OGLIO PER R I sette soli d’estate fischiano nella pianura...

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164. Perché cadi, vento d’estate? Vento del sole. Vento d’estate. Il giocatore di calcio dice: alcuni portano nel nome il proprio destino. Prima che il mondo ci lasci (o ci abbandoni) riuscirò a raccogliere qualche frammento di parole per capire le obiezioni degli amici il rumore degli anni, queste ultime avventure. All’inizio del ‘99 ho raggiunto la grotta dei miei pensieri prima era pianto poi lunghi respiri perderemo la virtù d’amore se la partita non sarà terminata con un tiro preciso nel momento dell’attesa. Le gradinate vuote la gente dispersa solo la prossima gara riempirà questa patria di bandiere. Voci. Le voci coprono l’acqua di molta allegria sono voci lontane. (da L’Italia sepolta sotto la neve) Patria Patria è una parola che mi cammina sul cuore. E poco mi importa se i laici cittadini del mondo possono irridere presuntuosi e arroganti. Patria è la terra in cui riposa mio padre in cui riposa mia madre, in cui riposa mio figlio. E in cui anche mia moglie e io, molto avanti a sdipanare il filo rosso della vita, andremo lenti come la nebbia costante sulla nostra amata pianura a confonderci in una polvere d’oro fra api fiori (e fieno) (come avere, dopo il lavoro, quieto riposo dalla lunga fatica). Patria consolami. La Patria non chiama ma dà. Si fa riconoscere subito per i benefici di commozione dei sentimenti che suscita senza essere affranta. La sento viva in mano. Non mi lascia mai confortandomi con il racconto delle sue memorie e delle sue avventure, delle sue cento sconfitte, delle sue vittorie. È tutta cielo e mare. Nubi bianche su alte montagne. È la voce di bambini che chiaman la madre. È il rumore di un treno sulla pianura. È l’Italia ferita e altera. Sono io. Siamo noi. Qualche marmo. Comune destino. Caro A., naturalmente ho visto, ma poi ho anche rivisto il film nel DVD che mi hai dato, e posso trascrivere, in rapida coordinazione, le mie impressioni di spettatore affatto indottrinato ma soltanto ben solleci- tato a riflettere dopo la visione di un’opera di notevole interesse (fon- damentale interesse per la storia ivi narrata) e per la notevole qualità della realizzazione. Gli addetti ai lavori, i competenti, sapranno indicare in dettaglio i risultati della visione, io come semplice spettatore potrei compendiare il tutto con la semplice definizione di “una emozione” provata. Una emozione rinnovata man mano che si procedeva. La vicenda, direi meglio: il tragico episodio ivi narrato, è la rinnovata lettura di ciò che l’uomo può, in certi casi, in certi momenti, che ten- dono a diventare sempre più frequenti, diventare bestia a se stesso, bestia contro gli altri, spietato elargitore di infamie e livellatore di sen- timenti, di speranze, di dignità, di futuro (proprio e degli altri). L’episodio di guerra (una guerra che sembra ormai lontana, ma che ogni volta che viene toccata come episodio di atrocità vile e disumana, sembra sempre più vicina) sembra più vicino, è in questo film raccol- to, raccontato, con sottile rigorosa emozionante essenzialità, e con altrettanta rigorosa verità. Non ci sono momenti di narrazione semplificata ma sempre di scrittu- ra epica concentrata e partecipata, tale da rendere tutto come “ricadu- to” oggi. Il film deve essere visto e rivisto; non si deve fermare nel suo cammino di comunicare ai giovani le passate bestiali miserie per susci- tare lucido orrore e, ripeto, le giuste emozioni. Ciò che ho visto mi ha rinnovato la spinta - per quanto si deve, a esse- re sempre presente e a lottare per quanto è dato, perché tutto questo non si ripeta mai più. Film bello, giusto, vero, emozionante. Grazie. tuo, R. (Lettera personale, 2011) 186. Nel silenzio delle notti squarciate dai lumi vibranti vomita sabbia la televisione le gambe delle donne strette da tele di ragno nessun’ombra sull’asfalto masticato dai cingoli dei carri armati all’inseguimento di un nemico che fugge. Opere vere restano da fare prima del diluvio di un secolo nuovo come la terra sarà disposta nessuno lo sa, può saperlo è inconoscibile questo misterioso futuro così già passato così già lontano. Ma vivere è aiutare a vivere. Ci sono i poveri, gli schiacciati. E i soldati in attesa. Il cuore vola alto il cuore non si stanca il cuore falco il cuore verme il cuore scimmia il cuore sempre solo orlo di un’onda sul mare che divaga e si perde. Gli spazi del mondo ancora si improvvisano. Sono quell’uomo che cammina vicino alle dune le voci della campagna emiliana trascinano il passato verso il futuro come un toro infuocato. (da L’Italia sepolta sotto la neve) 202. Non mi avranno, vita mia, nuvole arlecchine vaganti non mi avranno dice il signor D’Aubigné nel cielo che odora di fumo di grano e discende. Non sanno dove mi trovo i cani i passi nel fango inseguendo e voi rondini severe il filo dell’orizzonte non indicherete. L’economia di mercato dice il signor D’Aubigné al giocatore di calcio l’economia centralizzata la burocrazia l’economia della delazione della vergogna oggi sopraffatte dall’ altra cadono fra gli sterpi bruciano con la statua di Lenin tanti l’avevano predetto i vati delle ossa frantumate dei perduti destini dei naufragi sul mare e dei tesori nascosti. Spettacolo della miseria chiamano il piccolo fuggevole dramma di chi muore di fame fra le mura delle città italiane (oh in Italia non si muore di fame più oh pietre di pallide ville antiche preservate dal saccheggio dei barbari ville perdute fra i campi fra i lecci e le sere annegate nella calma prima della tempesta negli ori delle ultime api sciamanti) siamo un paese ricco e disperato la danza sulla miseria è solo una vergogna povera che offende ogni speranza. Gol! grida la folla, le bandiere di fumo irrompono negli occhi “batteremo i tedeschi a Stoccarda” È l’ora in cui i vecchi librai chiudono la bottega s’avviano con un volume sotto braccio alla discreta povertà della casa. (da L’Italia sepolta sotto la neve) V. La miseria d’Italia numero cinque una nuvola molto bianca una nuvola bianca calando all’improvviso molto bianca – bianca ha divorato il gatto steso grigio in un sole autunnale guardava la gente passare e la gente nella sottostante strada dentro il traffico domenicale. Via la nuvola il gatto l’ha stretta fra i denti ciabattando furtiva come la scia di una nave che si addentra cauta nel porto lasciando le onde grandi del mare io vedo come accadono le cose fiorite o sfiorite sono lacrime di una piccola suora diseredata ma so che cavalco sulla lama della spada tagliente e la luce sanguina. Anche la foglia nell’aria non ha più speranza di vita. Mi domando dove trovare il tempo sapere negli anni che durano un giorno per continuare lo scavo dentro la terra di sassi e toccare la buona radice del pioppo sovrano tutto e livellato ormai piallato appiattito. Sovrana la solitudine della grande campagna conduce la danza l’uccello nero cala gridando sul solco per il terrore della navicella spaziale che fulmina l’aria tracciando ferite di giallo. Milioni di chilometri e Giotto il pittore divino si muove fra le pecore dello spazio tocca gli astri non si brucia le mani potrà dipingere ancora il mondo ricordare il buio di dio riconoscere l’occhio dell’uomo da quello della serpe. Invadere col fuoco l’infinito così lieto e vicino senza bruciarlo. (Da L’Italia sepolta sotto la neve, Parte quarta: Le trenta miserie d’Italia) Adesso che vado a finire vi saluto addio libri libretti miei. Cari adorati. Io non ho altri amici che voi veri sinceri. Quanti anni insieme in un silenzio di opere garbate bastava che allungassi la mano e suoni s’alzavano di liete campane nonché quel bisbigliare notturno che da solo potevo ascoltare. Addio per adesso non vi abbandono lo giuro non vi abbandono affatto sotto le unghie del gatto. (Da Libri e contro il tarlo inimico) Premessa al testo Due attori passeggiano conversando forse dentro a una pista da circo; sembrano cavalli di alta scuola viennese. Per terra c’è polvere e segatura. I movimenti sono calcolati, geo- metrici; essi formano figure triangolari, esagonali, rapidi e improvvisi trapezi, vanno e vengono, alle volte si arrestano quasi che un domatore con la frusta segni a loro i tempi e le occasioni. Primo attore: Ci avviamo verso un mondo… anzi, direi che ci siamo già dentro… un mondo (pausa)… ah, sì! un mondo molto sporco… Un mondo dove il problema più assillan- te… sarà non più l’immortalità dell’anima ma la pulizia delle strade e la raccolta del rusco… Un inceneritore che distrugga sul serio i rifiuti varrà dieci Mosè di Michelangelo e lo visiteremo nei giorni di festa col rispetto che si deve alle opere necessarie… anzi, utilissime. Eviteremo così di bighellonare alla domenica e di pati- re la noia… D’altra parte gli stadi, liberati da quelli che ammattiscono dietro una palla 1 , diventeranno il luogo di riposo delle cose consumate o da consumare, perché è lì che il rusco viene adagiato e cova… Il luogo dei farmaci scaduti, dei contenitori di uova andate a male, delle birre succhiate e strizzate, dei vuoti a rendere, delle ceste di vimini intrecciate per i dolci pasquali… delle auto Fiatte bloccate e impolverate da uno sciopero di benzina, dalla caduta dei cambi o dalla caduta degli dei… E il luogo della sbrodaglia infernale espunta dalle fabbriche che seminano morte… Thanatos a cavallo… Perché ormai si deve continuare a produrre ciò che non serve o serve poco o serve soltanto a pochi, così le scorte non vendute cresceranno in altezza tali e quali i rifiuti… come montagne… Gli oggetti morti o annoiati o in attesa di una mano copriranno la pianura… Questa è l’era dello sperpero programmato e della quarta glaciazione… Che cosa nascerà in seguito o fra poco non lo sappiamo ancora… no, anzi! lo sappiamo bene… Dipenderà da noi… Intanto ci auguriamo che siano le immagini delle cose svuotate e buttate e delle idee marce a scomparire… per liberar- ci dalla paura… Ma intanto, che impressione se ci guardiamo intorno ad altezza d’uomo!