OIV le valutazioni a fini di ipo

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Exposure Draft - Discussion Paper ED.DP.01.2016 LE VALUTAZIONI A FINI DI IPO 2 DICEMBRE 2016

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Exposure Draft - Discussion Paper

ED.DP.01.2016

LE VALUTAZIONI A FINI DI IPO

2 DICEMBRE 2016

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INDICE I. Il processo di valutazione ai fini della quotazione in borsa ......................................... 3

I.I Le fasi del processo ............................................................................................................................. 4 I.II Il Dual track approach ..................................................................................................................... 8 I.III Il processo di valutazione ai fini della quotazione in Borsa di PMI ............................... 9 I.IV Alcuni principi da seguire ............................................................................................................ 10

II. I soggetti coinvolti .................................................................................................................... 12

II.I Società ................................................................................................................................................... 12 II.II Advisor Finanziario ........................................................................................................................ 13 II.III Le banche del sindacato di collocamento ............................................................................. 14 II.IV Analisti delle banche del consorzio ....................................................................................... 17

III. Modalità di quotazione ......................................................................................................... 20

III.I IPO: OPS, OPV, OPVS ...................................................................................................................... 20 III.II Quotazione di una società beneficiaria di una scissione deliberata da una società quotata (Demerger) ............................................................................................................................... 21 III.III Quotazione di una società controllata attraverso la distribuzione delle sue azioni agli azionisti di una società quotata controllante ....................................................................... 21 III.IV SPAC e quotazione della società target ................................................................................ 22

IV. CONFIGURAZIONE DI VALORE E FATTORI DA CONSIDERARE NELLA VALUTAZIONE AI FINI DI IPO .................................................................................................... 23

IV.I La determinazione del range di prezzo indicativo e del prezzo finale d’offerta .... 23 IV.II IPO effettuate a “prezzo fisso” .................................................................................................. 25 IV.III I metodi di valutazione in un processo di IPO .................................................................. 26 IV.IV Effetti diluitivi determinati da strumenti equity-linked ............................................... 27 IV.V Implicazioni per la redazione della relazione dell’esperto nel contesto di IPO..... 27

V. L’IMPORTANZA DELL’EQUITY STORY AI FINI DELLA VALUTAZIONE ..................... 29

V.I Aspetti apprezzati dagli investitori ........................................................................................... 29 V.II Stadio di sviluppo dell’impresa e valore in caso di IPO .................................................... 33 V.III Dimensione e Valore ..................................................................................................................... 34 V.IV Governance e Valore ..................................................................................................................... 36

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I. IL PROCESSO DI VALUTAZIONE AI FINI DELLA QUOTAZIONE IN BORSA

Nel presente capitolo vengono descritti gli aspetti che caratterizzano il processo di valutazione e fissazione del prezzo di una società prossima alla quotazione in Borsa.

Presupposto di fondo è che la valutazione debba essere considerata parte integrante dell’intero processo di quotazione e veda l’attivo coinvolgimento della società quotanda e dei suoi azionisti, dell’advisor finanziario e del/dei global coordinator.

Come ogni processo valutativo, anche quello riguardante una IPO dovrebbe essere affrontato in maniera non meccanica e necessita di una base informativa adeguata, tipicamente rappresentata dal piano industriale, da informazioni inerenti il business model, il posizionamento e i vantaggi competitivi e il sistema di governance della società quotanda. Per poter approcciare il percorso valutativo, tutti i soggetti coinvolti, in linea con il PIV 1.4.3, devono partire dall’apprezzamento e dalla valutazione della documentazione e delle informazioni rilevanti previo svolgimento di un processo di analisi fondamentale, selezionare le metodologie più idonee allo scopo e valutare i principali fattori di rischio.

La valutazione di un’azienda nell’ambito della quotazione in Borsa, in particolare, è frutto di un processo continuo di analisi e verifica, che parte dalla preliminare stima del valore condotta quando ancora non sono disponibili tutti i dati e le informazioni relativi alla società (il momento del cosiddetto pitch) fino alla determinazione del prezzo pre-money a cui l’azione viene effettivamente venduta agli investitori.

Il processo valutativo si arricchisce progressivamente di sostanza e contenuto durante le fasi preparatorie alla quotazione, quando la società mette a disposizione dati e informazioni dettagliati sull’attività e sulle prospettive future. La valutazione dovrebbe essere condotta privilegiando l’ottica industriale e la ricerca di un valore di business: per queste ragioni il piano industriale rappresenta lo strumento principale su cui si basa l’intero processo.

Partendo da una stima preliminare del valore pre-money, la valutazione tiene progressivamente conto delle indicazioni fornite dagli investitori durante l’attività di early-look marketing e di pre-marketing, delle ricerche preparate dagli analisti del consorzio di collocamento, dell’andamento dei mercati borsistici, delle dimensioni dell’offerta e della potenziale liquidità del titolo. Queste ultime considerazioni portano in genere a definire un’IPO discount, che ha la funzione di massimizzare il livello di domanda e aumentare, per coloro che durante il collocamento hanno deciso di investire nell’azienda, la probabilità di ottenere un buon rendimento dall’investimento. In tal modo, si giunge a definire un “Intervallo di Valorizzazione Indicativa” e, pertanto, un “prezzo massimo” (spesso vincolante), pubblicati all’interno del prospetto informativo. Il “prezzo di offerta” è infine determinato, secondo il meccanismo dell’open price, dai proponenti dell’investimento (società quotanda e/o suoi azionisti), sentito il global coordinator, tenendo conto, tra l’altro, delle condizioni del mercato mobiliare domestico e internazionale, della quantità e della qualità delle manifestazioni di interesse ricevute dagli investitori istituzionali, della quantità della domanda ricevuta nell’ambito dell’offerta pubblica, dei risultati raggiunti dalla società e delle prospettive della medesima.

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In linea generale, durante tutto il processo è opportuno avere frequenti aggiornamenti tra tutti i soggetti coinvolti nella valutazione - azionisti, esponenti della società e dell’advisor finanziario, da un lato, le banche collocatrici, dall’altro - soprattutto nei periodi di grande turbolenza dei mercati finanziari e quando emergono nuove informazioni sull’emittente e sul suo contesto competitivo, anche a seguito dell’approvazione di dati finanziari interinali.

Di seguito si descrivono le fasi che tipicamente caratterizzano un processo di valutazione e i principali soggetti coinvolti.

I.I Le fasi del processo

Il processo di determinazione del valore di una società quotanda si articola in diverse fasi che, come indicato in precedenza, implicano approfondimenti e aggiornamenti successivi fino a pervenire, partendo da un intervallo ampio, alla determinazione del prezzo di offerta, ovvero il prezzo al quale sono collocate le azioni. Il grafico sottostante rappresenta le fasi che generalmente caratterizzano una valutazione finalizzata alla quotazione in Borsa (Figura 1).

Figura 1 La piramide del valore

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Tale processo è da intendersi senza soluzione di continuità e, come mostra il grafico, si articola in quattro momenti, che ripercorrono l’intero iter valutativo, dall’intervallo di valori più ampio definito nelle fasi iniziali fino ad un range più ristretto prima di iniziare il bookbuilding. Di seguito si riportano le principali fasi del processo:

valutazione svolta al momento del pitch da parte delle banche collocatrici;

valutazione svolta durante la preparazione alla quotazione, anche a seguito di incontri preliminari con investitori selezionati;

pre-marketing e individuazione dell’intervallo di prezzo;

bookbuilding e pricing.

I. Pitch

Il pitch è il momento in cui la società, assistita dal suo advisor finaziario, seleziona uno o più intermediari che la affiancheranno durante la quotazione. In tale fase, le banche d’affari presentano una proposta per ricevere l’incarico di global coordinator (che potrà coincidere con lo sponsor della quotazione), che include generalmente una valutazione preliminare della società quotanda. Tale valutazione viene generalmente presentata 4-6 mesi prima della conclusione dell’IPO e rappresenta il valore meno accurato fra tutti quelli determinati nel corso del processo di quotazione. Esso, infatti, normalmente prescinde dalla conoscenza approfondita della società, del suo piano industriale, dall’interazione con gli investitori e dai risultati della due diligence, che sarà effettuata dalla banca solo dopo aver ricevuto l’incarico.

Nella scelta del global coordinator, pertanto, la società dovrebbe dare molta più importanza alla qualità dell’intermediario (track record in precedenti IPO, conoscenza del settore di appartenenza dell’emittente, capacità distributiva, qualità del team di analisti, ecc.), piuttosto che basarsi esclusivamente sul valore proposto, poco significativo prima della due diligence e soprattutto prima del confronto con il mercato.

II. Due diligence

In questa fase, la società avvia il processo di preparazione alla quotazione e la banca collocatrice contemporaneamente inizia la propria attività di due diligence sulla base informativa che le viene resa disponibile; alla fine di questo processo la banca sarà in grado di comprendere in dettaglio il business dell’azienda e soprattutto di svolgere un’analisi approfondita del piano industriale. Quest’ultimo documento consente di valutare le prospettive future dell’emittente sia in termini di coerenza con l’assetto strategico-organizzativo e con le tendenze del mercato di riferimento, sia in termini di sostenibilità e ragionevolezza delle principali ipotesi sottostanti.

Durante questa fase, l’advisor finanziario e la banca collocatrice, anche grazie alle conoscenze acquisite durante la due diligence, iniziano a definire la c.d. Equity Story, ovvero il profilo della società emittente che verrà presentato agli investitori al fine di indurli ad aderire all’offerta delle azioni, in grado di valorizzare al meglio gli elementi di attrattività

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dell’investimento. Già durante questa fase viene svolta una attività c.d. early marketing, finalizzata ad ottenere dei riscontri da un campione ristretto di investitori sulla potenziale appetibilità dell’Equity Story, ma non sul valore proposto per la società.

Alla fine di questa fase, la banca collocatrice generalmente presenta alla società una prima ipotesi di valutazione pre-money (range di valutazione preliminare). Con tale espressione si intende la stima del valore del capitale economico della società in ottica di quotazione, che non tiene conto dell’IPO discount e delle indicazioni provenienti dall’attività di pre-marketing.

III. Pre-marketing

Durante questa fase viene generalmente organizzata una presentazione dell’emittente agli analisti finanziari del consorzio di collocamento (analyst presentation), finalizzata alla successiva predisposizione e pubblicazione da parte di questi ultimi delle ricerche sull’emittente; a tale scopo, viene elaborato e distribuito agli analisti presenti all’incontro un documento che ha l’obiettivo di descrivere l’investment case e che contiene un’analisi dettagliata dell’azienda, del business e delle strategie di crescita, nonché una presentazione della struttura e della tempistica dell’offerta.

L’analyst presentation è un importante momento del processo di preparazione alla quotazione, in quanto garantisce agli analisti del consorzio un’adeguata conoscenza della società quotanda, che sarà poi riflessa nelle ricerche distribuite dalle banche collocatrici agli investitori loro clienti al fine di “educarli” sull’Equity story prima di incontrare il management dell’emittente.

Antecedentemente alla pubblicazione delle ricerche, di solito viene svolta dal global coordinator un’indagine presso gli investitori istituzionali (c.d. pilot fishing, allargando il campione di investitori sondato in precedenza durante l’early marketing), al fine di valutare la potenziale appetibilità dell’Equity story proposta e ottenere un primo feed-back sul valore della quotanda. Viene organizzata anche una presentazione alla sales force del global coordinator al fine di permetterle di interagire con gli investitori interessati e di raccogliere le eventuali manifestazioni d’interesse all’acquisto delle azioni.

La pubblicazione delle ricerche, che generalmente avviene dopo ca. 1 mese dall’analyst presentation, oltre ad informare la comunità degli investitori prima e durante il roadshow, è utile anche ad arricchire il processo valutativo con ulteriori elementi rappresentati dalle indicazioni valutative indipendenti da parte degli analisti del consorzio (talvolta le ricerche contengono anche dei range valutativi), utili per affinare ulteriormente il range di valutazione preliminare determinato in precedenza.

Al termine di questa fase, in genere inizia la vera attività di investor education condotta dagli analisti del consorzio di collocamento e dalla equity sales force del global coordinator, avvalendosi delle ricerche pubblicate. Durante i meeting che vengono svolti con gli investitori interessati vengono raccolte delle indicazioni approfondite in merito all’appetibilità dell’investment case e ai livelli di valutazioni ritenuti accettabili.

