NUOVA RUBRICA/ETIMOLOGIA DIALETIALE Parla … · ne),Ottorino Pianigiani (autore meti-coloso,...

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NUOVA RUBRICA/ETIMOLOGIA DIALETIALE Parla come mangi e saprai chi sei A me piace trasmettere a chi ascolta oa chi legge le sensazioni e le espe- rienze vissute. Perciò vorrei proporre una rubrica che riporti le parole più interessanti del nostro dialetto mon- tanaro esaminandole dal punto di vi- sta dell'etimologia. Negli ultimi dieci- undici anni ho lavorato accanitamen- te alla compilazione di un Vocabola- rio dei dialetti montanari, e durante le ricerche ho sperimentato una sod- disfazione intima scoprendo che il nostro modo di parlare allunga le ra- dici in tutte le direzioni e in tutte le epoche. Ho trovato espressioni che si perdono nella notte del tempo e in aree geografiche impensabili. Non garantisco una "consecutio" re- golare e alfabeticamente ordinata. Non ho ancora un elenco di tutti i vocaboli da approfondire. Farò co- munque del mio meglio, se la cosa risultagradita, per rendermi utile. Anzi, a coloro cui interessa l'argomento chiedo di suggerire vocaboli sui quali indagare. E mi lusingo che la rubrica sia di stimolo per smentire chi non ha voluto credere che la gente ha più voglia di sapere e molte più capa- cità di capire di quanto non si creda. Vorrei rassicurare i lettori che quanto racconterò, o quanto utilizzerò, non è farina del mio sacco ma frutto di consultazione, proprio come sistema analitico, su almeno sei autori diver- si, alcuni a stampa, altri su internet, i cui nomi credo siano una garanzia sulla serietà della ricerca. Potrebbe bastare il nome di Giacomo Devoto, o quello di Barbara Colonna, oppure quello di un anonimo pubblicato da Rusconi nel 2003. Esu internet? Par- te del Tommaseo (del Vocabolario non è ancora conclusa la trascrizio- ne), Ottorino Pianigiani (autore meti- coloso, forse poco noto, ma che me- rita di essere consultato), oltre al Bat- taglia, al De Mauro, al vecchio e sempre valido Palazzi e al Fedele. Ho anche ritenuto opportuno tenere presente l'opinione di ricercatori nati nel nostro territorio, là dove costoro indagano il nome di nostre località appenniniche. Mi riferisco allo scom- parso Cavalieri di Frascaro, all'erudi- tissimo prof. Minghelli di S. Andrea Pelago, all'autodidatta Riccardo Ber- teni, al prof. Roberto Gandini, e an- che a coloro che, con meno mezzi a disposizione, hanno cercato comun- que un approfondimento, come l'in- dimenticabile Agnese Castellini. Il che mi convince ancor più d'essere in buona compagnia. di Savino Raboni A prima lettera dell'alfabeto Credo proprio che questa vocale rappresenti il primo suono emesso dagli esseri umani, il vagito iniziale. Che sarà stato accompagnato da un gesto di trasporto del neonato verso la madre, una specie di invocazione di protezio- ne, di garanzia. Infatti, (ma questo non posso documentario scientificamente perché risale ad una lezione del prof. Pieraccioni nell' anno scolastico 1956!) c'è chi ha intrawisto nella grafia della A (maiuscola) le due falde del tetto di una tenda o di una casa. Col passare del tempo questa lettera è passata a indicare una miriade di concetti legati al movimento (moto a luogo), al vantaggio (a favore di. ..), al tempo (es.: a Pasqua, a Natale), al modo (a casaccio), ecc. Ma la lettera A rappresenta un ordinamen- to le cui origini risalgono ai popoli mesopo- tamici, se non addirittura agli antichi popoli dell'India. E fino all'avvento dei numeri arabi questa lettera era la prima di una nume- razione alfanumerica. Ancora oggi indica l'inizio di una classificazione (Serie A; classe A; categoria A; ecc.), e ciò ci spinge a ritenere che il concetto investisse anche il mondo metafisico, quello soprannaturale, ar- rivando ad indicare il principio vitale, l'inizio di ogni cosa. Come per i Fenici, per i quali la figura della A (àlep o àlef), raffigurava la testa del toro che per quel popolo rappresentava l'ente supremo. Abandun Abbandono, rinuncia, diserzione. Con tutte le sue sfumature questo termine mette addos- so un senso di impotenza, di vuoto che ti si forma intorno. E lo vediamo nelle espressioni pratiche della nostra gente: Abandunar quercadùn significa lasciare che una perso- na segua il suo destino senza più intervenire; abandunàr la via maìstra = uscire dalle regole dettate dalla società, seguire l'istinto, non ascoltare i suggerimenti di chi ha più esperienza. Abandunar la cùrsc = ritirar- si, non competere più, rinunciare; in aban- dùn = trascurato, smesso. Meno frequente, ma almeno gratificante, è il senso spirituale o sentimentale del verbo, in modo particolare se è riflessivo: abbandonar- si significa allora mettersi completamente nelle mani di qualcuno, Dio se si tratta di abbandono religioso, l'oggetto del proprio amore se si tratta di sentimenti. Ma, alla fine, cosa vuoI dire Abandun? Come si è formata la parola (e con essa i concetti)? Gli studiosi fanno risalire iltermine al francese Abandonner, derivato da una Savino Rabotti espressione del XII secolo à ban donner, che significava: inserire nella lista, mettere a disposizione di chiunque. Dietro tale espres- sione s'intravvede un consistente numero di persone con lavoro precario, che si mettono a disposizione di chiunque può offrire una occupazione. Iltermine francese si compone di tre elemen- ti: la preposizione à (che per noi diventa in, neh, il sostantivo ban, di derivazione gotica (bandwa = segno, indicazione), resa in latino con Bandum, in italiano con Bando, che indica un ordine dell'autorità reso pubblico mediante ilbanditore, cioè colui che grida per farsi sentire; e infine il verbo donner, che oggi ha assunto il significato di "dare", ma in passato voleva dire anche inserire, mettere dentro. Le motivazioni del bando potevano essere tante, dalla ricerca di manodopera fino alla comminazione dell'esilio. Passando al pratico l'espressione ha cambiato significato lungo i secoli conservando solo l'aspetto deteriore dell'azione descritta, perché un elen- co pubblico, in particolare quando la gente non sapeva leggere, finiva lettera morta. Veniva abbandonato! Un oggetto abbando- nato è un qualcosa di inutile, di indecoroso. [Devoto, Colonna, Rusconi}. A brìch Si tratta di una locuzione awerbiale con riferimento concreto al montone. E ci riporta alla memoria certe foto d'epoca in cui noi ragazzi posavamo mostrando in tutta la sua quantità le nostre cucurbite pelate a zero, giustificando l'allusivo epiteto di "teste qua- dre", sulle quali cerchiamo di intrattenerci il meno possibile. L'espressione indicava una tosatura radicale, a zero (o alla Yul Brinner, OGNI GIORNO IL FRESCO SAPORE DEL LATTE E DEI SUOI DERIVATI consegne nei migliori negozi di tutta la montagna reggiana Viale Bagnoli, 85 • CASTELNOVO MONTI (RE) • Tel. 0522810586 • Fax 0522 611461 BBTM

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NUOVA RUBRICA/ETIMOLOGIA DIALETIALE

Parla come mangi e saprai chi seiA me piace trasmettere a chi ascoltao a chi legge le sensazioni e le espe-rienze vissute. Perciò vorrei proporreuna rubrica che riporti le parole piùinteressanti del nostro dialetto mon-tanaro esaminandole dal punto di vi-sta dell'etimologia. Negli ultimi dieci-undici anni ho lavorato accanitamen-te alla compilazione di un Vocabola-rio dei dialetti montanari, e durantele ricerche ho sperimentato una sod-disfazione intima scoprendo che ilnostro modo di parlare allunga le ra-dici in tutte le direzioni e in tutte leepoche. Ho trovato espressioni chesi perdono nella notte del tempo e inaree geografiche impensabili.Non garantisco una "consecutio" re-golare e alfabeticamente ordinata.Non ho ancora un elenco di tutti ivocaboli da approfondire. Farò co-munque del mio meglio, se la cosarisultagradita, per rendermi utile.Anzi,a coloro cui interessa l'argomentochiedo di suggerire vocaboli sui qualiindagare. E mi lusingo che la rubricasia di stimolo per smentire chi non havoluto credere che la gente ha piùvoglia di sapere e molte più capa-cità di capire di quanto non si creda.Vorrei rassicurare i lettori che quantoracconterò, o quanto utilizzerò, non èfarina del mio sacco ma frutto diconsultazione, proprio come sistemaanalitico, su almeno sei autori diver-si, alcuni a stampa, altri su internet, icui nomi credo siano una garanziasulla serietà della ricerca. Potrebbebastare il nome di Giacomo Devoto,o quello di Barbara Colonna, oppurequello di un anonimo pubblicato daRusconi nel 2003. Esu internet? Par-te del Tommaseo (del Vocabolarionon è ancora conclusa la trascrizio-ne), Ottorino Pianigiani (autore meti-coloso, forse poco noto, ma che me-rita di essere consultato), oltre al Bat-taglia, al De Mauro, al vecchio esempre valido Palazzi e al Fedele.Ho anche ritenuto opportuno tenerepresente l'opinione di ricercatori natinel nostro territorio, là dove costoroindagano il nome di nostre localitàappenniniche. Mi riferisco allo scom-parso Cavalieri di Frascaro, all'erudi-tissimo prof. Minghelli di S. AndreaPelago,all'autodidatta Riccardo Ber-teni, al prof. Roberto Gandini, e an-che a coloro che, con meno mezzi adisposizione, hanno cercato comun-que un approfondimento, come l'in-dimenticabile Agnese Castellini.Il che mi convince ancor più d'esserein buona compagnia.

di Savino RaboniA prima lettera dell'alfabetoCredo proprio che questa vocale rappresentiil primo suono emesso dagli esseri umani, ilvagito iniziale. Che sarà stato accompagnatoda un gesto di trasporto del neonato verso lamadre, una specie di invocazione di protezio-ne, di garanzia. Infatti, (ma questo non possodocumentario scientificamente perché risalead una lezione del prof. Pieraccioni nell' annoscolastico 1956!) c'è chi ha intrawisto nellagrafia della A (maiuscola) le due falde del tettodi una tenda o di una casa. Col passare deltempo questa lettera è passata a indicare unamiriade di concetti legati al movimento (motoa luogo), al vantaggio (a favore di. ..), altempo (es.: a Pasqua, a Natale), al modo (acasaccio), ecc.Ma la lettera A rappresenta un ordinamen-to le cui origini risalgono ai popoli mesopo-tamici, se non addirittura agli antichi popolidell'India. E fino all'avvento dei numeriarabi questa lettera era la prima di una nume-razione alfanumerica. Ancora oggi indical'inizio di una classificazione (Serie A; classeA; categoria A; ecc.), e ciò ci spinge aritenere che il concetto investisse anche ilmondo metafisico, quello soprannaturale, ar-rivando ad indicare il principio vitale, l'iniziodi ogni cosa. Come per i Fenici, per i quali lafigura della A (àlep o àlef), raffigurava la testadel toro che per quel popolo rappresentaval'ente supremo.

AbandunAbbandono, rinuncia, diserzione. Con tuttele sue sfumature questo termine mette addos-so un senso di impotenza, di vuoto che ti siforma intorno. E lo vediamo nelle espressionipratiche della nostra gente: Abandunarquercadùn significa lasciare che una perso-na segua il suo destino senza più intervenire;abandunàr la via maìstra = uscire dalleregole dettate dalla società, seguire l'istinto,non ascoltare i suggerimenti di chi ha piùesperienza. Abandunar la cùrsc = ritirar-si, non competere più, rinunciare; in aban-dùn = trascurato, smesso.Meno frequente, ma almeno gratificante, è ilsenso spirituale o sentimentale del verbo, inmodo particolare se è riflessivo: abbandonar-si significa allora mettersi completamentenelle mani di qualcuno, Dio se si tratta diabbandono religioso, l'oggetto del proprioamore se si tratta di sentimenti.Ma, alla fine, cosa vuoI dire Abandun?Come si è formata la parola (e con essa iconcetti)? Gli studiosi fanno risalire iltermineal francese Abandonner, derivato da una

Savino Rabotti

espressione del XII secolo à ban donner,che significava: inserire nella lista, mettere adisposizione di chiunque. Dietro tale espres-sione s'intravvede un consistente numero dipersone con lavoro precario, che si mettonoa disposizione di chiunque può offrire unaoccupazione.Iltermine francese si compone di tre elemen-ti: la preposizione à (che per noi diventa in,neh, il sostantivo ban, di derivazione gotica(bandwa = segno, indicazione), resa in latinocon Bandum, in italiano con Bando, cheindica un ordine dell'autorità reso pubblicomediante ilbanditore, cioè colui che grida perfarsi sentire; e infine il verbo donner, cheoggi ha assunto il significato di "dare", ma inpassato voleva dire anche inserire, metteredentro. Le motivazioni del bando potevanoessere tante, dalla ricerca di manodopera finoalla comminazione dell'esilio. Passando alpratico l'espressione ha cambiato significatolungo i secoli conservando solo l'aspettodeteriore dell' azione descritta, perché un elen-co pubblico, in particolare quando la gentenon sapeva leggere, finiva lettera morta.Veniva abbandonato! Un oggetto abbando-nato è un qualcosa di inutile, di indecoroso.[Devoto, Colonna, Rusconi}.

A brìchSi tratta di una locuzione awerbiale conriferimento concreto al montone. E ci riportaalla memoria certe foto d'epoca in cui noiragazzi posavamo mostrando in tutta la suaquantità le nostre cucurbite pelate a zero,giustificando l'allusivo epiteto di "teste qua-dre", sulle quali cerchiamo di intrattenerci ilmeno possibile. L'espressione indicava unatosatura radicale, a zero (o alla Yul Brinner,

OGNI GIORNO IL FRESCO SAPORE DEL LATTE E DEI SUOI DERIVATIconsegne nei migliori negozi di tutta la montagna reggiana

Viale Bagnoli, 85 • CASTELNOVO MONTI (RE) • Tel. 0522810586 • Fax 0522 611461

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ÀbitE' più usato vesti(al maschile) ovèsta (al femminile). In latinohàbitus indica soprattutto unmodo di comportarsi, un atteg-giamento. Da tale termine na-scono: abitudine, abituarsi, abi-tare e i loro derivati.Facciamo un passo indietro elavoriamo un tantino di fantasia.Partiamo dal verbo habère, che,alla lettera, significa avere. Però,con un poco di analisi, possiamoscorgervi anche il significato dipossedere o, nella forma pas-siva, di essere posseduto,essere contenuto, trovarsi den-tro a. Da questo verbo (che vieneconsiderato intensivo di habère)è derivato habitàre. Quindil'abito è ciò che contiene la per-sona e le conferisce un tono, uno

fissi; se invece ci si riferisce aconcetti, idee, occorrerà dimo-strare col ragionamento che sitratta di affermazioni valide. E'interessante seguire il percorsodel termine. Si parte dall'idea difissare (firmare) qualcosa ad unoggetto (Ad). Possiamo fare unesempio con l'adagio: Legarel'asino dove vuole il padrone.Ma ben presto il significato si èspostato ad indicare concettiastratti, tesi, giudizi. In conclu-sione oggi il verbo indica il pre-valere del proprio (o altrui) mododi vedere le cose, facendo leva suprestigio personale, cultura, ecc.