… (Da La macchia d’inchiostro, testo per il teatro) UNA PROPOSTA DI LETTURE, IN ORDINE CASUALE E SENZA INTRODUZIONI, PER INIZIARE A CONOSCERE LA SCRITTURA DI ROBERTO ROVERSI. Foglio liberamente distribuito, a cura di: Marco Alemanno, Alfredo Antonaros, Antonio Bagnoli, Vincenzo Bagnoli, Bruno Brunini, Francesco Caponegro, Roberto Dall'Olio, Luca Egidio, Mattia Fontanella, Maria Gervasio, Salvatore Jemma, Massimiliano Martines, Gabriele Milli, Manuela Pasquini, Arrigo Quattrini, Sergio Rotino, Luca Sossella. In collaborazione con il Comune di Bologna. realizzazione: edizioni Pendragon - matite: Rosanna Mezzanotte FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI Da Caccia all’uomo I. UNA BATTAGLIA Arrivano alle undici di sera; la banda intera del Boccone, più il ragazzo che s’è aggregato il giorno innanzi, rifiutandosi a ogni domanda. In tutto duecentoventi uomini. Il ragazzo cavalca al fianco del Boccone, con un’aria per nulla smarrita; un’ombra di riso sulle labbra chiuse e forza nelle mani raccolte a stringere le redi- ni. Come il fuoco sprigiona calore. Al Carmelo, un paese sul bordo della pianura, si fermano: per riposare i caval- li, mangiare, bere, stendere le ossa. Sloggiano i borghesi dalle case, entrano a dissi- pare le ore. Giunge il mattino che tutti dormono. Ma il ragazzo è già sulla strada, i piedi nudi nell’erba, guarda verso la collina. Gli uccelli volano in un cielo chiaro. Quando la banda si sveglia il silenzio cade, appare il sole; subito dopo il Boccone. È sui quarant’anni, forte, non alto, con una faccia tutta a crepe e rughe che si spiana come un foglio nei momenti tranquilli. Il suo riso scoppia come un colpo di pistola; è duro, costui, perfido, vanaglorioso, ladro e traditore. Ama l’adulazione, detesta servire, gode d’essere servito; ambizioso, senza paura. Ma non c’è cristo che rubi nel dividere il bottino, e se promette mantiene. I tetti, Bosco grigio, la Vetta del Somarone, I Tre ponti sono luoghi che suonano ancora il bronzo del suo nome; aveva attaccato e vinto. I francesi, con le divise appiccate alla pelle, si scioglievano nella solitudine, i petti squarciati. Provassero ad assaltare Boccone! Dal Carmelo la banda vuole raggiungere la macchia del Goldo, a mezz’ora di cavallo; là, riparata dal sole, in luogo amico, aspettare. Il Boccone ordina di partire. Nitriscono i cavalli, un cane abbaia. Alcuni birbac- cioni trincato l’ultimo goccio strisciano sulla bocca la ruvida mano. Tutti in sella, s’al- za un polverone d’inferno. Addio, bella banda. I borghesi rientrano, imprecando, nelle case «devastate, devastate» lamentano le donne e sembrano furie dei boschi. Ancora il Boccone davanti a tutti, su un baio di tre anni che passa leggero; accanto a lui, ritto, fragile, il ragazzo che guarda in silenzio senza paura il mondo. Ogni tanto il Boccone, morso da una ilare curiosità, gli grida: «Su, parla, figlio di somara». Il ragazzo muove appena il capo, fa una smorfia con la bella bocca rossa. I calzoni gli tirano sulle cosce. «Dimmi chi sei, spia del governo» ride Boccone. Il paese è lontano, cominciano i primi strappi della salita. Alberi con le foglie quasi bianche si tendono al cielo, la cam- pagna è immobile, non voci; il galoppo pare acqua che si disperda picchiando sulla terra. «Ti taglio la gola» dice il Boccone al ragazzo, alza le redini: zac! fa un gesto con la mano. «Abbiamo i francesi ai calcagni, combatteremo come non è mai capitato, occhio sul- l’occhio, fiato contro fiato, e questa spia che non dice, eccoci con questo silenzio… Non parla, cristo, non parla…», poi soggiunge: «Che coraggio, il ragazzo!». Il giorno è già tutto vivo. «Laggiù polvere» grida una voce. Arrestano la cavalcata, tutti si voltano ficcando gli occhi nella pianura. «Sono i francesi… Al galoppo!» urla il Boccone. La mandria s’avventa, a due a due, per lo stretto sentiero. Nel paese di Carmelo i borghesi dicono al tenente comandante la compagnia fran- cese che il Boccone ha pernottato, con oltre duecento uomini, e all’alba s’è diretto alla collina; che la zona è piena di pericoli, facile alle imboscate; il Boccone, quel dannato, conosce il paese come la propria mano. Gli uomini della sua banda non temono la morte. «Questo è da vedere» dice con stizza il comandante, che è un giovane dai capelli rossi, non molto forte, due baffi lisciati con l’olio, il viso maculato e un nasino gentile (forse un poco ridicolo, a guardare bene: piuttosto da donna che da guerriero). «Badate ai vostri passi» dicono i borghesi ai soldati. I cavalli, stracchi, con il muso soffiano nel- l’erba. Fa caldo. I soldati cercano l’ombra, si slacciano la giubba; due, seduti su un tronco, cavate le carte, giocano; altri appoggiati ai muri delle case, ritti nella striscia dell’ombra. Il tenente è entrato nella casa di un notabile. Sbirciando dentro, i soldati pensano che un’aria simile, fresca e rasserenante, è bella godersela da borghese, nella propria terra. Maledicono il caldo, le mosche che si piantano attorno agli occhi dei cavalli o sulle strette ferite aperte dagli sproni. Inutilmente i cavalli scuotono con rabbia le code; come vecchie beghine intente alla preghiera, le mosche a testa china succhiano il sangue dolce. Il tenente s’affaccia, chiama un sergente, dice: «Ci muoveremo al tramonto… So dove trovarli; domattina attacchiamo. Ora rompete i ranghi e date fieno ai cavalli… Servitevi dei buoni e requisite pane e vino. Andate!». Il sergente sull’attenti, mentre il sole gli striscia una mano nella schiena, pensa fra sé: “Ti vedrei volentieri impiccato, sporca puttana” e con un sorriso si volta, batte i tacchi, bestemmia, s’avvia. Il tenente rientra e riprende l’amabile conversazione col proprio ospite. Ma sopraggiunge la moglie, una bella donna che appassisce, e il discorso diventa grigio, autunnale: «I danni della guerra, quest’anno…». «L’ultima volta che mio marito giunse a Napoli ebbe assicurazione che la guardia civica…». «Ma non c’è Reggio che deve provvedere?». L’altra scuote la testa; è facile intendere che riempirà le ore con lamenti, descrivendo i malanni del tempo e il tragico incubo del brigantaggio a cui poche forze il governo riesce ad opporre: «Lontano dalle città la vita è un inferno» dice. «Anche ieri sera il Boccone…». Il tenente dopo un momento di fastidita attenzione si limita ad assentire col capo e intanto gode la frescura che s’alza dalle pietre grosse e vecchie, dai muri un poco anneriti, coperti da un velo di muffa. I travi dipinti in rosso dividono il soffitto in comparti squadra- ti. C’è nell’aria il puzzo di cera bruciata. «Anche ieri sera, ieri sera» lamenta la donna. Il tenente centellina il vino fresco di pozzo. Come uno stormo la luce dilegua, sopraggiungono nel cielo le stelle. Venere, Marte e alcune lontane che non hanno nome, piccole nell’immensità del cielo. I soldati si radunano, dopo aver sellato i cavalli eccitati dal riposo e dall’odore di fieno che sale dalla pianura, portato dall’aria. Il sergente è a rapporto dal tenente, ritorna gridan- do: «In sella!». Tutte le donne (sono vecchie, sono tristi) appaiono alla finestra; gli uomini sulla strada. Infine i soldati s’avviano, il tenente dopo l’alfiere; ai suoi fianchi un aspirante e un ser- gente; seguono il trombettiere e la fila dei soldati, i cavalli al piccolo trotto. L’aria è fresca, morbida l’erba, il cielo rosato invita alla speranza. Attorno ai fuochi gli uomini del Boccone mangiano la carne arrostita. Il sugo trabocca a ogni morso e scende fra i peli delle barbe, sulle camicie sporche di sudore. Accosciati, in giro, sembra un banchetto dopo faticose sventure. Per ordine del capo non bevono vino ma acqua dagli otri gonfi come la pancia delle vitelle gravide. Il Boccone, seduto su un tronco, fuma e intanto per pulire i pensieri guarda il fogliame che incrocia le dita, lassù, a nascondere il cielo; par d’essere in una caverna o in una chie- sa. Pensa alla battaglia di domani; fuma, pensa, guardando le foglie. Il ragazzo, accosciato, è stanco. Per la prima volta nella sua vita è così stanco e felice. Sa che domani ci sarà una battaglia e si sente pieno di forza, morso dal desiderio di correre, di colpire, di ridere. Sa che gli uomini distesi su un fianco, in giro, sono bruciati da tante battaglie e lavorano di coltello e di fucile come una verginella con l’ago. Non avrà paura; vedranno domani. A bri- glie lente, nelle mani pistola e pugnale, il cavallo al galoppo e le ginocchia, solo le ginocchia come una morsa a reggerlo in sella. Altro che figlio di somara; è impastato di zucchero e fiele. Non pensa neppure un momento alla casa da cui è fuggito; la fame e la miseria non si rimpiange (e poi, quando è accaduto?). Si fugge la miseria per rincorrere la ricchezza. Luci e luci s’accendono nel suo cuore. % Coppi I sette soli d’estate fischiano nella pianura cascano sopra il fieno, la canapa, la valle. Approdano anche le grandi navi del vento favonio sulle spalle della pianura padana appena sgelata. Prima dell’uomo il suo respiro calmo. Prima del corridore il suo furore. La ruota striscia, sibila dentro la pietra aguzza. La mano sul manubrio è gialla. Gialla e astuta come la zampa dell’aquila pescatrice. Lenzuoli colorati coprono di nebbia le labbra senza testa di duemila pini scatenati. QUANDO COPPI E BARTALI CORREVANO IN BICICLETTA. QUANDO BARTALI E COPPI. Il Galibier è una vetta. Il Tourmalet è un’altra vetta. Cime naturalmente tempestose e discese nei boschi precipitose. La gente aspetta in un silenzio feroce. QUANDO COPPI E BARTALI CORREVANO IN BICICLETTA. L’Italia è contadina nei campi i buoi bianchi dalle corna di luna. Una guerra terribile è ancora vicina con le ossa fra le macerie della strada. Ma questa strada non ancora asfaltata porta a un’altra strada. Gli operai in tuta azzurra lasciavano di giocare a palla per guardare e Coppi leggero leggero come un pensiero appoggiato sulle ruote dell’ombra che aveva strani bagliori saliva. QUANDO BARTALI E COPPI. QUANDO COPPI E BARTALI CORREVANO IN BICICLETTA. La partenza è l’Aubisque. L’arrivo è l’Izoard. Minuti di ritardo. L’episodio cruciale. E al tramonto sul traguardo il colpo di reni, un colpo di pedale. La memoria non si caccia via coi sassi come un cane. La memoria è storia non è oblio. QUANDO COPPI E BARTALI ero giovane anch’io. Gino sembrava un tedesco, Fausto un gatto anzi no, una livra e andava su storto per la fatica prima di scomparire sotto un ponte dietro l’acqua del fiume. Era sudato e come un lume senza più olio è andato a morire. Nei libri antichi è scritta la saggezza, parola di Brecht. Ma dalle severe biblioteche non esce solo il sapere lucido di sale; non esce solo con le piume dell’esile gabbiano la poesia claudicante per l’attesa e prossima a cantare; esce anche la ferocia del tarlo appostato con denti di delirio; escono grida e voci di una storia che racconta come troppe volte i sapienti si inchinarono ai potenti sorridendo. Dalle biblioteche dice Brecht escono anche le voci dei massacratori. Aggiungo: non le voci dei massacrati. In una grande foresta di silenzio il tempo li ha divorati. (Da Libri e contro il tarlo inimico) 208. Il 2 agosto 1980 e poi il due agosto 1990 la morte in una stazione e la passeggiata spaziale per non morire. Le rondini bambine imparano a volare fra gli arbusti la montagna annuncia la nube della tempesta. Domenica Piccolo cucchiaio qua la vorrei ricordare dice il signor d’Aubigné per il sole della buona sorte con Mimmo a cavallo per l’O.K. Corral della Calabria nella luce del giorno di un anno d’estate. La voce di Jim Morrison la voce di Domenica la voce del fiume fra le rapide dei boschi. Una città di pietre morse dalla nebbia (è Bologna) i diavoli cavalcano terracielo veli all’alba stracciati da ombra e improvvisi ricordi. Un monaco conta le pagine con le dita il mondo attraversa la bufera con il cuore in mano l’aquila si stacca dal nembo e nel vento cala a chiamare il silenzio. Sul viadotto l’asfalto non si vede lì è inutile la preghiera. Elementi determinanti della situazione un motociclista senza casco l’uomo sul palo da cui è caduto un filo – i fogli dei giornali travolti dal riverbero di auto interminabili. Strisciano trascinati dal soffio delle parole immagini a colori su grandi schermi piantati egli altipiani silenti (da L’Italia sepolta sotto la neve)

