Oltre la soglia del regno invisibile

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Oltre la soglia del regno invisibile, Virna Cipriani - Ragazzi 12+, 0111edizioni

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Virna Cipriani

Oltre la soglia del Regno Invisibile

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OLTRE LA SOGLIA DEL REGNO INVISIBILE Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2010 Virna Cipriani ISBN: 978-88-6307-308-9

In copertina: immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Luglio 2010 da Digital Print

Segrate - Milano

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“L’immaginazione è più importante della conoscenza”

Albert Einstein

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Capitolo uno Si svegliò di soprassalto, madida di sudore e con il respiro affannoso. Erano le 3.10 del mattino; questa volta il sogno sembrava più nitido e reale del solito. Il senso di solitudine che provava non appena riconosceva quel paesaggio desolante, il sentiero impervio, a stento visibile tra le siepi e le radici delle querce. In alto le trame intricate degli alberi non lasciavano penetrare i riflessi della luna e, come una ragnatela, si chiudevano sopra la testa di Lisa, provocandole un senso di forte oppressione. Il verso inquietante di qualche rapace notturno, forse un gufo, riecheggiava in tutto il bosco, per essere, alla fine, inghiottito dall’oscurità. E poi quell’ombra, apparentemente umana, compariva d’un tratto dietro di lei. Ne avvertiva la presenza ancor prima di voltarsi, sentiva lo sguardo su di lei. Non percepiva ostilità, ma una strana sensazione d’intima e pericolosa familiarità. Sembrava una creatura ben distinta e, allo stesso tempo, pareva scaturisse da lei, almeno da una parte remota che lei non conosceva. Non ancora. Provava disagio e attrazione verso quell’individuo ed era questo a sconvolgerla più di tutto. Il tempo di girarsi e l’uomo spariva per ricomparire un attimo dopo, un centinaio di metri più in là, in uno spiazzo che prima non c’era, accanto alle rovine di una casa. La distanza era tanta e il buio fitto, Lisa riusciva comunque a vederlo come se fossero a pochi metri di distanza, ma si sa che nei sogni lo spazio e il tempo diventano relativi. E proprio quando lui stava per sollevare una mano, lei puntualmente si svegliava in un bagno di sudore. Accese la luce e afferrò il primo libro, in equilibrio su di

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una pila che teneva sopra il comodino, ben cosciente che per quella notte aveva finito di dormire. Le 10.10. Lisa controllò per la decima volta l’orologio, in preda all’ansia. Sperava che il tempo rallentasse e, invece, beffardi e spietate, le lancette dei secondi acceleravano ad ogni giro, o così almeno a lei parve. Le 10.12. Calligaris, l’insegnante di storia dell’ arte, aveva riportato i compiti corretti e, come sempre, si era divertito a leggere ad alta voce le risposte sbagliate di Marco e Roberto che, pur non studiando, non si rassegnavano a lasciare il foglio in bianco. Di solito Lisa si lasciava coinvolgere dal buonumore del professore, ma stavolta era in ritardo per l’ora della Rivozzi e l’agitazione prese il sopravvento. I ragazzi selezionati per quegli incontri dovevano presentarsi in palestra alle 10 in punto ed erano già le 10.15. Finalmente Calligaris si decise a porre fine a quel gioco con suo grande rammarico, ma con sollievo di Lisa che, senza aspettare un minuto di più, sgattaiolò dal suo banco e corse fuori. “Come inizio non c’è male!” borbottò tra sé, mentre faceva acrobazie tra gli studenti in giro per il corridoio, cercando di non travolgerne qualcuno. “Dopo tutto io non volevo neppure partecipare a questo stupido corso, ma la parola di una studentessa non ha mai voce in capitolo qua dentro, figuriamoci nell’ufficio della vice preside!”. La Rivozzi, infatti, si era limitata a richiamare Lisa nel suo ufficio il giorno prima per comunicarle la notizia, facendole notare il beneficio che quel corso avrebbe avuto sulle sue relazioni e, non da poco, sul riconoscimento dei suoi crediti scolastici. Pronunciando l’ultima frase, la vice preside era consapevole che anche la studentessa più reticente, come Lisa, non avrebbe potuto opporre resistenza. E così fu. “Comprata da un paio di stupidi crediti scolastici! Oggi sono questi, domani saranno 100 euro in più nello stipendio. Povera me!” pensò sardonicamente. Ormai arrivata alla palestra, Lisa accelerò ancora di più il passo andando a sbattere contro qualcuno “Hey,

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maledizione, sta un po’ attenta!”. Federico Berti, un ragazzo del quarto anno e rappresentante d’istituto, si trovava in quel momento di fronte alla porta della palestra. Alto, moro, la carnagione olivastra che tradiva le origini meridionali, i capelli irrimediabilmente scompigliati. Osteggiava sempre un atteggiamento menefreghista nei confronti di tutto ciò che respirava intorno a lui, atteggiamento che faceva scalpore tra le ragazze della scuola, ma dava profondamente sui nervi a Lisa. “Cosa?” esclamò la ragazza; le uscì più come una protesta che come domanda. Era già abbastanza difficile partecipare a quegli stupidi incontri che potessero svelare aspetti privati della sua vita, ma che a questo vi assistesse Federico diventava addirittura insopportabile. Lo aveva conosciuto durante una riunione di classe: in realtà, più che una vera e propria conoscenza, era stato uno scontro verbale e non era nemmeno certa che lui si ricordasse di lei. Non che questo avesse alcuna importanza. Federico era fuggito dall’interrogazione d’inglese con la scusa di dover parlare al preside e si era messo a vagabondare, come al suo solito, per i corridoi dell’edificio. Attratto dal caos che proveniva dalla classe di Lisa e sentendosi evidentemente in diritto di entrare, si era infilato senza tanti problemi nel bel mezzo della riunione. La discussione riguardava l’ora successiva di storia: tre quarti di classe pretendeva che i più bravi si proponessero volontari e Lisa, sentendosi chiamata in causa, si rifiutava con tutte le sue forze. Snervata dalla situazione, e con ben poche speranze di uscire illesa da quella giornata, non appena Federico fece per aprire bocca lo mise tacere dicendogli a chiare lettere di farsi gli affari propri. Evidentemente il ragazzo non era abituato a quel trattamento, specie se da parte di una ragazza del secondo anno. Restò palesemente spiazzato e, per non rivelare quanto ci fosse rimasto male, girò sui tacchi e se ne andò via con una scusa banale ma Lisa e i compagni intravidero ugualmente il suo disagio. Quel giorno lei si acquistò, senza volerlo, la fama di chi aveva osato zittire Federico Berti. Nel bene e nel male era

