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Coordinato da Cristiano Iurilli Registrazione Tribunale di Roma n. 350 del 9.06.88 – Iscriz. ROC n. 1887 Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 46/2004) art. 1, comma 2, DCB Roma In questo numero: Agenzia Adiconsum anno XVIII - n. 31 10 maggio 2006 Stampato in proprio in maggio 2006 Obbligo di informazione ed intermediazione finanziaria Mutuo bancario e anatocismo Commenti - Obbligo di informazione ed intermediazione finanziaria, tra nullità ed inadepimento Commenti - Mutuo bancario e anatocismo: una prassi bifronte non più legittima

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Coordinato da Cristiano Iurilli

Registrazione Tribunale di Roma n. 350 del 9.06.88 – Iscriz. ROC n. 1887Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 46/2004) art. 1, comma 2, DCB Roma

In questo numero:

Agenzia Adiconsum • anno XVIII - n. 31 • 10 maggio 2006

Stampato in proprio in maggio 2006

Obbligo di informazione ed intermediazione finanziaria

Mutuo bancario e anatocismo

Commenti - Obbligo di informazione ed intermediazione finanziaria, tra

nullità ed inadepimento

Commenti - Mutuo bancario e anatocismo: una prassi bifronte non più

legittima

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ncora una volta intendiamo proseguire in uno screening dello stato dell’arte della giurisprudenza relativa agli ormai noti scandali bond Argentina, Cirio, Parmalat etc…. L’aspetto di maggiore rilievo che

viene approfondito nelle sentenze di seguito riportate (due delle quali gentilmente fornite dal Centro Giuridico Adiconsum Toscana, ed inedite) riguarda l’adempimento, da parte dell’intermediario finanziario, degli obblighi informativi su di esso ex lege gravanti.

Proprio il rispetto degli obblighi informativi, viene valutato diversamente da parte dei diversi Fori giudiziari aditi: in particolare, l’attuale assetto giurisprudenziale si divide tra ipotesi di nullità degli ordini di acquisto, in base al principio della nullità c.d. di protezione, e l’inadempimento contrattuale.

Se ad esempio, il Tribunale di Milano, con sentenza del 26.4.2006 rile-vando che “….Cosicché che si trattasse di titolo a rischio non è dubitabile, e non è dubitabile che tale rischiosità venne esternata dalla banca e rece-pita dalla cliente, ma non possono gli obblighi della banca esaurirsi con la prospettata rischiosità estendendosi anche alla specifica informazione al cliente che l’operazione, proprio per la sua rischiosità, fosse inadeguata al di lei portafoglio e procedervi solo se lo stesso cliente chieda comunque di effettuarla”, conclude che il contratto “…può dichiararsi risolto per l’accer-tato inadempimento del soggetto abilitato e alla declaratoria di risoluzione conseguono gli effetti restitutori costituiti da un lato dalla corresponsione di quanto pagato maggiorato dai legali interessi dal momento dell’esborso sino al saldo, dall’altro dalla consegna dei titoli alla Banca e al pagamento alla stessa di ogni utilità medio tempore prodotta dagli stessi, maggiorata dei legali interessi dalla percezione delle stesse al saldo.”, le due riportate sentenze del Tribunale di Firenze nn. 1023 e 1009, rispettivamente del 24.3.2005 e 21.3.2005, affrontano il problema del c.d. ordine pubblico economico, rilevando che “…La normativa richiamata è posta a tutela del-l’ordine pubblico economico e, dunque, si sostanzia in norme imperative, la cui violazione impone la reazione dell’ordinamento attraverso il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte del legislatore ordinario. ….Questo principio è stato sancito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 marzo 2001 n. 3272), secondo cui “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità, non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l’art. 1418, comma 1, c.c. che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere a disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei pre-cetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità”….Pertanto, un contratto di investimento, concluso senza l’osservanza delle regole di condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato nullo, perchè contrario all’esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che è esigenza di ordine pubblico”.

COMMENTI

Obbligo di informazione ed intermediazione finanziaria, tra nullità ed inadepimento

A cura di Cristiano Iurilli

A

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A fronte delle citate sentenze, il Tribunale di Novara, peraltro non ac-cogliendo la domanda attorea, espressamente dichiara come “…non può “fulminarsi” di nullità il consenso prestato al singolo investimento ove risulti inosservato l’obbligo informativo perché l’informazione non assur-ge (o almeno cosi non sembra desumibile dall’impianto della normativa speciale) a requisito dell’atto a pena di nullità.”.

Il variegato panorama giurisprudenziale, così come potrà essere più approfonditamente analizzato a seguito dello specifico esame delle sen-tenze di seguito riportate, ci induce -pur ritenendo pienamente fondata l’ipotesi della c.d. nullità di protezione in relazione alla violazione del-l’obbligo informativo- a sottolineare ed evidenziare tutte le cautele del caso nella scelta della causa pretendi posta alla base di eventuali e nuovi giudizi da incardinare sulla detta materia, almeno in attesa di una futura e, ad oggi solo eventuale, pronunzia a sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione.

Sentenza Tribunale di Novara9-10 gennaio 2006, n. 14

Pres. M. Giordani, Rel. E. Sechi.

OmissisSvolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il l7 settembre 2004 il sig. (…) ha evocato in giudizio la (…), chiedendo al Tribunale di dichiarare la nullità degli ordini di acqui-sto di obbligazioni Argentina del 22.5.2001 e di obbligazioni Cirio del Monte del 23.5.2001 e comunque accertare la condotta illecita della banca convenuta; conseguentemente condannare la (…) a corrispondere all’attore la somma di euro 20.000,00, oltre interessi dal 24.5.2001 e sino al saldo effettivo.

A sostegno delle proprie domande l’attore ha allegato di avere acquistato il 22.5.2001 obbligazioni della Repubblica Argentina per un valore nominale di Euro 10.000,00 con scadenza al 1.7.2004 e rendimento 8,50% e, con fissato bollato del 23.5.2001, obbligazioni Del Monte Finance SA per un valore nominale di € 10.000,00 con scadenza 24.5.2006 al rendimento 6,625% (docc. 1,2,3). Secondo quanto allegato dall’attore, l’acquisto sarebbe stato effettuato con l’assunzione di una condotta complessivamente illecita da parte della banca, posto che il sig. (…) era solito ricevere consigli e suggerimenti dal funzionario preposto al servizio presso la sede di (..), e tuttavia in tale circostanza, la banca non avrebbe fornito una completa informazione circa i rischi connessi alla specifica operazione che il cliente intendeva porre in essere. Più in particolare il (…) ha sostenuto che

- l’esito delle operazioni finanziarie in questione sarebbe stato preve-dibile per la banca convenuta, che avrebbe dovuto conseguentemente informare il proprio cliente, conformemente al proprio ruolo di interme-diario finanziario;

- la scarsissima affidabilità dei titoli in questione, infatti, sarebbe dipesa dalla circostanza che nel corso del 2001 le più accreditate società di rating avrebbero ripetutamente rivisto in senso negativo il giudizio sulla capacità dello Stato Ar-gentino di onorare gli impegni assunti con gli investitori;

- inoltre, gli investimenti in questione non sarebbero stati in linea con quelli precedenti ed in ogni caso l’investimento sarebbe stato effettuato in violazione degli articoli 21 TUF, 28 e 2g Reg. Consob;

- Pertanto, i contratti di investimento in questione sarebbero nulli e in conseguenza di tale declaratoria dovrebbero essere restituite le somme investite, oltre interessi dal 24.5.2001 e sino al saldo definitivo.

Le medesime domande sono state proposte dalla (…) costituitasi in giudizio in data 11.3.2005, quale successore mortis causa del padre.

Costituendosi in giudizio, la banca convenuta ha formulato eccezione ex art. 5 del D.Lgs.n. 512003, nel merito concludendo per il rigetto della domanda avversaria; disposto il mutamento del rito, la causa è stata cancellata dal ruolo

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e successivamente riassunta dalla (…), con la notifica di una prima memoria ai sensi dell’art. 6 D.lgs. 5/2003 .

La banca convenuta ha ritualmente notificato propria memoria difensiva e l’attrice ha notificato istanza di fissazione dell’udienza ex art. 9 D.lg. n. 5/2003.

Il giudice designato quale relatore del procedimento, con ordinanza del 22.9.2005, fissata udienza collegiale di discussione, ha ammesso tra le prove richieste dalle parti la sola prova per testi di cui al cap. 2 della memoria della banca del 2.2.2005, riservando al collegio ogni decisione sulla conferma, revoca o modifica del provvedimento. All’udienza di discussione le parti hanno richiamato le difese e le argomentazioni svolte e, precisate le conclusioni sopra riportate, il Collegio si è riservato ogni decisione.

Motivi della decisionePreliminarmente, quanto ai provvedimenti relativi all’attività istruttoria, il col-

legio ritiene di dover revocare l’ammissione del capitolo 2, disposta dal giudice relatore con provvedimento riservato in data 22.9.2005, in quanto dedotto in modo generico e comunque inidoneo a fornire elementi utili ai fini della decisione, confermando per il resto integralmente le valutazioni espresse nel provvedimento sulle ulteriori istanze di prova orale.

Quanto alla richiesta ex ari. 210 c.p.c. di esibizione dell’originale dei documen-ti prodotti da parte convenuta (docc. 10, 11, 13 (…) ), si osserva che gli stessi sono stati prodotti in copia fotostatica dalla parte che intendeva avvalersene e che, in tali limiti, non sono stati in alcun modo contestati, quanto alla conformità all’originale, dalla parte attrice.

