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ANNALI 2007 99 P ochi anni or sono abbiamo pubblicato su questa rivi- sta uno studio sulla via dell’ossidiana con particolare riferimento alla Sabina ed alla valle dell’Aniene (Ceruleo 2003). A distanza di un lasso di tempo così breve ci sentiamo di dover tornare sull’argomento per illustrare le novità ed alcune scoperte avvenute nel frattempo e per fare alcune considerazioni. Sappiamo che con le numerose moderne tecniche di analisi delle ossidiane si riesce al giorno d’oggi a risalire al- l’origine geologica del vetro vulcanico. Si è potuto così appurare che l’ossidiana diffusa nel mondo antico proveniva soprattutto dalle regioni insulari italiane ma affioramenti consistenti erano localizzati an- che nei Carpazi, in Anatolia, nel Caucaso, nella Penisola Arabica e nel Corno d’Africa (Etiopia ed Eritrea) oltre che nelle isole di Gyali e Melos nelle Cicladi (Tav. n. 1). Nell’area del Mediterraneo centro occidentale quindi soltanto nelle formazioni vulcaniche di alcune isole pro- spicienti la Penisola (Sardegna, Lipari, Pantelleria e Pal- marola) è presente ossidiana “in situ” in compattezza tale da essere utilizzata per trarre manufatti, pertanto gli og- getti ossidianici rinvenuti nelle stazioni preistoriche del continente italiano provengono teoricamente in senso as- soluto dalle cave insulari. Ciò implica il raggiungimento di una evoluta scienza della navigazione presso le genti preistoriche che utilizzarono quel materiale dovendo, in certi casi, attraversare estesi bracci di mare aperto per rag- giungere i giacimenti di ossidiana. Riassumiamo brevemente lo stato delle nostre cono- scenze sullo sfruttamento e sul commercio dell’ossidiana nell’area del Mediterraneo e nelle regioni limitrofe. Allo stato attuale delle ricerche possiamo affermare che nell’area del Mediterraneo centro-occidentale l’uso del- l’ossidiana è cominciato nel Neolitico inferiore sebbene singoli manufatti scavati da contesti pre-neolitici siano sta- ti trovati nel livello “V” dell’Epigravettiano finale (Tykot 1999) dell’Arma dello Stefanin in Liguria e a Perriere Sot- tano (Ramacco, Catania), dove un singolo frammento di ossidiana da Lipari associata ad industria litica su selce è stato datato al VIII millennio cal B.C. A questi due manufatti si potrebbe aggiungere quello del Riparo Blanc del Circeo (Latina) ove elemento di no- tevole valore cronologico assume una scheggia di vetro vulcanico rinvenuta sotto uno scheletro in connessione ap- partenente ad un individuo inumato negli strati superiori del deposito. L’ossidiana ci permette di stabilire che la se- poltura non può essere che coeva o posteriore all’arrivo in loco del vetro vulcanico e quindi più recente dell’età epi- paleolitica che caratterizza il Riparo Blanc nel suo contesto archeologico più significativo. Nell’area del Mediterraneo orientale i più antichi ma- nufatti sono stati rinvenuti a Franchthi e risalgono alle fa- si finali del Mesolitico, prima del 6000 a.C. (Aspinall et al. 1972). NUOVI ELEMENTI SULLE VIE DELL’OSSIDIANA DALLE ISOLE AL CONTINENTE E SUL CASO DELLA SABINA E DELLAVALLE DELL’ANIENE PIERO CERULEO Tav. n. 1: MAPPA DEL MEDITERRANEO, DEI CARPAZI E DEL MEDIO ORIENTE CON L’INDICAZIONE DELLE FONTI GEOLOGICHE DELL’OSSIDIANA (DA WILLAIMS-THORPE 1995) Lo stesso si può dire per l’area del Medio O- riente. In tutte queste regioni l’uso più antico dell’ossi- diana risale al massimo al- la fine del Paleolitico su- periore e trova il suo mas- simo sviluppo durante il Neolitico. Infatti per quanto ri- guarda l’Italia l’ossidiana, assente o sporadica nei si- ti neolitici più antichi a ceramica impressa, divie- ne ben presto, a partire dal Neolitico medio, un materiale prezioso ma diffuso anche in quantità cospicue fino ad avere nei territori più vicini alle fonti una netta prevalen- za sulla selce come ad

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ANNALI 200799

Pochi anni or sono abbiamo pubblicato su questa rivi-sta uno studio sulla via dell’ossidiana con particolare

riferimento alla Sabina ed alla valle dell’Aniene (Ceruleo2003).

A distanza di un lasso di tempo così breve ci sentiamodi dover tornare sull’argomento per illustrare le novità edalcune scoperte avvenute nel frattempo e per fare alcuneconsiderazioni.

Sappiamo che con le numerose moderne tecniche dianalisi delle ossidiane si riesce al giorno d’oggi a risalire al-l’origine geologica del vetro vulcanico.

Si è potuto così appurare che l’ossidiana diffusa nelmondo antico proveniva soprattutto dalle regioni insulariitaliane ma affioramenti consistenti erano localizzati an-che nei Carpazi, in Anatolia, nel Caucaso, nella PenisolaArabica e nel Corno d’Africa (Etiopia ed Eritrea) oltre chenelle isole di Gyali e Melos nelle Cicladi (Tav. n. 1).

Nell’area del Mediterraneo centro occidentale quindisoltanto nelle formazioni vulcaniche di alcune isole pro-spicienti la Penisola (Sardegna, Lipari, Pantelleria e Pal-marola) è presente ossidiana “in situ” in compattezza taleda essere utilizzata per trarre manufatti, pertanto gli og-getti ossidianici rinvenuti nelle stazioni preistoriche delcontinente italiano provengono teoricamente in senso as-soluto dalle cave insulari. Ciò implica il raggiungimentodi una evoluta scienza della navigazione presso le gentipreistoriche che utilizzarono quel materiale dovendo, in

certi casi, attraversare estesi bracci di mare aperto per rag-giungere i giacimenti di ossidiana.

Riassumiamo brevemente lo stato delle nostre cono-scenze sullo sfruttamento e sul commercio dell’ossidiananell’area del Mediterraneo e nelle regioni limitrofe.

Allo stato attuale delle ricerche possiamo affermare chenell’area del Mediterraneo centro-occidentale l’uso del-l’ossidiana è cominciato nel Neolitico inferiore sebbenesingoli manufatti scavati da contesti pre-neolitici siano sta-ti trovati nel livello “V” dell’Epigravettiano finale (Tykot1999) dell’Arma dello Stefanin in Liguria e a Perriere Sot-tano (Ramacco, Catania), dove un singolo frammento diossidiana da Lipari associata ad industria litica su selce èstato datato al VIII millennio cal B.C.

A questi due manufatti si potrebbe aggiungere quellodel Riparo Blanc del Circeo (Latina) ove elemento di no-tevole valore cronologico assume una scheggia di vetrovulcanico rinvenuta sotto uno scheletro in connessione ap-partenente ad un individuo inumato negli strati superioridel deposito. L’ossidiana ci permette di stabilire che la se-poltura non può essere che coeva o posteriore all’arrivo inloco del vetro vulcanico e quindi più recente dell’età epi-paleolitica che caratterizza il Riparo Blanc nel suo contestoarcheologico più significativo.

Nell’area del Mediterraneo orientale i più antichi ma-nufatti sono stati rinvenuti a Franchthi e risalgono alle fa-si finali del Mesolitico, prima del 6000 a.C. (Aspinall et al.1972).

