Oltre il burn out: il mestiere di medico oggi visto da dentro · 1 Viene per gli esami sballati: le...

5
OCCHIO CLINICO n. 4 / Aprile 2007 20 Una conversazione tra colleghi su significato e giustificazione del proprio operato ambulatoriale. Da tempo vado chiedendomi cosa stia succedendo nei nostri ambulatori, ossia quali modifiche si siano verificate nel corso degli anni nella pratica quotidiana della me- dicina generale e, in rapporto a esse, nei no- stri comportamenti. Mi chiedo anche quanto il trascorrere del tempo stia cambiando il nostro modo di agi- re, ma soprattutto di tollerare il lavoro. Do- po il congresso WONCA (agosto 2006) i miei ritmi di lavoro sono diventati sempre più assillanti, insostenibili, folli: investito da un flusso violento che non riesco non solo a fermare, ma nemmeno a governare, mi di- batto nel disordine di una pratica clinica che tenta di difendersi da una maggioranza di pazienti che sempre più spesso esige il su- perfluo, mentre persone veramente malate non riescono a districarsi nei meandri della spudorata e spesso inutile offerta del merca- to sanitario. Non mi sembra ci si possa limi- tare ad attribuire la responsabilità del mag- gior carico di lavoro e l’ingravescente fru- strazione alla rigidità della pratica clinica im- posta da note AIFA, all’EBM e alle risorse limitate. E’ normale avere in ambulatorio ogni giorno almeno tre persone per via del RELAZIONE Tavola rotonda Oltre il burn out: il mestiere di medico oggi visto da dentro LA STORIA Repertorio delle visite di un giorno 1 Viene per gli esami sballati: le ingiungo di smettere di bere, ma finge di non capire. Quando esce apro la finestra per dissipare il tanfo di alcool. 2 Viene per l’eczema e l’insonnia, dice di sfidare il governo Prodi non pagando tas- se; replico che pagarle fa passare l’inson- nia perché mette l’anima in pace. 3 Viene per l’insonnia, mischia da anni a piacere antidepressivi e ansiolitici: gli scrivo un promemoria col PC. Inoltre vuo- le ripetere la vaccinazione, dato che l’in- fluenza è in ritardo. 4 Viene per farmi vedere una dermatite da farmaci che però è guarita, vorrebbe smettere 3 dei 4 farmaci prescritti dal car- diologo per l’angina, ma non cedo per non rischiare un’accusa di omicidio colposo. 5 Viene per un piccolo ematoma visto sul glande dopo un rapporto e vuole sa- pere se è fisiologico. 6 Viene per una sospetta malformazio- ne vascolare cerebrale; intanto parla al cellulare con il suo datore di lavoro, che lo crede impegnato a dipingere muri. 7 Viene per una delle 30 visite annuali per una PA fissa da 5 anni su 130/80 e mi de- scrive per l’ennesima volta la tosse della moglie, che giusto ieri era qui a lamentarsi di questo bestione insensibile. 8 Viene perché il chirurgo vascolare non ha preso in considerazione le sue ve- ne varicose di 82enne e cerca un secon- do parere di uno che lo operi. 9 Viene per un mare di ricette: sverna in Liguria e là le dovrebbe pagare. 10 Viene per controllare ipertensione, osteoporosi, fibrillazione atriale, ipoka- liemia e altro ancora. 11 Viene per l’anemia sideropenica, ma anche per giustificare il colesterolo alto del marito che mangia sempre fuori. 12 Viene per un eczema: intanto parla male del governo Prodi, dei rumeni, degli svedesi, dei cinesi, dell’ospedale Sacco gestito da comunisti, delle tasse da pa- gare: gli dico che lo stress da evasione fi- scale peggiora lo stato del derma, ma si giustifica asserendo che, suvvia, alla fine siamo tutti italiani. 13 Viene per una bella bronchite. 14 Viene per una brutta bronchite. 15 Viene per una RM dell’ipofisi urgente, ma non ha i soldi per il ticket; però ha tro- vato i soldi per farsi una abbronzatura «nutella» in uno di quei posti che spando- no luce violetta sul marciapiede. 16 Viene per il marito che sta male, ma deve andare al lavoro perché è egiziano: se no il capo lo sbatte sulla strada. 17 Viene per una cisti sebacea (piccolis- sima) sul collo. 18 Viene per il raffreddore. 19 Viene per sapere cosa rischia ad an- dare con una appena conosciuta. 20 Viene per la faringite che ha dato l’o- tite che potrebbe dare la bronchite: in- somma, vuole altri tre giorni di malattia. 21 Viene a portarmi le analisi che gli ho prescritto perché «non mangia» e dorme male. La comunicazione è interrotta da una quantità tale di telefonate che mi chiede «ma è sempre così?». Non le pos- so rispondere perché squilla nuovamen- te il telefono e mi fa ciao, andandosene. Francesco Benincasa