Ciò premesso, non sono pertinenti i richiami giurisprudenziali svolti sul punto dalla difesa della (…): attraverso la produzione dei documenti effettuata all’atto della instaurazione del giudizio, la rappresentazione di fatti rilevanti ai fini della decisione è compiutamente acquisita al materiale istruttorio offerto all’esame del Tribunale e non è del resto allegato dalla parte istante che dagli originali sia dato desumere un contenuto conoscitivo ulteriore, che induca a ritenerli necessari o an-che soltanto utili ai fini della risoluzione delle questioni controverse tra le parti.

A sostegno delle conclusioni avanzate, la (…) - nella sua qualità anche di suc-cessore mortis causa del padre (…) - lamentata la violazione degli obblighi di informazione gravanti sull’intermediario, che avrebbe comportato la nullità degli ordini di acquisto, legittimando così la richiesta di condan-na al pagamento dell’importo versato da parte attrice per l’acquisto dei titoli, a titolo di ripetizione dei indebito ex art. 2033 c.c.(cfr. p. 4 atto di citazione) ovvero a titoli di risarcimento del danno.

Più in particolare si sostiene, la banca avrebbe omesso di segnalare la inade-guatezza “oggettiva” delle due operazioni di acquisto, come previsto dall’art. 29 reg. Consob 11522/1998.

1. La prospettata nullità degli ordini di acquisto presuppone la diretta incidenza sugli elementi costitutivi del negozi intercorso con la banca, della violazione degli obblighi comportamentali gravanti sull’intermediario, ai sensi della disciplina di settore nella stipulazione e/o gestione del singolo ordine di acquisto – e specificamente dettati dal d. lgs. 58/98 (di seguito TUF) e nel citato Regolamento Consob 11552/98 (di seguito REG).

Occorre pertanto esaminare – in linea di diritto e prima di compiutamente valutare la fondatezza delle doglianze di parte attrice sulla violazione dei doveri informativi - se sia ammissibile, in linea teorica, la declaratoria di nullità ri-chiesta e, quale secondo titolo della pretesa incidentalmente enunciato nell’atto di citazione, la condanna al risarcimento del capitale investito, per la condotta illecita asseritamene assunta dalla banca convenuta.

Con riferimento alla prima delle domande compiutamente formulate, parte attrice, senza svolgere in proposito alcun approfondimento argomentativi, sembra fare riferimento all’orientamento affermatosi in alcune pronunce di merito, riguar-danti fattispecie analoghe e relative alla assunzione di tali violazioni nel novero delle nullità virtuali, per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c.

Si sostiene in tali casi che le norme preposte al collocamento di strumenti fi-nanziari contenute nel TUF e nei regolamenti attuativi non possono che definirsi di ordine pubblico in virtù detta loro vocazione ad incidere in un settore caratterizzato da una elevata prevalenza dell’interesse pubblico e dalla natura, pubblica e generale, degli interessi garantiti dalle predette nor-me, che concernono la tutela dei risparmiatori “uti singuli” e quella del risparmio pubblico come elemento di valore dell’economia nazionale.

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L’insieme di tali disposizioni sarebbe da ritenersi imperativo, perché diretto a tutelare interessi di carattere generale (alla regolarità dei mercati ed alla stabilità del sistema finanziario), richiamando l’orientamento della S.C. sulla violazione delle norme relative al funzionamento delle SIM (cfr., tra le tante, Trib. Parma 16.6.2005, che richiama Cass. 7.3.01, n. 3272).

Pertanto, la nullità degli ordini di acquisto in parola discenderebbe direttamente dalla violazione degli obblighi comportamentali prescritti alla banca dalla disciplina di settore e segnatamente dal TUF 58/98 e dal REG n. 11552/98.

Il Tribunale ritiene di non condividere l’inquadramento teorico sopra richiamato, per le ragioni di seguito esposte.

Occorre in primo luogo rilevare che, sulle nullità “virtuali” per i contratti sti-pulati in “contrarietà a norma imperativa”, il consolidato orientamento interpre-tativo della S.C. ha opportunamente evidenziato che la nullità del negozio può essere determinata solamente dalla violazione che incide sul contenuto obiettivo dello stesso, non anche quella relativa alla condotta prenegoziale o esecutiva del contratto posta in essere da taluna delle parti. Più precisamente, la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contrat-to, e quindi l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a detta ipotesi, come accade nel caso disciplinato dal combinato disposto degli artt. 1469-ter quarto comma, e 1469-quinquies, primo comma, cod. civ., in tema di clausole vessatorie contenute nei cd. contratti del consuma-tore, oggetto di trattativa individuale (in applicazione di siffatto principio, la S. C. ha escluso che l’inosservanza degli obblighi informativi stabiliti dall’art 6 detta legge n. 1 del 1991, concernente i contratti aventi ad oggetto la compravendita di valori mobiliari, cagioni la nullità del negozio, poichè essi riguardano elementi utili per la valutazione della convenienza dell’operazione, sicchè la loro violazione, neppure dà luogo a mancanza del consenso) (Cass. 29.9.2005, n. 19024; Cass. 25.9.2003, n. 14234).

Come osservato in una recente pronuncia dal Tribunale di Milano (cfr. sent. 9 novembre 2005, g.rel. C.R. RAINERI), la voluta distinzione tra adempimenti prescritti a pena di nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico dell’intermediario impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell’intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla c.d. nullità virtuale di cui all’art. 1418 c.c.: inoltre. in ossequio all’indefettibile principio di legalità (e, non di meno, di certezza del diritto) non appare lecito il ricorso indiscriminato alla sanzione della nullità - che costituisce, invero, il più severo rimedio civilistico - nei casi di violazione delle norme comportamentali generali, che, in quanto prive di specificità, non risultano idonee ad individuare precise regole di comportamento cui uniformare la condotta dell’agente. (...) Con la conseguenza che non può “fulminarsi” di nullità il consenso prestato al singolo investimento ove risulti inosservato l’obbligo informativo perché l’informazione non assurge (o almeno cosi non sembra desumibile dall’im-pianto della normativa speciale) a requisito dell’atto a pena di nullità.

Le norme richiamate, come efficacemente osservato (Trib. Novara, 10.11.2005, g. rel. B. CONCA), non costituiscono altro che un precipitato dei principi generali in tema di informazione e correttezza, già sanciti dagli artt. 1337 e 1375 c.c., alla cui violazione, pacificamente, è insensibile la tenuta dell’operazione negoziale sottostante, fatta naturalmente salva l’esperibilità del rimedio risarcitorio, nonché - sussistendone eventualmente i presupposti - l’applicazione delle sanzioni penali ed amministrative previste a carico dell’intermediario.

Tale opzione interpretativa, tra l’altro, non si pone in contrasto con le esigenze di tutela dell’investitore sottese alla predisposizione degli obblighi imperativi di cui all’art. 21 d. lgs. 58/98 e della conseguente normativa regolamentare, tenuto conto che essa consente il pieno ristoro del pregiudizio da questi patito mediante l’esperimento dell’azione risar-citoria e/o di risoluzione per inadempimento che comunque, nel caso di specie non è stata in alcun modo formulata.

Pertanto, la lamentata violazione degli obblighi di informazione non appare neppure in linea di principio idonea a fondare una declaratoria di nullità, sicchè la

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domanda sul punto deve essere senz’altro rigettata ed è superfluo approfondire a questi fini l’esame delle questioni attinenti il merito.

2 - Resta da affrontare dunque la questione relativa alla eventuale re-sponsabilità risarcitoria della banca per l’allegata violazione degli obblighi di informazione, accertando in fatto in cosa sia consistito il deficit informativo precedente gli ordini di acquisto effettuati dal (…) e - soprattutto - indagando sull’incidenza causale di tale omessa comunicazione in rapporto alle scelte con-cretamente effettuate dell’investitore. Il nucleo fondamentale delle censure mosse da parte attrice alla condotta della Banca si sostanzia nell’affermata violazione del dovere di diligenza dell’intermediario, in particolare sotto il profilo della omessa informazione sulle caratteristiche dei titoli acquistati e della mancata segnalazione della “non adeguatezza” di tale operazione ai sensi dell’art. 29 REG.

Secondo quanto stabilito dall’art. 21 T.U.F., gli intermediari, han-no il dovere di “nella presentazione di servizi di investimento ed accessori...acquisire le informazioni necessarie dai clienti ed operare in modo che essi siano sempre regolarmente informati”.

L’art. 28 reg. Consob impone che “prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento, gli intermediari autorizzati devono : a) chiedere all’investitore notizie circa Ia sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento,nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale ri-fiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto... ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’allegato n. 3 (..) gli intermediai autorizzati non possono effettuare o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui cono-scenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o di disinvestimento”.

Da ultimo, l’art. 29 reg. c. statuisce che “gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione (...) quan-do ricevono da un investitore disposizioni relative ad un’operazione non adeguata lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dar corso all’operazione, gli intermediai autorizzati possono eseguire l’operazione stessa, gli intermediari autorizzati possono esegui-re l’operazione stessa so/o sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, in caso di ordini telefonici, registrato su nastro

magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto espresso riferimento alle avvertenze ricevute.”

E’ evidente il nesso di strumentalità tra tali doveri informativi e gli ul-teriori obblighi, volti a garantire la trasparenza e la correttezza dell’intero sistema degli investimenti finanziari, configurato nell’interesse dei singoli investitori e dell’integrità del mercato: la corretta interpretazione delle preferenze di investimento dei risparmiatori e la ponderata valutazione dei rischi da parte degli interessati consentono di ridurre l’alea connessa agli investimenti finanziari entro il limite connaturato all’operatività del mercato dei valori mobiliari, elidendo - quanto meno in linea tendenziale - il rischio non necessario, evitando che questo sia addossato in modo inconsapevole al risparmiatore.