NUOVI ELEMENTI SULLE VIE DELL’OSSIDIANADALLE ISOLE AL CONTINENTE E SUL CASO

DELLA SABINA E DELLA VALLE DELL’ANIENEPIERO CERULEO

Tav. n. 1: MAPPA DEL MEDITERRANEO, DEI CARPAZI E DEL MEDIO ORIENTE CON L’INDICAZIONEDELLE FONTI GEOLOGICHE DELL’OSSIDIANA (DA WILLAIMS-THORPE 1995)

Lo stesso si può direper l’area del Medio O-riente.

In tutte queste regionil’uso più antico dell’ossi-diana risale al massimo al-la fine del Paleolitico su-periore e trova il suo mas-simo sviluppo durante ilNeolitico.

Infatti per quanto ri-guarda l’Italia l’ossidiana,assente o sporadica nei si-ti neolitici più antichi aceramica impressa, divie-ne ben presto, a partiredal Neolitico medio, unmateriale prezioso madiffuso anche in quantitàcospicue fino ad avere neiterritori più vicini allefonti una netta prevalen-za sulla selce come ad

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esempio in Calabria dove raggiunge, a volte, quote fino al90% dell’insieme litico.

La prima ossidiana neolitica si rinviene in Liguria neicontesti della cultura della Ceramica Impressa alle AreneCandide, dove è presente lungo tutta la sequenza neoliti-ca, mentre le contemporanee culture del primo Neoliticodella valle del Po (Fiorano, Vhò, Fagnigola, Isolino e Ga-ban) non hanno restituito ossidiana.

Oltre all’ossidiana dei giacimenti mediterranei due pez-zi di ossidiana dei Carpazi sono stati identificati in Italia:uno a Grotta della Tartaruga vicino Trieste e l’altro a Sam-mardenchia di Pozzuolo vicino Udine sebbene l’analisi vi-siva suggerisce che altri pezzi siano presenti a FornaceCappuccini a Faenza.

Anche cinque pezzi dalla Francia meridionale potreb-bero essere di provenienza dei Carpazi ma tale dato deveessere confermato da analisi quantitative (Tykot 1996).

Sono molto rari, allo stato attuale delle ricerche, ele-menti provenienti dal Mediterraneo orientale (Egeo edAnatolia). I soli esempi di ossidiana di Melos ad ovest deiBalcani sono tre manufatti della Grotta del Leone di Agna-no (Pisa) ma provengono da un contesto dubbio (Bigazziet al. 1992, 1986, Bigazzi e Radi 1981).

Quindi in tutto il Mediterraneo il sistema di scambiodell’ossidiana appare molto chiuso con scambi inesistentitra il Mediterraneo orientale e quello occidentale.

I manufatti di ossidiana che si rinvengono nei siti prei-storici del Mediterraneo sono comunque l’evidenza di unacomplessa serie di attività tra cui l’approvvigionamento edil trasporto della materia prima dai giacimenti isolani, laproduzione e la distribuzione di nuclei e manufatti, l’uso el’eventuale scarto degli stessi.

Abbiamo detto che i numerosi metodi di analisi sulleossidiane ci permettono di riconoscere con certezza l’ori-gine geologica del vetro vulcanico. Questo fatto ha datonotevole impulso allo studio delle ossidiane provenientidai vari giacimenti preistorici italiani.

Si ha quindi un numero sempre maggiore di dati sullaprovenienza di tali ossidiane. Da questi dati, alcuni dei qua-li vedremo più in dettaglio in seguito, emerge un fatto rile-vante: l’ossidiana proveniente da Palmarola è molto più dif-fusa di quanto non si pensasse fino a pochi anni or sono.

Infatti un recente studio di analisi delle ossidiane rea-lizzato mediante il metodo delle tracce di fissione effet-tuato su oltre 200 manufatti di ossidiana provenienti dasiti preistorici sparsi per tutta la penisola italiana (Bigazzie Radi 2005) ha dato i seguenti risultati:– L’ossidiana di Monte Arci si è diffusa nelle regioni del

centro nord dalla Toscana alla Lombardia.– L’ossidiana di Palmarola ha avuto un’area di diffusione

ben più grande di quanto immaginato prima estenden-dosi dalla Campania ed Abruzzo su fino alla Liguria edal Friuli.

– L’ossidiana di Lipari ha avuto l’espansione più vasta co-prendo tutta la penisola.

– L’ossidiana di Pantelleria sembra essere stata limitata aduna stretta area del Mediterraneo compresa tra la Sici-lia e la Tunisia.

Dallo studio trova conferma inoltre il fatto che l’usodell’ossidiana italiana è cominciato nel Neolitico antico,ha avuto il suo massimo nel Neolitico medio e recente perdiminuire gradualmente fino a scomparire durante l’Etàdei metalli.

Quindi l’ossidiana proveniente da Palmarola ha avutouna diffusione maggiore di quanto si pensava, questo fat-to ha concentrato l’attenzione sull’isola alla ricerca dellefonti geologiche dell’ossidiana i cui studi risalivano ormaialla metà del secolo scorso.

Esaminiamo brevemente i risultati più recenti di que-sti studi.

L’ossidiana di Palmarola

Palmarola è l’isola più occidentale dell’arcipelago pon-tino ed è localizzata 35 km ad ovest della costa.

La formazione geologica delle isole di Ponza, Zannonee Palmarola ebbe inizio circa 200 milioni di anni fa. Tra-lasciando le vicende che si sono susseguite nelle varie eregeologiche, giungiamo all’era Quaternaria quando non esi-stevano le singole isole bensì una unica piattaforma lavicache a poco a poco venne demolita dagli agenti atmosferi-ci e dalla violenza del mare fino a giungere alla formazio-ne delle singole unità isolane così come le vediamo oggi.

Così lo scenario che si dovette presentare all’uomopreistorico, che su fragili natanti timidamente cominciavaad avvicinarsi all’arcipelago, doveva essere molto simile al-l’attuale.

La documentazione archeologica ci permette di direche le tre isole vennero abitate per lo meno a partire dalNeolitico e la ragione di tale precoce stanziamento è da ri-cercare nella estrazione, lavorazione e smercio dell’ossi-diana.

Le ricerche effettuate da De Fiore (De Fiore 1920),Blanc (Blanc et al. 1953), Buchner (Buchner 1949), Rad-milli (Radmilli 1954, 1963, 1975) ed altri studiosi aveva-no portato alla conclusione che la materia prima usata dal-l’Uomo preistorico per realizzare i manufatti ossidianicireperiti nell’area pontina provenisse unicamente dal gia-cimento di Palmarola.

Nelle altre Isole pontine infatti non vi sono formazioninaturali di vetro vulcanico utilizzabile e le ossidiane chevi si rinvengono, sono state “portate” da Palmarola.

Buchner riteneva che il deposito di detriti sulle pendi-ci di Monte Guarniere, segnatamente a Punta Vardella,nell’Isola di Palmarola, fosse il luogo dove in epoche prei-storiche si effettuavano i prelievi di ossidiana. Egli pensa-va che la materia prima non si allontanasse dall’area pros-sima all’arcipelago pontino e che, caso mai, venisse espor-tata già tagliata in lamelle.

A partire dagli anni ’70 i numerosi sopralluoghi effet-tuati nell’isola pontina da Marcello Zei e dallo scrivente,ripercorrendo con natanti di modeste dimensioni la pro-babile rotta degli antichi navigatori, hanno appurato cheun giacimento più facilmente accessibile esiste sulle pen-dici sud-occidentali di Monte Tramontana, proprio dovela formazione di roccia effusiva scende fino al mare, in cor-rispondenza dell’estremità settentrionale di Cala Maestra,approdo ben più sicuro di quello di Punta Vardella.

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Tali osservazioni coincidono con quelle di Radmilli ilquale, nella sua prima edizione della Preistoria d’Italia,presenta una bella fotografia dell’isola di Palmarola in cor-rispondenza di Cala Maestra (Radmilli 1963).