Transcript of Oltre il burn out: il mestiere di medico oggi visto da dentro · 1 Viene per gli esami sballati: le...

OCCHIO CLINICOn. 4 / Aprile 200720

Una conversazione tra colleghisu significato e giustificazionedel proprio operato ambulatoriale.

Da tempo vadochiedendomi cosa

stia succedendo nei nostri ambulatori, ossiaquali modifiche si siano verificate nel corsodegli anni nella pratica quotidiana della me-dicina generale e, in rapporto a esse, nei no-stri comportamenti.Mi chiedo anche quanto il trascorrere deltempo stia cambiando il nostro modo di agi-re, ma soprattutto di tollerare il lavoro. Do-po il congresso WONCA (agosto 2006) imiei ritmi di lavoro sono diventati sempre

più assillanti, insostenibili, folli: investito daun flusso violento che non riesco non solo afermare, ma nemmeno a governare, mi di-batto nel disordine di una pratica clinica chetenta di difendersi da una maggioranza dipazienti che sempre più spesso esige il su-perfluo, mentre persone veramente malatenon riescono a districarsi nei meandri dellaspudorata e spesso inutile offerta del merca-to sanitario. Non mi sembra ci si possa limi-tare ad attribuire la responsabilità del mag-gior carico di lavoro e l’ingravescente fru-strazione alla rigidità della pratica clinica im-posta da note AIFA, all’EBM e alle risorselimitate. E’ normale avere in ambulatorioogni giorno almeno tre persone per via del

n RELAZIONE

Tavola rotonda

Oltre il burn out: il mestiere di medico oggivisto da dentro

LA STORIA

Repertorio delle visite di un giorno

1 Viene per gli esami sballati: le ingiungodi smettere di bere, ma finge di non capire.Quando esce apro la finestra per dissipareil tanfo di alcool. 2 Viene per l’eczema e l’insonnia, dice disfidare il governo Prodi non pagando tas-se; replico che pagarle fa passare l’inson-nia perché mette l’anima in pace. 3 Viene per l’insonnia, mischia da annia piacere antidepressivi e ansiolitici: gliscrivo un promemoria col PC. Inoltre vuo-le ripetere la vaccinazione, dato che l’in-fluenza è in ritardo. 4 Viene per farmi vedere una dermatiteda farmaci che però è guarita, vorrebbesmettere 3 dei 4 farmaci prescritti dal car-diologo per l’angina, ma non cedo per nonrischiare un’accusa di omicidio colposo. 5 Viene per un piccolo ematoma vistosul glande dopo un rapporto e vuole sa-pere se è fisiologico. 6 Viene per una sospetta malformazio-ne vascolare cerebrale; intanto parla alcellulare con il suo datore di lavoro, chelo crede impegnato a dipingere muri.

