ha studiato presso l’Accademia di belle Arti di Venezia. Tra il 2006 e il 2007 è stato titolare dell’atelier della Fondazione Bevilac-qua La Masa di Venezia dove ha espo-sto in diverse collettive tra le quali si citano la 89ma collettiva giovani (2005), Atelier 8 x 12, SS.Cosma e Da-miano, I borsisti della 89ma (2006), Spritz Time (2007), Suspense (2010) e Still Frame (2014). In occasione di Involved, la personale tenutasi lo scorso autunno alla Galleria Giovanni Bonelli di Milano, è stato realizzato un ampio catalogo con testi di Pietro Marani e Carlo Sala, un catalogo che ne riassume efficacemente il percor-so. Attualmente Giuseppe vive e la-vora a Berlino e qui ha appena chiuso i battenti la sua personale De aeterno reditu presso la Egbert Baqué Con-temporary Art. Ma il riconoscimento più sostanzioso, quest’anno, arriva dal XV premio Cairo che lo vede tra i finalisti. Gonella, con la sua pittura dai colori accesi e graffianti, è oggi una delle figure emergenti della nuo-va arte italiana. Dopo il periodo vene-ziano, dopo i primi e più sperimentali momenti, dopo i suoi vari viaggi, si è fatta sempre più intensa l’urgenza di tradurre in pittura quelle porzioni di verità che ri-conosce nel mondo circostante attraverso persone ed

esperienze. Le persone sono state spesso i veri protagonisti delle sue iniziali storie oniriche e pittoriche. Ora, predominano invece i dialoghi improbabili, le cronache della contemporanei-tà costruite con un piglio quasi epico, tra paesaggi ed edifici, tra lacerti e frammenti di colore che rarefanno lo spazio e la superficie dipinta per creare nuove geografie dense di rimandi e di allusioni, orizzonti spigolosi da apparizione abbacinante.Tra le principali mostre personali ricordiamo anche: Mente Lo-cale al MAG di Arco, Galleria Civica G. Segantini (2014); Eviden-ce of time al Chiostro Madonna dell’Orto, di Venezia (2013); No place left to hide alla Casa dei Carraresi di Treviso (2012); Suspanded Oscillation, 263 alla SenArt Gallery di New York (2011); La cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili alla Changing Role Gallery di Napoli (2010); Personal al Palazzo San Pasquale di Venezia (2209); Wandering stuff alla Changing Role Gallery di Roma (2008). Tra le mostre collettive recenti da ricordare: In absentia al Museo Correggio - Palazzo dei Principi; Abbracadabra alla Egbert Baquè Contemporary Art di Berlino; Take a walk on the wilde side sempre alla Egbert Baquè Con-temporary Art di Berlino; Leipzig young contemporary al Clara Park di Lipsia; (S)innehalten. Sense(s) nella galleria L’espace de l’espace HB55, a Berlino; Still Frame - Cake away presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, a Venezia, (2014); Artstays alla Gallery Magistrat, a Ptuj in Slovenia; Parerga & Paralipo-mena della Pittura presso il Bonelli Lab, a Canneto sull’Oglio (2013). Ausstellung, presso Kunsthalle HB55, a Berlino; Cup of good hope, 17 presso la Pilotenkueche alla Spinnerei di Lipsia; Betriebsauslug presso la Raum linksrechts - Gaengeviertel, ad Amburgo; «Come una bestia feroce» presso il Bonelli Lab, a Canneto sull’Oglio (2012). Blu canvans Issue 11, alla Exchange di Los Angeles; la partecipazione alla LIV Biennale di Venezia, Palazzo delle esposizioni, Torino (2011); The Berlin Wall, pres-so The Promenade Gallery, a Valona; Liquida preview al Museo di Santa Caterina, a Treviso (2010).