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col-

to, r

acco

ntat

o, c

on s

ottil

e ri

goro

sa e

moz

iona

nte

esse

nzia

lità,

e c

onal

tret

tant

a ri

goro

sa v

erità

.N

on c

i son

o m

omen

ti di

nar

razi

one

sem

plifi

cata

ma

sem

pre

di s

critt

u-ra

epi

ca c

once

ntra

ta e

par

teci

pata

, tal

e da

ren

dere

tutt

o co

me

“ric

adu-

to”

oggi

. Il f

ilm d

eve

esse

re v

isto

e r

ivis

to; n

on s

i dev

e fe

rmar

e ne

l suo

cam

min

o di

com

unic

are

ai g

iova

ni le

pas

sate

bes

tiali

mis

erie

per

sus

ci-

tare

luci

do o

rror

e e,

rip

eto,

le g

iust

e em

ozio

ni.

Ciò

che

ho

vist

o m

i ha

rinn

ovat

o la

spi

nta

- per

qua

nto

si d

eve,

a e

sse-

re s

empr

e pr

esen

te e

a lo

ttar

e pe

r qu

anto

è d

ato,

per

ché

tutt

o qu

esto

no

n si

rip

eta

mai

più

.F

ilm b

ello

, giu

sto,

ver

o, e

moz

iona

nte.

Gra

zie.

tu

o,

R.

(Let

tera

per

sona

le, 2

011)

186.

Nel silenzio delle notti squarciate dai lum

i vibrantivom

ita sabbia la televisionele gam

be delle donne strette da tele di ragnonessun’om

bra sull’asfalto masticato

dai cingoli dei carri armati

all’inseguimento di un

nemico che fugge.

Opere vere restano da fare

prima del diluvio di un secolo nuovo

come la terra sarà disposta nessuno lo sa, può saperlo

è inconoscibile questom

isterioso futurocosì già passato così già lontano.M

a vivere èaiutare a vivere.C

i sono i poveri, gli schiacciati.E

i soldati in attesa.Il cuore vola alto ilcuore non si stancail cuore falco il cuore verm

e il cuore scimm

ia ilcuore sem

pre soloorlo di un’onda sul m

are che divaga e si perde.G

li spazi del mondo ancora si im

provvisano.Sono quell’uom

o che camm

ina vicino alle dunele voci della cam

pagna emiliana

trascinano il passato verso il futuro come un toro infuocato.

(da L’Italia sepolta sotto la neve)

202.

Non m

i avranno, vita m

ia, nuvole arlecchine vaganti non mi

avranno dice il signor D’A

ubigné nel cieloche odora di fum

o di grano e discende.N

on sanno dove mi trovo i cani

i passi nel fango inseguendo evoi rondini severe il filo dell’orizzonte non indicherete.L’econom

ia di mercato dice il signor D

’Aubigné al giocatore di calcio

l’economia centralizzata la burocrazia l’econom

ia delladelazione della vergogna oggi sopraffatte dall’altra cadono fra gli sterpi brucianocon la statua di L

enin tantil’avevano predetto i vatidelle ossa frantum

ate dei perduti destini dei naufragi sul mare

e dei tesori nascosti.Spettacolo della m

iseria chiamano

il piccolo fuggevole dramm

a di chi muore di fam

efra le m

ura delle città italiane(oh in Italia non si m

uore di fame più

oh pietre di pallide ville antiche preservate dal saccheggio dei barbariville perdute fra i cam

pi fra i lecci e le sere annegatenella calm

a prima della tem

pesta negli oridelle ultim

e api sciamanti)

siamo un paese ricco e disperato la danza sulla m

iseriaè solo una vergogna povera che offende ogni speranza.G

ol! grida la folla, le bandiere di fumo

irrompono negli occhi “batterem

o i tedeschi a Stoccarda”È

l’ora in cui i vecchi librai chiudono la bottegas’avviano con un volum

e sotto braccioalla discreta povertà della casa.

(da L’Italia sepolta sotto la neve)

V.La m

iseria d’Italia numero cinque una nuvola

molto bianca una nuvola bianca

calando all’improvviso m

olto bianca – biancaha divorato il gatto steso grigio in un sole autunnaleguardava la gente passare e la gentenella sottostante strada dentro il traffico dom

enicale.V

ia la nuvola il gatto l’ha stretta fra i denti ciabattandofurtivacom

e la scia di una nave che si addentra cauta nelporto lasciando le onde grandi del m

areio vedo com

e accadono le cose fiorite o sfioritesono lacrim

e di una piccola suora diseredatam

a so che cavalco sulla lama della spada

tagliente e la luce sanguina.A

nche la foglia nell’aria non ha più speranza di vita.M

i domando dove trovare il tem

po sapere negli anni chedurano un giornoper continuare lo scavo dentro la terra di sassi e toccare la buona radice del pioppo sovranotutto e livellato orm

ai piallato appiattito.Sovrana la solitudine della grande cam

pagna conducela danzal’uccello nero cala gridando sul solcoper il terrore della navicella spaziale che fulm

inal’aria tracciando ferite di giallo.M

ilioni di chilometri e G

iotto il pittore divinosi m

uove fra le pecore dello spaziotocca gli astri non si brucia le m

anipotrà dipingere ancora il m

ondoricordare il buio di dioriconoscere l’occhio dell’uom

o da quello della serpe.Invadere col fuoco l’infinito così lieto e vicinosenza bruciarlo.

(Da L’Italia sepolta sotto la neve, Parte quarta: L

e trenta miserie d’Italia)

Ade

sso

che

vado

a fi

nire

vi s

alut

o ad

dio

libri

libr

etti

mie

i. C

ari a

dora

ti. I

ono

n ho

altr

i am

ici c

he v

oive

ri s

ince

ri.

