Oltre il mondo c’è un cosmo senza confini - cvm.an.it · tempi” di Leopardi per tuffarci in...

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1 Armando Gnisci 11 settembre La Transculturazione in aula Oltre il mondo c’è un cosmo senza confini [Rûmî, 1207-1273 dell’E. V., poeta e mistico persiano, fondatore della confraternita dei dervisci rotanti di Konya, Turchia] Premessa: parlerò per inquadrare la poetica del libro a cura di A. Gnisci e C. Cipollari, Una ricerca a prova d’aula. Per una revisione transculturale del curricolo di italiano e di letteratura, pubblicato dalla casa editrice la Meridiana, nel 2012 e dedicato al curriculum cosmico nelle aule primarie. Fornirò alcune riflessioni e proposte perché questa impresa debba e possa continuare. Chi guarda il cielo stellato di corpi celesti? O, in diversi modi di definire: il cosmo infinito del mistico e poeta Rûmî, fondatore del sufismo e della compagnia dei dervisci ruotanti, e l’indeterminato [ápeiron, Anassimandro di Mileto, VI secolo avanti Cristo]. Entrambi nati e operanti in una terra che ora è Turchia, nelle città di Konya e Mileto? Il cielo diurno è dominato dalla luce aperta del sole, che illustra il mondo e il suo diverso paesaggio i ghiacci degli inuit, la steppa dei mongoli, i giardini di Gerico, di Gerusalemme e del Libano, ma anche dell’Andalusia e della Sicilia, le montagne dei tibetani e dell’introvabile Shangri-la, le città dell’Europa, le foreste dell’Amazzonia e della Siberia, i mari-oceano del nostro pianeta, che qualcuno chiama “l’arancia blu”.

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Armando Gnisci 11 settembre

La Transculturazione in aula

Oltre il mondo c’è

un cosmo senza confini

[Rûmî, 1207-1273 dell’E. V., poeta e mistico persiano, fondatore della

confraternita dei dervisci rotanti di Konya, Turchia]

Premessa: parlerò per inquadrare la poetica del libro a cura di A. Gnisci e C.

Cipollari, Una ricerca a prova d’aula. Per una revisione transculturale del curricolo

di italiano e di letteratura, pubblicato dalla casa editrice la Meridiana, nel 2012 e

dedicato al curriculum cosmico nelle aule primarie. Fornirò alcune riflessioni e

proposte perché questa impresa debba e possa continuare.

Chi guarda il cielo stellato di corpi celesti? O, in diversi modi di definire:

il cosmo infinito del mistico e poeta Rûmî, fondatore del sufismo e della

compagnia dei dervisci ruotanti, e l’indeterminato [ápeiron, Anassimandro

di Mileto, VI secolo avanti Cristo]. Entrambi nati e operanti in una terra

che ora è Turchia, nelle città di Konya e Mileto?

Il cielo diurno è dominato dalla luce aperta del sole, che illustra il

mondo e il suo diverso paesaggio – i ghiacci degli inuit, la steppa dei

mongoli, i giardini di Gerico, di Gerusalemme e del Libano, ma anche

dell’Andalusia e della Sicilia, le montagne dei tibetani e dell’introvabile

Shangri-la, le città dell’Europa, le foreste dell’Amazzonia e della Siberia, i

mari-oceano del nostro pianeta, che qualcuno chiama “l’arancia blu”.

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All’origine della nostra civiltà attuale, le Muse cantarono con “voce

concorde” per tramandare a noi attraverso il poeta Esiodo, VII secolo a.C.,

la storia della nascita del cosmo, nella Teogonia, che affianca la sua opera

maggiore, Le Opere e i Giorni. Quest’ultima canta la dignità degli

agricoltori, piuttosto e in alternativa a quella dei guerrieri, che comandano,

invece, sulla vita dei mortali; alla reggia dei Feaci i contadini non c’erano

ad ascoltare la narrazione del dopo-Troia, fatta da Ulisse, così come non

c’erano, i contadini, alla Assemblea rivoluzionaria francese della

Pallacorda, il 9 luglio del 1789.

Leopardi, nella “Ginestra”, scrive dal verso 161: “Seggo la notte [la stessa

postura del “sedendo e rimirando” ne “L’infinito”] e sulla mesta landa / in

purissimo azzurro / veggo dall’alto fiammeggiar di stelle… e quando miro

/ quegli ancor più senza alcun fin remoti / nodi quasi di stelle,…”.

Trasciniamo mentalmente il fiammeggiare delle stelle nella conca cosmica

del purissimo azzurro e leggiamo subito insieme, mentre vanno

fiammeggiando nella nostra mente, le stelle nell’azzurronotte nell’Ulisse

di Joyce. Joyce nella sua famosa opera del 1922, nel capitolo XVI,

intitolato “Itaca”, mostra come due adulti europei, nella sera annerata del

16 giugno del 1904 guardano dentro la notte: “…[Bloom e Stephen]

emersero in silenzio, doppiamente oscuri” e si trovarono di fronte allo

spettacolo del cielo notturno. Vedono nel buio del cielo “L’albero celeste

delle stelle carico di umidi frutti nottazzurri”. ”The evenventree of stars

hung with humid nightblue fruit”. Torniamo indietro ora, alla “qualità dei

tempi” di Leopardi per tuffarci in una pagina diversa, l’ultima della Critica

della Ragion Pratica di Kant, pubblicata nel 1788, dieci anni prima che

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Giacomino nascesse. Pensatori che guardano il cielo, anche per noi, e al

servizio della “Umana compagnia”.

