OK ARTE Gennaio 2009

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Itinerari a Milano Gam, ex Villa Belgioioso a pagina 5, Palazzo Isimbardi a pagina 7, San Maurizio a pagina 8, Il Canale della Muzza e Milano e le sue Piazze a pagina 3 Per informazioni e pubblicità: 02 92889584 - 347 4300482 [email protected] www.okarte.org Moda e Fotografia Milano e la Moda a pagina 9, Nicola Brindicci a pagina 13, Schick e l’arte di denuncia a pagina 10, Museo di Fotografia di Cinisello a pagina 11 Mostre in città Acqua, linfa trasparente a pagina 4, Magritte a pagina 19, Il Corriere dei Piccoli a pagina 18, Urban Passengers a pagina 12, Icone pubblicitarie a pagina 22 ok Arte MAGAZINE GRATUITO DI ARTE E CULTURA M I L A N O Feb - Marzo 2009 Anno VIII - N.1 wilbur Caravaggio a pagina 23 D opo aver potuto vede- re a Palazzo Marino, fino a dicembre del 2008, la bellissima Conversione di Saulo della collezione romana Odescalchi, an- cora con Caravaggio si aprono le manifestazio- ni per il bicentenario del- la Pinacoteca di Brera. In questa occasione la Alla Pinacoteca di Brera Pinacoteca ospita, accanto alla Cena in Emmaus cu- stodita a Brera, la preceden- te versione di questo tema che il Merisi aveva dipinto per Ciriaco Mattei nel 1602, e che dal 1839, si trova alla National Gallery di Londra. A queste opere si aggiungo- no due importanti tele gio- vanili: il bellissimo Ragazzo con canestra di frutta della Galleria Borghese di Roma e il sublime Concerto del Metropolitan Museum di New York, entrambe ap- partenute in origine al- la collezione del cardinal Del Monte, primo protet- tore del Merisi al suo ar- rivo a Roma nel 1592. Pochi sceltissimi capola- vori dunque, per una “mo- stra dossier” aperta al pubblico fino al 29 mar- zo 2009. Segue a pag. 16 Sant’Eustorgio I mboccando Corso di Porta Ticinese si incon- tra quasi subito, sulla de- stra, Piazza Sant’Eustorgio con la sua chiesa, risa- lente al IV secolo, satu- ra di storia e di leggende. La posa della prima pietra poggia sul ritrovamento, da parte della regina Elena, madre di Costantino, ca- po dell’Impero Romano D’Oriente, delle spoglie dei Re Magi. Segue a pag. 2 Milena Moriconi Villa Porta Bozzolo I mmerso nel tranquillo paesaggio della Valcuvia, una valle prealpina nell’en- troterra lombardo del lago Maggiore, quest’elegante complesso si è andato am- pliando nei secoli attorno all’originario nucleo cin- quecentesco: una Domus Magna. Segue a pag. 8 Luca Pietro Nicoletti Rassegna d’Arte Contemporanea Continuano le mostre nell’ambito della rassegna: “FormArt” organizzate dalla rivista “Ok Arte” presso la Galleria Zamenhof in zona Navigli. Dal 25 Febbraio al 15 Marzo 2009. Espongono: Stefano Cerioni, Caroline Culubret, Endza, Alessandro Monti, Dino Maccini, Marco Nones, Stefania Presta, Sergio Santilli, Ferruccio Segantin, Beatrice T. Garzòn. Inaugurazione mercoledì 25 febbraio 2009 ore 18.30 Per partecipare alla selezione delle successive mostre in programma dal 08 Aprile al 26 Aprile 2009 e dal 20 Maggio al 07 Giugno 2009 e richiedere ulteriori informazioni sulle prossime mostre, è necessario in- viare curriculum con recapito telefonico e fotografie di almeno 5 opere via email a: [email protected] o [email protected] tel. 347-4300482 entro il 20 marzo. A pagina 14: Prospettive post moderne, in mostra opere di Boscolo, Carrera, Corsetti, Giacobino, Patarini e altri A pagina 15: Un giardino di fiori di cemento, Virgilio Patarini all’Atelier Chagall con trenta opere inedite A pagina 15: Uno scoglio bretone lungo i Navigli di Milano, Mostra antalogica di Giovanni Grassi A pagina 13: Le aggressioni mentali di Roberto Borotto e Francesco Palmisano, un premeditato espressionismo astratto La Rete Museale dell’Ottocento Lombardo P resentata ufficialmente allo Spazio Oberdan il 3 dicembre 2008, la Rete Museale dell’Ottocento Lombardo, con il sostegno della Regione Lombardia– Culture, Identità e Autonomie, nasce grazie ad un progetto sviluppato nel 2004 dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano. La Rete collabora con quindici istitu- zioni lombarde: a Milano, l’Accademia di Belle Arti di Brera, il Civico Archivio Fotografico, la Galleria d’Ar- te Moderna (Museo Capofila), la Pinacoteca di Brera, la Provincia di Milano con Palazzo Isimbardi, le Raccolte Storiche; nel terri- torio, l’Accademia di Belle Arti Tadini, Lovere; il Castello di Masnago, il Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Varese; l’Istituzione Villa Monastero, Varenna; i Musei Civici, Monza; i Musei Civici, Pavia; il Museo Civico Guido Sutermeister, Legnano; il Museo Diotti, Casal- maggiore; Villa Carlotta, Tremezzo; Villa Vigoni, Centro Italo-Tedesco, Menaggio, con il coordina- mento della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesag-gistici della Lombardia. Di questi musei OkArte scriverà nei prossimi numeri. segue a pag. 5 Sara Abdelall Immagine di ©_Michele_RussoFAI Venre - particolare

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OK ARTE Gennaio 2009

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Page 1: OK ARTE Gennaio 2009

Itinerari a MilanoGam, ex Villa Belgioioso a pagina 5, Palazzo Isimbardi a

pagina 7, San Maurizio a pagina 8, Il Canale della Muzza e Milano e le sue Piazze a pagina 3

Per informazioni e pubblicità: 02 92889584 - 347 4300482 [email protected] www.okarte.org

Moda e FotografiaMilano e la Moda a pagina 9, Nicola Brindicci a pagina 13,

Schick e l’arte di denuncia a pagina 10, Museo di Fotografia di Cinisello a pagina 11

Mostre in cittàAcqua, linfa trasparente a pagina 4, Magritte a pagina 19,

Il Corriere dei Piccoli a pagina 18, Urban Passengers a pagina 12, Icone pubblicitarie a pagina 22

ok ArteM A G A Z I N E G R AT U I TO D I A RT E E C U LT U R A

M I L A N O

Feb - Marzo 2009 Anno VIII - N.1

wilbur

Caravaggio

a pagina 23

Dopo aver potuto vede-re a Palazzo Marino,

fino a dicembre del 2008, la bellissima Conversione di Saulo della collezione romana Odescalchi, an-cora con Caravaggio si aprono le manifestazio-ni per il bicentenario del-la Pinacoteca di Brera. In questa occasione la

Alla Pinacoteca di BreraPinacoteca ospita, accanto alla Cena in Emmaus cu-stodita a Brera, la preceden-te versione di questo tema che il Merisi aveva dipinto per Ciriaco Mattei nel 1602, e che dal 1839, si trova alla National Gallery di Londra. A queste opere si aggiungo-no due importanti tele gio-vanili: il bellissimo Ragazzo con canestra di frutta della Galleria Borghese di Roma

e il sublime Concerto del Metropolitan Museum di New York, entrambe ap-partenute in origine al-la collezione del cardinal Del Monte, primo protet-tore del Merisi al suo ar-rivo a Roma nel 1592. Pochi sceltissimi capola-vori dunque, per una “mo-stra dossier” aperta al pubblico fino al 29 mar-zo 2009. Segue a pag. 16

Sant’EustorgioImboccando Corso di

Porta Ticinese si incon-tra quasi subito, sulla de-stra, Piazza Sant’Eustorgio con la sua chiesa, risa-lente al IV secolo, satu-ra di storia e di leggende. La posa della prima pietra poggia sul ritrovamento, da parte della regina Elena, madre di Costantino, ca-po dell’Impero Romano D’Oriente, delle spoglie dei Re Magi. Segue a pag. 2

Milena Moriconi

Villa Porta BozzoloImmerso nel tranquillo

paesaggio della Valcuvia, una valle prealpina nell’en-troterra lombardo del lago Maggiore, quest’elegante complesso si è andato am-pliando nei secoli attorno all’originario nucleo cin-quecentesco: una Domus Magna. Segue a pag. 8

Luca Pietro Nicoletti

Rassegna d’Arte Contemporanea

Continuano le mostre nell’ambito della rassegna: “FormArt” organizzate dalla rivista “Ok Arte” presso la Galleria Zamenhof in zona Navigli. Dal 25 Febbraio al 15 Marzo 2009.Espongono: Stefano Cerioni, Caroline Culubret, Endza, Alessandro Monti, Dino Maccini, Marco Nones, Stefania Presta, Sergio Santilli, Ferruccio Segantin, Beatrice T. Garzòn.

Inaugurazione mercoledì 25 febbraio 2009 ore 18.30 Per partecipare alla selezione delle successive mostre in programma dal 08 Aprile al 26 Aprile 2009 e dal 20 Maggio al 07 Giugno 2009 e richiedere ulteriori informazioni sulle prossime mostre, è necessario in-viare curriculum con recapito telefonico e fotografie di almeno 5 opere via email a: [email protected] o [email protected] tel. 347-4300482 entro il 20 marzo.

A pagina 14: Prospettive

post moderne, in mostra opere di Boscolo,

Carrera, Corsetti, Giacobino, Patarini e altri

A pagina 15: Un giardino

di fiori di cemento, Virgilio Patarini all’Atelier Chagall

con trenta opere inedite

A pagina 15: Uno scoglio bretone

lungo i Navigli di Milano, Mostra antalogica di Giovanni Grassi

A pagina 13: Le aggressioni mentali di

Roberto Borotto e

Francesco Palmisano, un premeditato

espressionismo astratto

La Rete Museale dell’Ottocento Lombardo

Presentata ufficialmente allo Spazio Oberdan il 3

dicembre 2008, la Rete Museale dell’Ottocento Lombardo, con il sostegno della Regione Lombardia– Culture, Identità e

Autonomie, nasce grazie ad un progetto sviluppato nel 2004 dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano. La Rete collabora con quindici istitu-zioni lombarde: a Milano, l’Accademia di Belle Arti di Brera, il Civico Archivio Fotografico, la Galleria d’Ar-

te Moderna (Museo Capofila), la Pinacoteca di Brera, la Provincia di Milano con Palazzo Isimbardi, le Raccolte Storiche; nel terri-torio, l’Accademia di Belle Arti Tadini, Lovere; il Castello di Masnago, il Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Varese; l’Istituzione Villa Monastero, Varenna; i Musei Civici, Monza; i Musei Civici, Pavia; il Museo Civico Guido Sutermeister, Legnano; il Museo Diotti, Casal-maggiore; Villa Carlotta, Tremezzo; Villa Vigoni, Centro Italo-Tedesco, Menaggio, con il coordina-mento della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesag-gistici della Lombardia. Di questi musei OkArte scriverà nei prossimi numeri. segue a pag. 5

Sara Abdelall

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2 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Dal 12 dicembre 2008 al 2 febbraio 2009, al

Museo Teatrale alla Scala di Milano si è tenuta una piccola mostra dedicata al rapporto tra Giuseppe Piermarini e il Teatro mi-lanese, la sua architettu-ra piu’ famosa, inaugurata nel 1778. L’iniziativa e’ una preziosa anticipazione del-le celebrazioni per il bi-centenario della morte di Piermarini, iniziate nel 2008, ma destinate a svilup-parsi in maniera piu’ com-piuta nel 2009 a Milano, a Monza e a Foligno. In parti-colare, il prossimo autunno, Milano dedicherà all’archi-tetto una grande antologica a Palazzo Reale nella qua-le si focalizzerà l’attenzio-ne sul ruolo del Piermarini nella trasformazione di Milano in una città mo-derna, provvista di servizi, sensibile ai comportamen-ti e alla cultura anche inter-nazionali, ma soprattutto a quel nuovo gusto che si nutriva d’antico, conside-rato fonte d’ineguagliabi-le semplicità e in grado di

Omaggio a Giuseppe Piermarini confrontarsi con i proble-mi della modernità. Come afferma Massimiliano Finazzer Flory, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, si tratta di

“Una doverosa attenzio-ne a una figura come quel-la del Piermarini, non solo dedicata all’architet-to, ma ad un uomo che sa-peva ascoltare Milano”. L’esposizione, omaggio a Piermarini, promos-sa dal Comune di Milano, Assessorato alla Cultura, dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Bicentenario della Morte di Giuseppe Piermarini (1734-1808), in collaborazione con il Museo Teatrale alla Scala che, in collaborazio-ne con la Civica Raccolta delle Stampe Bertarelli, ha messo a disposizione i 7 do-cumenti -manoscritti, dise-gni, incisioni, bozzetti- che compongono la rassegna. Degni di nota, il ritratto di Piermarini, dipinto da Martin Knoller nella secon-da metà del ‘700, l’eccellente volume del 1789 con alcu-ne incisioni di Giacomo Mercoli tratte dai disegni

originali di Piermarini sul-la Scala, il Bozzetto per il primo sipario del Teatro alla Scala su soggetto di Giuseppe Parini, disegna-to da Donnino Riccardi nel 1778, il Bozzetto per il timpano del teatro con il carro di Apollo, una terracotta di Giuseppe

e con -l’amato discepolo- Piermarini per ristruttura-re il palazzo di corte (oggi Palazzo Reale) quale resi-denza del futuro governa-tore, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, e della sua fa-miglia. Venuta meno l’ap-provazione al progetto vanvitelliano, l’incarico

ticolare a Milano: inca-richi per la corte e per i privati, interventi relativi alle riforme dello Stato vo-lute dall’imperatrice Maria Teresa e dal figlio Giuseppe II, controllo dell’attivi-tà edilizia, insegnamento nella nuova Accademia di Brera. Nel 1798 Piermarini rientra a Foligno dove muo-re nel 1808. Il Teatro alla Scala di Milano (qui a fian-co, un’immagine dell’ester-no) è tra i più famosi teatri del mondo. Prende il no-me dalla piazza dove è si-to: Piazza della Scala per l’appunto, che a sua volta prendeva in prestito il no-me dalla Chiesa di Santa Maria della Scala, eretta nel 1381 e demolita nel 1778 proprio per fare spazio al teatro. Fondato per volon-tà dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, progetta-to dall’architetto Giuseppe Piermarini, fu inaugurato il 3 agosto 1778. Per quasi 250 anni, il maestoso spa-zio si è imposto come punto privilegiato di riferimento per opere liriche, balletti e concerti di musica classica. Distrutto dalla fiamme

nel 1775 il teatro allesti-to in un’ala dell’odierno Palazzo Reale, la socie-tà dei palchettisti e la cor-te di Vienna si accordarono per farlo altrove, più gran-de e in muratura, demo-lendo la trecentesca chiesa di Santa Maria della Scala. Nel 1776-78 Piermarini re-alizzò una canonica sala a ferro di cavallo con sei or-dini di gallerie per palchi e loggione; oltre a garan-tire un’ottima acustica, la volta lignea appesa alle ca-priate celava un serbato-io antincendio. La facciata, con portico carrozzabile e frontone decorato dal rilie-vo del Carro di Apollo ven-ne ampliata nel 1830 da due ali a terrazza (Sanquirico e altri). Più volte trasfor-mati furono gli interni (ridotti, palcoscenico e de-corazione); nel 1906 Arturo Toscanini fece introdurre la fossa orchestrale (fino al 1891 la platea, tutta in pia-no e priva di sedili fissi, po-teva essere utilizzata per feste e balli). Ricostruita da Secchi dopo le distruzio-ni belliche, è stata oggetto di restauri dal 2002 al 2005.

Ottavia Ovatini

Il rapporto tra l’architetto ed il Teatro alla Scala

Franchi del 1778. Giuseppe Piermarini nasce a Foligno il 18 luglio 1734. Dal 1765 e’ giovane di studio di Luigi Vanvitelli, l’architet-to della Reggia di Caserta. Nel 1769 Vanvitelli si reca a Milano con il figlio Carlo

e’ affidato al giovane foli-gnate, nominato Imperial Regio Architetto il 13 no-vembre 1769. Da questa data Piermarini affron-ta un trentennio di inten-sa attività nella Lombardia Austriaca e in modo par-

La Chiesa di Sant’Eustorgio

Imboccando Corso di Porta Ticinese si incontra

quasi subito, sulla destra, Piazza Sant’Eustorgio con la sua grandiosa chiesa, ri-salente al IV secolo, satura di storia e di leggende. Già la posa della prima pietra poggia su un curioso mi-scuglio delle 2 cose. Il tut-to nasce dal ritrovamento, da parte della regina Elena, madre di Costantino, ca-po dell’Impero Romano D’Oriente, delle spoglie dei Re Magi (proprio fortu-nata la regina, visto che lo stesso anno aveva scoper-to pure i chiodi utilizzati nella crocifissione di Gesù). I resti, conservati nel-la chiesa di Santa Sofia, a Costantinopoli, ven-nero donati dallo stesso Costante ad Eustorgio che le caricò, una volta giunte in Italia, su un carro trai-nato da 2 buoi. Il peso do-veva essere considerevole, visto che una volta giun-to in prossimità di Porta Ticinese, il carro si impan-tanò e lì restò. Inutili tut-ti gli sforzi per cercare di rimuoverlo. Segno divino, pensò Eustorgio, che fece costruire nello stesso punto la sua chiesa nel cui inter-no pose un sarcofago con le

reliquie che, però, non po-terono riposare un granchè in pace, visto che Federico Barbarossa, nel 1164 le tra-fugò per spedirle a Colonia. Il definitivo viaggio di rien-tro in Italia si ebbe per me-rito del Cardinale Ferrari che, all’inizio del 1900, ot-tenne una parziale resti-tuzione delle spoglie che oggi, finalmente, quieta-no a fianco di quelle del-lo stesso Sant’Eustorgio. La bellezza è regina, sia all’esterno che all’inter-no anche se, superato l’in-gresso, oltre che venustà si avverte anche una profon-

da commistione col divi-no. Le pareti “parlano” di bontà, carità e compren-sione dei bisogni altrui.Sul campanile della basilica, al posto della croce c’è una stella a 8 punte, simbolo della cometa che guidò i Re Magi, mentre, all’interno, si trova la Cappella Portinari, voluta da Pigello Portinari, e contenente la splendida Arca, opera di Balduccio da Pisa, in cui sono conservati i resti di San Pietro Martire.Sotto la chiesa esiste una necropoli che costituisce un miscuglio di cristianità e paganesimo, portata alla

luce nel 1960 c.a., con cas-se costruite in marmo di Serizzo, o in muratura, e con lastre incise intitolate, per esempio, a soldati, esor-cisti, uomini qualunque, schiavi etc..., a testimonian-za della poliedricità dei ceti sociali accolti nel sotterra-neo in una stratificazio-ne temporale durata secoli. Ma al di là della sacrali-tà del luogo, la storia del-la basilica riporta anche fatti inquietanti e vio-lenti, che si collocano in quel periodo di oscuran-tismo e perfidia chiama-to Medioevo, in cui lanciò i primi vagiti il Tribunale della Santa Inquisizione, novello Argo dai 100 oc-chi che tutto vede e giudica. L’allora frate Beltramino di Cernuscullo, inquisitore di Sant’Eustorgio, prese di mira le adepte della socie-tà di Diana, che si riuniva-no, sembra innocuamente’ per onorare la fertilità, ac-cusandole di stregoneria: per il frate, la riunione al-tro non era che una sabba in cui venivano sacrificati animali di ogni tipo, man-giati, e ricomposti nella for-ma originale da Diana con una toccata di bacchetta magica. Il tutto ovviamen-te orchestrato dal demonio, che presiedeva puntuale ad

Milena Moriconi

© Stefano Gusmeroli - www.gusme.it

ogni riunione. Come no-torio, o si ammettevano spontaneamente la simpa-tia e la stima per Lucifero, o si veniva solleci tati a far-lo con torture. Alla fine la conclusione era comunque la stessa: le streghe anda-vano al rogo! E Beltramino dovette procurarsi davve-ro tantissima legna, visto il numero di pire che fece allestire !! Un concentrato di fattucchiere era il quar-tiere del Verziere, dove vi-vevano, in un fetore di cibo andato a male, escremen-ti e chissà cos’altro ancora, i poverissimi, tutti lerci ed affamati e le cui donne dai volti corrosi dagli stenti so-migliavano, povere creatu-re, davvero a delle streghe. Lì Beltramino affondava le mani e le ritraeva cariche di maghe pronte per il rogo. Il patibolo di Sant’Eustorgio,

“inaugurato” agli inizi del 1200, continuò a lavora-re incessantemente sino al 1558, anno in cui cedette il testimone alla chiesa di Santa Maria Delle Grazie.Chiudiamo questo brut-to capitolo del passato, che purtroppo è storia vera, e torniamo ai giorni nostri, con la segnalazione di un gruppo di giovani che fanno parte delle SENTINELLE DEL MATTINO. Chi so-

no queste Sentinelle? Il 19 Agosto del 2000, Papa Giovanni Paolo II inglo-bò in queste tre sole parole, da lui coniate durante una benedizione domenica-le, tutti i giovani del mon-do, invitandoli all’amore verso il prossimo. “Voi gio-vani siete le Sentinelle del Mattino. Se sarete quello che dovete essere, mettere-te fuoco in tutto il mondo!” Questo disse nove anni or sono il papa, e oggi que-sti ragazzi portano la pa-rola di Gesù nei posti di aggregazione giovanile e lì formano dei nuclei chia-mati “Fiaccole”, visto che il loro compito sarà quel-lo di accendere il fuoco dell’evangelizzazione. Se vi interessa, fate un salto in Piazza Sant’Eustorgio per partecipare all’in-contro che si tiene il ter-zo sabato di ogni mese, in basilica. Vale la pena per-ché, indipendentemente dal personale pensiero re-ligioso e politico, è confor-tante, ogni tanto, sentirsi ricordare che al mondo esi-stono anche le cose buone. Nota: per la parte riguar-dante l’Inquisizione, si è pre-so spunto da IL GRANDE LIBRO DEI MISTERI DI MILANO di Andrea Accorsi e Daniela Ferro.

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Page 3: OK ARTE Gennaio 2009

3FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Milano e le sue piazze

Da sempre, amo girova-gare per la città, qua-

si ad annusare l’aria. Amo osservare le persone con calma, per capire l’uma-nità che mi sta intorno. Purtroppo, a Milano ci so-no poche piazze che con-cedano una vera sosta, e nessuna che sia veramen-te un luogo di incontro

interi pomeriggi con le lo-ro pie donne. Da, da, tutto un fitto cicaleccio. Mi pia-cerebbe vedere degli attori nella piazza, mia madre era attrice in una filodramma-tica di provincia. Ho l’idea di una piazza come una quinta teatrale, per seder-si, parlare, capire. Gli attori rappresentano la pluralità del mondo, l’umanità inte-ra. La piazza è il teatro del-la vita, penso a Washington square, alla piazza più che alla città. Noi poeti abbia-mo creato momenti d’in-contro con le persone per la città. Abbiamo recita-to poesie alle fermate del metrò. Gli artisti, gli atto-ri, possono essere come de-gli insegnanti peripatetici. Sembrano cose difficili da realizzare, ma le cose dif-ficili, poi si dimostrano più semplici di come si pensa-va. Per gli attori può esse-re gratificante l’occasione, se di tipo didattico, potreb-be lusingarli. Purtroppo, mancano queste occasio-ni, mancano queste piazze a Milano. Luoghi simbo-lici di “rappresentazione”. Secondo me, attori e poeti frequenterebbero volentie-

Intervista al poeta Gianpiero Neri

ri la piazza, perché hanno una vocazione per la comu-nicazione. Mancando que-sti incontri, queste piazze, l’uomo, come sempre inge-gnoso, si trova a dover cre-are degli incontri virtuali.” Speriamo che la nuova Milano, quella del 2015, si ricordi che l’uomo ha sem-pre bisogno di confronto e comunicazione. L’Agorà è un importante luogo di scambio, dove stempera-re le differenze attraver-

so l’incontro, perché tutti i popoli del mondo han-no sempre più bisogno di conoscersi e riconoscersi.

A causa dei continui ritar-di il giovane venne espulso da scuola. / Tornò di corsa sui suoi passi, al numero 12 di piazza Libia. /Pro-prio sul marciapiede di casa era scritto in gesset-to: “ Ugo non aspettarmi”. Da “Poesie 1960-2005” Oscar Mondatori 2007

Clara Bartolini

Immagine di Clara Bartolini

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Ivana Metadow

Ed ecco che nasce una fo-to, come un quadro che

rappresenta la realtà che ci circonda, ma non è solo un’immagine reale, è uno sguardo dell’anima che trasporta la realtà subli-mandola di un profondo si-gnificato. Mi sono ritrovata ad osservare delle “semplici” foto, scattate dal fotogra-fo Lorenzo Benocci, di un panorama a me famiglia-re: il Canale della Muzza, nel tratto che scorre vicino a Lodi Vecchio. Un canale artificiale che si dirama dal fiume Adda, bentenuto, con

Quando la Natura diventa “Arte”: il Canale della Muzza

gli argini che si prestano a delle piacevoli passeggia-te, immersi nella semplici-tà di un paesaggio agricolo. Le foto colgono dei tratti che trasmettono una forte emozione perchè, in quelle immagini, pare di vedere la rappresentazione simbolica della vita stessa. Così come un pittore su una tela tra-sferisce le proprie emozio-ni, in quelle foto la Natura rende manifesta la propria anima, il trascorrere delle stagioni che paiono creare una similitudine con il ci-clo della nostra vita. Ed ec-co che un groviglio brullo di rovi leggermente inne-

vati [ vedi foto ] ci fa senti-re come attanagliati da una situazione complessa, diffi-cile e dove non ci pare es-sere via d’uscita. La Natura viene in nostro aiuto e ci dà, invece, un appiglio. In fon-do a quello che sembra es-sere un tunnel possiamo vedere ergersi l’albero del-la vita, che dritto e forte ci àncora alla terra aprendo i suoi rami verso il cielo e in quel momento siamo certi che oltre il groviglio di ro-vi, la vita ci offre la possi-bilità di salvarci. Il fiume che scorre a fianco, intan-to scivola lento e ci condu-ce oltre, sempre più avanti e possiamo immaginare di navigare lungo le dolci ac-que, coccolati da un mo-vimento calmo. E’ come lo scorrere della vita che inesorabilmente prosegue per il suo percorso, lungo un letto già disegnato, do-ve le sponde danno ripa-ro evitando di sbagliare la rotta, dove gli alberi dan-no ristoro e se la stanchez-za della vita assomiglia ad un albero spoglio e coper-to di bianca brina, l’arrivo della primavera rinverdi-sce ogni cosa e ci dona la speranza che la vita si ri-proponga continuamen-te, dandoci la possibilità di navigare lungo il fiume, con la certezza che ogni cosa rinasca nuovamente.