Qua

nti a

nni i

nsie

me

in u

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lenz

io d

i ope

re g

arba

teba

stav

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e al

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assi

la m

ano

e su

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’alz

avan

o di

liet

e ca

mpa

neno

nché

que

l bis

bigl

iare

not

turn

och

e da

sol

o po

tevo

asc

olta

re. A

ddio

per

ades

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on v

i abb

ando

no lo

giu

rono

n vi

abb

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no a

ffat

toso

tto

le u

nghi

e de

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to.

(Da

Lib

ri e

con

tro

il ta

rlo

inim

ico)

Prem

essa

al t

esto

Due

att

ori p

asse

ggia

no c

onve

rsan

do fo

rse

dent

ro a

una

pis

ta d

a ci

rco;

sem

bran

o ca

valli

di a

lta

scuo

la v

ienn

ese.

Per

terr

a c’

è po

lver

e e

sega

tura

. I m

ovim

enti

son

o ca

lcol

ati,

geo-

met

rici

; ess

i for

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o fig

ure

tria

ngol

ari,

esag

onal

i, ra

pidi

e im

prov

visi

tra

pezi

, van

no e

veng

ono,

alle

vol

te s

i arr

esta

no q

uasi

che

un

dom

ator

e co

n la

frus

ta s

egni

a lo

ro i

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pie

le o

ccas

ioni

.

Prim

o at

tore

:C

i av

viam

o ve

rso

un m

ondo

… a

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dire

i ch

e ci

sia

mo

già

dent

ro…

un

mon

do(p

ausa

)… a

h, s

ì! u

n m

ondo

mol

to s

porc

o… U

n m

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dov

e il

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lem

a pi

ù as

silla

n-te

… s

arà

non

più

l’im

mor

talit

à de

ll’an

ima

ma

la p

uliz

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str

ade

e la

rac

colta

del

rusc

o… U

n in

cene

rito

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he d

istr

ugga

sul

ser

io i

rifi

uti

varr

à di

eci

Mos

è di

Mic

hela

ngel

o e

lo v

isite

rem

o ne

i gi

orni

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a co

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spet

to c

he s

i de

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pere

nece

ssar

ie…

anz

i, ut

iliss

ime.

Evi

tere

mo

così

di b

ighe

llona

re a

lla d

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ica

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pat

i-re

la

noia

… D

’altr

a pa

rte

gli

stad

i, lib

erat

i da

que

lli c

he a

mm

attis

cono

die

tro

una

palla

1 , d

iven

tera

nno

il lu

ogo

di r

ipos

o de

lle c

ose

cons

umat

e o

da c

onsu

mar

e, p

erch

éè

lì ch

e il

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o vi

ene

adag

iato

e c

ova…

Il l

uogo

dei

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mac

i sca

duti,

dei

con

teni

tori

di u

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te a

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bir

re s

ucch

iate

e s

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zate

, dei

vuo

ti a

rend

ere,

del

le c

este

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imin

i int

recc

iate

per

i do

lci p

asqu

ali…

del

le a

uto

Fia

tte

bloc

cate

e im

polv

erat

e da

uno

scio

pero

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enzi

na, d

alla

cad

uta

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ambi

o d

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degl

i dei

… E

il lu

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della

sbr

odag

lia in

fern

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espu

nta

dalle

fabb

rich

e ch

e se

min

ano

mor

te…

Tha

nato

s a

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llo…

Per

ché

orm

ai s

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e co

ntin

uare

a p

rodu

rre

ciò

che

non

serv

e o

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e po

coo

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ltant

o a

poch

i, co

sì le

sco

rte

non

vend

ute

cres

cera

nno

in a

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a ta

li e

qual

ii

rifiu

ti… c

ome

mon

tagn

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li og

gett

i m

orti

o an

noia

ti o

in a

ttes

a di

una

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oco

prir

anno

la

pian

ura…

Que

sta

è l’e

ra d

ello

spe

rper

o pr

ogra

mm

ato

e de

lla q

uart

agl

acia

zion

e… C

he c

osa

nasc

erà

in s

egui

to o

fra

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o no

n lo

sap

piam

o an

cora

… n

o,an

zi!

lo s

appi

amo

bene

… D

ipen

derà

da

noi…

Int

anto

ci

augu

riam

o ch

e si

ano

leim

mag

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cos

e sv

uota

te e

but

tate

e d

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idee

mar

ce a

sco

mpa

rire

… p

er li

bera

r-ci

dal

la p

aura

… M

a in

tant

o, c

he i

mpr

essi

one

se c

i gu

ardi

amo

into

rno

ad a

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ad’

uom

o!…

(Da

La

mac

chia

d’in

chio

stro

, tes

to p

er il

teat

ro)

UN

AP

RO

PO

STA

DI

LE

TT

UR

E, INO

RD

INE

CA

SUA

LE

E

SEN

ZA

INT

RO

DU

ZIO

NI, P

ER

INIZ

IAR

EA

CO

NO

SCE

RE

LA

SCR

ITT

UR

A

DIR

OB

ERT

OR

OV

ER

SI.

Foglio liberamente distribuito, a cura di: M

arco Alem

anno, Alfredo A

ntonaros, Antonio B

agnoli,V

incenzo Bagnoli, B

runo Brunini, Francesco C

aponegro, Roberto D

all'Olio, L

uca Egidio, M

attiaFontanella, M

aria Gervasio, Salvatore Jem

ma, M

assimiliano M

artines, Gabriele M

illi, Manuela P

asquini,A

rrigo Quattrini, Sergio R

otino, Luca Sossella.

In collaborazione con ilCom

une di Bologna.

realizzazione: edizioni Pendragon - matite: Rosanna Mezzanotte

FO

GL

IOP

ER

RO

BE

RT

OR

OV

ER

SID

a C

acci

a al

l’uom

o

I.U

NA

BA

TT

AG

LIA

Arr

ivan

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le u

ndic

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era;

la b

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inte

ra d

el B

occo

ne, p

iù il

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azzo

che

s’è

aggr

egat

o il

gior

no i

nnan

zi,

rifiu

tand

osi

a og

ni d

oman

da.

In t

utto

due

cent

oven

tiuo

min

i. Il

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azzo

cav

alca

al

fianc

o de

l B

occo

ne,

con

un’a

ria

per

nulla

sm

arri

ta;

un’o

mbr

a di

ris

o su

lle la

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chi

use

e fo

rza

nelle

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i rac

colte

a s

trin

gere

le r

edi-

ni. C

ome

il fu

oco

spri

gion

a ca

lore

.A

l Car

mel

o, u

n pa

ese

sul b

ordo

del

la p

ianu

ra, s

i fer

man

o: p

er r

ipos

are

i cav

al-

li, m

angi

are,

ber

e, s

tend

ere

le o

ssa.

Slo

ggia

no i

borg

hesi

dal

le c

ase,

ent

rano

a d

issi

-pa

re le

ore

. Giu

nge

il m

attin

o ch

e tu

tti d

orm

ono.

Ma

il ra

gazz

o è

già

sulla

str

ada,

i pi

edi n

udi n

ell’e

rba,

gua

rda

vers

o la

col

lina.

Gli

ucce

lli v

olan

o in

un

ciel

o ch

iaro

.Q

uand

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ban

da s

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eglia

il

sile

nzio

cad

e, a

ppar

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sole

; su

bito

dop

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Boc

cone

sui

qua

rant

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i, fo

rte,

non

alto

, con

una

fac

cia

tutt

a a

crep

e e

rugh

e ch

e si

spia

na c

ome

un fo

glio

nei

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enti

tran

quill

i. Il

suo

ris

o sc

oppi

a co

me

un c

olpo

di

pist

ola;

è d

uro,

cos

tui,

perf

ido,

van

aglo

rios

o, la

dro

e tr

adito

re. A

ma

l’adu

lazi

one,

dete

sta

serv

ire,

god

e d’

esse

re se

rvito

; am

bizi

oso,

senz

a pa

ura.

Ma

non

c’è

cris

to c

heru

bi n

el d

ivid

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il bo

ttin

o, e

se

prom

ette

man

tiene

. I te

tti,

Bos

co g

rigi

o, la

Vet

ta d

elSo

mar

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I Tr

e po

nti

sono

luo

ghi

che

suon

ano

anco

ra i

l br

onzo

del

suo

nom

e;av

eva

atta

ccat

o e

vint

o. I

fran

cesi

, con

le d

ivis

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picc

ate

alla

pel

le, s

i sci

oglie

vano

nella

sol

itudi

ne, i

pet

ti sq

uarc

iati.

Pro

vass

ero

ad a

ssal

tare

Boc

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!D

al C

arm

elo

la b

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vuo

le r

aggi

unge

re la

mac

chia

del

Gol

do, a

mez

z’or

a di

cava

llo; l

à, r

ipar

ata

dal s

ole,

in lu

ogo

amic

o, a

spet

tare

.Il

Boc

cone

ord

ina

di p

artir

e. N

itris

cono

i ca

valli

, un

cane

abb

aia.

Alc

uni b

irba

c-ci

oni t

rinc

ato

l’ulti

mo

gocc

io s

tris

cian

o su

lla b

occa

la r

uvid

a m

ano.

Tut

ti in

sel

la, s

’al-

za u

n po

lver

one

d’in

fern

o. A

ddio

, be

lla b

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. I

borg

hesi

rie

ntra

no,

impr

ecan

do,

nelle

cas

e«d

evas

tate

, dev

asta

te»

lam

enta

no le

don

ne e

sem

bran

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rie

dei b

osch

i.