Vi invito ad aiutarmi a trovare e a indicarmi donne poete-filosofe che

guardano il cielo stellato di “corpi celesti” (Anna Maria Ortese). Vi prego

di segnalarmi la loro presenza e le opere nelle quali appaia il cielo stellato,

vi ringrazio in anticipo, scrivetemi a [email protected] Approfitto

per dirvi che da ottobre farò un ciclo di incontri su ciò che noi mortali

chiamiamo “Senso delle cose” sulla web tv www.aliasnetwork.it

disponibili poi su you yube, e a chi voglia essere informato dalle news

della transculturazione, consiglio di entrare nella mailing-list della

[email protected]

Fin dall’inizio dell’evoluzione della nostra specie chiamiamo giorno il

regno della luce emessa dalla nostra stella arancione, mentre la notte è il

regno delle stelle azzurronotte. Gli umani, in un punto critico

dell’evoluzione liberarono le zampe anteriori dalla postura quadrupede e

ne fecero braccia e mani; le usarono per “costruire e rifinire cose nuove”,

per la caccia e poi per coltivare la terra. Allo stesso tempo scoprirono la

visione estrema vista dalla fronte aperta e libera che inaugurò la veduta del

filo dell’orizzonte e quindi della conca del cielo con le stelle, guardando

con la fronte all’in su, rivolta alla volta cosmica. Il nostro cane – come

Charles, l’amatissimo cane-persona di Emily Dickinson – non alza mai la

fronte verso l’alto e non sa che c’è il cielo e i suoi immensi frutti: umide le

stelle, argento-luna e il sole rovente. Furono i nostri lontani antichi:

cacciatori-raccoglitori, poi pastori e agricoltori, nomadi i primi, stanziali i

secondi; e poi i cittadini nelle città, quando queste cominciarono a riunire

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gruppi, clan e famiglie e persone a diventare i luoghi comuni sociali e

politici delle comunità stabilizzate e fervide, a scoprire l’altra metà del

cosmo, aprica nel cielo notturno.

Il cielo stellato, e il cielo lunare, furono il corrispondente notturno

del pastore errante dell’Asia, del condottiero macedone e del generale

romano. E l’albero stellare fu lo spettacolo lontanissimo e vicinissimo

della notte a chi naviga o cammina o sta in una pagina narrativa. Non le

lucciole ci sono state tolte, come scriveva Pasolini, ma le stelle.

Dall’inquinamento umano del corpo celeste delle cose.

Pensai: perché non iniziare i bambini della scuola primaria alla conoscenza

del mondo partendo dalla volta stellare del cosmo ancora visibile sopra la

testa nostra, invece che con osservazioni sulla famiglia, i fratellini, il

quartiere, il territorio, gli amichetti ecc.; anche quelli, certi, ma partendo

insieme dallo spettacolo del luogo comune cosmico, invece che solo dal

tuo papà e la tua mamma? Alle mie 3 compagne insegnanti marchigiane,

capitanate da Giovanna Cipollari, l’idea piacque. Costruimmo insieme un

modulo curricolare cosmico e transdisciplinare che, dopo essere stato

provato in aula e accettato dai fanciulli con entusiasmo, è racchiuso in un

libro, questo.

Ora, non ci fermiamo più, perché abbiamo riconosciuto che questo

progetto-fatto cosmico è un punto iniziale, e che dai corpi celesti, dalle

stelle dobbiamo passare al mondo-tutto e ai grandi temi della storia della

nostra specie, coinvolgendo più da vicino anche i genitori, i fratelli e

sorelle, la tv e il pc eccetera. Come? passando a parlare con i bambini della

guerra, ad esempio. Ho pensato, infatti, a uno scambio di tematiche da

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proporre da parte dei bambini ai ragazzi liceali, e dai liceali ai bambini: le

DAC – dirò tra poco di cosa siano – per i giovanotti, e la guerra+il male,

per i bambini. Riprenderò questo punto verso la fine del mio discorso.

Cosa sono le DAC?

Le Domande Antropologiche Cosmologiche che ogni homo sapiens rivolge

a sé stesso fin dalla prima adolescenza, e alle quali la scuola non dà spazio

e riconoscenza, fisica, filosofica o letteraria; in questo caso, anzi, mi

sembra che la scuola lasci il terrestre-celeste, senza nemmeno vederlo, alla

catechistica cattolica.

Risaliamo a che cosa videro e pensarono i nostri antenati dell’Antica

Europa (Old Europe, secondo l’archeologa Marja Gimbutas, che si riferiva

ad una civiltà mediterranea e europea che visse dal 6500 al 3500 anni

prima dell’E.V.): i primi cosmologi mediterranei-greci furono i filosofi

della Scuola fisica di Mileto – Talete, Anassimandro e Anassimene – del

VI secolo e il poeta Esiodo del VII secolo, figura minore a fianco di

Omero, ma altrettanto importante nel canone letterario dell’Occidente; e

dopo di loro, Lucrezio, il grande poeta-filosofo latino del I secolo a.C. Si

tratta di quei filosofi che Giordano Bruno chiamava fisici a lui simili; i

fisici guardano e ripensano il cosmo, più che l’Essere, che riguarda

piuttosto i filosofi retorici e sfaccendati. I fisici per noi annoverano anche

gli antichi materialisti come Anassagora, e Empedocle, l’oscuro Eraclito,

ma anche Protagora il sofista antagonista di Socrate, e poi Epicuro e i suoi

seguaci, come lo stesso Lucrezio e Filodemo di Gadara. I fisici e i poeti fin

dall’inizio cercano e producono le DAC, non trattandole solo come

domande, ma anche come ipotesi immaginarie, scientifiche e poetiche al

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contempo, cosmovisioni: Perí Physeos & De Rerum Natura. Furono questi