Anche qui sono presenti detriti e frammenti ossidianicievidenziati da azioni dinamiche, meteoriche e marine, lun-go il pendio nord dell’insenatura e fra i ciottoli della cala.

Altri detriti ossidianici sono presenti nella piccolaspiaggia esistente sul versante orientale dell’isola, fra loscoglio Spermaturo e Punta delle Brecce.

Sull’isola sono rari e incerti gli oggetti ossidianici in-tenzionali. Buchner ne segnala soltanto due, Radmilli ac-cenna alla presenza di ceramica preistorica.

Da parte nostra abbiamo riscontrato soltanto sporadi-camente la presenza di schegge laminiformi forse prodot-te intenzionalmente.

A Ponza furono localizzate stazioni a ossidiana conframmenti di ceramica preistorica a Punta del Fieno sulversante settentrionale del Monte della Guardia, ai mar-gini del dirupo che domina Chiaia di Luna e perfino sul-l’isolotto di Gavi alla estremità settentrionale dell’isola.

Radmilli osservava tempo addietro che “...le antichegenti dedite al commercio di ossidiana si fermavano a Pal-marola solamente il tempo necessario per prelevare dalgiacimento l’ossidiana che veniva poi trasportata nell’Iso-la di Zannone dove la presenza di una sorgente d’acquapermetteva una sosta più lunga durante la quale la pre-ziosa materia prima veniva lavorata e i manufatti, affidatialle primitive imbarcazioni, venivano trasportati nel pun-to più vicino del continente, cioè al promontorio Circeo”.

Quanto sopra esposto trova conferma in studi molto re-centi sull’isola di Palmarola (Bigazzi et al. 2005) che hannoconfermato come le uniche colate di ossidiana in situ a Pal-marola si trovano nel versante meridionale di Monte Tra-montana (235 m), Nella parte meridionale dell’isola l’os-sidiana si trova nei depositi detrici che coprono larghe areee raggiungono Punta Verdella e Cala Brigantina.

Numerosi frammenti detritici di ossidiana si trovanoanche in altri depositi lungo la costa est dell’isola e lungo lefalde di Monte Tramontana. Tuttavia, sebbene l’isola siastata sempre scarsamente abitata, l’intensa attività umanaconsistente in numerosi terrazzamenti, può essere par-zialmente responsabile per la scomparsa dei livelli origi-nali di ossidiana.

Belluomini (Belluomini et al. 1970) ha pubblicato unaetà di 1.60 ± 0.20 Ma per le ossidiane di Monte Tramon-tana. Recenti analisi delle ossidiane di Mt. Tramontana ePunta Vardella hanno dato una età di 1.57 ± 0.21 e 1.69± 0.10 Ma rispettivamente. (Bellot-Gurlet et al. 1999).

Le ossidiane di Palmarola rifornivano l’area centraledella Penisola essendo presenti sia sul versante tirrenicoche adriatico con irradiazioni verso sud fino a Cassano Io-nio (Hallam et al. 1976) e a Grotta S. Angelo presso Co-senza (Tykot 1996) e a nord fino in Liguria (WilliamsThorpe et al. 1979).

Anzi sembra che in una ampia porzione della costa tir-renica, corrispondente alla Campania e al Lazio, le ossi-diane di Palmarola avevano l’esclusiva su quelle di Lipariche invece compaiono più a nord in Toscana (ad es. al-

l’Argentario), in Umbria a Grotta Bella (Hallam et al.1976) e verso nord in Liguria, nella valle del Po ed, in mi-sura più ridotta, in Francia meridionale.

Nel Nord Italia l’ossidiana di Palmarola oltre che vici-no a Trieste è stata documentata anche alle Arene Can-dide, al Ghiaione (sito del neolitico medio vicino Parma)e a Fornace Cappuccini presso Faenza (Ravenna) (Tykotet al. 1997).

I dati sopra riportati sono stati confermati da quelli ri-cavati dallo studio recente dell’abitato del medio-tardoNeolitico di Poggio Olivastro presso Canino, in provinciadi Viterbo (Tykot et al. 2005).

Il sito ha restituito più di 600 manufatti in ossidiana: ilcomplesso più numeroso mai trovato nel centro-nord Ita-lia dopo Pescale e Fornace Cappuccini. Lo studio di talimanufatti ci ha rivelato che a Poggio Olivastro è presenteossidiana dalla Sardegna, da Palmarola e da Lipari, è as-sente l’ossidiana di Pantelleria. Questo fatto è in linea coni dati ricavati da altri siti preistorici del nord e del centroItalia. L’ossidiana più usata è quella di Lipari ma molto usa-ta è anche quella di Palmarola che si è dimostrata ancorauna volta più importante e diffusa di quanto prima non sisospettasse. Secondo gli Autori la quasi simile percentua-le di ossidiana di Lipari e Palmarola, così come nei siti delNeolitico medio di Ghiaione e Arene Candide, suggerisceil regolare uso di tali fonti nell’Italia peninsulare.

Ulteriori dati su una delle tante vie

dell’ossidiana: la Valle dell’Aniene

Nel nostro precedente articolo sulla via dell’ossidiana(Ceruleo 2003) abbiamo visto come la presenza di ossi-diana in quantità notevole a Setteville ed alle Caprine diGuidonia e la supposizione che i due siti possano esserestati centri di lavorazione e smercio della preziosa materiaprima ci aveva suggerito una delle tante vie dell’ossidianache dall’isola di Palmarola, la cui importanza come fontedi approvvigionamento appare maggiore di quanto si pen-sasse, veniva trasportata ai più vicini siti costieri del Circeo,quali Selva Piana, Casarini e La Botte dove veniva sotto-posta ad una prima selezione e forse anche lavorazione eda qui veniva distribuita nei vari siti nei dintorni di Romasino a Setteville ed alle Caprine. Da queste località, risa-lendo la valle dell’Aniene ed altre valli appenniniche, ri-calcando percorsi antichissimi che furono poi ripresi inepoca storica dalle strade consolari romane, gli antichi mer-canti di ossidiana trasportavano il prezioso vetro vulcani-co al Fucino, ove è stato trovato a S. Stefano di Ortucchio,e da lì fino al versante adriatico abruzzese e quindi a sudfino in Puglia e nelle Isole Tremiti ove l’ossidiana di Pal-marola è molto presente oppure a nord fino al Carso trie-stino dove alla grotta della Tartaruga, nei dintorni di Trieste,l’ossidiana è principalmente sotto la forma di lame in uncontesto del tardo Neolitico (Cultura di Danilo).

Lungo tale percorso, abbiamo visto, l’ossidiana di Pal-marola è presente, oltre che alle Caprine, a Grotta Polesi-ni, a S. Cosimato, nella Piana del Cavaliere a La Botte diRiofreddo, Immagine di Oricola e nei pressi di Subiaco(La Morra).

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A questi siti già citati nel precedente articolo e postilungo la via dell’ossidiana per l’Abruzzo si aggiungono al-tri dati.

In particolare è da segnalare un pendente in ossidianaforato e levigato rinvenuto recentemente dai fratelli An-tonio e Maurizio Panimolle nei pressi di Agosta lungo ilmedio corso dell’Aniene.

Il pendente è lungo circa 3 cm. Ha una forma allunga-ta con il foro per la sospensione. Le superfici sono sfac-cettate e levigate (Tav. nn. 2a - 2b). Il foro è stato ottenu-to mediante trapanazione.

Il manufatto è eccezionale per la sua fattura e forseunico in quanto sono rarissimi gli elementi di collana inossidiana levigata rinvenuti in Italia e dalle ricerche effet-tuate non ho trovato riscontri.