come sidiceva qualche decenniofa). Ilragazzo (perché di questi sitrattava quando si sentival'espressione) veniva tosato daqualche parente stretto, senzatanti riguardi, come succede conle pecore. L'operazione si ren-deva necessaria se all'internodella capigliatura comparivanocerti parassiti. E allora la prassiesigeva, per i maschietti, rasatu-ra a zero e frizione con petrolioda lampada, mentre per le fem-minucce era sufficiente la frizio-ne al petrolio.La stessa espressione però haanche un altro significato: pren-dendo a paragone la testardag-gine del montone lauuràr abrìeh sottolinea la caparbietà dichi non intende rinunciare a qual-cosa, anche a rischio di sbatterela testa contro un ostacolo.Riferita al termine Brìeh lamesse etimologica è abbondan-te e ilvocabolo ha diversi signifi-cati. Per indicare il montoneDevoto spiega così: "Dal ter-mine latino Buriceus, varian-te diminutiva di Bèeeus, si èarrivati al nostro bricco". Peròilvocabolo latino beeeus ha unantenato originario dell' area me-diterranea in (i)bex, termine concui si indicavano le capre selvati-che. Abbiamo un brikòn anchein greco, ma qui indica un ani-male da soma, cavallino o asino,e la parola è di origine africana.Bertani invece predilige il vo-cabolo longobardo Brihhil concui si definisce l'ariete usato perdemolire le fortìfìcazìonì.Ma brìeh sta anche per cucu-ma, caffettiera, pentolino. Inquesto caso viene chiamato incausa il termine turco lbriq cheabitualmente traduciamo conbrocca. {Palazzi, Rusconi, De-voto, Colonna].Se però vogliamo indicare unpicco, uno sperone di roccia al-lora bisogna risalire all'aggettivolatino Aprìcus, cioè solatio,esposto al sole. Il termine peròha un antenato in Brikka, unavoce mediterranea che indica undirupo, una parete scoscesa {Co-lonna, Rusconi}.AbastànsaE' iltermine di "chi s'accontentagode", che si limita al necessariosenza preoccuparsi del super-fluo. Compare nel XVI secolo.Ad un primo esame la parola ècomposta dalla preposizione Ade dal neutro plurale latino Ba-stantia ed equivale alla frase:fino a (raggiungere) le cose suffi-cienti. E fin qui nessun proble-ma. Ma conviene chiamare incausa ilverbo Bastareper scor-gere altre sfumature che iltermi-ne ha perso lungo i secoli. Esistein greco un verbo, Bastàzein,che significa: io trasporto. Datale verbo è derivato ilsostantivolatino Bàstum che indica l'at-trezzo per il trasporto a soma, ilbasto. Immaginiamo ora che unmercante, o altra persona del-l'antichità, debba iniziare un lun-go viaggio. Si procurerà, in basealla distanza da coprire, una opiù bestie da soma su cui carica-

re ilnecessario per ilviaggio: cibiper le persone, acqua, indumen-ti, ecc., eliminando le cose su-perflue. Quindi le cose poste suibasti, (torniamo al neutro pluralelatino bastantia), sono le prov-viste necessarie. Ma sono "ba-stanti" in quanto collocate suibasti {Colonna, Devoto, Rusco-ni].

Abàt, con le varianti Abà e,verso la pianura, Abè.Qui il discorso è facilitato dalpoco uso del vocabolo. Diciamosubito che la radice va ricercatanell'aramaico 'Ab, attraverso ilsiriaco Abbàh, cioè padre. Laparola è arrivata in Occidentetramite il greco della Vulgata'Abba', e il latino ecclesiasticoAbbas {Palazzi, Colonna De-voto].Richiamiamo alla me-moria certe figure iera-tiche di monaci, fonda-tori o prosecutori di con-fraternite, ordini o con-gregazioni, moltiplicate-si nei primi secoli dellacristianità. Il termineveniva loro attribuitocome segno di riveren-za per la dottrina, lospiritoascetico, l'ascen-dente che costoro eser-citavano sui seguaci. Iquali non trovavano dimeglio che chiamarePadre il fondatore diquella creatura che erail monastero o l'ordinemonastico.Quando poi la rigiditàdella regola monasticasi allentò il termine èstato usato per indicarepersona agiata o, comunque, co-moda, lenta nelle decisioni. Alfemminile poi, Siùra Badèsa,si riferisce a chi pretende servigianche senza averne diritto. Intali situazioni era facile che l'in-teressata si sentisse rivolgerel'espressione: Mangia menoe tot la serva! (Mangia menoe assumi una domestica, se vuoiessere servita).

Abeeedàri, BeeedàriIltermine ricorda iprimi elemen-ti del sapere appresi sui banchi discuola, e, più che da noi, dainostri genitori. Noi disponeva-mo già del sillabario. Come èdeducibile dal suono, la parolaindica le prime quattro let-tere dell'alfabeto(A, Bé, Cé,Dé) ma sottintendendo l'iniziodello scibile, la base di ogni scien-za {Palazzi}. Il termine comparein epoca carolingia, IX secolodopo Cristo (Abeeedàrius),proprio per indicare un libro checontiene i primi elementi delsapere {Palazzi, Devoto, Rusco-ni, Colonna}.Come capita spesso al significa-to iniziale ne viene applicato unaltro, metaforico, che si scostadal senso originario. Perciò, nellinguaggio comune, può indica-re un manuale per le istruzionid'uso, ma anche una sequela diepiteti personali degni di biasi-mo.

Afit, FìtE' l'importo da versare per pote-re usufruire di un determinatooggetto, di un ambiente, di un

servizio. Dal vocabolooriginale sono derivatealtre parole, quali: Fi-tànsa, Fita, Fitàble, Fi-tarol, Fituàri, Afitàr,ecc.Esisteva, presso i latini,un'espressione giuridi-ca: Ad pretium fie-tum = a prezzo stabili-to. Tali infatti sono icanoni di nolo o di uti-lizzo. Nel Medioevol'espressione è stata tra-sformata in verbo: ad-fictare, poi affieta-re. Il dialetto ha poifatto il resto riducendoil vocabolo al minimonecessario: fita r,come verbo (che riguar-da sia il locatario che illocatore), e, come so-stantivo, fit!

Foto archivio don Vasco Casotti. Aghièl, AghiaSi tratta di un termine diffuso dipiù nel Carpinetano e nel Casi-nese. A Castelnovo e nel Vette-se viene sostituito da Stùmbel,il bastone di frassino, lungo esottile, all'estremità del quale ve-niva applicato un punteruolo, alpintrol. Serviva per stimolaregli animali durante l'aratura o iltraino di grossi carichi. Ilterminesi rifà al latino Aeus, ago, spillo,punteruolo.

AlbasinQuesto vocabolo è tuttora moti-vo di disputa fra gli etimologisti.E ciò perché non è chiaro ilconcetto che il termine indica.Tutti ammettono che si tratta diun ambiente ombreggiato, situa-to nella parte fredda, ma chi lopone verso est (collegando il ter-mine ad alba, quindi rivoltoverso l'albeggiare), chi è convin-to del versante a nord (invocan-do a convalida l'esposizione alfreddo). Tuttavia è ormai accer-tato che l'origine del vocabolo vacercata nel latino Opàcus, ag-gettivato in (O)pacìvus, (om-broso, tendente allo scuro), ter-mine che si è via via corrottotanto da arrivare in italiano conA bacìo e in dialetto Albasin(per fusione di Al + bado, esonorizzazione della c in s) {DeMauro, Tommaseo, Devoto,Rusconi]. •

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stile, un modo d'essere, una indi-cazione del rango (non per nullaci si serve in abbondanza di divisespecifiche). Cioè dal concettomateriale di vestito si passa aquello di dote acquisita o di rangosvolto. E se l'abito non fa ilmonaco è solo perché, spesso,non ci immergiamo completa-mente nel ruolo che ci compete.

Afàbil, AfàbleSi parte dal verbo latino Fàriche significa parlare, dire, espri-mere a voce. Affabile è colui chepuò essere raggiunto mediantela parola, col quale si può parla-re. L'aspetto piacevole del ter-mine deriva dal fatto che spessola persona affabile è capace diintrattenere con racconti grade-voli. Ilverbo Fàri è padre di unalunga prole, a volte gustosa, al-tre volte no: affabile, infante,fama, facondo, infame, nefan-do, ecc. {Colonna, Rusconi,Devoto].

AfermàrPreso così, nudo e crudo, il ter-mine indica la possibilità di dire,di sostenere una tesi. In latinoAffirmàre (composto da Ad +firmare) indica una cosa (ogget-to o idea) che deve essere conso-lidata. Se si tratta di oggetti ma-teriali bisognerà renderli stabili,

ETIMOLOGIA DIALETIALE/PARLACOME MANGI

Angùta: neppure una gocciadi Savino Raboni

Alvaròla - AlvaroliOggi pochi ricordano la coppia di correggeche partivano da un anello del giogo e siawolgevano intorno alle corna dei buoi odelle mucche. Ed è complicato spiegare cheper aggiogare un paio di bestie da tirooccorrevano due coppie di a/varo/i, due di s-cià! e due di sutqùlo: La prima coppiaserviva per tirare il carico. La seconda perfrenare nel momento in cui il traino iniziavala discesa. I sottogola invece erano unasemplice precauzione perché il giogo nonscivolasse via dal collo degli animali. Come sisia formata questa parola è un mistero. Ci siorienta verso il verbo Alvar, ma nell'acce-zione tipicamente contadina, legata al mo-mento in cui le varie coppie di animali checostituiscono la "taccata" si trovano in curvae quella posteriore deve alzare il collo espingere verso l'esterno per mantenere ilcarro o l'aratro in traiettoria. A tale proposi-to si diceva: "Far alvàr i bò " (o le mucche).Quindi ci si è scostati dal senso originale delverbo alzare, il cui significato è: sollevare,portare verso l'alto, ma anche alleviare,alleggerire.Sfogliando il Devoto ho trovato un termineche ci può illuminare di più sul significatodella nostra parola: Alzaia, che indica "co-lei che tira la fune". In questo caso la paroladeriva dal latino del medioevo helcionaria edè legata al termine classico helcium =giogo. Elcionaria traduce il nostro "bestiada tiro".

AmighOltre al significato iniziale oggi ha assuntoanche quello di amante, convivente. A noi èarrivato attraverso il latino Amicus, un'aq-gettivazione del verbo amare. Ma anche illatino lo ha mutuato da una radice preindo-europea a base onomatopeica 'amma, colsignificato di mamma. Il termine ha datoorigine ad un gruppo di vocaboli quali ami-ta (la zia paterna, in latino), ameno, emanth (il dio eros in etrusco).

AndànE' un termine in uso soprattutto nel versantemodenese (lo chiamano Agnedàn) e in Vald'Asta. Indica l'ontano, un albero ad altofusto abbastanza diffuso anche da noi. Cre-sce di preferenza in terreni umidi e freschi,come ci informa Virgilio: Pa/udibus a/ninascuntur (gli ontani nascono nelle paludi).La loro corteccia è utilizzata in tintoria econceria. Nel latino classico si chiamavaAlnus, per poi diventare alnetanus nellatino tardo. Minghelli (che documenta lapresenza del termine in molte altre regioni)cita però il celtico Allan = vicino all'acqua,che potrebbe essere il progenitore del latinoAlnus.

AndànaQualcuno forse ricorda le squadre di falciato-ri procedere a scala, ad una distanza tale dapermettere di mantenere il ritmo senza met-tere in pericolo gli arti inferiori di chi loprecedeva. Era un movimento sincronizza-to: la falce che inizia a destra, traccia unsemicerchio, si ferma, un passo avanti e via,daccapo. Fino a quando il caposquadra siferma per passare la cote sulla lama della"ferra" o del "ferro", come veniva chiamata74TM

la falce fienaria. Iltermine deriva direttamen-te dal verbo andare, ma trasmette la sensa-zione dell'ondulazione, del procedere quasiincerto. Tar l'cndàna indica quindi ilmetter-si al passo, uno dopo l'altro, dei falciatori.Ma, come capita sovente, allude anche alprendere una brutta piega, all'adeguarsi asituazioni poco chiare.

bre, mentre si addolcisce in annus nel latino,e sta ad indicare la ruota del tempo. Vertereci dà il senso del ciclo del tempo e di tutto ciòche ad esso è legato. La sua traduzione hauna infinità di sfumature legate a: girare,rivoltare, capovolgere, rovinare, scorrere.Come ci ammaestra l'adagio greco Pàntarèi = tutto scorre.

AntiìnLa parola indica prevalentemente due cose:lo spazio che un falciatore riesce a coprire inuna mandata oppure lo spazio che intercor-re tra un filare e l'altro, che, grosso modo, èriducibile al primo in quanto detto spazio

Mietitura (Roberto Sevardi, FototecaBiblioteca Panizzi Reggio Emilia).

AngùtaChissà in quante frasi fatte rientra questotermine. E pur pronunciandolo spesso nonci chiediamo che cosa voglia effettivamentesignificare. Dividiamo la parola in due parti,an e gùta. La prima parte, ci avverteCavalieri, è l'avverbio non che il popolo hatrasformato in an. Però l'autore non cispiega con quale processo. Per la secondaparte invece andiamo sul sicuro: gùta deri-va direttamente dal latino gutta e conservalo stesso significato. Quindi angùta signifi-ca: neppure una goccia di ciò che è argo-mento di disquisizione. Si obietterà che goc-cia in dialetto suona gùsa. Verissimo. Manon è questo l'unico termine che, passandonelle parlate moderne, si sdoppia su duestrade parallele.

AniversàriL'augurio è che questo termine venga utiliz-zato solo per ricorrenze liete. Purtroppo nonpossiamo evitare che vi siano anche ricorditristi. Del resto già i latini, con la loro pìetas,ci insegnano quanto importante sia il ricordocostante di coloro che se ne sono andati. Seda un lato abbiamo l'anniversario della nasci-ta, del matrimonio, di una vittoria o di unqualsiasi evento positivo, dall'altro abbiamol'anniversario di chi ci è stato caro per infinitimotivi. Anche in questo caso la parola derivadirettamente dal latino ed è composta da dueelementi: annus, che indica un periodo benpreciso di tempo, e versarius, aggettivoderivato dal verbo vèrtere. Ilsenso intrinse-co dei due termini oggi ha perso un tantinoilvalore iniziale che è quello di trasmettere lasensazione dello scorrere ineluttabile del tem-po. Infatti annus è l'evoluzione di unaradice primitiva •at ( = ruotare), che diventaatnos (poi aknos) nelle parlate tosco-um-

corrisponde ad una sbracciata del falciatore.Come concetto ritorniamo a quanto dettosotto la parola Andana. Questo termineperò va ricollegato alla preposizione latinaante = ciò che sta davanti. Tra i ricercatorivi è chi ricollega, acrobaticamente, ilterminea onda, riferendosi al movimento del falcia-tore che mantiene un ritmo ondulatorio. TarI'antùn è il compito del capo dei falciatorial quale compete l'onere di iniziare la falcia-tura e determinare il ritmo delle cadenze.

ApàltDi solito si usa questo termine quando siaffida ad una impresa la realizzazione di unprogetto edile, stradale, ecc. In passato iltermine indicava anche la licenza per vende-re beni di monopolio quali il tabacco, il salee simili. In questo caso però si usava di più ilsostantivo Patta, e il gestore diventava Alpattino All'origine del termine abbiamo unaespressione giuridica latina: Ad pactumche indica un impegno assunto per contrat-to, una convenzione. Intorno al XIII secolocompare il termine Appaltus, ma con unsignificato leggermente diverso. Pur restan-do legato ai beni di monopolio con taleparola si indicava anche la possibilità diesporre la merce sperando di invogliarel'ipotetico compratore. Insomma, a loromodo, esistevano già ivetrinisti. IlsostantivoPactum, in questo caso, ha una evoluzioneparticolare: è il participio passato del verbolatino Pacàre, cioè calmare, pacificare,placare. E' vero che i latini usavano Sòlvereper indicare ilpagamento di un' opera o di unservizio, ma il nostro pagare deriva diretta-mente da Pacàre. Alla fin fine pagare nonsignifica altro che calmare un creditore, farecon lui la pace, rabbonirlo [Devoto, Colon-na, Rusconi, Pianigiani}.