Solo a questo punto la banca, in possesso di riscontri sul prezzo che gli investitori istituzionali sono disposti a pagare, può confrontarsi con la società emittente, con gli

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eventuali azionisti venditori e con l’advisor finanziario e giungere alla definizione del range di prezzo pre-money indicativo e del “prezzo massimo” da riportare all’interno del prospetto informativo. In linea generale il range di prezzo dovrebbe essere fissato facendo in modo che il prezzo minimo rappresenti una soglia di attrattività per gli investitori; il prezzo massimo, invece, viene fissato tenendo conto delle aspettative di valorizzazione dell’azionista di riferimento e delle soglie valutative espresse dagli investitori in sede di attività di pre-marketing. Il processo appena descritto usualmente porta alla definizione di price range caratterizzati da un divario di circa il 20-25% tra il prezzo massimo e il prezzo minimo.

Il range di prezzo fissato sarà il riferimento per la fase successiva, ovvero la raccolta degli ordini da parte degli investitori istituzionali (il cosiddetto bookbuilding) ed eventualmente retail.

IV. Bookbuilding e Pricing

L’attività di marketing vera e propria, che nei confronti degli investitori istituzionali si concretizza in un roadshow nelle principali piazze finanziarie e verso il pubblico indistinto si traduce (dopo la pubblicazione del prospetto informativo) in una campagna promozionale, fornisce indicazioni fondamentali ai fini della determinazione del prezzo finale.

Durante il roadshow (che in genere dura due settimane) il top management della società, insieme ai rappresentanti del global coordinator, svolge dei meeting con gruppi di investitori o con investitori singoli (one-to-one meeting), potenzialmente interessati a sottoscrivere l’offerta. Questa è una fase cruciale dell’intero processo: infatti, sebbene gli investitori siano già stati “educati” dagli analisti finanziari del consorzio, proprio dal confronto con il management team della quotanda (tipicamente costituito almeno da Ceo e Cfo) dipende in ultima istanza la volontà di inviare un ordine di acquisto che alimenterà il book istituzionale. Pertanto, la capacità del management di veicolare in modo convincente l’Equity Story è essenziale per il successo dell’operazione; a tal fine, durante l’intero processo di preparazione il global coordinator e l’advisor finanziario svolgono una intensa attività di training nei confronti degli esponenti della quotanda sulle migliori modalità con cui condurre questi meeting.

In questa fase gli investitori istituzionali inviano delle manifestazioni d’interesse all’acquisto di un determinato quantitativo di titoli che alimentano il c.d. book istituzionale (sistema elettronico gestito in real-time da tutte le banche coinvolte nella raccolta di ordini), ad un prezzo che tiene conto non solo dei fundamental della società e delle informazioni presenti nelle ricerche degli analisti, ma anche di elementi soft quali: livelli di valutazione di società comparabili, corporate governance, management team, rischi dell’operazione e rapporti con parti correlate (descritti nel prospetto informativo), sistemi manageriali (SCG, compensation, pianificazione, struttura organizzativa), condizioni di mercato, ecc..

Le manifestazioni d’interesse, raramente senza indicazione di prezzo, possono contenere un prezzo fisso oppure dei volumi differenti rispetto a diversi livelli di prezzo.

Il prezzo finale di offerta viene individuato dalle banche collocatrici insieme agli azionisti, agli esponenti del management team e al loro advisor finanziario, considerando sia il

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numero di azioni richieste registrate nel book e il prezzo che gli investitori istituzionali sono disposti a pagare, sia analizzando la qualità della domanda degli investitori istituzionali medesimi (misurata dalle caratteristiche degli investitori in termini di politica di investimento e di gestione del portafoglio, dimensione del portafoglio, mercati e settori d’interesse, ecc.). Il prezzo finale, in linea generale, è determinato in modo da allocare effettivamente il numero di azioni agli investitori istituzionali e retail (secondo priorità definite dalla società e dai global coordinator), lasciando, allo stesso tempo, che una parte della domanda non venga soddisfatta, così da alimentare l’interesse all’acquisto e supportare l’andamento del titolo nell’aftermarket.

I.II Il Dual track approach

Talvolta le società interessate a processi di raccolta di capitali e/o alla dismissione di partecipazioni da parte dell’azionista di maggioranza possono intraprendere un processo di dual-track, intendendosi con tale termine un processo di preparazione alla quotazione accompagnato da un contemporaneo e alternativo processo privato (M&A) di ingresso di un nuovo azionista nel capitale (di maggioranza o minoranza, tramite un aumento di capitale e/o vendita da parte di azionisti esistenti). Il processo di dual track, mantenendo le due opzioni aperte fino a un certo stadio, ha come obiettivo quello di massimizzare il valore della società, considerando che quest’ultimo può differire a seconda della tipologia di investitori/compratori quali, ad esempio, fondi di private equity, investitori istituzionali (mercati finanziari), società industriali o holding di partecipazioni. Inoltre, è plausibile che una società adeguatamene preparata per un processo di quotazione sia ancora più appetibile per un potenziale strategic buyer e che la presenza di un processo di quotazione possa accrescere il potere negoziale della società e dei suoi azionisti in un processo di M&A. Altro obiettivo del dual track è quello di prevenire, durante il processo di preparazione alla quotazione, le conseguenze di eventuali peggioramenti delle condizioni di mercato che precluderebbero la conclusione favorevole dell’IPO. Durante il dual track, la fase di due diligence è comune a entrambi i processi di raccolta capitali, che quindi si avvalgono di una base informativa molto simile messa a disposizione di tutti i soggetti coinvolti (inclusi i potenziali private buyer); pertanto, sotto questo punto di vista, esiste un vantaggio in termini di costi, che in parte non vengono duplicati, e di processo per la società. Successivamente all’attività di due diligence, come illustrato in precedenza, inizia il pre-marketing finalizzato ad individuare, nell’ambito di un processo di quotazione, il range di prezzo indicativo, che sarà il riferimento per la fase di raccolta ordini e bookbulding. Contemporaneamente, durante il processo di M&A, i potenziali investitori coinvolti nell’asta competitiva, dopo aver svolto le proprie analisi e valutazioni, presentano alla società, per il tramite dell’advisor finanziario coinvolto, le proprie proposte di acquisto che definiscono le potenziali condizioni contrattuali, ivi incluso il prezzo offerto. A questo punto si apre per la società e i suoi azionisti un momento cruciale di analisi e di confronto tra il range di prezzo proposto dal global coordinator e le proposte di prezzo raccolte dall’advisor finanziario nell’ambito del processo di M&A; ciò potrebbe determinare la decisione di interrompere il

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processo di quotazione, qualora il range proposto dalle banche collocatrici fosse inferiore al prezzo delle proposte raccolte durante il processo di M&A, ovvero, nell’ipotesi contraria, di proseguire con il processo di quotazione, sospendendo temporaneamente il processo di M&A. In quest’ultima ipotesi, la società prosegue con il processo di quotazione e dà avvio alla fase di bookbuilding e pricing che porta alla raccolta delle manifestazioni di interesse e alla potenziale definizione del prezzo di assegnazioni delle azioni. Laddove, dunque, quest’ultimo prezzo si confermasse superiore alle proposte di prezzo raccolte nel processo di M&A, la società potrà decidere di procedere con l’IPO, fissando il prezzo definitivo e allocando le azioni agli investitori. In caso contrario, invece, la società completerà il processo di M&A con la scelta del compratore/investitore che entrerà nel suo capitale. E’ evidente che possono esserci situazioni di maggiori incertezza rispetto a quelle rappresentate in precedenza, determinate dalla estrema vicinanza o dalla sovrapposizione tra il range di prezzo presentato dal global coordinator e i prezzi proposti dai potenziali buyer nel processo di M&A. Ciò accresce l’incertezza nel processo di dual track e la necessità di dover determinare solo nella fase finale quale dei due processi potrà prevalere. Infine, laddove il processo di quotazione dovesse prevalere sul processo di M&A, sarebbe opportuno che i private buyer, se hanno avuto accesso a informazioni rilevanti sull’emittente non contenute nel prospetto informativo (ad esempio dati prospettici inclusi esclusivamente nel piano industriale), si astenessero dall’inserimento di ordini nel processo di bookbuilding o dall’acquistare i titoli sul mercato successivamente all’inizio delle negoziazioni (almeno finché non si possano ritenere superate le informazione suddette).

I.III Il processo di valutazione ai fini della quotazione in Borsa di PMI

Il processo di valutazione di una PMI finalizzato alla quotazione in Borsa generalmente si presenta meno complesso di quello descritto in precedenza. Di seguito vengono sintetizzate le principali differenze. Durante la fase di Pitch una PMI in genere invita un numero ridotto di banche a fare una proposta finalizzata all’ottenimento dell’incarico di global coordinator, ricevendo un documento che tipicamente include una valutazione preliminare. Nella fase di due diligence la documentazione da mettere a disposizione dipende anche dai requisiti di accesso al mercato di quotazione scelto; ad esempio, una società che intende quotarsi sull’AIM Italia è tenuta a redigere un documento di ammissione (invece che un prospetto informativo da sottoporre all’approvazione della Consob, necessario per accedere a un mercato regolamentato) e predisporrà a tal fine una dataroom meno articolata, considerate le caratteristiche semplificate del documento suddetto. In ogni caso, una PMI non può prescindere dalla necessità di mettere a disposizione del global coordinator le informazioni utili ad analizzare il suo business e il contesto competitivo in cui opera. Pertanto, anche in questi casi, il piano industriale resta il documento principale da analizzare, soprattutto per costruire l’Equity Story da proporre agli eventuali investitori. Anche per una PMI questa fase si conclude con l’elaborazione di un range di valutazione preliminare. La fase di pre-marketing è sicuramente meno complessa per una PMI, in quanto è possibile che non venga svolta un’analyst presentation e non vengano pubblicate le ricerche da parte degli analisti; in alcuni casi, invece, essendo il consorzio di collocamento molto ridotto, solo

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a pochi analisti (in qualche caso anche solo a un analista) viene richiesta l’elaborazione di una ricerca. Pertanto, nel processo di quotazione di una PMI la fase di investor education è molto più ridotta e può anche consistere, laddove non siano pubblicate delle ricerche da parte degli analisti finanziari, solo in alcuni incontri preliminari svolti tra la sales force del global coordinator e alcuni potenziali investitori selezionati. Al termine di questa fase si giunge all’elaborazione di un range di prezzo indicativo. Durante la fase di Bookbuilding il management della quotanda, accompagnato dal global coordinator e dal suo advisor finanziario, incontra gli investitori tipicamente in sessioni one-to-one, mentre raramente vengono svolti meeting con gruppi di investitori. Il roadshow ha carattere domestico o al massimo tocca poche piazze internazionali, tra cui quella londinese. Al termine di questa fase, una volta raccolte sufficienti adesioni all’offerta, viene definito il prezzo finale in base a criteri simili a quelli descritti in precedenza.

I.IV Alcuni principi da seguire

In questo paragrafo sono sintetizzati alcuni principi, già descritti in precedenza, da seguire durante il processo di valutazione di una società ai fini della quotazione in Borsa.

1. Base informativa

Il processo valutativo riguardante una IPO necessita di una base informativa adeguata rappresentata dal piano industriale, da informazioni inerenti il business model, il posizionamento e i vantaggi competitivi e il sistema di governance della società quotanda. Per poter approcciare il percorso valutativo, tutti i soggetti coinvolti, in linea con il PIV (Principi Italiani di Valutazione) 1.4.3, devono partire dall’apprezzamento e dalla valutazione della documentazione e delle informazioni rilevanti previo svolgimento di un processo di analisi fondamentale, selezionare le metodologie più idonee allo scopo e valutare i principali fattori di rischio.

2. IPO discount

E’ buona regola durante un processo valutativo riguardante una IPO prendere in considerazione l’applicazione di un’IPO discount, che ha la funzione di massimizzare il livello di domanda e aumentare, per coloro che durante il collocamento hanno deciso di investire nell’azienda, la probabilità di ottenere un buon rendimento dall’investimento.

3. Aggiornamenti continui durante il processo

Durante tutto il processo di valutazione finalizzato alla quotazione è opportuno avere frequenti aggiornamenti tra tutti i soggetti coinvolti nella valutazione e in particolare tra gli azionisti, gli esponenti della società, le banche collocatrici e l’advisor finanziario, soprattutto nei periodi di grande turbolenza dei mercati finanziari; tali aggiornamenti sono

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indispensabili anche qualora emergano nuove informazioni sull’emittente e sul suo contesto competitivo, anche a seguito dell’approvazione di dati finanziari interinali.

4. Range di valutazione preliminare

Alla fine della fase di due diligence, la banca collocatrice presenta alla società una prima ipotesi di valutazione, detta range di valutazione preliminare. Tale valore rappresenta la stima del valore del capitale economico della società in ottica di quotazione, che non tiene conto dell’IPO discount e delle indicazioni provenienti dall’attività di pre-marketing.