Per trovare dei confronti bisogna rivolgere l’attenzionealle culture mesoamericane ed in particolare alla culturaMaia che però oltre che geograficamente è lontana anchecronologicamente dal pendente di Agosta.

le a tutt’oggi verificarne la provenienza geologica. Talimanufatti possono essere attribuiti genericamente al Neo-litico.

Per quanto riguarda l’area del Fucino, cerniera delle rot-te dell’ossidiana dal versante tirrenico a quello adriatico,studi recenti hanno messo in luce interessanti risultati.

Le ricerche archeologiche approfondite dell’abitato diColle Santo Stefano di Ortucchio (L’Aquila) hanno por-tato al rinvenimento di quantità notevoli di ossidiana (12%dell’industria litica) di Lipari e Palmarola. L’abitato, collo-cato sui terrazzi limitrofi alla piana nel bacino del Fucino,appartiene ad una fase antica del neolitico del versantemedio adriatico (Radi et al. 2003a).

Gli Autori inoltre riferiscono come nel resto della re-gione (Abruzzo) l’ossidiana è presente in quantità mode-sta a Marcianese (con la sola provenienza riconosciuta diPalmarola) e nelle grotte dei Piccioni e di Sant’Angelo. Ladiminuzione della quantità di ossidiana, procedendo dal-l’interno verso la costa adriatica, ha portato gli Autori a

Tav. n. 2a: PENDENTE IN OSSIDIANA DAAGOSTA, VISTA FRONTALE. PERGENTILE CONCESSIONE DEIFRATELLI ANTONIO E MAURIZIOPANIMOLLE

Tav. n. 2b: PENDENTE IN OSSIDIANA DAAGOSTA, VISTA LATERALE. PERGENTILE CONCESSIONE DEIFRATELLI ANTONIO E MAURIZIOPANIMOLLE

Oltre al manufatto succitato segna-liamo una scheggia di ossidiana rinve-nuta da Radmilli nella grotta Cola IIpresso Petrella di Cappadocia, non lon-tano da Tagliacozzo lungo la direttriceper il Fucino (Radmilli 1957). Il Rad-milli nella stessa pubblicazione ricordacome altri strumenti in ossidiana sonostati trovati in Abruzzo in fondi di ca-panna ed in stazioni di superficie nellaValle della Vibrata (Rosa 1912), nellestazioni neolitiche di Ripoli e del Pia-naccio, nel villaggio neolitico di Fonti-rossi, a Larino (Campobasso) dove sirinvennero tre lamette in ossidiana og-gi esistenti al Museo Pigorini. Ma di ta-li manufatti in ossidiana non cita la pro-venienza geologica in quanto all’attodella pubblicazione del suo studio i me-todi di indagine sulla provenienza del-l’ossidiana non erano ancora sviluppatie ci si basava semplicemente sull’esamevisivo.

Per raggiungere il Fucino un’altra viaalternativa alla valle dell’Aniene eraquella che risaliva la valle del Tevere fi-no a Passo Corese per deviare poi versola conca di Rieti, seguendo il percorsodella via Salaria, e da qui attraverso lavalle del Salto giungere al Fucino.

Lungo tale direttrice l’ossidiana èstata trovata oltre che al sito da noi giàcitato di Valle Ottara, presso Cittadu-cale, in livelli della cultura di Diana(Neolitico superiore) (Ceruleo 2003)anche nelle zone di Grappignano eColle Rampo nei dintorni di MaglianoSabina. Si tratta per lo più di scheggee nuclei che si rinvengono in superficienei campi arati ma non è stato possibi-

ipotizzare che il trasferimento daovest ad est avvenisse attraverso laPenisola e che il Fucino fosse unatappa importante nella distribuzio-ne della materia prima.

Analoghe provenienze da Liparie Palmarola sono state riconosciuteper Maddalena di Muccia nelleMarche e per Fornaci Cappuccini diFaenza dove la percentuale è eleva-ta (Bigazzi e Radi 1998).

A Fossacesia l’ossidiana rappre-senta il 7,1% dell’industria litica eproviene prevalentemente da Pal-marola.

A Colle Santo Stefano l’ossidia-na doveva arrivare in blocchi grez-zi: infatti compaiono nuclei, ravvi-vamenti, manufatti corticati, una di-screta quantità di schegge ipermi-crolitiche derivanti da preparazionedel piano di percussione.

Anche il sito neolitico di Set-tefonti a Prata D’Ansidonia (L’A-quila) ha restituito una quantità in-teressante di ossidiana (8% dell’in-dustria litica) e l’analisi ne ha indi-cato la provenienza da Lipari e Pal-marola (Radi et al. 2003b). Il sito èstato attribuito dagli Autori alla sfe-ra della tarda cultura di Ripoli.

In base alla documentazione esi-stente e confrontando i materialicon quelli di Fossacesia dove i ma-nufatti provengono tutti da Lipari,gli Autori hanno ipotizzato che“...accanto alla rete di traffici legataal versante tirrenico, già attiva dalNeolitico antico e che riforniva learee interne di ossidiana di Lipari e

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di Palmarola, in una fase avanzata del Neolitico si fosse af-fermata una direttrice costiera adriatica, lungo la quale era-no commerciati materiali selezionati di Lipari”.

Un ulteriore recente studio sull’ossidiana in Abruzzo(Bigazzi et al. 2003) ha portato gli Autori a concludere chel’Abruzzo risulta approvvigionato durante tutto il neoliti-co da ossidiana proveniente sia da Lipari sia da Palmaro-la. Riferiscono gli Autori quanto segue.

Nel Neolitico antico la materia prima è abbondante nelFucino con particolare riferimento a Santo Stefano, cheviene indicato come un probabile centro di ridistribuzione,collocato su una direttrice che da occidente passa attra-verso il centro della Penisola e sembra continuare soprat-tutto verso nord, sporadicamente verso est. L’ossidiana ve-niva importata in blocchi grezzi e vaniva lavorata sul po-sto nel Fucino. La provenienza è generalmente da Palma-rola ed in quantità minore da Lipari.

Nella cultura di Catignano, Lipari risulta la maggiorefornitrice, ma sono presenti rari esempi di vetro pontino.La materia prima continua a viaggiare in blocchi grezzi,ma forse anche sotto forma di semilavorati.

Nella cultura di Ripoli l’ossidiana proviene da Liparied è presente in quantità elevate negli aspetti privi di ce-ramica con decorazione dipinta. A Fossacesia (7%) è es-senzialmente liparese e di ottima qualità, commerciata sot-to forma di nuclei: la posizione costiera del sito e alcunicaratteri della ceramica fanno ritenere possibile che, neisecoli attorno alla metà del IV millennio a.C., i percorsiper il trasferimento dell’ossidiana di Lipari passassero an-che lungo la costa adriatica.

Nell’aspetto di Paterno si registra al momento attualeuna riduzione della quantità nel sito eponimo, mentre aSettefonti la percentuale si mantiene elevata (8%), conuna netta ricomparsa dell’ossidiana di Palmarola.

La regione condivide questa condizione con alcunearee limitrofe dove l’ossidiana di Palmarola non viene de-finitivamente soppiantata da quella di Lipari.

Sul versante tirrenico, seguendo probabilmente per-corsi di piccolo cabotaggio da Palmarola lungo la costa oanche percorsi più tranquilli ma più difficoltosi per via ter-ra, gli antichi mercanti giunsero fino in Liguria scambian-do il loro prezioso materiale vetroso con gli abitanti delleArene Candide i quali però si rifornivano di tale materia-le prevalentemente dai mercanti sardi, come risulta dalladocumentazione archeologica (Ceruleo 2003).

Per ulteriori dati sulla diffusione dell’ossidiana nei va-ri siti italiani si rimanda al nostro precedente articolo pub-blicato su questa rivista (Ceruleo 2003) ed alla sua bi-bliografia. Esaminiamo invece le fonti di ossidiana al difuori dell’area del mediterraneo centro occidentale, si pos-sono fare le seguenti considerazioni.