Immagine di Lorenzo Benocci

dove comunicare davve-ro. La mia piazza preferi-ta è piazza del Duomo, la più “internazionale”, quel-la dove passano tutti, dove è più facile sostare e, a vol-te, scambiare delle opinio-ni, magari banali, come al Bar dello Sport. Non per-ché sia stata pensata per questo, piuttosto perché i gradini del sagrato del Duomo lo permettono, di-

ventando sedute involon-tarie. In Piazza del Duomo cerco di capire se la gen-te ha voglia di sorridere e, sempre, mi accorgo che è disposta a raccontarsi. Ho voluto chiedere ad una vo-ce di grande sensibilità, il poeta Giampiero Neri, che ama l’osservazione dei luo-ghi e delle persone, tema frequente nelle sue poesie, cosa ne pensasse di questa

“mancanza”, e se la perce-pisse tale. Mi ha volentieri risposto. “Milano è una cit-tà che va in fretta” , “corre” diceva F.T. Marinetti, poeta futurista, agli inizi del no-vecento. Non c’è che pren-derne atto, a distanza di un secolo. E’ la sua vocazione. Mancano quindi i luoghi di sosta, i caffè monumentali di Madrid, dove ci si siede e si passa una intera mattina. Mancano i luoghi di incon-tro. Ci vediamo in Piazza S. Alessandro? Bellissima, ma chi la conosce? Anche Piazzale Libia, dove abito, è di difficile orientamento. Perfino i tassisti si sbagliano. Consolano le piante, plata-ni in maggioranza, tante da formare come un par-co. Nella rotonda, al centro, le badanti ucraine vi han-no eletto la Duma. Passano

La rappresentazione simbolica della vita stessa A Milano, presso il Museo Minguzzi, è

stato presentato alla stam-pa e al pubblico il libro

“PER TE” di Silvia Cipriano, Edizioni OTMA. Ella è una giovane poetessa-scrittrice già matura dal punto di vi-sta letterario perché capace di manifestazioni dall’en-tità piena di interessi esi-stenziali. Dopo aver vinto il premio “Viareggio 2007” e il Premio Internazionale di Poesie con il libro

“Sensazioni in Versi”, con il libro “PER TE”, Silvia Cipriano ci presenta un racconto, un diario o un romanzo o è tutti e tre in-sieme, questo non ha im-portanza: è interessante quello che lei vuole comu-nicare e cioè quali sono i suoi sentimenti immorta-lati nei suoi viaggi. Nello spunto narrativo, la scrit-trice appare completa e importante perché, nella descrizione dei personag-gi, si avvale di un ritmo serrato e continuo sca-turito dall’autocoscienza. L’accelerazione delle rap-presentazioni che si acca-vallano in una sequela ricca d’immaginazione è il risul-tato di un avvicinamento raro all’opera e che il letto-re coglie nel messaggio che suscita l’interesse. Sono ricordi, immagini scrit-te a cui l’autrice affida la mansione di ridare all’uo-mo l’umanità. Quello che

Silvia Cipriano: una poetessa che diventa brillante romanziera

sgorga e si evince leggen-do le pagine del romanzo è il flusso dell’autocoscien-za scritta senza filtri, se-guendo il filo conduttore dei personaggi, quello di Fabrizio, che viaggia nel-la sfera metafisica tra fan-tasia e realtà e di Ludovica, la protagonista, che si ma-nifesta al lettore anche nel-la fragilità di una donna mossa dal desiderio di vi-vere la vita trangugiandola in un solo sorso, senza tra-

scinarsi in un’esistenza in bilico. E dove i sogni non sono dei parassiti della vita né del vero, non sono illu-sioni effimere né irreali, ma sono doni che hanno una capacità sostanziale di pen-siero per l’uomo che non vuole morire. E l’autrice lo dice in maniera fantasti-ca, lasciando, però, al letto-re l’osservazione di quanto accade intorno, facendo ri-manere dentro, dopo la let-tura, qualcosa che urla.

Principia Bruna Rosco

Immagine di Clara Bartolini

Romanzo di Silvia Cipriano - OTMA Ed. 2008 - 136 pagine / € 10,00. Venduto alla Libreria Hoepli, via Hoepli 5, Milano; online www.hoepli.it

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4 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

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La biografia…Accanto alla figura di

Sant’Ambrogio, già am-piamente trattata nello scorso numero, simbolo chiave nella storia della no-stra città è certamente San Carlo Borromeo. “Le ani-me si conquistano con le ginocchia”, asserisce con imponente fermezza il de-voto ministro della Chiesa: è la preghiera infatti, quel-la sentita, umile, profonda-mente espressa, a costituire la chiave per il raggiungi-mento e la conquista del-le anime. E San Carlo ne è davvero stato il più gran-de conquistatore. Carlo Borromeo nasce nel 1538 ad Arona, sul lago Maggiore, da una delle famiglie più in vista dell’aristocrazia lombarda; trovandosi nel-la posizione di secondo-genito del conte Gilberto, pare non avere altra scelta all’infuori dell’allora dif-fusa carriera ecclesiasti-ca, alla quale viene dunque prontamente avviato: la tonsura lo accompagna, in-fatti, fin dall’età di 12 anni. Nonostante la giovane età, Carlo decide di seguire la propria strada con la mas-

San Carlo Borromeosima serietà, intraprenden-do e portando avanti con ben ampio successo gli stu-di a Milano e Pavia, dove si laurea, nel 1559, in utroque jure, ossia in diritto civi-le e canonico. Il 26 dicem-bre dello stesso anno, Gian Angelo Medici, suo zio ma-terno, viene eletto Papa con il nome di Pio IV, il quale

ca e perseverante, capacità di ascoltare e chiedere con-siglio prima di coraggio-samente agire. Conduce inoltre una vita austera, cercando, in mezzo a tante opprimenti preoccupazio-ni, un sicuro rifugio nella preghiera, nello studio del-la teologia e nella predica-zione. Per le insistenze del

maniera decisamente con-sistente, impegnandosi a farne conoscere la dottri-na e le disposizioni, mentre vigila sulla redazione del

“Catechismo del Concilio di Trento” e offre, per pri-mo, l’esempio di una totale sottomissione alle riforme imposte. Al momento della morte del fratello maggiore, Carlo decide di non optare per la secolarizzazione, che gli avrebbe consentito di porsi a capo della famiglia, ma di rimanere nello sta-to ecclesiastico: viene dun-que consacrato Vescovo a soli 25 anni. Compie quin-di il suo ingresso trionfale a Milano, destinata ad es-sere il campo della sua at-tività apostolica; da qui parte poi per un’accuratis-sima visita dell’intera ar-cidiocesi, che, vastissima, comprende Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria e Svizzera. La serietà del giovane Vescovo si ma-nifesta immediatamen-te nelle numerose attività svolte: si preoccupa da un lato della formazione del clero, dall’altro, della con-dizione dei fedeli. Eccolo dunque fondare seminari, ospedali ed ospizi, devolve-re le ricchezze di famiglia

Sabrina Panizza in favore dei poveri, lotta-re contro signorotti locali per il bene e i diritti della Chiesa, riportare l’ordine e la disciplina nei conventi. Con poderosa determina-zione e metodicità, Carlo conduce quindi la propria lotta affinché l’attività re-ligiosa riprenda vigore, nel più ampio rispetto delle re-gole stabilite dal Concilio. Dopo l’ammirevole dedi-zione nei confronti dei fe-deli durante i terribili anni della peste, scoppiata nel 1576, Carlo stesso inizia tuttavia ad essere vittima di una febbricitante stan-chezza: l’estenuante malat-tia lo consuma, finché, il 3 novembre 1584, il Vescovo abbandona il mondo ter-reno. L’eredità è, in que-sto caso, davvero ampia: a fedeli e poveri lascia il proprio patrimonio, così come il ricordo di un’uni-ca, dolce ed austera Santità. ...e l’iconografiaSan Carlo Borromeo, am-piamente rappresentato in numerosissime opere d’ar-te, è solitamente ricono-scibile dal peculiare naso adunco e dalla fronte mol-to alta. Vestito dai tradizio-nali abiti cardinalizi, tale fondamentale figura del-la Cristianità è sovente ritratta con il bastone pa-storale, emblema volto a sottolineare il prezioso in-carico chiamato a svolgere tra i fedeli; Carlo è infat-ti molto spesso ritratto a stretto contatto con la gen-te comune, con i poveri, at-torniato da fedeli, malati ed appestati, che trovano nel Santo un appiglio concre-to e reale, un vivo confor-to nell’abominevole incubo della pestilenza, un’ancora intrisa di religiosa umanità. Nulla infatti riesce ad osta-colare la scalpitante santità del vescovo, niente lo disto-glie dalla propria dedizio-ne verso l’intera comunità. Guidato da un’unica paro-la chiave, Humilitas, Carlo lotta per la salvezza del-le anime. Nelle opere in cui l’enfasi non viene po-sta sull’attività concreta e umanitaria del vescovo, os-sia nell’atto di compiere opere devote o misericor-diose, San Carlo è ritratto in solitudine, nel più umi-le e modesto stato di sin-cero raccoglimento. In tale occasione, è con particola-re frequenza ritratto nella peculiare mantella cardi-nalizia color rosso porpora, che, creando un evidente contrasto con la veste bian-ca, costituisce un poten-te richiamo alla Passione di Cristo. È proprio ta-le mistero infatti, della Passione, dell’immane sof-ferenza del figlio di Dio, a costituire l’oggetto dell’in-tensa meditazione dell’ar-civescovo, il quale si lascia trasportare con il massimo coinvolgimento nell’amaro dolore del nostro Salvatore. Occorre infatti sottoli-

neare come nell’opera di Daniele Crespi qui ripro-dotta, il volto di Carlo in preghiera sia mestosamen-te rigato dalle lacrime, in-dicative della sua sincera e dolorosissima partecipa-zione. Il dipinto, da con-templare nella Chiesa di Santa Maria della Passione a Milano, vede il futuro Santo ritratto in completo raccoglimento, evidenzia-to ulteriormente dal fru-galissimo pasto consumato in amara solitudine: acqua e pane costituiscono dun-que l’unico suo legame con i beni del mondo terreno, quasi interamente posto da parte per concedere spazio ad un intenso momento di meditazione. Il volto è pal-lido e scarno, segnato dal digiuno. La fonte della de-vota ispirazione di Carlo è sovente rappresentata dal crocifisso, attributo tipi-co dell’eremita penitente; la sua frequentissima pre-senza nelle opere celebran-ti l’arcivescovo, sottolinea la necessità di peniten-za fervidamente predica-ta e da lui stesso praticata. Di sovente ritratto con gli occhi al cielo e di fronte ad un imponente crocifis-so, il Santo sembra investi-to da un intenso soffio di estatica devozione. Un ul-teriore attributo del Santo, che accompagna talvolta il crocifisso, è il teschio, me-dievale simbolo della mor-te. Il legame tra Carlo e tale emblema è probabil-mente costituito dall’inten-so contatto con l’ordine dei Gesuiti, ai quali l’arcive-scovo si rivolge chiedendo aiuto nell’attuazione del-la riforma di collegi e mo-nasteri: essi considerano infatti la contemplazione della morte un indispen-sabile esercizio spirituale, contemplazione facilitata appunto dalla presenza del teschio. Riflessioni dun-que sulla sofferenza, sul dolore, sulla morte, concet-to, quest’ultimo, sublima-to dal sacrificio del Figlio di Dio. Rappresentata con minor frequenza, ma tal-volta presente come attri-buto di Carlo, è la corda, portata dal Santo attorno al collo, che simboleggia anch’essa, come il suddetto crocifisso, l’eremita peni-tente. Giungendo dunque alla conclusione, si riscon-tra come l’iconografia del Santo si sviluppi realmen-te su un duplice fronte: te-stimonianze iconografiche dell’ampia attività di ri-forma da un lato, episodi di viva preghiera ed inten-so raccoglimento dell’altro. Ora lo sguardo illuminato da una dolcissima e carita-tevole umanità, ora il volto penitente intriso di mistico.

Acqua, una linfa trasparenteL’acqua, da sempre ri-

tenuta componente fondamentale - se non in-dispensabile - alla edifica-zione di ciò che circonda e caratterizza l’uomo, diviene ora protagonista di un per-corso espositivo fortemente suggestivo: “Anima dell’Ac-qua. Da Talete a Caravag-gio, da Segantini a Bill Vio-la”. La mostra, inaugurata presso il Palazzo Reale il 29 novembre 2008, terminerà il 29 febbraio 2009. Si pro-pone di narrare quelli che, in chiave simbolica, sono stati i significati attribuiti all’elemento per eccellenza il quale, fin dagli esordi dell’uomo, effonde fascino e repulsione, vita e distru-zione. Una tematica così suggestiva ha offerto, ed of-fre tuttora, infinite possibi-lità interpretative tangibili; da qui la decisione di far fluire le 121 opere presenti in sei sezioni differenti. È evidente, nell’insieme, la volontà di celebrare l’acqua e le sue diverse dinamiche relazionali con l’uomo, sia-no esse ancestrali, cariche di trascendenza, piuttosto che contingenti. L’ambiva-lenza dell’acqua, intesa sia nelle sua accezione mera-mente creatrice e vitale che nella sua forza distruttrice e devastante, è contempla-ta in molte culture, intrise di metafore ed analogie persuasive. Tale dualismo

l’equivalente liquido della luce, divenendo strumento e simbolo mistico-spiritua-le di trasfigurazione, attra-verso il quale rinascere a vita nuova, o servendosene per immergere la spiritua-lità nel mondo manifesto; ‹‹il liquido della verifica totale›› (Platone) sintetizza, quindi, le costanti trasfor-mazioni umane e la tensio-ne al desiderio primigenio dell’uomo di purificazione, raccontate in modo pre-gevole dal Narciso del Ca-ravaggio e dall’artista Bill Viola, con il video The re-flecting pool. Lo spettatore viene ora predisposto alla visione dell’acqua intesa

si traduce in opere artisti-che volte ad evidenziarne il carattere procreativo, ri-velato efficacemente in un seno pudico della Madon-na dell’Umiltà di Masolino così come nelle sue mani-festazioni naturali lette in chiave mistica come nel caso più ovvio - ma affatto scontato - di una pioggia ge-neratrice di vita. Molte sono le espressioni artistiche che esplicano la capacità insita nell’acqua di donare be-nessere e bellezza; rappre-sentativa è, in questo caso, l’opera del milanese d’ado-zione Giovanni Segantini con L’amore alla fonte del-la vita. L’acqua è, inoltre,

Gabriella Manco come viaggio che, trascen-dendo dalle condizioni del mondo fenomenico, vede nella stessa il mezzo salvi-fico o punitivo, assurgendo a percorso di crescita in-dividuale e collettiva. Sul finire della percorrenza, si presenta l’ultima sezione, affatto pedissequa ma che, al contrario, esprime al meglio l’intensità del tema, trattato in modo brillan-te ed inaspettato come nel resto della mostra: l’acqua come purificazione. Il ca-rattere religioso delle opere qui esposte è inevitabile, ma ciò non crea assoluta-mente discordanza: genera, invece, euritmia e traspor-to emotivo nel fruitore di tali bellezze, frutto non solo della maestria tecni-ca, ma anche dalla padro-nanza allegorico-figurativa degli autori. Le opere da considerarsi necessarie per la comprensione di que-sto ultimo step sono l’Ul-tima Cena del Tintoretto, La cena in casa di Levi di Mattia Preti, Samaritana di Julio Romero de Torres.Il nitore visivo che in tutto il percorso si genera è sor-prendente. Un’esperienza caratterizzante e formativa che offre, oltretutto, l’oc-casione di porre l’accento su una riflessione tanto co-mune quanto sottovalutata: il bene dell’acqua, linfa vi-tale che si nasconde dietro ogni fenomeno, nutrimen-to del fisico e dello spirito.

consigliere, Pio IV deci-de di riaprire, nel 1560, il Concilio di Trento, durante il quale Carlo si pone come intermediario tra l’organiz-zazione ed il Papa stesso; sancita definitivamente la fine nel 1563, il Segretario continua a contribuire in

immediatamente chiama a sé ed associa al governo della Chiesa il nipote Carlo. L’incarico di Segretario di Stato permette dunque al giovane di mostrare am-piamente le proprie do-ti: resistenza straordinaria al lavoro, volontà energi-

La sacralità del simbolo: iconografia dei Santi

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5FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Che cos’è l’Arte contemporanea?è sembrata più apparente che sostanziale; l’Assesso-re Finazzer Flory, persona di cui conosciamo l’acu-tezza dai tempi in cui tene-va una rubrica mattutina su Radio Radicale, ha ben gestito le conferenze for-nendo alcuni spunti inizia-li. Prossimi appuntamenti: Martedì 3 febbraio sa-rà la volta di Carolyn Christov-Bakargiev ca-po-curatrice del Castello di Rivoli (To) e incarica-ta di dirigere la prossima edizione di Documenta, ri-tenuta attualmente la mag-gior fiera d’arte esistente. Martedi’ 17 febbraio inter-verrà Massimiliano Gioni, direttore artistico del-la Fondazione Trussardi e curatore al New Museum of Contemporary Art. PAC, in via Palestro 14 Milano. Inizio conferen-ze ore 18,30 ingresso libero

Fabrizio Gilardi

In un’epoca piena di ini-ziative propagandi-

stiche, ci pare lodevole l’iniziativa dell’Assesso-re alla Cultura del Comune di Milano, Massimiliano Finazzer Flory di un ci-clo di quattro conferenze sul tema: “Che cos’è l’arte contemporanea?” al PAC. Il 12 gennaio ha presen-ziato tra gli altri, Germano Celant, critico e storico dell’arte il cui nome vie-ne spesso associato all’in-venzione della definizione Arte Povera per il movi-mento artistico sorto negli anni ‘60. Celant ha soste-nuto che i percorsi dell’ar-te stanno seguendo quelli dell’economia e della politi-ca e si sposteranno sempre più dall’asse Europa-Stati Uniti alle potenze asia-tiche e medio orientali.

Celant si chiede se l’arte non possa trovare un pro-prio ruolo nel porsi a cu-stode della memoria e della tradizione; da qui la richie-sta di costruzione di musei in aree fino a poco tem-po fa marginali, e da qui l’annuncio della parteci-pazione dello Stato del-la Città del Vaticano alla prossima edizione del-la Biennale di Venezia. Il potere sta utilizzando l’arte in maniera più in-tensa che in passato, lo fa in modo più uniforme in tutto il globo, e i singo-li operatori hanno poche possibilità di andare contro corrente, come ha riassun-to lo stesso relatore con la frase: “L’arte è senza scam-po”. Il 27 gennaio si è tenu-to il secondo incontro che ha confermato un’ampia partecipazione di pubblico. Protagonista la critica

Angela Vettese che ha ini-ziato mettendo in con-trapposizione due visioni dell’arte, quella che la clas-sifica come l’espressione dei più alti sentimenti umani, e quella che la vede come espressione delle proble-matiche di un determinato momento storico. Se come la relatrice, si è nel secon-do filone, molte cose si re-lativizzano. Ecco allora che la risposta al quesito: “Che cosa è l’arte?” può essere: “Dipende da cosa noi chie-diamo all’arte”. La Vettese ha concluso l’intervento di-cendo che, come teorizza-to dagli analisti dei settori economici, gli andamen-ti sono ciclici e che, tenuto conto di quest’ottica, ci tro-viamo sicuramente in una fase di globalizzazione an-che nell’arte. La maggior tendenza al pessimismo nella prima conferenza ci

Incontri e dibattiti al PAC

GAM: ex Villa BelgiojosoLa residenza reale e i misteri del giardino inglese

l’edificio diventa ufficial-mente sede delle collezioni d’arte moderna della città.Un’esperienza a Villa Reale però consiste anche nel visi-tare il giardino inglese pre-sente sul retro. Un giardino pensato per ricreare un pa-esaggio naturale, dove la vegetazione si riappropria delle vestigia della storia, lasciando affiorare antiche rovine. Pare però che a do-nare maggior carattere alla visita sia quella strana sen-sazione, quasi inquieta, che si prova proprio all’interno del parco. Sarà per gli oscu-ri alberi secolari, per il la-ghetto misterioso popolato da strani animali, o per le statue che come silenziose presenze ci accompagnano lungo la visita, eppure ca-piterà al visitatore di sen-tirsi come osservato. Un mistero che comincia sin dall’entrata dove un car-tello recita: “è severamente vietato l’ingresso agli adul-ti non accompagnati da un minore di 12 anni”. Che di-re, prendete per mano figli e nipotini e concedetevi la visita in uno dei luoghi “se-greti” più belli della città. A voi la scoperta dell’arcano.

Jean Marc Mangiameli

Situata in via Palestro, di fronte ai giardini di P.ta

Venezia, si affaccia una del-le più belle testimonianze del neoclassicismo italia-no: la ex Villa Belgiojoso Bonaparte. Riaperta al pub-blico nel marzo del 2007, dopo tre anni di restauro, la Villa ha finalmente ri-trovato il suo splendore di-ventando la Galleria d’arte Moderna di Milano (GAM) sede del Museo dell’800. All’interno sono esposte le collezioni civiche ottocen-tesche formatesi grazie alle donazione dei collezionisti milanesi nonché il depo-sito del 1902 dell’Accade-mia di Belle Arti di Brera. Poco distante è accessibi-le ai cittadini anche la se-

de del Padiglione d’Arte Contemporanea.Quello che colpisce all’istante è l’archi-tettura neoclassica dell’edi-ficio; il corpo sviluppato su tre livelli ha un duplice af-faccio: nella parte fronta-le, che da su via Palestro, due ali laterali racchiudono il cortile d’onore, sul retro, invece si nota un elegante prospetto marcato da co-lonne scanalate, sovrastato da due frontoni e decorato con bassorilievi e statue che raffigurano soggetti e temi mitologici. Curioso scopri-re che gli scultori incaricati dell’esecuzione proveniva-no tutti dalle maestranze legate al prestigioso cantie-re della facciata del Duomo.E’ importante ricorda-re che la ex Villa, prima di diventare sede museale, è stata dimora di Belgiojoso che ne era committen-te, Gioacchino Murat nonché del viceré d’Ita-lia Eugenio Beauharnais. Famosa anche per esse-re stata residenza del ge-nerale Radetsky, ha anche ospitato Napoleone III.Il destino pubblico del-la Villa è legato all’uni-tà d’Italia quando

Immagine di Maurizio Zanoni

La Rete Museale dell’Ottocento Lombardosegue da pag 1.

I musei della Rete si sono riuniti non solo per va-

lorizzare il patrimonio sto-rico-artistico ottocentesco ivi conservato, ma anche per promuovere la salva-guardia, la manutenzione e la conservazione delle ope-

re, la diffusione di studi e ricerche sul tema e l’orga-nizzazione di mostre, con-vegni, seminari ed eventi culturali. Lontana da una mera logica di promozio-ne turistica la Rete vuole essere uno strumento in-nanzi tutto di comunio-ne di progetti e studi, per una “riscoperta” condivisa di un panorama sul quale si sono andate stratifican-do le peculiarità dei luoghi, la storia della loro ragione di permanenza e il motivo della trasmissione delle ve-

Sara Abdelall stigia di un secolo trascor-so al presente e soprattutto al futuro. La Rete è innan-zi tutto una condivisione di senso: senso della sto-ria, senso del ruolo dei mu-sei, senso del valore delle opere, senso della trasfor-mazione nella percezione di questi luoghi e di que-sti valori, senso della testi-

monianza, senso di azioni e operazioni di tutela e valo-rizzazione. Il lavoro si svol-ge quindi essenzialmente nella elaborazione di mappe che evidenzino sul territo-rio le testimonianze visibi-li, ma anche quelle perdute, di un sistema complesso di relazioni: quel sistema che fa della Lombardia una re-gione che mantiene le sue proprie peculiarità e prio-rità anche nel panora-ma unitario che proprio nell’Ottocento ha trovato le sue ragioni e le sue forze

costitutive. La Rete quin-di come una serie di pa-gine di storia da scrivere coralmente da tanti punti di osservazione diversi e ol-tremodo significativi quan-to devono esserlo i musei e gli istituti storici. La Rete rivolge le sue ricerche e le sue occasioni di incontro e confronto agli studiosi e agli specialisti del campo, ma anche agli appassiona-ti d’arte e a chiunque voglia avvicinarsi ad un secolo che in Lombardia ha signi-ficativamente lasciato segni indelebili e imprescindibi-li. Per creare un legame di senso tra individuo e terri-torio, tanto più importante alla luce dello stato attuale, in cui la perdita o la man-

cata comunicazione del-le specifiche identità non consente il confronto e l’in-tegrazione. Tra i più recenti appuntamenti della Rete si segnala quello del 22 gen-naio 2009, in Galleria d’Ar-te Moderna, dove è stato presentato il risultato dei restauri effettuati sui mo-delli in gesso di Giuseppe Grandi, utilizzando la me-todologia di pulitura con gel rigidi di Agar, messa a punto e poi certificata gra-zie alla collaborazione tra il museo e il Cesmar7, che ha coinvolto nello studio l’Università di Parma; a ri-velare come il sistema di re-lazioni della Rete si allarghi e coinvolga Istituti di ricer-ca nel territorio lombardo e

non solo. I prossimi incon-tri previsti sono due appun-tamenti con il pubblico: il 9 febbraio la Galleria d’Ar-te Moderna di Milano, via Palestro 16, ospite-rà la conferenza “Senso di Visconti tra Hayez, Fattori e Scapigliatura”, cui fa-rà seguito la proiezione del film, mentre il 19 mar-zo, nella stessa sede, avrà luogo la giornata di stu-di “Canova in Lombardia. Percorsi di ricerca e inter-venti di restauro”, a cura di Marco Albertario, Serena Bertolucci e Maria Fratelli rispettivamente dell’Ac-cademia Tadini di Lovere, di Villa Carlotta e della Galleria d’Arte Moderna, realtà museali unite nella

Rete e nel progetto messo in opera per confrontare e in-crementare gli studi sull’ar-tista attraverso le opere conservate nelle collezioni. La Rete mette a disposizio-ne degli interessati un si-to internet (consultabile su www.rete800lombardo.it) da cui è possibile ottenere informazioni riguardanti le quindici istituzioni; le di-verse attività svolte, i lavori in corso e i progetti futuri. Un canale di comunicazio-ne è sempre aperto anche con gli utenti che posso-no scrivere all’indirizzo di posta elettronica [email protected] o con-tattare la Galleria d’Arte Moderna di Milano Museo Capofila (02.76340809).