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additata come fosse la Giovanna D’Arco del liceo. La mattina dopo tutto tornò come prima e lei sprofondò di nuovo felicemente nell’anonimato. “Dimmi che hai confuso aula e che non sei stato scelto dalla Rivozzi per fare parte del corso?” sbottò Lisa. “Mi piacerebbe, Ricci, Dio solo sa se non mi piacerebbe!”. Sentire pronunciare il proprio cognome da lui fu un doppio colpo al cuore per la giovane: stupita e stupidamente lusingata per quella familiarità, s’irritò ancora di più, stavolta con se stessa, per aver reagito così. Peggio ancora, lui sembrò accorgersene. “Ma sappi che io riesco ancora distinguere la palestra, visto che ogni tanto ci metto piede. Cosa che non si può dire certamente di te”. Un sorriso malizioso si fece strada sul suo viso, facendola arrossire. “Il fatto che tu sia pelle e ossa non ti esonera dal tonificare un po’ i tuoi muscoli o, per lo meno, dal dargli la possibilità di esprimersi almeno una volta”. “Ha parlato Michael Jordan!” riuscì appena in tempo a sferrare l’ultimo colpo Lisa, prima che una sorridente e appena visibilmente nervosa signorina Rivozzi li trascinò all’interno. “Finalmente siete arrivati e per giunta insieme, chi l’avrebbe mai detto! Hai visto cara che hai già conosciuto Federico Berti, uno dei nostri partecipanti al corso? Non c’era motivo di fare tanto la ritrosa” esclamò la donna, mentre tra i due ragazzi ci fu un ultimo inequivocabile scambio di sguardi, che fortunatamente la Rivozzi non colse. “Ecco i ritardatari del gruppo, dottor Rossi, ma speriamo non per questo i più sfaccendati”. Con una risatina forzata li sospinse vicino al resto degli studenti. Lisa diede una rapida occhiata ai presenti raccolti in cerchio. Colse con un certo sollievo il professor Martini, chiamato amichevolmente Willy dai suoi alunni, per la sua malcelata passione per William Shakespeare. Willy era l’unica persona amica che Lisa aveva trovato nella scuola, fatta eccezione naturalmente per Stefi, la sua fedele compagna di giochi e confidenze dall’età di otto anni. Ma Martini era un’altra cosa. Prima di tutto era il suo insegnante di lingua e letteratura inglese, passione che Lisa aveva da quando era bambina. Era il

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suo punto di riferimento tutte le volte che si sentiva particolarmente giù di morale ed era quello che l’aveva incoraggiata a scrivere racconti; l’unico a riconoscere in lei un talento, quando da tutti era considerata solo una ragazzina scontrosa e solitaria. Ed era stato sempre lui a spedire, a insaputa della ragazza, un suo racconto a un concorso letterario della città. Partecipazione che le era valso il primo premio, con tanto di congratulazioni personali del sindaco e un assegno di 50 euro. Non male per una sedicenne che non aveva mai fatto leggere i suoi racconti a nessuno prima di allora. Le venne in mente l’espressione in volto di sua nonna quando aveva aperto la busta e scorto tra le prime righe il contenuto della lettera, mentre Lisa, troppo agitata per farlo direttamente, aspettava trepidante una parola o un gesto come indizio. La commozione della nonna mentre prendeva l’assegno allegato e glielo porgeva, piena di orgoglio. Oltre al professor Martini, Lisa riconobbe Donato Lussa, soprannominato “Pi greco”, per la sua incredibile abilità nel risolvere qualsiasi equazione matematica in tempi record e vittima prediletta di scherzi spesso brutali da parte dei ragazzi più in vista della scuola. Non conosceva, invece, il nome degli altri ragazzi, ma intuiva che non fosse un caso che si trovassero lì. La Rivozzi amava studiare con la precisione morbosa di un predatore la scelta dei partecipanti ai corsi con lo psicologo. Le sue ambizioni, frustrate e tenute a freno durante l’anno scolastico, compresse sotto rigore e falsi sorrisi, si concentravano tutte in quei momenti. Lisa si sentiva agitata adesso che, stava davvero realizzando, non avrebbe potuto astenersi dal partecipare attivamente senza che qualcuno se ne risentisse. Questa volta sarebbe stato diverso e forse lei avrebbe dovuto parlare di sé. Questo pensiero la inorridì a tal punto da faticare a restare ferma e non cedere all’impulso di scappare via. Proprio mentre iniziava il giro dei nomi, Willy le rivolse un sorriso pieno d’incoraggiamento, che le diede, se non altro, la forza di restare

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fino al suo turno e di pronunciare il suo nome con finta disinvoltura. “Bene ragazzi, senza perdere altro tempo io inizierei subito con un primo esercizio di base, che vi darà la possibilità di rilassarvi e di prendere confidenza con la vostra capacità immaginativa” dichiarò il dottor Rossi non appena tutti si furono presentati. “Vi invito, perciò, a sparpagliarvi per la palestra, trovandovi uno spazio adeguato per potervi sdraiare comodamente”. La giovane corse ad accaparrarsi un angolo al riparo dallo psicologo, seguita a ruota da un altro ragazzo con la sua stessa intenzione e intravide, con la coda dell’occhio, la Rivozzi scambiare un cenno di assenso con Martini e poi sgusciare via, fuori dalla porta. Provò un moto di rabbia verso quella donna, per l’ingiustizia di trovarsi in quella situazione proprio a causa sua e lei, che non si poneva nemmeno il problema di rimanere fino alla fine dell’ora. “E’ frustrante avere sedici anni e degli adulti intorno che decidono al posto tuo!” pensò abbattuta mentre si stendeva a terra, attenta a non trovarsi sotto il naso gli orribili calzini rossi e verdi del tizio accanto. “Perfetto, adesso chiudete gli occhi e concentrate l’attenzione sul vostro respiro. Inspirate con il naso ed espirate con la bocca. Sentite i vostri piedi diventare lentamente più pesanti…”. Mentre il dottor Rossi parlava, Lisa provò a zittire la sua mente che faceva di tutto per non collaborare e a seguire le istruzioni dello psicologo. Dopo un lasso di tempo che sembrava un’eternità, iniziò a sentire il suo corpo abbandonarsi e conquistare una respirazione più profonda e regolare. Dal silenzio che regnava intorno a lei, intuì che anche gli altri ragazzi si erano lasciati trasportare dalla voce bassa e rassicurante di Rossi. Ad un tratto accadde qualcosa di strano. Il corpo di Lisa si fece più pesante, tanto che la ragazza temette di sprofondare nel pavimento da un momento all’altro. Poi un’improvvisa e violenta vampata di calore partì dai piedi, attraversò tutto il suo corpo

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come un fulmine, per trovare una via di uscita sulla sommità del capo. E lasciò al suo passaggio un piacevole formicolio. Restò per qualche secondo ad ascoltare le vibrazioni nel suo corpo, come se centinaia di formiche lo stessero calpestando. Per la prima volta Lisa venne a contatto con la sua energia e ne fu cosciente. “… di fronte a voi inizia una strada di terra battuta. Percorretela fino alla fine, ricordandovi di mantenere un respiro rilassato…”. Era conscia del fatto che stesse immaginando quel paesaggio, eppure sembrava davvero reale: il terriccio sotto le sue scarpe, l’aria pungente del mattino, il movimento dei suoi muscoli, perfino il respiro pareva leggermente alterato dalla camminata. Ad un certo punto la strada, fino ad allora piuttosto larga, si serrò per divenire un sentiero appena riconoscibile tra la vegetazione e il terriccio. Le siepi cedettero il posto alle querce secolari, che si stagliavano imponenti verso il cielo. I loro lunghi rami disegnavano nell’aria delle robuste e intricate trame che non permettevano alla luce del sole di penetrare, creando un’atmosfera alquanto cupa. A Lisa ricordò il paesaggio notturno del suo sogno; la difficoltà a procedere senza incespicare, unita a una crescente agitazione, le rendevano la camminata tutt’altro che piacevole. “… giunti alla fine della strada troverete una grotta. Entrate e guardatevi intorno. Dovrebbe esserci una scala da qualche parte. La vedete?”. Il sentiero si allargò lievemente verso la fine. La grotta si trovava su una spiaggetta poco più in là. L’entrata era molto piccola e Lisa dovette chinarsi per non sbattere il capo. L’interno della grotta era umido e buio; la ragazza si bloccò, non riuscendo a orientarsi nell’oscurità. Improvvisamente dei piccoli insetti