7 Viene per una delle 30 visite annuali peruna PA fissa da 5 anni su 130/80 e mi de-scrive per l’ennesima volta la tosse dellamoglie, che giusto ieri era qui a lamentarsidi questo bestione insensibile. 8 Viene perché il chirurgo vascolarenon ha preso in considerazione le sue ve-ne varicose di 82enne e cerca un secon-do parere di uno che lo operi. 9 Viene per un mare di ricette: sverna inLiguria e là le dovrebbe pagare. 10 Viene per controllare ipertensione,osteoporosi, fibrillazione atriale, ipoka-liemia e altro ancora. 11 Viene per l’anemia sideropenica, maanche per giustificare il colesterolo altodel marito che mangia sempre fuori.12 Viene per un eczema: intanto parlamale del governo Prodi, dei rumeni, deglisvedesi, dei cinesi, dell’ospedale Saccogestito da comunisti, delle tasse da pa-gare: gli dico che lo stress da evasione fi-scale peggiora lo stato del derma, ma sigiustifica asserendo che, suvvia, alla finesiamo tutti italiani.

13 Viene per una bella bronchite. 14 Viene per una brutta bronchite.15 Viene per una RM dell’ipofisi urgente,ma non ha i soldi per il ticket; però ha tro-vato i soldi per farsi una abbronzatura«nutella» in uno di quei posti che spando-no luce violetta sul marciapiede. 16 Viene per il marito che sta male, madeve andare al lavoro perché è egiziano:se no il capo lo sbatte sulla strada. 17 Viene per una cisti sebacea (piccolis-sima) sul collo. 18 Viene per il raffreddore. 19 Viene per sapere cosa rischia ad an-dare con una appena conosciuta. 20 Viene per la faringite che ha dato l’o-tite che potrebbe dare la bronchite: in-somma, vuole altri tre giorni di malattia.21 Viene a portarmi le analisi che gli hoprescritto perché «non mangia» e dormemale. La comunicazione è interrotta dauna quantità tale di telefonate che michiede «ma è sempre così?». Non le pos-so rispondere perché squilla nuovamen-te il telefono e mi fa ciao, andandosene.

Francesco Benincasa

OCCHIO CLINICO n. 4 / Aprile 2007 21

raffreddore;trascorrono due ore in sala d’at-tesa per avere cinque minuti in cui lamentar-si del naso che cola o della tosse stizzosa.Pa-ranoici? Depressi? Possiamo liquidare que-ste persone ricorrendo al DSM IV? Ho of-ferto fazzoletti di carta ai miei pazienti raf-freddati, li ho maltrattati, li ho blanditi, li hovisitati.Una volta ho fatto una diagnosi rarain un giovane paziente visitato per un raf-freddore, ma questo non è unbuon motivo per auscultaretutti i raffreddati. Io non so piùcosa pensare: evidentementecontinuerò ad accogliere i bi-sogni inespressi dei miei pa-zienti raffreddati,aprirò la por-ta ai loro virus e alle loro secrezioni nasali ac-quose sperando, in questo modo, di ripararele loro ferite infantili.Come il coniglio Bise-stile che festeggia i suoi non-compleanni,sia-mo sempre più spesso costretti a formularepiù non-diagnosi che diagnosi, elencandonella testa i sintomi che mancano per doveremettere la sentenza temuta dal paziente.Spero,con una sorta di rassegnazione,che laprofonda conoscenza dei miei pazienti bastia dirmi chi va mandato subito dallo speciali-sta e chi invece accetta di aspettare.Al di là (ma non in alternativa) della ricercadi un nuovo assetto politico istituzionale perla medicina generale, penso sia necessariomantenere una visione dedicata al piccolo,alla storia quotidiana, a ciò che accade negliambulatori. Forse i fenomeni possono esse-re spiegati con l’analisi dei grandi fatti e deigrandi numeri, ma con il contributo dell’e-sperienza (o anche solo della sensazione) in-dividuale: in fondo tornare dal mercato conun portafogli e un sacchetto della spesa piùleggeri di qualche anno fa dà le stesse infor-mazioni di uno studio economico.Il mio ruolo di diagnosta e terapeuta liberodalle pressioni degli specialisti e dei massmedia mi sembra così privo di efficacia per-ché lo è effettivamente o perché io sonostanco? Esistono dati che confermano la miaimpressione che le persone vogliano moltiesami e molti farmaci? Certo molto cambie-rebbe se l’organizzazione degli ambulatorifosse diversa,tuttavia temo che il terrore del-la malattia e la ricerca dell’immortalità sianotalmente entrati nella testa della gente danon poterli eradicare in alcun modo.