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6 FEBBRAIO 2008 OK Arte Milano

Bastione di Porta Nuova

Visitare MagentaIl 150° anniversario della battagliaMagenta è stata da sem-

pre un punto di pas-saggio tra Milano e Torino, anche se solo negli ultimi due secoli si è sviluppato un sistema stradario ef-ficiente che facesse della città un centro facilmente raggiungibile. L’origine del paese va probabilmente collocata attorno al V seco-lo a.C. quando alcune tribù di Galli Insubri stabilì un proprio villaggio nei pressi del punto strategico del Ti-cino. L’origine del nome è tradizionalmente attribuita all’Imperatore Massenzio, in onore del quale l’abitato prese il nome di “castrum Maxentiae”. Nel 1310 l’Im-peratore Arrigo VII è bloc-cato, secondo la leggenda, sul suolo magentino da una tremenda nevicata mentre si recava a Milan. A seguito della grande ospita-lità accordata all’imperato-re dagli abitanti del luogo, egli innalzò il luogo alla dignità di borgo coi privi-legi di godere di una guar-dia armata e di istituire un mercato che, dal 1410, si svolge puntualmente ogni lunedì. Nel 1396 numerosi territori della città furono donati da Gian Galeazzo Visconti ai monaci della Certosa di Pavia che ne mi-gliorarono l’agricoltura e lo sfruttamento dei terreni. Magenta è soprattutto nota per la battaglia che ebbe luogo il 4 giugno 1859,

per assolvere a due dove-ri: la necessità di dare alla cittadinanza, in continua crescita, un nuovo tempio e la commemorazione dei caduti per la gloriosa batta-glia del 4 giugno 1859, il cui successo coinvolgeva anco-ra attivamente i magentini.Questo anno sono previste numerose e importanti ma-nifestazioni per ricordare la battaglia di Magenta nel suo 150° anniversario. Nu-merosi le ville, i palazzi e le altre residenza di prestigio fra le quali segnaliamo:Villa Crivelli Boisio Beretta, Palazzo Crivelli Pecchio Martinoni, Palazzo Mo-randi, Villa Naj-Oleari.

durante la Seconda Guer-ra d’Indipendenza, com-battuta tra i piemontesi e i loro alleati francesi contro gli austro-ungarici; fu vin-ta dai franco-piemontesi e aprì la strada alla conquista della Lombardia. La batta-glia si svolse nel territorio dell’odierno comune di Ma-genta e del comune adia-cente di Boffalora. Prende il nome di Magenta il colore rosso-viola, probabilmente con riferimento alle divise di quel colore indossate dal reparto di zuavi francesi che combatté nella batta-glia. Da visitare la Basilica Minore neo-rinascimentale di San Martino costruita

Porta Nuova, insieme a Porta Comasina, fu

eretta quando i Bastioni milanesi, da sistema difen-sivo in disuso, si trasfor-marono in viali alberati. Porta Nuova, benché pri-va dell’importanza stori-ca di altri ingressi o porte cittadine, aveva storica-mente una funzione rile-vante sul piano viabilistico, in quanto si collocava su di un antico percorso risalen-te a epoca romana per col-legare Milano con Monza e la Brianza. La presenza del vicino Naviglio della Martesana indicava, altre-sì, una funzione essenziale per il trasporto di prodot-ti e merci d’ogni genere per favorire lo sviluppo indu-striale e commerciale del-la città. La costruzione di Porta Nuova rispose a due esigenze. La prima di completamento del siste-ma anulare dei viali sugli ex Bastioni; la seconda ai nuovi progetti urbanisti-ci sia d’insediamenti indu-striali che residenziali.Tali insediamenti modificaro-no completamente l’assetto urbano del territorio mila-nese. Nel 1810 fu decreta-ta la costruzione di Porta Nuova su progetto alterna-tivo a quello del Cagnola. Tale nuovo progetto fu ela-borato dall’abate e architet-to Giuseppe Zanoia che era anche membro della no-ta Commissione d’Ornato. La costruzione fu ultima-ta nel 1813 con i due caselli daziari laterali, quando or-

Ristorante Villa CignoAtmosfera suggesti-

va, servizi di qualità e un ottimo ristorante uniti al fascino di un parco con ampia piscina: un soggior-no tranquillo nel cuore di Magenta. Questo bel risto-rante, ubicato in una zona tranquilla della cittadina in cui è comodo parcheggia-re, è caratterizzato da uno stile elegante e funzionale. Oltre a diverse sale coper-te e al terrazzo ideale per le cene romantiche, offre un giardino con piscina, am-biente ideale per cerimonie di ogni tipo e per pranzi nuziali. Il tutto con un’ am-pia scelta del menù a prez-zi contenuti. I proprietari professionali e cortesi so-

no parte integrante della calorosa accoglienza riser-vata agli ospiti, e sono a di-sposizione dei clienti per assecondare ogni esigen-za e per suggerire i piat-

mai s’era aperta la crisi eco-nomica e politica che aveva investito il Regno italico di Napoleone. Il proget-to Zanoia, elegante e sti-listicamente rigoroso, pur nella modestia delle sue di-mensioni, è costituito da un blocco formato da un arco trionfale ionico a un fornice e da due corpi mi-nori porticati simmetri-ci e saldati all’arco, senza soluzione di continuità. I due caselli ai lati ospita-vano i locali delle guardie e del dazio. Il monumen-to, assegnato nel 2002 dal Comune di Milano all’As-sociazione Castelli e Ville Aperti in Lombardia per l’uso e restauro conserva-tivo, fu costruito in pietra arenaria che, purtroppo fa-cile al logoramento, richie-de aggiornate tecnologie di conservazione del materia-le friabile. Tale povertà di pietra, usata nella costru-zione (arenaria silicea, assai tenera), da un verso facili-tò la celerità di lavorazione, dall’altro verso rese poco affidabile la resistenza nel tempo dell’elegante mas-sa architettonica dell’ar-co e delle sue propaggini, rispetto ai costosi e dure-voli materiali in marmo usati per Porta Ticinese, Porta Orientale e Arco della Pace. La consunzio-ne dell’arenaria si presenta tuttora rimarchevole, tanto da rendere illeggibile par-te dei raffinati dettagli ar-chitettonici. Il logoramento di Porta Nuova risulta più

evidente passando sotto l’arco e alzando lo sguar-do verso la volta a casset-toni. Il progetto presentato dall’Associazione prevede il restauro conservativo della Porta Nuova senza varia-zione alcuna della pianta originaria. L’Associazione, che gestisce la promozio-ne di più di 50 edifici sto-rici nella Lombardia e che ha tra i suoi soci importanti conoscitori del mestiere di restauro e della valorizza-zione culturale, ha previsto per i caselli una sala multi-mediale chiamata sala DEI CASTELLI (casello ovest) dove si terranno mostre,

eventi, corsi, seminari e un sportello d’informazione turistico- culturale nel cen-tro del capoluogo lombardo, oltre agli uffici dell’Asso-ciazione stessa (casello est). I caselli, come filosofia ba-se dell’Associazione, sa-ranno aperti al pubblico. Oggi Porta Nuova si ammi-ra in fondo a viale Monte Grappa in corrisponden-za di piazzale Principessa Clotilde, a fronte del Pronto Soccorso dell’Ospeda-le Fatebenefratelli. Piazza Pricipessa Clotilde, 12Tel: +39 02 6558231 i n f o @ c a s t e l l i e v i l l e . i t w w w. c a s t e l l i e v i l l e . i t

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Rotonda della BesanaDiciamolo pure: un’archi-tettura è come un’attrice. Nel corso del tempo, sul mutevole palcoscenico ur-bano, è facile ritrovarla ad interpretare un nuovo ruo-lo. Vista in quest’ottica la Rotonda della Besana si è rivelata finora una perfor-mer molto versatile. Nata come luogo sepolcrale, comprensivo di una chie-sa a croce greca e di un portico circolare, nel cor-so dei suoi trecento anni cambierà spesso i suoi ruo-

spazio espositivo per mo-stre d’arte e polo per even-ti culturali. Da allora sono tanti i nomi importanti che si sono alternati all’interno delle sue mura o - all’ester-no- sotto il suggestivo por-ticato. Oggi la Rotonda, consapevole della sua posi-zione sempre più rilevante, ha imparato a recitare bene, con disinvoltura “strizza l’occhio” alla contempo-raneità e si propone anche come location ideale per eventi legati alla moda e al design. Un luogo che non è solo un contenitore ma un vero e proprio palinsesto storico che, con la dovu-ta attenzione, racconta tre secoli di storia di Milano. La Rotonda della Besana oggi ha decisamente ritro-vato il suo ruolo, è per i mi-

Jean Marc Mangiameli

Il perfetto equilibrio tra storia e contemporaneità

fotografia di Maurizio Zanoni

li. Da magazzino milita-re a scuderia, da lavanderia ad ospedale fino a centro d’internamento per malati contagiosi. L’apice della sua “carriera” l’avrebbe avuto nel 1809 quando Eugenio de Beauharnais, allora vice-ré d’Italia, la voleva trasfor-mare nel nuovo Pantheon. Progetto ambizioso, affare d’oro per la città di Milano, allora sotto il dominio di Napoleone ma mancavano i fondi. Così il suo destino si fermò li, la sua carriera sembrava finita, finché do-po anni di abbandono (ti-pico il momento di declino nelle attrici di un certo ca-libro) la Rotonda viene ce-duta al Comune. Con la nuova gestione, a partire dagli anni ’60, il sito risco-pre una nuova vita, diventa

lanesi un luogo ideale dove trascorrere il tempo libero, un’oasi metropolitana dalle eccellenti proposte cultura-li, immerse nella tranquil-lità di un curato giardino.

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7FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

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Palazzo IsimbardiFuori dalle mura di Mila-

no sorse, in epoca sfor-zesca, quel primo nucleo residenziale destinato a di-venire Palazzo Isimbardi. Dobbiamo pensare ad una non vasta ma elegante abi-tazione di campagna, situa-ta in quella zona fuori dalle mura che era considerata il giardino per eccellenza di Milano: il viridarium. La parte più antica del pa-lazzo, quella prospiciente il giardino, presenta i carat-teri propri dell’architettura rinascimentale. Nel 1552 la villa passò alla famiglia Taverna, una delle più co-spicue del patriziato mila-nese. Durante la proprietà Taverna la costruzione as-sunse l’aspetto di un vero “palazzo”, seppure con la funzione di villa, cioè di re-sidenza adibita agli svaghi. Intorno al cortile quadrato, con un pozzo nel mezzo, venne costruito il loggiato; l’ala signorile, su due piani, guardava verso il giardino; sul fianco ovest sorgevano le scuderie mentre l’ala est era destinata alla servitù. Il carattere appartato, pe-riferico del complesso giu-stifica il tenebroso episodio che si sarebbe consumato nel palazzo all’inizio del Seicento. Gian Paolo Osio, braccato dalla giustizia e

nel 1731, soprattutto nel-la volumetria dell’edificio e riguardo alla facciata sul borgo Monforte che, con l’aggiunta di due ali latera-li a un solo piano, assume una linea di sviluppo oriz-zontale, secondo il gusto dell’epoca. Nel 1775 i mar-chesi Isimbardi acquista-rono il palazzo che tuttora porta il loro nome. La fami-glia, originaria del Pavese, aveva bisogno di un’abita-zione di prestigio per inse-rirsi nel “bel mondo” della Milano di quel tempo. Gli interni, soprattutto, furono rimaneggiati e infine, per accreditare la stirpe presso il patriziato milanese, ven-gono commissionate ampie opere figurative celebranti le gesta degli antenati illu-stri. Caratterizzandosi per il culto delle scienze, gli

accusato fra l’altro della sua relazione con Virginia de Leyva (la Monaca di Mon-za), chiese rifugio al Taver-na col quale era in amici-zia: il padrone di casa fece accompagnare lo sgradito ospite nella cantina dove, ricevuta una frettolosa as-soluzione, l’Osio fu tramor-tito a bastonate e murato in una nicchia. Secondo la leggenda il fantasma dello sciagurato si aggira ancora per i sotterranei di palaz-zo Isimbardi. All’inizio del Settecento, negli anni in cui dal dominio spagnolo Milano passava a quello au-striaco, anche la proprietà del palazzo subisce rapi-di cambiamenti. Cospicui furono i rimaneggiamenti operati in pieno Settecen-to dai Lambertenghi, che acquistarono il palazzo

Isimbardi fanno del loro palazzo un centro di studi e di raccolte scientifiche che hanno una vasta risonanza nelle cronache dell’epoca. Nell’Ottocento è la facciata verso il giardino a subire gli interventi più consistenti. Il giardino stesso si model-la “all’inglese” dotandosi, secondo il gusto roman-tico, di luoghi nascosti, di una collinetta artificiale, di grotte, mentre il cortile d’onore subisce cambia-menti radicali che alterano la rigorosa essenzialità del-la struttura originaria. Nel 1918 il complesso fu ceduto dagli eredi dell’estinto ramo Isimbardi all’industriale le-gnanese Gian Franco Tosi: la borghesia subentra al pa-triziato, e per il palazzo ciò significa manomissioni che ne modificano l’aspetto di residenza nobiliare. Negli anni Trenta, la Provincia di Milano acquisisce l’im-mobile per farne la propria sede. All’architetto Ferdi-nando Reggiori fu affidato il compito di restituire al palazzo le caratteristiche originarie, attraverso il re-cupero e la valorizzazione degli elementi decorativi che ogni secolo aveva lascia-to. L’opera più imponente fu affidata a Giovanni Muzio, il più prestigioso e fecondo

architetto del Novecento milanese. Egli giustappose all’antica costruzione un nuovo edificio di coerente stile funzionalista, dotato degli elementi simbolici che un luogo del pubblico pote-re richiedeva, quali la torre, i portali colonnati, i pannel-li scultorei. Il nuovo palazzo fu inaugurato il 24 ottobre 1942; circa mezz’ora dopo l’inaugurazione, su Milano si scatenò il primo bom-bardamento, che frantumò i vetri di tutte le finestre. I successivi bombardamenti del 1943 colpirono grave-mente la parte nord-occi-dentale del palazzo. I nuovi

lavori di ricostruzione e di restauro, durati dal 1950 al 1953, furono ancora una volta diretti dall’architetto Reggiori. La denominazio-ne ottocentesca di “Palazzo Isimbardi” fu assunta in modo definitivo proprio negli anni Cinquanta. Agli occhi dei milanesi di oggi, la sede della Provincia di Milano è ormai indistinta-mente tanto la remota ed esclusiva villa suburbana delle origini quanto il mo-derno edificio dove si svol-ge l’attività istituzionale, in un tutt’uno che salda cin-que secoli di storia civile.w w w. c a s t e l l i e v i l l e . i t

Castello di TrezzoAlcuni studiosi fanno ri-

salire il nome di Trezzo alla radice celtica “trecc”, che stava ad indicare un luogo alto e protetto. Que-sto, oltre a valorizzare l’ipo-tesi di una probabile origine celtica dell’abitato, sottoli-nea come il luogo fu scelto dai primi uomini per la sua posizione: il possente pro-montorio a picco sul fiume si presentava infatti come una sorta di fortezza natu-rale, difficilmente raggiun-gibile dai nemici. Su questo lembo di terra, proprio nel punto in cui il fiume dise-gna un’ampia ansa, sorse il primo insediamento celtico, si sviluppò l’abitato roma-no, s’innalzò una fortezza che per molti secoli dall’al-to dominò un lungo tratto del fiume. Per molto tempo il nucleo abitato di Trezzo coincise con il castello, una grande e severa fortezza in pietra con funzioni militari e di controllo del territorio, poco a sud del quale, all’ini-zio del XIV secolo, si confi-gurò un piccolo borgo me-dievale sorto sull’area del preesistente insediamento romano. Posto in posizione strategica su un promonto-rio che si incunea nella pro-spiciente terra bergamasca, che fu per secoli dominio della Serenissima, il Castel-lo rimane a ricordo delle vicende storiche che legano Trezzo alla Milano dei Vi-sconti e degli Sforza. Esso ha origine attorno ad una primitiva rocca longobarda che la tradizione vuole edi-

raneo della villa padronale del castello, con l’interes-samento della Pro Loco, è stata ricomposta la tomba longobarda originale detta “ Del Gigante” , ritrovata con altre tra il 1976 ed il ‘78 du-rante alcuni scavi. Nel 1416 il Carmagnola distrusse l’arditissimo ponte sull’Ad-da, di cui ancora oggi si vedono la spalla e l’attacco.

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ficata dalla regi-na Teodolinda. Da quella prima rocca ebbe ori-gine una tor-mentata storia di lotte, di con-quiste e di morti che vide prota-gonisti Federi-co Barbarossa (1158), i Tor-riani, i Viscon-ti. Qui nel 1385 morì Bernabò, fatto avvelenare dal nipote Gian-galeazzo. Dal Medioevo fino al XVI secolo il corso dell’Adda segnò il natura-le confine tra il Ducato di Mi-lano e le terre di Venezia. Lun-go il corso del fiume venne a crearsi così un’importante linea difen-siva, costituita dalla città fortificata di Lecco, dalle rocche di Brivio, Sulbiate, Bellusco, Trezzo, Cassano, Corneliano, Lodi e dalla cittadella di Pizzighettone “. Le frequenti guerre porta-rono spesso queste fortez-ze militari ora nelle mani dell’una ora dell’altra delle due potenze confinanti: solo il Castello di Trezzo ri-mase, relativamente stabile, ai Milanesi, che ne fecero l’ultimo baluardo del Duca-to verso Oriente. Del castel-lo rimane integra la torre alta 42 metri e il pozzo Ver-cellino del 1400. Nel sotter-

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8 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Villa della Porta BozzoloCasalzuigno, Varese: una “casa nobile”

Immerso nel tranquillo paesaggio della Valcuvia,

una valle prealpina nell’en-troterra lombardo del lago Maggiore, quest’elegante complesso si è andato am-pliando nei secoli attorno

trimonio fondiario, decise di avviare la costruzione di un nuovo edificio attiguo alla “casa nobile”, orga-nizzato attorno a una cor-te d’onore e affacciato su un giardino, di dimensioni

decorazioni ad affresco de-gli interni. A causa dello scarso spazio antistante la Villa, il nuovo parco si an-dò sviluppando in lunghez-za, dal basso verso l’alto, parallelamente alla faccia-ta della dimora. Vennero quindi realizzate, su di-versi livelli, quattro gran-di terrazze collegate da una maestosa scalinata con ba-laustre, statue e fontane in pietra di Viggiù; di seguito, il “teatro”, un ampio prato in leggera pendenza chiu-so da una grande peschie-ra e un ripido sentiero (un tempo forse affiancato da cipressi) immerso nel bo-sco e allungato sulla collina – detta del Belvedere – fino ai confini della proprietà. Si decise inoltre di creare un nuovo asse prospettico, perpendicolare al principa-le che, partendo da un af-fresco raffigurante Apollo e Dafne, situato su una pare-te di una piccola corte ru-stica, si spingeva lungo un ombroso viale di querce, congiungendosi virtual-mente a un’altra pittura (Apollo e le Muse), colloca-ta all’interno di un’edicola con pronao posta a chiusura di questo piccolo “giardino segreto”. In concomitanza della sistemazione del par-co, la Villa venne ampia-mente rivestita di raffinate decorazioni ad affresco e a tempera: la Corte d’onore venne nobilitata da illusio-

nistiche immagini di fine-stre e portali in linea con gli esuberanti decori degli interni, per lo più a sogget-to floreale, ispirati alle poe-tiche rococò della finzione “che inganna la realtà”. Un repertorio di qualità e grande fantasia, che si ri-trova anche sulle prezio-se porte della scenografica Galleria e del Salone cen-trale, una stanza di rappre-sentanza dove, racchiusi in ovali inghirlandati, si pos-sono ammirare alcuni ri-tratti di gentiluomini della famiglia Porta vissuti tra il XVI e il XVIII secolo. Alla morte di Gian Angelo III,

dedicò a un’attenta opera di ristrutturazione sia del-la Villa sia del parco, ridot-ti da anni di incuria in uno stato di grande degrado. Estintosi il casato e dopo al-cuni passaggi di proprietà, l’intero patrimonio passò nel 1877 al senatore Camillo Bozzolo. Dai Bozzolo, do-po un periodo di abbando-no e spoliazioni, nel 1989 il complesso venne infine do-nato (ad eccezione di pochi alloggi, rimasti in usufrut-to alla famiglia) al FAI, che, grazie a ingenti finanzia-menti, ha potuto realizza-re gli interventi necessari per l’agibilità e l’apertura

pero dei rustici, alcuni dei quali adibiti a spazi espo-sitivi o convertiti in locali per manifestazioni e rice-vimenti. Gli interni con-servano ben poco del ricco arredo originario, trafuga-to e saccheggiato da conti-nui e cospicui furti. Tra le poche eccezioni si possono annoverare i magnifici let-ti a baldacchino collocati nelle camere del piano no-bile, risalenti al XVIII se-colo (alcuni integrati in epoca moderna dal FAI), ricoperti da preziosi tessuti coevi e l’arredo ligneo del-la Biblioteca, realizzato nei primi anni del Settecento: gli scuri, le porte, l’impo-nente scrivania e i grandi armadi in noce, all’inter-no dei quali sono conser-vati più di 2000 volumi, in prevalenza dedicati al te-ma della medicina, profes-sione esercitata da Camillo Bozzolo nella seconda metà del XIX secolo. Solo grazie alla generosità di illumina-ti donatori, la Villa ha po-tuto ritrovare negli anni il calore e l’atmosfera di una vera e propria casa nobilia-re: numerosi arredi e opere d’arte dal XVII al XIX se-colo sono stati infatti do-nati e allestiti nelle stanze dell’edificio, con l’intento di offrire una corretta in-terpretazione dell’origina-ria atmosfera domestica.

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San Maurizio al Monastero MaggioreIn passato importante monastero femminile benedettino

Quante volte vi sarà capi-tato di passare in Corso

Magenta e di osservare di-strattamente una delle tan-te Chiese che arricchiscono Milano: San Maurizio al Monastero Maggiore. Una facciata di grigia pietra di Ornavasso, come grigia ap-pare la nostra città e come la nostra Milano “da be-re”, nasconde all’interno una essenza meravigliosa. Si salgono pochi gradini ed entrati si rimane strabilia-ti dalla bellezza che si of-fre, prorompente, ai nostri occhi. Un bagliore di luci dorate e un’atmosfera do-ve l’anima si ricongiunge con se stessa. La Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore è situata all’in-terno di quello che fu il più importante Monastero femminile dell’Ordine Benedettino. La Chiesa venne costruita a partire dal 1503 ad opera dell’architet-to e scultore Gian Giacomo Dolcebuono. Venne com-pletata 15 anni più tardi da Cristoforo Solari. E’ divi-sa in due parti: una pubbli-

ca e dedicata ai fedeli e una riservata unicamente alle

Ivana Metadow monache del Monastero le quali non potevano oltre-

passare la parete divisoria. Solo una volta, nel 1794, fu

loro concesso di entrare nella zo-na pubblica per ammirare l’alta-re. Questa Chiesa è un gioiello di affreschi che la-scia veramen-te senza fiato e ai quali lavoraro-no alcuni tra i più importanti artisti del 500 lombar-do. All’interno la navata unica è coperta da vol-ta e bipartita da un tramezzo che separa lo spazio delle monache, che assistevano alla messa da una grata, da quello dei fedeli. La na-vata è fiancheg-giata da alcune piccole cappelle coperte da volte a botte sormon-tate da una log-gia a serliana. L’attrazione mag-giore della chiesa è il bellissimo ci-

clo di affreschi del XVI se-colo che tappezza tutte le pareti e al quale il visita-tore non può che dedicare estasiato tutta la sua atten-zione. La spettacolare pare-te divisoria è decorata con affreschi di Bernardino Luini con immagini di Sant’Orsola e San Maurizio che affiancano una Pala con l’Adorazione dei Magi di Antonio Campi. Nelle cappelle laterali dell’aula dei fedeli, gli affreschi sono di Aurelio Luini, figlio di Bernardino, insieme ai me-no famosi fratelli. Nell’ala destra le più importanti so-no la Cappella Besozzi e la Cappella dedicata a Santa Caterina d’Alessandria con l’affresco della sua decol-lazione. Nell’ala sinistra si trovano invece la Cappella di San Giovanni Battista, decorata da Ottavio Semino e la Cappella della Deposizione. Sulla parete dalla parte dell’Aula del-le Monache si trovano im-magini di Santa Caterina, di Sant’Agata, delle Nozze di Cana, della Salita al Calvario, del Cristo in Croce e del Cristo morto.

Nell’Aula delle Monache c’è un organo del 1554 opera di Giovan Giacomo Antegnati e i bellissimi af-freschi del Presbiterio: sul-la volta, sullo sfondo di un cielo stellato, immagini di Dio, gli Evangelisti e gruppi di Angeli. Nella parte fina-le è presente l’affresco Ecce Homo, particolarissimi i visi dei manigoldi che de-ridono il Cristo. Il loggiato superiore a serliane è deco-rato da tondi con immagini di Sante, opera di Giovanni Antonio Boltraffio o, più probabilmente dell’ano-nimo pittore noto co-me Pseudo-Boltraffio, con santi e martiri. Uscendo dalla chiesa ed entrando nell’edificio alla sua de-stra che ospita il Museo Archeologico, si possono ammirare il Chiostro del Monastero e nel giardino le due torri di epoca romana, inserite nelle antiche mura di Massimiano. Se vi capi-terà nuovamente di passare in Corso Magenta, non po-trete più osservare distrat-tamente la facciata grigia di questa Chiesa, entrate e ri-empitevi gli occhi di beltà.

all’originario nucleo cin-quecentesco: una Domus Magna posta a dominio di un piccolo insediamento agricolo, comprensivo di alcuni edifici rurali – tra cui un monumentale tor-chio e alcuni rustici con ghiacciaia, cantine e scu-derie – oggi in gran parte ancora conservati. Fu in-torno alla seconda metà del Seicento che l’aristocra-tica famiglia proprietaria dei Della Porta, abbando-nata la professione notarile per dedicarsi all’ammini-strazione del proprio pa-

al tempo piuttosto mode-ste. Si dovettero attendere i primi anni del XVIII se-colo perché, per volontà di Gian Angelo III, da “villa-fattoria” la dimora venisse trasformata in una raffina-ta residenza di rappresen-tanza, con tanto di cappella privata. Desideroso di ar-ricchire la bella casa di fa-miglia di uno scenografico parco, ne affidò la progetta-zione al “pittore et ingegne-re” Antonio Maria Porani, che, insieme con un nutri-to gruppo di artisti, si oc-cupò anche delle preziose

Immagine di © Vivi Papi

Immagine di © Archivio FAI

avvenuta nel 1745, i figli, in gravi difficoltà economi-che, si trovarono costret-ti a vendere la proprietà, in seguito riacquistata dal ni-pote Giuseppe Porta, che si

al pubblico del bene e, ne-gli ultimi anni, ha esegui-to importanti interventi strutturali, riguardanti in particolare il restauro del-le facciate minori e il recu-

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9FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Milano e la ModaDimmi che scarpe indossi e ti dirò chi sei

Milano è una cit-tà sempre in corsa,

quasi elettrica direi, ma in certi periodi dell’an-no assume una veste ve-ramente elettrizzante. Uno di questi momenti è legato alla moda. Tutto il mondo sembra puntare i riflettori sui fantastici pro-dotti creati dagli stilisti ita-liani che, spesso, occupano con i loro volti coperti-ne normalmente dedicate a presidenti, conflitti mon-diali, scoperte sensaziona-li. Armani ne è un esempio. Giornalisti, compratori, Vip, di ogni paese, invita-

ti o meno, fanno a gara per apparire alle sfilate dei no-stri più prestigiosi marchi dell’abbigliamento, quali:

C.B.