5. Intervallo di valorizzazione indicativa

L’Intervallo di valorizzazione indicativa, definito al termine della fase di pre-marketing, tiene conto dei riscontri sul prezzo che gli investitori istituzionali sono disposti a pagare raccolti durante l’attività di investor education. Esso è frutto del confronto tra il global coordinator, la società emittente e gli eventuali azionisti venditori, assistiti dal loro advisor finanziario, e dovrebbe essere fissato facendo in modo che il prezzo minimo rappresenti una soglia di forte attrattività per gli investitori, al fine di generare una domanda sufficiente a “chiudere l’offerta”.

6. Pricing finale

Il prezzo finale di offerta viene individuato dalle banche collocatrici insieme agli azionisti, agli esponenti del management team e all’advisor finanziario, considerando sia il numero di azioni richieste registrate nel book e il prezzo che gli investitori istituzionali sono disposti a pagare, sia analizzando la qualità della domanda degli investitori istituzionali (misurata dalle caratteristiche degli investitori in termini di politica di investimento e di gestione del portafoglio, dimensione del portafoglio, mercati e settori d’interesse, ecc.). Il prezzo finale, in linea generale, è determinato in modo da allocare effettivamente il numero di azioni agli investitori istituzionali e retail (secondo priorità definite dalla società e dal global coordinator), lasciando, allo stesso tempo, che una parte della domanda non venga soddisfatta, così da alimentare l’interesse all’acquisto e supportare l’andamento del titolo nell’aftermarket.

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II. I SOGGETTI COINVOLTI

I processi di IPO vedono protagonisti molteplici attori. Oltre alla società emittente, infatti, sono coinvolti, tra gli altri, gli investitori istituzionali e individuali, gli azionisti che partecipano all’offerta vendendo le azioni possedute, gli advisor e le banche del sindacato di collocamento, la società di gestione del mercato di quotazione, l’autorità di controllo che autorizza l’offerta. Si tratta quindi di un’operazione relativamente complessa, che si articola in una sequenza di fasi estese su un arco temporale di 6-12 mesi e prevede passaggi delicati di valutazione e di pricing, svolti spesso in condizioni di asimmetria informativa tra gli attori coinvolti.

La decisione sul prezzo è decisamente critica, poiché avviene in condizioni di informazione incompleta e coinvolge soggetti con interessi contrastanti. Ciò rende particolarmente rilevante il ruolo delle banche di investimento facenti parte del sindacato di collocamento e dell’advisor dell’emittente. In sostanza, si tratta di valorizzare al meglio la società emittente, rendendola appetibile agli investitori, e di coordinare il processo di pricing in modo coerente con le valutazioni che saranno espresse dal mercato. L’emittente dovrà accettare un ragionevole sconto di prezzo (underpricing) a fronte del successo dell’operazione; gli investitori vorranno ottenere un rendimento in linea con il profilo di rischio assunto al momento della sottoscrizione dell’offerta.

Fatta questa premessa, nel presente capitolo vengono descritti gli attori maggiormente coinvolti nel processo di valutazione ai fini della quotazione in Borsa:

la società;

l’advisor finanziario;

le banche del consorzio;

gli analisti delle banche del consorzio.

II.I Società

Diversi obiettivi, sia di carattere strettamente finanziario, sia di natura più generale, possono essere alla base della scelta da parte della società di intraprendere il percorso della quotazione in Borsa. Le principali e più ricorrenti motivazioni sono:

la gestione della struttura finanziaria: rientrano in questo ambito considerazioni di diverso tipo, che vanno dalla necessità di raccogliere capitale di rischio per finanziare la crescita alla ricerca di condizioni per ottimizzare il livello del costo del capitale;

la formazione di un mercato per le azioni (prezzo e liquidità): la quotazione in Borsa permette di soddisfare l’esigenza di disinvestimento per gli attuali azionisti che, avendo contribuito alla crescita e alla valorizzazione della società, possono avere interesse a realizzare parte del valore e diversificare la loro ricchezza. Inoltre, con la quotazione, le azioni vengono costantemente valorizzate dal mercato e sono quotidianamente negoziabili;

la disponibilità di “moneta” per operazioni di acquisizione: le azioni quotate possono rappresentare il mezzo di pagamento per operazioni di acquisizione basate, anche

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solo in parte, sullo scambio azionario. In termini più generali, l’accesso al mercato dei capitali allarga la capacità della società di finanziare la crescita per vie esterne;

il miglioramento dello status della società: in quanto quotata, una società gode in generale di maggiori benefici di immagine e di reputazione rispetto a una società privata; questo è tanto più vero se il mercato di quotazione è evoluto e apprezzato dagli investitori domestici e internazionali. Gli effetti positivi scaturiscono, ad esempio, da ragioni strettamente di mercato (presenza degli investitori istituzionali nel capitale) ovvero dalla credibilità associata all’aver superato la selezione del processo di quotazione;

la capacità di attrarre risorse manageriali: lo status di quotata attira risorse manageriali grazie alla visibilità associata e alla possibilità di beneficiare di più allettanti pacchetti retributivi, in parte basati sulle azioni quotate (stock option).

Come già evidenziato, la società emittente e i suoi azionisti hanno un ruolo fondamentale nel processo di definizione del prezzo ai fini della quotazione in Borsa, in quanto, da un lato, vorranno ottenere la migliore valorizzazione del titolo e vedere premiati gli sforzi compiuti fino a quel momento, dall’altro, al fine di rendere l’investimento appetibile e assicurare il successo dell’operazione, dovranno concedere un ragionevole sconto di prezzo (underpricing) agli investitori al fine di consentire a questi ultimi di conseguire un rendimento adeguato alle loro aspettative.

II.II Advisor Finanziario

L’advisor finanziario svolge un ruolo centrale in un’operazione di IPO. Il financial advisor, pur non essendo una figura obbligatoria, è il soggetto che in genere assiste gli azionisti e l’impresa durante tutto il processo di quotazione, coordinando e gestendo i rapporti con gli altri consulenti/attori.

L’advisor svolge tutta una serie di attività, di seguito rappresentate, nella fase di preparazione alla quotazione, due diligence, pre-marketing, bookbuilding e pricing.

Durante la fase preparatoria, il financial advisor assiste la società nella predisposizione del piano industriale, secondo criteri e linee guida generalmente accettati dal mercato. Infatti, nonostante le proiezioni finanziarie contenute nel piano non siano generalmente comunicate al mercato, è principalmente sulla base delle indicazioni in esso contenute che viene costruita la c.d. Equity Story, ovvero il profilo della società emittente che verrà presentato agli investitori al fine di indurli ad aderire all’offerta delle azioni, in grado di valorizzare al meglio gli elementi di attrattività dell’investimento.

In questa fase, il financial advisor predispone uno studio preliminare di fattibilità dell’operazione, definisce le caratteristiche dei titoli da emettere, le linee guida dell’operazione e la struttura indicativa dell’offerta; inoltre assiste la società nella selezione degli altri attori da coinvolgere, quali il global coordinator, lo sponsor, gli altri consulenti e la società di comunicazione.

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Sempre in questa fase, l’advisor elabora una prima valutazione di massima, che consenta agli azionisti dell’emittente di giudicare la convenienza o meno dell’operazione di quotazione.

Durante la fase di due diligence, il financial advisor coordina, insieme alla banca collocatrice, il processo di elaborazione dell’Equity Story da presentare al mercato, collabora alla redazione del prospetto informativo, assiste la società nella relazione con le banche del consorzio e con i suoi analisti finanziari e si occupa di promuovere l’immagine aziendale supportando la quotanda nelle relazioni con la società di comunicazione. Al termine di questa fase, insieme alla banca collocatrice, presenta alla società una prima ipotesi di valutazione (range di valutazione preliminare).

Nel corso dell’attività di pre-marketing, l’advisor finanziario, di intesa con la banca collocatrice, assiste l’emittente nella predisposizione della presentazione che dovrà essere fatta agli analisti del consorzio (analyst presentation), coordina l’attività di pilot fishing, di investor education e la fissazione del range di prezzo indicativo nonché del prezzo massimo da riportare all’interno del prospetto informativo.

Durante il bookbuilding, l’advisor, unitamente alla banca coordinarice, assiste l’emittente nello svolgimento del roadshow, verifica la formazione del c.d. Book, assiste nella definizione del prezzo finale e nell’allocazione dei titoli agli investitori.

Quanto appena descritto evidenzia l’importanza del ruolo dell’advisor finanziario nel processo di IPO: per tali ragioni, la società e i suoi azionisti lo dovrebbero scegliere in modo accurato, solo dopo aver svolto un adeguato “beauty contest”. I criteri di selezione dovrebbero privilegiare quei soggetti accreditati presso la comunità degli investitori per avere assistito, con successo e nel rispetto delle tempistiche prestabilite, altre società durante il processo di quotazione.

Essendo il ruolo dell’advisor finanziario diverso da quello del global coordinator, di seguito descritto, esso può essere ricoperto anche da strutture non bancarie, ovvero dalle c.d. boutique di corporate finance.

II.III Le banche del sindacato di collocamento

Il sindacato di collocamento è costituito dall’insieme di banche che, con ruoli diversi, svolgono le attività necessarie per il collocamento delle azioni presso gli investitori. Nelle operazioni di una certa dimensione la struttura del sindacato è tipicamente piramidale: ha al suo vertice il global coordinator (o più global coordinator, nei casi più complessi) e poi, via via a scendere, diversi ranghi di banche con posizioni di minore rilievo e responsabilità. La parte alta del sindacato svolge funzioni di management e coordinamento, quella bassa è dedicata alla funzione distributiva in senso stretto. Le posizioni di vertice del sindacato beneficiano generalmente di un livello più alto di commissioni.

Vi sono diverse formule di sindacato nelle operazioni di collocamento azionario. È possibile distinguere preliminarmente tra “sindacati di collocamento in senso stretto” e “sindacati di collocamento e garanzia”.

Nel primo caso le banche sono impegnate essenzialmente a svolgere una funzione di distribuzione dei titoli presso gli investitori tramite un processo che include tutte le attività

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di marketing e il regolamento finale, senza garantire il buon fine dell’offerta (tale formula è anche denominata “best effort”).

Il secondo caso (collocamento e garanzia) prevede, invece, che il sindacato svolga non solo la funzione distributiva sopra descritta ma anche quella di assumersi l’impegno a garantire il buon fine dell’offerta, con particolare riguardo ai titoli oggetto di ordini di acquisto raccolti durante il bookbuilding ma non regolati. Infatti, le banche del sindacato, al fine di limitare il “rischio di posizione” correlato alla prestazione della garanzia, tendono a firmare prima dell’inizio del collocamento solo un contratto di garanzia relativo alla tranche retail (laddove esistente), condizionato alla successiva firma del contratto di collocamento e garanzia della tranche istituzionale; quest’ultimo, invece, è generalmente firmato solo al termine della fase di raccolta ordini istituzionali, solo qualora l’esito dell’offerta sia stato soddisfacente. Pertanto, la garanzia prestata dal sindacato riguarda solo il regolamento degli ordini istituzionali che sono stati effettivamente allocati. . Tutto questo ha naturalmente un costo per l’emittente costituito dalla parte della commissione totale che dovrà pagare alle banche denominata underwriting fee (commissioni di garanzia).

Fatta questa premessa, di seguito, nel rappresentare le principali attività che vengono svolte dal sindacato di collocamento, si farà riferimento a questa seconda tipologia di sindacati, più diffusa nei mercati finanziari evoluti. Tale attività includono:

1. raccogliere feed-back preliminari dagli investitori; 2. garantire l’affidabilità dell’emittente; 3. svolgere l’attività di placing e pricing.

Si tratta di attività fondamentali per poter giungere alla definizione finale dei termini dell’offerta e allo svolgimento del processo di raccolta ordini e di pricing.

Raccogliere feed-back preliminari dagli investitori

Come già detto nel capitolo 1, uno dei passaggi cruciali di un processo di IPO è la definizione del prezzo finale di allocazione delle azioni offerte nel corso del collocamento. Il processo di pricing si arricchisce progressivamente di sostanza e contenuto, man mano che la società mette a disposizione dati e informazioni dettagliate sull’attività e sulle prospettive future: partendo da una stima preliminare, tiene progressivamente conto delle indicazioni fornite dagli investitori durante l’attività di pre-marketing, delle ricerche preparate dagli analisti del consorzio di collocamento, dell’andamento dei mercati borsistici, delle dimensioni dell’offerta e della potenziale liquidità del titolo.