Anc

ora

il B

occo

ne d

avan

ti a

tutt

i, su

un

baio

di

tre

anni

che

pas

sa l

egge

ro;

acca

nto

a lu

i, ri

tto,

fra

gile

, il r

agaz

zo c

he g

uard

a in

sile

nzio

sen

za p

aura

il m

ondo

.O

gni t

anto

il B

occo

ne, m

orso

da

una

ilare

cur

iosi

tà, g

li gr

ida:

«Su

, par

la, f

iglio

di

som

ara»

. Il r

agaz

zo m

uove

app

ena

il ca

po, f

a un

a sm

orfia

con

la b

ella

boc

ca r

ossa

.I

calz

oni g

li tir

ano

sulle

cos

ce.

«Dim

mi

chi

sei,

spia

del

gov

erno

» ri

de B

occo

ne.

Il p

aese

è l

onta

no,

com

inci

ano

ipr

imi s

trap

pi d

ella

sal

ita. A

lber

i con

le f

oglie

qua

si b

ianc

he s

i ten

dono

al c

ielo

, la

cam

-pa

gna

è im

mob

ile,

non

voci

; il

galo

ppo

pare

acq

ua c

he s

i di

sper

da p

icch

iand

o su

llate

rra. «T

i tag

lio la

gol

a» d

ice

il B

occo

ne a

l rag

azzo

, alz

a le

red

ini:

zac!

fa

un g

esto

con

lam

ano. «A

bbia

mo

i fra

nces

i ai c

alca

gni,

com

batt

erem

o co

me

non

è m

ai c

apita

to, o

cchi

o su

l-l’o

cchi

o, fi

ato

cont

ro fi

ato,

e q

uest

a sp

ia c

he n

on d

ice,

ecc

oci c

on q

uest

o si

lenz

io…

Non

parl

a, c

rist

o, n

on p

arla

…»,

poi

sog

giun

ge: «

Che

cor

aggi

o, il

rag

azzo

!».

Il g

iorn

o è

già

tutt

o vi

vo. «

Lag

giù

polv

ere»

gri

da u

na v

oce.

Arr

esta

no la

cav

alca

ta,

tutt

i si v

olta

no f

icca

ndo

gli o

cchi

nel

la p

ianu

ra. «

Sono

i fr

ance

si…

Al g

alop

po!»

url

a il

Boc

cone

. La

man

dria

s’a

vven

ta, a

due

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ue, p

er lo

str

etto

sen

tiero

.

Nel

pae

se d

i Car

mel

o i b

orgh

esi d

icon

o al

ten

ente

com

anda

nte

la c

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gnia

fra

n-ce

se c

he il

Boc

cone

ha

pern

otta

to, c

on o

ltre

duec

ento

uom

ini,

e al

l’alb

a s’

è di

rett

o al

laco

llina

; che

la z

ona

è pi

ena

di p

eric

oli,

faci

le a

lle im

bosc

ate;

il B

occo

ne, q

uel d

anna

to,

cono

sce

il pa

ese

com

e la

pro

pria

man

o.G

li uo

min

i del

la s

ua b

anda

non

tem

ono

la m

orte

.«Q

uest

o è

da v

eder

e» d

ice

con

stiz

za i

l co

man

dant

e, c

he è

un

giov

ane

dai

cape

lliro

ssi,

non

mol

to f

orte

, due

baf

fi lis

ciat

i con

l’ol

io, i

l vis

o m

acul

ato

e un

nas

ino

gent

ile(f

orse

un

poco

rid

icol

o, a

gua

rdar

e be

ne: p

iutt

osto

da

donn

a ch

e da

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rrie

ro).

«Bad

ate

ai v

ostr

i pas

si»

dico

no i

borg

hesi

ai s

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ti. I

cav

alli,

str

acch

i, co

n il

mus

o so

ffia

no n

el-

l’erb

a. Fa

cald

o. I

sol

dati

cerc

ano

l’om

bra,

si s

lacc

iano

la g

iubb

a; d

ue, s

edut

i su

un tr

onco

,ca

vate

le c

arte

, gio

cano

; altr

i app

oggi

ati a

i mur

i del

le c

ase,

ritt

i nel

la s

tris

cia

dell’

ombr

a.Il

ten

ente

è e

ntra

to n

ella

cas

a di

un

nota

bile

. Sbi

rcia

ndo

dent

ro, i

sol

dati

pens

ano

che

un’a

ria

sim

ile,

fres

ca e

ras

sere

nant

e, è

bel

la g

oder

sela

da

borg

hese

, ne

lla p

ropr

iate

rra.

Mal

edic

ono

il ca

ldo,

le m

osch

e ch

e si

pia

ntan

o at

torn

o ag

li oc

chi d

ei c

aval

li o

sulle

stre

tte

feri

te a

pert

e da

gli s

pron

i. In

utilm

ente

i ca

valli

scu

oton

o co

n ra

bbia

le c

ode;

com

eve

cchi

e be

ghin

e in

tent

e al

la p

regh

iera

, le

mos

che

a te

sta

chin

a su

cchi

ano

il sa

ngue

dolc

e. Il t

enen

te s

’aff

acci

a, c

hiam

a un

ser

gent

e, d

ice:

«C

i m

uove

rem

o al

tra

mon

to…

So

dove

tro

varl

i; do

mat

tina

atta

cchi

amo.

Ora

rom

pete

i r

angh

i e

date

fie

no a

i ca

valli

…Se

rvite

vi d

ei b

uoni

e r

equi

site

pan

e e

vino

. And

ate!

». I

l ser

gent

e su

ll’at

tent

i, m

entr

e il

sole

gli

stri

scia

una

man

o ne

lla s

chie

na,

pens

a fr

a sé

: “T

i ve

drei

vol

entie

ri i

mpi

ccat

o,sp

orca

put

tana

” e

con

un s

orri

so s

i vol

ta, b

atte

i ta

cchi

, bes

tem

mia

, s’a

vvia

. Il t

enen

teri

entr

a e

ripr

ende

l’a

mab

ile c

onve

rsaz

ione

col

pro

prio

osp

ite.

Ma

sopr

aggi

unge

la

mog

lie, u

na b

ella

don

na c

he a

ppas

sisc

e, e

il d

isco

rso

dive

nta

grig

io, a

utun

nale

: «I

dann

ide

lla g

uerr

a, q

uest

’ann

o…».

«L

’ulti

ma

volta

che

mio

mar

ito g

iuns

e a

Nap

oli

ebbe

ass

icur

azio

ne c

he l

a gu

ardi

aci

vica

…».

«Ma

non

c’è

Reg

gio

che

deve

pro

vved

ere?

».L’

altr

a sc

uote

la t

esta

; è f

acile

inte

nder

e ch

e ri

empi

rà le

ore

con

lam

enti,

des

criv

endo

im

alan

ni d

el t

empo

e il

tra

gico

incu

bo d

el b

riga

ntag

gio

a cu

i poc

he f

orze

il g

over

no r

iesc

ead

opp

orre

: «L

onta

no d

alle

citt

à la

vita

è u

n in

fern

o» d

ice.

«A

nche

ieri

ser

a il

Boc

cone

…».

Il t

enen

te d

opo

un m

omen

to d

i fa

stid

ita a

tten

zion

e si

lim

ita a

d as

sent

ire

col

capo

ein

tant

o go

de la

fres

cura

che

s’a

lza

dalle

pie

tre

gros

se e

vec

chie

, dai

mur

i un

poco

ann

eriti

,co

pert

i da

un v

elo

di m

uffa

. I tr

avi d

ipin

ti in

ros

so d

ivid

ono

il so

ffitt

o in

com

part

i squ

adra

-ti.

C’è

nel

l’ari

a il

puzz

o di

cer

a br

ucia

ta.

«Anc

he ie

ri s

era,

ieri

ser

a» la

men

ta la

don

na.

Il te

nent

e ce

ntel

lina

il vi

no fr

esco

di p

ozzo

.

Com

e un

o st

orm

o la

luc

e di

legu

a, s

opra

ggiu

ngon

o ne

l ci

elo

le s

telle

. Ven

ere,

Mar

te e

alcu

ne lo

ntan

e ch

e no

n ha

nno

nom

e, p

icco

le n

ell’i

mm

ensi

tà d

el c

ielo

.I

sold

ati s

i rad

unan

o, d

opo

aver

sel

lato

i ca

valli

ecc

itati

dal r

ipos

o e

dall’

odor

e di

fie

noch

e sa

le d

alla

pia

nura

, por

tato

dal

l’ari

a. I

l ser

gent

e è

a ra

ppor

to d

al te

nent

e, r

itorn

a gr

idan

-do

: «In

sel

la!»

. Tut

te le

don

ne (

sono

vec

chie

, son

o tr

isti)

app

aion

o al

la fi

nest

ra; g

li uo

min

isu

lla s

trad

a.In

fine

i sol

dati

s’av

vian

o, il

ten

ente

dop

o l’a

lfier

e; a

i suo

i fia

nchi

un

aspi

rant

e e

un s

er-

gent

e; s

eguo

no il

trom

bett

iere

e la

fila

dei

sol

dati,

i ca

valli

al p

icco

lo tr

otto

. L’a

ria

è fr

esca

,m

orbi

da l’

erba

, il c

ielo

ros

ato

invi

ta a

lla s

pera

nza.

Att

orno

ai f

uoch

i gli

uom

ini d

el B

occo

ne m

angi

ano

la c

arne

arr

ostit

a. I

l sug

o tr

aboc

caa

ogni

mor

so e

sce

nde

fra

i pel

i del

le b

arbe

, sul

le c

amic

ie s

porc

he d

i sud

ore.

Acc

osci

ati,

ingi

ro, s

embr

a un

ban

chet

to d

opo

fatic

ose

sven

ture

. Per

ord

ine

del c

apo

non

bevo

no v

ino

ma

acqu

a da

gli o

tri g

onfi

com

e la

pan

cia

delle

vite

lle g

ravi

de.