Apa~iE qui-abbiamo una bella gatta da pelare!Sul significato di questo verbo gli etirno-logisti non hanno ancora raggiunto unaccordo. Per la maggior parte di costoroil nostro termine deriva dal verbo latinoPàndere ed indica un qualcosa che si èdisteso, che è stato aperto, oltre ad altrisignificati. E spiegano la relazione colnostro appassito dando al participiolatino il valore di "screpolato dal sole,passo, appassito" {Colonna, Rusconi].A me risulta difficile ammettere che ilcaldo, l'arsura, allarghino o distendanole foglie. Mi sembra più facile che lerattrappiscano. Per questo mi sono fattola mia opinione che il termine derivi dallatino Pàssus, participio passato delverbo Pàtior, che significa: soffro, pa-tisco. Lo ritengo più attinente se pensia-mo che, di solito, una pianta o un ortag-gio appassisce perché ha patito la sete.

Apòsta (Aposta)Un awerbio che conserva la sfumaturadi un comportamento dispettoso, vendi-cativo, come esprimono i modi di diredel passato: T'I'è fàt a posta!, Fèt aposta? Effettivamente il puntiglio dellavolontari età deriva dalla primitiva for-mulazione in latino che suona: Ad pòsi-tam voluntàtem, che traduciamo colsemplice volutamente, deliberatamen-te. Oltre ad esprimere la volontarietà diun' azione il termine in dialetto ha anchela sfumatura di un qualcosa fatto perscherzo, per prendere in giro: Fèt apòsta o Jet dabùn = fai per scherzoa sul serio?

AraOggi ha perso ilsignificato originale e, làdove ancora ne esiste qualcuna, ha mu-tato la finalità, passando a quella diparcheggio privato. Il significato del ter-mine è di facile individuazione, ricorren-do, come al solito, al latino. Nel classicoinfatti suona àrea, per passare nel lati-no tardi ad aria e quindi ad aia. Ma,come al solito, ilsostantivo è legato ad unverbo, in questo caso Arere = inaridire,seccare. Ecco allora tornare alla mente ilgrano disteso al sole in mezzo all'aia, o lebiade, o tutto ciò che necessitava di unabuona essiccazione prima di essere sgra-nato. E sempre sull'aia abbiamo vistogirare intorno i buoi con a traino alpiagnun (lapietra per sgranare) o squa-dre di uomini e donne intenti a farroteare al cérsì, per poi percuotere ilcumolo di spighe, di fava, veccia o altro.Ilmomento trionfale per l'aia era l'arri-vo della trebbiatrice con tutto un formi-colare di gente intenta ai diversi ruoli.Per noi ragazzi la più bella soddisfazio-ne era l'abbassare la leva della sirena altermine della battitura, quando si man-dava il segnale al successivo colono chela macchina da battere lo stava perraggiungere. •

via Gatta, 48 - Castel

o; t~·~ ~~.~~ p--1L'zO ~~~D '. ETIMOLOGIA DIALETIALE/PARLACOME MANGI tivo becco, a~ma ~i d.ifesa e.di

offesa. Arbecas quindi vuoi dire

Archerval'.r- al delunto una ~~~~i~~i~~~eul~s~e~~ll;u~~e nell'altro caso si intrawede la- reazione di chi, tollerati a lungo i

, soprusi, alla fine sbotta. E in queinuova pOssibilila di vita ~~t~~~~~~%e!erità riemergono,

Arbùmb e RimbùmbL'onomatopeia qui la fa dapadrone. Il termine riproduceun suono forte, cupo, preoccu-pante, e può dipendere da unoscoppio (bomba, cannonata),da un fenomeno atmosferico(tuono), da un'eco amplificata.La consuetudine di rifarei ad unvocabolo il più distante possibilenel tempo ci riconduce al grecoBòmbos, che diventa Bumbusin latino, ed indica un rumore difondo, cupo, ma non assordantecome un tuono. Viene più dapensare ad un alveare o adun nido di vespe. In italiano èdiventato Bòmba. Oggi però

L'aratura (Fototeca Biblioteca Panizzi Reggio Emilia).

di Savino RabottiAraAratro, in tutte le sue accezioni.E uno degli strumenti che hannoaccompagnato, passo passo,l'umanità. A cominciare dai piùsemplici (ricavati da un grossoramo bìforcuto, cui si tagliavauna parte per trasformarla invomere, e l'altra veniva usata perfissarla al giogo) fino a quelli piùsofisticati, a vomere multiplo, datrainare con grossi trattori. Sem-bra che già gli egiziani, settemilaanni fa, usassero l'aratro comeevoluzione della vanga. Occorreinfatti partire da molto lontano,dal sanscrito. Glietimologi citanoil termine Aròtriam, che peròsignifica nave. Come mai? Per-ché come la nave solca e fende ilmare, così fa l'aratro col terreno.E questo è il concetto base: fen-dere, tagliare, ferire. Ilsanscrito èun'antica lingua dell'India che siè evoluta prime delle importantilingue occidentali, e che, puressendosi trasformata, è ancoraparlato dai dotti indiani. Spostan-dosi verso occidente il terminearatro è passato attraverso ilgreco aròthron e poi il latinoaràtrum, ed è stato presente,o lo è tuttora, con leggere sfu-mature, nelle parlate europee:rumeno (aratru), provenzale(araire), francese (araire, arlìlau),catalano (aradra), spagnolo (ara-do, arairo), portoghese (arado),antico tedesco (Ardhr), boe ma(aradlo), slavo (aralo, ralo), e,soprattutto, nel nostro dialetto,con le varianti: aréì da la pèrdqa,aréì d' lègn (detto anche piudà-!ia),aréì d' [èr, aréì dal carìol, aréìdrìt (cioè col versoio a destra),mansln (col versai o a sinistra),vultln (adoppio vomere). Comeperò si sia passati da Aràtruma Plòvum [piéd) è difficile dagiustificare. Probabilmente percorruzione del termine grecoPlumaràtron = aratro con70TM

ruote. Ma di questo riparleremoa suo tempo. Ci basti ricordareche la voce latina Plòvum ebbel'onore di comparire nell'edittodi Rotari del 23 novembre 643.

ArabirNel nostro dialetto questo termi-ne ha diverse sfumature. /srabirpr'al taoùr indica un impegnorisoluto, un accanimento, ilvolerottenere più diquello che permet-tono le forze; arabir da l'invìdiavuoi dire rodersi dentro, senza unmotivo valido; Fàr arabir corri-sponde a tormentare, infastidire,provocare, mettere in difficoltà.Viene spontaneo associare ilvocabolo alla parola rabbia. Laradice sanscrita Rabha indicaviolenza, impeto. In latino èdiventata prima ràbies, poi,nel parlare popolare, ràbia,sostantivazione del verbo ràbereche significa fremere di rabbia,essere furioso. Teniamo peròpresente che il termine latinoràbies indica in primo luogo lamalattia tipica dei cani. E ràbi-dus in latino si riferisce a chi èaffetto dalla rabbia e si comportadi conseguenza. Ilche conferisceal termine una sfumatura di irra-zionalità, di illogicità. E anche dicosa pericolosa e contagiosa. Loricordiamo l'effetto che faceva sunoi bambini quando vedevamouna persona accanirsi in tuttii modi col lavoro, magari poiottenendo risultati mediocri. Inchiave più rilassante vi è il dettoAI tàja eh 'l'arabìsache lasciaintendere uno strumento da ta-glio (coltello, manarino, accetta)efficiente, ma poi il tutto vienesmontato dalla parte finale delmotto: cui ch'an tàja al lescherpltsaì (ciò che non riescea tagliare lo strappa)!

AràdioOrmai tutti sanno che si tratta diun madornale errore di pronun-cia dei nostri nonni. E io rischiod'essere fischiato perché ci ritor-

no sopra. Anche se è intuibile,l'errore è dovuto alla fusione delsostantivo con l'articolo. PoichéRadio è femminile (la radio), maha desinenza in o come i voca-boli maschili, i primi ascoltatorihanno risolto unendo articoloe sostantivo (Laradìo), e consi-derandolo maschile, per cui si èreso necessario dividere l'articolocon un apostrofo: l'aradio. E lacorruzione del termine ce la siamotirata dietro fino a poco tempo fa.

ArbasàrRibassare, sbassare, calare. Ilverbo tocca molti aspetti delquotidiano: il prezzo di unprodotto, una posizione fisica,un compromesso morale, undegrado fisiologico. Si tratta diun termine iterativo di abbassa-re. E per l'etimologia bisognarisalire all'aggettivo Basso. Suquest'argomento gli etimologifanno tranquillamente a cornate.La maggior parte insiste sulladerivazione dal latino Bàssus,termine che indica una personatarchiata ma poco alta, facendoriferimento al Diez e appellandosiai linguisti del passato (Isidoro,Papia). Altri vogliono risalireal greco Bathùs(profondo). Unaconferma orec-chiabile la si trovanel dialetto doricoBàsson (= piùprofondo). Qual-che connessionefra le due linguecomunque esiste.E forse sarebbeinteressante capire da che pu ntodi vista viene osservato l'oggetto,se dal basso verso l'alto o vicever-sa. Come succede per il terminelatino Altus che, in alcuni casispecifici, significa profondo. Delresto, se osservo un monte tro-vandomi alla sua base certamenterisulta "alto", ma se osservo unpozzo sarà profondo, a menoche non mi trovi sul suo fondo,e allora diventa altus.

ArbecàsRimbeccare, rivoltarsi, reagire.E immaginiamoci la scenetta didue individui che discutono cal-damente, ma ognuno con l'ìnten-zione di far prevalere la propriaversione dei fatti. NelPianigiani,un vocabolario etimologico dellafine dell'Ottocento, ho trovatoquesta definizione per il verborimbeccare: "Rispondere ardi-tamente a un superiore, starea tu per tu". Oggi quell'autoreforse sarebbe costretto ad usareespressioni meno pudiche emeno rispettose. E' palese chealla base del termine vi è ilsostan-

il terminerievoca solo fantasmi di guerrae di stragi. Si tratta infatti diuna parola quasi creata ex novodopo la scoperta della polvere dasparo, nel XV secolo. Negli ultimitempi laparola bomba ha assuntoaltri significati: notizia clamo-rosa, che sconvolge il quietotrascorrere del tempo, o, peggioancora, allude all' assunzionedi stupefacenti. Per nostrafortuna lo stesso vocabolo indicaanche qualcosa di grandioso, dipiacevole al massimo: l'é 'nabùmba = è uno schianto.

ArbufàrSerate d'autunno, giornatepiovose e agitate dal vento.Prima di coricarsi la famigliolaè seduta a semicerchio attornoal camino. All'improwiso unosbuffo di fumo scende dallacappa e si sparge per la cucinasollecitando starnuti e tosse. Nelmondo agricolo diun tempo ognifenomeno viene messo a con-fronto con qualcosa di pratico, ditangibile. Allora un rimbrotto,una lavata di capo, diventano

fastidiosi come il fumo negli oc-chi, e ti inducono a sbuffare, adimostrare insofferenza. Comeindispettisce una folata di ventoche scompiglia quanto haiappena radunato. Queste sonole diverse accezioni del terminein oggetto. Per trovare una de-rivazione interessante anche inquesto caso dobbiamo ricorrereall'onomatopeia, cioè ad un in-sieme di sillabe che riproduconocon la voce il suono contenutonel vocabolo.

Arbùt o ArbotLa voce indica i getti che cresco-no spontaneamente attorno allaceppaia di un albero. Si trattadi getti spontanei, di ricrescitadi polloni, ma è pur sempre unri-buttare fuori quell'energiavitale che le esigenze umanecercano di contenere e pilotare.Non sempre sono getti utili,vantaggiosi per chi coltiva campie piante. Tocca perciò all'occhiovigile del coltivatore discernere

(e solo con l'esperienza!) quandoquesti potranno essere lasciatisoprawivere o tolti per far postoa germogli più produttivi. Laparola è composta da due parti:Ar-, particella iterativa, in italianotradotta, di solito, con Ri-, e bùt,ossia getto, pollone, da riportareal verbo Buttàre, presente intutte le parlate europee, dalprovenzale allo spagnolo, alportoghese (botar), al francese(boter e bouter), al germanico(bot = spingere) e all'olandese(bots). E, come spesso capita,si tratta di un verbo con diverseinterpretazioni, stiracchiato perla giacca, costretto ad adattarsia diverse esigenze, ma legatocomunque alla radice iniziale, ilfranco ne o una lingua germani-ca, botan, che significa propriogettare fuori i germogli. Ed èesattamente quello che il verboesprimeva al tempo dei nostrinonni e tuttora indica. E, sevogliamo passare al tenero, an-che i figli, e ancor più i nipotinisono degli "arbùt" da coltivaree proteggere con ogni cura! Viè poi una curiosità legata all'ita-

liano ormai smesso, arbùto,che indica o un melo selvaticoo il corbezzolo. In questo casobisogna riallacciarsi al sanscritobhu-tàs (pianta, germe) e daquesto al greco phutòn con lostesso significato.

ArbutàsÈ difficile spiegare alle genera-zioni attuali questo comporta-mento. Semplicemente perchéè difficile scorgere un asino chesi ribalta e rotea a destra e asinistra, magari accompagnandoil comportamento con un ragliodi soddisfazione. Proprio questoindica ilverbo: ilrigirarsi dell'ani-male in questione sulla nuda terraper "grattarsi", asciugarsi, scac-ciare fastidiosi parassiti. Comeper la voce precedente occorreriandare al verbo buttare, comese l'animale gettasse sé stesso aterra e ripetesse l'operazione.Un tempo si usava lo stessotermine per descrivere chi ridevaa crepapelle. Infine anche per ilciuco si tratta di un gesto che dàsoddisfazione come una risataliberatoria.ArchervàrLa memoria ora corre a quellepiccole creature cui veniva chie-sto di ricordare, se non propriodi reincarnare una persona carascomparsa. Ilcompito affidato leera proprio quello di tener viva lamemoria di un avo scomparso odi un parente caduto in guerra.Di per sé la parola significa Ri-creare. Cioè bisognava dare aldefunto una nuova possibilità divita. Tale tradizione è vecchiaquanto l'uomo e molto radicatapresso i popoli orientali, peri quali era obbligo conservarel'albero genealogico. Presso gliEtruschi e i Romani gli antenativenivano divinizzati fino a di-ventare "gli dei penati", ossiagli dei tutelari della casa. Anchenel nostro caso il vocabolo sicompone di due parti, il prefissoiterativo ar e il verbo chervàr.Evidentemente il verbo ha subi-to il fenomeno della metatesi:Creare, Cberiàr, Chervàr,fenomeno non poi tanto raronel passaggio di certi terminidal latino al dialetto. Del restoanche il sostantivo creatura èdiventato cherìadùra.

ArcurdàrBeh! il valore del vocabolo èchiaro e non necessita di spie-gazioni. Ciò che molti di noi nonsanno è la sua provenienza, la suacomposizione. Ancora una voltachiamiamo in causa i Romani.Nella loro mentalità la memoria,il ricordo, aveva sede nel cuore,non nel cervello. Per cui un fattoveniva posto di nuovo (re-) nelcuore (Cor). E questo passaggioveniva espresso da un verbocordàre (in verità poco usatoperché rimpiazzato dal più usatoRecordàri) che significa metteredentro al cuore. Tale concetto èancora presente in francese (parCCEr = a memoria) e in inglese(to know by heart = impararea mente). •

ETIMOLOGIA DIALETIALE/PARLACOME MANGI

E' Natale, è oradi ardusir la lamìa

di Savino RaboniA m'é d'ajìs - A m'é d'avìS - Am'é d'invìSLocuzione che, alla fine, signifi-ca: mi sembra; è mia opinione.A chi la sente solo pronunciaree non la vede scritta può sembra-re un ammonimento. Compositacom'è la frase risulta difficile dadecifrare. Tuttavia ha una cor-rispondente in latino che diceesplicitamente: A me sembrache ... = Mihi visum est. Nel no-stro caso rnihi traduce alla letterail nostro a me, mi. Visum est èla forma passiva del verbo video,tra i cui tanti significati vi è an-che sembra, pare (Cavalieri). Eanche i francesi hanno lo stessoprocesso fino alla formazione diA vis = mi sta davanti. Per arriva-re al dunque potremmo tradurrel'adagio così: A me la questione èapparsa così. Il che non escludealtre opinioni o punti di vista. Delresto anche in italiano l'espres-sione è sopravvissuta con: Sonodell'avviso che.