Il ruolo del sindacato delle banche durante il processo di marketing è cruciale in quanto si occupa, di concerto con l’advisor finanziario, di svolgere tutte le attività che includono, come in precedenza evidenziato, l’early marketing, il pilot fishing e l’attività di investor education. Si tratta di attività essenziali per raccogliere indicazioni in merito all’appetibilità dell’investment case e al range di valori proposto.

Garantire l’affidabilità dell’emittente

Una seconda importante funzione dei sindacati di collocamento è quella di garantire la qualità della società emittente e della sua Equity Story. In particolare, il global coordinator e

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il bookrunner mettono la propria reputazione in campo affiancando e supportando una società emittente durante un processo di collocamento; ciò risulta in qualche misura rafforzato dalla presenza, nella maggioranza dei casi, della clausola di garanzia. L’aspetto reputazionale è rilevante anche perché uno dei principali problemi che gli investitori devono affrontare durante una IPO è quello dell’asimmetria informativa, dovuta alla scarsa conoscenza della società da parte del mercato. Non deve sorprendere quindi che gli investitori spesso attribuiscano grande rilevanza alla reputazione di cui godono le banche del sindacato, oltre che alla validità dell’Equity Story proposta.

Attività di placing e pricing

Il sindacato di collocamento si occupa di svolgere l’attività di placement ovvero la massimizzazione delle manifestazioni di interesse all’offerta degli investitori, sia istituzionali che retail. Tutte le attività di placement e le preliminari attività di marketing (campagna pubblicitaria, pre-marketing, roadshow, etcc), grazie alla forza distributiva messa in campo dal sindacato, contribuiscono allo sviluppo della domanda da parte degli investitori e quindi a creare il presupposto per il buon esito dell’offerta. Una volta raccolte le potenziali adesioni, altro compito del sindacato, di concerto con l’advisor finanziario, è quello di svolgere un’adeguata selezione dei potenziali investitori in modo che si possa soddisfare l’offerta di titoli.

Per gli investitori retail i criteri rappresentati nel prospetto informativo sono oggettivi e trasparenti e vanno dall’estrazione a sorte all’assegnazione pro-quota. Diverso invece è il caso degli investitori istituzionali, dove vi è ampia discrezionalità nell’assegnazione delle azioni da parte del consorzio.

Nella fissazione del prezzo finale dell’offerta, il sindacato di collocamento, di concerto con l’advisor, una volta analizzate le manifestazioni di interesse raccolte, si trova ad affrontare un difficile trade-off: si dovrebbe evitare di fissare un prezzo che si riveli troppo alto (overpricing), avvantaggiando l’emittente (e azionisti venditori) a danno degli investitori ovvero un prezzo che si riveli troppo basso (underpricing), premiando gli investitori a danno dell’emittente (e azionisti venditori). In entrambe le ipotesi il sindacato andrebbe incontro a problemi di reputazione e, nelle operazioni fatte con la formula di “collocamento e garanzia”, al “rischio di posizione” laddove ci fosse undersubscription, dovendo sottoscrivere l’eventuale invenduto al prezzo di collocamento.

2.3.1 La struttura del sindacato di collocamento

Come accennato in precedenza il sindacato di collocamento, soprattutto nelle operazioni più rilevanti, assume una struttura piramidale che ha al vertice il global coordinator (anche in forma joint) ed è articolato in modo da gestire le diverse tranche dell’offerta globale, vale a dire l’offerta retail, tipicamente destinata agli investitori individuali nel mercato domestico, e quella istituzionale, rivolta contemporaneamente agli investitori istituzionali internazionali e domestici. Per affrontare queste due componenti dell’offerta, le banche sono organizzate per livelli di responsabilità e per funzioni. Queste ultime fanno riferimento, grosso modo, alla ripartizione delle attività del sindacato tra quelle di execution, underwriting e placement.

A tal riguardo si distingue tra:

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banche appartenenti al “managing group” del consorzio, che hanno la responsabilità di gestire il sindacato e sovrintendono all’execution dell’operazione (global coordinator, bookrunner, co-lead manager); inoltre, esse assumono l’impegno di garanzia (underwriting) e possono svolgere anche l’attività di collocamento (placement);

banche non-managing underwriter, ovvero le banche che assumono l’impegno di garanzia e svolgono l’attività di collocamento;

banche appartenenti al “selling group”, che operano esclusivamente nell’attività di collocamento senza fornire garanzia.

Ai ruoli e alle attività sopra descritte corrisponde uno schema di remunerazione delle banche nell’ambito del margine complessivo (gross spread) che la società emittente paga al sindacato. Si tratta di una percentuale calcolata sull’ammontare dei fondi raccolti attraverso il collocamento e che può essere compresa tra il 2 e il 6 per cento in Europa e collocarsi intorno al 7 per cento negli Stati Uniti. Il gross spread viene ripartito in tre componenti che corrispondono alle responsabilità e ai compiti delle banche nel sindacato: management fee, underwriting fee e selling fee. È utile evidenziare che la componente rappresentata dalla selling fee è normalmente quella più elevata (50-60% circa del totale) e ciò testimonia quanto sia rilevante e critica l’attività di placement, ovvero la capacità di raggiungere e sollecitare l’interesse degli investitori.

Il processo di costituzione del sindacato di collocamento parte dalla scelta del global coordinator, cioè della banca di investimento (o delle banche di investimento, nel caso di joint mandate) che ha avuto il mandato di coordinare l’operazione di raccolta dei capitali. La nomina di uno o più global coordinator, e più in generale la numerosità del sindacato, è correlata alla dimensione dell’operazione e quindi alla necessità di frazionare i rischi, al livello di competizione tra le banche di investimento in un dato momento storico e all’interesse specifico dell’emittente alla partecipazione di alcune banche.

La corretta scelta delle banche del consorzio di collocamento e garanzia è un passo fondamentale per il buon esito delle operazioni di IPO, pertanto si deve tenere conto anche delle specializzazioni che caratterizzano tali soggetti in termini di categorie di investitori (fondi comuni, hedge fund, assicurazioni, fondi pensione), copertura geografica, dimensione delle operazioni, settori di appartenenza degli emittenti.

Infine, occorre anche considerare, laddove l’offerta globale includa anche la tranche retail, la necessità di costituire il “Consorzio per l’offerta pubblica retail” che tipicamente è composto da banche domestiche con un forte presidio territoriale nel paese di appartenenza dell’emittente.

II.IV Analisti delle banche del consorzio

Gli analisti finanziari delle banche del consorzio giocano un ruolo chiave in un processo di IPO poiché la loro credibilità e reputazione può condizionare l'interesse dei principali investitori istituzionali e quindi il successo dell'operazione.

Sebbene l’analista faccia parte a tutti gli effetti del gruppo di lavoro della banca collocatrice, egli deve essere visto come un soggetto terzo indipendente il cui compito è quello di

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studiare e comprendere l’Equity Story per poi rappresentarla in un documento ad hoc (la ricerca o “equity research”), che verrà diffuso presso gli investitori target delle banche del consorzio al fine di “educarli” sul profilo dell’investimento proposto.

Il contenuto delle equity research elaborate dagli analisti, inoltre, può rappresentare anche un ulteriore elemento di conforto per le banche del consorzio sulla validità dell’Equity Story che verrà veicolata agli investitori target e quindi un rilevante presidio per la difesa della loro reputazione.

Ne discende che la reputazione degli analisti finanziari delle banche del consorzio, coinvolti nell’operazione, rappresenta un elemento fondamentale di una IPO; essa peraltro è anche espressa tramite dei ranking pubblici elaborati da società specializzate anche con riferimento ad alcuni settori industriali o aree geografiche di riferimento. La capacità di questi soggetti di stimolare e sollecitare l'interesse degli investitori più importanti (i c.d. “opinion leader” o “price maker”), che a loro volta possono fungere da catalizzatore per altri investitori generando un effetto a cascata molto importante, è fondamentale per la buona riuscita dell’operazione.

La società emittente pertanto dovrebbe considerare l’analista finanziario come un soggetto indipendente esterno da coinvolgere e convincere al pari di un investitore istituzionale, proprio perché la sua ricerca rappresenta uno dei fattori più importanti per influenzare l’opinione degli investitori circa il posizionamento competitivo dell’emittente e la sua valutazione. La ricerca inoltre, come già indicato nel capitolo 1, rappresenta uno strumento molto utile nel corso dell’attività di pre-marketing per raccogliere indicazioni preliminari sull’appetibilità dell’investimento proposto e sul range di valori che sarà poi il riferimento nel corso del bookbuilding. La ricerca generalmente è strutturata rispettando delle linee guida consolidate e si compone dei seguenti paragrafi:

1. l’“investment case”, ovvero le principali motivazioni all’acquisto del titolo; 2. l’analisi dei punti di forza e debolezza della società; 3. l’analisi del settore e posizionamento competitivo della società; 4. i fattori di rischio dell'investimento; 5. i criteri di valutazione della società e talvolta un range di valori; 6. la storia della società e descrizione delle sue attività; 7. la biografia del management e degli azionisti; 8. l’analisi delle business unit e del modello di business; 9. l’analisi del portafoglio prodotti/servizi e dei marchi della società; 10. i dati finanziari storici e stima dei dati finanziari prospettici.

E’ doveroso precisare che le proiezioni finanziarie riportate nella ricerca sono frutto del lavoro dell’analista e non rappresentano le stime contenute nel piano industriale elaborato dalla società quotanda; nella predisposizione della ricerca l’analista non può avere accesso a informazioni e dati ulteriori rispetto a quelli presenti nel Prospetto Informativo.

Spesso le ricerche pubblicate in occasione delle IPO non contengono una esplicita valutazione della società quotanda, ma tendono a identificare un campione rappresentativo di società quotate con caratteristiche simili alla società quotanda (peer group), i cui multipli

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di quotazione possano rappresentare un utile proxy per la valutazione della quotanda stessa.

Il contenuto della ricerca segue solitamente le indicazioni presenti nel “Research Memorandum” preparato dallo studio legale che segue l'operazione di quotazione per conto delle banche del consorzio. Il Memorandum contiene procedure e regole in merito alla struttura della ricerca e alla modalità di pubblicazione e distribuzione, nonché agli obblighi successivi alla pubblicazione, che tipicamente prevedono il cosiddetto “black out period”. Durante questo periodo, che inizia con la pubblicazione della ricerca e termina circa 40 giorni dopo il closing dell'operazione, l’analista non potrà più pubblicare o distribuire ulteriori note o studi in merito alla società oggetto dell'offerta.

Una volta pubblicata, la ricerca servirà anche a supportare la forza vendita della banca collocatrice al fine di interagire con gli investitori interessati.

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III. MODALITÀ DI QUOTAZIONE

III.I IPO: OPS, OPV, OPVS Le modalità attraverso le quali un’azienda quota in Borsa le proprie azioni sono diverse e ognuna di esse ha delle specifiche implicazioni in termini di valorizzazione e di definizione del prezzo.

Il tipico processo attraverso il quale un’azienda diventa quotata viene chiamato IPO (Initial Public Offering). Per IPO si intende un’offerta di titoli azionari rivolta agli investitori istituzionali ed eventualmente al pubblico indistinto, finalizzata alla diffusione degli stessi e quindi alla creazione del c.d. flottante, che rappresenta uno dei requisiti di accesso ai mercati borsistici. L’IPO può essere promossa dalla società emittente e da coloro che hanno la proprietà delle azioni, attraverso le seguenti modalità:

OPS: Offerta Pubblica di Sottoscrizione. Con questa modalità di quotazione in Borsa vengono collocate sul mercato azioni di nuova emissione rinvenienti da un aumento di capitale deliberato dall’assemblea degli azionisti (nella sostanza si tratta di un aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione a favore dei nuovi soci rappresentati dagli investitori istituzionali e retail), che accettano di diluire la loro quota di partecipazione nell’azienda. In questo modo la società beneficia dell’ingresso di nuovi capitali da usare per la realizzazione delle strategie di crescita comunicate al mercato durante l’offerta.

OPV: Offerta Pubblica di Vendita. Con questa modalità gli azionisti decidono di quotare in Borsa la loro società mettendo in vendita una parte della delle azioni da loro detenute, senza alcun ingresso di fondi in azienda. L’OPV è una modalità piuttosto diffusa per l’accesso ai mercati borsistici, che in Italia ha trovato applicazione soprattutto nella privatizzazione di alcune aziende pubbliche ovvero nella quotazione di aziende dotate di un profilo finanziario particolarmente robusto, che non necessitavano di nuovi capitali per finanziare le proprie strategie di crescita.