Pertanto, le stesse prescrizioni di settore, modulano gli obblighi informativi in relazione alle circostanze del caso concreto, vuoi con riguardo alla tipologia del cliente, vuoi con riferimento alle caratteristiche dell’operazione in questione.

In linea generale, è opportuno premettere che ad avviso del Tribunale il lamentato inadempimento deve essere riferito agli obblighi assunti dal-l’intermediario finanziario nel contratto di negoziazione (c.d. contratto quadro) quale fonte regolatrice dei successivi rapporti e - quale modalità esecutiva delle obbligazioni contrattuali - con riguardo alle informazioni fornite relativamente a singole operazioni di investimento.

In tale differente inquadramento, costituisce un onere dell’investitore la dimo-strazione che il danno patito è conseguenza immediata e diretta della condotta colposa dell’intermediario (es. per le omesse informazioni sulle caratteristiche del titolo) e non dell’andamento sfavorevole del mercato, non essendo invocabile al

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di fuori del preciso disposto normativo l’inversione dell’onere probatorio prevista dall’art. 23 TUF.

Nel caso concreto, deve escludersi che la banca abbia contravvenuto a tali doveri. Infatti, pur tenendo conto dell’agevolazione probatoria prevista dall’art. 23 TUF, in linea di fatto risulta che

- (…), all’atto della sottoscrizione del contratto di custodia e gestione titoli (doc. 5 (…)) rifiutò di fornire informazioni sulla propria esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, sugli obiettivi di investimento e sulla pro-pensione al rischio;

- La banca aveva a sua disposizione comunque, a partire dal 4.4.1995, un portafoglio titoli di composizione varia e dall’andamento piuttosto vivace (cfr. doc. 6 della banca ed analisi dei dati desumibili dall’andamento del conto titoli in portafoglio, in alcun modo contestati o compiutamente analizzati da parte attrice, che non esprime alcuna posizione sul punto specifico, limitandosi ad evidenziare la scarsità di titoli azionari in rapporto a quelli obbligazionari);

- ll (…), il 9.5.01 (doc. 10 (…)) sottoscrive una dichiarazione nella quale indi-ca, tra gli obiettivi di investimento la compresenza di redditività e rivalutabilità con il rischio dell’andamento dei corsi, escludendo così i profili precedenti, che enunciano, in ordine graduato, la “pura redditività e minimo ischio” e la redditività con elementi di rivalutabilità”;

- Successivamente, in data 4.3.2003, (doc. 13 (…)) sia (…) che (…) dichiarano di avere esperienza in investimenti finanziari di vario tipo, indicando come “ alta” la propria propensione al rischio;

- I Bond Argentini oggetto degli acquisti effettuati dal (…) in data 25.5.2001, per un valore nominale di E. 10.000 erano valutati dalle agenzie di rating net periodo precedente quali titoli di categoria speculativa; costituisce oramai fatto notorio che il rating accordato dalle principali agenzie internazionali (Moody’s, Standard & Poor’s) è stato, nel 1997, ‘BB’, indicane la migliore delle categorie speculative e, nell’ottobre 1999 ‘BB-” (sempre, seppure con un lieve peggiora-mento, nell’ambito delle migliori categorie speculative).

- Il rating delle obbligazioni della Repubblica Argentina è stato per la prima volta declassato nel marzo e nel giugno 2001 a “B+”’ evidenziando cosi l’accre-sciuta vulnerabilità dei titoli alle particolari condizioni economiche e finanziarie del Paese (corrispondente a categoria speculativa; con capacità nel presente di fare fronte alle proprie obbligazioni finanziarie e, nell’immediato, minore vulnerabilità al rischio di insolvenza di altre emissioni speculative).

- Il successivo declassamento è del luglio 2001 ed, a seguire, dall’ottobre 2001, con la valutazione CC+, per la prospettiva di un inadempimento con riguardo al pagamento del capitale o degli interessi promessi.

- Quanto ai titoli Del Monte Finance non è stato fornito alcun elemento atto a dedurre, al momento dell’acquisto, l’esistenza di un rischio di default del gruppo, manifestatosi all’attenzione dei mercati solo nel novembre 2002. Peraltro, risulta in linea di fatto che tali titoli siano stati venduti, per un controvalore nominale pari ad E. 7.645.

Non è contestato che (…) ricevette regolarmente il prescritto documento sui rischi generali degli investimenti finanziari e rifiutò, a suo tempo, di fornire ulte-riori informazioni sulla propria situazione finanziaria.

Pur non avendo al momento fornito indicazioni sulla propria esperienza in materia di investimenti e sulla propria propensione al rischio (nell’esercizio di una facoltà concessa al risparmiatore e tuttavia omettendo di procurare elementi di giudizio previsti nel suo precipuo interesse, in modo da consentire alla banca una migliore valutazione dell’adeguatezza delle scelte di investimento), dalla documentazione prodotta dalla banca risulta che la storia finanziaria personale del (…) fosse risalente - quanto meno presso la banca convenuta - al 1995, e lo stesso fosse aduso ad una frequente movimentazione dei titoli presenti nel pro-prio portafoglio, escludendo pertanto che lo stesso possa essere ricondotto alla categoria indistinta del modesto risparmiatore o dell’investitore occasionale.

Del resto, lo stesso (…) - sia pure in epoca successiva all’effettuazione degli investimenti in questione - conferma le valutazioni relative alla apprezzabile propensione al rischio ed alla frequenza alle transazioni finanziarie, compilando e sottoscrivendo, come si è visto, un profilo di rischio definito “alto”.

Ad avviso del Tribunale, tenuto conto delle circostanze sopra evidenziate, deve escludersi che nel caso concreto la banca sia venuta meno ai propri obbli-ghi informativi e men che meno che abbia violato le norme dettate in tema di operazioni “non adeguate”.

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Occorre precisare che il giudizio, sotto questo profilo, deve essere effettuato naturalmente ex ante, ovvero parametrato alle conoscenze esigibili da un in-termediario finanziario professionista sulle informazioni presenti nel mercato al momento dell’operazione e non ex post sulla base della conoscenza del default del titolo in questione, come poi espressamente avvenuto, quanto meno per le obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina.

Ed infatti, le sentenze di merito richiamate da parte attrice a sostegno della tesi della “non adeguatezza”, fanno riferimento, nel formulare tale valutazione a casi concreti non assimilabili. Si trattava infatti di investimenti effettuati in periodi ben successivi e nei quali la possibilità di default si era ormai manifestata nei mercati finanziari: più precisamente il giudizio di non adeguatezza è stato riferito ad ordini di acquisto effettuati successivamente al settembre 2001, da clienti che si avvicinavano per la prima volta agli strumenti di investimento finanziario e con una quantità di capitale investito oggettivamente squilibrata rispetto all’importo complessivo dei risparmi.

Per contro, nella presente controversia, deve ritenersi che proprio le infor-mazioni a disposizione degli operatori finanziari al momento dell’investimento, il profilo soggettivo del cliente, l’andamento del suo portafoglio titoli autorizzano a ritenere non inadeguate le operazioni in questione in rapporto, tra l’altro, al profilo di rischio dell’investitore, piuttosto elevato.

Al momento dell’investimento, infatti, non risulta che la banca dispo-nesse di dati particolari ed ulteriori rispetto ai quali desumere una non adeguatezza dell’investimento nei titoli ed anzi la categoria speculativa e l’entità dell’investimento apparivano in linea e compatibili con il profilo di rischio desumibile dal portafoglio titoli detenuto dal (…).

In altri termini, nel maggio 200l non vi erano elementi di giudizio per con-siderare che le operazioni di acquisto dei titoli in questione fossero altamente rischiose e pertanto inadeguate, in senso oggettivo, ad un profilo con propensione al rischio media, posto che, dalle informazioni reperibili sul mercato a quell’epoca, non poteva in alcun modo evincersi la rischiosità dell’investimento né altrimenti prevedersi il default di detti titoli.

Del resto, e contrariamente alla sostenuta inadeguatezza, al momento dell’acquisto detti strumenti di debito avevano un rendimento decisamente più elevato ed appetibile di altri prodotti simili e notevolmente maggiore di quello assicurato da analoghe emissioni obbligazionarie effettuate da Stati dell’area Europea, sicchè non può fondatamente sostenersi che la scelta effettuata fosse al momento tout court inadeguata per tipologia, oggetto, e per dimensioni, tenuto conto anche dell’entità del capitale investito in rapporto ad un portafoglio titoli dell’ammontare complessivo di oltre € 100 000.

Dunque, se da un lato non è emersa una violazione dell’obbligo di informazione - non essendo desumibile dagli elementi sopra evidenziati un particolare profilo di rischio dei titoli argentini - dall’altro ed ancor più non sono emersi elementi che inducano a ritenere tali operazioni “non adeguate”. In effetti, e come sopra evidenziato, il profilo di rischio che emerge dalla composizione del patrimonio di parte attrice risulta compatibile con l’acquisto dei titoli in questione.

Conclusioni di segno opposto, invero, costringerebbero l’intermediario ad as-sumere posizioni di garanzia sostanzialmente generalizzata sul buon fine degli investimenti effettuati dai risparmiatori, pur nelle ipotesi di corretto adempimento degli obblighi di carattere formale.