i principî e le mappe primarie e incipienti della scienza dei mortali che

guardano-pensano il cosmo e la condizione umana dentro di esso, come i

vermi nel formaggio, con i vermi. Senza dimenticare Pitagora, il

matematico primo, e il Libro ebraico di Genesi, del più antico dei tre

monoteismi ebreo-occidentale-universaleuro-arabo, che narra la storia

della creazione del mondo e dell’umano e dell’uomo centrale, e Abramo, il

primo, patriarca comune ai tre monoteismi.

Le DAC sono Domande Antropologiche Cosmologiche antiche e costanti,

le conosciamo?, ma certo, sono attrezzi banali ormai da tanto tempo: Da

dove veniamo? Veniamo da altrove, forse? siamo frutto di una creazione

esterna al pianeta Terra-Gaia, siamo stati creati da dèi e dii, o perfino da

alieni antichissimi che atterrarono su Gaia e infilarono sulle sponde di un

terreno minerale, l’acqua e le primissime spore di vita; Chi siamo?

Mostrandi di essere capaci di porre il problema del “sapere di sapere” tra i

viventi, forse come e oltre gli dèi? Montaigne, due millenni dopo dei

filosofi e poeti primi dell’Occidente, sintetizzò il pensiero laico moderno,

nella domandina trascendentale e fondativa di ogni conoscenza critica:

Que sais-je?, Che so io? Che vuol dire: che so io adesso che sto qui a

chiedermerlo e a chiedertelo? In forza e nella forma della stesso

domandare Montaigne enunciò un concetto semplicissimo ma meta-critico,

che l’io concepisce per interrogarsi apertamente sul sapere di non sapere

(Socrate) che deve, però, trasformarsi in “sapere di sapere” e non nella

verità socratico-platonica. Il Sindaco di Bordeaux si interrogò sapendo di

essere un moderno, interrogandosi in maniera critica e storica nella

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“qualità dei (suoi) tempi”, come amava dire Machiavelli. Prima di Cartesio

e oltre il suo razionalismo astratto, del Cogito ergo sum! Io esisto se

qualcuno mi pensa e me lo dice, afferma invece lo scrittore Dževan

Karahsan, nel 1993, a Sarajevo assediata e bombardata: esisto se qualcuno

mi fa esistere, chiamandomi, volendomi, scrivendomi, curandomi. C’è

qualcuno in giro nel cosmo, oltre noi umani?; e infine: Dove stiamo

andando, volando con tutte le galassie in un cosmo sempre incipiente? E

seguendo la divulgazione della scienza fisica che nel secolo scorso ha

rivoluzionato le visioni del mondo e non solo del passato, ma anche

dell’intera umanità, su basi teoriche e sperimentali nuove, sorprendenti pur

se molto complesse e a volte insopportabili dalla ragione quotidiana. Ecco

le DAC. Ed ora accostiamole al PAC – il Principio Antropico

Cosmologico – che ho proposto alle insegnanti per inquadrare meglio il

nostro lavoro umanistico-cosmico. Il PAC può essere per noi una risposta

incerta ma cruciale e ineludibile, aperta all’intuizione intermittente della

mente-cuore dei non-fisici, e aperta da tutti i lati ai venti del pensiero e

degli eventi. E alle DAC, per noi non-scienziati.

Principio antropico? Ma non abbiamo smantellato e superato da

tempo l’Antropocentrismo? Non diamo forse ai gatti il patè e ai cani la

fisioterapia? Non direi così, il PAC non ripropone l’uomo al centro

dell’universo, ma ne riconosce la degnità della sua solitudine cosmica

come fonte e portato, al tempo stesso, della conoscenza. Si tratta, infatti, di

una ipotesi fisica e laica che risponde civilmente, oltre che

scientificamente, alle DAC, ma a tempo determinato e imprevedibile. Vale

a dire: fino a quando non incontreremo civiltà cosmiche diverse e

scambieremo tra noi (un nuovo “noi”) le nostre conoscenze e

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cosmovisioni, oltre e ormai non più la solo nostra. Sto pensando con voi

l’associazione tra DAC & PAC, più relatività, quantistica, stringhe ecc.

Tutte teorie aperte ancora, più o meno, alla prova sempre rinnovata e alla

prassi della falsificabilità.

A questo fardello meraviglioso, aggiungo che la nostra

immaginazione cosmica, nel ‘900 è stata ingrandita proprio

meravigliosamente dalla letteratura fantascientifica (SF, Science Fiction,

come dicono gli angloamericani). La SF ha ingrandito la nostra coscienza

di specie attraverso una immaginazione cosmica sfrenata e affascinante. Vi

consiglio di leggere uno dei “Classici” della collana “Urania” della

Mondadori, diretta da Fruttero & Lucentini, il romanzo di Fredric Brown,

Il vagabondo dello spazio del 1959, che narra di un “pezzo di roccia, del

diametro di un chilometro circa, che vagava libero nello spazio, un masso

vivente e cosciente…chiamiamolo un masso pensante e vagabondo nello

spazio, a cercare altre forme di vita…chiamiamolo Crag…”.