Pavia e i suoi museicolo e le collezioni dell‘800 e del ‘900, tra cui emer-ge la Donazione Morone; la Sezione di Scultura Moderna e Gipsoteca; il Museo Luigi Robecchi Bricchetti; e in fine il Museo del Risorgimento, dedicato alla storia locale. Una visi-ta ai Musei Civici è sicura-

rimasto chiuso per qua-si mezzo secolo. Solo la Certosa con la sua splen-dida facciata in stile goti-co varrebbe una visita. Il museo raccoglie opere pro-venienti dal complesso mo-nastico o a esso collegate. Al piano terreno è conser-vata la Gipsoteca nella qua-

Affacciata sulle rive del Ticino, Pavia, una tra

le città d’arte più notevo-li della Lombardia, ha una storia secolare e una cultu-ra artistica e scientifica di grande importanza. A te-stimonianza di ciò, oltre

mente un ottimo modo per conoscere le vicende che hanno riguardato questa città durante il passare dei secoli. Per favorire la frui-zione da parte di scolare-sche e di comuni visitatori dei materiali contenuti nel Museo di Storia Naturale, nell’Orto Botanico, nel Museo di Mineralogia, è stato istituito il Sistema museale d’Ateneo, dove si trovano le collezioni scien-tifiche dell’Università. Qui sarà possibile ammirare l’eccezionale patrimonio di beni culturali, accumu-lati e conservati nel corso della storia di una delle più antiche Università italiane. Infine è impossibile non ci-tare il Museo della Certosa, aperto per la prima volta al pubblico nel 1911 e poi

al famoso Ponte Coperto, al Duomo e alle tante al-tre chiese, bisogna ricorda-re i Musei Civici, i Musei, le raccolte dell’Università e la collezione nel Museo del Monastero della Certosa. I Musei Civici, si trovano dal 1951 al Castello Visconteo, circondato da un grande parco e meta irrinunciabi-le per chi decide di visita-re la città. Le opere tutte di grande qualità, sono conte-nute in splendide sale affre-scate, e sono suddivise in sezioni tematiche: il Museo Archeologico con la stra-ordinaria raccolta di vetri romani; la sala di Pavia capi-tale longobarda; capolavori di scultura romanica, tar-dogotica e rinascimentale; la raffinata Pinacoteca, con dipinti del XIII al XVIII se-

Un patrimonio da scoprire

le sono esposti circa 200 calchi in gesso tratti dai ri-lievi di facciata, dai chiostri e da altre parti del mona-stero, e dal monumento se-polcrale di Gian Galeazzo Visconti, fondatore della Certosa nel 1396. Al piano superiore si trovano para-menti, dipinti e sculture. Fra questi, bisogna se-gnalare la grande Pala di Bartolomeo Montagna e i dipinti su tavola, frammen-ti di polittici, di Ambrogio Bergognone e Bernardino Luini, e gli straordinari al-torilievi marmorei realiz-zati da G. Antonio Amadeo, C. Mantegazza e A. Busti detto il Bambaja. Il pa-trimonio di monumen-ti e musei fanno di Pavia una città che merita sicu-ramente più di una visita.

Prada, Dolce & Gabbana, Versace, Cavalli. L’aria che si respira durante la settima-na della moda alza la tem-

Anna Guainazzi

peratura già alta della città. Nel caos generale di incon-tri, appuntamenti, strade intasate, taxi introvabili, ristoranti felicemente stra-colmi, e locali notturni che prolungano la fibrillazione generale fino a notte fon-da, quello che mi ha sempre colpito quando osservo gli stranieri che corrono sor-ridenti per attraversare la città all’inseguimento della sfilata più esclusiva che c’è, sono sempre state le scarpe. Perché le scarpe? perché la calzatura è un elemento veramente personalizzan-te dell’abbigliamento, dal

quale si potrebbe dedurre, se non fosse possibile vede-re il resto del corpo, conti-nente, nazione, personalità ed abitudini di chi la indos-sa. E se per qualsiasi don-na un tubino nero è un jolly del guardaroba quasi sem-pre uguale, cosa potrà di-stinguere ognuna di queste donne se non le scarpe che indossa. Ballerine, tacchi a

spillo, scarpe da tennis o da barca, sabot di legno, stivali sportivi o con super tacchi, ed ecco che tutto cam-bia, e ci potrà dire se sia-mo davanti ad una cinese, a una francese o piuttosto ad una italiana supermo-daiola. E se Milano pre-senta la ricerca dei tanti

stilisti che ne occupano le passerelle, la Lombardia è la sede di molte aziende del settore calzaturiero e Vigevano ne è l’epicentro, la “città della calzatura” per eccellenza. Vigevano è infatti anche la sede del Museo della Calzatura. I fondatori del prestigioso Museo sono stati: lo stori-co Luigi Barni e l’impren-

ditore Pietro Bertolini al quale è dedicato. Collocato dal 2003 all’interno del Castello, durante gli scavi per il restauro è stata per-sino rinvenuta una pia-nella d’epoca che si ritiene appartenuta a Beatrice D’Este, moglie di Ludovico il Moro. Ma se buona par-te del Museo presenta cal-zature storiche, la parte dedicata al design propo-ne sempre nuovi stilisti. Si alternano creazioni di Pfister, Gucci, Marc Jacobs, Manolo Blahnik o dell’im-pareggiabile Renè Caovilla. La “Sala delle meraviglie” stupisce il visitatore persi-no con un incredibile cap-pello-scarpa disegnato da Salvador Dalì. Come si può notare quindi, la cal-zatura è anche “arte”, un vero feticcio che, da sem-pre, ispira artisti di ogni settore. La troviamo rap-presentata spesso in pit-tura, scultura, fotografia, sempre a farci l’occhio-lino e a confessare con civetteria intrigante la perso-nalità di chi la indossa, qua-si come un “diario segreto”.Durante il periodo del-le sfilate sarà presen-tata una collezione di “SCARPESCULTURA” di-segnata da Clara Bartolini, artista milanese già stili-sta di calzature per mar-chi quali: Fratelli Rossetti, Ugo Rossetti, Magli, Linea Lidia, Calzaturificio di Varese e molti altri. Ne pre-sentiamo una anteprima.

ON POO DE DIALETT

Per comprendere quanto il dialetto milanese fosse articolato, complesso ed al tempo stesso caustico, esaustivo, mirato ed essenziale, dritto all’obbiettivo senza tanti equivoci o fraintendimenti, vogliamo citare solo due parole, con le loro sfaccettature ed i modi di dire ad esse collegati. Cominciamo con la prima, ovvero la “BARETTA”cioè la BERRETTA:

-baretta a la spagnoeula = montiera

-baretta a guss d’oeuv = berretta arrovesciata

-baretta del pecc o col pecc = berretta a lucignoletti (quella berretta a più colori che suol essere delizia de’ contadini)

-baretta a la marinara = berretta feltrata

-baretta de indorador a foeugh = buffa

-baretta de viagg = pappafico

-giugà a foresetta baretta = giocare a prestami la forbice, o ai quattro cantoni

Ed a questo punto andiamo a sbizzarrirci sulla parola FORESETTA, cioè la FORBICE, che si compone di: manegh (aste), anej o oggioeù (anelli), lamm (lame), ciod o brocca (chiodo passante). Col termine foresetta veniva anche indicata una lingua malefica; e in generale, perché è facile dalle ciarle trascendere al mormorare…lingua ciarliera e lingua femminina. Tant’è che su alcuni dizionari si indicano col termine di forbicio-ni “anche quei luoghi ove è crocchio usuale di maldicenza e mormorazione”. Da cui:

-maneggià ben la foresetta = essere buon satirico

Infine il verbo foresettà indica: sbottoneggiare, tagliar le calze ed il giubbone o i panni, lavare il capo col ranno caldo o freddo, coi ciottoli, colle frombole. Mormorare. Dir male d’altrui.

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10 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Inizio la nostra intervi-sta con un dato preci-

so; ho visto un sito internet che ti pone tra i miglio-ri fotografi del mondo.Quali sono i tuoi obiettivi professionali e come sei ap-prodato al mondo dell’ar-te? Sono sempre stato un fotografo impegnato nel-le tematiche sociali pri-ma di essere un fotografo artistico. Ho lavorato con il network d’agenzie Contrasto-Magnum-Katz e ho pubblicato le mie foto di guerre, colpi di stato, cri-si sociali ed altro in riviste come Stern, Spiegel, l’Eu-ropeo e molte altre. Vedere le mie foto che ho realizza-to spesso rischiando la vita, per comunicare, o meglio denunciare un problema, pubblicate tra un inser-to commerciale e l’altro e dover constatare che scuo-

tono ben poco interesse e ancor meno cambiamento nella società, mi ha indotto a cercare altri canali di co-municazione. Adesso sono impegnato nella creazione di opere fotografiche con l’applicazione di testi che s’inseriscono nel circuito artistico, più che in quello mediatico. La serie si chiama “Chi ha rubato il mondo”. Quali sono le caratteristi-che principali di queste tue ultime opere? In questa se-rie anch’io sovrappongo alle mie foto frasi e slogan con gli standard comuni-cativi del linguaggio pub-blicitario o dei media nel tentativo di svincolarmi dai canali di comunicazio-ne per i quali erano creati. Lo scopo di tali messaggi è quello di sottolineare il si-gnificato della fotografia al fine di aumentarne l’effet-to. Si tratta d’immagini che vediamo ogni giorno ma

Hannes Schick e l’Arte di denuncia

che con l`intervento del se-gno scritto si riempiono di nuovi significati. In questa serie utilizzo tematiche co-me la guerra, l’oppressione e l’ingiustizia e applico te-sti con i quali cerco di cre-are un veicolo di denuncia, amplificato proprio dal-la combinazione della pa-rola e dell’immagine in un rapporto di corrisponden-

za e reciprocità, contrappo-nendo immagini reali forti a slogan banali e ironici. Parlami del tuo concetto d’arte e spiega che cosa ti ha portato a creare la com-binazione di testo e foto? Per me l’arte, non è sola-mente un’espressione in-dividuale ma è soprattutto rivolta verso l’esterno. E’ comunicazione l’informa-

zione giornalistica e la pub-blicità che ha influenzato l’arte di Andy Warhol. Il Realismo Sovietico si svi-luppò dai movimenti ar-tistici del momento, dal costruttivismo al suprema-tismo (Michail Larionov, Natalia Goncharova e Kazimir Malevich) cari-cando l’arte di messag-gi rivoluzionari, politici o propagandistici. Le notizie nate con il fine di raggiun-gere un pubblico sempre più vasto sono state divul-gate anche negli anni ‘60-‘70, quando alcuni artisti, per svincolarsi da canali comunicativi elitari, han-no creato un movimen-to che utilizzava gli stessi Standard dei mass media. Artisti che appartenevano a questo filone erano Alain Arias-Misson, Paul De Vree o Julian Blaine, fino a Jenny Holzer e Barbara Kruger. In Italia questa corrente era

rappresentata da artisti del Gruppo 70 al quale appar-tenevano Eugenio Pignotti, Luciano Ori, Ketty La Rocca, Mirella Bentivoglio, Emilio Isgrò e tanti altri. Perché hai scelto Milano per le tue esposizioni? Anche se viaggio molto e sono spesso fuori Milano, la trovo una città interessante dal pun-to di vista professionale per chi, come me vuole vivere in Italia ed essere allo stes-so tempo vicino all’Europa. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Oltre alla mostra “Chi ha rubato il mondo” sto preparando un proget-to sulla donna con il nome “Eva dove vai?” e una mo-stra sul panorama mondiale che si chiama “Guerra con-tro noi stessi”. D’accordo, credo sia sufficiente per dare una visione globale al nostro pubblico rispetto alla tue opere. Grazie mille, Hannes. Grazie a te e a “OK Arte”.

Gian Giacomo Poldi Pezzoli, figlio di Rosa

Trivulzio, ha avuto un’edu-cazione al bello e all’arte del “collezionare” dalla ma-dre e dai suoi predecessori. All’età di 24 anni eredita il Palazzo e il patrimonio ed inizia i lavori di trasforma-zione del suo appartamen-to mescolando stili diversi come era la moda del tem-po. Contemporaneamente inizia a viaggiare e ad ave-re contatti con i più gran-di collezionisti dell’epoca che gli permettono di far arrivare a Milano opere di vario genere: armi, quadri, tappeti, arazzi, vetri, cera-miche, gioielli. Collezioni che trovano sistemazione in stanze dallo stile corri-spondente all’età di quanto esposto, secondo la logica di interpretare la casa pri-vata come una galleria d’ar-te. Alla sua morte, nel 1879, per lascito testamentario la casa e tutte le opere in es-sa contenute divennero una Fondazione Artistica “ad uso e beneficio pubblico in perpetuo colle norme in corso per la Pinacoteca di Brera”. L’amministrazione e la direzione venivano af-fidate a Giuseppe Bertini, il quale nel 1881 inaugurerà il nuovo museo, in occasione dell’Esposizione Nazionale di Milano. Da quel mo-mento esso divenne mo-dello di riferimento per la costituzione di altre grandi case-museo di collezionisti.Il Museo Poldi Pezzoli è una casa museo situata nel cen-

tro di Milano a pochi pas-si dal Teatro alla Scala, in Via Manzoni, 12 e fa par-te dal 2008 del circuito del-le Case Museo di Milano. Rappresenta una delle testi-monianze più interessanti del “collezionismo privato” iniziato da Gian Giacomo e proseguito nel tempo dai suoi successori e dai diret-tori del Museo che hanno arricchito il patrimonio ac-cogliendo le generose do-nazioni di privati e facendo oculati acquisti di opere. Il restauro del Museo dopo il periodo bellico ha lascia-to intatta l’atmosfera otto-centesca e l’ambientazione delle stanze. Oggi è possi-bile ammirare a partire dal pianterreno la Biblioteca, il Salone dell’affresco con

Museo Poldi Pezzoliil Tappeto di caccia e il Ritratto di Giuseppe Poldi Pezzoli, la Sala d’ar-mi, la Sala dei Pizzi e lo Scalone anti-co che porta al piano no-bile. Qui, at-traversato il Ve s t i b o l o , t r o v i a m o la Sala de-gli Stranieri, la Sala de-gli Stucchi, il Salone dorato con opere del M a n t e g n a , del Pollaiolo, del Botticelli ed altri, la Sala del

Ghislandi con un’opera di Frà Galgario, la Sala degli Orologi, la Sala dei Vetri, la Sala del Palma, la sa-la del Perugino e altre sale che racchiudono anch’es-se tesori da ammirare. Tesori che si aggiungono di anno in anno e che la Fondazione onlus della ca-sa museo custodisce gelo-samente secondo l’intento fondamentale di costituire un servizio per la comuni-tà. Proprio per tale servizio che esso svolge è fonda-mentale, se non d’obbligo una visita, non solo del tu-rista straniero, ma del cit-tadino milanese prima, italiano poi, per permettere al Museo di “vivere” anche al di fuori delle sue mura. www.museopoldipezzoli.it.

Giuliana de Antonellis

Il famoso fotoreporter ci racconta dei suoi reportagesAlejandro De Luna

Si è svolta presso la Libreria “Archivi del

‘900” la mostra colletti-va di pittura e di scultura dal titolo: “Incontro Con Quattordici Artisti” a cu-ra di Marina Speranza.L’esposizione racchiude numerose opere figurati-ve ed informali dai colori ben calibrati realizzate con diverse tecniche pittoriche. Sono state presentate e ap-prezzate dal 16 al 28 gen-naio 2009 le opere di:Mara Azzarà, Giuseppe Banfi, Grazia Bocchio, GianBeppe Costa, Karim Feurick, Pasquale Ioverno, Bruno Martinetti, Lucio Oliveri, Caterina Peduzzi, M. Antonia Peruchetti, Renato Restelli, Elisa Scalise, Adelina Strano, Anna Trapasso.

Libreria Archivi del ‘900 via Montevideo, 9 MilanoDal martedì al saba-to ore 10.30 – 19.30 Domenica e lunedì chiusow w w. a r c h i v i 9 0 0 . c o m [email protected] telefono: 02 89423050.

Libreria Archivi del ‘900I.B.

Incontro con quattordici artisti

Bar Il Cortiletto di Achille Cennamiall’interno dell’Accademia di Brera

Opera di Lucio Olivieri

Page 11: OK ARTE Gennaio 2009

11FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Informazioni per pubblicità e redazionali:[email protected] - 347 4300482

PERSONALE DI

CARLA MONTI

Inaugurazione giovedì 26 febbraio ore 18.00Dal 26 febbraio al 21 marzo 2009

Galleria Degli ArtistiVia Nirone, 1 Ang. Corso Magenta 20123- Milano

Tel. 02-867841Orari: 10.00-12.30 16.00-1900

www.carlamonti.it [email protected] tel. 380-3110156

Canale Sky 880 Lunedì e venerdì ore 20/21

Museo di Cinisello Balsamo? Presente, anzi…futuro prossimo!

Il museo sta cambiando. Non più semplicemen-

te un posto dove esporre e conservare opere d’ar-te o, più in generale, be-ni culturali appartenenti al passato recente o remo-to. Esso è luogo dove il con-temporaneo è di scena. Il rapporto che intercor-re tra passato e presente, tra antico e nuovo e se vo-gliamo tra storico e con-temporaneo si concretizza in queste nuove strutture. A Cinisello Balsamo, un piccolo centro poco fuo-ri Milano, è attivo da qual-

che anno un Museo di Fotografia Contemporanea. La struttura stessa tiene in se questo sposalizio tra passato e presente grazie ad un progetto architetto-nico moderno ed elegan-te che si adatta nell’ala sud di una villa d’epoca seicen-tesca (Villa Ghirlanda). Il museo presenta al pubblico un bookshop, una recep-tion, una sala conferenze, una biblioteca, una sezio-ne per la didattica e alcuni progetti di interesse collet-tivo. A questi spazi va ag-giunta e sottolineata l’area multimediale. L’attenzione verso i nuovi sistemi tec-

nologici è lo sforzo che il museo compie per l’aggior-namento dei sussidi tecnici. Dei computer permettono la navigazione sul sito del museo e la visualizzazio-ne delle immagini presen-ti in mostra e nell’archivio, il quale oggi conta circa un milione di fotografie rea-lizzate da trecento artisti diversi tra italiani e stra-nieri. Lo spazio virtuale è l’unico ambiente capace di mettere in mostra tante fo-tografie. A questi computer si aggiunge uno schermo interattivo dove è possibi-le scorrere e visualizzare a tutto schermo le fotografie di molti autori usando di-rettamente le mani. Il mu-seo attualmente presenta due mostre molto diverse ma che rivolgono l’atten-zione ad un tema comune e sempre di attualità: la città. Città che si evolve, si tra-sforma e si mette in gioco. Le fotografie di Francesco Radino ci raccontano la trasformazione del tessu-to urbano e scopriamo dai suoi scatti come questo mu-seo oggi sia più accessibile di ieri. Da gennaio infatti è

Lorenzo Marcianò

Nuove riflessioni sul contemporaneo ed accedervi ora è più facile

attiva una nuova linea me-tro-tranviaria 31 che parte da piazza Lagosta ed arriva proprio al museo passando per viale Zara, Fulvio Testi e il Parco Nord. La seconda mostra allestita al secondo piano pone l’attenzione sui giovani, sul loro modo di vedere la città. Fugaci mo-

menti e curiosi aspetti del quotidiano, interpretati da uno stile nuovo e disinibi-to, sono le fotografie dei ra-gazzi di Milano e Toronto che si confrontano. La cit-tà e i giovani, ecco come il museo diventa contempo-raneo ed il risultato merita la visione per di più se l’ac-

cesso all’intera struttura è gratuita. www.museofoto-grafiacontemporanea.orgvilla Ghirlanda, via Frova 10 Cinisello Balsamo, Milano. Orari di aper-tura: martedì – domeni-ca 10-19, giovedì 10-23. Biblioteca: mercoledì – ve-nerdì 10-19. Ingresso Libero

A Milano, la città che sa-le, il Futurismo è na-

to e ha vissuto la sua prima, entusiasmante stagione. La mostra di Palazzo Reale de-dica al Centenario di que-sta avanguardia rivoltosa e visionaria una mostra ric-ca che occuperà, eccezio-nalmente, l’intero piano terreno della Reggia mi-lanese. Sarà l’evento cen-trale di un ricchissimo programma di iniziative, con manifestazioni di te-atro, cinema, danza, mo-da, che faranno della città, per l’intero 2009, la capita-le del Futurismo. Sono cir-ca quattrocento le opere esposte fra le quali proget-ti e disegni d’architettu-ra, scenografie e costumi teatrali, fotografie, libri-oggetto, oggetti di arte de-corativa, pubblicità, moda, tutti segnati dall’impronta innovatrice del Futurismo. Ridurre l’esame del Futurismo alla sola pittu-ra e scultura rischia infatti di snaturarne il volto, can-cellando quella che resta la sua più vistosa e inegua-gliata specificità. La mostra rilegge l’intera estensione temporale del futurismo, fino allo scadere degli an-

ni Trenta, ed evidenzia da un lato le eredità che rac-colse, dall’altro i lasciti che seppe affidare alle genera-zioni future. La mostra si apre con una panorami-ca della cultura visiva lom-barda di fine Ottocento: il Simbolismo nottur-no e visionario di Alberto Martini, Romolo Romani e Luigi Russolo e, insieme, la scultura di Medardo Rosso, fusa nell’atmosfera e sma-terializzata dalla luce cui attingeranno i futuristi. Ed ecco il Simbolismo di se-gno più mistico di Gaetano Previati, ma anche l’ar-te impegnata nel socia-le di Pellizza da Volpedo. Già in questa sezione d’av-vio entrano in scena i cin-que firmatari dei manifesti pittorici del 1910: Boccioni, Umberto Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini, du-rante la militanza in seno al Divisionismo. Marinetti è infatti il vero detonato-re del nuovo corso dell’ar-te italiana, il demiurgo della rivoluzione esteti-ca che segna trent’anni del nuovo secolo. Di qui in poi la mostra è articola-ta per decenni e di ognu-no individua la dominante estetica. “Gli anni Dieci e

Il Presente del Futurismo

il Dinamismo plastico” si introduce nell’arte quel-lo che viene inteso come il nuovo valore assoluto della modernità. Lungo gli anni Venti, in un’Europa impe-gnata nella ricostruzione dopo la Grande Guerra, l’arte futurista appare for-temente connotata da una nuova esigenza di ordine e di chiarezza non più in an-tagonismo bensì in piena e stretta concordanza con le altre avanguardie europee. Nella sezione dedicata agli anni Trenta e l’Aeropittu-ra viene esemplificato un inedito alfabeto della mo-dernità, frutto della nuovis-sima avventura percettiva consentita dal volo aereo. Da ultimo, una sezione in-titolata “Dopo il futuri-smo” presenta opere di Fontana, Burri, Schifano, Dorazio, e di esponen-ti della Poesia Visiva come Miccini e Pignotti. Tornare in città, afferma l’Assessore Finazzer Flory, è la provoca-zione del nostro tempo per dare forma alle contraddi-zioni della con-temporanei-tà, perché Velocità + Arte + Azione non sono soltanto tre parole-chiave contenu-te nel titolo dell’esposizione ma interpretano perfetta-mente lo spirito futurista.

Francesca Bellola

L’arte è vita: Milano Palazzo Reale 6 febbraio - 7 giugno 2009

Page 12: OK ARTE Gennaio 2009

12 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Tina Parotti e la sua Gallery House

Domenica 8 febbraio 2009 sarà inaugurata la stagione espositiva della nuova sede

della Gallery-House di Tina Parotti ad Arconate (Mi)

Numerosi gli eventi in calendario.

In esposizione oltre alle opere della stessa Parotti, si potranno ammirare anche

le ultime produzioni di Bruno Coen e di Ilaria Locati.

In occasione della festa di S.Valentino, verrà presentata la nuova linea di gioielli in argento: “Fiore” di Tina Parotti.

Le opere sono realizzate artigianalmente a Valenza e in numero limitato.