Motta di Livenza [Tv] • 1984

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Svitlana Grebenyuk Svitlana vive e lavora, ora-mai da molti anni, a Milano. Conse-gue però la maturità di scuola supe-riore nel suo paese d’origine poi, nel 2001, si iscrive alla Nuova Accade-mia di Belle Arti (NABA), a Milano. Prosegue i suoi studi all’Accademia di Brera. Esordisce nel 2003 esponen-do alla mostra Acqua, Acqua, Acqua presso il Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano mentre, nel 2004, partecipa alla col-lettiva Quartetto presso la Nowhere Gallery, sempre a Milano. Nel 2005 viene selezionata per il Salon Primo e le sue opere sono esposte presso il Museo della Permanente di Milano. Nel 2006 viene invitata a far par-te del progetto: Un lavoro fatto ad arte, a cura di Monica PiroIla, presso il Palazzo Te di Mantova e, sempre nel 2006, è tra i vincitori del Premio Italian Factory per la giovane pittu-ra italiana. Nel 2007 partecipa alla mostra Indicativo Presente, a cura di Luca Beatrice, Alessandro Riva e Maurizio Sciaccaluga, al MiArt, e a La Nuova figurazione italiana: to be continued, a cura di Chiara Canali,

presso la Fabbrica Borroni di Bollate; sempre del 2007 è la sua partecipazione a Il Treno dell’Arte – Da Tiziano a Nespolo alla Street Art: 500 anni di Arte Italiana, mostra itinerante a cura di Ferdinando Arisi, Duccio Trombadori, Luca Beatrice e Chiara Canali. Nello stesso anno ha la doppia personale Mne-mosyne, con Cristiano Tassinari, allo Spazio 8 a Milano. Nel 2008 partecipa a Germinazioni. A New Breed, al Museo della città, Palazzo della Penna di Perugia, a cura di C. Canali, e a Rumors, ex Arsenale Borgo Dora, Torino. Nel 2009 allestiva la mostra personale Ultima traccia alla Fabbrica Borroni di Bol-late. Nel 2010 partecipa alla mostra Cross Painting, a cura di Alessandro Riva, presso il Super-studio più a Milano all’in-terno della manifestazione (con)Temporary Art. Nel 2011 è finalista della dodicesima edizione del Premio Cairo a Milano al Palazzo della Permanente. Lo stesso anno allestisce una personale (Portrait) a Roma, presso la First Gallery. Tre per-sonali caratterizzano il 2012: la prima, Perturbaciones, pres-so il Museum Nacional de Bellas Artes di Havana, a Cuba: è poi la volta di Twin Rooms, al Festival dell’Arte di Havana, ancora a Cuba; infine con Surf, The White Gallery celebra il suo ritorno a Milano. L’anno successivo, nel 2013, sono da ricordare Nero, una nuova personale presso la Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter di Milano e Road Maps presso le Officine Creative Ansaldo, ancora a Milano.Nel corso del 2014 ha allestito la mostra personale Ultima Cena presso lo spazio Bianca Maria Rizzi a Milano e Superhe-roes 2.0 presso la Fondazione Villa Bertelli a Forte dei Mar-mi. Ha partecipato anche ad Artefiera Bologna nello stand Art Forum.

Kiev [Ucraina] • 1979

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Federico Lanaro Federico, nel 2004, si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e, da allora, ha cominciato la sua attività espositiva lavorando tra Milano e Trento. Ha partecipato a numerose mostre collettive e perso-nali; si citano tra le collettive recenti la presenza al Padiglione Trentino Alto Adige – 54^ Biennale di Vene-zia, presso Palazzo Trentini a Trento, «Codex Vitae», presso l’Università di Scienze Cognitive di Rovereto (2011), «Play by the rules – DC Next2012», a cura di Gianluca D’Inca Levis, presso il Museo delle Regole di Cortina d’Am-pezzo (2012), «X Mas 2013 – Sten-

dardi d’artista», a cura di Alberto Zanchetta, presso il MAC di Lissone, Green Area, presso la Fabbrica del Vapore a Milano (2013), Chiamata a raccolta, presso la Galleria Civica di Trento, Cecità bianca, presso il MAG di Riva del Garda (2014). Tra le personali sono da menzionare Gemine Muse, presso il Castel-lo del Buonconsiglio di Trento (2007), «Supernatural!», a cura di Duccio Dogheria, presso lo Studio d’Arte Raffaelli di Trento, Welcome, presso la galleria BlackBox di Sarajevo, Opera Civi-ca presso la Galleria Civica di Trento (2011) «Mountain Ways», presso Taibon Agordino, in collaborazione con Dolomiti Con-temporanee, «RMX», a cura di Valerio Dehò, presso lo Studio d’Arte Raffaelli, «Un’aquila non ha bandiera», a cura di Daniele Capra, presso il Forte Strino di Vermiglio (2013).Nel 2011 si è classificato terzo al premio Transart, con il pro-getto «Scheibe2», e nel 2012 ha vinto il Premio Murri, con la serie «Hide Away».