Anassimandro – astronomo, il primo geografo planetario e filosofo

della scuola di Mileto – si pone al principio del pensiero mediterraneo nel

secolo VI prima dell’Era Volgare, E.V., individuando due temi potenti

della riflessione sulla conoscenza e sulla coscienza critica della condizione

umana. Ci resta di lui solo un frammento di poche righe tramandatoci da

Simplicio, l’ultimo filosofo dell’Accademia platonica ad Atene, avverso al

cristianesimo. La grande Accademia fu chiusa nel 529 d. C.

dall’imperatore di Constantinopoli, Giustiniano. Simplicio riparò in Persia,

alla corte sassanide e continuò a fare il filosofo; qualche notizia del

pensiero di Anassimandro ci arriva anche dai libri di Aristotele e Aezio.

Egli fu il primo a pronunciare il pensiero principizio e lo nominò proprio

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come principio e/o inizio1 chiamandolo άρχή-arché, ma dandogli il

carattere dell’indeterminato e infinito: άπειρον. Contestualmente parlò

dell’ingiustizia-άδικίά come perenne e inamovibile regola della dismisura

del mondo umano.

Protagora, il sofista ricordato da Platone nel dialogo a lui intitolato,

sostiene che l’uomo è l’unica misura di tutte cose… E così, per noi di

oggi, e non solo per la “qualità dei tempi” dei filosofi greci, il pensiero di

Protagora si collega al PAC perché ci induce a pensare che la dimensione

umana è quella mediana tra il macrocosmo indeterminato e immenso,

come le stelle giganti e le galassie e ogni altro celeste immenso, e il

microcosmo della materia, l’infinitamente piccolo-nano, atomi, elettroni,

quanti e quark, bosoni, come quello di Higgs ecc.

Ho proposto alle insegnanti il PAC per spiegare le costanti

principizie della mia cosmovisione poetica che ha prodotto la messa in

opera del nostro comune lavoro umanistico & cosmico. Se ne sono

impadronite. Il PAC sembra che faccia ottenere per noi le risposte, aperte

da tutti i lati ai venti del pensiero, alle DAC che conosciamo. Le mie

maestre hanno accettato e hanno iniettato, con prudenza e arte della

semplificazione, ai bambini elementari il PAC.

Il principio antropico pronuncia il senso del mondo e del futuro

1 Dice la mia Signora, Lady Emily Dickinson: “Gli inizi sono sempre più spaventosi della fine,

perché è un’identità vacillante quella su cui si fondano”. È ciò che dissero i nostri antenati : il caos

primario, e oggi: l’universo fluente che era prima del Big Bang di questo universo ecc.

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Ho proposto il PAC, dopo anni di mia ruminazione di questa teoria

cosmologica odierna e bizzarra, come dicono alcuni fisici, che non so

capire bene dal punto di vista scientifico e matematico, e anche quotidiano,

ma che mi sorprende e mi commuove quando sfida la zona grigia tra i

limiti suoi propri e il possibile incontro con la filosofia neo-umanistica e

con l’immaginario scatenato dal Novecento e dal suo “genere”, la

Fantascienza. Il PAC mi ha folgorato una ventina di anni fa e mi ha portato

a ripensarlo e a mostrarlo come “orizzonte” del discorso della coscienza di

specie e del senso del mondo. Un discorso che è diventato possibile nel

XX secolo dell’EV e che riunisce – nella sua caratteristica e distinzione

all’interno del pensiero della complessità – l’immaginario scientifico con

quello letterario e artistico. Di cosa stiamo parlando, allora?

Il concetto e il nome di “Principio Antropico Cosmologico” vennero

coniati nel 1973 dal fisico Brandon Carter che, in un convegno per la

celebrazione dell’anniversario della nascita di Copernico, cercava di

mettere in guardia dall’uso eccessivo del principio copernicano da parte di

astronomi e cosmologi. E cioè buttando via la condizione umana in

assoluto detronizzandola, giustamente, dalla postazione centrale

nell’universo. Carter si proponeva di riportare all’attenzione degli

scienziati la constatazione che l’universo e le sue leggi non possono non

essere compatibili con la nostra esistenza. Carter passava, quindi, a trattare

di Principio Antropico debole e di Principio Antropico forte.

Il debole afferma che la nostra posizione nel cosmo è quella di

(unici) osservatori e di teorici-cosmologi e che questa costante condizione

umana è necessaria e privilegiata. Esistono, infatti, connessioni tra

l’esistenza dell’uomo sulla terra e alcune caratteristiche cruciali del cosmo

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da noi abitato e come oggi è conosciuto. Il forte sostiene che il nostro

universo, e le costanti fondamentali che lo caratterizzano, deve essere tale

da permettere la creazione di osservatori all’interno di esso stesso e ad un

certo stadio della sua esistenza: la specie umana, infatti, attraverso i suoi

fisici è arrivata a pensare e divulgare la scienza del Novecento e il PAC. Il

PAC equivarrebbe ad una concezione globale e complessa che si può

sintetizzare parafrasando e riformulando il famoso principio cartesiano,

così: Cogito ergo mundus talis est.