Inaugurazione domenica 8 febbraio ore 15.00Gallery-House

via Buscate, 25 Arconate (Mi).aperta al pubblico per tutto il mese di febbraio

il sabato e la domenica dalle ore 15 alle 18gli altri giorni su appuntamento

ingresso gratuito

Nel nome delle donneinaugurazione domenica 8 marzo ore 15.00

In mostra opere di:Giusi Boncinelli, Patrizia Cigoli, Isabella Cuccato,

Fabian, Cristina Fumagalli, Margherita Levo Rosenberg, Ilaria Locati,

Tina Parotti

8 - 31 marzo 2009apertura al pubblico

il sabato e la domenica dalle ore 15 alle 18 gli altri giorni su appuntamento

ingresso gratuito

www.tinaparotti.com - tel. 338-2105247

Ferruccio SegantinIl corpo e lo spirito Tradizione formale e tematiche “culinarie”

per un artista capace di conciliare gli opposti

Non sempre la via della ricercatezza composi-

tiva costringe verso la ri-nuncia alla semplicità dello stile, all’immediatezza di lettura di un’opera pitto-rica. È questo che emerge con forza al cospetto dei la-vori di Ferruccio Segantin, artista della provincia mi-lanese, nato a Locate di Triulzi nel 1960, eclettico rappresentante del circolo di Melegnano, di cui entra a far parte già nel 1982. Le sue fatiche sono testimo-nianza della capacità – rara – di far sfociare il sapiente e articolato lavoro di struttu-razione del tessuto croma-tico e lineare delle proprie opere in una resa di mar-cata naturalezza espressiva, di limpida istantaneità co-municativa. Segantin op-ta per tecniche pittoriche mutuate dalla tradizione e sceglie per lo più il figu-rativo, ma anche quando se ne discosta l’equilibrio cromatico e la compostez-za di organizzazione delle sue tele bilanciano la ricer-ca di modalità significati-ve sempre più coraggiose. Semplicità e raffinatezza. Non è solo dal punto di vi-sta formale, però, che l’ar-

Mauro De Sanctis

tista locatese persegue la conciliazione di questa spe-cifica apertura di polarità opposte. È propriamente a livello tematico che tale esi-genza del pittore emerge nella maniera più evidente; non tanto nei paesaggi e nei soggetti en plein air, quan-to in quelli che sono i pezzi più specificamente caratte-rizzanti il suo lavoro: i di-pinti a tema “culinario”. E se la scelta di rappresen-tare portate gastronomiche mette in luce la necessità di un ritorno ai valori fon-damentali dell’uomo, al-le esigenze primarie che prendono forma nella ma-

terialità del “mangiare”, è necessario notare come i piatti che Segantin “ser-ve” sembrino pietanze di alta gastronomia, elabora-te ricette con inconsueti, talvolta arrischianti acco-stamenti di sapore –come pure emerge dai titoli dei lavori–: attraverso la vista, ma anche –genialmente– l’olfatto ed il gusto, l’artista riesce a parlare allo spiri-to di chi guarda, cercan-do di evocarlo nella selva delle corrispondenze si-nestetiche. Cercandolo lì dove lo spirito stesso tro-va nascondimento: nel-le profondità del corpo.

“Urban Passengers”

Alla Galleria d’Arte The New Ars Italica in via

De Amicis 28 a Milano, ancora una volta si pre-senta una giovane artista di talento che, in segui-to ad un importante per-corso artistico e personale, ha raggiunto dei risulta-ti decisamente interessanti. Martedì 3 marzo 2009 si inaugura la mostra di Mariarosaria Stigliano, giovane con al suo attivo già numerose mostre perso-nali e collettive nelle mag-giori città italiane. Saranno esposte circa trenta ope-re inedite tra oli e disegni. Una costante del suo lavoro è la città. Per questa esposizione l’ar-tista ne ha studiato un aspetto in particolare: la città come paesaggio uma-no in movimento continuo, alienante e randomico, è la struttura nella quale si svol-ge la vita di tutti i giorni, di-visa tra fermate d’autobus, tram e stazioni ferroviarie. La stazione come luogo di continuo spostamento, la strada affollata da automo-bili e passanti proiettati in una direzione sempre mu-tevole, ed infine le metro-politane, in cui si alternano momenti di attesa a rapidi passaggi di treni diventa-

no pro-tagonisti di Urban P a s s e n -g e r s , m o s t r a nella qua-le le opere d e l l ’a r -t i s t a M a r i a -r o s a r i a Stigliano sono te-stimoni di un indagine se-gnica sull’impermanenza, la velocità e la transitorietà dell’immagine nella real-tà urbana contemporanea. In questi cardini sostanzia-li, l’evento espositivo pro-pone un percorso in cui emerge una visione dell’uo-mo come continuamente proiettato in una direzio-ne mutevole, diviso tra le innumerevoli strade da percorrere, in scenografie urbane sempre differenti. L’artista mostra con la sua arte, come in uno spec-chio filtrante, quanto tempo della nostra vita vi-

viamo come fantasmi di noi stessi, assimilati gli uni agli altri, senza identità. Quanto camaleonticamen-te perdiamo la nostra na-tura animale per divenire ormai parte, ovvero struttu-ra, dei percorsi che viviamo. Il dinamismo congelato delle sue opere ci rammen-ta ciò che perdiamo con la velocità: il valore dei det-tagli, i sapori dell’unicità. Tutti i suoi protagonisti, in-fatti, in corsa per una par-tenza o per un arrivo, sono anime stemperate nella quotidianità delle azioni, in percorsi stazionari. Vanno. Ma nessuno potrebbe giurare sul loro ritorno. La serata evento di inaugurazione si terrà martedì 3 marzo. Sarà pre-sente l’artista, per incontra-re collezionisti, giornalisti e critici. Le opere rimar-ranno in esposizione fino al 15 marzo. Per informa-zioni: Tel +39 02876533; a r s i t a l i c a @ g m a i l . c om

Mariarosaria Stigliano

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13FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Nicola Brindicci e la fotografia come “arte della scrittura naturale”Nel panorama della foto-

grafia contemporanea, l’artista fotografo Nicola Brindicci emerge per la sua capacità di creare atmosfe-re di grande suggestione con elementi minimi, ap-parentemente banali che, colti dal suo felice modo di guardare il mondo, in-nocente e quasi infantile, si trasformano in metafo-re del cosmo, dell’univer-so immenso e misterioso che ci circonda. Un cosmo che, nell’immaginario di Brindicci, diventa acco-gliente e rasserenante, o troppo vasto per non ten-tare di circoscriverlo in qualche modo. Elementi minimi dicevamo, che evo-cano spazi e luoghi interio-ri oltre che esterni. Luoghi lontani dal quotidiano ep-pure immersi in esso, quei luoghi psichici che in realtà stanno alla base di ogni no-stro atto quotidiano, senza che ce ne rendiamo con-to. Memorie antiche, espe-rienze dimenticate, ricordi dolorosi e felici. Spazi che aprono visioni di pace, di serenità catartica, o ago-rafobia se in quello spa-zio ci sentiamo troppo soli. Ed è di queste atmosfere

che sono intrisi i lavori di scrittura naturale, ferma-ti dall’obbiettivo sapiente dell’artista. Per comincia-re, bisogna fare un viaggio indietro nel tempo, quando la madre di Nicola creava, dopo aver raccolto duran-te le passeggiate erbe e fiori dai prati, dei quadretti fre-schi e poetici. Di quella po-esia si è nutrito Nicola da bambino, e quel bambino rimasto nell’artista, come suggerisce Munari, è stato risvegliato per raccogliere

elementi simili, nei boschi che attraversava d’inver-no nella neve, con la gioia che quella visione di can-dore e purezza gli evocava. Ed è sulla neve che ha ini-ziato a fotografare aghi di pino, semi, più raramen-te foglie secche, li dove li trovava, dopo averli “alleg-geriti” perché fossero ca-paci di comunicare ciò che nel suo animo chiedeva di emergere. Più tardi, è sta-to il desiderio di diventare il “creatore” del suo mon-

do fantastico che gli ha fat-to raccogliere e portare “ a casa” tutti quei reperti, for-se per dar vita ad elementi antropomorfi, a personaggi da fiaba, forse per sentirsi più al sicuro, dominatore di un mondo apparentemen-te chiuso fuori dalla porta.Certamente suggestive queste candide opere “mes-se insieme” su fogli di car-toncino bianco. Personaggi minimi si intuiscono ed emergono con occhi di se-mi rotondi, con corpi di

Clara Bartolini fili d’erba ricurvi. Un uni-verso di figure che, for-se, sapevano dialogare con l’animo bambino di Nicola.Un’arte, la sua, quasi orien-tale, perché del Giappone propone il rigore e la poe-tica, la freschezza e la capa-cità decorativa ed evocativa insieme, della Cina i pit-togrammi e ideogram-mi, segni simbolici di una scrittura che nasce come rappresentazione sintetiz-zata nel tempo, delle “cose” e delle “figure” che rappre-senta, esattamente come fa Brindicci. Che fa parlare la sua fotografia con il pubbli-co, per creare una comuni-cazione tra il suo mondo e quello esterno a lui. Quel mondo che affronta con la leggerezza e la fatica di un

bambino che non capisce tante finzioni e tante volga-rità. Un’arte che al contem-po è anche silenziosa, o che suggerisce il silenzio per es-sere profondamente “sen-tita”, compresa e lasciata sciogliere dentro l’animo di ognuno per essere assapo-rata come un cibo delica-to, che esige palati sensibili e non distratti dal frastuo-no di fondo che tutti invade nel mondo contemporaneo. Colpisce profondamente la “pulizia” interiore che vie-ne sottesa da queste opere. Il lavoro di Brindicci è in-fatti il frutto di un costan-te rigore artistico, di una ricerca fatta di spoliazio-ne dagli orpelli, dagli effet-ti facili, dalla ridondanza fin troppo riconoscibile.

Francesco PalmisanoUn premeditato espressionismo astratto

Si e’ svolta con succes-so di pubblico e criti-

ca, alla Galleria Zamenhof, nell’ampia e luminosa Sala “Emilio Vedova”, dal 14 gennaio al 1 febbraio 2009, la mostra personale (qua-si una piccola antologica) di Francesco Palmisano intitolata “Mondi paralle-li”. E collocazione esposi-tiva non poteva essere piu’ azzeccata: sia per la gran-dezza dello spazio, adat-to ad ospitare le opere di grande formato dell’arti-sta milanese, sia per il no-me della sala, intitolata al

Virgilio Patarini maestro veneziano. I numi tutelari di Palmisano, in-fatti, dal punto di vista sti-listico, sono i due campioni riconosciuti dell’Espressio-nismo Astratto: l’america-no Jackson Pollock e, per l’appunto, Emilio Vedova. I riferimenti sono eviden-ti, espliciti. Nella mag-gior parte delle sue opere l’emergente artista poco piu’ che quarantenne uti-lizza entrambe le modali-ta’ gestuali dei due giganti dell’astrattismo: il dripping di Pollock e le sciabola-te di Vedova… Ma per questo siamo autorizza-ti a considerare Francesco

Palmisano un semplice epigono? Possiamo, solo sulla scorta di una super-ficiale analisi formale delle tele di Palmisano, classifi-care questo pittore come un ‘neo-espressionista astrat-to’? La sua e’ sic et simpli-citer una pittura gestuale? La questione, credo, da af-frontare, e’ quella dell’uti-lizzo, della declinazione di tecniche e stili preesisten-ti; la nostra attenzione, il nostro indagare deve sof-fermarsi dunque sul come questo artista utilizzi drip-ping e gestualita’. Se faccia-mo questo subito balenera’ agli occhi della nostra in-

telligenza, l’uso per cosi’ dire strumentale (manieri-sta?) del retaggio tecnico di Pollock e Vedova perpetrato da Palmisano. Infatti, men-tre i due capiscuola dell’Ac-tion Painting cercano nel gesto una sorta di espres-sione diretta di emozioni e

stati d’animo, in Francesco Palmisano il gesto appare piu’ controllato, mediato, per cosi’ dire, premeditato. Sostanzialmente funziona-le al progetto espressivo. A questo servono cerchi o altre forme che circoscri-vono e separano sgocciola-

ture da sciabolate di colore: a controllare, incanalare il flusso emotivo in forme dal vago sapore archeti-pico e in equilibri media-ti dalla ragione. La mostra è sempre visitabile virtual-mente sul sito della galleria: www.galleriazamenhof.com

Le Aggressioni ambientali di Roberto BorottoMercoledì 4 febbraio

2009 si è inaugurata la mostra personale di Roberto Borotto “Hambients” nel-la sala “Lucio Fontana” del-la Galleria Zamenhof, in via Zamenhof 11, a Milano. La collaborazione di que-sto artista con la galleria Zamenhof è iniziata nel settembre scorso, quan-do sei sue opere sono sta-te selezionate per la mostra “Abstraction Parade” pre-sentata in anteprima a Milano e poi in “tour”, tra gennaio e febbraio 2009, al-la Galleria Ariele di Torino e alla Galleria Il Rivellino

G. Nero e D. Corsetti di Ferrara, con grande suc-cesso di pubblico e di cri-tica. E proprio il successo riscontrato tra gli altri an-che da Borotto ha suggerito alla direzione artistica della galleria milanese di propor-re una sua piccola ma arti-colata kermesse personale in grado di rendere conto della sua lunga ricerca ar-tistica. Da molti anni infat-ti nei suoi lavori di spiccata matrice gestuale, Borotto presenta una vasta carrella-ta di situazioni, ispirate dal contrasto, profondamen-te attuale, dell’ambiente inteso come “ecosistema” in conflitto con gli “am-bienti”, intesi come “spa-

zi” occupati dall’uomo contemporaneo. Ancora una volta dunque, in que-sta mostra, egli affronta il tema dell’invasione uma-na dell’ambiente con ope-re violente, traumatiche. Ambienti suburbani, me-tropolitani, ispirano luoghi dell’anima dipinti in una sorta di espressionismo astratto rivisitato, stratifi-cato, guizzante e “sgoccio-lante”, che si nutre di colti riferimenti a Vedova, Toti Scialoja, De Koonig. La mostra curata da Virgilio Patarini, si intitola “Hambients”, ovvero vedu-te, ambienti e situazioni che fanno parte del nuovo eco-

sistema generato dall’indu-stria, dal “progresso”, dalla “nicchia ecologica” occupa-ta dall’uomo del XXI seco-lo. Un uomo che produce e scarta, che rifiuta e con-vive con questi ambienti, un uomo che ne è vittima ed artefice allo stesso tem-po. Borotto si ritrova a rac-contarsi attraverso questa parata di scorci, in cui, co-me un contemporaneo Virgilio ci accompagna nei recessi di un familiare e tuttavia sconosciuto aspet-to della nostra umanità. Dal 4 al 22 febbraio 2009.Orari di apertura: dal mer-coledì alla domenica, dalle ore 15 alle 19. Ingresso libero. Condizioni ambientali, acrilico su tela, cm 40 x 60

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14 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

L’audace colpo della banda ZamenhofProspettive post moderne

La galleria Zamenhof di Milano con “Prospettive

post moderne” ha propo-sto, tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, una collet-tiva di pittura e scultura in cui veniva favorito il con-fronto fra le affinità degli artisti in mostra pur sen-za ostacolare, anzi rimar-cando, le scelte individuali. Affinità che vertono tutte sul comune intento di far tesoro del prezioso patri-monio delle Avanguardie storiche attraverso il recu-pero, la rielaborazione e l’approfondimento di sti-li e tecniche che rievoca-no i principali movimenti dell’arte moderna, soprat-tutto italiana, della seconda metà del ‘900. Ma anche co-mune bisogno di farsi cu-stodi della tradizione che la contemporanea società, troppo occupata dai pro-blemi dell’oggi, sembra irri-mediabilmente trascurare. Se per Valentina Carrera la

zione di artisti – in buona parte quelli selezionati per le rassegne presentate ed in programma alla Zamenhof – che, conscia del ricco pa-trimonio ereditato dalle Avanguardie storiche, ne elabora, contamina e tra-sforma stili e contenuti per offrire una rinnovata vita-lità all’arte contemporanea italiana. Il concetto di post moderno è una linea di ten-

denza piuttosto ampia. Nel suo ambito convivono ma-nifestazioni espressive di-versificate che originano da atteggiamenti artistici diversi. Riunirli insieme è un’operazione temeraria ed il risultato atteso una svolta importante nell’arte di og-gi. Prendendone parte, an-che solo come spettatori, ci fa sentire parte della Storia. www.galleriazamenhof.com

Stefano Quatrini

In mostra opere di Boscolo, Carrera, Corsetti, Giacobino, Patarini e altri...

ti, espliciti, volutamente ostentati, ma diverse appa-iono le intenzioni degli ar-tisti in mostra. Patarini si rifà ai cementi di Uncini e ai decollage di Rotella per denunciare l’inconciliabi-lità fra la moderna società

Borgonovo e il neo costi-tuito gruppo Polo Positivo – riadatta le invenzioni sti-listiche dei grandi del ‘900 contaminando correnti, movimenti e scuole diver-se fra loro, a volte addirit-tura contrapposte, secondo una propria, libera ed auto-noma poetica in una ricer-ca del bello piuttosto che del nuovo. I tributi ai gran-di Maestri sono eviden-

– simbolicamente una so-cietà del cemento, grigia, immota, senza vita – e le sue origini ben salde nella Natura – visibile nei fram-menti di studi anatomici di Leonardo come nelle tracce umane disseminate qua e là - mentre Boscolo ingran-disce vecchie fotografie dell’Italia agreste del seco-lo scorso per poi graffiare, cancellare e colorare al-cuni particolari conferen-do a quelle immagini una dimensione onirica, di un immaginario collettivo che va perdendosi nei meandri della memoria. Carrera e Corsetti esplicitamente ri-chiamano la pittura astrat-ta ed informale del secondo dopoguerra – Carrera ri-elabora Burri e Tapies, mentre Corsetti utilizza il dripping di Pollock e la ge-stualità energica di Vedova – in una ricerca esistenzia-le e profondamente intima. Giacobino sceglie invece la purezza del bianco per il ciclo dei Koan – moderna interpretazione degli an-tichi dialoghi orientali fra il maestro e il discepolo – per invitare alla riflessio-ne sull’origine delle cose, mentre in altri cicli utilizza i colori primari e la simbo-

logia essenziale fatta di esili linee richiamando gli stu-di di Kandinsky, Einstein, Jung, Freud… Appare do-veroso sottolineare che i cinque artisti presenti in Prospettive post moderne coincidono con i promoto-

tradizione si può rinvenire nella Bibbia o nella cul-tura ebraica, per Simone Boscolo essa è da ricer-care nelle origini contadine e popo-lari dei nostri an-tenati, mentre per Virgilio Patarini sono i greci, Shakespeare e Leonardo i riferi-menti a cui tende-re e per Corsetti certa poesia – Eliot, Coleridge, etc - e certa musi-ca – Bach, Mozart, etc. – non pos-sono mancare in una riflessione profonda sull’Uo-mo ed il suo tra-gico destino come per Giacobino è fondamenta-le considerare un’apertura men-tale, propria dell’orien-te, per tentare di giungere, attraverso il ragionamen-to filosofico e non dogma-tico, ad una nuova visione del mondo. Ognuno de-gli artisti sopra citati co-me anche le “comparse” di Prospettive post moder-ne – presenti con una so-la opera gli scultori Fabio Cuman, Luigi Profeta, Emanuele Racca, Andrea

ri della galleria Zamenhof (a cui si aggiunge Giovanni Grassi di cui si è ammirata l’antologica a cura di Davide Corsetti -- dal 14/01/09 al 01/02/09 nello spazio Burri della medesima galleria). Il loro ruolo acquista così una valenza diversa, più ampia, di animatori di un progetto ambizioso, quasi un mani-festo: riunire una genera-

La banda Zamenhof, da sin. Virgilio Patarini, Giovanni Grassi, Giuseppe Giacobino, Valentina Carrera, Davide Corsetti, Simone Boscolo.

Carrera, Terra promessa, t.m. su tavola, cm 150 x 100, 2008

Corsetti, ‘Sandalphon’, cm 100 x 80, 2008

Boscolo, Il bacio, t.m. su forex, cm 100 x 70, 2008

Patarini, L’insostenibile leggerezza dell’essere e non essere

Giacobino, Koan (dittico), cm 50 x 50, 2008

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15FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Informazioni per pubblicità e redazionali:[email protected] - 347 4300482

Un giardino di fiori di cemento

Con la nuova serie di opere dei “Fiori di ce-

mento”, Virgilio Patarini presenta una tra le più sug-gestive declinazioni della sua ricerca artistica, esplo-rando ed aprendo un nuovo orizzonte sulle intuizioni che caratterizzavano i suoi precedenti lavori. Dalla se-rie degli Ex-Libris a quel-le dei Codici di Leonardo, Patarini affronta ed ana-lizza il tema della comu-nicazione e del linguaggio nell’era contemporanea, tema che inevitabilmente lo avvicina ad artisti come Rauschenberg, Rotella ed Isgrò, ma dai quali si distac-ca più o meno decisamen-te sia per quanto riguarda i contenuti intellettuali e simbolici, sia per quanto concerne le scelte espressi-ve, nelle quali ritroviamo sì, un’affinità ai Combi-paintings ed alle istalla-zioni di Rauschenberg, ma anche una consapevo-le adesione e contamina-zione con l’Action painting di Vedova e l’Informa-le di Fautrier. Nei lavori di Patarini l’operazione “Pop” è affascinante ed inusuale: il recupero infatti non è di immagini ed oggetti quoti-

diani, ma di frammenti di cultura antica e di simbo-li arcaici, tra i quali l’Uo-mo Vitruviano ed i disegni anatomici di Leonardo da Vinci, le pagine di roman-zi di Dostoevskij, dell’Am-leto di Shakespeare, delle tragedie greche, delle ope-re dell’iconografia cristia-na; tutti frammenti di una cultura sulla quale si fonda e si articola il pensiero oc-cidentale e che ancora in-fluenzano, a tutti i livelli, la nostra società. Sfumatura raccolta e raccontata da Patarini che la rende con-clamata, seppur conscio di doversi scontrare con la memoria e l’inconsapevo-lezza della cultura contem-poranea, pigra e massificata da un lato e troppo evoluta dall’altro che, di quelle sue origini, non può che coglie-re dei frammenti. Per que-sto nelle opere di Patarini vi è spesso una dialettica tra “oggetto citato” e “ma-teria pittorica” (specie nella sua espressione più infor-male), che si legge nell’af-fiorare dei frammenti da un mare di materia infor-me, espressiva e gestua-le - ottenuta plasmando cemento, carta, pittura e sperimentando materia-li extrapittorici - elemen-

to che aggiunge tensione e che racconta il tentati-vo dell’artista di conciliare questi due elementi opposti che pur tuttavia alternano i loro ruoli in un “gioco delle parti” in cui arcaico e con-temporaneo si mescolano e si confondono in un sug-gestivo crogiuolo di passio-ne e ragione, ordine e caos, rumore e silenzio, di Eros e Thanatos. Ed è a questa poetica che appartengono, seppur con nuova formu-la d’indagine, le opere della serie dei “fiori di cemento” sulle quali la mostra pone l’attenzione, opere in cui la materia informale dialoga con un “oggetto-fiore” rac-chiuso in un’epidermide di cemento: un involucro ab-bastanza sottile da lasciar-ne leggibile la forma ed allo stesso tempo sufficiente ad ammutolirne l’essenza rin-chiudendola nella propria materia. Un atto preservati-vo dunque, ma che proprio per questo motivo, non può fare a meno di renderne si-lenziosa la parte vitale. Ci si trova dunque di fronte ad uno stallo, un’impasse, eco forse di questi nostri tem-pi, che fanno sì che l’uomo faccia di tutto per celare la propria “essenza” per po-terla preservare, per difen-

Mostra antologica di Giovanni Grassi

Davide Corsetti

Uno scoglio bretone lungo i Navigli di Milano

Si e’ svolta dal 14 gen-naio al 1 febbraio 2009

la mostra personale anto-logica di Giovanni Grassi nello spazio Burri del-la Galleria Zamenhof, in zona Navigli a Milano.La mostra ha presenta-to un’antologia del percor-so artistico di Giovanni Grassi, che si snoda tra sintesi ed espressione, tra rigore concettuale ed istinto emotivo. Il tutto effettuato in anni di con-sapevole studio dei grandi maestri e di attenta ricer-ca di soluzioni personali.Osservando la produzio-ne di Grassi infatti, ci tro-viamo di fronte ad un itinerario che si svolge per mezzo di intuizioni e so-luzioni formali apparen-temente eterogenee ed inconciliabili: opere pitto-rico-scultoree su forma-to quadrato che in qualche modo richiamano, per identità e concetto, l’Hard Edge Abstraction; accanto ad esse, le due enormi ope-re sullo “scoglio bretone” il cui contorno, tagliato in positivo e negativo su lastre di metallo, suggerisce spe-culazioni sulla memoria e la sua mutabilità, indagan-do sul valore del pieno e del

vuoto, di colore e non-co-lore, di interno ed esterno; ed ancora, il ciclo di ope-re pittoriche naturalistiche che ripercorrono, studiano, metabolizzano e rielabora-no i paesaggi di Gauguin,

zione vicina all’astratti-smo cromatico-materico di Chighine; ed infine le ul-time campiture, i mono-cromi che si appoggiano a Rothko per poi allontanar-visi, sino a raggiungere un

lo studio di Malevič su ta-le formato, personalmente ravviso una vicinanza in-tellettuale all’Hard Edge Abstraction americana de-gli anni ‘60, vicinanza che si estrinseca nell’idea per

mine, e che quindi deb-ba essere considerata per il suo valore oggettivo, re-alizzandosi nel suo stesso “esistere”. Secondo questi rispetti, l’opera vive sen-za essere limitata allo spa-zio del quadro poiché ogni suo elemento e l’intera composizione “è” il qua-dro, e che dunque si deb-ba considerare attraverso l’insieme di tutti gli ele-menti che la compongono, sia cromatici che materi-ci che volumetrici. Le so-luzioni formali di Grassi naturalmente sono diver-se dagli artisti Hard Edge, ed includono, nell’aspetto formale, un dialogo tra co-lore e materiali di recupe-ro, trasformati a loro volta in ideali campiture croma-tiche. Questa impostazione dialettica tra oggetto-colo-re-espressione si può cerca-re di ritrovare nelle vedute di Grassi, quelle in cui egli volge lo sguardo indietro, ai maestri del colore, da Van Gogh a Gauguin, ai fauves, per giungere, sulle orme di Rothko, al valore assolu-to della sintesi cromatica-formale. Se il suo utilizzo delle campiture e del gesto impresso dalle pennellate “pastose” possono ricorda-re Van Gogh ed il natura-lismo astratto di Chighine,

le ultime opere monocro-matiche possono essere in qualche modo considera-te una personale chiave in-terpretativa, un ponte, tra l’assoluto valore cromatico inteso in senso quasi “onto-logico” del colore, e l’espres-sività soggettiva del gesto che rende la pittura materia autoreferente, espressione di sé stessa, trasforman-dola in “materia-colore”. Dunque il colore parla di sé attraverso di sé, con il proprio pigmento, con il suo stesso esistere, entro il quale, il gesto, la pennella-ta, ottenute dall’artista per mezzo del sommovimento dello stesso pigmento mo-nocromo, creano la materia dell’uomo, l’interpretazio-ne, generando il chiaroscu-ro ideale in questa logica di purezza cromatica, poiché ottenuto, non da artifici pittorici, bensì dall’intera-zione tra la materia mos-sa e la radiazione luminosa. Così Grassi ci presenta lo stadio più avanzato del-la sua ricerca in questa di-rezione, in cui sintesi ed istinto espressivo, smet-tendo di rincorrersi, si rag-giungono, mostrandoci in una parola, ciò che secon-do Grassi vi è al princi-pio dell’espressione vissuta e rappresentata: il Colore.