La medicina difamiglia non si è

mai secolarizzata,perché radica i suoi valorinei bisogni ancestrali dell’uomo, rimastisempre uguali fin dalla notte dei tempi.Può darsi,però,che ora sia necessario accet-tare un deterrente economico all’accesso almedico di famiglia: rientrerebbe nella tradi-zione millenaria della professione e, d’al-

tronde, qualcuno ha sostenutoche la transazione col denarofaccia parte della cura.Chi va dalmedico per un raffreddore deveremunerare la prestazione. Daparte loro, i medici di medicinagenerale devono capire che non

possono continuare a esercitare in manieraartigianale: devono associarsi e dotarsi ditutti quegli aiuti informatici e infermieristiciche consentono loro di svincolarsi da lavoriripetitivi e automatici,aumentando il tempoda dedicare a lavori di più alto livello diastrazione.Ormai va considerato chiuso perfallimento qualsiasi organizzazione diversadegli studi medici, con unanime delibera ditutte le società scientifiche e di tutti i sinda-cati (vedi anche l’articolo a pagina 28).

Dalla storia ambula-toriale narrata dal

collega sembra che egli abbia posto si e no 4o 5 diagnosi,peraltro ovvie,su 19 visite.Cosasignifica? Forse che ai pazienti interessa chediamo, più che un’etichetta, un senso a ciòche loro capita,così da uscire dalla visita conqualche piccolo dubbio in meno di quandosono entrati. Non è il caso di buttarsi tantogiù:facciamo un lavoro enorme per le perso-ne anche in senso strettamente clinico: io stolavorando 30-35 ore la settimana in studio(ho aggiunto due pomeriggi per appunta-mento) e mi sono comprato un nuovo elet-trocardiografo e uno spirometro con cui è fa-cile lavorare (il precedente non mi andava).La maggior parte del mio lavoro è esatta-mente come quello di Francesco, ma credoche la domanda si calibri sulle risposte che ipazienti si abituano ad avere e che debbonoessere credibili; per questo dobbiamo cre-derci prima di tutto noi.Aiuta molto il con-fronto nelle riunioni con i colleghi, che resti-tuiscono serenità al lavoro anche quando laquantità è ai limiti del sopportabile.

sss

Massimiliano Vassura

Massimo Tombesi

tento di difendermi da una maggioranza

di pazienti che esige il superfluo

General Practitioners in the mirrorOcchio Clinico 2007; 4: 20

Key wordsGeneral medicine; surgery visits

Summary Confusion, increasinglylong opening hours, capri-cious patients. Theseseem to be permanent fix-tures in surgery life, as de-scribed by GPs themsel-ves. Many of them com-plain they are overwhel-med by patients who makemore and more demands,want to undergo pointlessclinical tests and take lotsof medicine. GPs findthemselves forced to makemore non-diagnoses thandiagnoses, and also haveto carry out repetitive, au-tomatic tasks for much ofthe time.In online forums andother virtual meeting pla-ces, some doctors evensuggest imposing char-ges to discourage visits tothe GP, and limiting thehours spent on visits tothe surgery. Meanwhile,other suggest that theircolleagues should forman associative practiceand acquire all helpingresources they can to al-low an increase of the ti-me to spend on that per-centage of patients who ireally sick.