Il Principio Antropico forte, così come enunciato da Carter, intende

sottolineare che noi viviamo in un universo che di fatto ha permesso e va

permettendo l’esistenza della vita come noi la conosciamo e come si è

evoluta fino alla bio&coscienza umana attuale che permette e promette che

la conoscenza umana arrivi a concepire il “fatto che esista un cosmo come

questo qui”, mediante il ri-conoscerlo scientificamente. E che il

riconoscerlo certifica il posto umano nel cosmo, l’“ultima linea rerum”,

come afferma Orazio, che propone questa perfetta immagine poetica,

invece, per designare la Mors, PAC e morte sono limiti estremi della

conoscenza attuale, biologica e cosmologica. Facciamo, trepidamente, un

esempio: se una o più delle costanti fisiche fondamentali avessero avuto un

valore differente alla nascita dell’universo, allora non si sarebbero formate

le stelle, né le galassie, né i pianeti e la vita come la conosciamo non

sarebbe stata possibile. Sarebbe stato un altro universo, o tanti altri

universi. Questo universo c’è perché, nel senso di “dato che”, noi ne

facciamo parte e ne siamo i testimoni, gli scienziati e i “pensatori senza

pensieri conclusivi” (Wallace Stevens, un altro scienziato del Novecento?

No, scoprirete più in là chi è). E all’inverso: la conoscenza umana si è

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evoluta fino a conoscere sempre meglio la “natura” dell’universo stesso, da

Anassimandro al PAC. Questo ultimo argomento scientifico rappresenta la

vetta sintetica della conoscenza della conoscenza della modernità e della

fisica strabiliante del XX secolo: dalla Relatività ai quanti, dal Big Bang ai

buchi neri, come dice Steven Hawking.

Nel 1986 venne pubblicata la Bibbia del PAC, The Anthropic

Cosmological Principle del fisico inglese John D. Barrow e del

matematico USA Frank J. Tipler, il più esteso lavoro sul Principio

Antropico e sulle sue implicazioni nelle varie scienze e nel pensiero

umanistico (Il libro è stato tradotto in italiano con il titolo Il principio

antropico, Milano, Adelphi, 2002).

Barrow e Tipler descrivono tre versioni del Principio Antropico, con

qualche differenza rispetto a Carter.

Il “Principio Antropico Debole” afferma che i valori osservati di tutte

le costanti fisiche e cosmologiche del nostro universo non sono equamente

probabili ma assumono valori limitati dal prerequisito che esistono luoghi

dove la vita basata sul carbonio può evolvere e dal prerequisito che

l’universo sia già abbastanza vecchio da aver permesso ciò.

Il “Principio Antropico Forte” afferma che l’universo deve avere

quelle proprietà che permettono alla vita intelligente di svilupparsi al suo

interno e, ad un certo punto della sua storia, per riconoscersi in una

cosmologia antropica condivisa nei suoi principi.

Il “Principio Antropico Ultimo” afferma che deve necessariamente

svilupparsi una elaborazione intelligente dell’informazione dell’universo e

che, una volta apparsa, questa non si estinguerà mai.

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Barrow e Tipler discutono il Principio Antropico allo scopo di

enunciare le coincidenze apparentemente incredibili che permettono

l’esistenza del nostro universo e della vita intelligente dentro di esso, e

quindi questo è il ruolo della specie umana all’interno di esso, senza enfasi

antropocentrica. Infatti, dicono gli autori, tutte le caratteristiche

dell’universo in cui viviamo dipendono dai valori di un insieme di costanti

cosmologiche fondamentali che, allo stato attuale della conoscenze, sono

fra loro ancora indipendenti.

L’esistenza dell’universo dipende da variazioni infinitesimali di

questi valori; l’esistenza dell’universo così come lo sviluppo della vita

sulla Terra e lo sviluppo della vita intelligente. È perciò fondamentale

studiare la struttura attuale di questo universo tenendo in gioco anche le

condizioni materiali alla base della nostra esistenza.

Il fisico John Archibald Wheeler ha suggerito una versione

alternativa del Principio Antropico Forte, aggiungendo che gli osservatori

sono necessari all’esistenza dell’universo, in quanto sono necessari alla

sua, dell’universo stesso, conoscenza. Gli osservatori di un universo

partecipano attivamente alla sua stessa esistenza, insomma. Sono i

portatori della coscienza&conoscenza del cosmo che si di dà a conoscere

a se stesso.

Il Principio Antropico, nelle sue varie versioni, sembra riconnettere,

come pensava Carter, l’uomo all’universo e l’universo all’uomo,

connessione che sembrava oscillare e non definirsi mai nella scienza

moderna inaugurata dalla “qualità dei tempi” di Copernico, Keplero,

Galileo e Newton e in poi. Punto Omega – secondo la visione del gesuita-

cosmologo Teilhard de Chardin, morto nel 1955, che ha proposto una

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teoria teologica del cosmo che precede, su altre vie, il PAC – sarebbe la

meta finale del cosmo e del suo germoglio principale, la specie umana. Il

Punto Omega è la redenzione estrema, connessa con il ricongiungimento

nuovissimo e finale della divinità con l’uomo e viceversa, il Cristo-

Universale, secondo de Chardin2.