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luccicanti volarono sopra la testa di Lisa, illuminandole lo spazio intorno. Erano simili a lucciole ma più grandi e con lunghe ali che si assottigliavano in punta. Avanzò per qualche passo indeciso e si rese conto, meravigliata, che quei minuscoli esserini le stavano indicando la strada da seguire. Volavano vivacemente intorno alla ragazza, sfiorandole il viso per poi allontanarsi rapidamente. Quando uno di loro si avvicinò, Lisa riuscì ad osservarlo meglio: il luccichio proveniva dalla punta delle sue ali e le parve di vedere una minuscola bocca che si apriva e chiudeva emettendo un suono simile a un leggero trillo, quasi del tutto impercettibile. Improvvisamente la luce aumentò e lo spettacolo che comparve agli occhi della giovane la lasciò senza fiato: la grotta era immensa e le enormi pareti sfumavano da un rosa vivace a un arancione più tenue. Centinaia d’insetti sfavillanti volavano nell’aria rendendo quel luogo suggestivo come un’opera shakespeariana. Gli insetti condussero la giovane verso la scala: si ergeva proprio al centro della grotta, solenne come una statua in una piazza. Era una scala a chiocciola, con un corrimano di ferro battuto e i gradini sospesi in aria, color verde smeraldo. Del tutto improbabile in un luogo come quello, eppure Lisa intuì che la sua presenza doveva avere un legame autentico con la grotta. Alzando lo sguardo vide con stupore che la scala finiva contro il soffitto, senza una via di uscita. Ma quello che osservò, guardando in basso la sorprese ancora di più. I gradini scendevano ben sotto il terreno, fino a sparire nel buio. “… lasciatevi guidare con fiducia dalla vostra scala, lei sa dove portarvi”. Scese qualche gradino intimorita dal silenzio circostante, quasi reverenziale. Dopo pochi passi si rese conto che non avrebbe dovuto affrontare neppure quell’oscurità, perché gli insetti l’accompagnarono fino in fondo. Giunta all’ultimo gradino si

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trovò al centro di una stanza piuttosto spaziosa, con le pareti gialle e il soffitto a cupola. Il tempo di appoggiare entrambi i piedi sul pavimento di legno che già la scala era scomparsa. A sinistra due enormi finestre occupavano quasi per intero la parete illuminando quel luogo, mentre a destra si trovava una porta chiusa. Per il resto la stanza era completamente spoglia. Dalla posizione in cui era, notò con meraviglia, che le finestre davano sull’oceano; una delle due era semi chiusa e lasciava entrare una piacevole brezza di salsedine. Tutto sommato le piaceva quel posto. “… chiameremo questa stanza ‘il laboratorio’. E’ un luogo molto speciale, perché conserva tutto ciò che vi riguarda: i vostri compleanni, la prima caduta dalla bicicletta, le più intime paure, i vostri sogni, l’ultimo posto dove avete appoggiato le chiavi di casa, proprio tutto. E’ uno scrigno pregiato, il cui tesoro è la vostra vita. Non dovete sorprendervi, perciò, se qui dentro vi tornerà alla memoria qualche ricordo che credevate di aver perso. Ma guardatevi intorno. Vi sembra che manchi qualcosa? Nel magazzino della vostra mente potrete disporre di una scorta illimitata di mobili e accessori. Divertitevi ad arredare e personalizzare il vostro laboratorio come vi pare. Se poi vi serve un aiuto, potrete sempre richiederlo a dei collaboratori speciali: sono i vostri operatori del subconscio, degli amici fidati. Sarà sufficiente chiamarli una volta sola e loro entreranno dalla porta, felici di potervi essere utili. Ricordatevi, però, che non possono intervenire né rivolgervi la parola se voi non ponete loro una domanda”. Seguendo le istruzioni del dottor Rossi, Lisa decise di aggiungere due poltrone grigio scuro vicino alle finestre in modo da poter godere del panorama. Un tavolino di cristallo fu sistemato a pochi centimetri di distanza. Chiuse gli occhi per un attimo e immaginò la Gioconda di Da vinci appesa sulla parete di fronte:

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come per magia il dipinto apparve, intenso e consistente come l’originale. La ragazza rimase senza parole. Si chiese, per un attimo, se la sua immaginazione avesse qualche ripercussione nel mondo reale e immaginò la sala cinque del Louvre temporaneamente derubata di quell’opera d’arte. A quell’idea le venne da ridere. Decise poi di attrezzare la parete di destra con una libreria ripiena dei suoi romanzi preferiti. Si concentrò per un momento e richiamò in suo aiuto i collaboratori del subconscio: due ometti vestiti in modo buffo entrarono pacatamente nella stanza trascinando un’enorme libreria. Notò con stupore che uno dei due assomigliava in modo incredibile a Leonardo Da Vinci: evidentemente nella sua mente era rimasta qualche traccia legata al dipinto. Con un sorriso i due collaboratori appoggiarono il mobile sulla parete, poi fecero un inchino e uscirono dalla porta, sotto gli occhi sempre più perplessi della ragazza. Osservò, quindi, il lavoro svolto con estrema soddisfazione: la stanza adesso appariva semplice ma accogliente. “… ora preparatevi a salutare la vostra stanza e i collaboratori e non preoccupatevi, perché avrete la possibilità di modificare l’arredamento tutte le volte che entrerete…” annunciò il dottor Rossi. Lisa si avvicinò alla finestra e inspirò profondamente un’ultima boccata prima di chiuderla, quando avvertì alle sue spalle la porta aprirsi. Quella sensazione di disagio e intimità che conosceva bene la invase immediatamente. Il respiro le si fermò in gola e, ricordandosi che tutto quello non era reale ma frutto della sua immaginazione, si obbligò a voltarsi. Non fu sorpresa nel vedere quell’uomo di fronte a lei, lo sguardo fisso e severo. Lui sollevò appena la mano, come per fermarla e le disse: “Non aver paura, piccola. “La sua voce era dolce e pacata, in contrasto con lo stato d’animo che la sua presenza le aveva

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provocato fino ad allora. Indossava una tunica con cappuccio marrone che ricordava il saio dei frati, ma gli arrivava fino ai piedi. Il volto era impercettibile, eppure Lisa ne intuì i lineamenti spigolosi e la carnagione scura. Nonostante fosse conscia di stare ancora immaginando, si rese conto che quell’individuo esisteva veramente da qualche parte. L’uomo sembrò parlarle ancora, ma Lisa non afferrò più nessuna parola, perché una sensazione di scuotimento prese il sopravvento fino a riportarla bruscamente fuori della grotta, al sentiero in terra battuta e infine al suo mondo. Inginocchiato accanto a lei, il dottor Rossi le stava scrollando dolcemente le spalle, incitandola ad aprire gli occhi.