OCCHIO CLINICOn. 4 / Aprile 200722

Prima telefonata del mat-tino: l’amica novantenne

di un ottantenne prende il nootropil; puòprenderlo anche lui per tirarsi un po’ su?Seconda telefonata: una trentenne con maldi gola e febbre (37° C) da ieri.Ha già inizia-to a prendere la ciprofloxacina che aveva incasa; se ho tempo posso passare a vederla?Un paio di esempi per confermare che si ètutti sulla stessa barca, persi-no la stessa degli specialisti,che sempre più spesso fannoconsulenze nelle quali nonsanno che pesci pigliare.Data la netta riduzione di en-tusiasmo per il mestiere, chi fa il tutor cosapuò trasmettere agli studenti?Poiché tutto questo nuovo clima ha a che fa-re con il concetto di salute e di malattia del-le persone, è sempre più necessario dare aifuturi medici una formazione antropologica.

Confesso che trovo interes-sante la soluzione «econo-

mica». La sempre maggiore disponibilitàgratuita e la dilatazione degli orari di aper-tura degli ambulatori sicuramente elicite-ranno sempre maggiori bisogni.Quando va-do in ambulatorio di nascosto, per compila-re un po’ di cartelle, dietro la porta chiusasento la sala d’aspetto stracolma (nell’altrostudio c’è il collega con cui mi alterno da or-mai 15 anni). Mi piace pensare che io sono lìe «loro» non lo sanno: sento il chiacchieric-cio di fondo, i colpi di tosse, i passi veloci, laporta che si apre e si chiude ogni 7 minuti.Questo piacere del sottrarsi al paziente mifa pensare che abbiamo avuto troppe aspet-tative.Anche sul decantato rapporto di fiducia:orascopriamo che spesso esso si riduce nel veni-re da noi a farsi decifrare la lettera dello spe-cialista scritta in «aramaico».Per poter continuare a fare questo lavoroper i prossimi 15 anni mi ripropongo di:• praticare un hobby o uno sport di faticache faccia tanto,ma tanto,sudare;• leggere libri interessanti e anche qualcunodi barzellette;• prendermi ogni tanto una giornata di pau-sa,per guardare il mondo girare senza di me;• curare la mia persona con bagni termali earomaterapia.

In tutte le mailinglist di medici di

famiglia si dichiara apertamente un malesse-re profondo che dalla sfera professionale siespande a quella esistenziale.Occorrono nervi saldi, autodisciplina, ca-pacità di costruire autonomamente un sen-so per non essere schiacciati dal peso diquesta professione. Non bisogna esagerare

nel preoccuparsi delle esigen-ze del paziente, specie quandosono equiparabili ai capriccidi un bimbo, perché si corre ilrischio proprio della medicinamaternalistica (se il mio cuc-

ciolo/paziente fa qualcosa di sbagliato lodevo giustificare sempre e comunque) chenon è detto sia meno dannosa di quella pa-ternalistica (so io quello che è giusto permio figlio/paziente).

Bisogna guardarsi dallaproposta di soluzioni che

mirino a separare le varie componenti delnostro lavoro: si ridurrebbe la confusione,ma si renderebbe la pratica più simile a quel-la frammentata degli specialisti piuttosto chea quella olistica/solistica del medico di fami-glia. E’ intrinseco al nostro lavoro un gradodi disordine: puntare su una migliore orga-nizzazione potrebbe snaturare una delle sueprincipali caratteristiche, che è il passaggiorapido da un argomento all’altro.A pensarci bene, forse è solo il tempo chemanca.Vorremmo poterne dedicare di più aogni paziente, oppure vorremmo utilizzarein maniera più tecnica quegli stessi dieci mi-nuti? Sapremmo cosa dire a tutti se avessimosufficiente calma?Più che una questione di tempo forse,si trat-ta di una questione di luogo o meglio di con-testo: inizialmente questo concetto venivaguardato con forte sospetto,perché conside-rato una possibile scusa per giustificare igno-ranze crasse (certamente esistenti) o,peggio,comportamenti criminosi (un po’ più rari) o,nei casi migliori,un interesse eccessivo per ilprefisso «psico».Con il passare degli anni, il concetto di con-testo si è dimostrato di pertinenza non solodi sociologia, psicologia, antropologia, eco-nomia, arti letterarie e figurative, ma persi-no della neurologia; questo perché il conte-