L’ossidiana dei Carpazi

Uno studio sulla provenienza geologica dell’ossidianadei Carpazi ha individuato tre gruppi di fonti situate inUngheria del nord-est e nella Slovacchia del sud-est. Taligruppi sono stati denominati Gruppo Carpatico 1 (Slo-vacchia), 2a e 2b (Ungheria) (Williams Thorpe et al.1984a).

L’ossidiana carpatica fu utilizzata principalmente inUngheria, Slovacchia e Romania ma ha raggiunto anche aSud i territori della ex Iugoslavia, ad Ovest la Moravial’Austria e l’Adriatico e a Nord la Polonia.

L’ossidiana del Gruppo Carpatico 2a fu usata sin dal-l’Aurignaciano (Paleolitico superiore), quella del GruppoCarpatico 1 nel Gravettiano e nel Mesolitico e tutti e trei tipi durante il Neolitico quando il tipo Carpatico 1 era ilpiù diffuso.

Bigazzi riporta una ossidiana rinvenuta in un sito prei-storico vicino a Màd (Ungheria del nordest) con una etàarcheologia del manufatto di circa 28.500 anni e prove-niente da una colata situata nella Slovacchia dell’est (Bi-gazzi et al. 1991).

L’ossidiana dei Carpazi è inoltre probabilmente pre-sente in alcuni siti della Dalmazia (Martinelli 1990) e piùad est nella Macedonia Greca (Kilikoglu et al. 1996) manon sembra aver raggiunto il Medio Oriente e l’Egeo.

L’ossidiana nei Balcani

Nei Balcani l’ossidiana è stata trovata in numerosi sitidella costa dalmata. Purtroppo i materiali per la grandemaggioranza non sono stati analizzati ma alcuni manufat-ti rinvenuti in Bosnia provengono dalla Sardegna.

Un paio di pezzi di provenienza anatolica sono statitrovati in Grecia e in Europa orientale, tuttavia la maggiorparte dei manufatti dalmati dovrebbe essere di origine car-patica.

L’ossidiana è trovata sporadicamente anche in Albaniama dovrebbe essere originaria di Melos.

L’ossidiana infine è stata trovata anche nell’isola di Su-sac, situata al largo della costa della Dalmazia centrale, inCroazia. In tale isola recenti ricerche hanno portato al rin-venimento, in contesti del Neolitico medio, di manufattiin ossidiana (8 elementi) che provengono da Lipari (Del-la Casa et al. 2000). Tale ossidiana potrebbe essere giuntanell’isola provenendo dalle coste pugliesi con scalo inter-medio alle Tremiti ove l’ossidiana si rinviene abbondante.

L’ossidiana delle Cicladi

Le prime tracce di insediamento nelle Cicladi risalgonoal Tardo Neolitico, circa 5000 anni a.C. Tuttavia l’ossidia-na di Melos si trova in vari insediamenti della Grecia Cen-trale, dell’Eubea e del Peloponneso sin dal Primo Neoliti-co e anche prima a Franchthi (Pèrles 1987) . Infatti in que-sta ultima località, situata sulla costa occidentale della Gre-cia ed abitata ininterrottamente per circa 17000 anni, si èscoperto nella ricca documentazione stratigrafica un rap-porto variabile progressivo della percentuale di ossidianarispetto alla selce quale materia prima. Nel periodo ante-riore al 7250 a.C. c’è assenza totale di materiale vetroso esi arriva ad una presenza di ossidiana del 95% nei manu-fatti del neolitico finale databile tra 4000 e 3000 a.C. (Pan-telidou Gofas 1996).

I soli esempi di ossidiana di Melos ad ovest dei Balca-ni, come già accennato, sono i tre manufatti dalla Grottadel Leone di Agnano mentre tuttora non un singolo pezzodi ossidiana del Mediterraneo centro occidentale è statotrovato ad est della Penisola italiana.

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L’ossidiana del Medio Oriente

Il Medio Oriente è stato un altro importante teatro delcommercio dell’ossidiana nell’antichità.

Infatti i siti preistorici del Vicino e del Medio Oriente,dal Mar Egeo al Mar Caspio e dal Caucaso al Golfo Persi-co, hanno utilizzato abbondantemente l’ossidiana dalla fi-ne del Paleolitico fino all’Età del Bronzo (tra 14000 e 3500B.P. circa).

Il prezioso vetro vulcanico è geologicamente assente intutti i Paesi della Fertile Mezzaluna (Siria, Irak, Giordania,ecc.) e le sole fonti disponibili si trovano in Turchia, nelCaucaso e, molto più a sud, nella Penisola arabica, in Eri-trea, in Etiopia ed in Kenia.

La conoscenza delle fonti di ossidiana anatolica (Tur-chia) e dei Paesi del Caucaso (Armenia, Azerbaijan, Geor-gia, Russia ed Iran del nord) è ancora incompleta ma, colprogredire degli studi sulla origine geologica delle ossidia-ne, molte nuove fonti sono state individuate mentre altreancora non sono state ad oggi localizzate con precisione.

Solo nel Caucaso sono state individuate almeno 31fonti di ossidiana (Chatainer et al. 2000) ed altre ne ven-gono individuate mano a mano che gli studi sulle originigeologiche delle ossidiane vengono perfezionati.

Abbiamo detto che l’ossidiana è conosciuta in MedioOriente sin dal 14000 B.C. e per lungo tempo la sua pro-venienza fu limitata alla Cappadocia (Anatolia centrale),essenzialmente dal massiccio vulcanico di Goluu Dag. Lefonti più famose sono quelle di Ciftlik ed Acigol.

È solo durante il Neolitico recente pre-ceramico (9500-8700 B.C.) che appare anche l’ossidiana dall’Anatoliaorientale (Bingol e Nemrut Dag, quest’ultima lungo la co-sta nord del Lago Van).

Ossidiana proveniente da Ciftlik è stata trovata adoriente in varie località dell’Irak e dell’Iran fino al GolfoPersico (villaggio di Al-Bahrain) e al Mar Caspio (area diTeheran).

Ad occidente l’ossidiana di Ciftlic è stata trovata nelleisole di Cnosso e di Cipro, lungo le coste del Levante inLibano, Israele ed in Giordania fino a Gerico e Beidha.Sempre a occidente tutti gli esemplari da siti neolitici vi-cino ad Istanbul rivelano fonti esclusivamente anatoliche(Ciftlik) in quanto non vi è stata trovata ossidiana prove-niente né dai Carpazi né dall’Egeo.

Anche a Troia è presente ossidiana anatolica (GolluDag) ma anche da Melos.

La fonte principale dei manufatti del famoso sito neo-litico di Cayonu (vicino Ergani) è invece quella di Bingol100 km a nord-est, ma un gruppo di manufatti più recen-ti indica la provenienza dalla sequenza vulcanica pleisto-cenica del Lago Van.

Tuttavia quanto sopra esposto sull’antichità dello sfrut-tamento dell’ossidiana da parte dell’uomo è stato messoparzialmente in discussione. Infatti studi recenti effettua-ti in base ad estese ricerche di superficie effettuate nell’areaTranscaucasica hanno portato in questi ultimi anni all’in-dividuazione di numerose località che hanno restituito ab-bondante industria acheuleana ricca di bifacciali. Alcunedi queste località hanno restituito anche industria acheu-

leana in ossidiana (Soressi et al. 2003). La provenienza geo-logica di tali ossidiane non è stata ancora accertata.

Ritengo importante comunque il fatto che quindi nonsolo in Africa (come vedremo in seguito) ma anche nelMedio Oriente l’uso dell’ossidiana da parte dell’uomo ri-sale ad un’epoca antichissima, molto più antica di quantosi pensasse, probabilmente ad oltre un milione di anni.