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Capitolo due Quel pomeriggio Lisa e Stefi si trovarono al piccolo parco della città che dava sul fiume. Erano quasi tre anni che lei non andava più là. Con l’inizio della scuola superiore, era diventato più facile per le due ragazze incontrarsi nel campo della scuola, o nella libreria esoterica della madre di Stefi. Lisa, questa volta, aveva preferito ritrovarsi al parco, per essere sicura di poter parlare con l’amica in tutta tranquillità. L’acqua del fiume aveva scavalcato il margine naturale, per inoltrarsi in piccole aree del parco, creando delle vere e proprie piscine naturali costellate qua e là da erba incolta. Era stato l’unico parco della città per vent’anni, finché l’ultima amministrazione comunale, per accattivarsi le simpatie dei suoi abitanti, non aveva deciso di crearne uno nuovo dall’altra parte della città, nella zona residenziale, molto più vasto e attrezzato. Quel parco era stato gradualmente abbandonato e dimenticato dai cittadini. Soltanto qualche giovane coppia alla ricerca d’intimità o qualche bambino della zona, troppo piccolo per allontanarsi da casa, animava di tanto in tanto quel posto. Lisa era molto affezionata a quel piccolo parco, non solo per la splendida vista privilegiata che aveva sul fiume. Anche perché quello era stato il luogo preferito di sua madre quando era in vita. La portava sempre là dopo il lavoro, a giocare. All’entrata del parco, accanto ad un piccolo capitello, scaraventavano le loro biciclette per terra e correvano verso l’altalena. Madre e figlia si divertivano a fare a gara a chi arrivava per prima e, puntualmente, quando Lisa stava per avvicinarsi, la madre la afferrava da dietro e la sollevava in alto per farla atterrare in braccio a sé sull’altalena. Era diventato un loro piccolo rituale tanto che,

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quando Lisa arrivava a raggiungere l’altalena molto prima della madre, rallentava e, con la coda dell’occhio aspettava eccitata la presa energica e rassicurante della donna. Poi restavano a dondolare, chiacchierando felici mentre il sole tramontava, colorando di rosso e arancione i loro volti e il paesaggio intorno. Lisa era completamente assorbita da quei ricordi quando Stefi arrivò, facendole fare un balzo. “Hey, deve essere davvero importante per darmi appuntamento qua”. Le disse dolcemente l’amica, rivolgendole un fugace sorriso mentre si sistemava sull’altra altalena. La ragazza si sentì d’un tratto ridicola per averla chiamata con tale urgenza e si chiese se, forse, non avesse esagerato. Risvegliatasi dalla meditazione guidata dal dottor Rossi quella mattina a scuola, non aveva confessato a nessuno ciò che le era accaduto, neppure allo psicologo. Forse per paura di essere derisa o forse perché non sapeva esattamente cosa raccontare. Adesso che si trovava sola con la sua migliora amica, Stefi, l’amica fidata che non avrebbe mai e poi mai riso di lei, si rese conto di quanto fosse stato stupido vergognarsi e le confidò ogni cosa. Dalle sensazioni sorprendenti del suo corpo alle immagini della grotta, fino ad arrivare all’incontro nella stanza gialla. Raccontò tutto d’un fiato per paura che, se si fosse interrotta, avrebbe perso il filo del discorso e con esso il coraggio di proseguire. Meticolosa nel racconto, con l’apprensione di chi racconta al proprio al medico tutti i sintomi provati e aspetta, con ansia, la diagnosi. Infine un silenzio profondo, disturbato solo dal cigolio delle vecchie altalene, pose termine al suo racconto. “Forse quel tizio era un altro collaboratore del subconscio, come li ha chiamati il dottor Rossi. Del resto, hai immaginato Leonardo Da Vinci sistemarti una libreria! Se lo sapesse Calligaris gli si drizzerebbero i capelli” esclamò ridendo Stefi. “Ho letto un libro sui khauna, gli sciamani delle Hawaii, in cui si dice che anche loro usavano personificare il subconscio; questo aiuta ad instaurare un rapporto colloquiale tra lui e la parte cosciente. Potrei portarti il testo un giorno, così gli dai una letta”.

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“Probabilmente hai ragione… eppure avevo la sensazione che quell’uomo non appartenesse alla stanza, ma vi fosse entrato apposta per parlare con me” le confessò Lisa pensierosa. “E poi che mi dici del mio sogno ricorrente? Lì mi trovo sempre in un bosco”. “Perché non ne parli con il dottor Rossi al prossimo incontro? Di sicuro lui saprà darti una spiegazione” le rispose Stefi con un tono più allegro, sperando di tranquillizzare un po’ l’amica. “Giusto” disse Lisa poco convinta; le accennò un sorriso di risposta e, ancora assorta nei suoi pensieri, cominciò a dondolarsi più forte. A scuola il tempo trascorreva lentamente. Il professor Parri, insegnante di storia, parlava da mezz’ora con il tono basso e monocorde che difficilmente catturava l’attenzione della classe per più di cinque minuti. Lisa guardò l’orologio. Le 9.25. Tra due ore ci sarebbe stato il secondo incontro con lo psicologo; la ragazza non era ancora sicura di volergli parlare, ma in tal caso lo avrebbe fatto in privato, prima che iniziasse la lezione. Quella mattina era uscita di casa senza fare colazione, con lo stomaco chiuso dal nervosismo, e adesso iniziava a sentire un certo mormorio nella pancia. “Speriamo che non mi brontoli lo stomaco durante la meditazione!” le venne in mente d’un tratto e quel pensiero le procurò una risatina nervosa. Alzò in quel momento gli occhi e vide il professor Parri guardarla compiaciuto, forse pensando che la battuta fatta un secondo prima sull’altezza di Napoleone avesse avuto un riscontro così efficace sulla ragazza. Lisa pagò a caro prezzo quella piccola distrazione, perché per il resto della lezione divenne l’unica interlocutrice degna di essere considerata dall’insegnante, con silenziosa e profonda riconoscenza da parte dei suoi compagni. Le due ore successive passarono più rapidamente, tempo nel quale la ragazza decise di non far parola con lo psicologo dell’esperienza avuta durante il primo incontro. Alle 11.20 era già pronta in palestra, seduta in cerchio con gli altri ragazzi, in

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silenziosa attesa che arrivassero tutti. Come al solito mancava solo Federico, quasi a voler rimarcare il suo menefreghismo anche a quegli incontri. Mentre lo vide entrare tranquillamente, armeggiando con il suo telefonino, Lisa si costrinse a scambiare due parole con Donato, seduto accanto a lei. Al ragazzo non parve vero; evidentemente non gli capitava spesso che qualcuno gli rivolgesse spontaneamente la parola, perché ne approfittò subito per parlare della tesina di storia che il professor Parri aveva assegnato a tutte le classi seconde. “Questo ragazzo è davvero ossessionato dalla scuola!” pensò Lisa “Perfino adesso non riesce a staccare la spina”. Fu sollevata quando Rossi invitò i presenti a sdraiarsi comodamente sui tappetini. Lisa, come sempre, cercò un posto isolato, ma si accorse mal volentieri che Federico la seguì e si sistemò sul tappetino accanto al suo. “Va bene ragazzi, adesso cominciamo. Iniziate a rilassarvi e respirate tranquillamente…”. Lisa era molto nervosa. Sentiva il suo corpo irrigidirsi invece di abbandonarsi come la prima volta. Immaginava che sarebbe stato più difficile quel giorno rilassarsi e seguire le istruzioni di Rossi. La sua mente cosciente lottava ostinata e si rifiutava di mettersi da parte, diventando complice dei suoi muscoli tesissimi. Iniziò a respirare più profondamente e, con un notevole sforzo di volontà, si concentrò esclusivamente sull’aria che entrava attraverso le narici ed usciva con un soffio dalla bocca. “… riconoscete la strada in terra battuta; percorretela per intero…”. Una volta recuperata la concentrazione, il percorso fino alla stanza fu facile: il sentiero nel bosco, l’entrata nella grotta e infine la discesa illuminata dagli insetti fino alla stanza gialla le venne naturale. “… se volete aggiungere qualche nuovo arredo nel vostro laboratorio, questo è il momento per farlo…”.