Ed è, pur nell’ottica interpretativa di tutela del contraente debole, un esito interpretativo francamente inaccettabile.

Tutto ciò premesso, disattesa per le motivazioni sopra evidenziate la decla-ratoria di nullità richiesta da parte attrice e considerato che non è stata peraltro proposta alcuna domanda di risoluzione, il Tribunale, quanto alla residua doman-da risarcitoria, ritiene che non sia stata offerta alcuna dimostrazione del nesso eziologico tra la condotta della parte ed il danno dedotto (perdita di valore dei titoli a seguito di default).

Le considerazioni sopra esposte potrebbero far ritenere superflua la valutazione della domanda di restituzione del capitale investito a titolo di risarcimento del danno ed in ogni caso, per esigenze di completezza, pare opportuno osservare che fa configurazione del danno quale, sic et simplìciter, obbligo di restituzione dell’importo capitale investito a suo tempo desta non poche perplessità: parte attrice non formula alcuna istanza di risoluzione, sicchè il danno, ove sussistente, dovrebbe essere parametrato sul decremento patrimoniale subito in costanza di

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detenzione dei titoli obbligazionari in questione, che, ove non venduti, rimarrebbero comunque nel portafoglio della (…), che potrebbe successivamente liberamente negoziarli sul mercato.

Come dimostrato dalla stessa condotta assunta nel corso del giudizio (scelta di vendere i titoli Del Monte Finance prima della scadenza per un controvalore infe-riore al capitale investito, con conseguente riduzione del petitum alla differenza, pari ad Euro 2.355) non è stata in alcun modo offerta in giudizio la prova che la lamentata perdita delle somme si sia verificata nella misura richiesta, e in ogni caso, ove anche dovesse ritenersi dimostrata tale circostanza, che la stessa sia imputabile quale conseguenza immediata a e diretta al deficit informativo ascritto alla banca al momento della scelta dell’investimento.

La natura della lite e la relativa novità delle questioni suscitate, la qualità delle parti e la ritenuta sussistenza di giusti motivi inducono il Tribunale a disporre l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.ll Tribunale di Novara, nella composizione collegiale in epigrafe indicata, pronunziando nel contraddittorio tra le parti nella causa n. 3208/2004 promossa

da (…)nei confronti della (..)., ogni diversa istanza ed eccezione rigettata, 1 . rigetta le domande svolte da parte attrice, 2. dichiara le spese di lite interamente compensate tra le parti.

Sentenza Tribunale di Firenze n. 1023/2005

(inedita)

REPUBBLICA ITALIANAIL TRIBUNALE DI FIRENZEIn persona del giudice Angelo Antonio Pezzuti, ha pronunciato IN NOME DEL POPOLO ITALIANOla seguente SENTENZAnella causa iscritta nel ruolo generale nell’anno 2003 al numero 18352, tra --------------rappresentati e difesi dall’avvocato eCASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE S.p.A.rappresentata e difesa dall’avvocatoe dall’avvocato

Svolgimento del processo1. e hanno chiesto la condanna della società Cassa di Rispar-

mio di Firenze al pagamento della somma di 27.347,35 euro, previo accertamento della nullità del “contratto di compravendita e/o collocamento delle obbligazioni” “Cirio Holding con scadenza 6.2.2004 con rendimento 6,25%”.

2. A sostegno della domanda gli attori hanno dedotto che la banca conve-nuta aveva proceduto a tale operazione finanziaria in “ violazione delle norme imperative di cui al TUIF” e in “totale assenza della documentazione chiesta ad substantiam dalla Legge”.

3. Parte attrice ha chiesto, in via subordinata, l’annullamento del contratto o la risoluzione del medesimo per inadempimento dell’istituto di credito conve-nuto. In ogni caso e hanno chiesto la condanna della società Cassa di Risparmio di Firenze “ al risarcimento del danno morale e/o biologico ed esistenziale”.

4. La società Cassa di Risparmio di Firenze si è costituita e ha chiesto il rigetto della domanda asserendo che gli attori, investitori esperti, erano stati edotti dei rischi conseguiti all’investimento nei limiti in cui essi fossero rilevabili all’epoca dell’acquisto.

5. La causa è stata istruita solo con la produzione di documenti ed è stata trattenuta per la decisione sulle seguenti conclusioni.

Conclusioni delle parti6. Per e : “come in atto di citazione e successive memoria autorizzata

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Test noi consumatori 10

depositata il 19.05.04”. Nell’atto introduttivo del giudizio gli attori hanno concluso chiedendo al Tribunale di “1. In Via principale riconoscere e dichiarare la nullità del contratto di compravendita e/o collocamento delle obbligazioni per cui è causa per violazione delle norme imperative di cui al TUIF e in relazione all’art. 1418 c.c. e per totale assenza della documentazione chiesta ad substantiam dalla Legge, con-dannando per effetto, la Banca convenuta alla restituzione integrale della somma di € 27.347,35, oltre interessi e rivalutazione monetaria. 2. In Via subordinata, riconoscere e dichiarare l’annullamento del medesimo contratto ai sensi dell’art. 1427 e seguenti c.c., condannando, per effetto, la Banca convenuta alla restituzione integrale della somma di € 27.347,35 oltre interessi e rivalutazione monetaria. 3. In via ulteriormente subordinata, riconoscere e dichiarare il grave inadempimento della Banca convenuta, per tutti i comportamenti posti in essere all’atto della col-locazione delle obbligazioni, e risolvere il contratto de quo, nonché, per l’effetto, condannare la Banca convenuta alla restituzione dell’investimento e comunque al risarcimento del danno pari alla somma investita, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ed al risarcimento del danno morale e/o biologico ed esistenziale, che si indica, in via equitativa, in € 2.500 per ogni attore.”. Tali conclusioni non risultano modificate con la memoria depositata il 19 maggio 2004.

7. Per la società Cassa di Risparmio di Firenze: “nel merito e in via istrutto-ria come in comparsa di risposta”. In comparsa di risposta la società convenuta ha chiesto al Tribunale di “respingere le domande tutte formulate dagli attori in quanto infondate in fatto e in diritto”.

Le eccezioni sulla carenza di legittimazione e di interesse8. Preliminarmente va rilevato che il difensore della società convenuta, in

memoria di replica, ha eccepito la carenza di “legittimazione attiva” degli attori. La legittimazione ad agire consiste nella titolarità del potere e del dovere – ri-spettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva – di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, secondo la prospettazione offerta dall’attore, indipendentemente dall’effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto stesso. Nel caso in esame la legittimazio-ne attiva va riconosciuta agli attori per il solo effetto della loro affermazione di titolarità del diritto fatto valere in giudizio.

9. Comunque, dal prosieguo delle argomentazioni esposte nella stessa memo-ria di replica, emerge che la società convenuta ha inteso contestare non tanto la legittimazione attiva in capo agli attori quanto la carenza di interesse a proporre il giudizio. Tale difetto di interessi sarebbe determinato dal fatto che “gli odierni attori non hanno venduto i titoli in contestazione, i quali peraltro mantengono ancora ad oggi un valore di Mercato”.

10. Tali argomentazioni non sono comprensibili. Il Tribunale rileva in capo agli attori un preciso interesse ad eliminare gli effetti giuridici conseguenti a un contratto ritenuto invalido, con conseguente recupero delle somme indebitamente versate in sua esecuzione.

Normativa da applicare11. Stabilisce l’art. 21 del decreto legislativo n°58 del 1998 che nella presta-

zione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati e acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati e adottare misure idonee a sal-vaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.

12. A sua volta il regolamento della Consob n° 11522 del 1998, dopo aver chiarito, all’art. 26, che gli intermediari autorizzati devono operare nell’interesse degli investitori e dell’integrità del mercato mobiliare e in modo coerente con i principi e le regole generali del decreto legislativo n° 58 del 1998, specifica che, essi, prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento, devono:a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investi-

menti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio.

b) Consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.13. Gli intermediari autorizzati, inoltre, non possono effettuare operazioni o

prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

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Test noi consumatori 11

14. Ancora il terzo comma dell’ art. 29 del regolamento richiamato precisa che gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione.

Valore della normativa Consob15. I criteri generali, contenuti nella normativa in esame, concretano dei

canoni di comportamento immediatamente precettivi, anche a prescindere dalla loro assunzione e specificazione in norme regolamentari.

16. E’ opinione ormai consolidata quella che individua nei regolamenti della Consob, non solo un’espressione di potestà ontologicamente normativa, ma anche una fonte idonea ad incidere con modalità particolarmente incisive sulla sfera giuridica soggettiva dei destinatari delle norme.

17. Si tratta, insomma, di disposizioni costitutive di diritto, che vanno ad integrare l’ordinamento giuridico generale, a condizionare l’autonomia negozia-le ad incidere sui rapporti interpretativi, a costituire un parametro generale ed estratto della validità degli atti e dei comportamenti realizzati dagli operatori del mercato.

18. Prescindendo dal problema della collocazione nella sistematica delle fonti e dall’esito della risoluzione di eventuali antinomie, insomma, l’efficacia esterna delle norme prodotte dalla Consob nell’esercizio della sua potestà regolamentare non differisce, in quanto ad effetti prodotti sull’agire dei privati, dalle norme che derivano dall’ermeneusi di una legge o di un regolamento governativo.

19. Tali regole sono, insomma, parte integrante dell’ordinamento generale: salva l’eventuale illegittimità della disposizione che le prevede o la loro natura indipendente, nulla osta a che simili norme possano costituire fonte di invalidità o di inefficacia di un negozio giuridico, ovvero fattispecie astratta con cui confrontare un comportamento colpevole o doloso ad esse contrario e in relazione alla quale stabilire la responsabilità del suo autore.