la pennellata pastosa di Van Gogh, la selvatica sen-sibilità cromatica dei “fau-ves”, fino a raggiungere la sintesi in un’interpreta-

personale stadio di sintesi espressiva ed emozionale.Partendo dalle opere di Grassi sui quadrati, nelle quali, oltre al richiamo del-

la quale concetto e tec-nica debbano coincide-re, in modo che l’opera sia “espressione di sé stessa” nel senso più puro del ter-

Davide Corsetti

Virgilio Patarini all’Atelier Chagall, con trenta opere ineditederla dall’azione, dall’atto che potrebbe corromperla o addirittura distruggerla. Si, perché a mio giudizio, più che parlare di una na-tura soffocata dal cemento, Patarini ci parla dell’uo-mo e della sua condizione nel mondo contempora-neo. Il fiore utilizzato infat-ti è la rosa, il cui significato simbolico è strettamente connesso sia alla passione umana, che alla simbolo-gia cristiana del sangue del Dio incarnato: il fiore come simbolo dell’anima dell’uo-mo rinchiusa nel cemento. Tuttavia il paradosso che si avverte, passando in que-sto giardino di fiori silen-ziosi, è che li si può sentire. Forse perché, sotto il loro involucro e la loro forma, questi fiori esistono, pulsa-no e vivono. E forse è que-sto che Patarini con il suo giardino di simboli silen-ziosi vuole comunicarci: proprio come quei fiori, la cui essenza è ostaggio del cemento, l’essenza di ogni uomo vive ed esiste al di là della sua forma, un’essen-za prigioniera del timore di mostrarsi e di mettersi in gioco, di rivelare il proprio autentico sentire e di agi-re di conseguenza. Dal 14 febbraio al 5 marzo 2009 Patarini, Fiore di cemento I, cm 120 x 80, 2008

A sinistra La roche tombe’, cm 270 x 380, 1997. A destra Legno, cm 98 x 98

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16 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

FEBBRAIO

giovedì 19 ore 20.30 (A), ven 20 ore 20.00(B), domenica 22 ore 16.00 (C)Giuseppe Verdi Messa da requiem per soli, coro e orchestraChiara Taigi, sopranoMaria Josè Montiel, mezzosopranoFrancisco Casanova, tenoreGiorgio Surian, bassoCoro Sinfonico di Milano Giuseppe VerdiMaestro del Coro Erina GambariniDirettore Wayne Marshall

giovedì 26 ore 20.30 (A), ven 27 ore 20 (B), domenica 1 marzo ore 16 (C)Franz Liszt Hunnenschlacht, poema sinfonicoMazeppa, poema sinfonico Héroïde Funèbre, poema sinfonicoLudwig van Beethoven Sinfonia n. 5 in Do minore op. 67Direttore Martin Haselböck MARZO

giovedì 5 ore 20.30 (A), ven 6 ore 20.00 (B), domenica 8 ore 16.00 (C)Antonio Lauzurika Cuaderno de viajeJean Sibelius Concerto per violino e orchestra in Re minore op. 47Johannes Brahms Sinfonia n. 1 in Do minore op. 68Orchestra de EuskadiViolino Yura LeeDirettore Andrés Orozco-Estrada

giovedì12 ore 20.30 (A), ven 13 ore 20 (B), domenica 15 ore 16 (C)Flavio Testi Canti d’amoreAltri canti d’amore (prima esecuzione asso-luta)Giuseppe Verdi Rigoletto, II attoDirettore Giampaolo Bisanti

giovedì 19 ore 20.30 (A), ven 20 ore 20 (B), domenica 22 ore 16 (C)Karol Szymanowski Concerto n. 2 per violi-no e orchestra op. 61Anton Bruckner Sinfonia n. 8 in Do minoreViolino Natasha KorsakovaDirettore Juanjo Mena

giovedì 26 ore 20.30 (A), ven 27 ore 20 (B), domenica 29 ore 16(C)Ludwig van Beethoven Concerto n. 3 in Do minore per pianoforte e orchestra op. 37Joseph Haydn Sinfonia n. 48 in Do maggiore Maria TheresiaRichard Strauss Der Rosenkavalier, suitePianoforte Robert BlockerDirettore Giuseppe Grazioli -------------------------------------------------Direttore Onorario Riccardo ChaillyDirettore Emerito Rudolf BarshaiDirettore Principale Vladimir FedoseyevDirettori Principali Ospiti Wayne Marshall, Helmuth RillingArtisti Residenti Radovan Vlatkovic, Simone PedroniAuditorium di Milano Fondazione CariploLargo Gustav Mahler, MilanoBiglietteria: dal martedì alla domenica dalle 14.30 alle 19.00 (chiusura lunedì) Tel. 02. 83389 401/402/403

La Stella del FiumeA pochi minuti da

Milano è possibile rilassarsi e godersi la na-tura sulle sponde del fiu-me Adda. Gli amanti delle passeggiate e del trekking possono godersi il panora-ma della riserva naturale che regala, specialmente al tramonto, dei colori incan-

tevoli e indimenticabili ai fortunati visitatori. In que-sto clima poetico di Trezzo d’Adda, si trova il ristoran-te: “La stella del Fiume”. Il locale dispone oltre che di una sala per banchet-ti, cerimonie, pranzi e cene aziendali, di una veranda immersa nel verde con vi-

sta sul fiume ideale per le cene romantiche a lume di candela. Il menù dai prez-zi modici è allettante, offre infatti tra le specialità: pe-sce, carne alla griglia e ri-sotti preparati con cura dal giovane proprietario e Chef Alberto. E’ il deside-rio di molti trascorrere una giornata serena degustan-do i piatti tipici in piacevo-le compagnia. La Stella del Fiume rispetta la tradizione e il sapore anche con la piz-za, rigorosamente cucina-ta in forno a legna, sempre oggetto di soddisfazione dei clienti. Ampio parcheggioVia Alzaia, 1320056 Trezzo S/Adda (MI)Info e prenotazioni:Tel. 02-9091693www.lastelladelfiume.it

Nel bicentenario della Pinacoteca a confronto quattro capolavori del grande artista lombardo

Caravaggio ospita Caravaggio

Dopo aver potuto vedere a Palazzo Marino, fi-

no a dicembre del 2008, la bellissima Conversione di Saulo della collezione ro-mana Odescalchi, ancora con Caravaggio si aprono le manifestazioni per il bi-centenario della Pinacoteca di Brera. In questa occasio-ne la Pinacoteca ospita, ac-canto alla Cena in Emmaus custodita a Brera, la pre-cedente versione di que-sto tema che il Merisi aveva dipinto per Ciriaco Mattei nel 1602, e che dal 1839, si trova alla National Gallery di Londra. A queste opere si aggiungono due impor-tanti tele giovanili: il bellis-simo Ragazzo con canestra di frutta della Galleria Borghese di Roma e il subli-me Concerto di proprietà del Metropolitan Museum di New York, entrambe ap-partenute in origine al-la collezione del cardinal Del Monte, primo protetto-re del Merisi al suo arrivo a Roma nel 1592. Pochi scel-tissimi capolavori dunque, per una “mostra dossier” aperta al pubblico fino al 29 marzo 2009, pienamente nello spirito dell’istituzione milanese che richiama alla memoria un tratto crucia-le del collezionismo cittadi-no: la tela braidense, infatti,

non giunge in Pinacoteca a seguito delle soppressioni napoleoniche, come buo-na parte delle opere rac-colte, ma soltanto nel 1939 per volontà degli Amici di Brera, da lì a poco sciolti dal regime, che l’acquista-no dalla romana collezio-ne Patrizi dove si trovava almeno dal 1624. A ma-novrare l’operazione, che esprime ad alti livelli lo spi-rito civico e illuminista del collezionismo milanese fra Otto e Novecento, è uno dei grandi soprintendenti di Brera, Ettore Modigliani, che sarà presto rimosso a

seguito delle leggi razzia-li. E’ uno degli ultimi gesti che riesce a fare, come sot-tolinea bene Amalia Paci nel catalogo della mostra, per la “sua” Pinacoteca. Non corrono molti an-ni fra le due versioni del-la Cena in Emmaus, ma fra esse è avvenuto un ra-dicale mutamento. La tela di Londra è molto teatra-le, giocata su un eloquente dialogo di gesti; il discepo-lo Cleofa, sulla sinistra, di spalle, ha avuto un sobbal-zo sulla savonarola, mentre il suo più anziano compa-gno, con la conchiglia del

pellegrino appuntata alla giacca come una medaglia, allarga le braccia in ma-niera plateale. L’oste, com-primario in secondo piano (che, osserva Mina Gregori, ha un precedente in una te-

la di Tiziano), è un giova-ne tarchiato e ruspante che non sembra comprende-re l’evento sotto i suoi oc-chi, anzi resta in attesa con le mani alla cintura. Il suo più anziano collega brai-dense invece rimane as-sorto, come persona che molto ha visto e molto ha vissuto, tanto da non stu-pirsi più. Colpiscono, nel-la tela di Londra, i bianchi abbaglianti, dalla tovaglia al rovescio delle maniche, tutti freschi di bucato a far risaltare il pasto imbandito sulla tavola e ancora intat-to. Piacerebbe immagina-re il ragazzo della Galleria Borghese accostarsi al-la mensa per posare il suo dono di frutta appena col-ta guarnita di foglie di fi-co a decorazione. Da lì in fondo partono tutte le ri-flessioni sulla natura morta del Seicento, soprattutto a Roma. Da una tela all’altra il tono si è fatto più raccol-to, la notte più scura; i pro-

tagonisti, come inghiottiti dall’ombra, sono molto in-vecchiati. La tela è «più tin-ta», nel ricordo del Bellori, il florido Cristo risorto coi lunghi capelli a torciglio-ni è diventato più emaciato, compìto nel gesto eucari-stico. Anche i discepoli so-no molto invecchiati, e così l’oste al cui fianco è com-parsa una donna ancora più anziana di lui. La tavola è scarna: è rimasto un piat-to con un pane già spezzato adagiato su un letto d’insa-lata, mentre il boccale sul-la destra, notava Longhi, «è toccato quasi nei modi di un Franz Hals». Anche nel-la vita di Caravaggio del re-sto era avvenuto un evento drammatico: il 28 maggio 1606 aveva ucciso Ranuccio Tomassoni e si trovava a dover lasciare Roma per Napoli. Iniziava un perio-do di travagliato girovaga-re: l’ultimo della vita del pittore, che si spegnerà so-lo quattro anni più tardi.

Luca Pietro Nicoletti

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LA VERDI - AUDITORIUM DI MILANO

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17FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Personali Visioni

Continuano le mostre nell’ambito della ras-

segna: “FormArt” orga-nizzate dalla rivista “Ok Arte” presso la Galleria Zamenhof in zona Navigli.

Dopo “Infinite realtà” titolo della prima collettiva inau-gurata nel novembre scorso che prevedeva la valoriz-zazione degli artisti emer-genti, si prosegue con la seconda esposizione di pit-tura e di scultura intitolata:

di buon livello. Per questo motivo, la rassegna è rivol-ta agli artisti provenienti da tutto il mondo che di-mostrino di essere dotati di una spiccata sensibilità verso ogni forma di espres-sione artistica. La prima esposizione, in cui sono state presentate una venti-na di opere, ha dimostra-to che il futuro dell’arte è in fermento e che solo chi possiede una grande for-za di carattere e di animo e quindi non si ferma davan-ti alle numerose delusio-ni, inizialmente inevitabili, ha tutte le potenzialità per imporsi. Uno degli obietti-vi della mostra, oltre a fa-vorire l’aggregazione tra gli artisti italiani, è quello di dare loro l’opportunità di confrontarsi ed esprime-re al meglio, idee e creativi-tà. I dieci artisti in mostra rappresentano seppur con stili e tecniche diverse, at-traverso le loro opere, i vari linguaggi della società at-tuale. Il confronto sui con-tenuti è d’obbligo; in alcuni riaffiora un percorso di ri-cerca individuale basato sull’amore per l’estetica, in altri si nota una ricerca di rinnovamento anche post-moderno e in altri ancora s’individua un avvicina-mento al classicismo o al tradizionale; infine c’è chi applica una rottura degli schemi in maniera rivedu-ta. Sono giunti in redazio-ne centinaia di curriculum di artisti per partecipare al-le collettive in programma. E’ stato fatto un notevole lavoro di selezione che ha

Ivan Belli

Rassegna d’Arte Contemporaneadato l’opportunità a pochi ma validi artisti emergen-ti e non, di essere inseriti in questa ambita e difficile “piazza” dell’arte milane-se. “Personali Visioni” evi-denzia dieci giovani artisti diversi tra loro ma simili per concezioni e attitudini nell’esprimere attraverso le loro creazioni, emozioni in-time che sorgono dal pro-fondo. Espongono: Stefano Cerioni, Caroline Culubret, Endza, Alessandro Monti, Dino Maccini, Marco Nones, Stefania Presta, Sergio Santilli, Ferruccio Segantin, Beatrice T. Garzòn. Lo scultore tren-tino Nones scolpisce con rara sensibilità il legno co-me pochi; la giovane Presta fa trasparire la sua napo-letanità con delle visto-se pennellate; Maccini, con grande maestria, crea mosaici di grandi dimen-sioni; Santilli si prodiga nell’astrattismo con gran-de intensità; Endza, di or-gini armene, esibisce la suapittura espressionista; Segantin regala le tele di semplicità e naturalezza;

Inaugurazione mercoledì 25 febbraio 2009 ore 18.30Espongono:Stefano Cerioni, Caroline Culubret, Endza, Alessandro Monti, Dino Maccini, Marco Nones, Stefania Presta, Sergio Santilli,

Ferruccio Segantin, Beatrice T. Garzòn

25 febbraio – 15 marzo 2009 Sala Emilio VedovaGalleria Zamenhof via Zamenhof,11 Milano

dal mercoledì alla domenica ore 15- 19. Lunedì e martedì chiuso.

Calendario delle successive mostre FormArt:08 Aprile – 26 Aprile 2009

20 Maggio – 07 Giugno 2009

Per partecipare alla selezione e richiedere ulteriori informazioni sulle prossime mostre, è necessario inviare curriculum con

recapito telefonico e fotografie di almeno 5 opere via email a: [email protected] o [email protected] tel. 347-4300482

entro il 20 marzo 2009.

e Cerioni si prodiga in scul-ture moderne e funzionali.

Il logo di FormArt è sta-to ideato da Ann Mari Johansen. FormArt prose-gue con altre due mostre collettive in programma dall’8 Aprile al 26 Aprile 2009 e dal 20 Maggio al 07 Giugno 2009. Continuano le iscrizioni degli artisti di tutta Italia

tivo, OkArte, diretto non solo ad un’élite di esper-ti d’Arte, ottiene lo scopo di estendere a tutti i letto-ri il godimento delle nu-merose bellezze del nostro Paese preservandolo dal-le brutture e dagli scem-pi costruiti spesso per fini speculativi e di sostenere attraverso FormArt le nuo-ve realtà più rappresenta-tive nel campo artistico.

Stefania Presta

Endza

Dino Maccini Ferruccio Segantin

Alessandro Monti

Sergio Santilli

Caroline Culubret Marco Nones

Beatrice T. Garzòn

“Personali Visioni”. L’evento, cura-to da Francesca Bellola, è rivol-to soprattutto al pubblico più at-tento e sensibile alle nuove ten-denze dell’arte contemporanea. Mentre “Ok Arte” si occupa prevalentemente della valorizza-zione delle di-more storiche di Milano e del-la Lombardia, FormArt indi-vidua il talento come il prota-gonista per co-ordinare mostre

per partecipare a queste due pros-sime esposizioni. Il giornale “Ok Arte”, trattan-do di argomenti che riguardano in modo par-ticolare la pro-mozione del patrimonio e la salvaguardia del nostro territo-rio, è in perfet-ta simbiosi con la volontà di far conoscere ad un pubblico sem-pre più vasto le nuove genera-zioni artistiche. Per questo mo-

Garzòn inizial-mente impressio-nista, mostra una certa curiosi-tà verso l’astratto; Culubret, artista spagnola, studia i particolari fino a quando non tro-va la resa di un realismo impres-sionante; Monti sa calibrare in ma-niera naturale i co-lori della tavolozza

Stefano Cerioni

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18 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Un viaggio a Milano:tra i personaggi e le storie

del Corriere dei PiccoliLorenzo Vicino è un’ar-tista autodidatta Nasce

a Torre Orsaia (SA), vive ed opera ad Agropoli divi-dendosi tra due attività, ar-tistica ed imprenditoriale.Il Laboratorio sperimenta-le per le arti visive espone per la prima volta a Milano alcune opere dell’artista. Un percorso artistico im-pegnato, legato al mondo dell’interior design, la pas-sione di Lorenzo è il colo-re che arreda, che si stende, che crea emozioni e senti-menti. L’artista sperimenta e si confronta con svariati materiali. Per le sue opere pittoriche utilizza essen-zialmente supporti rigi-di come legno, multistrato, materie plastiche. Le tecni-che utilizzate sono del tut-to personali. Variano dalle

Giuliana de Antonellis

Lorenzo Vicinotecniche miste come l’uti-lizzo di vernici sintetiche al collage polimaterico con sabbia e vernici industria-li. Per quanto riguarda le sculture, Lorenzo Vicino utilizza materiali come al-luminio, legno e materia-li riciclati. Tutti i materiali vengono assemblati e soste-nuti ed inglobati in un’uni-ca forma che crea forme geometriche nello spazio. I soggetti delle opere sono sempre di tipo astratto, ma i titoli suggeriscono perfetta-mente la lettura dell’opera.Gli elementi che compon-gono l’opera sono creati at-traverso la stratificazione di colori primari. Le ope-re sono pensate per arre-dare abitazioni moderne con un’attenzione partico-lare al minimo dettaglio.Lorenzo Vicino crea un di-segno di base ma attraver-

so il colore crea le forme ri, definisce gli spazi an-che attraverso stratifica-zioni materiche del colore.Le opere di Vicino so-no d’ispirazione pop per quanto riguarda la scel-ta dei colori e dei mate-riali ma la forma e la sua tipologia d’astrazione è le-gata al neoconcretismo di Newman Barnett, un’ar-tista che utilizza il colo-re per creare delle forme astratte che si stendono nello spazio con la massi-ma intensità e vibrazione.Nelle sculture l’artista crea delle strutture primarie che mantengono una li-nea semplice e diretta. In particolare nella scultura Segmenti Vicino crea attra-verso dei tubi in alluminio come una trama, uno spa-zio allusivo pronto a cattu-rare pensieri ed emozioni.

L’archivio storico della Fondazione del Corrie-

re ci regala ancora una volta una mostra che suscita non poche emozioni al visitato-re grande o piccolo che sia. Girando tra le sale è facile lasciarsi trasportare dai ri-cordi osservando le pagine ingiallite dal tempo e le sto-rie lette e rilette, che anco-ra oggi ci stupiscono per la loro freschezza e originali-tà. Storie e disegni che fece-ro la fortuna del periodico.Dal 22 gennaio al 17 mag-gio 2009 Milano ospita alla Rotonda di Via Besana la bella mostra Corriere dei Piccoli. Storie, fumetto e il-lustrazione per ragazzi. Pro-mossa e organizzata dalla Fondazione Corriere della Sera, che ha messo a dispo-sizione il suo imponente archivio storico -come già avvenuto per la precedente esposizione dedicata alla Domenica del Corriere- la mostra è prodotta da Palaz-zo Reale in collaborazione con Skira e vuole celebrare il centenario della nascita del fortunato giornale per ragazzi -il cui primo nume-

ro esce il 27 dicembre 1908. La mostra, curata da Gio-vanna Ginex, permette di vedere più di trecento ope-re di straordinaria qualità grafica. Numerosi furono i talenti che contribuirono al successo del giornale, tra i tanti ricordiamo Ada Ne-gri, Dino Buzzati, Gianni Rodari, Mino Dilani, il gio-vane attore e disegnatore Sergio Tofano, ideatore nel 1917 del celeberrimo per-sonaggio di Bonaventura, Carlo Bisi, la cui notorietà è indissolubilmente legata alla fortuna di uno dei suoi personaggi: Sor Pampurio, apparso nel 1929. A questi si aggiunge Grazia Nida-sio, creatrice di personaggi come Violante, Valentina Melaverde, Dottor Oss, fino alla Stefi. A lei e a Bisi, così come ai principali altri il-lustratori del giornale, vie-ne dedicata in mostra una sezione monografica, con disegni originali ed esempi di numeri pubblicati, da cui emergono, oltre alla straor-dinaria qualità artistica di ogni singola opera, anche l’articolato percorso tec-nologico che, dal disegno originale, porta alla pub-

blicazione stampata. Oltre ai disegni originali degli autori prima ricordati, in mostra sono esposti fogli e tavole di pubblicato, tra gli altri, Bruno Bozzetto, Hugo Pratt, Mario Uggeri, Beni-to Jacovitti, Guido Crepax, Milo Manara, Tullio Altan, insomma i migliori dise-gnatori della lunga storia del giornale che, con la loro raffinata e colta figurazio-ne, hanno fatto del Corrie-re dei Piccoli il periodico per ragazzi più amato per un intero secolo. Comple-tano l’allestimento, a cura di Franco Achilli, oggetti d’epoca, giocattoli derivati dai comics statunitensi e dai personaggi del Corriere dei Piccoli; burattini per i teatrini delle stanze dei gio-chi e marionette d’artista della Compagnia di Gianni e Cosetta Colla; pupazzi dei personaggi che il giornale condivide, dagli anni Ses-santa, con la televisione, specialmente Carosello, e i cartoni animati come Topo Gigio e la Pimpa. Il catalogo della mostra, edito da Skira, contiene la storia di questa straordinaria avventura e dei suoi grandi protagonisti.

Valeria Modica

Movimenti e protagonisti

19 febbraio 2009

Gli amici del caffè Voltaire: Dada tra Europa e America

A cura di F. M. ConsonniNasce ufficialmente il pri-mo febbraio 1916 il mo-vimento artistico detto “Dada”, da un gruppo di giovani artisti e letterati che propongono attività cultu-rali in un’atmosfera di idee provocatorie ed esaltanti, caratterizzate dall’assenza volontaria di programmi. L’intento è quello di basarsi su una assoluta mancanza di premesse e di praticare una ribellione verso tut-te le forme d’arte esistenti, come sintomo di una nuo-va concezione artistica.

5 marzo 2009

Marcel Duchamp: Rose c’est la vie

A cura di V. BrogginiMarcel Duchamp è il più enigmatico, con-troverso, conosciuto ed influente protagonista dell’arte del novecento. Accostarsi allo studio del suo personalissimo discor-so sull’arte, a partire dai celeberrimi ready made, significa immergersi in te-matiche fondanti, che, nate in seno alle avanguardie storiche hanno in seguito ispirato le seconde avan-guardie degli anni Sessan-ta, risultando ancora oggi di sconcertante attualità.

Informazioni e IscrizioniMuseo d’arte contem-poranea- V.le Padania 6 20035 Lissone -Mi. Telefono: 0392145174- fax 039 461523 www.comune.lissone.mb.it

Ubelly Guerrero MartinezUbelly Guerrero

Martinez nasce a Victoria Caldas, in Colombia. Nella sua pittu-ra si celano ricordi di cose che furono, ricordi passa-to, l’immergersi in splendi-di paesaggi lussureggianti abbandonando la quotidia-nità dell’esistenza, talvol-ta grigia e triste. Mediante queste poche parole, sem-plici ma incisive, si coglie l’aspetto più profondo della tematica che si cela dietro le tele della Guerrero: ella infatti, ci racconta di terre lontane, fissando, attraver-

Museo di Lissone: Lezioni e Conferenze

sull’Arte Contemporanea

so la pittura, il primitivo na-turalismo dei suoi luoghi d’origine, per i quali ella pro-va una sorta di triste nostalgia emotiva, per-cepibile nello sguardo ma-linconico dei p e r s o n a g g i raffigurati, il quale diventa talvolta sguardo d e l l ’ a r t i -sta stessa.

Bar Il Cortiletto di Achille Cennami

all’interno dell’Accademia di Brera

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19FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Magritte

Più di cento lavori del vi-sionario artista belga in

mostra a Palazzo Reale fi-no al 29 marzo. «Il mondo visibile è abbastanza ricco per dar vita a un linguag-gio che evochi il mistero». Le parole di René Magritte

della natura” è il titolo che i curatori del percorso espo-sitivo – Michel Draguet e Claudia Beltramo Ceppi – hanno dato alla rassegna di cento dipinti, accompa-gnati da gouaches e scultu-re, provenienti dai Musées Royaux des Beaux Arts del Belgio e da numerose colle-

vori del periodo che separa le due guerre, fino alla più nota e apprezzata produ-zione postbellica. L’intento è quello di portare nelle sale espositive lo sguardo di un autore, tra quelli del Novecento europeo, che ha indagato il tema della na-tura nella maniera più pro-fonda e radicale, «in quello che essa ha di non ricon-ducibile alla cultura», se-condo le parole dello stesso Draguet. Il lavoro del pit-tore nato a Lessines si svi-luppa senza mai voltare le spalle al visibile, ma cercan-do di celebrarne il mistero attraverso la disgregazione di quegli schemi cultura-li che incatenano l’oggetto del vedere umano. La ma-no di Magritte intervie-ne per sovvertire la logica che struttura tali schemi, ottenendo effetti di scon-certante straniamento ed eccezionale forza poetica attraverso la decontestua-lizzazione o il sovradi-mensionamento di oggetti comuni e familiari, acco-stamenti incongruenti, il-lusioni ottiche. In questo modo l’artista costringe lo spettatore a ripensare il proprio sguardo, a ricrear-lo secondo leggi nuove, a guardare le cose più fami-liari come se si presentas-sero per la prima volta alla vista. Come se nascessero a nuova vita: forzando co-sì – di prepotenza – il vi-

Mauro De Sanctis

Il mistero della natura

sibile verso l’invisibile. Il mistero della visione, cele-brato nel mistero della na-tura. Troveremo, in questo modo, esposti lavori co-me Souvenir de voyage, del 1961, dove una mela verde mascherata per il carneva-le si spoglia del proprio lo-

goro significato usuale per rivestirsi di una luce nuo-va, viva – l’essenza stessa del carnevale! – ; oppure L’empire des lumières, in cui luce e tenebre acqui-stano pienezza di senso sul limitare del paradosso; o ancora L’Heureux dona-

teur, che presenta un’abi-tazione nell’oscurità di un bosco, sopra di essa un cie-lo stellato: ma tutto incor-niciato all’interno della sagoma di un uomo con la bombetta, presso di lui un muro di pietra; presso di lui – dentro di lui – un mondo.