Affascinato dalla cosmologia del secolo XX, da umanista laico e

letterario, pronuncio una riflessione personale da dentro la mia ricezione e

riformulazione umanistica della debolezza e/o fortezza del PAC. Per

trovare una strada di mezzo tra queste definizioni scientifiche, ma per noi

anche immaginarie – lo stesso Barrow ha trattato molto dell’immaginario

– nel senso estremo del termine, ma senza evocare divinità assolute e tristi

o Antichi Alieni). Sostengo che tra il PAC debole e quello forte è possibile

intuire ed enunciare una proposta mediana che, tra l’altro, abbatte il

principio del PA- Ultimo della inestinguibilità della conoscenza portata dal

PAC. Perché, fino a quando noi umani non incontreremo civiltà aliene

extra-terrestri, dobbiamo educarci a pensare nel PAC debole, e cioè, nella

postazione che Wallace Stevens propone quando dice che siamo “pensatori

senza pensieri conclusivi / in un cosmo sempre incipiente” (“Montagna a

luglio”). Il PAC può aiutare scienziati e cittadini a realizzare insieme una

cosmovisione democratica per cui noi tutti possiamo pensare il cosmo

infinito vicino, anzi a fianco e insieme, agli scienziati cosmologi. Quando

e se incontrassimo civiltà aliene, il nostro PAC si trasformerebbe in una

carta di presentazione della nostra civiltà come inconclusa ed aperta, e

allora, proprio allora, confrontabile con altre menti-storie e non soltanto

col silenzio cosmico inestinguibile, nel cui cammino solitario camminiamo

2 Barrow e Tipler esaminano il pensiero del gesuita.

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da soli, e aggiungo: “almeno fino ad ora”. Proporremmo agli alieni una

mutua comparazione per poter costruire insieme una cosmologia po-etica

in comune, come scrisse Lucrezio: ita res accendent lumina rebus [Libro

I] e inter se mortales mutua vivunt [Libro II]; se anche loro fossero mortali

come noi. Oppure, così con loro conversando, sorprenderemmo i nostri

ospiti, e/o loro sorprenderebbero noi, imprevedibilmente e dal più fondo e

in continuazione, nel raccontarci tutte le nostre storie e commentandole

insieme. Penso che questa riflessione rappresenti un passo in avanti, non

certo per la scienza cosmologica, per i fisici sarebbe solo un prodotto

immaginario strapazzino – come dice Collodi – una applicazione

superflua; ma per la ragione neo-umanistica che mi muove a pensare

sempre a favore di tutti, può essere un utensile immaginario per pensare

alle DAC tutte insieme e insieme con tutti, con una quota più alta di

scienza fantastica.

[questa scheda sul PAC è stata composta da Maria Paola Silvagni per il mio libro L’educazione del

te, Sinnos 2009; e da me implementata e ripensata nell’agosto-settembre del 2012]

Infine, propongo di aggiungere a DAC&PAC la Gilania. Di cosa si tratta?

Di una po-etica generale e di una ermeneutica storica dello sviluppo della

civiltà europea a cominciare dal X millennio prima dell’Era Volgare,

proposta da una studiosa euro-nordamericana, Riane Eisler nel 1987,

nell’opera Il Calice la Spada. La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad

oggi. Un libro tradotto in Italia nel 1996 e riedito nel 2011 dalla casa

editrice Forum di Udine, curato da Antonella Riem. In questo volume

Eisler si rifa alle scoperte della archeologa Marija Gimbutas – di origine

lituana e poi attiva come ricercatrice e docente nelle università USA di

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Harvard e UCLA – che a partire dei suoi scavi nell’Europa sud-orientale,

propose l’esistenza di una Antica Europa/Old Europe precedente alle

invasioni di quei popoli che lei chiama Kurgan, guerrieri e devastatori,

che corrispondono a quelli che noi continuiamo a definire come indo-

europei. Essi smantellarono la civiltà mediterranea orientale dell’Antica

Europa precedente, basata sul legame sociale della partnership di donne e

uomini, in un ambiente, che io chiamo “scialle di calore femminile”

(seguendo Wallace Stevens) – tessuto dalla Grande Dea. Dal 4000 inizia

nel Mediterraneo l’irruzione dei popoli kurgan, pastori nomadi, bellicosi e

dominatori maschili, in varie ondate successive. Eisler parte dalla “ipotesi

kurgan” di Gimbutas per rileggere la storia antica e moderna europea come

una successione di armate violenze portatrici di guerre invasioni e

saccheggi, di popoli patriarcali e androcentrici. Successivamente e man

mano le due civiltà si fusero e man mano l’Antica Europa fu dimenticata.

Diventammo tutti indo-europeizzati. A questa rimozione si oppose e si

oppone nel tempo un pensiero-azione, di volta in volta, memore della

civiltà della pace e della partnership sessuale e sociale reale nei tre

millenni tra il 6500 e il 3500. Eisler non propone un ritorno all’antico, ma

chiarisce passato e presente puntando sul futuro di una nuova umanità che

vivrà nella condizione partecipativa di donne e uomini tra loro pari e in

armonia, come direbbe Ungaretti. Se non così, il mondo di domani sarebbe

solo un incubo, peggiore di quello in cui viviamo oggi. A questa ipotesi

generale Eisler dà il nome di Gilania3. Eisler propone inoltre un vero e

3 La nuova parola-visione è prodotta da una connessione, così definita nel “Glossario mutuale” curato da

Stefano Mercanti a p. 407 del libro di Eisler, “Gilania: indica l’uguaglianza di status tra i due sessi come

presupposto per un’evoluzione culturale intrecciata che tenga conto della totalità della società umana; è una

struttura di pensiero e di organizzazione sociale che ha caratterizzato civiltà fiorenti come quella cretese-

minoica, contraddistinta da rispetto, solidarietà e interconnessione creativa fra uomo e donna. Il termine

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proprio quadro educativo eutopico nella cosmovisione gilanica e nella

società del partenariato, che si riassume in una premessa generale:

“bisogna soprattutto collegare gli studi scolastici alle grandi domande

esistenziali”, e in quattro componenti formative che costruiscono una

educazione alla cultura pacifica e di cura, a venire: “le relazioni

nell’infanzia, le relazioni di genere, le relazioni economiche e l’insieme di

storie, credenze e spiritualità trasmesse culturalmente” (p. 404).