20. Ad eguale conclusione si perverrebbe anche qualora si volesse addirittura escludere l’efficacia dei regolamenti della Consob sui rapporti interprivati. Secondo questa posizione, infatti, la violazione degli obblighi sanciti dai “provvedimenti” della Consob comporterebbe , ex se, le sole conseguenze interdittive e sanziona-torie. La mancata ottemperanza ad obblighi e divieti sanciti in via regolamentare determinerebbe, in ogni caso, effetti indiretti sui rapporti negoziali posti tra privati: sarebbe comunque sufficiente ad integrare la colpa inerente al neminem laedere, a determinare un’inversione dell’onere della prova nell’ambito della responsabilità contrattuale ed a provocare la nullità di contratti per assenza di elementi essenziali prestabiliti per via di fonte primaria.

Obbligo di richiedere all’investitore le informazioni necessarie21. Nella fattispecie in esame la società Cassa di Risparmio di Firenze non ha

osservato le descritte regole di comportamento.22. L’art. 28 del richiamato regolamento della Consob prevede, come si è visto,

che prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento, gli intermediari autorizzati devono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio.

23. La società convenuta non ha fornito alcuna scritta o orale del fatto che i propri funzionari abbiano chiesto a e tali notizie. Ciò basta, di per sé, a rendere le operazioni illegittime.

Obbligo di fornire le informazioni necessarie sull’investimento24. Il secondo comma dell’art. 28 del regolamento richiamato precisa

che gli intermediari autorizzati devono fornire all’investitore informazio-ni adeguate sulla natura, sui rischi, e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

25. Ritiene il giudicante che la società convenuta non abbia fornito la prova neppure dell’espletamento di tale obbligo. Invero l’ordine d’ac-quisto sottoscritto dagli investitori recano la dizione “Si dà atto che mi avete fornito le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del grado di rischiosità della presente operazione”.

26. Anche qualora si voglia ritenere che con la produzione di tale dichiarazione la banca convenuta abbia dimostrato di aver illustrato agli attori il rischio delle operazioni finanziarie intraprese, occorre comunque rilevare che, tramite esse,

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Test noi consumatori 12

non è dato comprendere e stabilire il tipo, la natura e la portata delle informa-zioni fornite.

27. Siamo, infatti, in presenza di una dichiarazione del tutto generica. La sola indicazione della “rischiosità” non costituisce certo un’informazione adeguata sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della operazione.

28. Siamo pertanto in presenza di una clausola di mero stile tale da non esonerare l’istituto dall’onere di fornire la prova positiva del tipo di informazione concretamente dato.

29. Peraltro la clausola in questione ove ritenuta valida e significativa, sarebbe anche inefficace alla luce del disposto di cui all’ art. 149 bis n. 18 c.c. traducendo-si, di fatto, se non accompagnate dalla dimostrazione di un’effettiva e completa informazione, in una limitazione per la difesa del consumatore e di responsabilità per il professionista.

30. Orbene deve ritenersi che la banca avrebbe dovuto fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che i clienti inten-devano porre in essere (obbligo imposto anche dal primo comma dell’art. 11 della direttiva 93/22 CEE del 10-5-1993), dovendo l’intermediario finanziario agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato nell’ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l’interesse dei clienti obbligo implicante indicazio-ne, non generica, della natura altamente rischiosa dell’investimento secondo la valutazione operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dato questo che la banca è tenuta a conoscere e , quindi, a comunicare al cliente al fine di consentirgli di effettuare una scelta consapevole, dovendosi in proposito ritenere che la valutazione del titolo da parte del mercato costituisca fattore rilevante in quanto idoneo ad influenzare il processo decisionale dell’investitore.

Circa l’iniziativa dell’operazione31. Del tutto irrilevante è la circostanza evidenziata dall’istituto di credito negli

atti difensivi e anche sugli ordini sottoscritti dagli attori secondo cui l’acquisto delle obbligazioni argentine sarebbe stata richiesta espressamente dal cliente.

32. Gli obblighi sanciti dal legislatore a carico dell’istituto bancario fanno sì che il suo compito non è circoscritto a quello di una supina mera ricezione degli ordini, ma a un’attività molto diversa e ulteriore attività che in sostanza in quella che si può definire una consulenza.

33. Basti richiamare il terzo comma dell’art. 29 del regolamento della Con-sob laddove è previsto che gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione.

34. Peraltro l’obbligo di indicare che l’operazione non è adeguata per il cliente richiede necessariamente e preliminarmente la raccolta del medesimo di tutte le informazioni utili per procedere a tale valutazione, sicché in difetto di tali com-portamenti da parte dei funzionari bancari rimane poco rilevante la circostanza che l’operazione sia stata suggerita dal cliente o proposta dall’intermediario.

Obbligo di trasparenza35. Sulla base della norma sopra richiamata la banca è tenuta, nella presta-

zione dei servizi di investimento e accessori, a comportarsi con “trasparenza”. L’imposizione di tale obbligo a carico dell’intermediario significa anche che i moduli presentati ai clienti bancari per la sottoscrizione devono essere redatti con chiarezza, al fine di consentire agli stessi una chiara e immediata rilevanza della portata e dei rischi dell’operazione.

36. La regola della trasparenza dispiega i suoi effetti, non solo sul piano contenutistico, ma anche sulle modalità di comunicazione, che devono garantire chiarezza e comprensibilità ed essere adeguate alle tecniche di contatto utilizzate con la clientela.

37. Nel caso in esame il modulo sottoscritto da e da non ri-sponde a tale requisito. Essi. Infatti, recano l’annotazione “Si dà atto che mi avete fornito le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del grado di rischiosità della presente operazione” in caratteri minuti e non fa-cilmente distinguibili dal resto del testo e inseriti in un solo periodo contenente altre disposizioni.

38. Nel modulo poi si leggono cinque preposizioni precedute ognuna di esse da una casella bianca, senza alcuna indicazione in ordine alle modalità di compi-lazione. Nessuna di tali caselle risulta sbarrata. Tra le frasi in questione si legge

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“l’operazione non appare adeguata alla Vostra situazione finanziaria ed ai Vostri obiettivi di investimento” e quella “ l’operazione non appare adeguata alla Vostra situazione finanziaria ed ai Vostri obiettivi di investimento, in quanto eseguita su mercato non regolamentato”. La mancata opposizione di un segno di spunta sulla casella bianca apposta sulla destra rispetto a tali proposizioni lascia quasi intendere che la banca abbia ritenuto le operazioni in questione, pur indicate come ad “alto rischio”, come adeguate alle persone degli investitori

39. Il modulo in questione non è, quindi, né chiaro né trasparente ma confuso e contraddittorio. Non si può, infatti, ritenere che il rispetto dell’obbligo di trasparenza si esaurisca nella consegna di un tale ordine scritto. Non si può presumere che sia pienamente consapevole l’inve-stitore, cui l’intermediario ha consegnato i suddetti documenti e questi non deve ritenere che il mero rispetto dell’obbligo in questione renda il cliente capace di tutelare da sé il proprio interesse e di assumersi i rischi dell’investimento compiuto.

40. Invero, l’intermediario deve comunque assicurare all’investitore la propria assistenza e la propria guida nella scelta delle operazioni da compiere, anche al di là delle asettiche e standardizzate informazioni riportate nel documento.

41. La “conoscenza” deve essere una conoscenza effettiva ed anche alla luce del dettato dell’art. 82, comma 3, del Regolamento Consob, l’intermediario (o il promotore) deve verificare che il cliente abbia compreso le caratteristiche es-senziali dell’operazione proposta, non solo con riguardo ai relativi costi e rischi patrimoniali, ma anche con riferimento alla sua adeguatezza in rapporto alla situazione dell’investitore.

Onere della prova42. L’art. 23 del decreto legislativo n° 58 del 1998, al sesto comma, specifica

che, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

43. La diligenza richiesta all’intermediario è quella specifica esigibile dagli in-termediari professionali del settore (in applicazione della regola generale sancita dall’art. 1176 comma 2 c.c.). Il riferimento alla diligenza contenuto in questo norma non costituisce una mera ripetizione della regola codicistica, ma vuole significare che la posizione dell’intermediario sul mercato determina uno specifico affidamento di chi entra in contatto con lui nelle sue qualità e abilità professionali.

44. Funzione essenziale della norma è quella di trasferire sull’intermediario la prova dei fatti che rientrano nella sua sfera di controllo, si attribuisce al con-traente dotato della migliore conoscenza delle dinamiche di mercato il compito di individuare le circostanze che hanno determinato un pregiudizio economico per l’investitore.

45. Nel caso in esame, invece, la società Cassa di Risparmio di Firenze non ha fornito, peraltro alcuna dimostrazione di avere adottato nella conclusione e nell’esecuzione dei contratti per cui è causa la necessaria diligenza, secondo le norme sopra illustrate.

Nullità degli ordini46. La normativa richiamata è posta a tutela dell’ordine pubblico eco-

nomico e, dunque, si sostanzia in norme imperative, la cui violazione impone la reazione dell’ordinamento attraverso il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte del legislatore ordinario.

47. Questo principio è stato sancito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 marzo 2001 n. 3272), secondo cui “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità, non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l’art. 1418, comma 1, c.c. che rappresenta un principio generale rivolto a preve-dere a disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità”.

48. Pertanto, un contratto di investimento, concluso senza l’osservanza delle regole di condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato nullo, perchè contrario all’esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che è esigenza di ordine pubblico.