OPVS: Offerta Pubblica di Vendita e Sottoscrizione. Questa terza modalità di quotazione in Borsa prevede l’utilizzo congiunto delle due modalità precedentemente descritte. L’OPVS viene utilizzata principalmente quando un’azienda ha bisogno di raccogliere capitali per finanziare il proprio sviluppo e i suoi azionisti, contemporaneamente, desiderano vendere parte delle proprie azioni (può essere, ad esempio, il caso dell’uscita dal capitale di un fondo di private equity).

Dei tre casi di IPO descritti, il mercato predilige sicuramente il primo. Gli investitori sono infatti maggiormente disposti ad investire nelle aziende che presentano delle attraenti opportunità di crescita e che necessitano di nuovi capitali per poterle perseguire al meglio. Lo sono invece decisamente meno se l’operazione è finalizzata esclusivamente a consentire all’azionista di maggioranza di cedere una parte delle sue azioni, a meno che non si tratti di realtà aziendali, dotate ad esempio di marchi molto noti, con eccellenti prospettive di crescita che possono autofinanziarsi.

Ciò può avere un impatto anche in termini di prezzo dell’IPO: la minor predisposizione all’investimento dal parte del mercato nel caso di OPV, a parte i casi appena descritti, può determinare, a parità di tutte le altre condizioni illustrate nei precedenti capitoli, una

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valutazione inferiore e quindi l’immissione di un ordine ad un prezzo più contenuto. Anche per l’offerta mista (OPVS), il successo o meno dell’operazione e il prezzo delle azioni può dipendere oltre che dall’attrattività del profilo competitivo dell’azienda quotanda, dall’ammontare dell’offerta in vendita rispetto all’aumento di capitale. Percentuali in vendita molto elevate potrebbero pertanto avere un impatto sul prezzo proposto dagli investitori.

III.II Quotazione di una società beneficiaria di una scissione deliberata da una società quotata (Demerger)

Con questa modalità di quotazione, una società quotata decide di separare una parte del proprio business rappresentata da un ramo di azienda ovvero da un perimetro societario, che viene, pertanto, scisso a favore di una società beneficiaria che sarà quotata. Quest’ultima, se società di nuova costituzione, per effetto dell’operazione straordinaria appena descritta, risulterà partecipata dai medesimi azionisti della società quotata originaria, che verranno a detenere nella beneficiaria della scissione le stesse percentuali di partecipazione detenute prima della scissione. Conseguentemente, il flottante preesistente nella società quotata prima della scissione sarà il medesimo nella società beneficiaria quotata.

Le scissioni, nella configurazione appena descritta, possono essere intraprese per vari motivi, tra cui spicca l’esigenza di migliorare la valorizzazione del portafoglio delle attività gestite da una società quotata; infatti, spesso, esse vengono proposte all’assemblea degli azionisti proprio per ottenere un’adeguata valorizzazione delle attività oggetto di scissione mediante l’attribuzione delle medesime a una società beneficiaria che, tramite la quotazione, sarà valutata autonomamente dal mercato. Pertanto le scissioni sono operazioni solitamente gradite agli investitori proprio perché in alcuni casi consentono di rendere esplicito un “valore nascosto”.

III.III Quotazione di una società controllata attraverso la distribuzione delle sue azioni agli azionisti di una società quotata controllante Un’altra modalità di quotazione che negli ultimi anni ha visto alcuni utilizzi nel mercato dei capitali italiano è rappresentata dalla quotazione di una società controllata da una società quotata le cui azioni, integralmente o parzialmente, vengono assegnate gratuitamente ai soci di quest’ultima in proporzione alla loro percentuale di possesso nel capitale sociale della società quotata. Tale assegnazione di azioni viene deliberata dall’assemblea ordinaria della società quotata ed è realizzata attraverso la distribuzione di riserve di capitale in natura. In tal modo si realizza la diffusione delle azioni della società quotanda propedeutica alla creazione del flottante necessario per accedere al mercato borsistico prescelto.

Queste operazioni, se ne sussistono le condizioni, in genere sono realizzate per migliorare la valorizzazione delle partecipazioni detenute da una società quotata, creando conseguentemente valore per i propri azionisti.

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III.IV SPAC e quotazione della società target

Le SPAC, Special Purpose Acquisition Company, sono veicoli di investimento costituiti specificatamente per raccogliere capitale al fine di effettuare un’operazione di acquisizione di una partecipazione in un'altra società e/o una aggregazione da attuarsi, ad esempio, attraverso una fusione con l’impresa selezionata (target) ovvero operazioni di conferimento alla medesima (c.d. business combination). Le SPAC sono tipicamente quotate attraverso un’IPO, nel rispetto dei requisiti di accesso al mercato borsistico prescelto e delle vigenti normative, al fine di raccogliere i capitali necessari a portare a termine l’operazione rilevante. Le SPAC in genere si danno un termine massimo di 18-24 mesi per l’approvazione da parte dell’assemblea dei soci della business combination, superato il quale si deve procedere allo scioglimento e liquidazione della stessa con la restituzione ai soci di quanto raccolto, che nel frattempo è stato depositato in un conto vincolato. Laddove, invece, venga realizzata la business combination, la SPAC si troverà a possedere una partecipazione nella società target (ovvero a essere posseduta dalla società target), che, a seguito di una fusione per incorporazione (e contestuale cambio di denominazione e oggetto sociale della SPAC), sarà quotata nel medesimo mercato di quotazione della SPAC .

Il successo di una SPAC quotata, una volta completata la propria IPO, dipende quindi dalla sua capacità di ricercare e individuare una società target che sia potenzialmente appetibile per i suoi investitori, nonché di negoziare termini e condizioni dell’operazione di aggregazione, ivi incluso il prezzo, che possano poi essere ritenuti vantaggiosi dai suoi soci. Solo in questo caso l’assemblea degli azionisti, pur considerando l’effetto diluitivo determinato dalla remunerazione dei Promotori della SPAC, approverà l’operazione, con le maggioranze minime a cui è condizionata, e la contestuale fusione della SPAC con la società target, che porterà quest’ultima a essere quotata in Borsa.

La società target, invece, tramite la realizzazione della business combination con la SPAC, ottiene lo stesso risultato che avrebbe raggiunto tramite una IPO, ovvero si ritrova quotata e con la disponibilità dei mezzi finanziari raccolti e detenuti dalla SPAC incorporata (o incorporante); il processo di quotazione in questo caso risulterà più veloce e meno costoso di una IPO, in quanto non dovrà essere svolto il collocamento delle proprie azioni presso gli investitori istituzionali ma solo una negoziazione privata della sua valorizzazione, senza dover affrontare le incertezze determinate dalla volatilità dei mercati finanziari.

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IV. CONFIGURAZIONE DI VALORE E FATTORI DA CONSIDERARE NELLA VALUTAZIONE AI FINI DI IPO

Nel presente capitolo vengono illustrate alcune peculiarità del processo di valutazione ai fini della quotazione in Borsa.

Nell’ambito delle cinque configurazioni di valore richiamate dal PIV I.6.2 la valutazione individuata ai fini della quotazione in Borsa rientra nella definizione di valore di mercato. Ad esso infatti si perviene attraverso un processo di “scoperta” del prezzo di offerta che si sviluppa nel corso del periodo in cui si svolge l’attività di marketing (“il periodo di commercializzazione” a cui fa riferimento il PIV I.6.3) nei confronti di potenziali investitori/acquirenti “indipendenti e motivati che operano in modo informato (sulla base della documentazione di offerta messa a disposizione), prudente, senza essere esposti a particolari pressioni (obblighi a comprare o a vendere)”.

Come già richiamato nel Capitolo 1, tale attività di marketing può svolgersi lungo un arco temporale esteso, che può iniziare anche mesi prima dell’avvio formale del periodo di offerta. Sempre più di frequente infatti la prassi seguita dalle banche collocatrici e dagli advisor finanziari tende a prediligere momenti di “educazione” degli investitori svolti con congruo anticipo rispetto alla fase del c.d. pre-marketing o di roadshow e bookbuilding; ciò al fine di massimizzare la conoscenza della società che sarà successivamente oggetto di quotazione e, conseguentemente, il valore che i potenziali acquirenti saranno disposti a riconoscere al venditore e/o all’emittente. Tali momenti di educazione preliminare (nel gergo “early look marketing” o “pilot fishing”), benchè normalmente non forniscono indicazioni circa il livello di valutazione che gli investitori sono pronti a riconoscere, permettono, tra l’altro, di delineare le principali metodologie valutative che gli investitori interpellati utilizzerebbero in sede di offerta.

IV.I La determinazione del range di prezzo indicativo e del prezzo finale d’offerta

La determinazione del range di prezzo indicativo (o del prezzo fisso, come si vedrà nel successivo paragrafo), condizione essenziale per avviare il processo di offerta, è un esercizio che richiede l’analisi di tutti i riscontri forniti dagli investitori incontrati dagli analisti delle banche collocatrici in sede di pre-marketing. Affinché tali riscontri siano significativi essi devono provenire da un numero adeguato di investitori (per tipologia e area geografica di appartenenza) e fornire indicazioni quanto più possibile chiare sui livelli di valutazione a cui gli investitori sarebbero interessati a immettere un ordine nella successiva fase di bookbuilding. Tali valori possono essere espressi sia in termini assoluti e sia in termini di multipli impliciti delle principali grandezze economiche e/o patrimoniali attese per la società oggetto di quotazione; talvolta, invece, le indicazioni raccolte rappresentano uno sconto (o più raramente premio) rispetto a valutazioni espresse dal mercato per società quotate similari. Le principali difficoltà che tipicamente vengono affrontate in questa fase sono legate all’“interpretazione” dei riscontri ricevuti poiché non sempre questi sono chiari ed univoci. Al fine di limitare tali difficoltà è necessario pertanto assicurarsi che le modalità di raccolta dei riscontri siano predeterminate dalle banche collocatrici e dall’advisor finanziario

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nonchè sufficientemente standardizzate al fine di preservarne per quanto possibile l’omogeneità e siano analitiche in relazione alla tipologia di informazioni.

A mero titolo esemplificativo, considerando che il pre-marketing tipicamente si svolge lungo un arco temporale di circa due settimane e che ogni analista coinvolto in tale attività può incontrare circa 5-7 investitori al giorno (escludendo dal conteggio eventuali conference call di gruppo), normalmente una banca collocatrice riesce a contattare in questa fase circa 50-70 investitori (tale numero ovviamente tende a moltiplicarsi per il numero di banche collocatrici coinvolte). Il contenuto dei riscontri spazia dall’evidenziazione degli aspetti dell’Equity Story di maggiore interesse per l’investitore all’esplicitazione di perplessità o punti di debolezza; inoltre, vengono evidenziate le metodologie applicate dagli investitori e spesso anche un’indicazione preliminare della valutazione che gli stessi sarebbero disponibili a riconoscere oltre all’indicazione dell’ammontare del potenziale ordine che potrebbero immettere in sede di offerta.

La definizione del range di prezzo che ne consegue tende a riflettere il livello di interesse dimostrato dagli investitori contattati e costituisce l’input principale per la successiva fase di raccolta ordini (bookbuilding) nella quale gli investitori sollecitati immetteranno ordini espressi sotto forma di quantità/prezzo. Alla fine della fase di bookbuilding pertanto si avrà un libro ordini che verrà ordinato per quantità richieste a determinati livelli di prezzo e tipicamente mostrerà una certa sensibilità al prezzo da parte degli investitori (i.e. quantità complessiva di titoli richiesti decrescente al crescere del prezzo).

Il prezzo di offerta sarà quello che massimizza la domanda di mercato e nella sua individuazione si dovrà tenere conto anche della sensibilità al prezzo registrata in sede di raccolta ordini; ciò al fine di garantire un ordinato svolgimento delle negoziazioni post quotazione. A tal riguardo, particolare attenzione va prestata alla tendenza di molti investitori istituzionali ad “inflazionare” l’ammontare del proprio ordine al fine di massimizzare le probabilità di essere allocati in caso di riparto delle azioni oggetto di offerta. La pratica degli “ordini inflazionati” tende a distorcere la percezione del reale interesse per la quotanda e questo a sua volta può portare ad individuare un prezzo finale di offerta eccessivamente “ambizioso” se la componente di “inflazione” non viene in qualche modo depurata dal libro ordini.