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Questa fu l’ultima frase di Rossi che riuscì a sentire, dopo di che fu completamente immersa in un’altra realtà. Si avvicinò ad una finestra per aprirla e incamerare un profondo respiro di salsedine. In quel momento la porta si aprì lentamente e l’uomo fece qualche passo in avanti. Portava la stessa tunica marrone lunga fino ai piedi, ma questa volta Lisa intravide dei sandali. Notò con un certo sollievo che il viso era ancora impercettibile, questo le garantiva un certo distacco da ciò che stava accadendo. L’uomo le indicò la poltrona e la invitò a sedersi, per poi sistemarsi a sua volta di fronte a lei. Seppur reticente, si costrinse ad assecondarlo, cercando di non rivelare tutto il nervosismo che sentiva invaderla. Adesso che la ragazza si trovava vicino a lui era incuriosita e impaziente di conoscere il motivo della sua presenza. Era certa che lui non avesse niente a che fare con i collaboratori del suo subconscio; in effetti, lui si presentò quasi subito. “Ciao Lisa, non aver paura di me. Io ti conosco da molto tempo”. Disse l’uomo, la voce calma aveva un non so che di rassicurante e paterno. “Chi sei?” ebbe il coraggio di chiedere Lisa. L’uomo sorrise. “Hai ragione, non appartengo alla squadra dei tuoi preziosi collaboratori del subconscio. Sei una ragazza molto intuitiva; nel profondo del tuo cuore tu mi riconosci, perché una parte di te è profondamente legata a me. Io sono il tuo spirito guida” continuò l’uomo con dolcezza. “Spirito guida!” ripeté Lisa, sopraffatta da un turbinio di emozioni contrastanti. Le venne in mente un libro che aveva trovato, quando era piccola, tra i romanzi della nonna; parlava di spiriti guida e aveva una copertina che ritraeva un raggio di luce bianca avvolgere completamente una mano. Colpita da quella luce bianca, lo aveva mostrato alla nonna per chiederle chi fossero gli spiriti guida, e la nonna glielo aveva tolto di mano bruscamente e, senza risponderle, l’aveva spedita in bagno a lavarsi le mani per il pranzo. Da quella volta il libro non lo vide più. L’uomo la guardava, sempre sorridendo. “Sì, quel libro

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parlava proprio degli spiriti guida” le disse un attimo dopo, chiaramente leggendole nella mente. Lisa si spaventò, non abituata a quel tipo d’invasione, ma la curiosità ebbe subito il sopravvento. “Perché ti trovi qui? Fai parte dell’esercizio del dottor Rossi… non capisco…”. Si chiese se anche gli altri ragazzi stessero facendo lo stesso tipo d’incontro nella loro stanza. “In realtà no, Lisa. Queste possibilità capitano a ben poche persone, diciamo, speciali. Tu sei come loro, hai un certo dono, anche se non sei consapevole di averlo” le spiegò lui. “Che dono? Che cosa vuoi dire?” gli domandò. “La meditazione che ti ha insegnato il dottor Rossi ti ha permesso di raggiungere uno stato di coscienza alterato, varcando così la soglia che separa il tuo mondo, quello fisico, dal mondo invisibile. La realtà da cui provieni anche tu prima di abitare il tuo corpo, anche se non lo ricordi. Ecco perché ti conosco da molto tempo; da molto prima che tu nascessi come Lisa”. L’uomo fece un breve silenzio carico di attesa, permettendo alla ragazza di elaborare quelle informazioni. “Da bambini molto piccoli il legame con la nostra dimensione rimane profondo e il bambino vive naturalmente tra i due regni. Non è raro vedere un neonato sorridere rivolto al soffitto della sua cameretta, di fronte ad uno sguardo sconcertato dei genitori. Man mano che cresce e viene educato, la parte razionale prende il sopravvento e impara, gradualmente, a dare importanza solo alle percezioni fisiche. Il suo terzo occhio pian piano si addormenta, ma non si chiude mai del tutto. L’uomo vive perennemente sospeso tra i due regni, ma è convinto che soltanto ciò che vede a occhi aperti sia reale“. Lisa ascoltava, rapita dalle parole di quell’uomo; una parte di sé avvertiva un’eco a conferma di quello che lui diceva. “Gli adulti conservano questo dono latente nonostante i condizionamenti esterni. Poiché hanno scelto di non crederci, è necessario vivere uno stato di profonda rilassatezza perché riemerga in modo spontaneo. Come durante il sonno e la meditazione“ le spiegò. Immediatamente la mente di Lisa fu attraversata da un flash, nel quale rivide il bosco e

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l’ombra di quell’uomo davanti a sé. “Esattamente come nel tuo sogno” sorrise lui. “ Anche se non ne sei consapevole, una parte del tuo inconscio voleva incontrarmi. “Lisa rivolse lo sguardo verso l’oceano e improvvisamente comprese una cosa importante. “Sì, Lisa, proprio così”. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui. “Ti ho chiamato io?”. L’uomo sorrise. “Sei una ragazza molto sveglia”. “Perché ti avrei chiamato? Che cosa volevo da te?”. Lui continuò a sorriderle; Lisa percepì un’ondata di amore, che per un attimo le ricordò sua madre. “Forse perché eri pronta per farlo. Stai vivendo un momento particolare della tua vita, sei di fronte a un cambiamento interiore e hai deciso di affrontarlo insieme a me”. Non era sicura di capire cosa intendesse l’uomo; non credeva di essere in un periodo così delicato della sua vita, non più di altri vissuti in passato, né di essere davvero pronta a quell’incontro. A dire la verità, non era certa nemmeno di sapere cosa avrebbe comportato quell’incontro. Si sentiva un po’ a disagio, perché sapeva che quell’individuo conosceva ogni suo pensiero e, con molta probabilità, percepiva anche il suo stato d’animo, ma non era in grado di fermare la sua mente. In fondo era quasi rassicurante, per una volta, non poter nascondere i propri sentimenti. Era se stessa, senza maschere, e sembrava che quell’uomo non facesse caso al tipo di pensieri che le passavano per la testa. Una voce lontana, estranea a quella stanza, scosse la ragazza da quei pensieri. L’uomo le sorrise per un attimo e a quel punto Lisa fu riportata, con un certo vigore, alla sua realtà, quella di sempre. Questa volta non ebbe neppure il tempo di ripercorrere la strada in terra battuta e ritornare gradualmente alla percezione di ogni giorno. Aprì gli occhi e si ritrovò due facce abnormi sopra di lei. Il dottor Rossi e il professor Martini erano inginocchiati accanto a lei e cercavano di svegliarla. “Non mi era mai capitato prima a essere sincero, ma pare che la meditazione a te, ragazza mia, faccia proprio un effetto

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rilassante” esclamò lo psicologo e un leggero risolino si sollevò dall’altra parte della palestra. “Ragazzi, sedetevi tutti in cerchio, abbiamo dieci minuti per raccontare le sensazioni appena vissute. Tu, Lisa, ce la fai ad alzarti e a unirti a noi?” le chiese Rossi, alzando un sopracciglio con un cipiglio spiritoso. La ragazza fece un breve cenno di assenso e, ancora un po’ frastornata, raggiunse timidamente il gruppo. Mentre ascoltava il racconto degli altri ragazzi, Lisa si sentì sempre più agitata. Si rese conto di quanto la sua esperienza fosse strana e, a conferma di ciò, le vennero in mente le parole dello spirito guida riguardo al dono. Non aveva la più pallida idea di cosa raccontare quando fosse arrivato il suo momento di parlare, ma più di tutto la intimorì il pensiero che tutto quello che aveva appena vissuto potesse essere reale e non frutto della sua enorme immaginazione. Assorta nelle sue preoccupazioni non si accorse quando ebbe finito di parlare la ragazza seduta accanto a sé. Notò, a un tratto, gli occhi fissi su di lei e si mise a balbettare una risposta, rifacendosi ai resoconti degli altri. Il suo racconto sembrò accontentare tutti quanti, ormai impazienti di poter raggruppare le proprie cose per andare via, quando qualcuno esclamò. “Ti ha parlato lui per prima”. Tutti si girarono verso Federico con aria interrogativa. “Co … cosa?” domandò Lisa forzando un mezzo sorriso. “Tu hai detto che ti ha rivolto la parola il collaboratore del subconscio per primo” insistette Federico, sicuro che la ragazza stesse mentendo e che quell’incongruenza ne fosse la riprova. “Esatto, Federico, ho detto proprio così” tagliò corto Lisa, sperando così di concludere il discorso una volta per tutte e di sgusciare via da quel posto. “Ma i collaboratori non parlano mai per primi; rispondono solamente alle nostre richieste, come ci ha spiegato lei dottor Rossi, non è vero?” chiese Federico. “Sì, in effetti, è così” rispose lo psicologo, ora incuriosito dalla piega che stava prendendo la situazione. “Non è possibile che ti sia sbagliata, Lisa, e che in