49. I principi di condotta imposti a carico degli intermediari finanziari dalla legge speciale, imprimono ai comportamenti dovuti una logica che non può essere

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letta riduttivamente, nel quadro della disciplina del mandato e , quindi, nell’ottica di un semplice inadempimento contrattuale.

50. Infatti se a questa figura giuridica si può per taluni aspetti riferirsi, questo deve essere fatto tenendo presenti quei contenuti normativi che, connotandola attribuiscono alla fattispecie elementi differenziatori individuati nella complessità di obblighi posti a carico dell’intermediario.

51. La prospettiva da cui muove la disciplina del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria e nella quale sono confluite regole già vigenti e regole di nuova coniazione, riguarda, in generale, la regolamentazione del mercato finanziario con particolare attenzione alla tutela degli interessi pub-blici sottesi alle regole. La protezione offerta agli investitori è considerata solo di riflesso.

52. Nella vigenza della legge n° 1 del 1991, parte della dottrina aveva attri-buito ai canoni di diligenza , di correttezza un carattere ridondante o , addirittu-ra, meramente ripetitivo delle disposizioni codicistiche. Sennonché gli interventi del legislatore successivi al recepimento della direttiva n° 22 del 1993 della Cee concorrono ad attribuire autonoma e specifica rilevanza alla previsione contenuta nell’art. 21 del decreto legislativo n° 58 del 1998. Infatti, se nel contesto della legge precedente gli obblighi di diligenza e correttezza risultavano espressamente finalizzati alla “cura dell’interesse del cliente”, con l’art. 17 d.lgs. 415/1996 e con l’art. 21 T.U.F. (norme ispirate alla disciplina comunitaria), tali obblighi sono im-posti anche e soprattutto “nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”.

53. Ne consegue che correttezza e diligenza, di cui alla disciplina dei servizi di investimento, esprimono concetti più ampi di quelli sottesi alle norme codicistiche, “operando non soltanto nel quadro di un rapporto obbligatorio con l’investitore per la tutela del soddisfacimento del suo interesse, ma anche più in generale (e in via di principio) in relazione allo svolgimento dell’attività economica come canone di condotta volto a realizzare una leale competizione e a garantire l’integrità del mercato”. Pertanto, nel contesto della nuova normativa la diligenza e la correttezza sono canoni di condotta riconducibili alle pratiche del commercio e agli usi imprenditoriali, mentre nel contesto codicistico non possono mai pre-scindere dall’esistenza di un rapporto giuridicamente rilevante tra due parti definite e precisamente individuate.

54. Ne consegue, pertanto, che l’ordine di acquisto del 7 marzo 2002 relativo alle obbligazioni Cirio Hold 6,250 sottoscritto esclusivamente da va dichiarato nullo.

Rimborso55. La società Cassa di risparmio di Firenze va, quindi, condannata al rimborsare

agli attori le somme impiegate nell’acquisto di tali titoli. Ne consegue, pertanto, che la società convenuta va condannata a pagare agli attori la somma di 27.347,35 euro, sostenuta per l’acquisto delle obbligazioni in questione (vedi doc. n° 3 pro-dotto da parte attrice). Oltre agli interessi nella misura legale con decorrenza dal 2 dicembre 2003 (data di notificazione della domanda), dovendosi presumere la buona fede dell’accipiens. Anche nell’ipotesi di specie trova applicazione il principio per cui la buona fede si presume in difetto di specifiche prove contrarie e può rite-nersi esclusa solo dalla prova della consapevolezza, da parte dello stesso accipiens dell’inesistenza di un suo diritto al pagamento effettuato a suo favore.

56. Con l’entrata in vigore della l. 26 novembre 1990 n. 353 il saggio di interessi legali deve ritenersi determinato secondo le oscillazioni dell’inflazione. Sono per-tanto venuti meno i presupposti posti a base del risarcimento del maggior danno derivante dal deprezzamento della moneta e della cumulabilità con gli interessi. La norma di cui al primo comma dell’art. 1224 c.c. ha recuperato l’originaria funzione di assicurare un risarcimento minimo e forfetario, indipendentemente da qualsiasi prova di danno, con la conseguenza che non sussiste più spazio al riconoscimento di altri danni forfetariamente calcolati, legati al tasso d’inflazione, ferma restando, per il creditore, la possibilità di chiedere e dimostrare il maggior danno.

57. Il maggior danno da svalutazione monetaria va provato e, pur essendo vero che, in difetto di prove specifiche, soccorre il potere del giudice di far ricorso a criteri presuntivi in ordine alla possibilità d’impiego del denaro, coerenti con la situazione personale e professionale del creditore, non si può prescindere dall’as-solvimento, da parte del creditore stesso, quanto meno di un onere di allegazione che consenta al giudice di verificare se, tenuto conto di dette qualità personali e professionali, il danno richiesto possa essersi verosimilmente prodotto.

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58. Il creditore non può, infatti, ritenersi esonerato dall’allegazione e prova, ancorché nell’ambito della categoria di appartenenza, degli elementi in forza dei quali il danno ulteriore può essere quantificato, atteso che, con particolare riguardo alla molteplicità delle categorie predette, il ricorso ad elementi presuntivi, o a fatti di comune esperienza non può certo tradursi automaticamente in parametri fissi comunque applicabili e deve ritenersi consentito soltanto in stretta correlazione con le qualità e le condizioni della categoria cui appartiene il creditore, e che esclusivamente alla luce di tali dati personalizzati, che l’interessato ha l’onere di fornire, sussistono i presupposti per una valutazione, secondo criteri di probabilità e normalità, delle modalità di utilizzazione del denaro e, quindi, degli effetti, nel caso concreto, della sua ritardata disponibilità.

59. Nel caso in esame, pertanto, non avendo e in alcun modo dedotto e provato il maggior danno conseguente alla mancata restituzione della somma dovuta, la domanda di risarcimento va rigettata.

60. e hanno anche, chiesto la condanna della società Cassa di Risparmio al risarcimento “del danno morale e/o biologico ed esistenziale”. Nessuna dimostrazione hanno, tuttavia, fornito gli attori di aver ricevuto dal comportamento della banca un danno ulteriore consistito in un turbamento della propria persona o, comunque, un’ingiusta lesione di un valore inerente alla per-sona, costituzionalmente garantito.

61. La vicenda descritta dagli attori , in mancanza di qualsiasi deduzione e prova, deve essere ricondotta in un ambito strettamente patrimoniale, senza al-cuna particolare implicazione in ordine alla sfera intima della personalità e senza rilevanti ripercussioni sull’assetto morale della persona.

Spesa del giudizio62. In applicazione del principio stabilito dall’art. 91 c.p.c. la società Cassa di

Risparmio di Firenze va condannata anche al rimborso delle spese processuali che, tenuto conto della natura e del valore della controversia, dell’importanza e del numero delle questioni trattate e all’attività svolta dal difensore innanzi al giudice, si liquidano in complessivi 3.487,62 euro oltre alle spese forfetarie, al-l’I.V.A. e c.p.a., di cui euro 1.115 per diritti ed euro 2.210 per onorario, e infine euro 522,62 quali spese effettivamente sostenute.

Per questi motiviIl Tribunale, definitivamente decidendo, condanna la società cassa di Risparmio

di Firenze a pagare a e a la somma di 27.347,35 euro oltre agli interessi nella misura legale con decorrenza dal 2 dicembre 2003 ed al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 3.487,62 oltre alle spese forfetarie, all’I.V.A. e al c.p.a.

Così deciso il 24 marzo 2005 in Firenze.

Sentenza Tribunale di Firenze n.1009/2005

(inedita)

REPUBBLICA ITALIANAII TRIBUNALE DI FIRENZEIn persona del giudice Angelo Antonio Pezzuti, ha pronunciatoIN NOME DEL POPOLO ITALIANOLa seguenteSENTENZANella causa iscritta nel ruolo generale nell’anno 2003 al numero 9433, tra

Rappresentato e difeso dall’avvocatoe dall’avvocato eBIPIELLE SOCIETA’ DI GESTIONE DEL CREDITO S.p.A.Quale rappresentante della società BANCA POPOLARE DI LODIRappresentata e difesa dall’avvocato

Svolgimento del processo e conclusioni delle parti1. , con atto di citazione notificato l’11 giugno 2004, ha chiesto al

Tribunale di “pronunciare l’annullamento del contratto di acquisto 4.6.1998 di obbli-

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gazioni Argentina” e di condannare la Banca Popolare di lodi al rimborso di 10.000 dollari a suo favore, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria.

2. A sostegno della domanda l’attore ha dedotto che nel luglio 1998, indotto da un impiegato della società convenuta ad acquisire 10.000 obbligazioni Argentina, aveva firmato “alcuni documenti in bianco”, senza che gli fossero “la finalità e la necessità” di essi.

3. L’attore ha, quindi, precisato che l’acquisto di tali obbligazioni doveva es-sere annullato perchè non aveva ricevuto alcuna informazione in relazione alle obbligazioni Argentina e perchè la banca non gli aveva fatto sottoscrivere alcun contratto relativo alla prestazione del servizio di investimento.

4. ha, infine, disconosciuto la sottoscrizione attribuitagli in calce al “documento/contratto per la negoziazione di strumenti finanziari del 5.3.1998 inviato dalla Bipielle”.