Il complesso teorico e poetico composto da me tra DAC-PAC e in

connessione con l’eutopia di una Antica Europa pacifica guidata dalle

donne in un regime di mutualità – come nell’Antica Creta, in Sardegna e

nell’Italia meridionale, nell’Europa orientale e centrale – formano la Via

futura della Gilania. Una via ancora molto impervia che cambierebbe la

mente, il cuore e l’ethos degli umani, formando “indomabili credenze” per

delineare e produrre un futuro mondo migliore. “Indomabili”, perché non

si tratta di dogmi o di verità astratte, esotiche, utopiche4 e fantastiche, ma

di antiche e persistenti forme vitali soppresse e dimenticate, che

prefigurano tuttora e con forza un mondo migliore. Tutto ciò viene detto

oggi (nella nostra qualità dei tempi) in un mondo, come il nostro ora, che è

kurganissimo e perfettamente violento, corrotto, criminale, opprimente e

ingiusto. Per me, si tratta del peggiore possibile dei mondi della storia

umana.

deriva combinazione dei prefissi greci, “gi” (gyné) ‘donna’, e “an” (andros) ‘uomo’, generalmente utilizzati

per significare il femminile e il maschile, e connessi dal fonema “l”, iniziale del termine inglese linking

(unione) e in greco dal verbo lyein (spiegare o risolvere) o lyo (sciogliere e liberare) . 4 Utopia vuol dire un pensiero ideale di società umane “senza luogo”, ou-topos dall’antico greco; “eutopia” vuol dire

eu-topos, un mondo migliore da costruire insieme.

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Propongo di accogliere il pensiero di Gimbutas e di Eisler con le parole di

due poeti del tempo lungo occidentale che hanno immaginato

preziosamente la figura di una condizione umana migliore e possibile, un

po’ vicina, per me, a quella che ha proposto Riane Eisler.

Wallace Stevens,

Questo è dunque l’incontro più intenso,

È in tale pensiero che ci raccogliamo

Fuori da ogni indifferenza, in una cosa:

Entro una cosa sola, un solo scialle

Che ci stringiamo intorno, essendo poveri: un calore,

Luce, potere, l’influsso prodigioso

…….

Facciamo un’abitazione nell’aria della sera

Tale che starvi insieme è sufficiente.

“Final Soliloquy of the Interior Paramour”

in The Rock

ne Il mondo come meditazione, trad. e cura di Massimo Bacigalupo,

Parma, Guanda 1986

Ecco che ci è apparso ricomposto lo scialle/shawl e svelata la poeticità di

Wallace Stevens, uno dei miei Maestri della poesia mondiale del

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Novecento, insieme a Wisława Szymborska (WS anch’ella) e Borges, a

Montale e Pessoa, a Seamus Heaney e Derek Walcott, a Aimé Césaire e

Josif Brodski…

E, risalendo all’indietro verso l’antico:

Tito Lucrezio Caro,

[…] così l’insieme delle cose si rinnova

sempre, e i mortali vivono mutuamente le cose tra loro in comune

[…] sic rerum summa novatur

semper, et inter se mortales mutua vivunt

De rerum natura, II, 75-765

Lucrezio – poeta-filosofo epicureo del primo secolo prima dell’avvento di

Cristo – è stato dimenticato in Europa per un millennio e mezzo, osannato

da pochi e trascurato da molti; Wallace Stevens è valutato come uno dei

più grandi poeti anglo-americani del Novecento, ma anche come un

compositore di versi filosofico e astratto-meditativo. A noi servono molto

per pensare meglio, insieme a Eisler un mondo gilanico. Credo anche che

loro due abbiano scritto per tutti – non come “universali” ma da mutui –

per le donne e per gli uomini e per tutti gli altri, anche non-umani, come il

5 “De rerum natura” era il titolo che i poeti latini davano alle opere sulla natura delle cose, ed equivale letteralmente al

titolo in greco di “Perí Physeos”.

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cane che ti aspetta fiducioso o il gatto che si allontana e non si sa come,

sorride; lo testimonia Alice nel paese delle Meraviglie. Come Saffo e

Emily Dickinson, o Leopardi e Hölderlin: solo se e quando diventiamo un

colloquio (Hölderlin) e solo quando torniamo all’ “… l’onesto e netto /

Conversar cittadino, / E giustizia e pietade…” (Leopardi, “Ginestra”, ma

anche Confucio e Buddha), e solo poeticamente potremo “salvarci l’un

l’altro”, come ha scritto sui rotoli di Ercolano il filosofo epicureo

Filodemo di Gadara, vissuto nella stessa “qualità dei tempi” di Lucrezio.

DAC&PAC&GILANIA formano insieme quella che chiamo, per me, la

Porta sull’Orizzonte del mondo e nel cosmo. Vi invito a tenerne conto nei

vostri pensieri e vi auguro di trarne l’accesso a una via nuova e ulteriore,

come fa il Dalai Lama quando concepisce e scrive il suo pensiero laico e

umanistico, oltre la religione, Beyond Religion 2012, data anche della

traduzione italiana da Sperling & Kupfer.

Credo, da uomo libero, che ognuno di noi dovrebbe darsi il compito di

costruire nella vita la propria po-etica, confrontandola costantemente con i

suoi simili e con i saperi veri dell’umanità, e non solo aggiornandosi sulle

mille novità-merci telematiche. Aprendola anche e addirittura alla

singolare possibilità di un colloquio con civiltà aliene. È solo per questa

via che si può diventare anche-poetici. E questo vale specialmente per noi

docenti umanisti quasi più facilmente, per educare i bambini e i giovani,

ma anche gli anziani, all’idea-azione di una civiltà migliore: eutopica.