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realtà sia stata tu a parlare per prima?” domandò il dottore rivolto alla ragazza. “Sì, può essere, anzi sicuramente è così, ho fatto confusione” fece la ragazza, speranzosa che il discorso finisse lì. Le iniziarono a sudare le mani dal nervosismo e la voce si fece più incerta, ma Federico sembrava non pensarla allo stesso modo. “Per me non hai raccontato tutta la verità e, francamente, non capisco il motivo. Visto che sei stata l’ultima a prendere coscienza è chiaro che la meditazione sia riuscita”. La fissava negli occhi cercando di scorgere la risposta che la ragazza si ostinava evidentemente a non dare. Il suono della campanella fortunatamente riportò tutti ai loro impegni successivi, perciò il dottor Rossi, non riuscendo più a trattenere gli altri ragazzi, ma sentendosi in obbligo di dare il giusto ascolto a tutti, disse solo “C’è qualcos’altro che vuoi raccontarci Lisa?”. La ragazza si sentì sollevata e fece appena cenno di no con il viso, evitando lo sguardo di Federico, e tutti i partecipanti si dimostrarono felici di poter finalmente uscire da quella stanza e raggiungere le loro classi. Lisa stava cercando di aprire il suo armadietto, ma il nervosismo di poco prima le faceva ancora tremare le mani. Non capiva cosa fosse accaduto esattamente e non sapeva come avrebbe potuto continuare a gestire quella situazione da sola. Una mano toccò la sua spalla all’improvviso e la fece sobbalzare. “Che ti succede, Ricci? Sei un po’ nervosa!” le disse con aria ironica Federico. “Non sono affatto nervosa, sei tu con quel modo da Sherlock Holmes che mi fai imbestialire” reagì d’un fiato la ragazza, ma si rese conto di averci messo troppa irruenza. Fece un profondo respiro e continuò “Non capisco perché ti sei fissato in quel modo, quando chiaramente volevamo tutti finirla e andare via. Tutto qua”. “Perché non me la bevo Ricci, come lo psicologo e gli altri. Tu ci nascondi qualcosa e credo anche di sapere cosa” rispose Federico, con un tono, questa volta, più serio. “Ah sì e cosa? Sentiamo”. “Te lo dirò, ma non adesso. Incontriamoci alle tre, oggi pomeriggio, in biblioteca e ti dirò quello che credo”. E

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così dicendo si girò su se stesso e si avviò lungo il corridoio. “Anche se dovresti essere tu a parlare” disse con un tono di voce leggermente più alto, per farsi sentire tra il chiacchierio confuso del corridoio e delle aule ancora aperte. Un saluto appena accennato della mano sulla testa, e poi sparì dentro una classe. Lisa rimase a fissare la porta della stanza dove il ragazzo era entrato, turbata da ciò che le aveva appena detto. Non aveva nessuna intenzione di andare all’appuntamento e cadere nel tranello di Federico; sapeva quanto lui fosse bravo a mettere in difficoltà le persone con i giri di parole e riusciva quasi sempre a farsi dire quello che voleva, non per niente era il rappresentante d’istituto. La campanella la riportò alla realtà. “Bah, a dopo i problemi, adesso godiamoci l’ora di Willy!”. Con una scrollata di spalle chiuse l’armadietto e si avviò alla classe di Martini. Alle tre e dieci del pomeriggio Lisa stava salendo di corsa i gradini della biblioteca. La giacca sul braccio, le mani impegnate con i libri e una brioche come unico pasto della giornata in bocca, si lanciò sul primo tavolo libero che trovò di fronte a lei. Non ci mise molto a cercare Federico, perché, in realtà, era seduto due tavoli più in là, chinato dietro una pila di testi. Controvoglia, recuperò le sue cose e si avvicinò al ragazzo. Il tavolo era libero a parte lo spazio occupato da lui. “Ciao” borbottò lei, finendo di masticare la brioche. “Hey, alla fine sei venuta!” le rispose senza alzare il viso dalla pagina. “Attenta Ricci, perdi i pezzi” le disse tra il divertito e l’irritato il ragazzo mentre puliva una pagina del libro che stava leggendo dalle briciole della brioche di Lisa. “Scusami”. Ingoiò velocemente l’ultimo boccone e prese posto accanto a lui. Intravide tra i libri uno intitolato “Comunicare con gli spiriti guida” e capì al volo di non poter mentire ancora. La stupì vedere Federico interessarsi a quei testi; non avrebbe mai immaginato che s’intendesse di quel genere di cose. “Da quando in qua ti piace l’esoterismo?” gli chiese con fare giocoso, per cercare di allentare un po’ la tensione che sentiva invaderla ancora una volta. “Da sempre. M’interesso da sempre a queste

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cose” le rispose il ragazzo serissimo, sollevando lo sguardo per fissarla negli occhi. Lisa rimase intimidita da quel cambio di atteggiamento. Poi lui, evidentemente accortosi, le sorrise. “E tu, da quando in qua parli con gli spiriti guida?”. “Allora sai…” confessò la ragazza imbarazzata. “Lo avevo intuito, ma non ne avevo la certezza. Perché non hai voluto raccontare niente a Rossi?” le chiese. “Mah, non avevo idea di cosa dirgli; è tutto così strano anche per me… credo che volessi farmi chiarezza prima“. Sfogliò un testo che aveva di fronte a sé, senza leggerlo, perché non si sentiva in grado di sostenere il suo sguardo. “Vuoi dire che era la prima volta che ti capitava?” le domandò lui stupito. “ Si… almeno è la prima volta che parliamo davvero. Lo avevo incontrato anche durante la prima meditazione, ma non c’era stato tanto tempo per parlare e, a dire il vero, ero molto spaventata”. Lisa stava per dire qualcos’altro, ma si bloccò prima di pronunciare un’altra parola. Federico, però, se ne accorse. “Cosa?” la sollecitò incuriosito. “Non so ancora se ci sia un nesso, ma ecco… mi è capitato spesso di fare un sogno spaventoso, in cui mi ritrovavo dentro un bosco di notte, sola e poi, ad un tratto, arrivava un uomo e… ecco, credo che fosse lui” gli spiegò Lisa, lieta di poter condividere quel fardello con qualcun altro, anche se non era sicura che Federico fosse la persona più adatta. “Può capitare che abbiamo dei contatti con i nostri spiriti guida durante i sogni, ma in genere non lo ricordiamo una volta svegli. Magari, in periodi difficili della nostra vita, cercano di darci dei consigli o avvisarci di qualcosa” disse il ragazzo provando a ricordare tutto quello che aveva letto finora. A Lisa venne immediatamente in mente ciò che le aveva detto l’uomo a proposito di un cambiamento che avrebbe dovuto affrontare. Poi si rese conto che Federico aveva parlato al plurale. “Spiriti guida? Vuoi dire che ce ne sono più di uno?” gli chiese infine. “Sì, ne abbiamo diversi, anche se, in realtà, è impossibile quantificarli. Ho letto che possono essere energie legate a noi a un livello più spirituale oppure delle persone che hanno condiviso