ArchiviArchivio, raccolta di documen-ti importanti, da conservare. Èil luogo (o anche solo un mobi-le) adibito alla classificazione oconservazione dei documenti difamiglia o di quelli di interessepubblico, ma accessibili solo apersone autorizzate. Insomma,il termine lascia trasparire chesi tratta di qualcosa di segreto,da non dare in pasto a chiunque.L'antico vocabolo del dialettogreco Archèjwon (Devoto), poiArchèjon, (derivato da Archèinteso come principio, in seguitocome antichità, poi, ad un cer-to punto, anche come autorità[Pianigiani}), indicava qualco-sa di relativo alla residenza deimagistrati (Colonna). Dal grecoil termine è poi passato in latinocon Archium e in seguito Ar-

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chìvum. Nelle lingue moderne haassunto il senso di luogo riservatoa persone autorizzate dalla legge,ma non aperto a tutti. Tant'è cheper accedervi spesso occorronopermessi speciali (come per l'ar-chivio che raccoglie atti politici,o l'archivio giudiziario). Ma iltermine viene usato anche per in-dicare una raccolta di documentinon segreti, come le fotografia.

ArcrovreDi per sé il vocabolo indica la pre-disposizione di un riparo, di unacopertura, e deriva direttamentedal latino Cooperire = nascon-dere (un oggetto) con (qualcosa),cioè toglierlo dalla vista. La sfu-matura del verbo latino sta nellaradice operire = celare, nascon-dere (di conseguenza coprire)(Devoto). Ma ricordo questo ter-mine per una sfumatura specificache il verbo assumeva quando sitrattava dei capitali della fami-glia, gli animali. Indicava infattiil momento della fecondazionedi una mucca o altro animale del-la stalla, cioè la monta. Dopo chela manza era stata arquèrta biso-gnava aspettare il compimentodel ciclo per sapere se "si era te-nuta" o meno. In questo caso piùche la radice del verbo dovremocercare una similitudine. Il toro,per fecondare la mucca, la copri-va col proprio corpo.

ArdensàrE ricordiamo le con gratitudine lelavandaie inginocchiate nell'ac-qua corrente di un torrente oappoggiate ai lavelli pubblici,impegnate ad eliminare le traccedi sapone dalla biancheria ap-pena lavata. Ed è il motivo percui ho citato il verbo. Non mi èstato ancora possibile rintraccia-re una spiegazione etimologicaper questo vocabolo. So solo cheavvicinandoci al Po il verbo di-venta redensar, e in Lombardiaresentiir [SvampaJ.

Il parere dei lettoriQualcuno si è fatto vivo! Iniziando questa rubrica abbiamochiesto ai lettori di suggerire vocaboli su cui indagare o ver-sioni diverse da quelle proposte sull'etimologia dei terminidialettali. Ringraziamo quindi Danilo Morini che ci ha segna-lato che, a parere suo, l'etimologia di Angùta va cercata al-trove.E' stata proposta la versione di Giulio Cavalieri, sintetizzatacosì: An = non (in origine nèque = neanche; e del resto pureneanche, passando in dialetto è diventato Gnàn), e Gùtta =goccia, quantità minima. Quindi l'espressione equivale a:neanche una goccia, niente. Morini assicura d'avere lettoin qualche documento lombardo che la parola deriverebbeinvece dal latino Negòtia (in italiano = affari, negoziazioni,occupazioni), partendo a ritroso da Negòt, Negòta. Certa-mente in questa versione il suono di negotia si avvicina dipiù a Negòta. Personalmente però ritengo più convincentela versione del Cavalieri (Parole latine vive nel dialetto del-la montagna reggiana, 1976, pg. 31). Intanto perché l'autorecita nientemeno che Plauto (Neque gutta certi consilii = quinon c'è neanche il minimo di buon senso), poi perché il ter-mine latino Negotium è passato direttamente in dialetto conNeqòsi, termine che riguarda il locale commerciale, mentreper la contrattazione si ricorre a nequsiàr, nequsìànt. Però,ritornando al lombardo, lo stesso Cavalieri cita un Vocabola-rio Milanese-Italiano del prof. Sanfi (II~ ed. 1870) secondo ilquale Negott o Negotta equivale a niente, ma sempre attra-verso il latino Gutta. In tal caso il processo sarebbe lo stessoin Lombardia e da noi. Ripeto però che in fatto di etimologiadi certezze ve ne sono poche.

ArèlaDi per sé l'Arèla èuna canna palustre,ma spesso s'inten-de, con quel nome,il prodotto di uninsieme di canne,quali una stuoia, ungraticcio o recinto,uno strato di canneapplicato ai soffittiper sagomarli, dareloro una curvaturaper ottenere vele ovolte, in modo dapotervi applicarel'intonaco. Il termi-ne si può facilmentericondurre al latinoaruntiella, diminu-tivo di arundo (oanche harundo) =piccola canna. Unacuriosità: per i latini il termine

indicava anche uno zufo-lo o l'imboccatura dellazampogna (Palazzi}. An-che noi facevamo dellepive con qualsiasi tipo dicannuccia.Non mi considero lon-tano dal vero se ritengoche derivi da questo ter-mine anche il nome diRondinara. Dall'agget-tivo (h)arundinàrius (=produttore di canne, cheal neutro plurale fa arun-dinària), si arriva facil-mente al nome propriodella località. Trovandosilungo un ruscello Rondi-nara avrà avuto, da sem-pre, floridi canneti.

ArdusirAbbondante è la messe di si-gnificati: ridurre, riunire, racco-gl iere, ricondurre, rimpicciolire,mandare in miseria. Il termine ècomposto dal prefisso Ar (che dàil senso della ripetizione) e dallaradice dusir , discendente diret-ta del latino dùcere = condurre,guidare, governare. Prevale però,nel dialetto, il senso di riunire inun unico luogo. E questo potevacapitare con gli armenti (ardusiral pègri), con la pulizia dei ter-reni (ardcstr al bràchi, i s.às.),coi propri cari (ardusir lafamìa).Nella forma riflessiva il termineindica situazioni deprecabili siadal punto di vista fisico (al s' éardusf màl, al s'è ardusf pèla eÒs.), sia da quello morale tcùmat'ét ardusf?), oppure un ritorno acasa, in famiglia, o alle usanze diun tempo (arduèis a ca').

Donne di Vedriano in-tente a fare il bucato(foto Cavallari, 1940circa).

ArèntVicino, a contatto, in prossimità.Ancora una volta bisogna ricor-rere al latino, al verbo Ràdere,che, oltre al significato di rasa-re, raschiare, ha anche valoredi rasentare, sfiorare. Partendodal participio presente Ràdensarriviamo all'avverbio italiano aradente, che, per sincope, diven-ta a rènt (ar) (ad)ent(e). E nonci lusingava molto, nell'infanzia,sentirei dire: "I' t' pàs: d'arèntì",Significava rischiare un assaggiodi strupèt o altri poco graditi stru-menti flessibili!

ArghìgnRivolta, ribellione, insubordina-zione. Il termine esprime l'esplo-sione di rabbia fino a quel mo-mento repressa. Come la maggiorparte dei vocaboli composti dalprefisso Ar e da una radice, in-dica un gesto ripetuto nel tempo.Nel caso specifico: Ri-ghignare.Si risale al verbo ghignare, infrancese guigner [Devoto, Co-lonna]. A sua volta questo verboderiva da Kìnan (in antico ger-manico = sorridere) [Pianigiani]se non addirittura dal latino popo-lano cachinnari (= sghignazzare,ridere senza ritegno). Gli etimo-logi però non sono concordi se

Foto archivio don Vasco Casot-ti.

non nel fatto che il verbo esprimeuna deformazione del volto (perriso, per dolore o per scherno) eche il vocabolo è arrivato a noiattraverso il provenzale Guinhare poi il francese Guigner.

ArgojOrgoglio, alterigia, vanto, boria,superbia. Anche in questo casola parola ha un percorso lungo egli etimologi si stiracchiano l'unl'altro i vestiti per evidenziare lapropria opinione in merito. Preva-le l'idea che il termine sia giuntoa noi attraverso il franco (orgoli)e poi il provenzale orgolh. A ti-tolo di informazione ricordiamoche c'è chi lo fa risalire al grecoantico òrghilos (irascibile), e chiall'antico alto tedesco urguòli,o urgòli (= insigne, fastoso).Resta un fatto: questo termine

è presente fin dalle parlate piuantiche in Provenza (orgolh, or-guelh, orgoil), nel francese anti-co (orgueil), nell'antico catalano(orgull), nello spagnolo (orgullo),nello spagnolo antico (ergull, ar-guyo), nel portoghese (orgulho),nell'anglosassone (orge).

ArlechinStravagante, incoerente, burat-tino. E il nome dato alla ma-schera della commedia dell'arte.Sull'origine del nome vi sonoteorie diverse. Qualcuno lo col-lega al demone citato da Dantenell'Inferno (XXI, 118 - XXII,]]2), Alichino, nome derivatodal germanico Helle, o Holle (=spettro, inferno) da cui il france-se Hellequin. Questo appellativosarebbe poi passato a un perso-naggio della commedia dell'artee, in seguito, assunto da un gio-vane acrobata italiano che recitòin Francia sotto Enrico II!. Altripreferiscono la versione di un so-prannome dato a quell' attore ita-liano mentre in Francia frequen-tava il signore De Harlay. Lamaschera fu poi trasferita nellacommedia italiana sotto l'aspettodi un servo bergamasco e, infine,utilizzata dal Goldoni. Il carat-tere instabile e stravagante della

maschera viene evidenziatodall'abito.

ArIìaRabbia, nervoso, dispetto. Equi il cammino si fa davveroarduo visto che tra le traduzio-n i non ve n'è una che assomi-gli, per suono o per grafia, aquella dialettale. La Castellinicollega il nostro vocabolo alportoghese Arelia, che signifi-ca dispetto. Più laboriosa è laspiegazione di Bellei che pre-ferisce la strada del latino. Ilverbo hariolari vuoi dire: par-lare a vanvera, fare l'indovinoin senso dispregiativo (il nostrostròlghe). Da questo compor-tamento sarebbe derivato l'ap-pellativo di impostore, ciarlata-no, affermatosi nel medioevo.La spiegazione sottintende unfondo di superstizione. Sempre

il Bellei cita anche un 'altra pa-rola latina, redùvia, traducibilecon pellicola o pipita (le pellici-ne che si sollevano di fianco alleunghie), che nei diversi passaggisarebbe diventata reIìvia poi, indialetto, arIìa.

ArnèsArnese, strumento da lavoro; tipostrano. Pare di assistere ai fuochipirotecnici. Alcuni, fra i qualiDevoto e Rusconi, fanno derivareil termine dal provenzale Arnes,poi dal francese antico, Hernèis(= armatura, sia del cavallo chedel cavaliere); Colonna e Pinicitano il termine germanico Hèr-nest (= Provvigioni per i soldati);la Castellini si rifà ad un termineanglosassone Harness (= qual-siasi strumento da lavoro); Belleipropende per Hernest, ma ag-giunge che tale termine è giunto anoi latinizzato in Arnèsius (pre-sente in Sicilia, 1J86). •

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ETIMOLOGIA DIALETIALE/PARLACOME MANGI

Olio di gomito e alséja,altro che lavatricel

di Savino RabottiAlbi,AibiAbbeveratoio, trogolo, beccatoio.Di legno, di pietra o di cemento,serviva per somministrare il bere,a volte anche il cibo, agli animali.Per lo più era a tiro per le galli-ne, ma uno particolare era situatoall'interno dello stambio del ma-iale ove si versava la giotta. Gnira l'albi era la frase che indicavacome, all 'ora di pranzo, tutti siavvicinavano alla tavola senzabisogno d'essere sollecitati. Ber-leciir l'albi equivaleva a pulire ilpiatto, non lasciare nulla, un po'perché la fame era tanta, un po'anche perché il cibo era piaciuto.Il termine deriva dal latino classi-co Àlveus, che indica il letto delfiume, ma, per similitudine, de-scrive qualcosa di concavo entrocui può stare un liquido, come unbacino o un vasca (Pianigianiy.Nel latino popolare diventa giààlbeus e poi àlbius. Nel 1200 tro-viamo un aibus nel dialetto bolo-gnese (L. Serra in Reggiostoria n.115).

Alsìa, o AlséjaLisciva, ranno. Sopra un grossomastello di legno, pieno di pannida lavare, si poneva un telo e su

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questo molta cenere. Si facevabollire una grossa pentola di ac-qua poi la si versava sopra allacenere. Si lasciava il tutto a molloper un certo tempo poi si facevauscire la lisciva. La conseguenzadi questo procedimento era unbucato pulitissimo e profumato.Di lisciva e di pulito, logicamen-te. La lisciva era viscida al tatto.Il termine deriva dal latino AquaIìxa = acqua bollita, e più precisa-mente da Iix, Iìcis = acqua mistaa cenere (Pianigiani), ed ha unnesso col verbo Liquère e l'ag-gettivo Iìquidus (Devoto).

ArgèntArgento, colore grigio metallico;denaro. Sotto quest'ultimo aspet-to i nostri vecchi dicevano cheAlmartel d'argent (il denaro) alrèva 'l porti d' fèr; cioè: col dena-ro si ottiene tutto, E' conosciutofin dall 'antichità e usato per faremonili (in Egitto ne sono stati rin-venuti alcuni risalenti al 4000 a.C.) oppure moneta tun'iscrizionedel 3500 a. C. dice: Una parte dioro è uguale a 2'12 parti d'argen-to). E col significato di denaro(argent, pronunciato alla fran-cese) è ancora usato nella vicinaTraversetolo. Il nome di questometallo è arrivato a noi dal grecoArgyrion attraverso il latino Ar-

gèntum, e significa: che riluce.Ma sembra che gli antichi aves-sero un termine comune per indi-care il metallo. In sanscrito suona:Argunas = splendente (Pianigia-ni). Durante il medioevo fu dettoargento vivo il mercurio. Ma pernoi l'argèni v/v è un 'altra cosa.Lo sanno bene le nonne impegna-te a custodire i nipotini irrequieti.

ArgumèntArgomento, tema di un discorso,elemento persuasivo. Argomen-tazione in un dibattito. E' la tra-sformazione popolare del latinoArgumèntum (Pianigiani, Devo-to) = spiegazione, dimostrazione.Il sostantivo latino deriva in lineadiretta dal verbo Argùere, tra icui significati vi è quello di di-mostrare, ma anche quello di farbrillare.fare risaltare, attraversol'uso della ragione (Colonna).Dallo stesso verbo latino derivaanche arguto e arguzia, prerogati-va che sembra avereallignato bene tra lagente di campagna.Per esempio il ran-dello dei militi fa-scisti era detto, conironia, argomento.

ÀriaAria, come elemen-to; ma anche at-teggiamento, posa,boria, alterigia; eancora: moti vettomusicale. Il terminerisale al greco Àer,passato in latinocon Aera, poi viavia modificato inàrea e in fine in ària(Devoto). Diis dagliàrii = essere vani-toso. Butàr a l'ària= Scaravoltare deglioggetti; stravolgereun ambiente; man-dare a monte un im-pegno.