La sensibilità della domanda al prezzo è funzione di vari fattori quali, a titolo esemplificativo:

i. l’assenza di un mercato di negoziazione dei titoli precedente alla quotazione inficia il giudizio che gli investitori esprimono sulla capacità del management di conseguire risultati futuri in linea con quanto già dimostrato in passato;

ii. il costo opportunità sostenuto dagli investitori in una logica di gestione del proprio portafoglio per accomodare i titoli oggetto di IPO nel paniere di titoli detenuti (a parità di altre condizioni, infatti, un investitore potrebbe essere nella condizione di poter comprare dei titoli in offerta solo previa cessione sul mercato di titoli già posseduti e considerati similari sotto il profilo rischio/rendimento o, alternativamente, potrebbe decidere di comprare titoli similari già quotati al posto di quelli in offerta se ritenuti più convenienti);

iii. un eventuale rischio di liquidità (ancor più rilevante nel caso di operazioni di collocamento medio-piccole);

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iv. la volatilità dei prezzi di mercato dei titoli comparabili e più in generale degli indici di mercato azionari registratasi nel corso dell’offerta o nel periodo immediatamente ad essa precedente (un eventuale innalzamento della volatilità tende a generare un innalzamento dell’avversione al rischio degli investitori nei confronti di nuove proposte di investimento).

Gli elementi di cui sopra concorrono a definire uno sconto rispetto alla valutazione che gli investitori sarebbero disposti a riconoscere alla quotanda se le sue azioni fossero già negoziate sul mercato. Tale sconto (IPO discount) tende ad essere riassorbito nei giorni successivi all’avvio delle negoziazioni e la sua misurazione è inevitabilmente ex-post.

IV.II IPO effettuate a “prezzo fisso”

Talvolta è possibile che un’offerta sia avviata sulla base di un prezzo fisso anziché di un range di prezzo per via della peculiarità dei settori di appartenenza della quotanda, che rendono più agevole la definizione di una valorizzazione (come ad esempio il settore immobiliare), oppure di un’attività di marketing rivolta a gruppi ristretti di investitori chiave (club deal) svolto in anticipo rispetto al classico processo di roadshow in precedenza descritto. Sono tipicamente casi in cui la quotazione è volta a raccogliere capitali per acquistare delle attività pre-individuate e valorizzate al momento dell’IPO (spesso attività immobiliari) e/o per le quali è stato effettuato un processo di negoziazione bilaterale con alcuni investitori selezionati (anchor investor).

Di seguito si riportano alcuni esempi di operazioni di quotazione europee che hanno avviato l’offerta sulla base di un prezzo fisso:

Data fissazione prezzo

Società Paese Settore Dimensione operazione (€ m)

23/6/14 AA Plc Regno Unito

Assistenza stradale e broker assicurativo

1.732

26/6/14 Merlin Properties

Spagna REIT 1.290

14/9/2015 Coima Res Italia SIIQ 215

Fonte: Dealogic, Prospetti informativi

L’IPO di AA Plc, società detenuta da vari fondi di private equity, è stata strutturata negoziando un prezzo di cessione con un limitato numero di investitori istituzionali (anchor), che successivamente è stato utilizzato per effettuare il bookbuilding. Tale prezzo è stato contrattualmente confermato dagli investitori iniziali prima dell’avvio dell’offerta attraverso la firma di lettere di impegno a sottoscrivere l’IPO. La negoziazione del prezzo con gli investitori istituzionali iniziali è stata promossa dai membri del futuro consiglio di amministrazione che si sarebbe insediato a seguito dell’IPO, che, con il supporto del

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management dell’emittente e degli azionisti venditori, hanno elaborato un nuovo piano strategico. In questo caso la maggior parte dei titoli in offerta è stata posta in vendita dagli azionisti preesistenti (solo il 16% dell’offerta era infatti relativo ad un aumento di capitale dell’emittente).

Nel caso di Merlin Properties al contrario la quotazione era rivolta a raccogliere le risorse finanziarie per dotare l’emittente del capitale necessario allo svolgimento della propria attività. I proventi dell’offerta sono stati infatti utilizzati per l’acquisto di un insieme di attività immobiliari commerciali pre-individuate, locate ad un primario istituto bancario, e al futuro acquisto di altri eventuali immobili nel mercato domestico o in quello limitrofo. Anche in questo caso, prima dell’avvio dell’offerta, l’emittente ha ottenuto da alcuni investitori istituzionali impegni all’acquisto delle proprie azioni corrispondenti a circa il 40% dell’ammontare complessivo dell’offerta (originariamente pari a €1,5miliardi).

Similmente l’offerta di Coima Res, rivolta solo a investitori istituzionali, era finalizzata a raccogliere capitali per l’acquisto di un immobile commerciale già a reddito pre-individuato, allargando il perimetro di quotazione costituito da immobili a reddito ed apportati in natura al momento della quotazione da un investitore pre-identificato.

Nel caso di Merlin Properties la definizione del prezzo fisso di offerta si è basata sulle perizie degli immobili oggetto di acquisizione/conferimento effettuata da professionisti terzi rispetto alle banche collocatrici o al consulente finanziario. Mentre nel caso di Coima Res, come riportato nella relazione degli amministratori a proposito della congruità del prezzo delle azioni di nuova emissione, la congruità del prezzo fisso è stata apprezzata dagli amministratori con riferimento alla situazione della Società, alla data di deliberazione dell’Aumento di Capitale, la quale, essendo una società di nuova costituzione, disponeva di “...un patrimonio rappresentato essenzialmente da liquidità, che è misura di se stessa”.

IV.III I metodi di valutazione in un processo di IPO

Nel processo di valutazione che caratterizza una IPO particolare rilevanza assume per gli investitori l’applicazione di metodologie valutative basate sul raffronto tra i multipli impliciti rispetto ad alcune grandezze economiche e/o patrimoniali della quotanda (normalmente prospettiche e desunte dai rapporti di ricerca degli analisti del consorzio di banche collocatrici) e gli equivalenti multipli espressi in un dato momento dal mercato per società comparabili.

Possono esserci casi in cui l’utilizzo del c.d. discounted cash flow methodology (“DCF”) o di una valutazione di tipo patrimoniale venga considerato dagli investitori come metodica principale di valutazione. In questi contesti normalmente l’applicazione dei multipli di mercato è utilizzata come metodologia di controllo. Per lo più questo si verifica in presenza di business altamente regolati e/o di flussi agevolmente prevedibili o le cui attività sono già negoziate su mercati liquidi (p. es. holding di partecipazioni). Anche in questo caso tuttavia è tipico degli investitori richiedere uno sconto rispetto alla risultante del metodo applicato per i motivi già menzionati al par. 4.1.

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IV.IV Effetti diluitivi determinati da strumenti equity-linked

In alcuni casi al momento dell’avvio dell’offerta o a seguito del suo completamento la quotanda potrebbe avere emesso o emettere strumenti equity-linked. Uno dei casi più ricorrenti riguarda gli strumenti assegnati o da assegnare al management nell’ambito di piani di incentivazione dello stesso. Tale assegnazione è normalmente a titolo gratuito e può riguardare opzioni di acquisto di azioni dell’emittente ad un prezzo predeterminato o direttamente le azioni della quotanda. Qualora il completamento dell’IPO costituisse condizione per l’esercizio di tali strumenti, nel calcolare i multipli della quotanda dovrà essere incluso il numero di azioni emesse al servizio di tali strumenti (così come il controvalore complessivo dell’eventuale prezzo di esercizio dovrà essere aggiunto alla capitalizzazione di Borsa implicita nel prezzo di offerta).

In altri casi al momento dell’IPO potrebbero esserci obbligazioni convertibili in azioni ad un prezzo di conversione a premio (se la conversione è a discrezione dell’obbligazionista) oppure in linea o a sconto (se la conversione è automatica al completamento dell’operazione di quotazione) rispetto al prezzo di offerta (c.d. going public bond). Tipicamente tali strumenti sono sottoscritti da investitori che hanno fornito del capitale “ponte” verso la quotazione in attesa che questa venga completata. Nel caso di conversione automatica il numero di azioni di nuova emissione che saranno sottoscritte a seguito della conversione è funzione del prezzo di offerta (o dell’andamento del prezzo nei giorni immediatamente successivi all’avvio delle negoziazioni) e l’effetto diluitivo massimo che ne consegue dovrà essere incorporato nella valutazione.

In generale ai fini valutativi gli effetti diluitivi di tutti questi strumenti equity-linked vanno incorporati nella valutazione ad esclusione di quelli giudicati out-of-the-money al momento dell’IPO (quali ad esempio le obbligazioni convertibili a discrezione dell’obbligazionista il cui prezzo di conversione è a premio rispetto al prezzo di offerta).

IV.V Implicazioni per la redazione della relazione dell’esperto nel contesto di IPO

La relazione di stima o il parere di congruità preparati, qualora richiesti, nell’ambito di un’operazione di quotazione dovranno sintetizzare gli esiti del bookbuilding; il prezzo di offerta che da questo deriva implicitamente terrà conto dell’IPO discount che gli investitori sollecitati avranno applicato nel formulare i propri ordini.

L’esperto dovrebbe inoltre chiaramente illustrare l’approccio alla sollecitazione all’investimento effettuata dalle banche collocatrici nonché la profondità, la distribuzione geografica, la tipologia e la rappresentatività degli investitori contattati al fine di consentire di apprezzare la significatività dello sconto che ne è conseguito.

L’esperto dovrà inoltre tener conto dell’importanza dell’utilizzo della metodologia dei multipli dal momento che, essendo la configurazione di valore in sede di IPO un valore di mercato, esso dovrà necessariamente incorporare l’impianto concettuale nell’ambito del quale gli investitori agiscono. In particolare come ricordato dai PIV 1.15.1 e 1.15.2 occorrerà assicurarsi che si definisca un “grado accettabile di comparabilità” tra la quotanda e

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l’universo di società comparabili individuate tenuto conto di modello di business, settore di appartenenza, prospettive di crescita, marginalità e capacità di generazione di cassa.

Inoltre la comparabilità dovrà essere misurata anche in relazione alla rilevanza delle grandezze economiche e/o patrimoniali individuate per effettuare l’esercizio di comparazione. A titolo esemplificativo la valutazione di società caratterizzate da cicli di investimento più importanti e recenti rispetto a quelli di altri operatori dello stesso settore potrebbe essere penalizzata se si applicassero esclusivamente multipli del reddito operativo e netto non rettificati per i tassi di crescita attesi di tali grandezze economiche.

Parimenti particolare attenzione andrà prestata ad eventuali differenze di principi contabili applicati che in taluni casi possono essere estremamente distorsivi dei livelli dei moltiplicatori ottenuti. Per esempio, nell’ambito di settori ad alta intensità di ricerca, l’impossibilità di capitalizzare le spese di ricerca e sviluppo secondo i principi contabili statunitensi rischia di rendere i moltiplicatori basati sull’utile prima di oneri finanziari, imposte, ammortamenti (c.d. Ebitda) di società statunitensi più elevati degli stessi delle società europee che tendono a capitalizzare tali voci (e ad ammortizzarle nel tempo). In tal caso, laddove possibile, sarebbe opportuno rettificare le grandezze economiche relative a tali attività in modo da renderne omogeneo il confronto o considerare l’utilizzo dell’utile prima di interessi e imposte (c.d. Ebit) se tale rettifica non risulta agevole.

Va infine notato che talvolta gli investitori esprimono la valutazione della quotanda anche in termini di sconto (o più raramente premio) rispetto a quella delle società comparabili. Pertanto potrebbe essere opportuno che l’esperto indichi nella sua relazione di quanto (in percentuale) la valutazione corrispondente al prezzo di offerta (o al range di prezzo) si discosti da quella delle singole società comparabili utilizzate. Tale dato è da considerarsi una informazione complementare e non necessariamente corrisponderà ad una quantificazione dell’IPO discount richiesto dal mercato poiché le caratteristiche della quotanda potrebbero richiedere un aggiustamento di prezzo rispetto alle società comparabili a prescindere dai motivi per cui un IPO discount viene applicato.

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V. L’IMPORTANZA DELL’EQUITY STORY AI FINI DELLA VALUTAZIONE

V.I Aspetti apprezzati dagli investitori Come detto in precedenza, nel corso di un processo di IPO l’emittente, assistito dall’advisor finanziario e dalle banche collocatrici, elabora la sua Equity Story, ovvero il profilo che verrà presentato agli investitori al fine di indurli ad aderire all’offerta delle azioni, in grado di valorizzare al meglio gli elementi di attrattività dell’investimento. Essa viene veicolata inizialmente agli analisti delle banche del consorzio tramite l’analyst presentation e poi agli investitori tramite la pubblicazione delle ricerche e gli incontri organizzati durante il roadshow.

L’elaborazione dell’Equity Story è, pertanto, un passaggio decisivo per il successo di un’operazione di IPO.