Rovereto • 1979

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Dacia Manto L’artista, diplomata all’Ac-cademia di Belle Arti di Bologna, vanta un curriculum vastissimo e difficile da riassumere in poche righe. Dacia incan-ta il mondo dell’arte già, nel 2005, con «Agreste» una sorta di personale – con radici, muffe, muschi, innesti e rizomi che crescono sub vitro o avvolti da garze e trame artificiali – alla Galleria Klerkx di Milano. L’anno successivo, nel 2006, Dacia Manto propone due personali: la prima presso la Galleria comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (a cura di Andrea Bruciati), la seconda presso il «Laboratorio dell’Imperfetto», a Cesena. Nel 2007 espone presso la Galerie Di Maggio, a Berlino. Da questo momento diventano moltissimi i riconoscimenti tra i quali segnaliamo la proclamazio-ne quale vincitrice del premio «Giovani Artisti da conoscere delle Accademie di Belle Arti di Bologna e Roma», premio svoltosi a Ripatransone (Ascoli Piceno) nel 2007. Dacia, l’anno dopo, è vincitrice di «Geniali», Premio Alitalia per la Gio-vane Arte italiana e, sempre nel 2008, è finalista della nona edizione del Pre-mio Cairo a Milano. Lo stesso anno, con «Jardin Planetaire», ripropone ancora la sua creatività presso la galleria Klerkx di Milano (a cura di Marco Tagliaferro). Nel 2009 propone le sue opere tra gli eventi d’apertura dell’XI edizione di Am-mutinamenti - festival di danza urbana e d’autore. Le sue opere sono esposte alle Artificerie Almagià. Lo stesso anno è

protagonista in «Critica in Arte 2009-2010», al Mar (Museo d’Arte della città di Ravenna). In una personale curata da Claudia Casali, l’artista propone infatti, con significativa misura, i propri linguaggi fatti di installazione, di video e di disegno. Indaga così la rappre-sentazione dello spazio e la sua percezione, tra analisi razionale e scientifica e riappropriazione intima e personale. Materie e materiali differenti accompagnano il suo percorso, sempre attento a svelare nuove e inattese realtà. Nel 2010 è tra i finalisti del Premio Agenore Fabbri per l’arte italiana, a Kiel. Nel 2011 vince sia il Premio Acea- Ecoart, a Roma, sia il Premio Aletti a Verona. Nel 2011 troviamo Dacia Manto al Macc, Museo d’Arte Contemporanea, di Calasetta e l’anno dopo, espone alla galleria Volta, a Basilea. Tra le mostre più recenti è appena il caso di ricordare «Claudeopsis, Lo sguardo di Claude - Progetto per Tuscia Electa», a Tavarnelle in Chianti., a cura di Arabella Natalizi (2013), «Geomantica 11» presso la Casa delle Monache a Santarcangelo di Romagna (2013), «Terre silenziose» al Museo di Storia Naturale di Ferrara (2014) Fino alla recentissima «Luciferine», una monografica allestita, nel 2014, presso la Galleria Artopia a Milano. Tra le mostre collettive rammentiamo solamente le seguenti:«Drawings in action, Disegni animati dall’Italia» al Centro per l’Ar-te Contemporanea Luigi Pecci di Prato, a cura di Lorenzo Giusti (2008); «Fragile Metropole» al Museo d’arte Contemporanea di Saint Etienne, a cura di Lorand Hegyi (2009); «Percorsi ritrovati nell’arte italiana» al Mart di Rovereto (2011); «Donne, donne, don-ne» presso la Fondazione Remotti, a Camogli, a cura di Francesca Pasini (2011); «When (italian) responsibilities become forms» a cura di Raffaele Quattrone presso Oltre dimore a Bologna (2012). «Dacia Manto/ Fabrizio Rivola/ Peter Stanovic» presso Casabianca a Bologna (2013); «La verde miccia» allo Spazio ninapi di Ravenna (2013); «Vedo sostenibile» nel Quartiere intelligente di Napoli - a cura di Adriana Rispoli - (2014); «Krobilos» nel Museo della Città di Rimini (2014); «La scrittura disegnata. Quaderni di artisti e scrittori contemporane» al Musas, Museo Archeologico di Santarcangelo di Romagna (2014). Il suo lavoro è, ovviamente, presente in numerose collezioni private e pubbliche in Italia e all’estero.