ArlojOrologio, anchemanometro o stru-mento di precisione.Persona rigorosa epuntuale. Dal gre-co hora (= tempo, stagione) elòghion = che legge il tempo.Anche in latino era horologium.Le forme e le applicazioni sonoinnumerevoli. Già gli egizi e i ba-bilonesi disponevano di strumentiper la misurazione del tempo. Inoccidente greci e romani si sonoserviti della clessidra e dellemeridiane. Ma la fantasia degliinventori ha prodotto orologi datorre, da appartamento, da brac-cio, da taschino, da mobile (sve-glie), di precisione o cronometri,di controllo (per le fabbriche), amolla, a peso, elettrici o elettroni-ci. Esistono inoltre orologi a mer-curio, ad olio, a sabbia.

ArmàriArmadio, mobile per vestiti. Macon questo termine si indica an-che una persona alta e robusta. Ilatini avevano un ripostiglio ovetenere le armi nei momenti di

pace o di pausa. Questo locale erachiamato Armàrium, vocabolopassato pari pari in dialetto conArmàri. Lungo i secoli ha avutoalcune variazioni per l'italiano ele lingue neolatine, quali arma-dio per l'italiano, armoire per ilframcese (Pianigiani, Devoto). Eanche per la destinazione d'uso(non più armi ma vestiti).

ArnègaPuzza, odore nauseante. La paro-la è diffusa nel Castelnovese e nelCarpinetano. È una voce verbalediventata sostantivo senza altera-zioni. Deriva dal latino Re-necà-re, che in latino significa: tornaad uccidere. Perché iI verbonecàre significa appunto uccide-re. el nostro caso si tratta dellaterza persona singolare dell'indi-cativo presente: re-nècat, A ghé'na pusa cl'amèga = c'è un feto-re che fa stare male. Quindi nes-suna relazione con rinnegare.

ArpaStrumento musicale, di forma ap-prossimativamente triangolare, acorde (42/46), da suonare a manopizzicandola. Era già nota presso ipopoli antichi, dagli egizi ai babi-lonesi, agli ebrei, ai greci e latini.Questi ultimi però la ridussero divolume fino a trasformarla in ce-tra. Il nome attuale deriva da untermine nordico, chi dice franco,chi germanico, strumento diffusocomunque tra i popoli anglosas-soni che lo utilizzavano molto(Venanzio Fortunato, scrittoredel Vl" secolo d. c., nato a Trevi-so e morto vescovo di Poitiers, lochiama strumento barbaro). Allabase ci sarebbe la parola del tardolatino Harpa (o Harpha) (Piani-giani), che però in origine indica-va uno strumento agricolo, l'erpi-ce (Herpex) [Devoto). E qui glistudiosi si dividono. C'è chi vede

nel latino Herpex (erpice) un col-legamento col sannita Hirpum= lupo, i cui denti, nella fantasiapopolare, assomigliano all'erpice[Colonna]. A titolo di curiosità sicita anche l'Arpa eolica, una ver-sione molto semplice (8/10 corde)da sistemare in una zona ventosa,le cui corde sono mosse dal ventostesso "che fa loro produrre unsuono gradevole" (Palazzi).

ArpicajàsE' un'espressione diffusa nel ca-stelnovese ed indica un individuoche se l'è cavata a malapena dauna malattia grave. Più che l'eti-mologia è interessante l'immagi-ne retorica che il verbo contiene.In conclusione significa che l'in-dividuo in oggetto è riuscito ariattaccarsi all'albero della vita.I frutti sono collegati all' alberotramite il Picàj, il peduncolo, colquale restano solidali all 'alberofino alla piena maturazione. Pe-

Lavandaie al fiume (foto archi-vio don Artemio Zanni).

dùnculus è il diminutivo di Pès= piede. E come gli esseri dota-ti di gambe comunicano con laterra attraverso i piedi, i fiori efrutti degli alberi comunicanocol terreno attraverso il picciolo ela pianta. Per il nostro termine ècome se un frutto caduto a terraprima del tempo venisse riattac-cato all'albero per continuare lamaturazione. Il termine dialettalePicàj è la trasformazione del tar-do latino pedìculus, poi diventatopeciòlus, piciòlus, picùl, picài.Esiste anche il verbo Picajàr colsignificato di ciondolare, bighel-lonare, non concludere nulla dipositivo.

ArsiArgine, contrafforte, riparo. L'usodi tale parola investe diverse si-

tuazioni: argine del fiume, siache si tratti di manufatti destinatia regolamentare il flusso dell'ac-qua, sia che si alluda alle spondealte e scoscese. Argini sono anchequelli di un campo, che delimita-no il confine e creano uno staccodal terreno circostante. Possonoessere la conseguenza di mate-riale di scarto portato ai limiti delterreno per togliere ostacoli allacoltivazione o per rendere piùagevole la parte bassa del campo.Nei castagneti invece gli arginiprendono il nome di Roste. Il loroscopo principale è quello di fer-mare le castagne quando cadono.Il nome argine deriva dal latinoantiquato Arger, poi nel classi-co Agger, a sua volta derivatodal verbo Aggere = accumulare,portare. L'Agger era anche il ter-rapieno di difesa costruito attor-no all'accampamento romano eprovvisto di diversi accorgimentiper una difesa più sicura (fossaticon acqua, paletti di sbarramento,trabocchetti).

ArsuraArsura, siccità, sete. E non eradi certo gradevole, specialmenteper chi, in campagna, viveva deiprodotti della terra. Significavavedere andare in fumo il lavoroe le fatiche di un intero anno. Ar-sura infatti rimanda direttamenteal verbo latino Ardere = brucia-re, abbruciacchiare. Il sostantivoArsura compare nel latino tardo,per passare poi ai dialetti. Arderecorrisponde al nostro Bruciare.L'effetto dell'arsura è proprioquello di bruciare: campàgnabrusàda; a m' brasa la giila;bruià dal sul, ecc ...

Artìcle, Artìchel, ArtìculArticolo grammaticale; capo divestiario o altro prodotto com-merciale; soggetto strano; ca-poverso di un codice; elaboratogiornalistico. Il diverso significa-to lo si capisce dall'espressionedi chi parla: Un briit artìcle è unindividuo poco raccomandabile.Un artìchel ciir è un capo o unprodotto costoso. Ritorniamo 1In-che in questo caso al latino. Ar-tus significa arto, articolazionedel corpo (braccia, gambe), che aldiminutivo fa Artìculus. Per me-tafora poi è passato ad indicare leparti di un discorso, i capi di leg-gi, un brano su un giornale o su unlibro, ecc ...

ArtigiànArtigiano, lavoratore autonomo.Nel Carpinetano il termine in-dica anche i pozzi artesiani, macon questo significato è più usatoArtiSian. Si parte dal sostantivolatino Ars = tecnica di un me-stiere, arte, inventiva. Col suf-fisso giànus si passa ad indicarecolui che esercita un mestiere. Inlatino, e giù giù fino al Rinasci-mento, ogni mestiere veniva con-siderato un'arte, e chi insegnavaun mestiere ne era il Maestro (poiMastro). Per i pozzi artesiani bi-sogna risalire al francese Arté-sien, aggettivo riferito alla cittàdi Artois. •

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Avril, 101 idè un barìl

di Savino RabottiArtriteArtrite, dolore alle ossa o allegiunture. Col tempo gli arti subi-scono una deformazione che nerende difficoltoso l'utilizzo. I no-stri nonni le definivano anche aldoji. Il dolore infatti è fastidioso econtinuativo quasi come le dogliedel parto. Il termine artrite ha unantenato in greco, Arthrìtis, tra-sferito alla lettera nel tardo latino:arthrìtis. In greco Arthron, dacui deriva il nostro vocabolo, in-dica le articolazione, le giunture,gli arti. I latini chiamarono que-sto male anche Gutta, la nostragotta, perché credevano che dallacavità delle ossa colasse a gocceun umore che produceva il dolore(Pianigiani, Devoto). Che le artri-ti si debbano curare con il caldoè scontato, ma ce lo ricorda unproverbio: "Ad hlj sta cuntènt eCItra al doj" (In luglio sta conten-to e cura le artriti).

ArturnàrRitornare. Ripetersi di eventiperiodici. Rivangare situazionipassate. Ritornare col pensierosu fatti o parole passate, che peròhanno lasciato una traccia dentrodi noi. È un verbo che contienetroppe situazioni, legate magarialla nostalgia (arturnàr a ca'), alrancore (urturndgn sùra), al de-siderio di rivedere vecchi amici(Arturnàr a catàr = ritornare avisitare), o al ripetersi di fenome-ni atmosferici (l'artùma al sul =

GGTM

rasserena; l'artiirna al càld, alfrèd, ritorna il caldo, il freddo).Ma questo concetto di girare e ri-girare da dove deriva? Ancora unavolta risaliamo al latino, al verboTornàre, che in origine significa-va Tornire, usare il tornio, quindigirare intorno ad un oggetto permodificarlo (Devoto, Colonna,Rusconi). Poi è passato ad indi-care il ritorno, l'inversione delcammino. Si tratta di un termineancora presente nelle lingue neo-latine (spagnolo = retornar, fran-cese = retourner, provenzale =retournar) e anche in inglese = toreturn [Pianigiani]. Ricordo conquanta insistenza i nostri nonnichiedevano al parente o all'amicoin procinto di andarsene: "Artur-ne!" (Ritornate a visitarci].

ArugànsaArroganza, prepotenza, sopraf-fazione. Si tratta di una paroladi derivazione latina, compostadalla preposizione ad e dal ver-bo Rogare. In origine significavachiedere qualcosa a favore diqualcuno, ma poi il termine si ècontaminato a tal punto da pas-sare ad indicare prima petulan-za, poi prepotenza, caratteristicapoco piacevole di chi pretende adogni costo di prevalere sull'inter-locutore. E questo è un saggio dicome certi termini si deteriorinolungo i secoli. Presso i latini in-fatti, in origine, il verbo Adrogare(poi arrogare) indicava la volontàdi adottare qualcuno chiedendo ilpermesso al popolo [Pianigiani].

ArvìaVeccia, pisello selvatico. Il ter-mine evoca l'idea di qualcosadi attorcigliato. Partiamo, comeal solito, dal latino, da Ervum(veccia, legume), il cui diminu-tivo diventa Ervìlium, al neutroplurale Ervìlia. Lungo il cammi-no è scomparsa la E iniziale, e ilgruppo ilia s'è fuso in ia ('rvìa).Ma era difficile da pronunciare, eallora si è inserita la A eufonicaall'inizio ottenendo il vocaboloattuale Arvìa.

ArvinaRovina. Disastro. Tracollo finan-ziario, fallimento. Macerie. Tutticoncordano col partire dal verbolatino Rùere che significa: roto-lare, crollare, precipitare, abbat-tere, cadere, gettare fuori. E finqui tutto bene. Qualcuno peròosa andare oltre, arrivando finoal sanscrito Rauti (= fracassare,distruggere) [Colonna, Rusconi,Pianigiani che cita Fick], o aduna radice Ru/ru, attestata nelleregioni baltiche e anche in quelleindiane [Devoto l, o ancora al gre-co Rèò (scorro) [Bopp, citato daPianigiani]. Tutti questi terminihanno, come effetto onomatopei-co, il senso di rotolare, di preci-pitare. Dalle conseguenze di som-movimenti, s ismi o frane pren-dono nome alcune località, tra cuiRovina, presso Castelnovo.

ArvisèriaSomiglianza. Tratti somatici diuna persona uguali a quelli diun'altra. Alla base c'è il verbolatino Vidère, che al participiopassato fa Visus da cui derivaun'intera famiglia di parole qua-li visione, vista, viso, visuale,ecc ... Arviseria diventa la so-stantivazione di Vedere, cioè ilrivedere nel volto di qualcuno itratti di altra persona. [n qualchecaso il termine indica somiglian-za non legata al volto: "Al gh'hai'arviièria d'èsre un bùn cun-tràt" (Mi sembra un buon affare).

Arvo]Groviglio, intreccio. In passato iltermine indicava anche il cercine,una specie di anello-cuscino chesi poneva sul capo per trasportaresecchi d'acqua, panieri per il bu-cato, l'asse per portare il pane alforno, o altri colli. Questo sistemaesigeva equilibrio e sicurezza, mapermetteva di vedere il percorsospesso accidentato. Deriva dalverbo latino Re-volvo = ri-avvol-go. Il cercine era detto anche Alcroj.

AsasinAssassino, killer, sicario. In dia-letto indica anche chi sperpera ibeni senza criterio, o chi tradiscela fiducia. Il termine deriva dauna situazione storica secondola maggior parte degli etimolo-gi: i seguaci del Vecchio dellaMontagna, fondatore di una settamusulmana operante a Damasco eAntiochia tra l'XI e il XIII secolo,assumevano hascis (una bevandaricavata dal!' infuso di canapa sec-ca), il cui effetto era di inebriaree alterare la ragione. Dopo avere

assunto tale bevanda i seguaci delVecchio si producevano in assalti,grassazioni, uccisioni (Colonna,Pianigiani), Ne parla anche Mar-co Polo. Il termine (scritto Assa-ci) è arrivato in occidente dopo lapresa di Gerusalemme del 1099.Il termine è di origine araba (ha-scìsc = erba secca) e oggi indicaun allucinogeno.

AsènsiaAscensione di Nostro Signore alcielo. L'origine del termine è fa-cile: dal latino Ascènsio = salita,ascensione. Ma ci soffermiamosul vocabolo perché questa festaassumeva una particolare solenni-tà legata alla tradizione delle Ro-gazioni. In pianura per l'occasio-ne si faceva una processione fra icampi con lo scopo di invocare laprotezione divina sui raccolti, e siponevano le croci con l'ulivo be-nedetto (Bertani), cosa che da noiavveniva il 3 maggio. Da noi lacroce veniva conficcata nella par-te alta del campo lavorato, mentrein pianura veniva legata ad un al-bero con uno strupèt.

ASìjLi rivedete gli animali domestici,mucche soprattutto e bestie dasoma, partire all'impazzata lungoi pendii per liberarsi da quell'in-setto piccolo ma tanto fastidiosoquale è il tafano? L'insetto in di-scussione è vecchio quanto l'uo-mo, meglio, quanto il contadinovisto che a costui soprattutto davafastidio. Per indicarlo esiste inlatino un vocabolo, Asìlus, men-tre i greci preferivano chiamarloestro. Asilus diventa poi assillus= tormento. Virgilio (di cui si diceche da ragazzo venisse a pascola-re nei boschi di Marola) descrivecosì l'effetto prodotto dall'Assìl-lus. " ... C'è un frequente alato,il cui nome è l'assillo, al qualei Greci cambiarono nome chia-mandolo Estro, aspro, che mandaun acuto ronzio. Ne sono atterrititutti gli armenti e fuggono qua elà per le selve. Rimbomba l'ariapercossa dai muggiti ..." [Georgi-che, libro /Il, vv. /46-/51l. Comespesso accade, il contadino trasfe-risce questa situazione anche nelmondo degli uomini quando uno

di costoro si mostra inquieto oagitato. "Gh'ét l'aitj?" era la bat-tuta (da intendere non solo comedomanda ma anche come costa-tazione), rivolta a chi dimostravanervosismo, sia che ciò fosse do-vuto a rabbia o ad innamoramen-to. Concetto, quest'ultimo, sin-tetizzato nel proverbio "Quandol'amore c'è, è la gamba che tirail piè",

AspaAspo per confezionare le matasse.Un popolo che vive in paesi fred-di ha bisogno di abiti consistenti.Di conseguenza sviluppa l'artedel tessere con tutti i passaggi,dalla tosatura della lana alla suatrasformazione in panno. I Lon-gobardi (ma c'è chi attribuisceil termine ai Goti {Devoto] chiall'antico tedesco (Pianigiani])erano popoli originari dei paesifreddi. Per loro lo strumento inquestione assomigliava a qualco-sa che si agita, che annaspa, e laparola Haspa esprimeva bene taleconcetto.