5. La società Bipielle Società di Gestione del Credito si è costituita quale rappresentante della società Banca Popolare di Lodi e ha chiesto il rigetto della domanda attrice, asserendo di aver rispettato l’art. 21 del decreto legge n° 58 del 1998 avendo sottoscritto sia “l’allegato B al contratto per la negoziazione, la ricezione, la trasmissione di ordini e la mediazione su strumenti finanziari”, sia l’ordine di acquisto del 4 agosto 1998.

6. La società convenuta ha aggiunto che l’attore aveva firmato per “ben due volte” lo stesso contratto per la negoziazione, la ricezione e la trasmissione degli ordini, una prima volta il 5 marzo 1998 e una seconda volta il 4 settembre 1998.

7. La causa, senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria, è stata tratte-nuta per la decisione delle seguenti conclusioni.

8. Per : “ conclude in via istruttoria, senza invertire l’onere della prova, come in memoria istruttoria depositata il 12.07.2004 e replica depositata l’8.10.2004 e nel merito come in atto di citazione e successiva memoria autoriz-zata deposita il 18.2.2004”.

9. Per la società Bipielle Società di Gestione del Credito: “conclude, in via istruttoria, come da proprie memorie e, nel merito, come da comparsa di costi-tuzione e memorie”.

Il contratto per la prestazione dei servizi di investimento10. E’ pacifico e documentalmente provato che il 4 agosto 1998

ha ordinato alla società Banca Popolare di Lodi l’acquisto di 10.000 obbligazioni Argentine 11,375%.

11. Ciò posto occorre rilevare che l’articolo 23 del decreto legislativo n° 58 del 1998 stabilisce che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto.

12. Nel caso in esame la società convenuta ha prodotto in giudizio una copia quasi illeggibile, di un documento denominato “contratto per la negoziazione,la ricezione e la trasmissione di ordini”, apparentemente sottoscritto da il 5 marzo 1998, corredato di alcuni allegati.

13. La circostanza che la banca convenuta ha prodotto anche la copia di un altro documento, denominato anch’esso “contratto per la negoziazione, la rice-zione e la trasmissione di ordini” recante la sottoscrizione di e la data 4 settembre 1998, non assume alcun rilievo. Il contratto in questione è , infatti, stato sottoscritto in data successiva all’inoltro dell’ordine.

14. L’attore, sin dall’atto introduttivo del giudizio, ha disconosciuto la sottoscri-zione attribuitagli in calce al documento datato 5 marzo 1998. ha ribadito il disconoscimento della sottoscrizione nel corso della prima udienza di trattazione del 28 gennaio 2004, nella memoria ex art. 183 del c.p.c. depositata il 18 febbraio 2004 e nella memoria ex art. 184 del c.p.c. depositata il 13 luglio 2004.

15. Ai sensi dell’art. 216 del c.p.c. la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di compa-razione.

16. Nel caso in esame la società convenuta non ha chiesto la verificazione della scrittura disconosciuta da . Qualora la parte disconosca la scrittura privata contro di lei prodotta, senza che la controparte che la voglia utilizzare faccia seguire l’istanza di verificazione, il documento non esplica alcuna efficacia rimanendo precluso al giudice di prenderla in esame ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass., 5 marzo 1987, n. 2847).

17. Occorre, pertanto, ritenere che l’ordine del 4 agosto 1998 è stato ricevuto ed eseguito dalla società Banca Popolare di Lodi senza la previa conclusione con

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l’attore del contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento e acces-sori previsto dall’art. 23 del decreto legislativo n°58 del 1998.

Obbligo di informazione18. L’ordine di acquisto delle obbligazioni argentine deve ritenersi illegittimo

anche sotto altri aspetti. Stabilisce l’art. 21 del decreto legislativo n° 58 del 1998 che nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e traspa-renza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati e acquisire le informazioni necessarie dai clienti e per l’integrità dei mercati e acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati e adottare misure idonee a salvaguar-dare i diritti dei clienti sui beni affidati.

19. A sua volta il regolamento della Consob n° 11522 del 1998, dopo aver chiarito, all’art. 26, che gli intermediari autorizzati devono operare nell’interesse degli investitori e dell’integrità del mercato mobiliare e in modo coerente con i principi e le regole generali del decreto legislativo n° 58 del 1998, specifica che, essi, prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento, devono:a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investi-

menti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio.

b) Consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.20. Gli intermediari autorizzati, inoltre, non possono effettuare operazioni o

prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

21. Nella fattispecie in esame la società Banca Popolare di Lodi non ha osservato le descritte regole di comportamento. Il secondo comma dell’art. 28 del regolamento della Consob sopra richiamato precisa che gli intermediari autorizzati devono fornire all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica ope-razione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

22. Ritiene il giudicante che la società convenuta non abbia fornito la prova neppure dell’espletamento di tale obbligo. Invero dall’esame del-l’ordine di acquisto emerge solo che la banca ha avvisato che esso si riferiva “ad un’operazione non adeguata alle indicazioni” da egli stesso fornite sulla sua situazione finanziaria e sugli obiettivi di investi-mento dal medesimo perseguiti.

23. Non vi è tuttavia alcuna prova che l’istituto di credito abbia affettivamente spiegato all’attore il tipo e la natura dei titoli in questione nonché il rischio con-seguente al loro acquisto con riferimento a tutti i parametri utili per consentire al cliente di effettuare una scelta consapevole.

24. Il semplice riferimento “alle indicazioni da voi fornite sulla vs. situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento perseguiti” non ha assolutamente valore, a maggior ragione tenendo conto che in precedenza, come asserito dall’istituto di credito, non avrebbe voluto fornire alcuna indicazione sulla sua situazione patrimoniale.

25. Siamo pertanto in presenza di clausole di mero stile tale da non esonerare l’istituto dall’onere di fornire la prova positiva del tipo di informazione concreta-mente dato. Peraltro le clausole in questione, ove davvero valide e significative, sarebbero anche inefficaci alla luce del disposto di cui all’art. 1469 bis n. 18 c.c. traducendosi, di fatto, se non accompagnate dalla dimostrazione di un’effettiva e completa informazione, in una limitazione per la difesa del consumatore e di responsabilità per il professionista.

26. Orbene deve ritenersi che la banca avrebbe dovuto fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che i clienti intendevano porre in essere (obbligo imposto anche dal primo comma dell’art. 11 della direttiva 93/22 CEE del 10-5-1993), dovendo l’intermediario finanziario agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato nell’ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l’interesse dei clienti, obbligo implicante l’indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell’investimento secondo la valutazione operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia,

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dato questo che la banca è tenuta a conoscere e, quindi, a comunicare al cliente al fine di consentirgli di effettuare una scelta consapevole, dovendosi in proposito ritenere che la valutazione del titolo da parte del mercato costituisca fattore rile-vante in quanto idoneo ad influenzare il processo decisionale dell’investitore.

L’onere della prova27. l’art. 23 del decreto legislativo n° 58 del 1998, al sesto comma specifica

che nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

28. La diligenza richiesta all’intermediario è quella specifica esigibile dagli in-termediari professionali del settore (in applicazione della regola generale sancita dall’art. 1176 comma 2 c.c.). Il riferimento alla diligenza contenuto in questa norma non costituisce una mera ripetizione della regola codicistica, ma vuole significare che la posizione dell’intermediario sul mercato determina uno specifico affidamento di chi entra in contatto con lui nelle sue qualità e abilità professionali.

29. Funzione essenziale della norma è quella di trasferire sull’intermediario la prova dei fatti che rientrano nella sua sfera di controllo, si attribuisce al con-traente dotato della migliore conoscenza delle dinamiche del mercato il compito di individuare le circostanze che hanno determinato un pregiudizio economico per l’investitore.

30. Nel caso in esame, invece, la società Banca Popolare di Lodi non ha forni-to, pertanto, alcuna dimostrazione, tramite documenti o per mezzo di una prova orale, di avere adottato nella conclusione e nell’esecuzione dei contratti per cui è causa la necessaria diligenza, secondo le norme sopra illustrate.

Nullità dell’ordine di acquisto31. La normativa richiamata è posta a tutela dell’ordine pubblico eco-

nomico e, dunque, si sostanzia in norme imperative, la cui violazione impone la reazione dell’ordinamento attraverso il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte del legislatore ordinario.

32. Questo principio è stato sancito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 marzo 2001 n. 3272), secondo cui “ in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l’art. 1418, comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a pre-vedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità”.

33. Nella vigenza della legge n° 1 del 1991, parte della dottrina aveva attribuito ai canoni di diligenza, di correttezza un carattere ridondante o, addirittura, mera-mente ripetitivo delle discipline codicistiche. Senonchè gli interventi del legislatore successivi al recepimento della direttiva n° 22 del 1993 della Cee concorrono ad attribuire autonoma e specifica rilevanza alla previsione contenuta nell’art. 21 del decreto legislativo n°58 del 1998. Infatti se nel contesto della legge precedente gli obblighi di diligenza e correttezza risultavano espressamente finalizzati alla “ cura dell’interesse del cliente”, con l’art. 17 d.lgs. 415/1996 e con l’art. 21 T.U.F. (norme ispirate alla disciplina comunitaria), tali obblighi sono imposti anche e soprattutto “nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”.

34. Ne consegue che correttezza e diligenza, di cui alla disciplina dei servizi di investimento, esprimono concetti più ampi di quelli sottesi alle norme codicistiche, “operando non soltanto nel quadro di un rapporto obbligatorio con l’investitore per la tutela del soddisfacimento del suo interesse, ma anche più in generale (e in via di principio) in relazione allo svolgimento dell’attività economica come canone di condotta volto a realizzare una leale competizione e a garantire l’in-tegrità del mercato”. Pertanto, nel contesto della nuova normativa la diligenza e la correttezza sono canoni di condotta riconducibili alle pratiche del commercio e agli usi imprenditoriali, mentre nel contesto codicistico non possono mai prescin-dere dall’esistenza di un rapporto giuridicamente rilevante tra due parti definite e precisamente individuate.

