Omelia transito 2012

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Transito 2012 Gn 12,1-5 Nella lettura abbiamo ascoltato la chiamata di Abramo, e abbiamo sentito che “Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore” (Gn 12,4). Siamo al capitolo 12 di Genesi, e qui inizia la storia di Abramo, che è un viaggio. È un testo famoso, importante, fondante: c'è la vocazione di Abramo, le promesse, la benedizione, l'alleanza, c'è tutto, come in un seme. Abramo, dunque, parte; ma dove finisce questo viaggio di Abramo, che inizia qui? Dove porta, per dove passa? È strano perché il viaggio sembra finire subito, dura esattamente un versetto, per cui al versetto 5 Abram è già arrivato: “Abram prese la moglie Sarai e Lot, figlio di suo fratello e tutte le persone che lì si erano procurate, si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan” (v. 5)! è appena partito, e subito arriva. Ma la cosa interessante è che la meta sembra scomparire e Abram rimane in cammino. E per tutti i capitoli successivi, per quanto si svolgano per la maggior parte nella Terra di Canaan, Abram non sembra mai stare fermo. La prima cosa che ci dice Abramo, è che la meta del nostro viaggio è il cammino stesso, è il partire, continuamente ripartire. Non significa che la meta non ci sia, anzi. La meta è lì dove il Signore ti sta conducendo oggi, è la capacità di lasciarsi condurre, e la docilità di chi si fida del Signore; e da lì si può sempre ripartire, proprio perché sai che hai una casa, cioè la sicurezza di un'appartenenza, e di qualcuno che ti guida. La casa di Abramo è la promessa di Dio, ed è una casa sicura, perché Dio è fedele. Abramo abita lì, e da lì si muove, cammina, sbaglia, ritorna, ricomincia: questo viaggio, che ha inizio in modo così solenne, e anche così poetico, poi in realtà è un viaggio molto normale, anche drammatico a volte; molto umano. Abramo intraprende un viaggio che sa essere imprevedibile, come tutti i viaggi. Non si può sapere in anticipo cosa accadrà per strada. Ad Abramo accadrà un po' di tutto: pericoli, fallimenti, scoraggiamenti, sotterfugi, drammi. Sul monte Moria, il luogo del sacrificio di Isacco, questo viaggio sembrerà finire in modo addirittura tragico, questo camminare sembrerà essere stato completamente inutile. Ma non è così, perché c'è una promessa di Dio che accompagna tutto il viaggio, che è come un filo rosso che unisce tutto, e che rimette sempre in cammino… Qual è questa promessa? La promessa di Dio ad Abramo è la promessa di una vita che lo supera, che non viene da lui, Abramo, ma da Dio. Il “ciclo di Abramo”, non ci dice altro che questo: la chiamata, la promessa, la nascita del figlio Isacco, la richiesta di sacrificarlo, portano alla fine a questo: entrare nella consapevolezza che tutto proviene da Dio. 1

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Transito 2012 Gn 12,1-5

Nella lettura abbiamo ascoltato la chiamata di Abramo, e abbiamo sentito che “Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore” (Gn 12,4). Siamo al capitolo 12 di Genesi, e qui inizia la storia di Abramo, che è un viaggio. È un testo famoso, importante, fondante: c'è la vocazione di Abramo, le promesse, la benedizione, l'alleanza, c'è tutto, come in un seme. Abramo, dunque, parte; ma dove finisce questo viaggio di Abramo, che inizia qui? Dove porta, per dove passa? È strano perché il viaggio sembra finire subito, dura esattamente un versetto, per cui al versetto 5 Abram è già arrivato: “Abram prese la moglie Sarai e Lot, figlio di suo fratello e tutte le persone che lì si erano procurate, si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan” (v. 5)! è appena partito, e subito arriva. Ma la cosa interessante è che la meta sembra scomparire e Abram rimane in cammino. E per tutti i capitoli successivi, per quanto si svolgano per la maggior parte nella Terra di Canaan, Abram non sembra mai stare fermo. La prima cosa che ci dice Abramo, è che la meta del nostro viaggio è il cammino stesso, è il partire, continuamente ripartire. Non significa che la meta non ci sia, anzi. La meta è lì dove il Signore ti sta conducendo oggi, è la capacità di lasciarsi condurre, e la docilità di chi si fida del Signore; e da lì si può sempre ripartire, proprio perché sai che hai una casa, cioè la sicurezza di un'appartenenza, e di qualcuno che ti guida.

• La casa di Abramo è la promessa di Dio, ed è una casa sicura, perché Dio è fedele. Abramo abita lì, e da lì si muove, cammina, sbaglia, ritorna, ricomincia: questo viaggio, che ha inizio in modo così solenne, e anche così poetico, poi in realtà è un viaggio molto normale, anche drammatico a volte; molto umano. Abramo intraprende un viaggio che sa essere imprevedibile, come tutti i viaggi. Non si può sapere in anticipo cosa accadrà per strada. Ad Abramo accadrà un po' di tutto: pericoli, fallimenti, scoraggiamenti, sotterfugi, drammi. Sul monte Moria, il luogo del sacrificio di Isacco, questo viaggio sembrerà finire in modo addirittura tragico, questo camminare sembrerà essere stato completamente inutile. Ma non è così, perché c'è una promessa di Dio che accompagna tutto il viaggio, che è come un filo rosso che unisce tutto, e che rimette sempre in cammino…

• Qual è questa promessa? La promessa di Dio ad Abramo è la promessa di una vita che lo

supera, che non viene da lui, Abramo, ma da Dio. Il “ciclo di Abramo”, non ci dice altro che questo: la chiamata, la promessa, la nascita del figlio Isacco, la richiesta di sacrificarlo, portano alla fine a questo: entrare nella consapevolezza che tutto proviene da Dio.