A Ufa,A ofaA ufo, a sbaffo, gratis, a scroc-co. Dice il proverbio latino: Totcàpita, tot sententiee = I parerisono tanti quante le persone pre-senti. Pianigiani propende peruna derivazione dal gotico Ufjonche significa abbondanza. Ma citaanche altre possibilità quali l'ab-breviazione di Ab ufficio (A(b)uf(ici)o], indicando la corrispon-denza burocratica che viaggiavaesente da tasse. E questa inter-pretazione ha il beneplacito dellaCrusca. Vi è anche chi timida-mente accenna all'ebraico 'Efes= gratuitamente (Citato da Colon-na). La versione più accreditata èquella che vi vede una sigla: AUF= Ad Usum Fabricee: era la siglache Gian Galeazzo Visconti face-va apporre alle pietre trasportatedal Lago Maggiore a Milano perla costruzione del Duomo (Co-lonna). Devoto invece si limitaad una espressione onomatopeicalegata allo sbadiglio.

AverCome verbo significa: avere, pos-

sedere, dover fare, essere credito-re. Come sostantivo indica i beniposseduti. Anche in questo casoabbiamo una fioritura di opinionidiverse. Qualcuno risale ad unaradice indoeuropea Sha, che poi siè mutata in Hab, col significato ditenere (Pianigiani). Altri si rifan-no ad una radice nordeuropea (cel-tica) oppure tosco-umbra Gha-b= portare (Colonna, Devoto).Tutti comunque arrivano al latinoHabére che ha gli stessi significa-ti dell'italiano ed ha dato originea molti derivati, quali abito, abi-tudine, abitare, abbiente. I nostrivecchi comunque ci ammonivano,a scanso di brutte sorprese, che:"L'é méj aver che aver da aver".

AvriiAprile, quarto mese dell'anno. Eancora una volta gli studiosi sonodivisi. Concordano solo nel direche il nome indica un mese dedi-cato ad una divinità, com'era con-suetudine presso gli antichi. I più(Pianigiani, Rusconi) pensanoche il nome sia arrivato in latinodal greco, ma attraverso l'etrusco.In greco Aphròs significa schiu-ma. Poiché la leggenda dice cheVenere (in greco Afrodite) è natadalla schiuma del mare, questopotrebbe essere il mese dedicatoa Venereo Altri autori pensano cheil nome derivi dal verbo Apertre,riferito allo schiudersi della natu-ra. E quest'aspetto sembra essereil più vicino alla mentalità agrico-la. Ma noi lo ricordiamo, oltre cheper il dolce dormire o per gli ac-quazzoni (tu-c i dì un barfl), an-che per la tradizione, sopravvis-suta nei secoli, del pesce d'apri-le, ossia: Purtàr al cuch, Da quil'adagio: Pr'al prim d'avrtl, tu-ci cujiin i' van in giro

AvtùnAutunno. La maggior parte deglistudiosi si rifà ad un verbo latinoarcaico, scomparso, Àutere chesignifica rinfrescare (Devoto).Altri preferiscono l'altro verbo la-tino Augère = aumentare, accre-scere. C'è anche chi parla di unnon precisato vocabolo etrusco.(Rusconi, Pianigiani, Colonna).E' vero, in autunno si raccolgonotanti frutti e c'è anche l'estate diS. Martino, ma c'è pure la cadutadelle foglie e giornate nebbiose epiovose che inducono malinconia.

AvucàtAvvocato, difensore. Persona lo-quace. Imbroglione. E qui c'è uni-formità di opinione. In latino Ad-vocàtus è colui che viene chiama-to come assistente durante un pro-cesso. Si parte dalla preposizioneAd (vicino, presso) unita al verboVocàre = chiamare. Quindi chia-mare vicino a sé. Certo l'opinionedella gente non è del tutto favo-revole a questi professionisti: Méjun top in buca a un gàt - che uncliènt in màn a un avucàtl I siòche j'ustinà i' fàn rìch i avucàt. Enemmeno sono tutti concordi sul-la preparazione di costoro: L'él'avucàt Desniiv, ch'al n'ha maivintl, giocando sull'equivoco diquel vint che può essere numeroo participio passato. •

EXNaziorRegia:Fabio ITramablemi:figli e (travaglte inqi,fatto nun "fosituazuad un I

movirmIl regisre dopcco al Ctoqratì,specialNeri Pase fictilNotte tpremia1critica (nel casaver COItre 10 npure lala critiall'italiacio comtrattandmetricabilità diche ciroaccorgirbene. usorprenr

COSMNazione:Regia: SIRaschilliTrama: Ialle coetsta, comre, purtnallo spazcon la gLtinua a rete insoftee del fratla regisspecialìz:so la "seAngelesneqçiatu:con cortoblicità e IMoretti 9backstaqcon quesche comericonoscirla crìtìctempi in,za" sembregisti (MIuna storiain un temidi anni fradall'immaideologiead una dicoetanei, éne esce urricorso sisLuce, coin

ETIMOLOGIA DIALETIALE/PARLACOME MANGI

Meglio evitare chi ha'I bercilil ad travers

di Savino RaboUiBàsel, bàsle: bàggiolo, traver-sino di legno, arcuato, con duetacche alle estremità, usato pertrasportare secchi, canestri o al-tri colli simili. Il termine italianobàggiolo ormai è in disuso. Per dipiù, in passato, poteva indicareuna leva, un palanchino o anchealtre soluzioni, come il soste-gno dei graticci su cui venivanoposti i bachi da seta o la frutta astagionare (Bellei), o ancora desi-gnava un non meglio identificatoelemento architettonico (Ferrari-Serra). In latino il bàjulus era ilfacchino, dal verbo bajulàre =trasportare. Possiamo immagi-nare che lungo i secoli la J abbiapreso sonorità fino a diventare S.C'è anche chi azzarda collegare aquesto termine il vocabolo bàlio(educatore, tutore di minore),come se si trattasse di trasporta-re un essere indifeso dall'infan-zia fino alla maturità. Teoria cheperò non convince. A noi, nati inuna certa epoca, è andata bene!Perché? In passato era importan-te che il bàsel svolgesse solo lafunzione di mezzo di trasportoe non quella di procurare clientiall'ortopedia. Tra le minacce piùo meno persuasive c'era anche:"Dro via al bàsle"?

Bàst: basto, supporto applica-to alla schiena di muli e somariper il trasporto di cose varie. Eci risiamo. Quanto più la parola

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sembra nostrana tanto più c'è dalambiccarsi il cervello per trovarequalcosa di concreto come puntodi partenza. AI momento il termi-ne più sicuro sembra il verbo gre-co bastàzein (tra i cui significatitroviamo: sostenere, sorreggere),anche perché dal termine cita-to derivano bàstagma = carico,e bàstax = somiere (vocaboloforbito per dire somaro, portato-re di soma). Cito, per sempliceinformazione, le altre ipotesi: intedesco bast significa corteccia.Forzando un tantino l'immagi-ne ci si può avvicinare alla for-ma del basto. In persiano anticopust indica il modo di adattareal proprio corpo un peso (per lopiù un sacco). In arabo abbiamobardahàt, ricollegabile al nostrobardare (Pianigiani). Ma la primaidea resta la migliore, confortatidal passaggio del vocabolo nellelingue neolatine (bàt in proven-zale e francese attuale, bastais incatalano, bastage in spagnolo). Inpassato esisteva anche il termineitaliano bastèrna per indicare unaportantina.

Bèldra: il termine indica indistin-tamente animali dannosi al polla-io o al granaio, come la donnola,la lontra, la faina, la puzzola. Bèl-dra infatti è un nome generico,trasformazione del latino bèlua,poi belva, che si può tradurresemplicemente in bestiaecia, be-stia feroce. Per alcuni studiosi(C. e B. Ricchi) il termine sarebbearrivato a noi attraverso la parola

veltro, il cane velocissimo citatoda Dante (Inferno, 1,101). Il con-tadino è più attento ai risultati chealla precisione scientifica, quindichi lo danneggia è semplicemen-te una bestia selvaggia. Già checi siamo diciamo anche l'originedegli altri nomi: dùnla (donnola)deriva da Dò(m)nula, diminutivoironico di domina (signora) chepotremmo tradurre col nostro si-gnorinel/a per le forme aggrazia-te dell'animaletto. La faina è cosìdetta, sempre in latino, dall'ag-gettivo fagina, cioè ghiotta disemi di faggio. La spésla deveil proprio nome all'odore nause-ante che emana. In latino tardofa putàcius, puzzolente, dal ver-bo classico putére (puzzare). Indialetto questo termine è arrivatotramite l'italiano, con l'aggiuntainiziale di una S rafforzativa. Ilnome della lfintra è legato all'ac-qua. Dal greco ènydris (acquati-co), attraverso il latino lutra, an-che se l'origine del termine vienericondotta al sanscrito hydra.

Bercizil: berrettino, cappelli-no, basco. A volte è sinonimo diumore: "AI gh'ha (I berciul adtravèrs" = è di cattivo umore.Pianigiani cita due correnti di-verse di studiosi. La prima pensache il vocabolo derivi dal grecopyrros (rosso, color del fuoco)spiegando così la cosa: il colorerosso era quello di stoffe per faresopravvesti o cappucci. Dal gre-co si passa poi al latino birrus,poi birrètum, se non addiritturaa berretum. Per altri deriverebbedal francese barre (barretta) par-tendo dal fatto che si costruivanocappucci a forma di piramide, icui lati di base erano tenuti rigidida barrette (un fac simile dell'om-brellino). Prevale comunque laprima versione, con l'evoluzionedel termine da berrétum a berre-ticulum, a bertreuiùculum fino abercùil.

Bifirca: biolca, misura di terre-no. L'estensione di quest'area inpassato differiva a seconda deiterritori. A Reggio una biolcaequivaleva a 2.922,2 mq; a Mo-dena 2.836; a Mantova 3.138,59;a Ferrara 6.523,93. Preso alla let-tera il termine bibulca (l'antenatodi biolca) significa: il terreno cheun bifolco può arare con un paiodi buoi (bis boves) in una giorna-ta. E qui si parte direttamente dallatino fondendo i due termini bòs(= bue) e il verbo colo (= io col-tivo), quindi aro servendomi deibuoi (Pianigiani). Gli studiosi del1800 hanno spaziato fino al grecoe al sanscrito con riflessioni ancheinteressanti, ma per stavolta ve lerisparmiamo. Preferiamo far co-noscere quest'altra informazione:nell'alto Medioevo esisteva unastrada, detta anch 'essa via Bibul-ca, che dalla Garfagnana scende-va lungo il Dolo, forse fino a Cer-redolo di Toano, per poi deviarein direzione di Carpineti. Anchein questo caso la figura dominanteè la coppia di buoi che percorronoappaiati la strada. Doveva trattar-si, insomma, di una specie di au-tostrada di quel tempo.

Bifirch: Bifolco, uomo di fatica,ma anche responsabile della stal-la e della conduzione del podere.L'origine della parola è la stessadi bifirca. Non di rado il termineindicava semplicemente il capo-famiglia, cioè colui che dovevadimostrarsi capace di condurre ilpodere della famiglia e farlo ren-dere al massimo. elle famigliepatriarcali però il ruolo del biùrch.non andava confuso con quellodel resdùr. Quest'ultimo era su-periore a tutti in famiglia.

Blèdghe: solletico. E qui si fadura. Pianigiani riporta il pareredi diversi autori: Galvani pensaal latino allettare o dilettare;Muratori vi vede sollicitare; Fer-rari, Diez e Flecchia si rifanno alclassico latino titilIare. Colonna(che però cita anche la teoria delMuratori) preferisce il verbo sub-titilIicare. La stessa cosa pensaanche Cavalieri, mentre Devotosi limita ad una voce recente (XVsec.), ma già italiana: sollecitare.Più convincente sembra l'inter-pretazione del Minghelli, il quale

parte da bi-Ieticàre per arrivarea velleticare (stuzzicare, provo-care) e al sostantivo vellèticus,presente nelle forme dialettali inLiguria, in Corsica, e in diversezone emiliane. E quest'ultimasembra la più verosimile per lafacilità di passare da vel/etieus abel/etico, poi a blèdghe.

Brunsa, Brunsina: pentola ingenere. Ma di solito si vuole in-dicare quella per cuocere la mi-nestra. oi eravamo abituati aquelle panciute di alluminio o, almassimo, di rame (più note peròcome al parlèti). Oggi abbiamoquelle speciali, inox e a doppiofondo, a batteria, a pressione,e via dicendo. Vengono dettebrùnsi (ma più spesso brunslni),le campanelle appese al collo del-le pecore perché fuse in bronzo.Per le mucche, invece, per evitareloro disturbi all'udito, si usavanoi campanacci. Vi era poi un altrotipo di brunsini che nulla hanno

a che vedere con le pentole o lecampanelle: si tratta delle prote-zioni interne del mozzo delle ruo-te di legno, una più grande versol'interno dell'assale e l'altra ver-so l'esterno, tutte e due a formaleggermente conica, con tre alet-te per incastrarle al mozzo. Allabase del termine vi è un vocabo-lo del medioevo, brùndum, poibrùndjum, derivato con ogniprobabilità da un termine persia-no biring, giunto a noi tramite ilgreco bronté (tuono). In Greciaesisteva uno strumento derivatoda bronte, il bronteion, un reci-piente metallico usato sulle sceneper imitare il rumore del tuono(Colonna, Rusconi, Devoto).Cavalieri cita la presenza di taletermine a Bologna già nel 1335:duo bronza parva ...(= due picco-le pentole, da bruniinv. Sull'altrotipo di brùnsa, il lavès, ci torne-remo a suo tempo.

Bll-c: boccone, manciata di fieno,quantità minima di fieno o di erbasomministrata a qualsiasi anima-le. Però il termine era più usato

dedica il Pianigiani che cita un belnumero di studiosi tra cui il tede-sco Grimm e gli italiani Flecchia,Ferrari, Menagio, Diez; Tassoni eMuratori. Quest'ultimo propendeper la versione assunta poi dalDevoto: dall 'antico tedesco bu-chen, legato al franco bùkòn, colsignificato di lavare nella lisciva.Gli altri autori, in particolare ilTassoni, preferiscono il terminebuca. Spiegano però la loro teoriacosì: "... per la usanza di cola-re il ranno attraverso un pannosforacchiato". Oppure:"... inun tronco d'albero smidollatoe bucato dal tempo". Fra tantospremere di meningi godiamocialmeno il ricordo del profumo cheemanava dalla biancheria frèscad' bugàda.

Buràs: strofinaccio, canovaccio,panno per asciugare pentole e sto-viglie. Deriva dal latino volgarebura (a volte anche burra) unastoffa grossolana, utilizzata pureper setacciare o per filtrare liqui-di. Infatti ha la stessa radice il ter-mine buratto = setaccio, crivello.

elle famiglie di untempo al buràs veniva

T. _ ricavato da spezzoni ditela grezza, inutilizzabi-li altrimenti.

Burchèta: borchia,bulletta, chiodo, orna-mento metallico. Le piùnote erano quelle ap-plicate alle suole dellescarpe per proteggerle efarle durare a lungo. Etra queste emergevanole grappe, disposte aibordi della suola, usatesoprattutto dagli alpi-ni e dai rocciatori. C'èchi chiama così anchele piccole borchie usa-te in tappezzeria o perornare certi pannelli. Eanche qui ci sono puntidi vista diversi. C'è chivuole collegare il voca-bolo al latino bùIcula(o bullàcula) come de-rivato da bulla (bolla).La maggioranza però

preferisce risalire al latino bùc-cula (boccola, guarnizione), ci-tato anche da Isidoro (Pianigia-ni). Lo stesso afferma il Devoto,con l'aggiunta di un passaggionel latino volgare: bròccula. Co-lonna preferisce partire da broc-cus (= che ha i denti sporgenti).Cavalieri cita un "burchètas"usato come mezzo di fissaggionelle botti (/388).