Il B

occo

ne, s

edut

o su

un

tron

co, f

uma

e in

tant

o pe

r pu

lire

i pen

sier

i gua

rda

il fo

glia

me

che

incr

ocia

le d

ita, l

assù

, a n

asco

nder

e il

ciel

o; p

ar d

’ess

ere

in u

na c

aver

na o

in u

na c

hie-

sa. P

ensa

alla

bat

tagl

ia d

i dom

ani;

fum

a, p

ensa

, gua

rdan

do le

fogl

ie. I

l rag

azzo

, acc

osci

ato,

è st

anco

. Per

la p

rim

a vo

lta n

ella

sua

vita

è c

osì s

tanc

o e

felic

e. S

a ch

e do

man

i ci s

arà

una

batt

aglia

e s

i sen

te p

ieno

di f

orza

, mor

so d

al d

esid

erio

di c

orre

re, d

i col

pire

, di r

ider

e. S

ach

e gl

i uom

ini d

iste

si s

u un

fia

nco,

in g

iro,

son

o br

ucia

ti da

tan

te b

atta

glie

e la

vora

no d

ico

ltello

e d

i fuc

ile c

ome

una

verg

inel

la c

on l’

ago.

Non

avr

à pa

ura;

ved

rann

o do

man

i. A

bri

-gl

ie le

nte,

nel

le m

ani p

isto

la e

pug

nale

, il c

aval

lo a

l gal

oppo

e le

gin

occh

ia, s

olo

le g

inoc

chia

com

e un

a m

orsa

a r

egge

rlo

in s

ella

. Altr

o ch

e fig

lio d

i som

ara;

è im

past

ato

di z

ucch

ero

efie

le. N

on p

ensa

nep

pure

un

mom

ento

alla

cas

a da

cui

è fu

ggito

; la

fam

e e

la m

iser

ia n

on s

iri

mpi

ange

(e p

oi, q

uand

o è

acca

duto

?). S

i fug

ge la

mis

eria

per

rin

corr

ere

la r

icch

ezza

. Luc

ie

luci

s’a

ccen

dono

nel

suo

cuo

re.

% Cop

pi

I se

tte

soli

d’es

tate

fisc

hian

o ne

lla p

ianu

raca

scan

o so

pra

il fie

no, l

a ca

napa

, la

valle

.A

ppro

dano

anc

he le

gra

ndi n

avi d

el v

ento

favo

nio

sulle

spal

le d

ella

pia

nura

pad

ana

appe

na s

gela

ta.

Pri

ma

dell’

uom

o il

suo

resp

iro

calm

o.P

rim

a de

l cor

rido

re il

suo

furo

re.

La

ruot

a st

risc

ia, s

ibila

den

tro

la p

ietr

a ag

uzza

.L

a m

ano

sul m

anub

rio

è gi

alla

.G

ialla

e a

stut

a co

me

la z

ampa

del

l’aqu

ila p

esca

tric

e.L

enzu

oli c

olor

ati c

opro

no d

i neb

bia

le la

bbra

sen

za te

sta

di d

uem

ila p

ini s

cate

nati.

QU

AN

DO

CO

PP

IE

BA

RT

AL

IC

OR

RE

VA

NO

INB

ICIC

LE

TT

A.

QU

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BA

RT

AL

IE

CO

PP

I.Il

Gal

ibie

r è

una

vett

a. I

l Tou

rmal

et è

un’

altr

a ve

tta.

Cim

e na

tura

lmen

te te

mpe

stos

e e

disc

ese

nei b

osch

i pre

cipi

tose

.L

a ge

nte

aspe

tta

in u

n si

lenz

io fe

roce

.Q

UA

ND

OC

OP

PI

EB

AR

TA

LI

CO

RR

EV

AN

OIN

BIC

ICL

ET

TA

.

L’It

alia

è c

onta

dina

nei c

ampi

i bu

oi b

ianc

hi d

alle

cor

na d

i lun

a.U

na g

uerr

a te

rrib

ile è

anc

ora

vici

naco

n le

oss

a fr

a le

mac

erie

del

la s

trad

a.M

a qu

esta

str

ada

non

anco

ra a

sfal

tata

por

ta a

un’

altr

a st

rada

.G

li op

erai

in tu

ta a

zzur

ra la

scia

vano

di g

ioca

re a

pal

la p

er g

uard

are

eC

oppi

legg

ero

legg

ero

com

e un

pen

sier

o ap

pogg

iato

sul

leru

ote

dell’

ombr

a ch

e av

eva

stra

ni b

aglio

ri s

aliv

a.Q

UA

ND

OB

AR

TA

LI

EC

OP

PI.

QU

AN

DO

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IE

BA

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IC

OR

RE

VA

NO

INB

ICIC

LE

TT

A.

La

part

enza

è l’

Aub

isqu

e. L

’arr

ivo

è l’I

zoar

d.M

inut

i di r

itard

o. L

’epi

sodi

o cr

ucia

le. E

al t

ram

onto

sul t

ragu

ardo

il c

olpo

di r

eni,

un c

olpo

di p

edal

e.L

a m

emor

ia n

on s

i cac

cia

via

coi s

assi

com

e un

can

e.L

a m

emor

ia è

sto

ria

non

è ob

lio.

QU

AN

DO

CO

PP

IE

BA

RT

AL

I

ero

giov

ane

anch

’io.

Gin

o se

mbr

ava

un te

desc

o, F

aust

o un

gat

to a

nzi n

o, u

na li

vra

e an

dava

su

stor

to p

er la

fatic

a pr

ima

di s

com

pari

re s

otto

un

pont

edi

etro

l’ac

qua

del f

ium

e.E

ra s

udat

o e

com

e un

lum

e se

nza

più

olio

è a

ndat

o a

mor

ire.

Nei

libr

i ant

ichi

è s

critt

a la

sag

gezz

a,pa

rola

di B

rech

t.M

a da

lle s

ever

e bi

blio

tech

e no

n es

ceso

lo il

sap

ere

luci

do d

i sal

e;no

n es

ce s

olo

con

le p

ium

ede

ll’es

ile g

abbi

ano

la p

oesi

a cl

audi

cant

e pe

r l’a

ttes

ae

pros

sim

a a

cant

are;

esce

anc

he la

fero

cia

del t

arlo

appo

stat

o co

n de

nti d

i del

irio

;es

cono

gri

da e

voc

i di u

na s

tori

ach

e ra

ccon

ta c

ome

trop

pe v

olte

i sa

pien

tisi

inch

inar

ono

ai p

oten

ti so

rrid

endo

.D

alle

bib

liote

che

dice

Bre

cht

esco

no a

nche

le v

oci d

ei m

assa

crat

ori.

Agg

iung

o: n

on le

voc

i dei

mas

sacr

ati.

In u

na g

rand

e fo

rest

a di

sile

nzio

il te

mpo

li h

a di

vora

ti.

(Da

Lib

ri e

con

tro

il ta

rlo

inim

ico)

208.

Il 2

ago

sto

1980

e p

oi il

due

ago

sto

1990

la m

orte

in u

na s

tazi

one

ela

pas

segg

iata

spa

zial

e pe

r no

n m

orir

e.L

e ro

ndin

i bam

bine

impa

rano

a v

olar

e fr

a gl

i arb

usti

la m

onta

gna

annu

ncia

la n

ube

della

tem

pest

a.D

omen

ica

Pic

colo

cuc

chia

io q

ua la

vor

rei r

icor

dare

dice

il s

igno

r d’

Aub

igné

per

il s

ole

della

buo

na s

orte

con

Mim

mo

a ca

vallo

per

l’O

.K. C

orra

l del

la C

alab

ria

nella

luce

del

gio

rno

di u

n an

no d

’est

ate.

La

voce

di J

im M

orri

son

la v

oce

di D

omen

ica la v

oce

del f

ium

e fr

a le

rapi

de d

ei b

osch

i.U

na c

ittà

di p

ietr

e m

orse

dal

la n

ebbi

a (è

Bol

ogna

)i d

iavo

li ca

valc

ano

terr

acie

love

li al

l’alb

a st

racc

iati

da o

mbr

a e

impr

ovvi

si r

icor

di.

Un

mon

aco

cont

a le

pag

ine

con

le d

itail

mon

do a

ttra

vers

a la

buf

era

con

il cu

ore

in m

ano

l’aqu

ila s

i sta

cca

dal n

embo

e n

el v

ento

cal

a a

chia

mar

e il

sile

nzio

.Su

l via

dott

o l’a

sfal

to n

on s

i ved

elì

è in

utile

la p

regh

iera

.E

lem

enti

dete

rmin

anti

della

situ

azio

neun

mot

ocic

lista

sen

za c

asco

l’uom

o su

l pal

o da

cui

è c

adut

o un

filo

i fog

li de

i gio

rnal

itr

avol

ti da

l riv

erbe

ro d

i aut

o in

term

inab

ili.

Stri

scia

no tr

asci

nati

dal s

offio

del

le p

arol

eim

mag

ini a

col

ori s

u gr

andi

sch

erm

i pia

ntat

ieg

li al

tipia

ni s

ilent

i

(da

L’It

alia

sep

olta

sot

to la

nev

e)

Page 2: OGLIO PER R I sette soli d’estate fischiano nella pianura ...informa.comune.bologna.it/iperbole/media/files/foglio_per_roberto_roversi.pdfLa vicenda, direi meglio: il tragico episodio

Decima descrizione in atto

I.Che età avevi quando irruppe il Medo?

IIIl giuramento a lume di candelanella cattedrale di Brunswickdavanti alla tombadi Enrico l’Uccellatore (vedere a pagina ottanta)con gli occhi azzurri e i capelli biondi, essie il pelo sul cuore...