n RELAZIONE

Marina Bosisio

Agnese MoroSergio Bernabè

Massimiliano Vassura

non bisogna esagerare nel preoccuparsi delleesigenze del paziente

OCCHIO CLINICO n. 4 / Aprile 2007 23

sto, per avere un ruolo, ha bisogno di un or-ganismo biologico che percepisca la realtà.Il contesto, cioè, è un meccanismo interpre-tativo della realtà utilizzato dal cervello percostruirvi un senso.E’ una cornice cognitivache include le circostanze e le condizioni checircondano il quadro delle realtà vissute, fa-cendo sì che gli esseri umani, e dunque an-che i medici di medicina generale, che agi-scono nell’incertezza e nel disordine, dianoun senso alle loro quotidiane percezioni,azioni, interpretazioni e decisioni.Allora,of-frire risposte mediche in modo organizzatonon dipende dalla tecnicizzazione del tempoo da un suo incremento, ma, innanzi tutto,dall’identificazione dei setting cognitivi piùutili al medico per dare risposte di qualità aiquesiti dei pazienti. In concreto: i problemibiologici che vengono affrontati in medicinagenerale possono essere suddivisi in acuti ecronici (cui si aggiungono quelli burocratici)e vanno interpretati inserendoli in cornicicognitive (contesti) diverse.Anche i pazienti sembrano gradire l’ipotesiorganizzativa di un ambulatorio dedicato al-le patologie croniche (o al rischio cardiova-scolare) che consentirebbe un automatismodelle prenotazioni, del ritorno dei referti,l’attivazione di una funzione di segreteria diricordo delle scadenze eccetera).In questo modo,i malesseri acuti verrebberoproposti come sempre: la gente entra e lisnocciola chiedendo l’in-tervento della no-

stra abilità investigativa, che potrebbe risul-tare potenziata dallo sgravio dai controllisulla patologia cronica.

Molti anni or sono so-stenni che la medicina

generale, a differenza delle altre branchespecialistiche, non si può insegnare, ma sol-tanto apprendere.Oggi, ripensando alla miaesperienza professionale,mi sento di procla-mare che non solo non si insegna,ma neppu-re si impara: la medicina generale si vive.Un’attività che assorbe dalle 8 alle 10 ore algiorno (il 50-75 per cento del tempo di ve-glia) non è solo un mestiere, ma un modo diessere nel mondo e di relazionarsi con esso.Viviamo come medici così come viviamo co-me persone, secondo le caratteristiche delnostro contesto neurobiologico (che è sem-pre mutabile), sull’onda dei sentimenti. Ilcaos è la dimensione abituale della vita eperciò della professione;categorizzando,noiastraiamo un ordine dal caos e creiamo ilsenso delle cose. Ma la mutevolezza caoticadella vita (e della professione) e l’instabilitàevolutiva del contesto neurobiologico co-stringono a un continuo rifacimento del sen-so,cosicché lo stupore e lo spaesamento nonhanno mai fine. sss