Giovedì 12 febbraio 2009 – ore 21.00 Conservatorio G. Verdi Violoncellista STEVEN ISSERLIS – Pianista OLLI MUSTONEN

B. BRITTEN: Sonata per violoncello e pianoforte in do maggiore op. 65O. MUSTONEN: Sonata per violoncello e pianoforte

I. STRAVINSKY: Russian Maiden’s SongJ. SIBELIUS: Malinconia per violoncello e pianoforte op. 20

B. MARTINŮ: Sonata per violoncello e pianoforte n. 1 H. 277Biglietti: Intero € 15,00 Ridotto € 10,00

Venerdì 13 febbraio 2009 – ore 21.00 Conservatorio G. Verdi CAMERATA DEI LAGHI – Direttore D. AGIMAN

Soprano D. MAZZOLA GAVAZZENIR. WAGNER: Brani da: Tannhaüser, Vascello Fantasma, Lohengrin (III Atto)

Maestri Cantori di NorimbergaBiglietti: Intero € 20,00 Ridotto € 15,00

Lunedì 16 febbraio 2009 – ore 21.00 Conservatorio G. Verdi

Pianista PIOTR ANDERZEWSKIJ. S. BACH: Partita n. 2 in do minore BWV 826

L. v. BEETHOVEN: Sonata n. 18 in mi bemolle maggiore op. 31 n. 3B. BARTOK: 14 Bagatelle op. 6, Sz. 38

L. v. BEETHOVEN: Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110Biglietti: Intero € 15,00 Ridotto € 10,00

Venerdì 20 febbraio 2009 – ore 21.00 Conservatorio G. Verdi

Pianista SIMON TRPCESKIF. CHOPIN: Mazurca in sol minore op. 24 n. 1, Mazurca in si bemolle minore op. 24 n. 4,

Mazurca in la minore op. 17 n. 4, Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 35C. DEBUSSY: Children’s corner

S. PROKOFIEV: Toccata op. 11, Sonata n. 7 in si bemolle maggiore op. 83Biglietti: Intero € 15,00 Ridotto € 10,00

Lunedì 23 febbraio 2009 – ore 21.00 Conservatorio G. Verdi Pianista ANDRAS SCHIFF (Progetto Mozart I)

W. A . MOZART: Sonata in la maggiore K 331, Rondò in re maggiore K 485 Adagio in si minore K 540. Nove Variazioni in re maggiore su un Minuetto di Duport K 573

Sonata in do maggiore K 545, Sonata in la minore K 310 Biglietti: Intero € 20,00 Ridotto € 15,00

Venerdì 27 febbraio 2009 – ore 21.00 Teatro Dal Verme Vincitrici del 1° Concorso pianistico internazionale SpazioTeatro89 –

Premio “Encore! Shura Cherkassky” ORCHESTRA CANTELLI: Dir. A. RAFFANINI - Pf. R. CHERNYCHKO –

Pf. M. PERROTTA – Pf. V. YERMOLYEVAJ. N. HUMMEL: Concerto in la minore op. 85 (Chernychko)

F. CHOPIN: “Krakowiak” Gran Rondò da Concerto in fa maggiore per pianoforte e orchestra op. 14 (Perrotta)

G. FAURÉ: Ballade per pianoforte op. 19 (Yermolyeva) F. MENDELSSOHN: Rondo brillante op. 29 (Perrotta) C. SAINT-SAENS: Wedding cake op. 76 (Yermolyeva)

Biglietti: Intero € 20,00 Ridotto € 15,00

Domenica 22 febbraio 2009 - ore 17.00 SpazioTeatro89, Via Fratelli Zoia 89 Milano“Pazzamente, smisuratamente”- (S)concerto di Carnevale

Con i FREAKCLOWN – Violinista P. SACCO – Pianisti L. SCHIEPPATI e A. CARMEN SAITO Azioni coreografiche a cura di M. MAZZEI

I. STRAVINSKY: Suite ItalienneD. MILHAUD: Le Boeuf sur le toit

E. SATIE: Parade

Per informazioni e prenotazioni:Serate Musicali Uff. Biglietteria Tel: 02/29409724 dal lun. al ven. 10.00 - 17.00

e-mail: [email protected] - sito: www.seratemusicali.it

sintetizzano perfettamen-te l’idea posta alla base del-la mostra a lui dedicata che Milano ospita a Palazzo Reale dal 21 novembre scorso sino al 29 marzo 2009. “Magritte. Il mistero

zioni private. L’evento con-sentirà al pubblico milanese di entrare in contatto con il genio visionario dell’arti-sta belga, la cui opera sa-rà ripercorsa interamente, dagli esordi futuristi ai la-

Sala Verdi del Conservatorio – Via Conservatorio, 12 - MI - ore 21.00 Teatro Dal Verme – Via San Giovanni Sul Muro,2 - MI- ore 21.00

serate musicali: concerti di febbraio

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20 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

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FabrintervistaPoliedrico ed eccentri-

co, Fabrizio di “Linea Primitiva” ha fame di cu-riosità ed interesse, uno spirito artistico in continuo movimento. Il tatuatore mi-lanese è, in maniera ugual-mente intensa, un creativo, un viaggiatore ed un pen-satore; spirito libero ed af-fascinante che, tanto dalle piccole quotidiane bellez-ze quanto dalle grandi me-raviglie naturali del mondo, trae un’ispirazione viscera-le e trasversale. Ed ora, sta persino tentando di ro-manzare la propria vita...1) Prima di tutto, la tua professione, una passio-ne lunga tredici anni che ti ha visto apporre la firma su veri e propri capolavori; opere d’arte che responsabi-lizzano, oltre che soddisfa-re: quanto timore dietro un tatuaggio, quanto grandi invece l’entusiasmo, l’adre-nalina? Può mai, un la-voro come il tuo, divenire monotona routine? Ma so-prattutto: quando e come hai scoperto questo talen-to? Non esageriamo, non ho mai fatto ne’ capolavori, ne’opere d’arte, ma piutto-sto bei lavori di piccolo ar-tigianato, con tante piccole imperfezioni che contrad-distinguono, appunto, un lavoro artigianale da uno dallo stampo da catena di montaggio... e non sono stati sempre belli. Ho fatto anche delle cose mediocri, se non addirittura brutte (fortunatamente in un pas-sato remoto). Pensa che ho cominciato con una mac-chinetta artigianale fatta da un mio buon amico, con un motore di walkman, gli aghi da cucito legati ad una cannuccia di penna bic e, come tubo, la parte esterna in plastica trasparente della

bic stessa. Con questo stru-mento primitivo ho fat-to esperienza per qualche mese, dopodiche’, non sen-za difficolta’, ho finalmente comprato una macchinet-ta professionale ed un mi-nimo di strumentazione di base, e questo e’stato il pri-mo passo verso un miglio-ramento nella mia tecnica ancora rudimentale. Ecco come e’ nata la mia passio-ne, che e’ diventato un la-voro: cosi’, per gioco e per l’insistenza di un mio buon amico. Il buon “Macchia” mi incitava continuamen-te a provare a fargli un tatu’ ed io gli rispondevo sem-pre che il mio sogno era diventare un pittore e scul-tore famoso; che volevo, insomma, lasciare un’im-pronta tangibile del mio passaggio su questa terra. Snobbavo completamente il mondo del tatuaggio,che non ritenevo assolutamen-te all’altezza delle nobili arti della pittura e scultu-ra. Per quanto riguarda i ti-mori, ora come ora non ce ne sono davvero piu’. Era un problema che esisteva all’inizio della mia avven-tura, quando mi tremavano le mani prima di affronta-re una lavoro e quindi tira-vo il piu’a lungo possibile l’inizio della seduta, in mo-do da potermi tranquilliz-zare; in questo momento invece, esiste solo l’adrena-lina e l’entusiasmo nell’af-frontare lavori impegnativi, come schiene o braccia in-tere, magari a colori e “free hand”, che stimolano in-tensamente le mie capaci-ta’creative, specialmente con clienti che mi lascia-no carta bianca nella cre-azione del pezzo. Questo e’un argomento cruciale del mio lavoro: il cliente pi-gnolo, a volte arrogante a tal punto da pensare di po-

spiegare, con un linguaggio il più semplicemente adat-to a noi profani, la natura tecnica d’un tatuaggio, ov-vero i perchè ed i percome scientifici di questo mira-colo (quali dermato-strati coinvolga, la composizio-ne chimica dei colori, la di-versità nella misura degli aghi, etc.)? Ed ancora: co-me si è evoluto l’universo tattoo, diciamo negli ulti-mi dieci anni, dai punti di vista igienico e della stru-mentazione? “Tecnica” si-gnifica “matematica”, ed io sono totalmente ignoran-te a riguardo; e poi, “tec-nico” è per me sinonimo di “schematico”, quindi da aborrire. Non sono co-se possibili da spiegare... Stiamo parlando di dettagli tecnici probabilmente in-calcolabili e, soprattutto, la cui conoscenza è del tutto ininfluente sulla qualità del tatuaggio (solo l’esperien-za ti può insegnare quanto entrare in profondità nella pelle). Personalmente, ho abbandonato il “fai da te” da quando esistono i sal-datori di aghi, ora presal-dati e sterilizzati, ed i tubi in pvc usa e getta, con un guadagno sia in termini di sicurezza sanitaria (passa-ta da un già buon 99% ad un ottimo e rassicuran-te 100%!), sia di tempo per il sottoscritto. Un’altra ri-levante evoluzione l’han-no subita i colori, ora più resistenti e vivaci, ricer-cati affinchè siano il più possibile atossici. ...segue

termi insegnare il mestiere, ottiene invece il risultato, primo di farmi anche ar-rabbiare, e secondo di an-dare spesso a casa con un lavoro mediocre... pro-prio per questo un famo-so artista del passato disse:

“Ognuno ha il tatuaggio che si merita”. Forse il mio la-voro puo’diventare routine: dipende come si imposta l’approccio con i clienti. Se non si tiene conto di al-cune regole fondamenta-li si corre il pericolo di fare solo tatuaggini stupidi ed insignificanti, che non ti gratificheranno mai come artista. Ora mi spiego me-glio... Le regole, in pratica, sono: capire in che par-te del corpo il cliente vor-rebbe un tatu’ ed, in base a questo, decidere la grandez-za (i tatuaggi troppo piccoli vanno eliminati in parten-za). Se il cliente si ostina a volere il lavoro troppo pic-colo rispetto al posto che ha deciso di tatuarsi, biso-gna avere il coraggio di al-lontanarlo dallo studio (io l’ho fatto spessissimo e ci ho solo guadagnato in re-putazione); stesso discor-so vale anche per i disegni mal eseguiti, portati dai clienti stessi che spesso pensano di avere in mano un pezzo incredibilmente bello, ed invece fa addirit-tura inorridire. La mora-le, e’ che se ti rifiuterai fin dall’inizio di fare assoluta-mente sempre ciò che desi-dera il cliente, ne riceverai solo dei benefici. 2) Potresti

Sara Moriconi Ghezzi

Qui casca l’asino: animali e risorse pubbliche

pagnia. Queste sono di-chiarazioni importanti, che hanno avuto il pregio di spostare finalmente in alto nelle agende dei media più popolari (etere e quotidia-

ni) la questione del traffico di cani dall’est, che fino a poco tempo fa era mostra-ta al pubblico con toni più emotivi e meno vicini al-la realtà dei fatti. Trecento milioni di euro è il valore complessivo stimato dal-la LAV di questo traffico, ma il dato più inquietan-te è che questo commercio continua, pressoché indi-sturbato, dall’inizio degli anni novanta. Era infatti il 1993 quando la nota tra-smissione RAI “Mi man-da Lubrano” si occupò di questo mercato scandalo-so portando in trasmissio-ne importatori e acquirenti di animali successivamen-

Si è fatto, una volta an-cora, un gran parla-

re nelle ultime settimane del problema dell’impor-tazione dall’est di cuccioli e del loro sordido mercato che in Italia vede coinvol-ti importatori e criminali-tà organizzata, in un vero e proprio racket costrui-to sulla pelle degli animali. Anche il Ministro Frattini e il sottosegretario al-la Sanità Martini si sono espressi di recente su que-sto fenomeno dichiarando la loro intenzione di lavo-rare a livello comunitario per combattere il traffico

illegale di cani. Frattini si è poi spinto oltre, dichia-rando che avrebbe anche lavorato sulla proposta di introduzione del reato di traffico di animali da com-

te morti, suscitando uno scalpore che ebbe eco nel-la carta stampata per mol-te settimane dopo la messa in onda. Sono passati quin-dici anni e il fenomeno non si è ancora estinto. I pre-sunti commercianti, a volte con esperienza ed altre con molta improvvisazione, varcano quotidianamente le frontiere per raggiungere i mercati dell’est (Ungheria soprattutto) e fare il carico di cuccioli in età di svezza-mento, svenduti a cifre bas-sissime (si parla di 50 euro in media per ogni animale). Con un adeguata scorta di documenti falsi questi cani entrano in Italia e vengo-no presto smistati in eser-cizi commerciali di ogni tipo e dimensione, per poi finire nelle sprovvedute mani di acquirenti e rive-lare la loro vera natura, os-sia quella di animali troppo giovani e indeboliti nel si-stema immunitario. L’esito, in buona parte dei casi, è tragico così come è tragi-co il pugno di mosche che resta nelle mani di chi ha acquistato il cucciolo pa-gando diverse centinaia di euro e, cosciente della truf-fa, vorrebbe ottenere giu-stizia per quanto accaduto. Si è già detto molto su que-sto argomento e in questo articolo vorremmo solo li-mitarci ad alcune piccole osservazioni, due in realtà, che non ci è capitato ancora di ascoltare su questo tema.La prima considerazione. Il mercato dei cuccioli è na-to, cresce e prospera per-ché se da un lato ci sono commercianti - o meglio, individui - senza scrupoli, dall’altro ci sono clienti. E tanti. La pulsione per l’ac-quisto di animali è ancora molto forte nel nostro pae-se e sembra resistere, inos-sidabile, a tutti gli appelli, alle mille campagne per l’adozione dei cani nei ri-fugi che ogni associazione, ENPA compresa, continua a portare avanti. La strada per una cultura diversa del rapporto uomo-cane, che prescinda dalle razze e si sollevi un po’ più in alto del giocoso e brevissimo diver-tissement uomo-cuccio-lo (nel vero senso inteso da Pascal di “distrazione dalla propria condizione”), sem-bra ancora molto lunga. Sempre prendendo spun-to dal matematico e teolo-go francese, secondo cui la nostra dignità risiede nel pensiero, possiamo bollare come poco dignitosa la leg-gerezza e la spregiudicatez-za di chi acquista animali in qualsiasi modo, in ogni posto e senza alcuna ragio-nevole cautela pur di spun-tare un prezzo ridotto. Una

buona parte infatti del-le persone truffate da chi importa cani dall’est com-pra i cuccioli con modalità che non hanno confronti. Nessuno di noi acquiste-rebbe infatti un telefoni-no o un televisore scaricato da un furgone in un piaz-zale buio in periferia, pa-gandolo profumatamente in contanti senza ricevu-te: però lo facciamo e con-tinuiamo a farlo con i cani. Quindi, riassumendo, c’è il lupo perché c’è la preda. Poi una seconda considerazio-ne. Quindici anni di transi-ti, di passaggi dalle dogane, di veterinari oltralpe (e purtroppo anche intralpe) compiacenti, furgoni zeppi di cani, allevamenti spes-so abusivi, segnalazioni di truffe, denunce. Chi oggi parla di emergenza si sba-glia di grosso. Si tratta di un traffico ben congeniato, complesso e molto artico-lato ma di certo gli stru-menti in mano alle nostre forze dell’ordine sono più che adeguati per prevenire e combattere questa diffusa illegalità. Si tratta poi dav-vero di un fenomeno così drammatico da richiedere i dictat di un Ministro de-gli Esteri per essere stron-cato? Due anni fa il nostro Nucleo di Guardie Zoofile (non pensate a un eserci-to, ma a pochissime per-sone molto determinate) e un solo Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, a Bologna, lavo-rando insieme riuscirono a scoperchiare un’organizza-zione criminale che da nord a sud Italia commercia-va migliaia di cuccioli ille-galmente, evadendo il fisco per milioni di euro. Questa quindi la considerazione: se da un lato la strada per una cultura diversa del rap-porto uomo-cane è ancora ai suoi primi chilometri, dall’altro sembra che vi sia un altro percorso lungo da fare, altrettanto complesso, per far comprendere a chi di dovere che i reati legati agli animali non solo han-no risvolti umani ed etici profondi, ma hanno spesso grandi dimensioni, legami importanti con il crimine organizzato, pesanti risvol-ti finanziari. Non si tratta solo di cuccioli o di bam-bini che hanno visto mori-re dopo pochi giorni il loro primo animale: ci sono di mezzo famiglie intere truf-fate, connivenze e corru-zioni, montagne di denaro impunemente guadagna-to in evasione totale. Come dire. Attenzione perché le ricadute di questo fenome-no sono lontane: il mare intero muta per una pie-tra, diceva il nostro Pascal.

Ettore Degli Esposti

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21FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

a riceverle. Niente tirate di coda (fate capire al picco-lo che cosa proverebbe lui se un gigante stesse tutto il giorno a strattonarlo per i capelli), niente effusioni soffocanti e continue e, so-prattutto, mai e poi mai al-zare le mani: non solo non serve a nulla, ma addirittu-ra può condurre a reazioni aggressive e pericolosissi-me. No alla frase che si sen-te spessissimo pronunciare da mamme incaute e, fate-melo dire, veramente poco intelligenti che recita: “Non toccare il cane sennò ti morde !” Il cane morde so-lo per paura, per difesa sua o dei suoi cuccioli, o perchè addestrato, volutamente, a farlo. A seguito di un così sciocco insegnamento, può essere che il bimbo, trovan-dosi improvvisamente di fronte un cane, gli tiri un calcio, secondo il vecchio andante Aggredire prima di essere aggredito, con le conseguenze facilmente immaginabili. Chiedere in-vece al proprietario se il ca-ne si lascia accarezzare e, se risposta affermativa, invi-tare il bimbo a farlo. Molto importante è anche la con-siderazione delle prospet-tive di vita dell’adottando che, parlando di cuccioli, si aggirano intorno ai 12 / 15 anni. Si tratta di un lungo periodo in cui non dovran-no mai venire a mancare le nostre attenzioni e cure. Quindi, vediamo di fare be-ne i conti. Da non sottova-lutare poi il problema costi per l’alimentazione, l’assi-stenza veterinaria, la retri-buzione per dog o cat-sitter che si prendano cura dei nostri animali quando noi non possiamo farlo o, come ultimissima scelta, la siste-mazione eventuale presso pensioni. Un’ultima rac-comandazione con la qua-le mi accodo a quanto già espresso da Ettore nell’ar-ticolo dell’ENPA. I cani-li sono pieni, ed offrono di tutto, compresi anima-li di razza pura, se proprio uno non può fare a meno di un pedigree coi fiocchi, e questi cani aspettano so-lo voi. Scegliere uno di lo-ro significa non solo dare un taglio alle importazio-ni delinquenziali, ma an-che entrare in possesso di creature controllate sotto l’aspetto sanitario, ed avva-lersi dei consigli di persone competenti che, come si di-ce in Enpa, non sono lì per svuotare gabbie, o per lu-crare sul commercio ani-male, e che hanno, come unico obiettivo, la gioia di chi verrà accolto e quella di chi accoglierà. Pensateci.

“Un cane è l’uni-co essere su que-

sta Terra che ti ama più di quanto non ami se stesso” (J. Billings - Enry Wheeler Shaw - 1818/1885) Questa volta si parla di ado-zioni di animali.... E’ una scelta bellissima, che ag-giungerà interesse e felici-tà alla nostra vita, ma che, per arrivare ad essere ta-le, dovrà essere ben ponde-rata. Qui di seguito non si vorrà entrare nello speci-fico di come gestire al me-glio un animale d’affezione all’interno delle pareti do-mestiche, ma si cercherà semplicemente di far com-prendere le attenzioni do-vute ad una creatura che, dal momento in cui entre-rà a far parte della famiglia, dovrà essere considerata “uno dei nostri” e, come ta-le, trattata. E come uno so-lo dei dieci comandamenti li compendia tutti, e cioè: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fat-to a te stesso”, così, una vol-ta compresa la necessità di stimare e rispettare i nostri amici a quattro zampe, tut-to il resto verrà da sé, spon-taneamente, e sarà molto più facile, nel quotidia-no, auto-istruirci sui com-portamenti da adottare per soddisfare in contempora-nea le loro e le nostre esi-genze. Ciò che scriverò di seguito sarà quanto appre-so direttamente da una vi-ta trascorsa sempre con cani al fianco (ed ultima-mente anche con un gat-to a tre zampe), dalla mia esperienza in Enpa e, so-prattutto, da quanto impa-rato, giorno dopo giorno, dalle persone che lì ho av-vicinato, persone capaci che hanno fatto della cu-ra degli animali il loro im-pegno ed interesse di vita. Niente di didattico o sac-cente ma semplici consigli personali da prendere co-me tali. Le considerazioni da fare, prima dell’adozio-ne, sono tante, e differenti a seconda che si tratti di un cane o di un gatto. Non si farà cenno ad altri anima-li perchè, al di fuori di que-sti amici abituati da tempi lontani alla convivenza con l’uomo, gli altri, tutti gli al-tri, meriterebbero di esse-re lasciati nei loro ambienti naturali, gli unici che pos-sano loro consentire uno stile di vita felice. Facciamo innanzi tutto un grande di-stinguo fra cane e gatto. E’ frequente l’opinione, sba-gliatissima, che fra i due il gatto sia di più facile gestio-ne. L’unico aggravio che comporta la convivenza col cane è che lo si deve accom-

pagnare fuori, sia perchè possa soddisfare i suoi bi-sogni fisiologici, sia per far-lo scorrazzare un po’; per il resto la difficoltà si fer-ma qui. Il cane è “educa-bile”, si abitua ai comandi, interagisce in modo pro-fondo con l’uomo e, tran-ne in rari casi, con i suoi simili, e quasi tutto quello di cui necessita per sentirsi felice sono le carezze e l’af-fetto della sua famiglia. Ma il gatto, felino che in natu-ra vive e caccia in solitudi-ne, ha bisogno di attenzioni particolari, quali uno o più rifugi in cui potersi acquat-tare se spaventato, giochi diversificati ogni giorno per far leva sull’effetto no-vità del gioco stesso, in mo-do che possa mantenersi impegnato a fare qualco-sa e non dover invece con-durre una vita monotona e priva di stimoli, tra le quat-tro mura domestica. Non ci si illuda, inoltre, di poter-gli dare delle regole : non servono né le urla né, tan-to meno, le botte, che lo farebbero davvero incatti-vire. Insomma, chi vuole un gatto lo deve asseconda-re piuttosto che impartirgli ordini. Premesso quanto sopra, cerchiamo adesso di valutare cosa considera-re, e molto a fondo, prima di iniziare una convivenza coi nostri amici, in modo da garantire il loro benes-sere senza pregiudicare il nostro. Innanzi tutto l’ado-zione non deve essere un fatto emozionale, ma una scelta d’amore serena. No alle nonne che “vorrebbero tanto regalare per Natale un micetto al nipotino”, senza considerare che chi dovrà prendersene cura saranno dei genitori che, caso mai, della cosa non ne vogliono nemmeno sentir parlare. No alla scelta dell’animale fatta da chi non lo gestirà: solo il proprietario finale, infatti, può avere la certez-za assoluta di volere l’ado-zione e, cosa ancora più importante, per conviven-ze durature e appaganti, ci vuole “feeling”, ed è quin-di opportuno che scatti la molla d’intesa avvenuta fra uomo e quadrupede. Se la famiglia è composta da più elementi, tutti, nessuno escluso, devono essere d’ac-cordo sull’inserimento: un solo dissenziente portereb-be, con l’andare del tem-po, a conseguenze dannose per il buon andamento fa-migliare e, quindi, all’ab-bandono dell’animale. Se ci sono bimbi, devono esse-re educati al totale rispetto del cane o del gatto, sen-za per questo impedire lo-ro di elargire a piene mani carezze e coccole, quan-do l’animale sarà disposto

Il FattoMilena Moriconi

Aggiornamenti e notizie ulteriori su:[email protected]

Dalle percezioni al comportamentoDefinire la percezione è

un compito molto ar-duo. Due sono i motivi: (a) la dipendenza di qualsia-si definizione dalla teoria generale in cui i proces-si percettivi si situano e (b) l’incertezza dei con-fini tra i fenomeni per-cettivi ed altri fenomeni mentali. Comunque si può definire come un proces-so attraverso il quale le in-formazioni raccolte dagli organi di senso sono or-ganizzate in oggetti, even-ti o situazioni dotati di significato per il soggetto. Noi non avvertiamo un ca-os di puntini luminosi, on-de di pressione, presenza di sostanze chimiche, ecc., ma vediamo oggetti collo-cati nello spazio, sentiamo rumori e voci, percepia-mo odori e così via. Alcuni psicologi affermano che la percezione sarebbe distin-ta dalla sensazione. Mentre la prima sarebbe il proces-so organizzatore, la secon-da sarebbe il mero frutto dell’interazione tra gli sti-moli provenienti dal mondo fisico ed i recettori senso-riali (retina dell’occhio, timpano, bulbo olfattorio ecc). Secondo tale distin-zione le sensazioni sarebbe-ro elementari, immediate, incoercibili; le percezioni sarebbero invece più com-plesse, mediate, cioè, da processi come le aspettative e i ricordi e, fino ad un cer-to punto, modificabili se-condo le motivazioni e gli interessi del soggetto. Altri studiosi negano la possi-bilità di distinguere tra sensazioni e percezioni, di-mostrando che anche la più piccola sensazione è, in real-tà, un’unità ben organizzata.