Le fonti di ossidiana nel Mar Rosso, invece, non sonostate ancora completamente investigate. Gli studiosi ri-portano almeno 11 fonti dalla Penisola Arabica (Yemen edArabia Saudita) e 21 dall’Africa (Etiopia ed Eritrea) (Tykot1996). Di tali fonti ne riparleremo in seguito.

Per quanto riguarda la Penisola arabica c’è da dire chel’ossidiana si rinviene abbondante ma gli studi sulla suaprovenienza geologica sono poco sviluppati per cui si han-no solo pochi dati. In ogni caso durante il neolitico l’ossi-diana era ampiamente utilizzata in tutta la Penisola ed eraesportata anche in Egitto ed in Asia Minore. Alcune del-le fonti geologiche sono state individuate nello Yemen enell’Arabia Saudita e gli studi sono tutt’ora in corso da par-te di alcune università americane.

Quindi in Medio Oriente l’uso dell’ossidiana è comin-ciato in epoca antichissima ma allo stato attuale delle ri-cerche non possiamo dare un quadro completo della suadiffusione per i periodi più antichi mentre possiamo affer-mare con certezza che durante tutto il Neolitico l’ossidia-na ebbe notevole diffusione ed ha viaggiato anche su lun-ghe distanze (dall’Anatolia e dal Caucaso fino alle spondedel Mar Morto e del Golfo Persico), infatti è stata trovatafino ad oltre 900 chilometri dalla sua fonte geologica.

Poiché al quel tempo non c’erano né veicoli a ruote, es-si furono inventati circa nel 3000 a.C., e nemmeno le be-stie da soma, tutte le merci commerciate, tra cui natural-mente l’ossidiana, dovevano essere trasportate a piedi o,ove possibile, con barche scendendo lungo i pochi fiuminavigabili esistenti. Ciò contrariamente a quanto accade-va nel Mediterraneo occidentale dove la forma di traspor-to privilegiata era principalmente quella per via mare.

Quindi il fatto che si sopportassero tante fatiche e tan-ti sacrifici per portare lontano il prezioso vetro vulcanico cida un’idea del suo valore e della sua considerazione pressole antiche popolazioni medio orientali.

L’ossidiana del Corno d’Africa

e della Penisola arabica

Abbiamo accennato al fatto che in alcune parti delcontinente africano, a sud dell’area sahariana, l’ossidianaera già conosciuta ed usata da tempi ben più antichi e glistudi più recenti ne hanno confermato l’antichità graziealla maggiore attenzione che viene prestata all’origine geo-logica del prezioso vetro vulcanico. Mi riferisco al Cornod’Africa ed in particolare all’Eritrea e all’Etiopia, ma an-che al Kenia, alla Tanzania e alla Penisola arabica (soprat-tutto Yemen ed Arabia Saudita).

Forse il più antico uso documentato dell’ossidiana daparte dell’uomo preistorico per fabbricare strumenti si tro-va a Melka Kunture in Etiopia.

Il giacimento di Melka Kunture fu scoperto nel 1963da G. Dekker, idrogeologo, che vi rinvenne industrie

ANNALI 2007105

acheuleane e segnalò la scoperta all’Istituto etiopico di ar-cheologia.

Lo stesso anno, un archeologo preistorico francese, G.Bailloud, vi effettuò le prime ricognizioni di superficie ele prime imponenti raccolte.

Dal 1965, una missione franco-etiopica diretta da JeanChavaillon, ha iniziato lo studio sistematico del giacimen-to a cui si è aggiunta dal 1988 la Missione ArcheologicaItaliana dell’Università di Napoli “Federico II” con un pro-getto triennale di scavi e ricerche sotto la direzione di Mar-cello Piperno, in accordo con lo stesso Chavaillon e con lapartecipazione di numerosi ricercatori italiani, francesi einglesi (Chavaillon e Piperno 2004).

La località di Melka Kunture si trova 50 km a sud diAddis Abeba, sull’altopiano etiopico, a circa 2.000 m dialtitudine, ed è attraversata dal corso superiore del fiumeAwash. Si tratta di un giacimento che si estende per unadecina di km lungo le due rive del fiume.

La località presenta una serie di strati geologici di ori-gine fluviale (ciottoli, ghiaie, sabbie, argille) alternati conaltri di origine vulcanica i cui prodotti (tufi, lave) costi-tuiscono essenziali punti di riferimento e di raccordo stra-tigrafico tra i vari affioramenti nelle diverse località del gia-cimento.

I depositi raggiungono uno spessore massimo di 100 me sono intercalati da tufi e cineriti che rappresentano im-portanti markers cronologici e poggiano su un substratodi basalto e trachibasalto.

Le ricerche in corso da molti anni hanno messo in lu-ce una sua lunga frequentazione, che abbraccia un periodocompreso tra 1.7 e 0.2 milioni di anni (Ma).

Sono stati individuati oltre 70 livelli archeologici e cir-ca 20 sono stati oggetto di limitati sondaggi mentre 8 di es-si, estensivamente scavati, sono riferibili ad una fase evo-luta dell’Olduvaiano (Karre I, Gombore I, Garba IV, Gom-bore I), a diverse fasi dell’Acheuleano (Garba XII, Gom-bore II, Garba I) e alla transizione Acheuleano/Middle Sto-ne Age (Garba III), con età comprese tra 1.7 e 0.2 Ma.

Le successive fasi del Paleolitico dell’Africa orientale,note col nome di Middle Stone Age (MSA) e Late StoneAge (LSA), sono state finora studiate in minor dettaglio e

duwaiano, come nel sito di Gombore I e specialmente diGarba IV D dove l’ossidiana rappresenta circa il 40% del-la materia prima. L’uso dell’ossidiana in questi siti è pro-babilmente alla base dell’elevato grado di evoluzione rag-giunto dall’uomo nella fabbricazione degli utensili in quan-to il nero vetro vulcanico si presta allo scopo meglio deglialtri materiali pur utilizzati (Bulgarelli et al. 2006).

Alcuni dei più importanti siti di Melka Kunture e di al-tre località che hanno restituito importanti complessi dimanufatti in ossidiana sono i seguenti:

– Garba IV - Melka Kunture - Etiopia: Sito dell’Oldowa-niano evoluto datato tra 1.5 e 1.4 Ma che ha restituitouna vasta paleosuperficie scavata a partire dal 1972(Raynal et al. 2004).Il sito ha restituito una forte concentrazione di circa10.000 manufatti in ossidiana ed altre rocce vulcanicheed oltre 2.700 resti faunistici di Bovidi, Antilopi, Equi-di, Suidi, Ippopotami, Elefanti, Giraffe e Primati (Si-mopithecus).Il materiale litico comprende alcune amigdale, alcunecentinaia di choppers ed una grande quantità di scheg-ge ritoccate e non.

– Gadeb - Ethiopia - Site 8E: Il sito risale all’Acheuleanoantico ed è datato da 1.5 Ma a 0.7 Ma. Ha restituitopiù di 20.000 manufatti litici tra cui alcune amigdaled’ossidiana la cui origine geologica dista oltre 100 kmdal sito. La fauna comprende Ippopotami, Bovidi e Ze-bre.

– Balchit - Melka Kunture - Etiopia: Il sito preistorico diBalchit si estende per alcuni km con grandi concentra-zioni di manufatti in ossidiana in differenti aree alcunedelle quali raggiungono lo spessore di 100 cm (Tav. nn.6-7). (Mora Torcal et al. 2001, Poupeau et al. 2004).Oltre alle emergenze preistoriche la località di Balchitè particolarmente importante perché costituisce unadelle maggiori fonti geologiche di ossidiana utilizzata aMelka Kunture ed in altri siti del Corno d’Africa.In effetti Balchit è un piccolo massiccio vulcanico loca-lizzato a 7 km NE di Melka Kunture lungo il fiumeAwash. Geologicamente il piccolo massiccio vulcanico

Tav. n. 3: AMIGDALE ACHEULEANE IN OSSIDIANA DA MELKA KUNTURE

sono conosciute attraverso limitati sondaggi o scavi dipiccola estensione.