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il mondo fisico con noi e a cui siamo stati molto legati”. L’immagine di sua madre apparve immediatamente in mente a Lisa. “Tu hai mai avuto contatti con loro?” gli chiese lei poco dopo. “No, anche se ho letto abbastanza sull’argomento. Forse sono un po’ troppo razionale!”. Sorrise nel dire questo, ma trapelò comunque una nota di delusione. “Non è un’esperienza che capita a chiunque” continuò Federico. “Bisogna esserne pronti o, comunque, avere una certa predisposizione”. “Già, un dono” terminò lei pensierosa. Federico chiuse il libro che aveva davanti. “Se guardi il tutto da un’altra prospettiva, hai una grande possibilità. Pensa a quante cose puoi chiedergli, domande cui non hai mai avuto risposta, curiosità, consigli personali”. “Da come ne parli, sembrerebbe che abbia appena vinto un Wikipedia!” ironizzò la ragazza, poco convinta. “Di più Ricci” continuò lui. “Hai vinto un Wikipedia esclusivo, unico nel suo genere, che conosce tutto di te, nel profondo della tua anima e che può dare risposte a domande cui perfino un premio nobel non saprebbe rispondere”. I due ragazzi restarono in silenzio, per qualche minuto, senza guardarsi. Fu Lisa per prima a rompere quel silenzio “E, diciamo, se volessi incontrarlo ancora, senza Rossi intendo, cosa dovrei fare esattamente?” gli chiese timidamente. “Rilassarti. E poi seguire il percorso che abbiamo imparato nel corso. Mi sembra che funzioni. E…” Federico titubò un attimo. “E?” lo sollecitò lei. “E, se vuoi, io potrei aiutarti nella meditazione e, eventualmente, risvegliarti, se ti vedo particolarmente agitata” concluse lui. Lisa si sentì nervosa, ma sapeva anche di essere entrata in un vicolo che doveva necessariamente percorrere per intero. Si guardò intorno; nonostante fosse un giorno infrasettimanale, la biblioteca era pressoché vuota. Due ragazze, poco più in là, stavano chiacchierando davanti a un computer, la pagina di Facebook aperta, e ridacchiavano eccitate; forse avevano appena stretto qualche amicizia interessante. Per un istante avrebbe desiderato essere al posto loro e condividere quel tipo di agitazione. Poi si

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girò verso Federico che la fissava in attesa di una risposta. “Potremmo fare sabato pomeriggio da me; mio padre sarà fuori città per lavoro e mia madre ha un impegno con un’amica dell’Arci” continuò lui. L’idea di trovarsi da sola in casa di Federico, riempì improvvisamente di disagio Lisa, che arrossì di colpo. Il ragazzo dovette aver capito al volo il suo imbarazzo perché si precipitò a dirle: “Puoi chiedere a una tua amica di venire con te, potrebbe esserci utile”. Quest’ultima frase la sollevò immediatamente.

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Capitolo tre Quando Lisa entrò nella libreria, vide Stefi in equilibrio sulla scala, davanti allo scaffale New Age, che sistemava i libri. “Signorina, ha per caso l’edizione originale del testo ‘Il mio pisello è più verde del tuo’?” disse d’un fiato, sforzandosi di non scoppiare a ridere. “Cos...?” Stefi si voltò di scatto e guardò in basso. “Lisa va a quel paese! Per poco non ci cadevo stavolta” si mise a ridere l’amica. Quello era uno scherzo che ogni tanto si divertivano a fare le due ragazze, ricordandosi della volta in cui, due anni prima, una signora di mezza età, vestita di tutto punto e con l’aria snob, si era rivolta a Stefi in modo altezzoso, chiedendole la prima edizione del libro ‘Il mio pisello è più verde del tuo’. La ragazza e sua madre si erano scambiate un’occhiata interrogativa per scoppiare in una sonora risata subito dopo. La donna aveva voltato le spalle, offesissima, e se n’era andata senza dire una parola. Naturalmente quell’episodio aveva fatto il giro del quartiere e, nonostante Lisa non avesse assistito alla scena, il racconto di Stefi, condito di smorfie e intonazioni, le aveva fatto salire le lacrime agli occhi dal troppo ridere. Erano poi andate in internet per fare una ricerca e scoprire che quel libro esisteva veramente e parlava di nutrizione energetica. “Visto che hai tempo da perdere, dammi una mano con questi testi, per piacere. Mi mancano altri due scatoloni” le disse Stefi. “Dov’è tua madre?” chiese Lisa girando lo sguardo per il negozio. La libreria era piuttosto piccola, ma molto accogliente. Ogni pezzo d’arredamento era frutto di qualche escursione tra i mercatini dell’antiquariato tanto amati da sua madre, selezionato

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e abbinato al resto della mobilia con grande gusto; il lampadario, dai vivaci colori anni 70, era un ricordo della prima casa acquistata dai genitori di Stefi, cui la donna non voleva proprio rinunciare. In un angolo del negozio si trovava una macchina per le bibite calde, due poltrone in eco pelle e un tavolino, dove i clienti potevano godersi un tè e sfogliare i testi prima di comprarli. Forse non era un’idea da buon commerciante, ma era in perfetto stile madre-di-Stefi. “Ha fatto un salto dalla parrucchiera; stasera lei e papà festeggiano l’anniversario e hanno in mente una di quelle serate sdolcinate” rispose l’amica facendo una smorfia con la bocca che fece ridere Lisa. “E’ bello che i tuoi siano ancora così innamorati” affermò la ragazza, continuando a sorridere. “Sì, è vero. Sarà merito di qualche mistura segreta che mia madre ha fatto bere a papà?” disse scherzosa Stefi, mentre imitò la madre nell’atto di mescolare una brodaglia dentro una pentola. “Io credo che sia sufficiente il suo pollo ai peperoni, cederebbe chiunque. Solo a pensarci mi viene l’acquolina in bocca” fece Lisa, leccandosi i baffi come un gatto. “Non ci pensare allora e passami i libri rimasti in quello scatolone”. Mentre aiutava l’amica, Lisa pensò fosse l’occasione giusta per accennarle dell’incontro con Federico in biblioteca e per convincerla a unirsi a loro il sabato seguente. Non fece in tempo a finire il racconto che una Stefi piuttosto sorpresa disse: “Non sapevo che ci fosse anche Federico Berti al corso della Rivozzi, non me lo avevi detto”. “Mi sarà sfuggito; non è poi una presenza così importante, ti pare?” rispose Lisa sulla difensiva, pentendosene subito dopo. “No, è vero, ma almeno lui lo conosci. Ti eri lamentata che non conoscevi nessuno” continuò l’amica dalla cima della scala. “Beh se è per questo c’è anche Donato, ma mi sono dimenticata di parlarti anche di lui” cercò di svicolare Lisa. Stefi stava scendendo la scala e si bloccò per guardare l’amica “Sì, ma c’è una bella differenza tra Donato Lussa e Federico Berti, non trovi?”. Lisa arrossì d’impulso e dovette ammettere che l’amica aveva ragione. Stefi la osservò