L’umanità di oggi crede sempre di meno ai catechismi monoteisti, e gli dei

antichi sono dimenticati da secoli. Il vuoto della assenza di divinità

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religiose deve essere pulito e riempito dalla nostra nuova conoscenza

umanistica, dalla costellazione DAC&PAC&GILANIA, ad esempio, dal

Dalai Lama e dalla Pacha Mama dei popoli indigeni meso-sudamericani e

da tanti altri che ci invitano a ragionare così, tutti insieme.

Propongo, per quanto riguarda la sperimentazione formativa dei docenti

provata in aula del curriculum di italiano&letteratura, di organizzare un

seminario nel 2012-2013 di approfondimento dell’idea formativa di

“cosmovisione po-etica” per tutti noi che lavoriamo nella conoscenza e

nella formazione di formatori e quindi delle nuove generazioni. È già

pronto un pacchetto di nuove prove in aula, sul “diventare po-etico”

mediante un approccio di “creatività critica”, perché la poesia è la “Grande

Maestra della Finezza” (J. Brodskij). Inoltre affronteremo più da vicino la

costellazione DAC-PAC-Gilania e altre cosmovisioni e teorie-azioni che

lavorano insieme transculturalmente sulle frontiere mobili del neo-

umanesimo che oggi non è più una prerogativa monopolistica della cultura

europea, ma una alleanza mondiale e plurale, e quindi, in contatto con le

po-etiche caraibiche e latino-américane, cinesi e indiane, e altre ancora,

per la costruzione in partnership di una educazione transculturale. Il

seminario, per docenti della scuola primaria e secondaria, dovrebbe

costruire 2 moduli di programma incrociati: “Dalle elementari ai Licei e

viceversa”: 1) i Bambini elementari propongono agli Adolescenti grandi la

strada della conoscenza cosmologica: DAC&PAC&Gilania per la didattica

nelle scuole superiori; 2) proposta scambiata e interconnessa con un tema

adulto da proporre alle classi primarie, sul “portato terrestre di

ingiustizia+male+guerra nel mondo”, dai grandi adolescenti delle superiori

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ai bambini seri nella loro differenza da noi adulti, a volte e diversamente

seri. (Si sa che i bambini hanno facilmente pensieri intermittenti, a volte

geniali, mentre noi ne abbiamo bizzarramente pochissimi, se pure ne

abbiamo. La nostra serietà è ottenuta da questo appiattimento sul denaro e

il successo, quella dei bambini sembra venire dalla saggezza

dell’imprevedibile).

In ultimo, vi informo di un recentissimo spunto culturale e politico su

cui potremmo pensare e agire anche noi: il governo Hollande in Francia ha

avviato il progetto di una nuova “materia” da insegnare nella scuola

secondaria: “la “morale laica”, fondata su idee di umanità e di ragione”; il

punto cruciale però, è: con quale metodo? I francesi cominciano a

discuterlo, visto che non si può insegnare “morale” come se fosse

matematica o grammatica. La mia idea è che possiamo prendere questa

ipotesi culturale riformatrice dell’educazione, anche per il futuro

dell’Europa, dalla politica francese immaginando di costruire, fatta una

preliminare esplorazione e condivisione dei valori, della storia e della

creatività critica di base per costruire un “curricolo morale”, portandolo in

aula con una strategia non dottrinaria e universalistica – la cultura gallica

soffre ancora di cartesianesimo e di universalismo illuminato, così come

noialtri italiani soffriamo di non sapere pensare la laicità come valore

primario – in un modo transculturale. Premessa: i valori morali nella

Costituzione italiana e la morale del secolo XXI; 1) comparazione delle

laicità mondiali – Confucio, Lao Tze, Buddha, Dalai Lama attuale, con i 3

Monoteismi, più agnosticismo, nuovo-umanesimo, filosofia occidentale

ecc.; 2) un progetto transdisciplinare: letteratura, storia, geografia-

ecologia, diritto, filosofia, fisica cosmologica; 3) soprattutto attraverso le

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opere d’arte che saranno i testi-base esemplari e originari, il metodo e la

via per leggere insieme i modi di presentarsi e di venire rappresentati dei

valori morali e politici tra gli umani, non attraverso i testi legislativi,

ideologici e edificanti, ma attraverso le opere d’arte del mondo:

Letteratura, Teatro, Cinema, Arti visive e Musica – dai personaggi e le

azioni di Esiodo&Omero&Eschilo a quelli di Stendhal e Dostoevskij, da

Shakespeare, Montaigne e Cervantes a Bach e Stravinskij, da Fellini e

Tarkovski a un film come Monsieur Lazhar ecc. Una educazione

laica&po-etica, dove po-etica significa creatività critica della finezza, per

sia per l’artista che per il cittadino, insieme. Il progetto francese non

riguarda la scuola primaria. Noi, invece, la cerchiamo e la rivalorizziamo,

proponendo che dentro di essa si debba e si possa cominciare ad operare

attraverso l’immaginario, dei miti e delle arti verso una poiesis mondiale e

laica, con personaggi come Pinocchio e il Piccolo Principe, o il Venerdì di

Robinson riscritto da Michel Tournier. Vi ringrazio per il vostro ascolto

generoso. Teniamoci in contatto.