III.Una strada non c’è. C’è una strada (un fiume), c’è un fiume- credo che ci sia, è così – un profondofosso, una siepe, un fiore d’alberosotto il giardino spappolato, c’è il piantodi una bambina nuda col tracoma c’èil sangue di un uomo per terra decapitatola milza di un animale sul bancone di legno;c’è il filo bianco (un rosso filo) che stendedal labbro di chi parla fino a una casa laggiù;una carta su cui il dito striscia con raccapriccio;l’orgasmo della donna fra l’erba affumicatada un vecchio incendio, un bombardiere che non si vede.Vilipendio di istituzioni (di gravi legittime colpe).Non c’è più l’eco, il suono non c’è, il percuoteredell’ultimo dissenso, le vociplacate (finalmente?), i refusi scomposti;ribolle un altro piombo per più degne canzoni- la caratteristica del tempo è una misurata indifferenza,tutto interessa un poco per brevissimo tempo,ogni cosa muore, deperisce, sé consuma e sfoltiscenel forno della memoria.

IV.Dice Kant la disciplina del genio(ossia l’educazione) è il gusto: gli ritagliale ali e lo rende pulito e costumato.Il grande Kant, savio nella sua stanzucciadi legno, con l’onda delle ideeche si scioglie in un silenzio ordinatoe sulle vie (deserte) lo zoccolo di un cavallo.Ma questo, che siede anch’egli, è un uomo, nella casa

con moderati calori, in un quarto pianodi paese italiano, che è, che sarà? così lontanodai rumori. Ah, non è costumato e polito. Non costumato,è tutto dentro sbrecciato, pendente,insolente, tenero e terso, muscolomacellato in una sordida ignominia,ingorgo meschino, è gramigna spersa seccaraccolta da una vecchiaccia che insacca.Questo non sarà polito, eh no, costumato non è (le circostanzenon lo permettono), non è pulito – tutti sentonosulla via lo zoccolo di una mortepassare alternando il suono con quello dello spazzino(e la sua tromba). L’alba, all’alba, l’alba- disegnare contro i vetri col fiato –è, nello strizzarsi delle vene,così distesa distante, la mano aperta, l’occhiaiadi questa giornata incerta nella scelta; stramazzeràfra noi farneticando (presto, fra noi) di dolori antichie dei nuovi congegni. Ammonisce così riservata superbaa non perdere le occasioni (la vita è un fulmine nel tempo)- intanto una ragazza sulla gamba perfettanell’ambito di una stanza indossa la vestagliaspenna se stessa nello scirocco ferito da una calzairride alla varietà degli umoriagitata da una innocua speranza.

V.Accendere una sigaretta (fumata dopo sei anni)il potere agli operai e ai contadini- si elidono a vicenda sopraffattida queste contraddizioni che non distinguonofra la necessità e il bisogno, fra chi(si può dire) di una corda che si sfilacciatrattiene il bandolo e colui che esautorato esaustosi lascia colpire dal canapo alla faccia.L’affare è grave e merita considerazione.Oggetto di ogni disputa, nel caldo della stanzamentre fuori si apre al mondodistrutto dall’acquazzonee rigurgita una cloaca con la gola di vaccae si fa notte fra i lampie una pietà di noi si distende sopra le forme immobili(con noi) nell’attesa perfida dello spettacolo- la consumata mente, l’usura, il sillogismo,il calembour sul titolo di chi si compiace al caffè -

èla fine del mondo, un’arca ribaltata,sulle pianure le ossa della città- allora tu dici che il momento del contrastosi invera in una nuova necessità: (questo è il punto),ognuno di noi che sediamosillogizza ma non opera, la disputa si fa arcaicae tutti noi (il giro del dito è ampio)degradiamo nella mistificazione.Accendere una sigaretta.Sono anni bui o sono anni nuovi?Per la verità credo che il buiosia il buio arcigno tetro gelido perfettoche sia una luce nuova.

VI.Ieri in via Andegari scura e stretta, raffinata via che conduce auna foresta di simboli scalcagnati, la moglie incontro incontrai hoincontrato di un compagno fucilato.Stormiscono le foglie della memoria.Con una testa di capelli rossi, in quelle case sporche di fango odell’ottusa avidità borghese la spalla modulata dolcemente suonava.La sua giovinezza (incantava) ancora.L’ora del giorno, incerta un poco colmao piuttosto il luogo distaccato dai rimorsi, in una incertaombra, distaccata dalla buriana ossessiva,la giuliva felice voce di addio ciaoo R. che (un attimo) ... dimenticato, al mio cuore ...Si possono dimenticare i morti per sempre.Leggeri andavamo a braccioi suoi capelli di fiamma disse sono sposata ho due figlineppure un ritratto più, mi puoi capireuna gran voglia di viverequesta città fa impazzire.La provincia fa morire.A notte ancora nella sua casa, fra i figli e il maritonella casa a mezz’ariasui rami di un albero fortunato di cristallo, verde.Baciò me sulla boccaperfida, e dolcemente, vicino alla porta.Tutto scomparso, assopito, scancellato, annegato,visi di uomini trapassati sbiancavano in polverenon era vero più niente.

(Da Le descrizioni in atto)

101.

Vorrei avere molti libri daleggere. Ancora. Tempo davanti.Libri con segni sconosciutivecchie tipologie polverosilibri trovati nel ripostiglio di casaodore di tonaca e di cera davanti a una chiesasull’argine del fiume sullabalaustra di un ponte di ferro fra paese e paese– aspettare un foglio portato dal vento dentro alla stanza.È più facile che una voce si conservi sotto la neve.

(da L’Italia sepolta sotto la neve)

1. Voglio stare sulle cose e badare ai particolari. Non a tutti, solo ai più importanti. Non voglio annoiare ma voglio premere sulla gente.

Con questo discorso devo rovesciare la parola come un camion che solleva il cassone e butta giù la ghiaia. La ghiaia può coprire un uomo. Quanti sono statisotterrati così negli ultimi anni? Ma questo è da sviluppare al momento opportuno.Il fatto è noi politici non possiamo calcolare tutto, né metterci a contare le cose unaper una. Ripeto: i particolari sono importanti ma solo i particolari che la gente può capire senza troppe spiegazioni. Invece è un mio difetto voler spiegare ogni dettaglio,per paura d’essere frainteso. Poi capita che sforzandomi di precisare le cose appenadette finisco per essere ancora più oscuro.

Vorrei riuscire a convincermi che questa volta devo seguire la strada della verità. Dico meglio: la strada di questa verità. Così mi auguro di essere ascoltatodalla gente, mentre adesso la gente non ascolta quasi più.

Non sono le parole una per una ad annoiare, anche se come vedremo hannobisogno dell’officina. Annoiano le vecchie idee premesse. Annoiano anche me,quando le ascolto da un altro. In questi modi si finisce per non seguire più niente. Ilnostro orecchio si perde. Nessun filo logico che non sia – come posso dire? – dagrandi magazzini. Le cose che facciamo, soprattutto le cose che diciamo sembranodestinate a essere svendute in blocco.

In questa casa ci siamo io, la Nora, Vittorio, la mamma, Carla, Kriss. A parteKriss, gli altri voglio fare in modo di interessarli a ’sto discorso, mentre lo compongo.Così anch’io potrò ascoltarmi.

2. Starò sulle cose e baderò ai particolari. Per questo chiedo attenzione. Vi chiedoun po’ del vostro tempo. Voglio parlarvi. Devo farlo. È necessario che ascoltiate. I miei argomenti li prendo da chi mi ha preceduto. Li conoscete. Però alcuni particolaristraordinari glieli aggiungo io, dato che li ho cercati e trovati. Ma non credo che a unmomento della nostra vita, in un momento molto importante della nostra vita,possiamo continuare a mentire a noi stessi. Non ci credo più.

Perciò nell’ambito delle nostre specifiche competenze di uomini politici, di uomini costretti a mentire con tutta la violenza del caso, ritengo di richiamarmi al dovere, anzi no, al piacere di dire la verità, e voi di ascoltarla. Una verità in meritoalla situazione attuale, molto complicata. Cercherò di proporvela e voi, dopo le primepaure, vi convincerete che è utile.

3. A questo punto è urgente una dieta terminologica, cioè una verifica dei terminidel linguaggio. Bisogna rimettere sul tavolo le dieci parole chiave e ricontrollare illoro significato. Le parole oggi sono come grondaie piene di ruggine, non tengonol’acqua. Quali parole? Ho detto: le più importanti. Ma tutte le parole oggi sono una gelatina di suoni. Prendiamone pure alcune. Libertà, ad esempio. Libertà vera, libertàsola, libertà unica e cara, libertà difficile. Libertà impossibile. Piccola libertà. Libertà consumata. Nuova libertà. Libertà e democrazia. Libertà e socialismo. Libertà e comunismo, se adesso non ci fosse Lenin. Dunque libertà, poi democrazia,socialismo, comunismo, fascismo. Poi il mio, il tuo, il suo partito. Poi io stesso. Cosasiamo? Adesso cosa siamo? Cosa siamo diventati? Eravamo meglio? Peggio? Nonvoglio rispondere per il momento…

(da Il discorso)

85.

Parliamodi questa guerra per bande che è la poesia.La poesia è una mela?Si legge per dispetto?Si ascolta come il temporale cupodel telegiornale?È una partita d’arance andata a male?

È un suono secco un suono duro?Una mano al catrame contro il muro?È l’ombra di una cosaed è la cosaè la voce e il cuore della cosaed è per sempre il suo futuro.