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attentamente. “E’ carino Federico, mi piace; abbastanza scontroso e brillante da far impazzire le ragazze. Sareste una bella coppia insieme, te l’ho sempre detto” insistette la ragazza. “Ma se cambia ragazza ogni mese. E poi io e lui non facciamo altro che discutere! Sembra che non riesca a stare cinque minuti senza provocarmi” protestò Lisa. “Appunto, sareste una bella coppia!” fece un occhiolino d’intesa all’amica e trascinò la scala di fronte allo scaffale dello yoga. Lisa rimase imbambolata dov’era con lo scatolone dei libri in mano, il rossore delle guance prese la tonalità del lampadario anni 70. Infastidita, quindi, scrollò le spalle e con un grugnito si avvicinò all’amica che la stava richiamando all’ordine. Anche se controvoglia, dovette parlarle dell’appuntamento che aveva con lui il sabato pomeriggio e supplicarla di non lasciarla da sola. L’amica la guardò con aria maliziosa; Lisa capì al volo cosa stesse pensando. “No, no, no non ci siamo Stefi. Questa è una cosa seria, non scherzare”. Stefi interruppe subito lo scherzo per paura di urtare la sensibilità dell’amica. Conosceva Lisa molto bene e sapeva quanto fosse riservata, e perfino un’innocente battuta poteva portarla a chiudersi in se stessa come un riccio. “Va bene, ti accompagno da Fede, ma questo significa che dovrai sacrificare Doctor House stasera e aiutarmi nella chiusura del negozio, così lasciamo andare i due piccioncini a cena insieme” disse Stefi sorridendo e Lisa, rincuorata, sprigionò un sorriso pieno di gratitudine all’amica. Il sabato arrivò velocemente. Al mattino Lisa aiutò sua nonna a piantare i semi dei tulipani. Erano stati i fiori preferiti di sua madre, semplici, colorati, i primi a percepire nell’aria la primavera. Lisa amava aiutare la nonna in quell’atto naturale, pieno di significato; erano unite nel ricordo della stessa donna, che entrambi avevano amato profondamente. Mentre ricopriva i semi, la nonna raccontò allegramente l’ultimo guaio di Marco, il cugino di Lisa, ma la ragazza aveva la mente altrove. Alle quattro

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di quel pomeriggio Stefi sarebbe passata da lei, e insieme avrebbero raggiunto casa di Federico. Si sentiva molto nervosa e non solo per via della meditazione. Si chiedeva come sarebbe stato trovarsi a casa sua e se Federico avesse già portato delle ragazze là. Si ricordò poi che quello non era un appuntamento tra ragazzo e ragazza e che lei aveva accettato esclusivamente per capirci qualcosa di più su quegli incontri particolari. Alle tre e un quarto fissava l’interno del suo armadio, scoraggiata, di fronte alla scarsa scelta che aveva. Il suo guardaroba era composto esclusivamente da jeans scuri attillati e felpe di vari colori, fatto che non le aveva mai procurato il benché minimo disturbo fino allora. Ripensò all’ultima ragazza che aveva visto insieme a Federico in giro per la scuola e provò un moto di sconforto nei confronti di se stessa. Era già fin troppo magra e alta rispetto alle sue coetanee e, come se non bastasse, vestiva da dodicenne. Per mezzo secondo pensò di inventare una scusa dell’ultimo momento e saltare l’appuntamento; poi, però, tornò in sé e ricordò il vero motivo per cui doveva incontrare Federico. “Oddio mi sta andando di traverso il cervello! Da quando in qua mi preoccupo di cosa indossare per vedere quel mentecatto presuntuoso? Lisa sveglia, è ridicolo!” sbuffò e agguantò il primo paio di jeans e maglia che trovò. Le venne in mente l’allusione di Stefi riguardo lei e Federico e, seppur imbarazzata, ripensò al pomeriggio in biblioteca, quando lui l’ascoltava mentre gli raccontava cosa era avvenuto durante l’esercizio di Rossi. Si sorprese, irritata, a perdersi dietro a pensieri simili. Senza farlo apposta Stefi arrivò in anticipo di mezz’ora, interrompendo l’agitazione che stava ormai impadronendosi di Lisa. Sollevata, per poco non le saltò in braccio quando le aprì la porta; decisero di avviarsi subito verso casa del ragazzo e fermarsi lungo la strada per prendersi una coca cola al bar. Federico le accolse in tuta da ginnastica e con i capelli arruffati. Sembrava diverso dal solito sbruffone che conosceva a scuola.

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Piuttosto impacciato, le accompagnò in camera sua, cercando di riordinare rapidamente la confusione che regnava nella stanza. Quando entrò nella camera, Lisa rimase stupita; non avrebbe mai immaginato di trovare ciò che si presentò davanti: una stanza piuttosto semplice, quasi minimalista, niente poster o quadri appesi sulle pareti. Non vide console e iPod in nessun angolo. Solo una montagna di libri sparsi ovunque, sulla scrivania accanto al portatile, sulle mensole, perfino per terra. Pile di testi che davano un senso di vissuto e di colore a quello spazio. Federico liberò l’unica sedia disponibile da un paio di jeans e fece cenno alle ragazze di accomodarsi lì; poi corse fuori dalla stanza per ritornare un attimo dopo con un’altra sedia. “Scusami Fede, ma avrei urgente bisogno del bagno. Credo di aver esagerato con la coca oggi!” esordì Stefi, rompendo il silenzio imbarazzato che si stava creando tra i tre. “Sì, ok, ti mostro dov’è” il ragazzo si girò di scatto verso Lisa, quasi non volesse lasciarla da sola là, poi ci ripensò e uscì dalla stanza con Stefi. Lei ne approfittò per dare una sbirciata a qualche libro; c’erano molti autori classici, come Dostoevskij, Tolstoj, perfino Jane Austen. “Incredibile” le uscì ad alta voce. “Che cosa è incredibile?”, non si accorse che Federico, nel frattempo, era rientrato nella stanza. “Oh, scusa, stavo solo dando un’occhiata ai libri… non sapevo che leggessi… voglio dire che ti piacesse leggere questo genere di romanzi” balbettò la ragazza, vergognandosi di essere stata sorpresa, come una bambina, a frugare tra le sue cose. “Ci sono tante cose che non sai di me, Ricci” le disse serio lui, facendola arrossire ancora di più. “Hai letto davvero Jane Austen?”.“ Ti sembra così strano che un ragazzo possa apprezzare ‘Orgoglio e pregiudizio’? Anche se secondo me ‘Emma’ è il suo romanzo migliore”. “Sì, è vero, lo penso anch’io” gli rispose Lisa, sorpresa di scoprire quel nuovo aspetto di Federico così simile al suo. “Allora ci si mette all’opera?” irruppe allegramente Stefi, appropriandosi della sedia girevole prima che qualcun altro lo facesse. “Sì, iniziamo. Lisa,

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credo che tu debba sdraiarti per la meditazione, sì insomma, rilassarti” dicendo così, le indicò il letto; notando la titubanza della ragazza si affrettò ad aggiungere. “La coperta è pulita, l’ho cambiata stamattina”. Quel comportamento così maldestro e delicato le fece eliminare tutte le reticenze avute fino a quel momento e le strappò un sorriso spontaneo; cosa che mise ancora più in imbarazzo il povero Federico. Lisa si sistemò sul letto e chiuse gli occhi. “Ok, se sei d’accordo, provo a leggerti le istruzioni che ho trovato in un libro, più o meno sono quelle di Rossi” le disse dolcemente e la ragazza fece cenno di sì con la testa, mantenendo gli occhi chiusi. “Prova a rilassarti adesso, distendendo i muscoli; inspira con il naso ed espira con la bocca. Senti il piede sinistro lentamente abbandonarsi e diventare sempre più pesante. Poi il piede destro si abbandona e diventa più pesante…”. FINE ANTEPRIMACONTINUA...