Tra i siti più recenti, quello di maggiore interesse ècertamente Balchit, località vulcanica che ha fornitoossidiana per tutto il Pleistocene fino a tempi storici,ed è oggetto di ricerche e indagini da parte della mis-sione archeologica italiana fin dal 1999.

Oltre agli importanti dati archeologici ricavati dallostudio dei vari giacimenti su menzionati, l’area diMelka Kunture assume un rilievo particolare perché èil più importante sito preistorico dell’Africa Orientaleche mostra una vasta utilizzazione dell’ossidiana a par-tire dal Paleolitico inferiore fino ai nostri giorni (Tavv.nn. 3-4-5). Lo sfruttamento e l’utilizzo dell’ossidianaa Melka Kunture è durato quindi oltre 1.5 milioni dianni a partire dalla prima utilizzazione durante l’Ol-

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ha una età di 4.37 ± 0.07 Ma ottenuta col metodo delK-Ar.Lo studio dell’origine geologica dell’ossidiana di Balchitha permesso di appurare che vi sono 4 diversi tipi di os-sidiana denominati A - B - C - D (Raynal et al. 2005).Come abbiamo detto l’ossidiana di Balchit è stata sfrut-tata dall’uomo per un periodo lunghissimo e gli scavicondotti da anni a Melka Kunture ci hanno dato nuovaluce sul prezioso vetro vulcanico.A tal proposito ricordiamo che nella parte centrale del-l’Etiopia vi sono ancora delle popolazioni che tutt’orafabbricano ed usano strumenti in pietra ed un ruolo im-portante lo riveste tutt’ora l’ossidiana (Gallagher 1977).

– Gombore II - Melka Kunture - Etiopia: Il sito fu scopertonel 1965 e risale all’Acheuleano medio. Si estende peroltre 10.000 mq. ed è sovrastante un livello tufaceo da-tato col Paleomagnetismo circa 840.000 anni. Il sitostesso è datato circa 700.000 anni.L’insieme litico, in ossidiana e basalto, è costituito daamigdale, principalmente in ossidiana, accuratamenterealizzate e caratterizzate spesso da un profilo elicoida-le. Sono frequenti anche gli utensili, principalmente ra-schiatoi e le schegge.La fauna è rappresentata da Bovidi, Giraffe, Ippopota-mi, Suidi ed Equidi.

na come a Herto e a Stillbay. Il sito ha restituito ancheresti di un arcaico Homo sapiens.

– Simbiro - Melka Kunture - Etiopia: Situato a pochi kmda Balchit, il sito presenta uno dei suoi livelli, risalenteall’Acheuleano medio, con un uso esclusivo di ossidianala cui provenienza deve ancora essere determinata. Il li-vello è molto esteso e ricco (Bulgarelli et al. 2006)

– Herto - Etiopia: Sito risalente all’Acheuleano finale da-tato circa 154 ± 7 - 160 ± 2 ka anni. L’industria liticapresenta numerose punte monofacciali e bifacciali inossidiana come a Garba III e a Stillbay.Il sito ha restituito numerosi resti di arcaico Homo sa-piens alcuni dei quali con tracce di pratiche funerarie.

– Gademotta - Bacino di Galla - Etiopia: Sito risalente alPaleolitico Medio datato 235 ± 5 ka. L’industria liticain ossidiana è di tecnica levalloisiana e musteriana. Lafauna comprende Antilopi, Equidi ed Ippopotami.

– Kulkuletti - Bacino di Galla - Etiopia: Officina litica al-l’aperto risalente al Paleolitico Medio datata 149 ± 12o181 ± 6 ka. L’industria litica è principalmente d’ossi-diana ma sono presenti anche altre rocce vulcaniche.

– Porc Epic Cave - Dire Dawa - Ethiopia: Sito preistoricooccupato tra 61 e 77.5 ka, risalente al tardo Paleoliticomedio. L’industria litica è in ossidiana e basalto. Studirecenti hanno dimostrato che le fonti geologiche del-l’ossidiana utilizzata nel sito dista dal sito stesso oltre250 km (Negash A. et al. 2006). Il fatto ha una note-vole importanza per la conoscenza dell’emergenza delcomportamento dell’uomo moderno.La località ha restituito anche un frammento di mandi-bola umana avente le caratteristiche sia neanderthal chesapiens (Desmond Clark et al. 1984, Negash et al.2006).

– Aduma - Ardu Beds - Middle Awash - Ethiopia: La loca-lità ha restituito 8 siti risalenti al Paleolitico medio datati80-100 ka. L’industria litica in ossidiana è abbondante.La località ha restituito anche resti di Homo sapiens edabbondante fauna (Yellen et al. 2005).

Tav. n. 4: MANUFATTI DEL MSA (PALEOLITICO MEDIO) IN OSSIDIANA DAMELKA KUNTURE. DA SINISTRA A DESTRA: PUNTA LEVALLOISTIPICA, PUNTA MUSTERIANA, RASCHIATOIO SEMPLICE CONVESSO

Tav. n. 5: MANUFATTI DEL LSA (PALEOLITICO SUPERIORE)IN OSSIDIANA DA MELKA KUNTURE: RASCHIATOI

Il sito ha restituito anche due frammenti di cra-nio di Homo erectus.

– Gombore II Butchering Site - Melka Kunture -Etiopia: Il sito è limitrofo a quello di GomboreII, è stato scoperto nel 1974 ed ha permesso diaffermare che si tratta di un sito di macellazio-ne di due ippopotami datato circa 700.000 an-ni. I resti faunistici, attribuiti ad Hippopotamusamphibious, sono stati trovati in associazionecon alcuni manufatti, in ossidiana e basalto,usati per la macellazione.

– Garba III - Melka Kunture - Etiopia: Sito risa-lente all’Acheuleano finale datato circa250.000 anni. L’industria litica presenta nume-rose punte monofacciali e bifacciali in ossidia-

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– Bari Peninsula - Abdur Reef - Red Sea Coast - Eritrea: Ilsito, che ha restituito 4 livelli archeologici, testimoniail più antico adattamento costiero umano. Risale all’ul-timo interglaciale ed è datato 115-135 ka o ~ 125 ka.Tutti e 4 i livelli archeologici hanno restituito manufat-ti in ossidiana di vario tipo.

– Olorgesailie - Kenia: Il sito risalente all’Acheuleano harestituito manufatti in ossidiana avente origine geologi-ca in località distanti oltre 30 km dal sito (Soressi et al.2003).

– Rift Valley - Kenia: Nella Rift Valley, in Kenia, recenti ri-cerche hanno portato alla scoperta di numerosi siti delPaleolitico medio (MSA = Middle Stone Age) e del pri-mo Paleolitico superiore (LSA = Later Stone Age) da-tati tra i 50 ed i 100 ka. In questi siti l’ossidiana è mol-to presente ed il suo studio con particolare riferimentoalla sua origine geologica ha portato alla conoscenza deimodelli di mobilità e di interazione delle varie popola-zioni preistoriche. Tra i vari siti che hanno restituito ma-nufatti in ossidiana citiamo Marmonet Drift localizza-

Tanzania hanno restituito abbondanti testimonianze di in-dustrie di ossidiana che vanno dal Paleolitico inferiore alPaleolitico superiore, tutte anteriori al Neolitico.

Per la Penisola arabica allo stato attuale delle cono-scenze sembra che l’ossidiana sia stata utilizzata solo a par-tire dal Neolitico.