Milano • 1973

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Marco Pace L’artista, dopo l’iniziale for-mazione presso il locale l’Istituto Sta-tale d’Arte, si trasferisce, nel 1997, a Firenze per seguire il corso di Pittura Informale dell’Accademia. Durante gli anni di studio lavora nel campo dei fumetti, nella scenografia di opere teatrali e cinematografiche ed espone in numerose mostre personali e col-lettive. Consegue il diploma nel 2003. Dopo la laurea conosce e collabora con Gianni Pettena e dal 2007 supervisio-na la realizzazione delle installazioni dell’An-architetto (Manifesta7, bien-nale di Atene, FIAC, Artissima, PAC, UMOCA Salt Lake City, gallerie priva-te etc. ). Pace, parallelamente, porta avanti la sua attività di ricerca pitto-rica: nei suoi dipinti sono rappresen-tati interni d’architetture (musée du Quai Branly, la stazione di Michelucci, installazioni di architetti radicali...) e paesaggi dall’essenza primordiale, dei quali l’artista fa esperienza diretta,

abitati da figure o da manufatti del contemporaneo sottoforma di citazioni colte. L’incongrua presenza di figure che non siamo abituati a incontrare nel contesto di architetture moderne o di ambienti la cui natura è identificabile nelle vicinanze territoriali, posti in una compresenza ambientale, crea uno sfasamento, per lo meno di ordine visivo. L’effetto, alla fine, si attenua fino a quasi scomparire. La categoria dell’Altro, si stempera. L’eso-tico è abolito. Il risultato è una scena di impostazione teatrale che evidenzia la centralità del soggetto direttamente affacciata alla singolarità del suo spettatore. La citazione diretta a opere contemporanee reintroduce la dimensione storicizzante della pittura. I quadri, come ama spiegare l’artista, vengono realizzati dopo una ricerca fotografica, condotta con estremo scrupolo, durante i suoi viaggi (Parigi, Londra, New York, Berlino...) e la visita di musei di arte primitiva e di storia naturale, nonché di arte contemporanea e di nuove realizzazioni d’architettura.Le ragioni di tutta questa ricerca hanno portato Marco Pace, in questi ultimi mesi, nel corso del 2014, a realizzare una bella personale intitolata «Spazio privato» presso la galleria Giovan-ni Bonelli Milano, un’altra personale alla Casa del Mantegna (Mantegna Cercasi) a Mantova e un’altra personale - «SWAB» – nello stand del Bonelli Lab a Barcellona Art Fair.Un lavoro tanto interessante è, ovviamente, ricercato da nume-rose collezioni private e pubbliche in Italia e all’estero.

Lanciano [Ch] • 1977

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Lorella Paleni Lorella si diploma nel 2005 come tecnico di grafica pubblicitaria presso l’istituto Caterina Caniana di Bergamo. Immediatamente dopo si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ed è a Venezia, nel 2007, con la collettiva «Atelier F» tenuta presso l’Accademia di Belle Arti, a cura del professore Carlo Di Raco, che inizia il suo percorso artistico ed espositivo. L’artista si laurea in Pittura nel 2010 ed è attualmente iscritta al suo ultimo anno di ma-ster presso la Columbia University di New York, dove vive e lavora. Nel Mantovano la incontriamo proprio nel 2011, vincitrice del premio uni-co della giuria popolare, al premio internazionale d’arte città di Boz-zolo. Come una predestinata Lorella Paleni, tra il 2011 e il 2012 ottiene una «residenza» negli Usa presso il Wassaic Project (winter resident) a Wassaic, New York. Da lì prende avvio la sua esperienza americana, interrotta da una nuova breve «re-sidenza» a Kaunas, in Lituania, nel 2013. Quest’anno ha ottenuto una ennesima «residenza» presso l’«An-drea Zittel institute for Investigative