Beppe Montagna

OCCHIO CLINICOn. 4 / Aprile 200724

Una sera alle 19 e30 ero eccezional-

mente per strada invece che in studio; pas-sando davanti all’ambulatorio psichiatricodella mia zona l’ho visto buio, sprangato. Inun lampo ho pensato che i colleghi erano acasa o a fare la spesa o a spasso per il centro.Ma non provavo invidia, anzi: ciò che millealtre volte mi ero augurato fosse la mia vita,mi appariva d’improvviso una piccineria daimpiegatuccio dostojevskiano, mentre mipiaceva «l’eroismo» della medicina di fami-glia che sfida infarti e depressioni incurantedell’orario. La dimensione gloriosa, messia-nica e salvifica sembra costituire nel contem-po la nostra motivazione e la nostra danna-zione.Dobbiamo augurarci che infantile stu-pore e spaesamento ci accompagnino persempre, ma è indispensabile non rimettercil’orientamento o, all’opposto, cadere nellaindifferenza.Non si tratta di elaborare una sorta di irra-zionale elogio del caos; in realtà,non ci sonotutti questi pericoli di frammentazione delpaziente, dato che siamo proprio noi e il no-stro modo di accoglierlo il suo elemento dicoerenza.Occorre,però,anche mettere un li-mite alle pretese dei pazienti e dare un ordi-ne formale alle necessità che esprimono:ral-lentare, delimitare, comporre non significaaffatto impedire. Una più articolata pianifi-cazione organizzativa si contrapporrebbe aun’illimitata e passiva accettazione di qua-lunque genere e quantità di im-prorogabili bisogni. Una mi-gliore strutturazione limitereb-be l’avidità di cui spesso ci sen-tiamo vittime, la renderebbemeno tirannica, diventerebbeun modo per difendere la nostra salute e peraffinare la disposizione percettiva sia del cu-rante sia del paziente.Andrebbe certo sempre riservato uno spazioall’eccezione: va bene organizzare ambula-tori dedicati alla cronicità,ma vi immaginatementre interrompete un paziente singhioz-zante nel corso di una visita per il piede dia-betico,perché quello non è il posto né il mo-mento giusto per piangere? Mettere ordine può limitare le richieste, manon può limitare l’espressione delle emozio-ni,né rimandarla all’ambulatorio ad accessolibero.

Che la medicina ge-nerale si viva è in-

dubbio. Non è tanto facile separare la prati-ca professionale che assorbe e prosciugaenergie, tempo, risorse e impegno, dal restodella vita.Persino l’adesione a una società scientifica(nel mio caso allo CSeRMeG) può cambia-re le priorità della vita.Che la si viva non vuole dire,però,che non lasi possa apprendere (tutto nella vita si ap-prende,deriva dalla nostra storia e vi appro-da) e,secondo me,neppure che non la si pos-sa insegnare: comunicare la propria espe-rienza,tentare di analizzarla e sistematizzar-la in una cornice di comprensibilità, sia purea volte dubitativa, significa implicitamenteinsegnarla,anche tra pari.Si insegna la medicina generale anche ai pa-zienti, oltre che agli studenti o ai tirocinantiin formazione.Una professione legata alla pratica, quindiintrinsecamente non accademica, si può in-segnare solo con gli strumenti della pratica,che è per sua natura sempre singolare, dallariflessione sulle esperienze, alla narrazionedelle storie cliniche; rimane da capire quan-te e quali generalizzazioni siano lecite e pos-sibili,almeno in campo clinico.Quando è finito il lungo pomeriggio (e sera-ta) ambulatoriale, in sala d’attesa si alza unalieve nebbiolina sopra il pavimento.Lo so che la vedo solo io: è come nei campi

di battaglia alla fine, quando ri-mangono soli i morti e le lancespezzate. Le giornate peggioridella media arrivano quando èalto il numero di pazienti diffi-cili; spesso (anche se non sem-

pre) sono quelli di più basso livello cultu-rale, che purtroppo finiscono anche per es-sere curati peggio dal medico di medicinagenerale, per la difficoltà, a volte insor-montabile, di condividere percorsi diagno-stici e terapeutici razionali a fronte deiproblemi presentati (vedi anche gli articolia pagina 16-19).E’ sempre un momento unico della giornata,lo studio senza più nessuno.Spengo la fotocopiatrice, il computer dellasegreteria.Abbandono per ultimo il posto dilavoro, come l’ammiraglio della nave chenaufraga. n

n RELAZIONE

Francesco Benincasa Massimo TombesiHanno partecipato al forum:

Franceso BenincasaMedicina generaleTorino

Sergio BernabèMedicina generaleTorino

Marina BosisioMedicina generaleMonza

Beppe MontagnaMedicina generaleParma

Agnese MoroMedicina generalePavia

Massimo TombesiMedicina generaleMacerata

Massimiliano VassuraMedicina generaleLodi (Mi)

dobbiamo augurarcidi non perdere

l’infantile stupore