L’Equity Story di una società in genere si focalizza: i) sul posizionamento competitivo acquisito nel corso del tempo grazie al portafoglio prodotti/servizi/brand e al livello di fidelizzazione della propria clientela; ii) sui risultati conseguiti storicamente e sulla crescita futura prevista; iii) sulla qualità del management team; iv) sulla diversificazione in termini geografici; v) sull’utilizzo efficace della leva finanziaria; vi) sulla politica dei dividendi; vii) sull’abilità di investire i proventi derivanti dall’IPO creando valore per gli azionisti. Tali aspetti sono analizzati con maggior dettaglio nel seguito del presente paragrafo. 5.1.1 Portafoglio prodotti/servizi/brand e fidelizzazione della propria clientela Uno dei passaggi chiave dell’Equity Story è rappresentato dalla descrizione del posizionamento competitivo raggiunto dalla società grazie alla qualità del portafoglio prodotti/servizi/brand e al livello di fidelizzazione dei propri clienti. Si tratta di asset, anche intangibili, rilevanti per influenzare la percezione degli investitori in merito alla sostenibilità nel lungo periodo dei vantaggi competitivi di cui gode l’emittente al momento dell’IPO e, dunque, in ultima istanza per stabilire il valore da riconoscere a un emittente. La forza e la riconoscibilità dei brand di cui dispone un’azienda sono sicuramente tra gli elementi maggiormente considerati e apprezzati dagli investitori: ciò è dimostrato dal fatto che le operazioni di acquisizione realizzate dalle società quotate siano sempre più spesso finalizzate all’acquisto di determinati marchi. Sovente il brand, o il portafoglio prodotti/servizi, sono strettamente legati ad un altro asset “intangibile” determinante per stabilire il valore da riconoscere a un’azienda in fase di quotazione: la customer relationship. La fiducia e la fedeltà dei clienti sono prerogative fondamentali per ottenere flussi di cassa stabili nel tempo e rendere sostenibile il proprio vantaggio competitivo. I due aspetti sono spesso strettamente correlati tra loro e in taluni casi difficilmente scindibili (si pensi ad esempio al settore dell’alta moda e del lusso in genere).

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5.1.2 Risultati storici conseguiti e crescita attesa Un secondo fattore chiave considerato dagli investitori è costituito dai risultati realizzati storicamente, dal percorso di crescita intrapreso dalla società e dalle attese in merito alla crescita futura conseguenti alle strategie elaborate dal management team illustrate al mercato. L’analisi della crescita storica e della redditività associata sicuramente fornisce agli investitori un quadro informativo iniziale molto rilevante per le loro scelte di investimento, ma è soprattutto sulle attese future che si concentra la loro attenzione per la definizione del valore da riconoscere a un’azienda quotanda. Le aspettative di crescita sono strettamente legate alla forza competitiva di un’azienda (vedi paragrafo precedente), alle strategie elaborate dal management (con particolare riguardo ai nuovi investimenti e alle potenziali acquisizioni) e al profilo finanziario, che a sua volta dipende dalle risorse che l’azienda intende raccogliere con l’IPO, dalla posizione finanziaria netta attuale e dal retention rate, cioè il tasso di reinvestimento degli utili atteso. Ingresso in nuovi mercati geografici, ampliamento o rinnovo della gamma di prodotti/servizi offerti, utilizzo di nuovi canali distributivi sono le leve che tipicamente un’azienda può attivare per alimentare la crescita interna; le strategie basate su acquisizioni, invece, spesso permettono di accelerare la crescita e di migliorare la redditività anche grazie alla possibilità di sfruttare le sinergie commerciali e di costo realizzabili ottimizzando le risorse complessive di cui l’azienda verrebbe a disporre. Pertanto il “track record” della società quotanda in merito alle acquisizioni realizzate con successo e le aspettative in merito a possibili nuove operazioni rappresentano degli aspetti molto apprezzati dagli investitori, in grado di influenzare il valore da riconoscere alla società. Altro aspetto rilevante è rappresentato dall’andamento della marginalità operativa storica e attesa, in base alle scelte strategiche che l’Equity Story dovrà illustrare in modo efficace. La marginalità operativa, infatti, è una misura particolarmente rilevante, in quanto indicativa sia della capacità dell’impresa di generare cash flow futuri, sia della possibilità di remunerare gli azionisti, dopo aver provveduto al pagamento degli interessi e delle imposte. 5.1.3 Management team La qualità del management team è un aspetto molto rilevante per il successo di una IPO. Infatti, come già evidenziato nel capitolo 1, oltre che dall’attività di education svolta dagli analisti del consorzio, è dal confronto con il management team della quotanda (tipicamente Ceo e Cfo) che dipende in ultima istanza la volontà di un investitore di inviare un ordine di acquisto che alimenterà il book istituzionale. Pertanto la capacità del management di veicolare in modo convincente l’Equity Story è essenziale per il successo dell’operazione. Inoltre, il track record del management team della società quotanda maturato in precedenti esperienze professionali (particolarmente apprezzate quelle svolte con successo in altre società quotate) è un aspetto essenziale per convincere gli investitori in merito alla possibilità che l’azienda realizzi le strategie illustrate e crei valore per tutti gli azionisti presenti e futuri. 5.1.4 Diversificazione geografica

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La diversificazione geografica è un ulteriore elemento di particolare rilevanza per gli investitori. Innanzitutto essa consente una riduzione del rischio complessivo sopportato dall’impresa in termini di realizzazione delle scelte strategiche definite nel piano industriale, grazie a una maggiore flessibilità di cui un’azienda globale può godere per far fronte a mutamenti degli scenari competitivi inattesi in alcuni ambiti geografici. La conseguente stabilizzazione dei flussi di cassa generati storicamente da un’azienda geograficamente diversificata, anche grazie alla possibilità che gli andamenti negativi e positivi dei diversi contesti geografici si possano tra di loro compensare, è un elemento estremamente apprezzato dagli investitori. Inoltre, la copertura geografica di un’azienda è sintomatica della sua forza competitiva, ovvero della capacità di conquistare nuovi clienti e nuovi mercati grazie alla sua formula competitiva. Un altro aspetto significativo correlato alla diversificazione geografica è rappresentato dalla possibilità di implementare strategie di “cost reduction” grazie alla realizzazione di economie di scala, alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, all’utilizzo di forza lavoro che in alcuni aree può avere un costo inferiore, al miglioramento del flusso logistico e distributivo. Infine, un elemento legato alla diversificazione globale a cui è opportuno prestare particolare attenzione nella costruzione dell’Equity Story è connesso alla scarsa trasparenza che talvolta caratterizza alcuni paesi in cui l’azienda quotanda opera, che potrebbe incidere negativamente sul giudizio degli investitori. Si pensi a tale proposito all’incertezza correlata alle politiche industriali di alcuni paesi, legata ad esempio al rischio di introduzione di misure protezionistiche, o ancora ai rischi reputazionali che possono derivare da uno scarso livello di compliance richiesto dalla normativa locale. 5.1.5 Leva finanziaria Un indicatore monitorato con estrema attenzione dagli investitori è il livello di indebitamento e, più in generale, la struttura finanziaria. L’Equity Story dovrà spiegare agli investitori come si svilupperà il livello di indebitamento in relazione alla strategia di crescita identificata e all’ammontare dei capitali che verranno raccolti con l’IPO. Entro determinati limiti, come dimostrato dagli studi di Modigliani e Miller, l’indebitamento influenza positivamente il valore dell’impresa. Questo avviene sia grazie all’effetto della deducibilità degli interessi (tax shield), sia grazie alle opportunità di investimento che in mancanza del finanziamento tramite debito non potrebbero essere colte. Inoltre, come è noto, essendo il costo del debito (kd) generalmente inferiore al costo del capitale (ke), la crescita dell’indebitamento determina un miglioramento del costo medio ponderato del capitale (WACC) e conseguentemente dell’enterprise value (EV) ottenibile attraverso l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri. Tuttavia, oltre un determinato livello di indebitamento ottimale, il rischio di insolvenza aumenta, e con esso il rischio sopportato dagli azionisti; inoltre, un elevato indebitamento può essere percepito come un fattore che può causare la rinuncia a intraprendere progetti profittevoli per evitare un aumento della probabilità di insolvenza. Al di sotto di tale soglia, invece, un livello di indebitamento adeguato può essere considerato positivamente dagli investitori, anche per il valore segnaletico della fiducia che un’azienda gode presso il sistema bancario.

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5.1.6 Politica dei dividendi E’ molto importante che nel corso del processo di preparazione alla quotazione la società elabori una politica di dividendi da comunicare al mercato, anche attraverso la rappresentazione nel prospetto informativo, in quanto si tratta di un’informazione che può essere rilevante per gli investitori che devono valutarla. La politica di dividendi dovrebbe essere chiara e coerente con il resto dell’Equity Story, soprattutto in relazione alle strategie di investimento future e alla possibilità di finanziarle anche senza ricorrere all’autofinanziamento. I dividendi storici non sempre rappresentano una proxy dei dividendi attesi futuri, soprattutto nelle società ad azionariato familiare i cui interessi potrebbero non coincidere con quelli dei nuovi investitori che entrano durante la quotazione. Per le aziende operanti in alcuni settori, specialmente in quelli dotati di alcune protezioni competitive (ad esempio immobiliare) che presentano flussi di cassa stabili nel tempo, la politica dei dividendi può assumere una particolare rilevanza per quegli investitori che potrebbero considerare tale asset molto simile a un investimento obbligazionario caratterizzato da una distribuzione di cedole periodica e costante. Infine, si segnala che una robusta politica di distribuzione potrebbe incidere negativamente sulla percezione degli investitori, in quanto associabile alla possibile rinuncia a opportunità di investimento, e quindi di crescita, vantaggiose per l’azienda; in altri casi, invece, la comunicazione di un elevato distribution rate potrebbe essere interpretato dagli investitori come un sintomo dell’assenza di opportunità di crescita dell’impresa, o dell’incapacità del management di coglierle. 5.1.7 Utilizzo dei proventi derivanti dall’IPO Strettamente legato alle prospettive di crescita di un’azienda quotanda è il tema dell’utilizzo dei proventi derivanti dall’aumento di capitale a servizio della quotazione, che viene descritto anche in un apposito paragrafo del prospetto informativo. Gli investitori analizzano attentamente quanto dichiarato al riguardo dalla società, confrontandolo con la capacità storica dell’impresa di finanziare con successo le opportunità di crescita. In particolare, ai fini del successo dell’operazione, è importante che gli investitori si convincano che i proventi derivanti dall’IPO siano utilizzati per effettuare investimenti in grado di creare valore, cioè caratterizzati da una redditività superiore al costo del capitale connesso al loro grado di rischio. Pertanto, la descrizione di politiche in tal senso deve essere coerente con le strategie di crescita e di creazione di valore delineate, con le politiche di indebitamento e di distribuzioni di dividendi. Benché il mercato in genere non sia attratto da società che chiedono risorse finanziarie destinate al rimborso di debiti finanziari pregressi, ci possono essere dei casi di aziende, quali ad esempio quelle oggetto di passate operazioni di leverage buy-out, che, avendo generato un debito non ricollegabile alla gestione operativa, possono essere comunque ritenute attraenti per gli investitori, specialmente qualora i flussi finanziari attesi siano in grado di ripagare i debiti, supportare la crescita e garantire un ritorno adeguato.

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V.II Stadio di sviluppo dell’impresa e valore in caso di IPO

Relativamente allo stadio di sviluppo di un’impresa che effettua una IPO è possibile distinguere le cosiddette start-up IPO dalle IPO tradizionali, cioè riguardanti imprese già consolidate nelle loro prospettive e “quindi giunte a una fase in cui il valore è misurabile con criteri oggettivi, cosiddetti di capitale economico”1. Nelle start-up IPO, diversamente, il grado di affidabilità delle stime è inferiore, “essendo fondato solo su valori potenziali”2.

In funzione dello stadio di sviluppo in cui viene “lanciata” l’IPO, è importante analizzare le differenti motivazioni alla base della scelta della quotazione in Borsa. Nelle start-up IPO, come osservato per le “società tecnologiche”, il principale driver è connesso al bisogno di capitale da investire per la crescita, in campi altamente innovativi e quindi rischiosi. In tal caso le società sono prive di storia rilevante, producono generalmente risultati netti contabili negativi, la generazione di redditi e flussi di cassa positivi è differita nel tempo, sopportano dei rischi di insuccesso della propria formula di business elevati ed infine la struttura organizzativa e manageriale spesso è da completare.

Per quanto concerne le IPO tradizionali, come già indicato nel capitolo 2, le evidenze empiriche suggeriscono una pluralità di interessi e motivazioni che guidano la scelta, tra cui: l’esigenza di trasformare l’impresa da familiare in manageriale orientandola alla creazione di valore, l’opportunità di facilitare la realizzazione di alleanze strategiche a livello internazionale, il desiderio di migliorare l’immagine della proprio impresa di fronte agli stakeholders, avere accesso a fonti di finanziamento alternative al canale bancario ed infine aumentare la notorietà e la trasparenza.