Living» presso lo Joshua Tree National Park in California. «Out loud», la sua prima vera e importante personale, si svolge a Berlino, nel 2013, presso la presso la Kunsthalle HB55. I suoi dipinti, in questa importante rassegna che vede il raggiungi-mento di una poetica espressiva matura, si inoltrano in inve-rosimili stati immaginari della mente per mettere in evidenza la fragilità della condizione umana. Dal punto di vista della rappresentazione la tela si trasforma nel luogo in cui si ma-terializzano, quasi oniricamente, accadimenti che sembrano scaturiti da mondi paralleli e senza tempo e da un flusso ine-sauribile di emozioni, di sovrapposizioni di elementi naturali e artificiali, di dissolvenze quasi filmiche. Lorella ha partecipato inoltre anche a importanti mostre collettive quali: «Memorie» al WhiteLabs, curata da Nico-la Davide Angerame, a Milano (2012); al W.A.C. Wells Art Contemporary Prize presso il Wells & Mendip Museum di Wells in Inghilterra (2012); all’«Advanced Painting Intensive Exhibition» alla LeRoy Neiman Gallery a New York (2012); al «Return to Rattlesnake Mountain» in riferimento al Wassaic Project, a Wassaic (2012); all’«ArtGallery Prize 2012» pres-so la Galleria Campari di Milano; al Premio Combat presso il Museo Civico G. Fattori a Livorno (2012); alla mostra «Cloud Nine» presso la Front Room Gallery, a Brooklyn (2012); ad «OCEANS - under the skin of the sea» presso la kunstfabrik HB55, di Berlino (2013); a «Me, My Sphere, and I», presso la Fellini Gallery di Berlino (2013); a «Run, Rabbit, Run» pres-so la SVA’s Westside Gallery a New York (2013); a «Sum-mer Show – Generazione anni ottanta» presso la Federico Rui Arte contemporanea di Milano(2013); a «Lost in Chaos» presso il Palazzo delle Stelline a Milano(2013).

Trescore Balneario [Bg] • 1986

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Laurina Paperina Laurina Paperina vive e lavora tra Rovereto e Duckland, un piccolo villaggio nell’Universo. Ha studiato presso l’Istituto d’Arte di Rovereto e si è laureata all’Accade-mia di Belle Arti di Verona. Ha parte-cipato a numerose mostre collettive presso sedi istituzionali internazio-nali: Francia (École Supérieure des Beaux-Arts, Nimes / FRAC Langue-doc Roussillon, Montpellier), Germa-nia (Kunsthaus, Essen), Inghilterra (The Royal Standard, Liverpool Bien-nial), Israele (Janco Dada Museum, Haifa), Italia (Triennale, Milano / Palazzo della Permanente, Milano / Museo Pecci, Milano / MART, Rove-reto / MADRE, Napoli / Kunst Arte, Merano / Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Monfalcone / Fon-dazione Bevilacqua La Masa, Venezia

/ Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Trento), Spagna (CCA Kunsthalle, Majorca / Centro Museo Vasco de Arte Contem-poraneo, Victoria-Gasteiz), Stati Uniti (Elisabeth Foundation for the Arts, New York / Hunterdorn Museum of Art, Clinton / J.M. Kohler Art Center, Sheboygan / The Pacific Design Cen-ter, Los Angeles). Tra le personali recenti si citano «Laurina Paperina» presso lo spazio 18 Gallery di Shangai (2010), «The Volta Show», presso Perugi artecontemporanea Gallery a New York, «How to kill the artist», presso il Nassauischer Kunstverein di Wiesbaden, «Hello Hell!», presso il Lab_Co-macina di Lugano (2011), «New Pollution», a cura di Luca Be-atrice, presso lo Studio d’Arte Raffaelli di Trento, «Bad Wall», presso Nothing Else Contemporary Art a Napoli, «Bed Smell» presso lo spazio Fouladi Projects di San Francisco (2012), «Spaceballs», presso la Galeria Ferran Cano di Palma di Ma-iorca (2013) e «Proud to be a hero», presso lo spazio Fouladi Projects (2014). Laurina Paperina ha partecipato a numerosi progetti di residenza, concorsi e fiere internazionali.Nel 2013 è stata selezionata tra i finalisti del 14° Premio Cai-ro e nel 2014 è stata selezionata per la VI edizione del VAF Foundation Prize.

Rovereto • 1980

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2014da Tipografia Operaia · Mantova