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oteca Bibliotecji Panini Reg~o lmilia).

quando si poneva davanti ad ani-mali da tiro, nelle brevi pause,una manciatina di fieno per tenerlibuoni. Tipico il modo di dare unboccone al cavallo da tiro mentreil padrone andava a prendere 'na[ujèta all'osteria: dentro ad unsacco di juta agganciato alle orec-chie o al collo del cavallo con duelacci per sostegno (il muso dentroal sacco), veniva introdotta unamanciata (un bu-e) di fieno. Gra-devole e benedetta pausa tanto peril padrone quanto per il cavallo! Ilvocabolo viene collegato a bocca,come dire: la quantità contenibilein una bocca. Logicamente in unabocca di erbivoro!

Bugàda: bucato, lavaggio dellabiancheria. Ma anche la stessabiancheria lavata. I ricercatori piùrecenti risolvono il problema oomettendo il vocabolo (Colonna,Rusconi) o con un semplice dalfranco bùkòn = immergere-t De-voto). Più attenzione al termine la

Burnisa: cenere con braci nondel tutto spente. Erano molto utiliper cuocere la patùna o la me-stòca. ella vita pratica il termineindica persone o animali che stan-no volentieri al calduccio. Dur-mir int la burniia = essere vecch idecrepiti (riferito a cani o gatti).L'unica fonte trovata è quella delDevoto: il termine italiano bronzasignifica brace accesa, dal goticobrunsts. E questo perché ala-brunsts equivale ad olocausto,cioè vittima sacrificata sull'araardente. •

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ETIMOlOGIA DIAlETIAlE/PARlA COME MANGI

Nell'anno bisesto,né baco né innesto

di Savino RaboniBagàj: bagaglio, roba che ciportiamo appresso, come le va-lige o le sacche. Roba di nessunvalore, gingillo: L'é un bagàj =non vale nulla. A volte è ancheun titolo poco onorifico, equiva-lente a balordo, truffaldino, falso:L'é un fat bagàj = È un tipo dicui è bene non fidarsi. Quando sitratta di cose che ci portiamo die-tro gli studiosi si rifanno al latinoBajulàrius = facchino, traspor-tatore (Cfr. Bàkel, nella puntataprecedente). Se invece il termineindica una persona poco seria iricercatori preferiscono la deriva-zione da Baga. In italiano indical'otre per la zampogna, ma si ri-tiene che derivi dall'antico ligure*baga, anteriore al latino, che poinel latino tardo diventa bagàgium(Pianigiani), col significato diborsa, fagotto (Colonna), termineritornato all'italiano attraverso ilfrancese Bagage (Devoto, Pia-nigiani, Colonna, Rusconi). Neisecoli scorsi, in Francia, questotermine indicava i venditori di lu-cido da scarpe, per poi compren-dere pure gli imbroglioni, gli op-portunisti, tradotto benissimo dalnostro: Bagàj dal luster.

Bàter, Bàtre: sì, si tratta di untermine con una piazza moltoestesa: battere, picchiare, percuo-tere, vincere, superare, trebbiare,pulsare (del cuore), chiedere sol-di (bàter càsa) , ritirarsi (batterein ritirata), rallentare (bàter lafiàca) , affilare la falce (bàtr' al

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fèr, la msiira). triturare il lardo perfare il soffritto (bàtre, [pistàr J algràs), A proposito di quest'ultimosignificato mi piace ricordare unabattuta che circolava intorno al1940. Due tizi si incontrano dopomolto tempo. Uno chiede all'altrodove sia andato a finire, visto chenon lo si vede più al mercato dellunedì. Questi, che si era trasfe-rito vicino al crinale, risponde:"I' stàgh tànt in su ch'i' sènt laMadùna a pistàr e' grasl" (Abitotalmente in alto che sento la Ma-donna che prepara il soffritto).Per questo verbo ricorriamo subi-to al latino classico Battùere , chepoi diventa Bàttere nella parlatadella gente (Devoto, Colonna, Ru-sconi, Pianigiani). Questo dopoche la lingua latina si era struttu-rata imponendosi regole ben pre-cise. Però i nostri amici ricerca-tori continuano a scavare fino adarrivare al greco Patèo (o ancheBatèo), per arrivare al sanscritoPad = piede. Forse i nostri nonninon pensavano a tanto, però cer-cavano di non Bàtr' i' dèn: per ilfreddo, e di vigilare quando s'av-vicinava l'ora d' bàtr'al furmènt,specialmente ai tempi in cui, nonesistendo ancora le trebbiatrici, bi-sognava proprio "batterio" con alcèrsi; (Cavalieri cita gli Statuti diModena del 1327, quelli di Parmadel /255 e quelli di Ravenna, incui ricorre l'espressine: Batterecum bràchiis... che traduciamocon: Bàtre a màn). Oggi, purtrop-po, conosciamo gente che preferi-sce sentire bàtr' al màn al proprioindirizzo. Anche se ciò, spesso,produce più paglia che grano!

Bendìga: nebulosi ricordi diquando, calzoncini corti, testa ra-sata a brìch, stavamo ore e ore da-vanti alle mucche o ai torelli, lassùnella piazza del bestiame, per laFiera di S. Michele. E la speranzaera che il nonno concludesse unbuon affare coi mercanti, e quindipoter passare al sughèt al garzo-ne del nuovo padrone, riceverequalche lira da correre a spende-re alle bancarelle. Quello era unodei pochi, striminziti momenti incui potevamo disporre di qualchemonetina. Ma cos'è la Bendiga'iDal punto di vista etimologico,almeno questa volta, il discorsofinisce qui: Dio ti benedica! Lesfumature legate alle diverse fìes-sioni dialettali non modificanoaffatto il senso dell' espressione:bendiga o bandiga, il significa-to è lo stesso. Quello che invececambia è l'occasione per riceverequelle misere ma ambite moneti-ne: e poteva trattarsi della custo-dia degli animali in fiera mentreal reidùr concludeva gli affari,del servizio come chierichetto du-rante le benedizioni pasquali allecase, o della cena per i muratoriche avevano coperto la casa incostruzione (Ferrari-Serra), delregalino di capodanno (Bellei).Ritengo invece fuori strada l'in-terpretazione del Benatti (citatoda Bellei) che scorge nell'espres-sione Bendiga la compressionedi "tavola imbandita", probabil-mente ingannato dal proverbio:Al dé d'la bendiga - a gh'é latiivla imbandida. Più realistical'usanza che troviamo in prossi-mità del crinale. Quando il parro-co passava a benedire case o stallela padrona offriva quel poco chepoteva in prodotti di casa (noci,castagne, uova ...) e lui augurava:"Che Dio t' bendìga!" (Gaspari:Reggiostoria n. 115, giugno 2007,pag.56).

Bìs: straccio, cencio, vestito dipoco conto. In realtà il terminebisso ha una origine assai nobi-le. Pur essendo un tessuto a basedi lino, la sua struttura molto ri-cercata, l'utilizzo per prepararevesti sacerdotali o, comunque,nobili, ha trasformato il prodot-to in un tessuto molto pregiato. Iricercatori del passato risali vanoall'ebraico Bus, o all'egizianoBuss (Pianigiani), qualcuno ad-dirittura ad un termine dell 'India.A noi è arrivato attraverso il grecobyssos e il latino byssus. Comepoi il concetto si sia trasforma-to passando ad indicare abiti dinessun valore non lo so indicare.Forse nel parlare della gente so-pravviveva un concetto di nobiltànon soffocato dalla miseria.

Bìs: Come termine di spettacolo:replica, ripetizione. In latino l'av-verbio Bis significa: due volte.Ed ha un antenato che parte dallaradice di duo (due): nel latino ar-caico era duis (dvis), poi la con-sonante D si è trasformata in B.Usato come prefisso il termineha un numero pressoché infinitodi applicazioni e di significati:bis-àvolo, bis-cotto, bis-lùngh,biscàrgne (non suggerite bistecca

perché non ha nulla a che vede-re con questo avverbio), ecc. Inalcuni casi il concetto legato altermine diventa peggiorativo: bis-trattare, bis-ticciare. E su questoconcetto ho intenzione di ritorna-re in seguito.

Bis: bigio, bianco scuro, biancosporco. Ancora una volta c'è dif-ferenza di interpretazione tra glistudiosi. Prevale l'opinione checi si debba riallacciare al latino(bom)byceus = panno di seta, chenel tempo si è corrotto in Bìsius(Diez, Pianigiani, Devoto, Colon-na). La seta grezza non è di colorebianco candido. Qualche studiososi è lasciato prendere la mano(Ménage, citato da Pianigiani) ri-correndo al termine latino Pìceus= colore della pece, ma, sincera-mente, sembra un tantino esage-rato. Probabilmente quell'autorenon aveva ancora sperimentatoche A la sira tu-c i' asi i' èn bis.

Bìsa-Bisabòga: biscia, rettile ingenere. Però se è riferito a unapersona indica un tipo di cui nonè bene fidarsi perché è subdolo,strisciante, pronto a colpirti a tra-dimento. Di nuovo gli studiosi siaccapigliano per trovare una spie-gazione convincente. La più con-divisa è che si tratti del terminelatino Bèstia, col significato ge-nerico di bestia feroce, che incutepaura. E le serpi incutono ancoraoggi paura, anche se è risaputoche sono innocue al 90% (Pia-nigiani, Canello e Ascoli [citatida Pianigianii, Devoto, Colonna,Rusconi). Devoto cita un ulterio-re passaggio del termine con unBìstia (del IV secolo). A titolo diinformazione cito l'idea di Diez eMackel che risalgono ad un verbogermanico Bis = mordere. A talevocabolo si fanno risalire i ter-mini lombardi (e anche nostrani)Besìàr, Besiùn, Besiùs. E' veroche anche il morso dei rettili sitraduce con Besiàr, ma lo stessovale anche per le api, i calabronie altri ancora, che di sicuro nonsono paragonabili ad una serpe.Quanto al termine Bìsabòga hotrovato solo un tentativo di spie-gazione in Bellei, che riportal'opinione del Galvani: " ... deri-va dalle parole tedesche Béissen= mordere, e bòghen = arco, pie-ga", volendo con questo indicareil modo di procedere a zig-zagtipico dei rettili.

Bìscher: da noi il termine indi-ca un discolo, un ragazzaccio,un lazzarone. Preso sotto questoaspetto il termine è la traduzionedi un termine germanico, reso inlatino medioevale con Biscàtor= giocatore da bisca. In origineil termine Bisca indicava soloil tavolo da gioco, poi è passa-to ad indicare anche il localeove si gioca d'azzardo. Qualchestudioso ricollega il termine allatino Dysculus, che dovremmotradurre con intrattabile. Ma lacosa sembra alquanto forzata. Initaliano bischero indica anchele chiavette per tendere le cordedel violino. In tal caso si risaleal germanico Busk = legno (dacui bosco), o al latino Pèscu-lum (poi Pèssulum) = legnetto,piccolo piolo, cavicchio (Caix,citato da Pianigianii. In dialettoperò si chiamava semplicementeCiavèta.

Foto don Vasco Casotti.

Bìsestil: anno bisestile. Qui oc-corre partire da lontano. Per tutti ipopoli è stato un grande problemala strutturazione di un calendario.Per quello che riguarda il nostroterritorio abbiamo notizia di unaprima formulazione ai tempi diNuma Pompilio (morto nel 673a.C.), ma si trattava di un com-puto abbastanza approssimativo.Cercò di porvi rimedio Giulio Ce-sare nel 46 a.c. col tentativo di ri-fasare l'anno solare con quello lu-nare alternando mesi di 31 giorniad altri di 30. Utilizzò poi il mesedi febbraio come jolly inserendoogni quattro anni un giorno in più.Questo giorno corrispondeva al24 febbraio, il sesto giorno primadelle calende di marzo. Il giornoaggiunto diventava il secondo se-sto giorno, quindi il bì-sesto, dacui bisestile. Ma anche Cesarenon tenne conto degli Il minuti e12 secondi di differenza, per cuiai tempi di Papa Gregorio XIII funecessario un nuovo interventocon la soppressione di 11 gior-ni (passando dal 4 al 15 ottobrenell 'anno 1582) e mantenendo ildiscorso del! 'anno bisestile. Nongode buona nomea l'anno bisesti-le: Anno bisesto - anno funesto.O, per la campagna: Anno bisesto- né baco (da seta) né innesto.

Bistèca: bistecca, "fetta di carnedi manzo, tagliata dalla schiena,con l'osso, che si cuoce sulla

gratella" (Palazzi). Trattandosidi un termine di importazione, re-cente, tagliamo subito la testa altoro senza inoltrarci nei meandridel latino e del greco. Nella lin-gua inglese il termine è compostoda due parole: Beef = bue e Steakche significa fetta. Siccome quellaf di beef si pronunciava male eccola semplificazione con bistecca.

Bifida: difficilmente lo si senteancora questo termine, e quellepoche volte con un senso di schi-fo. Forse perché non ricordiamopiù quanta utilità procurasse achi viveva in campagna: princi-palmente come concime natura-le, ma poi anche come coibentecontro il freddo o come isolantesull'aia al momento di trebbiare.Diluita nell 'acqua la si stendeva,con una grossa scopa fatta di fra-sche, sull'aia appena ripulita dalleerbacce e dai sassi. Una volta sec-cata costituiva un velo impermea-bile su cui si potevano recuperarei grani caduti a terra senza chequesti si sporcassero. Oppure la siapplicava alle pareti degli stallettidelle pecore, e in questo caso leproteggeva dal freddo. Nonostan-te tutto ha conservato il significatodi roba di nessun conto (A 'n val'na biada), o, se riferita ad unapersona, equivaleva alla qualificadi balorda, infida. Deriva dal lati-no popolare Ablùta = deposito diliquami. Un monito per le ragaz-zine un po' troppo pretenziose infatto di marito: A n' far cmé lamusca duràda: la gira, la gira,pu' la fnis. insìma a 'na biada.Blìsgàr: con i derivati Blìsga,Bllsgaròla, Blisgòt, Blìsgùn,ecc ... La traduzione immediataè: scivolare. Ma come ci si arri-va? Partiamo da lontano. Pini,citando Maranesi, pensa chederivi dal greco Lissè o Blissècol significato di liscio, levigato.Serra preferisce risalire al latinoBlcesus (balbuziente) e cita diver-si verbi come blissare, blessicare(= levigare, lisciare), exbilicare(= perdere l'equilibrio), exblissi-care, tutti termini che preparanoil termine volgare, fino a giun-gere a sblisigare. Il riferimentoa Blcesus è da considerare comeparagone: come il bleso scivola,è insicuro nel parlare, così è chi"Bliiga", chi è insicuro, come co-lui che Al bliiga anch int al pera= scivola anche nel terreno piano.

Bòsma: bòzima, impasto di cru-sca usato per ammorbidire l'ordi-to. E temo che siamo in pochi aricordare questa funzione. E' piùfacile ricordare il significato se-condario, quello di cibo cucinatomale, oppure di vino molto torbi-do. La crusca conserva l'amido equesto mantiene uniti i fili del tes-suto, senza che si sfilaccino. Deri-va pari pari dal greco Apòzema =impacco. Ciàr cmé la bOsma = (insenso ironico) = discorso confuso.

Bracunèr: bracconiere, cacciato-re di frodo. Il termine è di originetransalpina, dal francese Bracco-nier. In origine indicava chi "cac-ciava con giovani bracchi", masottintendeva "di frodo". •

ETIMOLOGIA DIALETIALE/PARLACOME MANGI

A lello per cavasi busch d'inl i' ò-c

di Savino RaboniBrasadèla: ciambella, torta, dol-ce. La maggior parte degli autoririsale al tedesco Bretzel = ciam-bella. Ma vi è chi si rifà a una tra-dizione di Modena, e forse anchedi altre città, secondo la quale alcresimando venivano date alcuneciambelle che egli si infilava albraccio per distribuirle ai parenti(Bellei). Oppure le stesse veniva-no portate in chiesa come offertavotiva o anche al mercato.