(da Il Libro paradiso)

FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI

FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI FOGLIO PER ROBERTO ROVERSI

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Dall’isola felice

Dall’isola felice arrivano profumi d’Arabiadolci di miele mandorle teneri cuori d’erbesapore di rosmarino in un vento portato dai capperile ali delle farfalle divagano nella luce di mezzanotte.Potrei anche imbarbarire guardando la formica appannatail topo divulgatore di favole arditel’ombra dell’airone che ha perso la strada e chiamain una tempesta di sabbia.La mia casa è là dove uno deve sognando restareo partendo lui poveroè là che deve tornaredopo una vita perduta correndo sul filo del mare.Naviga naviga naviga navigatore di onderitorna parti ritorna naviga sul legno macerato dal salesotto una vela inzuppata dal sangue di una balena arpionatalancia altrove le monete che odorano di tristissimo oronessuna notte calerà sulla mano stanca di remi.Vedi che l’onore del verde è solo un piccolo onoreIl verde com’era un tempo altro non era il verdecompagno di ogni avventura e della luce sperduta nel silenzio vagantesenza traccia lasciare o impronta contro il muro del piantofuggiremo a piedi sui monti per ritrovare l’arco dell’onoredelle campagne distrutte e dei dialetti irsuti scagliati nei laghiaccendendo fuochi dentro la nebbiaseguire almeno una traccia del cinghiale nei tempi di caccia.

Evento eccezionale la mancanza di uccelli in questi cielisperdutineanche una piuma vola nel buio d’attesa.È l’inizio di un secologli uomini non ancora muti ma ciechi oramai

cavalcano ombre sul ghiaccio nel silenzio di un inverno in arrivo.Crudo. È arrivato.Il ragno diventò un nano di quattro colorila luna borda da circo per l’elefante in amorela città con le sue pietre dedicate al nevischio e all’affannosi offriva talvolta sull’altare del fuoco. Per amore.Non si contavano i giorni erano gli anni a pesareserpi striscianti sulla pelle del mondoin una polvere d’oro.Poco si poteva farenella foresta dei segnicon nostalgia di un paradiso perduto. Ah, il mare!Essere vaganti in cielo essere peregrini in terra odentro la terra affondare sotto il suo cuore di ghiacciocon la paura di non essere salvato. Un’angoscia sublime.Ho rifatto la strada senza ritrovare le ormele orme di ferro il cavallo screziatopascolava fra meloni gialli non fra l’era rovente– un vento radeva la sabbia alzava polvere grigiacancellava i passi degli uomini senza barba e con gli occhi sbarratila luna si doleva con sospiri nel silenzio del bosco.La storia, la casa, famiglia, ricordi; era andato distruttoil destino viandante su un’autostrada di marmola speranza era un filo nel sogno ma l’inverno è crudele. È crudele l’inverno e

la terra è schiacciata prende la mano la morde.(Guardate antiche montagne che attendono il capestro).Balene corrono a riva lasciano un fiume di sangue.Ricompenso con alcune parole l’attesa degli amici.Ho il mio Goethe miniato vicino al cuscino di stracciun piccolo topo è fermo sorpreso dal sole e dal voltodi un vecchio signore che aspetta il cavallobardato di lacca.

Chiedi chi erano i Beatles

Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volandoin un marzo di polvere di fuoco e come il vecchio di oggi sia stato il ragazzo di ieri

Se vuoi ascoltare non solo per gioco il passo di mille pensieritu chiedi chi erano i Beatles, chiedi chi erano i Beatles...

Se vuoi sentire sul braccio il giorno che corre lontanoe come una corda di canapa è stata tirata, come la nebbia inchiodata fragiorni sempre più brevi

Se vuoi toccare col dito il cuore delle ultime nevi tu chiedi chi erano iBeatles, chiedi chi erano i Beatles...Chiedilo ad una ragazza di 15 anni di etàtu chiedi chi erano i Beatles e lei ti risponderà... la ragazzina bellina col suo sguardo garbato, gli occhiali e con la vocinama chi erano mai questi Beatles?

Lei ti risponderà:I Beatles non li conosco, neanche il mondo conoscosì, sì conosco Hiroshima ma del resto ne so poco, ne so proprio pocoha detto mio padre l’Europa bruciava nel fuocodobbiamo ancora imparare, noi siamo nati ieri, siamo nati ieri.Dopo le ferie d'agosto non mi ricordo più il marenon mi ricordo la musica, fatico a spiegarmi le cose per restare tranquillascatto a mia nonna le ultime posema chi erano mai questi Beatles, chi erano mai questi Beatles?Voi che li avete girati nei giradischi e gridativoi che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordativoi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parolema chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?

Perchè la pioggia che cade è presto asciugata dal soleun fiume corre su un divano di pelle, ma chi erano mai questi Beatles?di notte sogno città che non hanno mai finee sento tante voci cantare e laggiù gente risponderenuoto tra onde di sole e cammino nel cielo del mare

Ma chi erano mai questi Beatles, chi erano mai questi Beatles?

Le parole incrociate

Chi era Bava il beccaio? Bombardava Milano;correva il Novantotto, oggi è un anno lontano.I cavalli alla Scala, gli alpini in piazza Dom.Attenzione:cavalleria piemontese, gli alpini di Val di Non.

Chi era Humbert le Roi? Comandava da Roma;folgore della guerra, con al vento la chioma.La fanteria stava a Mantova, i bersaglieri sul Po.Attenzione:fanteria calabrese, i bersaglieri di Rho.

E chi era Nicotera, ministro dell’interno?Sole di sette croci e fuoco dell’inferno.All’Opera il Barbiere, cannoni a Mergellina.Attenzione:spari capestri e mazze dalla sera alla mattina.

Di pietra non è l’uomol’uomo non è un limonee se non è di pietranon è carne da cannone.

Cavallo di rela figlia di un rel’ombra di un ree la voglia di un re.Soltanto chi è repuò contrastare un re.Il gioco dei potentiè di cambiare se voglionoanche la corsa dei venti.

E i limoni a Palermo? Pendevano dai rami,coprendo d’ombra il sangue di poveri cristiani.Chi era Pinna? Un questore, a Garibaldi amico.Attenzione:fucilazioni in massa, dentro al castello antico.

E la tassa sul grano? Tutta l’Emilia rossas’incendia di furore e brucia nella sommossa.Stato d’assedio, spari, la truppa bivacca.Attenzione:lento scorreva il fiume da Cremona a Ferrara.

Che nome aveva l’acqua trasformata in pantano?Macello a sangue caldo di popolo italiano.Un’intera brigata decimata sul posto.Attenzione:i soldati legati agli alberi, agli alberi del bosco.

L’uomo non è di pietral’uomo non è un limonepoiché non è di pietraneppure è carne da cannone.Quando la vecchiacarne volevail macellaiofu presto impiccato;e un re da cavalloè anche sbalzatoe in mezzo al salnitroprecipitato,come al tempodel grande furorequando il vecchio imperatorea morte condannavachi faceva l’amore.

Sei le colonne in fila, il gioco è terminato.Nel bel prato d’Italia c’è odore di bruciato.Un filo rosso lega tutte, tutte queste vicende.Attenzione:dentro ci siamo tutti, è il potere che offende.

(4)

Era (è) il tempoquando le case sia pure brutte si potevano

(si possono) con facilitàaffittarele periferie bagnate di pioggia sopra i mattoniluccicavano (luccicano)il fumo di una fabbrica si andava (si va) spegnendoil gatto smemorato sul tetto gelava gelava (gela)l’ultimo soldato vedo che passa (passava)

laggiù sul ponteappena uscito dalla stazione.la pozzanghera d’acqua con un colombo annegatola facciata della chiesa da cui hanno rubatola statua di santo Pellegrinoil bambino che soffia contro un ventoalla finestra e la bandiera (le bandiere) da casa a casanel vicolo distesa (distese)per la festa di una battaglia lontana lontanail suono in disco di una campanadal paese fra i boschii suoi foschi manierii mattini dispersi nei boschila città bombardatai boschi distruttila città incendiata

(6)

un pizzico d’amore e di tristezzauno zero assolutoun pendaglio da forca.Passare da sconfitta a sconfitta.Ha fatto bene Hoelderlin nel mulino del falegnamefingendo perduta la libertà ma lui restando

libero nel dolore.Immagino cosa fa Balthus con i suoi segretile ragazze bambole e le bambole madrile stanze vuote con le sedie di solenel filo di Ariannadi una ragazza bambola e di una bambola madre.

(8)

dice se stesso a se stessoraccontando di battagliemai consumatedi progetti, pericoli, anni a venireche hanno i capelli nericanzoni per il vino da smaltire.Chi cerca il fuoco il futuroè il camminatore notturnonon si quieta fino all’albariconosce le tracce di un uomoin mezzo ai fari delle auto in corsa.Pace a chi ha il sonno leggeroma la bandiera va a luiche insegue la luce di un giornoin mezzo alla tempesta che suona

(15)

Segue l’angelonavigando per la piazza

alza gli occhi dietro le piumee senza splendore va

i piedi le ali con la polverea parlare stanno

vicino si sente il rumore dell’autostradal’angelo vola via respirando con affanno

il viaggiatore con la sera vicinaa un trivio del camminoinutilmente domandabisogna solo andare

lui corre s’affretta camminaper arrivare a notte fondaalla cittàche è il portodi chi viaggia sul cuore della terra.E ùpupe e gufi

(18)

Voci forestevoci leoni appena risvegliatidita della città bagnata dalla pioggia

oh povera Italia italial’inferno delle tue storie senza piùmemoria

(22)

Salvate i libri dalla guerrasalvate i libri dal fuoco dall’acqua(la mattina, la nebbia)cercate di arrivare in luoghi scavati infossatisotto le rocceun urto molto forte sarà vicino a noipurtroppo nei mesia venireanch’io guardavo il boscoil bosco in quel momentoil bosco cominciò ad avanzare

(24)

Mio decalogo aprendo una via di paroleLa poesia enumerare lecose e descriverlepoi descrivere i sentimenti, mescolarlialle cose, sovrapporcil’armonia di qualche numero per richiamareordine al lavoro.Così concluderlo.Non sottraendo nulla alla vita

(da 25 poesie autografate, In Carta Linda)