Obbligo di rimborso35. Ne consegue, pertanto, la nullità dell’ordine di acquisto sottoscritto

da il 4 agosto 1998. La società Bipielle Società di Gestione del Cre-dito, quale rappresentante della società Banca di Lodi, va, quindi, condannata al rimborsare gli attori le somme impiegate nell’acquisto di tali titoli.

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36. Ne consegue, pertanto, che la società convenuta va condannata a pagare la somma di 10.000 dollari statunitensi dai medesimi sostenuta per l’acquisto delle obbligazioni Argentina, salva la facoltà per il debitore, prevista dall’art. 1278 c.c., di pagare in moneta legale al corso del cambio nel giorno della scadenza del debito o, se più favorevole per il creditore, nel giorno dell’effettivo versamento (Cass., 22 novembre 1986, n. 6887; 17 maggio 1983, n. 3414; 24 giugno 1980, n. 3971; 22 dicembre 1977, n. 5694), oltre agli interessi nella misura legale con decorrenza dall’11 giugno 2004 (data di notificazione della domanda), dovendosi presumere la buona fede dell’accipiens. Anche nell’ipotesi di specie trova appli-cazione il principio per cui la buona fede si presume in difetto di specifiche prove contrarie e può ritenersi esclusa solo dalla prova della consapevolezza, da parte dello stesso accipiens dell’inesistenza di un suo diritto al pagamento effettuato a suo favore.

37. Con l’entrata in vigore della l. 26 novembre 1990 n. 353 il saggio di in-teressi legali deve ritenersi determinato secondo le oscillazioni dell’inflazione. Sono pertanto venuti meno i presupposti posti a base del risarcimento del mag-gior danno derivante dal deprezzamento della moneta e della cumulabilità con gli interessi. La norma di cui al primo comma dell’art. 1224 c.c. ha recuperato l’originaria funzione di assicurare un risarcimento minimo e forfetario, indipen-dentemente da qualsiasi prova di danno, con la conseguenza che non sussiste più spazio al riconoscimento di altri danni forfetariamente calcolati, legati al tasso d’inflazione, ferma restando, per il creditore, la possibilità di chiedere e dimostrare il maggior danno.

38. Il maggior danno da svalutazione monetaria va provato e, pur essendo vero che, in difetto di prove specifiche, soccorre il potere del giudice di far ricorso a criteri presuntivi in ordine alla possibilità d’impiego del danaro, coerenti con la situazione personale e professionale del creditore, non si può prescindere dall’as-solvimento, da parte del creditore stesso, quanto meno di un onere di allegazione che consenta al giudice di verificare se, tenuto conto di dette qualità personali e professionali, il danno richiesto possa essersi verosimilmente prodotto.

39. Il creditore non può, infatti, ritenersi esonerato dall’allegazione e prova, ancorché nell’ambito della categoria di appartenenza, degli elementi in forza dei quali il danno ulteriore può essere quantificato, atteso che, con particolare riguardo alla molteplicità delle categorie predette, il ricorso ad elementi presuntivi, o a fatti di comune esperienza non può certo tradursi automaticamente in parametri fissi comunque applicabili e deve ritenersi consentito soltanto in stretta correlazione con le qualità e le condizioni della categoria cui appartiene il creditore, e che esclusivamente alla luce di tali dati personalizzati, che l’interessato ha l’onere di fornire, sussistono i presupposti per una valutazione, secondo criteri di probabilità e normalità, delle modalità di utilizzazione del denaro e, quindi, degli effetti, nel caso concreto, della sua ritardata disponibilità.

40. Nel caso in esame, pertanto, non avendo in alcun modo dedotto e provato il maggior danno conseguente alla mancata restituzione della somma dovuta, la domanda di risarcimento va rigettata.

Spese del giudizio41. In applicazione del principio stabilito dall’art. 91 c.p.c. la società Bipielle

Società di Gestione del Credito, quale rappresentante della società Banca Popolare di Lodi, va condannata anche al rimborso delle spese processuali che, tenuto conto della natura e del valore della controversia, dell’importanza e del numero delle questioni trattate e all’attività svolta dal difensore innanzi al giudice, si liquidano in complessivi 5.161,92 euro oltre all’I.V.A. e al C.P.A., di cui euro 1.739 per diritti ed euro 2.570 per onorario, euro 538,63 quale rimborso forfetario sulle spese generali e infine euro 314,29 quali spese effettivamente sostenute.

Per questi motiviIl Tribunale, definitivamente decidendo, condanna la società Bipielle Società di

gestione del Credito, quale rappresentante della società Banca Popolare di lodi, a pagare a la somma di 10.000 dollari statunitensi dai medesimi sostenuta per l’acquisto delle obbligazioni Argentina, salva la facoltà per il debitore, prevista dall’art. 1278 c.c., di pagare in moneta legale, oltre agli interessi nella misura legale con decorrenza dall’11 giugno 2004 ed al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi 5.161,92 euro oltre all’I.V.A. e al c.p.a.

Così deciso il 21 marzo 2005 in Firenze.

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a Suprema Corte con sentenza n. 20449 del 21.10.2005 ha affrontato la questione della risoluzione del contratto di mutuo da parte della banca mutuante per inadempimento del mutuatario.

Nella prassi, sinora “attualizzata” dalle banche, quest’ultime, in caso di inadempimento del mutuatario, hanno intimato il pagamento delle rate scadute, del capitale residuo e delle semestralità a scadere successive alla risoluzione del contratto, oltre agli interessi moratori su tutte le poste di credito sopra citate e così schematicamente: 1) rate scadute + 2) debito residuo + 3) semestralità a scadere + 4) interessi moratori su entrambe le poste di credito.

Ebbene, in primo luogo la Suprema Corte ha stabilito che la facoltà riconosciuta dalla banca di recesso anticipato dal contratto sancita dal-l’art. 15 D.p.r. n. 7 del 1976 integra una vera e propria clausola risolutiva espressa, ancorché parli, di “condizione”.

La cassazione, inoltre, ha affermato che la facoltà riconosciuta alla banca di risolvere il contratto di mutuo a seguito dell’inadempimento del mutuatario “non opera retroattivamente, ma opera per il futuro antici-pando la scadenza dell’obbligazione di rimborso del capitale.”

La conseguenza di tale meccanismo risolutorio previsto dall’art. 15 D.P.R. n. 7/1976 in un contratto a prestazioni corrispettive di durata, quale è il contratto di mutuo, è che laddove venga intimato dalla banca il paga-mento dell’intera somma mutuata non può “configurarsi la maturazione di ulteriori semestralità, ma il credito andava determinato nell’ammontare delle rate già scadute, oltre agli interessi di mora”.

La norma sopra citata, infatti, introdotta nell’ordinamento nella vigenza del codice vivile e, dunque, operante il principio generale di cui all’art. 1456 c.c., contiene una clausola risolutiva espressa che comporta la ri-soluzione del contratto di mutuo, sicché “il conteggio del dovuto andava eseguito computando l’importo complessivo delle rate scadute a quella data (ovvero alla data della risoluzione) e del capitale residuo”.

La “moltiplicazione” di poste come sopra schematicamente individuata va, dunque, così ricalcolata con esclusione delle “rate a scadere”:

Rideterminazione del capitale: rate scadute + debito residuo

Quanto agli interessiLa Corte ha, inoltre, statuito che gli interessi da applicarsi sulle rate

scadute sono quelli convenzionali e non anche legali. Tale affermazione discende dal fatto che la maturazione di interessi legali finirebbe con l’essere ingiustificatamente pregiudizievole per il mutuante ed eccessi-vamente premiale per il mutuatario che potrebbe usufruire del capitale ad un tasso più vantaggioso di quello contrattuale.

Ciò vale – aggiunge la Corte – limitatamente alle rate scadute,non anche per le rate a scadere che sono già comprensive di una quota di capitale e di interessi corrispettivi.

COMMENTI

Mutuo bancario e anatocismo: una prassi

bifronte non più legittimaA cura di Marco Giuseppe Binetti

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Ne consegue che la banca non può richiedere interessi convenzionali sulle rate a scadere, perché quest’ultime sono già comprensive di interessi corrispettivi e perché comunque l’applicazione di interessi moratori non trova giustificazione a causa della operatività dell’eliminazione del beneficio della dilazione per il debitore conseguente alla risoluzione del contratto.

Conclusivamente

Innovativi e puntuali i precetti della Suprema Corte che, nel ribadire il divieto di anatocismo anche sulle rate di mutuo, dichiarano oltretutto l’il-legittimità di una prassi diffusa nel sistema bancario, “ingiustificatamente” premiale per le banche mutuanti ed oltremodo punitiva per i mutuatari.

Studio Legale MorroneAvv. Marco Giuseppe Binetti

Si riproduce di seguito il testo dlla sentenza per esteso.

La prassi Capitale residuo ed interessi convenzionali + rate scadute ed interessi convenzionali + rate a scadere ed interessi convenzionali e, quindi, anatocismo

Sentenza n. 20449/2005 Prima Sezione Civile Cassazione

Oggi rate scadute + interessi convenzionali + debito residuo + interessi convenzionali, dunque, rideterminazione del dovuto con epurazione delle rate a scadere e degli interessi anatocistici su tale posta

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