Il comportamento uma-no non è guidato e non si adatta soltanto alle con-dizioni dell’ambiente ge-ografico. Dipende spesso anche dai modi con cui noi ci rappresentiamo questo ambiente, dagli scopi e da-gli obiettivi che ci poniamo e che sono connessi a rap-presentazioni variabili da circostanza a circostanza e da persona a persona. Un esempio possiamo averlo dalla seguente leggenda te-desca ricordata da Koffka: “In una sera d’inverno, du-rante una tempesta di neve, un uomo arrivò a cavallo in una locanda, felice di aver trovato rifugio dopo aver

parliamo di... a cura del prof. purpura

galoppato per ore su una pianura spazzata dal ven-to, con la coltre di neve che aveva coperto tutti i sentie-ri ed i punti di riferimento. Il locandiere che lo accol-se lo guardò con stupore e gli chiese da dove venis-se. L’uomo indicò un pun-to lontano, dritto avanti la locanda. Al che il padrone, meravigliato e spaventato, disse: “Ma vi rendete con-to che avete cavalcato attra-verso il lago di Costanza? A queste parole il cavaliere piombò morto ai suoi pie-di”. Con questo esempio Koffka illustra la differen-za che può intercorrere tra ambiente geografico e am-biente comportamentale: è questo ultimo che “regola” il nostro comportamento. In realtà il cavaliere solo da un punto di vista geografi-co aveva attraversato il lago. L’ambiente in cui lui si era mosso era una pianura de-serta e gelata, egli credeva di cavalcare sulla terra fer-ma, ma di fatto aveva caval-cato sul lago ghiacciato. Da questi presupposti possia-mo capire quanto comples-sa sia l’attività percettiva senza contare l’influenza che possono determina-re le seguenti variabili: -Capacità percettiva. -Grado socio culturale. -Tipi di interessi di natu-ra culturale, religiosa e lu-dica. -Sviluppo cognitivo. -Sviluppo affettivo. -Personalità. Inoltre la maggior par-te degli stimoli grezzi, non organizzati derivan-ti dai sensi sono corret-ti simultaneamente e automaticamente dal cer-vello in percetti (o esperien-ze precedenti utilizzabili). In questa complessità di va-riabili si situa la percezione del mondo che ci circonda. La realtà viene ordinata in un certo modo. Certe cose per noi sono importanti, al-tre lo sono meno; certe cose sono buone, altre cattive. In generale, accade spesso che una cosa rinvii ad un’al-

tra, dipenda da un’altra, ri-ceva da un’altra il suo vero significato. L’individuo ac-quista così gradualmen-te e in maniera dipendente dalle sue personali variabi-li una specifica conoscen-za per cui i vari oggetti e i diversi processi sono inter-pretati da particolari punti di vista; quindi esperienza formata non solo dalla re-altà esterna all’individuo ma configurata con quel-la conoscenza interiore dei propri vissuti e dei processi immanenti alla coscienza. Inoltre non bisogna di-menticare che i sensi so-no strumenti che uniscono il mondo esterno al no-stro “io” più intimo e che bisogna dunque impa-rare a distinguere quan-to, nei loro messaggi, sia verità e quanto illusione. Verificando le proprie capacità sensoriali, è possi-bile controllare le emozioni e le suggestioni e gradual-mente imparare a domi-nare se stesso. Per questo lavoro l’individuo dovrà in tanti casi fare chiarez-za su se stesso, conoscer-si più a fondo e da punti di vista diversi, darsi degli obiettivi, trovare e attuare un metodo e con le proprie forze cercare di raggiun-gere gli obiettivi preposti. Un metodo di lavoro po-trebbe essere quello di ana-lizzare alcune percezioni, rivederle sotto diverse an-golazioni, valutarne le dif-ferenze, auto correggersi, modificare, se necessario, il sistema di programmi co-gnitivi propri delle attività conoscitive: in sostanza, il sistema di rappresentazio-ne di due ambienti: quel-lo esterno e quello interno dell’individuo; intenden-do per rappresentazione una mappa globale dei due ambienti in un continuo processo di mappazione do-vuto alle azioni comporta-mentali quotidiane, quindi una strutturazione in base ai programmi cognitivi e in relazione agli obiettivi che si intendono raggiungere.

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22 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Icone pubblicitarie ai Musei MazzucchelliI Musei Mazzucchelli di

Ciliverghe di Mazzano in provincia di Brescia, ospitano dal 22 novem-bre al 15 marzo 2009, ol-tre cento opere tra affiches e bozzetti dei più grandi artisti del XX secolo nella mostra: “Eccellenza Ita-liana Arte, Moda e Gusto nelle icone della pubblicità”. Il percorso espositivo pre-senta in ordine cronologico, cartellonistiche di illustra-tori di fama internazionale come Dudovich o Hohen-stein e manifesti di pitto-ri del calibro di Boccioni, Casorati, Cambellotti, De Chirico, Fontana, selezio-nate dalla Collezione Salce e dal Massimo & Sonia Ci-rulli Archive di New York. La prima sezione della mo-stra è dedicata all’eleganza e alla raffinatezza della moda della Belle Epoque, la secon-da parte è rivolta al gusto e al piacere del saper bere la bevanda per eccellenza: “il vino”. La rassegna termina con una ventina di capola-vori alcuni dei quali inediti, di maestri come Boccioni

o Sironi che hanno colla-borato alle più importanti

F.B.

Storia di un restauroPrefazioneQuando un amico mi affidò la tela da restaurare rimasi perplesso: il tempo aveva logo-rato e tolto lucentezza ai colori, i chiari e gli scuri si confondevano , addirittura vi era-no strappi nella tela. Valutai solo l’aspetto esteriore senza rendermi conto che si trat-tava di un piccolo gioiello, opera di un artista importante. Con tale spirito consegnai l’involto, brutalmente allestito con carta da giornale, alla professoressa Valeria Modica che dopo aver scartato un lembo dell’incarto riconobbe, emozionandosi, l’autore. La se-quenza fotografica che segue mostra la certosina maestria che ha portato a ridare vita e respiro al dipinto che nella memoria dei meno giovani farà affiorare il ricordo dei pa-esaggi urbani delle zone industriali della città. Lascio alla professoressa Modica l’one-re di dilungarsi con maggior competenza e proprietà di linguaggio sul lavoro svolto pres-so il Labooratorio Sperimentale per le Arti Visive di Via Plinio, 46. Alessandro Ghezzi.

strumenti scientifici, che rilevano le varie tipologie diagnostiche e valutano i danni causati dal tempo, lo stato di conservazione ed il livello di degrado gene-rale dell’opera. Attraverso la diagnosi si stabilisce per ogni opera la corretta me-todologia d’intervento. Le fasi successive tenderanno a restituire all’opera la sua forma originaria. Il primo intervento riguarda il con-solidamento. Questa fase consiste nell’applicazione sulla pellicola pittorica di prodotti vegetali o animali, che induriscono, fissano e risanano la superficie dan-neggiata da abrasioni e di-staccamenti della pellicola

Quando ci troviamo di fronte ad un’opera d’ar-

te, questa ci racconta una storia. Guardando attenta-mente riusciamo a cogliere tutto il percorso del viaggio di un uomo che si racconta attraverso il colore, la for-ma e la pennellata e ci ri-troviamo improvvisamente immersi nella sua maniera di intendere e rappresenta-re il suo universo interiore, i luoghi in cui ha vissuto e le sensazioni che ha pro-vato. L’emozione di toccare e sentire la pennellata, di valutare la quantità di co-lore ed i materiali utilizzati ci permette di entrare nel-la sua vita di uomo-artista e nella traccia indelebile del suo vissuto. Oltre che delle sue capacità artisti-che e manuali il restaura-tore si avvale di sofisticati

Valeria Modica o dello stesso supporto. La seconda fase d’interven-to riguarda la rintelatura, che consiste nell’incollag-gio della tela su un nuovo supporto telato, attraverso la stiratura e la foderatura. L’intervento successivo pre-vede la stuccatura delle par-ti dove non è più presente la preparazione pittorica ed infine il restauro pittorico vero e proprio che si può realizzare in vari modi: tra questi ricordiamo quello a lacuna neutra oppure rein-tegrazione imitativa che prevede una forma mime-tica del colore realizzata sottotono, in modo da evi-denziare la riconoscibilità dell’intervento di restauro.

campagne pubblicitarie.www.museimazzucchelli.it

San Bernardino alle OssaFra storia e leggenda da brivido!

Una singolare struttura dove architettura, scul-

tura e pittura si incontrano con una macabra realtà che ci ricollega con l’inevitabile avvenimento della morte. Nel 1145 un facoltoso cit-tadino milanese, Goffredo

da Bussero, elargì il ne-cessario per la costruzione di un ospedale, proprio di fronte alla Basilica di Santo Stefano Maggiore. Ben pre-sto fu necessario costruire anche un cimitero per sep-pellire coloro che morivano proprio nell’annesso ospe-

Ivana Metadow

l’eucarestia agli appestati”, dipinti dall’Abate Ottolini. A destra dell’altare mag-giore c’è un quadro di G. Manzoni raffigurante San Lucio martire, protettore dei “Furmagiatt”, i fabbri-canti di formaggio che ave-vano in questa chiesa la loro confraternita. Davanti a questo altare vi è una grata, si intravedono dieci scali-ni che portano ad una crip-ta dove si trova il sepolcreto dei Disciplini. I Disciplini indubbiamente hanno vo-luto creare un ambiente del tutto singolare: infatti pro-seguendo lungo il corrido-io si accede all’Ossario con una volta affrescata nel 1695 dei quattro Santi protetto-ri Ambrogio, Sebastiano,

Bernardino da Siena e Santa Maria Vergine. La volta molto suggestiva con la grazia del rococò si fon-de con una scena maca-bra, quasi sconvolgente: la cappella-ossario, quadrata, ha tutte le pareti ricoper-te di teschi e ossa , dispo-sti in vari modi, arrivando perfino a comporre figu-re geometriche come cro-ci di vario tipo. Per lungo tempo la tradizione ritenne che tali resti appartenesse-ro ai martiri cristiani mor-ti durante gli scontri con gli “eretici ariani” ai tempi di Sant’Ambrogio. In realtà questa tesi non regge perchè tutti questi resti risultano appartenere a pazienti mor-ti nell’ospedale del Brolo.

dale. Ma nel 1210 non c’era più spazio per nuove sepol-ture e venne così costrui-to un Ossario. Nel 1269 il Priore e alcuni fratelli fece-ro erigere una chiesetta vi-cina all’Ossario. Nel 1642 però, il campanile del-la vicina Chiesa di Santo Stefano crollò e le macerie

rovinarono il piccolo com-plesso. Fu necessaria quin-di una ristrutturazione, la prima volta nel 1679 ad opera di Giovanni Andrea Biffi che lavorò soprattut-to sulla facciata, dando-le un aspetto tipo “civile” e sull’Ossario, decoran-

do le pareti con teschi e tibie umane. Non dimen-tichiamo la particolarità dei tempi che avevano visto pestilenze e carestie e che creavano abitudine rispetto alla sofferenza e al senso del macabro. Successivamente dopo un incendio avvenu-to nel 1712 che distrusse la

chiesetta originaria, l’archi-tetto Carlo Giuseppe Merlo intervenne costruendo la grande chiesa a pianta cen-trale. Venne scelto come patrono San Bernardino da Siena. Questa chiesa fu collegata alla chiesetta ori-ginale, trasformata in am-

bulacro, attraverso un arco di trionfo. Dall’ambulacro si accede al corpo principa-le del tempio nel cui atrio si trovano una tela raffiguran-te S. Antonio e S. Francesco ai lati di un Crocifisso del pittore Pontoja e, a destra, un bassorilievo con l’effige di Sant’Ambrogio risalen-te al XV secolo. L’interno presenta pianta ottagonale, semplice, con altari mar-morei barocchi e due cap-pelle laterali. Nella cappella di destra è dislocato un al-tare in marmo con una Pala raffigurante “Santa Maria Maddalena in casa del fa-riseo” di Federico Ferrario. Una curiosità: dal 1768 in questa cappella vi è la tom-ba di famiglia di alcuni di-scendenti di Cristoforo Colombo, sulle cornici la-terali dell’altare vi sono gli stemmi della famiglia, con il motto: “Colon die-de il nuovo mondo-alla Castiglia e al Leon.” La cap-pella di sinistra è dedicata a Santa Rosalia, con un’ope-ra del Cucchi che ritrae la Santa con un Angelo. Nella nicchia tra la cappella di sinistra e l’altare maggio-re, vi è un dipinto su tavo-la raffigurante la Madonna della Passione e Santi fra cui Sant’Ambrogio, San Rocco e San Bernardino del pittore Gabriel Bissius del 1513. All’altare maggio-re vi è un’ancona rappre-sentante la Madonna con il Bambino che viene at-tribuita ad Amadei, ai lati, due grandi quadri, a de-stra “Sant’Ambrogio oran-te durante la battaglia di Parabiago”, a sinistra “San Carlo che somministra

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23FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

Direttore responsabileAvv. Federico Balconi

Direttore editorialeFrancesca Bellola

Progetto Grafico e impaginazione

Kerr [email protected] 8321963

Stampato dalla IgepVia Castelleone 152 CR

Testata OK ArteReg. Tribunale di

Milano del 6 maggio 2008 n. 283

Hanno collaborato:Sara Abdelall

Clara BartoliniIvan Belli

Francesca BellolaCastelli e Ville

della LombardiaDavide Corsetti

Giuliana De AntonellisAlejandro De LunaEttore Degli Esposti

Mauro De SanctisEnpa Lombardia

FAICarla Ferraris

Fabrizio GilardiAnna Guainazzi

Alessandro GhezziSara Moriconi Ghezzi

Gabriella MancoJean Marc Mangiameli

Lorenzo MarcianòIvana Metadow

Caterina Misuraca

Valeria ModicaMilena Moriconi

G. NeroLuca Pietro Nicoletti

Ottavia OvatiniSabrina PanizzaVirgilio PatariniAntonio PurpuraStefano Quatrini

Principia Bruna RoscoAmarenaChicStudio

Yari

Informazioni e pubblicità

02-92889584 - 3474300482

[email protected] OK ARTE sede in

c.so Buenos Aires 45 presso agenzia Cattolica

Ok Arte MilanoEdito dall’Associazione Culturale Ok Arte

Giorgio De Chiricoastroarte di yari

Siamo ammaliati dalle opere di un artista co-

sì simmetrico e poliedrico. Giorgio De Chirico arti-sta poliedrico e più attuale di alcuni dei tempi nostri, per come ha immortala-to sulle sue tele paesag-gi, uomini e donne, statue con inconsueta originalità.Del segno del cancro, do-tato di un talento creativo ineguagliabile, è guidato dalla magia di un pennello tanto sensibile, quanto lu-natico ed è celestiale nell’ec-cletticità dei suoi colori.Caratterialmente introver-so, incline alla spirituali-tà, il pittore in tutta la sua introspezione, comunica con la sua arte l’amore per l’universo: traghettatore di anime buone e cattive del-la vita di tutti i giorni, co-me il Caronte Dantesco, sul filo di una bellezza in-teriore veneriana, sublima i suoi quadri di metafisici-tà. La luna che domina il suo talento artistico, lo ren-de immane nelle sue inter-pretazioni, e, fluorescente nelle tonalità dei disegni. Giove lo ha dotato di una forza segreta che gli ha per-messo di estrapolare con precisione figure lontane e, proiettate nella loro sug-gestività, nel mondo irrea-le della fantasia. Mercurio lo trasforma col suo acume intellettivo così spiccato, necessario per elevarsi co-me genio, fra i grandi del-la sua epoca. Esterofilo per le sue origini nascitu-re, ha sempre beneficia-to dell’energia di Saturno, per superare le sue crisi esi-

stenziali, da cui ha tratto i sentimenti più profondi. Un pittore che ha antici-pato i nostri giorni, per un Urano che lo celebra

10 luglio 1888 – 20 novembre 1978

sommo, per eccellenza.Mostre internazionali, in-nalzano il poeta del colore nella sua metamorfosi che non segnerà mai la parola

fine ma delinerà, nella sua identità, un percorso infini-to consacrato dai luminari.Per contattare YariTel. 340.2290751

IN TEMPI DI CRISIUN VERO LEADER DEVE

CAPIRE QUANDOÈ IL MOMENTO

DI ANDARSENE...

QUEST’ANNOPER CAMBIAREPOTREI FARMIUN MESETTO

AI CARAIBI...

...OPPUREUNA BELLA SCIATA

A GSTAAD?

Sala Verdi del Conservatorio –Via Conservatorio, 12 Teatro Dal Verme – Via S. Giovanni Sul Muro, 2

Lunedì 2 marzo 2009 ore 21.00 Pianista ANDRAS SCHIFF (Progetto Mozart II)

W. A . MOZART Biglietti: Intero 20,00 Ridotto 15,00

Giovedì 5 marzo 2009 ore 21.00

Violinista NICOLAJ ZNAIDER Pianista ROBERT KULEK L. v. BEETHOVEN: Sonata n. 5 in fa maggiore op. 24 Primavera.

J. S. BACH: sonata n. 2 in la minore BWV 1003 v. BEETHOVEN: Sonata n. 7 in do minore op. 30 n. 2

Biglietti: Intero 15,00 Ridotto 10,00

Lunedì 9 marzo 2009 ore 21.00 Pianista ANDRAS SCHIFF (Progetto Mozart III)

W. A . MOZART: Fantasia in do minore K 475 Sonata in fa maggiore K 533/494

Sonata in do maggiore K 576 Rondò in la minore K 511 Sonata in do maggiore K 457

Biglietti: Intero 20,00 Ridotto 15,00

Lunedì 16 marzo 2009 ore 21.00 I SOLISTI DI MOSCA

Direttore YURI BASHMETI. STRAVINSKY: Apollon Musagète

B. BRITTEN: Young Apollo per pianoforte e archi op. 16 (Solista: Ermindo Polidori Lucani)

HANDEL/CASADESUS: Concerto per viola in si minore (Solista: Yuri Bashmet)

F. MENDELSSOHN: Sinfonia per archi in sol min. n. 12Biglietti: Intero 20,00 Ridotto 15,00

Giovedì 19 marzo 2009 ore 21.00

I SOLISTI DI MOSCA Direttore YURI BASHMET G. TELEMAN:

Concerto per due viole (Solisti Yuri Bashmet e Roman Balashov) F. BENDA: Grave per viola e archi (Solista Yuri Bashmet) F. J.

HAYDN: Sinfonia in fa minore La Passione , Hob.49P. HINDEMITH: Tema con quattro Variazioni per pianoforte e orchestra d’archi (Solista Xenia Bashmet) W. A. MOZART:

Serenata in sol maggiore K 525 Eine kleine Nachtmusik Biglietti: Intero 20,00 Ridotto 15,00

Lunedì 23 marzo 2009 ore 21.00 Violinista UTO UGHI

Biglietti: Intero 25,00 Ridotto 20,00

Lunedì 30 marzo 2009 ore 21.00 Violinista HILARY HAHN Pianista VALENTINA LISITSA

Biglietti: Intero 15,00 Ridotto 10,00

serate musicali

L’Arte dello Scrabble

“Con i pensieri del nostro subconscio profondo

ci dilettiamo raramente. Ma qualcosa deve guida-re le parole che diciamo. Quando giochiamo a Scrabble” (Noel Coward, “Bronxville Darby and Joan”). In una lettera Lewis

Carroll scrive che sta cer-cando di inventare un gio-co in cui: “ci potrebbero essere delle pedine con lettere dell’alfabeto, da spo-stare su un tavoliere, fin che si formino delle parole”. L’intuizione di Carroll, ri-mase inespressa fino alla nascita dello Scrabble, negli anni trenta ad opera di un fantasioso architetto new-yorchese, Alfred Mosher Butts. Il prototipo inizia-le, datato 1931 e chiamato “Lexico”, subì varie modi-fiche fino ad approdare alla versione ufficiale e definiti-va detta, appunto, “Scrab-ble”. Giocare con le parole ha da sempre esercitato una particolare malia sull’esse-re umano, forse in virtù di

quell’energia che solo la pa-rola giocata sa sprigionare e la possibilità che la mente ha di compiere acrobazie verbali, di creare e trasfor-mare in un’ infinita possi-bilità di pirotecnie lessicali. In letteratura molti sono i riferimenti allo Scrabble, ma forse uno degli esempi piu’ significativi ce l’ha of-ferto Vladimir Nabokov nel suo romanzo “Ada o ardor”. I giochi sono stati parte es-senziale nella visione che Nabokov aveva dell’arte, il quale ha ripetutamente sottolineato, nelle sue in-terviste, come il piacere estetico della composizione della parola sia paragona-bile alla creazione e al go-dimento dell’opera d’arte.

D.R.

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24 FEBBRAIO-MARZO 2009 OK Arte Milano

GIADA: a Monza il Salone di bellezza dello stilista Luigi Trabucco

Metti una serata di questo gelido inverno al caldo di un locale fashion, avvolta in un “ever green” tubino nero, attenta alle rivisita-zioni dettate dalle passerel-le 2009: tacchi 12 cm dai colori intensi accompa-gnati a pochettes in verni-ce dalle nuances vintage e ancora cinturone per met-tere in risalto la silhouet-te e bijoux preziosi come echi di luce. Basterà tut-to questo per essere cool? Beh… dipende da quello che “si ha in testa”! Di cer-to il look sarà impeccabile se ci si sarà affidati alle cure del Salone di bellezza del-lo stilista Luigi Trabucco. Situato nel cuore della città di Monza, “Giada” rappre-senta oramai un must per le donne che vogliono man-tenersi belle, e non importa se per grandi eventi o sera-te mondane, ciò che conta è sentirsi “bene” di giorno al lavoro, con le amiche a fare shopping, per essere mam-me, mogli… donne moder-ne e dinamiche che amano volersi bene. Donne che non rinunciano a piacere per piacersi! Infatti il Salone di

Caterina Misuraca

ne la dimensione estetica, per esempio, il Salone of-fre possibilità infinite. Dai trattamenti classici come il Soin Hidroceane: idrata-zione profonda e prolunga-ta a base di oligo elementi marini, oli vegetali; Soin

un corpo liscio ed idratato. Enveloppement minceur: avvolgimento dimagran-te totale del corpo a base di alghe di Bretagna ori-ginali. Enveloppement an-ti-caption: avvolgimento anticellulite da effettuar-si sulle zone colpite a base di alghe di Bretagna origi-nali. Enveloppement ther-male: avvolgimento totale o localizzato con l’utiliz-zo d’argilla austriaca molto rimineralizzata dove ven-gono unite soluzioni, gel e creme che in sinergia van-no a lavorare contro i pan-nicoli adiposi e cellulite. Sculptural: trattamento eccezionale per rassoda-re il corpo. Straordinario nel periodo della gravi-danza e nel post parto su svuotamenti e smagliatu-re. Dopo questa veloce car-rellata sulle più interessanti novità estetiche ricordia-mo che la serietà e com-petenza dello stilista Luigi Trabucco, del resto, è sto-ria consolidata nel mondo della bellezza. Una storia luminosa e piena di succes-si attraverso costanti par-tecipazioni a grandi eventi internazionali quali show delle più importanti reti te-levisive: Notte sotto le stel-le, Buona Domenica, Moda Mare, Festival di Sanremo e spettacoli teatrali. Inoltre Luigi con ben vent’anni di partecipazione rappresenta una vera icona dell’evento di Bellezza più importante della Penisola: Miss Italia. Non è un caso quindi se attrici, modelle, showgirl e donne dello star system

italiano scelgano con re-golare frequenza il Salone Giada apprezzandone le garanzie di serietà e pro-fessionalità. Nonostante i traguardi raggiunti e le in-discusse competenze ed esperienze acquisite, lo sti-lista conserva l’entusiasmo per la ricerca di nuove for-me espressive e proprio per cogliere ogni nuovo sti-molo è impegnato in viag-gi frequenti soprattutto nelle Capitali europee più all’avanguardia: Londra e Barcellona. Consapevole dell’importanza della for-

mazione, Luigi frequenta workshop e seminari sti-listici e tecnici, coinvol-gendo e trasmettendo ai propri collaboratori la pas-sione e l’energia necessari per cogliere ogni spunto al-la creazione di nuove forme espressive. Sicché aggiorna-mento e costante formazio-ne sono alla base dello staff aperto a cogliere le tenden-ze delle passerelle di moda, per esempio della “setti-mana” attualmente in cor-so a Milano in cui stanno già venendo fuori interes-santi novità per l’autun-

no\inverno 2010. Pensando intanto alla prossima pri-mavera\estate 2009 in cui si riconferma il trend dei “tacchi vertiginosi”, va det-to che sarà la stagione de-gli abiti lunghi e fluttuanti e dalle trasparenze estre-me. Non ci sarà un colore predominante bensì tutta la tavolozza dei colori sarà declinata in abiti sgargianti che strizzeranno l’occhio ai mitici anni Settanta. Ne è conferma il ritorno annun-ciato di pantaloni a zampa d’elefante. La parola d’ordi-ne sarà “versatilità”! Anche e soprattutto per la pettina-tura e per il trucco… Basti pensare che le passerel-le della New York Fashion Week hanno proposto ac-conciature di boccioli di fiori intrecciati tra i capel-li. Colori accesi dai toni di viola, arancio giallo, sen-za smarrire accenti più ro-mantici declinati in rosa pesca e beige. Le propo-ste della Grande Mela han-no quindi messo in risalto tessuti che si intrecciano a loro volta con i capelli sbocciando infine in ampie corolle un po’ sgualcite in omaggio al vintage. Tutte evidenti ascendenze hippie, percorse con fiori in tessuto e tulle accompagnati a cor-doncini colorati o in cuoio, piume e perline di legno. Insomma, una delle infini-te proposte per la prossima primavera\estate… e solo da Giada questa magia di bellezza e molto altro anco-ra … potrà diventare realtà!

Il GiadaSalone di Bellezza

si trova a Monza,in via S. G. Bosco, 6Giorni di apertura

Martedì - Sabato 9:00 - 18:00Servizi solo per appuntamentoServizi spose anche a domicilio

bellezza Giada accoglie con professionalità, competen-za, e grande cordialità le clienti grazie ad una quali-ficata equipe di diciassette collaboratori. Ogni cliente in questo “paradiso di bel-lezza” potrà beneficiare di servizi innovativi di gran-de qualità dislocati in uno spazio di oltre 200 metri quadrati strutturato su due livelli e con un primo pia-no dedicato al reparto coif-fure e all’accoglienza ed un piano superiore riservato al centro estetico in cui si eseguono trattamenti per il benessere del corpo at-traverso tecniche e tecnolo-gie sempre al passo con le novità. Per quanto concer-

Liftoceane: che consen-te giovinezza ed elasticità immediata con biostimo-latore marino e citoprotet-tore, alga corallina e noce di Macadamia, protezione anti UV; Oxigenant: consi-gliato per purificare epider-midi, miste e grasse con il potere di un cocktail di olii essenziali e di un balsamo che dissolve le ostruzioni dei pori; Revitalizant: per pelli mature particolarmen-te devitalizzate che manca-no di tonicità e fermezza. Harmonie: per chi soffre di rossori diffusi, couperose e di ipersensibilità. E ancora, sempre per la cura del cor-po, plaisir de forme: sedu-ta pratica per avere sempre

Equipe Giada con Cristina Chiabotto

Gigi Trabucco con Edelfa Chiara Masciotta

Gigi Trabucco con Eleonora Pedron