Tale elenco naturalmente non vuole essere esaustivo,in esso vi abbiamo riportato indicativamente solo alcunidei siti più importanti, ma ve ne sono molti altri in cuil’ossidiana è presente.

A partire dal Neolitico, sin dal VII al IV millennio BC,con l’avvento della navigazione e con lo sviluppo dei com-merci l’ossidiana dal Corno d’Africa viene intensamenteesportata, principalmente via mare, in Egitto, nella Peni-sola Arabica, dove peraltro vi sono dei giacimenti di ossi-diana utilizzati dalle popolazioni locali specialmente nelloYemen, e nell’Asia Minore dove è molto presente anchel’ossidiana proveniente dal Caucaso.

CONCLUSIONI

Tav. n. 6: BALCHIT. VISTA RAVVICINATA DI UN INSIEME DI MANUFATTI INOSSIDIANA: LAME, SCHEGGE E NUCLEI. CLICHÉ G. KIEFFER. DAPOUPEAU ET AL (2004)

Tav. n. 7: BALCHIT. ACCUMULO DI MANUFATTI E RIFIUTI DI LAVORAZIONEIN OSSIDIANA. CLICHÉ G. KIEFFER. DA POUPEAU ET AL (2004)

to nel bacino di Naivasha-Nakuru. Il sito èvicino alle fonti di ossidiana. Citiamo inoltrei siti di Ntuka River 4 e Ntuka River 3 loca-lizzati nel margine sud occidentale del Rift.Questi siti distano circa 60-90 km dalle fon-ti di ossidiana.L’incremento della distanza delle fonti di os-sidiana sta ad indicare l’intensificazione e l’e-spansione della rete di commerci nell’area(Ambrose et al. 2002, McBrearthy et al.2000).

– Olduvai Gorge - Naisiusiu Beds - Tanzania: Ilsito risale al Paleolitico superiore ed è datato60 ± 10 ka. L’industria in ossidiana è presen-te e la materia prima proviene da una loca-lità distante ben 250 km.

Se esaminiamo l’elenco dei siti sopra elen-cati si vede che l’Etiopia in gran misura ma an-che l’Eritrea ed il Kenia e in misura minore la

Abbiamo voluto fare questa breve escursio-ne sui siti preistorici dell’Africa Orientale e delMedio Oriente che hanno restituito, in manierapiù o meno abbondante, manufatti in ossidianaper rimarcarne la grande differenza con i siti me-diterranei e continentali europei.

Infatti mentre i siti africani ed in parte anchequelli medio orientali transcaucasici mostranoun uso continuo ed esteso dell’ossidiana a parti-re dal Paleolitico inferiore, circa 1.5 Ma, i sitimediterranei e continentali europei e quelli re-stanti del Medio Oriente mostrano un uso del-l’ossidiana a partire solo dal Paleolitico superio-re finale, poco più di 10.000 anni or sono.

Nell’area mediterranea questo fatto è com-prensibile in quanto le fonti geologiche dell’os-sidiana si trovano, sia nel Mediterraneo occiden-tale che in quello orientale, solo nelle isole e il

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loro sfruttamento è potuto avvenire solo quando l’uomoha scoperto l’arte della navigazione all’alba del Neolitico.

La cosa è meno comprensibile per quanto riguarda l’a-rea continentale europea in quanto le fonti geologiche del-l’ossidiana si trovano al centro del continente e precisa-mente nella zona dei Carpazi.

In questa area l’ossidiana è stata scoperta ed utilizzatasolo verso la fine del Paleolitico superiore.

Le ragioni di tale fatto non sono comprensibili alla lu-ce soprattutto di quanto avvenne altrove ove l’ossidianafu sfruttata ed utilizzata sin da tempi antichissimi.

Per quanto riguarda invece l’ossidiana proveniente dalMedio Oriente bisogna dire che in quell’area la mancan-za di segnalazioni della sua presenza in periodi anteriori alPaleolitico superiore potrebbe essere dovuta anche allascarsità degli studi e delle ricerche sull’argomento.

I giacimenti preistorici antichi studiati e pubblicati almomento non sono molti avendo la maggior parte degliarcheologi dedicato le loro ricerche alle magnifiche civiltàmesopotamiche di epoca storica. Quindi è probabile checon l’estendersi delle ricerche queste aree possano riser-vare delle sorprese sull’argomento. Ricordiamo comun-que, come sopra accennato, che studi molto recenti han-no dimostrato che almeno nell’area transcaucasica l’ossi-diana è presente nell’industrie acheuleane del Paleoliticoinferiore.

A questo punto occorre fare alcune considerazioni su-gli artefici delle industrie su ossidiana.

Per quanto riguarda le industrie del Paleolitico inferio-re africane e transcaucasiche l’artefice è Homo erectus,estintosi nel continente africano alcune decine di migliaiadi anni or sono ma estintosi molto prima nel continenteeuropeo.

Abbiamo visto come Homo erectus, per approvvigio-narsi del prezioso vetro vulcanico, fosse disposto a percorredecine e a volte centinaia di chilometri affrontando i mol-ti pericoli di una natura ostile e difficile. Ricordiamo chegli studi sulle fonti geologiche delle ossidiane del sito diPorc Epic hanno rivelato che le stesse erano situare a cir-ca 250 km di distanza. (Negash A. et al. 2006).

Questo fatto introduce alcuni elementi di riflessionisulle sue capacità e soprattutto ci permette di compren-dere meglio il momento e il meccanismo dell’emergenzadel comportamento moderno nell’uomo preistorico.

Innanzi tutto ci rivela una sua insospettata capacità diorientamento che gli permetteva di percorrere grandi di-stanze per approvvigionarsi del prezioso materiale nel mo-mento in cui ne aveva bisogno.

Poi ci conferma la sua resistenza fisica che doveva es-sere notevole per poter andare alla ricerca dei giacimentidi ossidiana così distanti e ritornarne carico del preziosomateriale.

Infine ci rivela un fatto ancora più importante: le rela-zioni con altri gruppi umani che frequentavano lo stessoterritorio. Infatti gli spostamenti su medie o lunghe di-stanze dovevano necessariamente mettere in contatto tradi loro i diversi gruppi umani pur in un territorio non in-tensamente popolato da Homo erectus quale doveva esserein quelle lontane epoche l’Africa orientale.

Questo sfruttamento della preziosa materia prima daparte di Homo erectus è durato un periodo lunghissimo, ol-tre un milione di anni.

Le ragioni dello sfruttamento dell’ossidiana da parte digenerazioni di Homo erectus è dovuto probabilmente al fat-to che tale materiale è particolarmente adatto a fabbrica-re utensili e le sue proprietà furono ben presto scopertedai quei nostri lontani antenati i quali ne tramandarono laconoscenza per generazioni e generazioni e forse fu allabase dello sviluppo della loro tecnologia litica (Bulgarelliet al. 2006).

Quando Homo erectus si estinse il suo posto fu presoda Homo sapiens il quale continuò ad usare l’ossidiana perfabbricare i suoi strumenti e ha continuato a farlo per ge-nerazioni fino all’epoca attuale. Infatti, come abbiamo giàaccennato, in alcune regioni dell’Etiopia e dell’Eritrea co-me anche della Turchia anatolica l’ossidiana è usata anco-ra al giorno d’oggi per fabbricare utensili artigianali (Gal-lagher 1977).

In questa breve nota abbiamo volutamente voluto tra-scurare le ossidiane provenienti dall’Estremo Oriente, dalPacifico e dal Continente Americano che comunque sonostate utilizzate in epoca relativamente recente.

Dato l’evolversi veloce degli studi e delle scoperte sia-mo sicuri che lo studio dell’ossidiana ci riserverà in futu-ro ancora molte sorprese.

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