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La Lettera agli Ebrei (Eb11,12), parlando di Abramo, dice che era un uomo “già segnato dalla morte”, e che da lui “nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo...”. Cioè una vita feconda, piena, vera, la vita in abbondanza, la vita eterna; e tutto questo come dono. Esattamente quella vita che l'uomo da solo non può darsi -proprio perché siamo tutti già segnati dalla morte-, ma anche che l'uomo desidera più che ogni altra cosa. La promessa di Dio è quella di una vita che vinca la morte, e cioè, concretamente, il male.

La seconda cosa che Abramo ci dice è che tutto questo è possibile solo a chi lascia tutto il resto. Non solo lasciare delle cose, ma lasciare un'identità, un passato, le proprie sicurezze, non conformarsi a un modo di vivere secondo il proprio egoismo, ma lasciarsi continuamente aprire e trasformare dalla grazia, dallo Spirito. E lasciare non solo una volta, ma lasciare come stile di vita, che non s’impossessa di ciò che vive, di ciò che incontra, di ciò che è e di ciò che ha. Non si parte se non si lascia dietro di sé ciò che è stato il tuo modo di vivere finora, per entrare in una novità di vita, dove si vive del Signore e per il Signore.

• Altrimenti si parte, ma non si cammina, e non si arriva in nessun luogo... Questo lasciare ha qualcosa di drammatico, perché si tratta davvero di entrare in un vuoto, in un'insicurezza, in un lasciare la vita. Eppure, proprio questo lasciare è ciò che rende possibile il compimento della promessa di Dio, cioè dona a Dio la possibilità di darti la vita.

• I voti di povertà, castità, obbedienza, non sono altro che la scelta e la grazia di lasciare tutto: si tratta di stare in quel luogo dove il tuo nome, il tuo volto, la tua vita viene da Dio, e da nient'altro: ◦ non dai tuoi beni, non dalle cose che hai ◦ non dai tuoi affetti, dal futuro che ti garantisci attraverso una famiglia, dei figli ◦ non dai tuoi progetti, dal tuoi gestirti la vita, non da come tu pensi il tuo cammino

Non sarà questo a dirti chi sei, ma ciò che sei ti verrà detto e dato nella misura in cui rinuncerai a costruirtelo da solo. Tutto questo (i beni, gli affetti, i progetti), rimarranno in qualche modo “segnati dalla morte” perché sia il Signore a donarti la vita. E questo non è facile, e di solito… non lo facciamo, e siamo sempre in cerca di qualche compromesso, qualche sotterfugio, come Abramo. Ma questo non impedisce a Dio di continuare a prometterci la vita. In questo cammino, che è la relazione particolare con Lui, sarà Lui stesso, poco alla volta a spogliarci di tutto, piano piano, perché il cammino è lungo, come ad Abramo. Gesù sottolinea questa difficoltà del lasciare, nelle parole del Vangelo di Giovanni: è la storia di un altro cammino, quello del chicco di grano.

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Gesù usa una parola più forte di “lasciare”, e dice che solo chi odia la propria vita in questo mondo la salva per sempre. Odiare è una parola forte, e forse dà anche un po' fastidio. Eppure è vera, perché dice il rifiuto totale di un modo di vivere, un rifiuto senza compromessi. Se tu non odi un modo, il modo di pensare e di vivere di questo mondo, prima poi gli acconsenti, perché il mondo seduce e ti chiede di appartenergli. Odiare la propria vita significa la libertà di dire di sì solo al Signore, e al Suo modo di darti la vita. E a nient'altro. Questa è la fede, perché solo chi crede fa questo salto. Questo salto è possibile solo se si crede che, dentro tutti gli eventi della vita, il Signore non farà altro che darti la vita, anche quando sembrerà che te la sta togliendo... La fede non è tanto un generico credere in Dio, ma è questo nesso costante tra quanto ti accade e la Sua sorgente, che è in Dio. È la capacità di stare dentro gli eventi della vita sapendo che proprio così il Signore ti sta conducendo a Sé. E quindi non cercandone altri. E la Professione che rinnovate oggi è esattamente questo atto di fede. È questo partire di Abramo, questo suo lasciare tutto, per trovare casa nella promessa di Dio, nell'appartenenza a Lui. Con le conseguenze concrete che questo comporta, e cioè con il percorrere il cammino del seme che muore per avere la vita, per diventare una vita abbondante e feconda, come quella di Abramo; questo seguire Gesù nella Pasqua. Tutto il resto avrà senso solo se nasce da lì, solo se è frutto di questo seme. Altrimenti sarà frutto dei nostri sforzi, e magari sarà cosa buona, ma non sarà l'opera di Dio, non avrà la sua bellezza, la sua fecondità. Tutto questo è un cammino che dura tutta la vita: oggi ricomincia con l'unico fondamento che conta, che è quello di appartenere a Lui. E questo cammino si compirà non tanto in base ai vostri sforzi o alle vostre capacità, ma alla vostra docilità, al vostro credere che Dio può davvero fare questo, può davvero donare la vita in pienezza.

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