Quanto descritto assume una grande rilevanza per gli investitori coinvolti in un processo di quotazione e pertanto l’Equity Story di una start-up IPO dovrà essere conseguentemente adattata al fine di riflettere le reali potenzialità di creazione di valore della società quotanda.

Le società start-up che intendono effettuare una IPO dovranno illustrare in modo adeguato agli investitori le potenzialità dei prodotti/servizi innovativi lanciati sul mercato o in fase di sviluppo. Trattandosi spesso di nuove tecnologie che mirano a soddisfare nuovi bisogni per i clienti target, spesso tendono ad aggredire una domanda di mercato che si sta sviluppando, i cui dati storici presentano uno scarso valore segnaletico.

Laddove abbiano già avviato la commercializzazione dei nuovi prodotti/servizi, sarà utile mostrare dei fatturati in forte crescita e, in ogni caso, delle aspettative concrete di generare in futuro dei margini e dei flussi di cassa interessanti nonché dei ritorni sul capitale investito superiori al costo medio ponderato del capitale (che in questi casi sarà fortemente influenzato dal rischio sistematico e dal rischio specifico associato a queste aziende, generalmente molto più elevato di quello che viene individuato per le società con business consolidati).

L’Equity Story dovrebbe inoltre evidenziare che queste realtà aziendali possono avere un livello di indebitamento finanziario limitato, a causa, tra gli altri, di:

1 Cfr: L. Guatri, “Le IPO delle aziende di Internet: il “caso” Freedomland”, La Valutazione delle Aziende, Marzo

2012.

2 Si veda il riferimento alla Nota 1.

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- ridotta probabilità di beneficiare del risparmio fiscale sugli oneri finanziari (c.d. tax shields) su un orizzonte temporale di breve-medio periodo, in mancanza di redditi futuri;

- potenziali costi di financial distress diretti ed indiretti, anche alla luce del ridotto livello di attività materiali “in place” (garanzie reali);

- diffusa “incapacità” di far ricorso al capitale di terzi da parte di “aziende senza storia”. Pertanto, è fondamentale che attraverso l’utilizzo dei proventi derivanti dall’aumento di capitale la società dimostri di poter realizzare il proprio piano di investimento e raggiungere una dimensione tale da generare un adeguato ritorno per gli investitori.

V.III Dimensione e Valore Come evidenziato nei PIV, parte terza al paragrafo 2.4 “l’aspetto dimensionale in genere costituisce un fattore rilevante nel contesto della stima del valore di un’azienda, sia essa quotata o non quotata”.

Relativamente al processo di quotazione e di determinazione del prezzo finale di una IPO, le evidenze empiriche hanno tradizionalmente evidenziato la mancanza di un approccio predefinito e standard sul tema dimensionale: le metodologie adottate spesso dipendono più dal ciclo di mercato azionario e quindi dal relativo “opportunismo valutativo” degli investitori che non da una “regola” accademica da rispettare.

Tradizionalmente le società di minori dimensioni vengono considerate dagli investitori più rischiose e dunque prezzate in termini di rischio e di analisi valutative (i) con rendimenti richiesti attesi più elevati (il c.d. “small size premium”) o (ii) alternativamente rettificando i flussi di risultato prospettici (ad esempio riducendo il tasso di reinvestimento e dunque il tasso di crescita di lungo periodo, visti i possibili “capital constraints” che queste società spesso devono affrontare rispetto ai competitor).

Anche i metodi di valutazione relativi (e.g. i multipli di mercato) potrebbero non adeguatamente apprezzare l’effettiva rischiosità della società oggetto di valutazione, qualora non vi sia omogeneità dimensionale3 rispetto al campione di guidelines companies selezionate. Tuttavia uno strumento efficace, purché applicato ad un adeguato numero di società4, sono le value maps5. Infatti questo riscontro empirico può essere utilizzato anche per analizzare il posizionamento in termini dimensionali dell’azienda considerata rispetto al campione di riferimento e quindi per cogliere il differente grado di rischio connesso alla dimensione. Come commentato nei PIV, parte terza al paragrafo 1.38, tramite le value maps c’è la “possibilità di cogliere il paradigma valutativo che, attraverso i prezzi, il mercato implicitamente esprime”.

3 Nonché in termini di redditività, reinvestment rate, crescita e grado di volatilità dei risultati. 4 E naturalmente che risulti statisticamente significativo.

5 Le value maps sono regressioni tra un multiplo e le sue determinanti di natura fondamentale. Come

commentato nei PIV “utilizzando la regressione si possono utilizzare campioni più vasti di aziende comparabili

(ad esempio aziende di diversi contesti e aree geografiche). La regressione restituisce i parametri necessari a

calcolare il multiplo appropriato per la specifica azienda da valutare sulla base del valore assunto dallo (dagli)

specifico(i) driver” (Commento Parte Terza, paragrafo 1.38).

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Di seguito si presenta un elenco non esaustivo dei possibili razionali che possono spingere un investitore a considerare un’impresa di minori dimensioni più rischiosa e dunque indurlo ad opportuni accorgimenti:

- minori barriere all’entrata nei confronti di potenziali nuovi competitors intenzionati a posizionarsi sul mercato di riferimento (difendibilità del vantaggio competitivo e delle risorse intangibili). Tale affermazione non può comunque prescindere delle considerazioni in merito alla quota di mercato posseduta, rispetto alla dimensione del mercato, nonché il regime competitivo prevalente;

- dipendenza da pochi e grandi clienti (concentrazione della base clienti o scenario “estremo” di monopsonio);

- dipendenza da fornitori strategici; - minore trasparenza e dunque maggiore asimmetria informativa nei confronti del

mercato; - scarse risorse e minore flessibilità finanziaria per fronteggiare periodi di tensione

economica e competitiva; - ridotta capacità di investimenti in R&S ed in promozione/pubblicità che potrebbero

causare una minore capacità di influenzare la domanda del prodotto o del servizio; - difficoltà di accesso al mercato dei capitali e del credito che può influenzare la

realizzazione delle strategie delle imprese. In un mercato perfetto, infatti, l’offerta di credito si presenterebbe elastica e quindi le imprese potrebbero sopperire alle carenze di credito bancario attraverso alternative forme di funding, ovvero i mercati finanziari; tuttavia quest’ultimi sono caratterizzati da asimmetrie informative e costi di agenzia, che limitano la possibilità di raccolta soprattutto per le imprese di “taglia” ridotta. Queste considerazioni fanno presagire un’interazione ed una reciproca influenza tra rischio operativo (i.e. di mercato e di struttura dei costi) e rischio finanziario;

- limitato sviluppo di strutture organizzative aziendali; - concentrazione in uno o poche persone dei fattori critici di successo dell’azienda. Da quanto appena elencato, si evince come la dimensione possa influenzare sia l’esposizione al rischio sistematico (i.e. connesso all’andamento generale del mercato) che a quello idiosincratico (o specifico) di un’azienda quotanda.

Come anche commentato nei PIV, i practitioners suggeriscono di trattare, nell’ambito della valutazione d’impresa, il fattore dimensione attraverso la rettifica del costo opportunità del capitale, attingendo alle statistiche relative ai differenziali di rendimento delle “small cap” rispetto alle società quotate di maggiori dimensioni. Le principali evidenze afferiscono al mercato statunitense (si pensi ai noti Duff & Phelps e Morningstar studies), ma recentemente è stata altresì pubblicata un’analisi sul mercato europeo dal Professor E. Peek (2015), commissionata da Duff & Phelps. In ogni caso, è opportuno che tali evidenze siano utilizzate con cautela, in quanto la ripartizione per classi dimensionali può risultare non compatibile con le esigenze della valutazione e i rendimenti delle small cap possono essere influenzati dalla minore liquidità e da fattori di rischio di natura idiosincratica, elementi quindi concettualmente separati dal puro aspetto dimensionale.

Non mancano però studi accademici che vanno in direzione opposta: l’evidenza di una relazione inversa tra dimensione e rendimenti risale al 1981 in seguito ad un paper di Banz, nel quale egli osservò sul mercato statunitense che le azioni delle società a più bassa capitalizzazione avessero mediamente ottenuto rendimenti (risk adjusted per il market beta) più elevati rispetto alle azioni delle società ad alta capitalizzazione. Il fenomeno è stato

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successivamente oggetto di un ampio dibattito a livello di letteratura accademica nel corso degli anni. Dapprima è stato trattato come un’evidenza segnaletica di un’inefficienza di mercato, ma analisi successive hanno identificato una serie di fattori in grado di giustificare tale extra-rendimento. I principali fattori possono essere i seguenti: maggiore rischio non completamente catturato dai più tradizionali modelli di rischio-rendimento (si pensi al Capital Asset Pricing Model - CAPM), maggiori costi di transazione, asimmetria informativa e illiquidità dei titoli small cap.

La lettura accademica, d’altro canto, ha evidenziato e dimostrato empiricamente una serie di criticità relative alla correlazione inversa tra dimensione e rendimenti, in quanto:

- pare essere solamente concentrata nelle società di dimensioni micro, come indicato in uno studio del 20006, nel quale emerge che, escludendo dall’universo di società quotate quelle con market cap inferiore ai 5 milioni di dollari, il premio addizionale per il rischio dimensionale risulta insignificante (periodo temporale oggetto di analisi: 1963-1997);

- il fenomeno risulta significativamente volatile nel breve e medio periodo e soprattutto "scomparso" a partire dagli inizi degli anni '807;

- l’effetto appare particolarmente concentrato nel mese di gennaio (il c.d. “January effect”8);

- appare debole per misure di dimensione alternative, cioè non basate su prezzi di mercato delle attività finanziarie9;

- potrebbe essere una proxy del premio di illiquidità10. Sulla base delle analisi sopra presentate, è possibile affermare che il mercato possa attribuire rilevanza all’aspetto dimensionale nell’ambito della valutazione dell’azienda. Naturalmente questa considerazione vale anche nel processo di pricing in sede di IPO, a seconda delle caratteristiche dell’azienda quotanda.

Tuttavia è importante evidenziare che, soprattutto in merito agli aggiustamenti al costo opportunità del capitale (evidenze empiriche ex-post, principalmente sul mercato azionario statunitense), non c’è consenso unanime sia a livello accademico che professionale.

V.IV Governance e Valore La governance di un’impresa, ovverosia l’insieme dei principi e dei meccanismi che regolano la gestione aziendale, oltre alla finalità principale di dotare l’organizzazione di un regolamento per l’esercizio dell’attività aziendale, dovrebbe essere in grado di perseguire una serie di ulteriori obiettivi, tra cui, a titolo di esempio, il bilanciamento degli interessi

6 Cfr: Horowitz, Loughran e Savin (2000).

7 Cfr: Dichev (1998), Horowitz et al. (2000) e Schwert (2003).

8 Cfr: Keim (1983). Su estesi orizzonti temporali, i titoli azionari mostrano una tendenza ad un incremento

anomalo dei prezzi tra dicembre e gennaio. Suddetto “effetto” sembra essere diminuito per le large

companies, ma tuttavia sussiste ancora per le entità di dimensioni ridotte. Secondo alcuni economisti

l’anomalia è connessa a questioni fiscali.

9 Cfr: Berk (1995, 1997).

10 Cfr: Amkihud (2002) e Ibbotson, Chen, Kim e Hu (2013).

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degli stakeholders aziendali, minimizzare i rischi generali di impresa, nonché massimizzare il valore generato per i suoi azionisti.

Il processo di quotazione di una società, con le sue implicazioni in termini di apertura al mercato, richiede giocoforza una rivisitazione dell’intera struttura di governance di una società, al fine di renderla conforme alle richieste ed interessi non più di pochi soggetti (imprenditori o i soci), ma di una platea più vasta, rappresentata dal mercato.

Ciò è particolarmente importante in un paese come l’Italia dove il contesto imprenditoriale è prevalentemente rappresentato da piccole-medie imprese raggruppate nei distretti produttivi, spesso con carattere familiare o comunque con limitata managerialità.

Pur essendo un elemento a prima vista difficilmente monitorabile, le evidenze empiriche mostrano come la ridefinizione della corporate governance possa essere considerata un importante fattore di miglioramento per le imprese che si preparano ad affrontare un processo di quotazione e possa contribuire all’apprezzamento da parte degli investitori coinvolti nei processi di IPO, e quindi riflettersi in un maggior valore riconosciuto in fase di bookbuilding. Pertanto, l’adozione di regole di corporate governance allineate alle migliori prassi internazionali è un aspetto da non sottovalutare, nel corso di processo di IPO, al fine di ottenere un adeguato apprezzamento da parte del mercato.