Bràv: bravo, diligente, buono.Ma in passato indicava anche glisgherri, i masnadieri al serviziodei signorotti prepotenti. el pri-mo caso il termine lo si fa deri-vare dal latino bàrbarus, ma daintendere come persona valorosa,indomita, arrivato a noi attraversoil provenzale brau. Nel secondoinvece da pravus = cattivo, per-fido, malvagio. A questa radicerisale anche depravato.

Brevèt: brevetto, diploma, pa-tente, autorizzazione alla guidadi aerei. Il nostro termine si rifàal medievale Brevis, giunto anoi attraverso iI francese anticoBrief. Si tratta di lettere private,del Papa o di principi, relative aproblemi non ufficiali. In praticaci troviamo di fronte a un brevescritto (in latino Brevis = corto),destinato a persona singola, nonalla comunità. Oggi il termineindica prevalentemente l'autoriz-zazione a fare qualcosa oppure ilriconoscimento della paternità diuna invenzione. .

Brii: brillo, allegro, quasi ubria-co. In greco (e anche in latino)il termine Beryllos indica unapersona cui luccicano gli occhi.Devoto si rifà ad un brill(at)o colsignificato di eccitato. Sia Piani-giani che Colonna preferiscono laderivazione dal latino Ebrìolus =quasi ubriaco, che mi sembra lapiù veritiera.

Bròca: col significato di reci-piente si risale al greco pròkòs,recipiente per versare l'acqua,termine composto dal prefissopro = davanti, e kèò = verso (Pia-nigiani, Devoto, Colonna). Se in-vece si intende un ramo d'alberoè più facile che derivi dal latino(ma di origine etrusca) bròchus= dai denti sporgenti, simili ad unbecco d'uccello.

Bruàdi (anche Bruvàdi): casta-gne secche lessate. Si consuma-vano normalmente a colazionecon un poco di latte. Il verbo Bru-vàr indica sia la scottatura che lacottura sul fuoco, ma anche la fu-sione ad alta temperatura dei me-talli, in particolare l'oro, partendodall 'antenato latino Probàre =fondere, passare al crogiuolo. Maindica anche una infiammazionedella pelle, tale da somigliare aduna scottatura. Pé bruà = piedi in-fj.ammati per il troppo camminare.Ov bruti = uovo appena scottato.

Bucàl; Pitàl: vaso da notte, pita-le, orinatoio. Inteso come bicchie-re per la birra è un'interpretazionerelativamente recente; un temposi diceva Bicèr dal mànghe, e danoi la birra non era diffusa. Maga-

ri si preferiva un gùs ad tuscàn.L'etimologia di Bucàl risale adun termine egiziano, passato poiin greco e in latino con Baukalis= dotato di bocca, intendendo conciò la bocca dei vasi. Pitàl invecederiva dal greco Pithàrion = ori-nale. Vi è poi chi si lambicca percreare un rapporto con Pitùita =mucco, moccio (Pianigiani}, pen-sando ad una sputacchiera. Aqua,dieta e pitàl i' guarisi ui-c i mal.

Bur-c: quest'aggettivo venivamesso in relazione ad animali (ra-ramente anche ad esseri umani)con orecchie molto ridotte, similia quelle dei gatti. Le spiegazio-ni sanno più di fantasia che didocumentazione. Si tende a farederivare il termine da Buricchio,che, di per sé, indica il gatto, maalludendo ad un essere strano, fu-sione di due razze diverse, comeil gatto e l'asino, o, comunque, unaltro animale non pregiato (Devo-to). In latino esistevail termine Buriccus,poi Buricus, col qualesi indicava il somarel-lo. Tale vocabolo peròderiva a sua volta daun termine africano,preso dai greci conBrikòn, utilizzato perindicare una cavalca-tura minuta (Devoto).Et bùr-c? o ancheGh'èt a-gli urèci bar-ci? era un modo perdire a qualcuno: seisordo o lo fai?

Burcàj: da noi erasolo l' accoratoio; al-trove indica anche losvasatore, il piolo perseminare ortaggi, op-pure iI legnetto ottu-ratore per lo spillo deitini. Aveva una impu-gnatura con anello perintrodurvi il dito me-dio e poter esercitaremaggior forza.

ricercatori il termine deriva dallospagnolo burla. Colonna cita an-che Ausonio, per il quale derive-rebbe dal latino bùrrula = cosa danulla, inezia, ma preferisce l'altrotermine latino burella = trappola,inganno, trabocchetto, condivisoanche dal Muratori. Tra la fine del1700 e i primi decenni del 1800indicava l'intermezzo o la comicafinale. Era un modo per mandarea casa gli spettatori con il dolce inbocca dopo che avevano assistitoa tragedie. " ... La sera, quandos'avvicina l'ora I d'andare allaburletta o alla commedia ... (Giu-sti: L'amar pacifico).

Bùsch: bruscolo, granello di pol-vere, pagliuzza, festuca. Per gliautori del DEI (Dizionario Eti-mologico Italiano) il termine de-riva dal gotico bùsk = fuscello,stecco. Devoto e Colonna prefe-riscono risalire al latino bruscum= nodo del legno, di una radice.

Uno scherzo fra due ragazze(archivio don Vasco Casotti).

Di sicuro non è simpatico avègbun buscb int 'n ò-c. Ma ancheper questo esiste la cura: cavàs ibùsch d'int i' ò-c infatti significafare una bella dormita ristoratrice.

Butèga: questo termine può in-dicare un negozio oppure un lo-cale ove gli artigiani esercitano illoro mestiere. In origine indicavasolo un locale adibito a riposti-glio o a magazzino. Così il grecoApothékè, che si adegua ai tempie ai luoghi diventando bottega initaliano, butèga in dialetto reggia-no, putìga in siciliano, boutiquein francese, botica in spagnolo ebotiga in portoghese. In questocaso almeno tutti gli studiosi sonoconcordi nel riallacciare il termi-ne al greco. Per un certo periodo,nel medioevo, la parola bottegaindicava esclusivamente quelladello speziale. In senso ironico ecanzonatorio la parola indica an-che la patta dei pantaloni. •

TM 71

Buriàna: sfuriata,lavata di capo, arrab-biatura. Evoluzionedell'aggettivo latino boreànus,derivato da Bòrea = "vento im-petuoso che spira da settentrione,detto dai latini Aquilone" (Pia-nigianii. Da Bòrea deriva Bòrain dialetto veneto e lombardo.Riccardo Bertani, in risposta adun meteorologo che abbinava latempesta di neve al vento siberia-no Buran, dopo avere analizza-to diverse voci simili, in uso trai popoli asiatici e anche al orddell 'Europa, conclude preferendoil Bòrea latino (su Reporter delIO febbraio 2002). Dice la canzo-ne Al vilàn, riferendosi al padroneche ha riscosso i soldi dal conta-dino: " ... cun i sàld dal cuntadéinI alfà sù 'na gran buriàna I e als'imberièga per' na sunàna",

Burla: burla, scherzo, tiro man-cino, gag, breve commedia. "Èmeno di beffa, perché non c'èderisione; ma è più di scherzo"(Palazzi), Per la maggior parte dei

ETIMOLOGIA DIALETIALE/PARLACOME MANGI

Meglio un buon cafèche un infuso di calègna

di Savino RaboUiCa': Casa, abitazione, residenza.Casato. Ditta, fabbrica. Atelier dimoda. E' la sincope di Casa, ecome tale il vocabolo è uguale an-che in latino e in greco. Solo che aquel tempo indicava una casupo-la, una baracca o una tenda. Pareperò che la radice di Casa si deb-ba cercare nel sanscrito C'had,col senso di coprire. E qui, conquesto concetto, mi sovvieneun'espressione dei nostri antena-ti: Da cùp siir a la tèsta, cioè untetto, qualcosa che copra controle intemperie e ti rende più sicural'intimità. Ma spesso il terminetrascende il primo significato perarrivare ad indicare la famiglia, iparenti stretti, oppure l'inizio diuna vita a due, la genuinità di unprodotto, e anche l'intelligenza,il comprendonio. Esre d' ca' =conoscere bene. Mèter su ca' =sposarsi. Fàt in ca' = genuino.N'èser mia tut a ca' = mancare diqualche rotella. Ciamàr in ca' =essere ospitale.

Cabò: E chi non ci ha provato al-meno una volta? Se non altro peril gusto di trasgredire. Marinare lascuola, anche ai miei tempi, erauna rivalsa, un atto eroico. Altritempi! E altro modo di pensare!Ma quell'idea non è ancora tra-montata. Oltre alla scuola oggicoinvolge anche il lavoro, perchése qualcuno alla domenica ci cari-ca su un po' troppo, il lunedì mat-tina stenta ad alzarsi. Si tratta diun termine entrato in uso da pocoed è difficile trovare spiegazioniconvincenti fra gli studiosi. Fino-ra ne ho trovati solo due. LuisaModena fa derivare la parola daldialetto gergale dell 'ebraico mo-denese, ma non ne dà una spiega-zione. Più preciso è Sandro Belleiche fa risalire il vocabolo ad unpoco noto personaggio france-se detto Cabotin (abbreviato inCabot), termine con cui si indicaun attore girovago, un istrione,o anche un esibizionista. Oggi iltermine francese indica tanto uncane quanto un caporale. Beh,sì, lo scolaro che va a zonzo nonrassomiglia ad un cane randagio?

PAOLOGOMdi Dalla Porta Paolo

Per il caporale però è più indicatoil ruolo di cane da guardia.

Cafè: Caffè. Piante del caffè.Bar. In Europa e in Italia il caffègiunse nel XVI secolo ad operadei Veneziani. I primi scritto-ri che ne hanno parlato in modoscientifico sono Prospero Alpino(Marostica 1553-Padova 1617) eLinneo (Cari af Linnè, Raashult1703-Upsala 1778), naturalistasvedese. La pianta del caffè è unarubiacea. La specie più diffusa èl'arabica, originaria dell' Abissi-nia. Oggi è molto rinomato il caf-fè del Brasile, ma in quello statole piantagioni iniziarono solo nel1723 per opera dei francesi. Maper l'etimologia ci dobbiamo ri-volgere all' arabo Qauhah o Qha-wa (che però in turco si pronunciaKahwè). Questo termine non in-dica la pianta ma solo il liquore,che per gli arabi era consideratoun tipo di vino bianco leggero,anche se inebriante (Pianigiani,Rusconi, Colonna, Devoto). Nelnostro territorio l'uso di bere o dioffrire un caffè è entrato dopo laprima guerra. In precedenza, e an-cora fino al 1950 circa, si usava alsuo posto l'orzo, magari corrobo-rato da un cucchiaino di surrogato"olandese" (la marca più diffusaera la Vecchina). Nei centri piùevoluti era diventato consuetudi-ne comune già intorno al 1940,come attesta una sestina attribu-ita ad Isaia Zanetti: "Fin che 'lre l'era re / a s'abbiva dal bùncafè. / F l'han fàt imperadiir: /dal cafè n'se sènt gnàn l'udiir. /Adès ch' l'è re àncb d' l'Albania/ al cafè alle manda via".

Cafùn: Cafone, zotico, maledu-cato, rustico. E' un vocabolo diimportazione. Devoto cita un ter-mine osco, che in latino diventaCabonem ed indica un cavallocastrato (e in seguito anche il cap-pone). Colonna, pur accennandoalla versione del Devoto, preferi-sce un 'altra voce osca, passata inlatino con Cafo (diventato ancheprcenomen di una Gens), termineconnesso all' idea di "cavare laterra". Vi è poi una etimologiapopolare, destituita di fondatezza,che vedrebbe nel cafone colui che,secondo alcuni, rientra dai campicon la fune (cumfune) a tracolla,secondo altri con le scarpe legateassieme e poste sulla spalla.

Càl: La parola ha due significati:l) Calo, diminuzione. In tal casoderiva dal verbo Calare, rimastouguale al latino. Gli studiosi ci

vedono una radice di area medi-terranea Kalhàn che vuoI dire:allentare.2) Callo, pelle indurita. Talvoltaè definita anche Cùpa. In questocaso la maggior parte dei ricerca-tori parte da un termine sanscritoKarkaça = essere duro (Curtius,citato da Pianigiani), terminegiunto a noi attraverso il grecoKalòn = legno. Altri vi vedono illatino Calx (calcagno). Altri an-cora si rifanno al latino Callum,variante di Callis = battuto, pesta-to, in riferimento all' indurimentodei calli (Devoto, Colonna, Ru-sconii. A me quest'ultima versio-ne sembra più realistica se pensia-mo che il latino Callis (viottolo,sentiero, terra battuta) è soprav-vissuto nel veneto (le calli), nelligure (i carugi), nello spagnolo(Calle mayor = strada principale)e nel rumeno (cale).

Calamìta: Calamita, magneti-smo. Attrazione. Inclinazione.I primi esperimenti di magneti-smo furono compiuti in Grecianell'antichità, poi abbandonati.Furono poi ripresi sempre daigreci nel Medioevo quando si co-struirono le prime rozze bussole.Tali esperimenti consistevano nelporre sopra una cannuccia (eala-ma) un frammento di magnetite.Il risultato fu definito Kalamìtès(Devoto, Pianigianii. Il vocaboloquindi non deriva dal materialemagnetico ma dal supporto, lacannuccia. Da calamo (cannuc-cia) deriva Calamaio, che nullaha a che fare con la calamita.

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Càld: Caldo, caloroso, fervoro-so. Calura, afa. L'aggettivo latinocàlidus ben presto viene sinco-pato in caldus. Deriva dal verbocalère = essere caldo, emanarecalore. La prima forma in latinoindica anche una mente fervida,una persona furba. Traduce beneil nostro troja inteso non comescrofa ma come furbacchione.Stiir al càld = poltrire, protegger-si. Al càld d'i' linso a n' fa brisabùjer la parlèta: l'ozio non pro-duce benessere.

Caldarin: Secchio. Ma indicavasoprattutto quello per andare alpozzo a prendere acqua o quelloper somministrare il beverone aivitellini o la giotta ai maiali. I Ro-mani indicavano con (holla) cali-dària un contenitore in terracotta(Devoto) o di rame (Pianigiani),adatto a contenere le braci perriscaldare gli ambienti. Nel me-dioevo ne esistevano anche di di-mensioni ridotte, detti caldarìnus(piccola caldaia). I Romani chia-mavano Calidàrium un ambiente

delle thernue che veniva riscal-dato ad alte temperature (come lasauna) mediante focolari dispostisotto il pavimento. Una brevedigressione: esiste un termineequivalente (in uso nel Modene-se e nel Bolognese), il Calsèder,che indica sempre un secchio dirame, ma la cui derivazione è dalbizantino Kàlkydron (recipienteper l'acqua), e lo troviamo citatoa Bologna nel 1227. Permane inaltri dialetti, come il lombardoCalcirolo, e calcirèl nei territoriveneziani.

Calèndi, Calendàri: Calende.Calendario, lunario. Piano degliimpegni. Scadenziario. Derivadal greco Kalènde rna il termineè stato coniato dai Romani (i grecinon avevano calende) e indicavail primo giorno di ogni mese. Sideve risalire al verbo greco Cà-lein = chiamare. Era il giorno incui i creditori "chiamavano alrendiconto" i debitori, ma ancheil giorno in cui le autorità romanechiamavano il popolo per bandi-re le feste, i giochi, i giorni fastie quelli nefasti. Quindi il Calen-dario (Lìber Calendàrum = librodelle calende) era un registro su

cui si fissavano le scadenze o lericorrenze legate ad ogni singolomese. Un primo rudimentale ca-lendario consistette nel dividerel'anno in dodici mesi in base aicicli lunari. Si passò poi al ca-lendario solare, suddiviso in 365giorni, 5 ore, 48 minuti primi elO secondi. Quello attuale è dettoCalendario Giuliano (da GiulioCesare che lo fece aggiornare)corretto poi da Papa GregorioXIII nel 1582. Breve esistenzaebbe il calendario della Rivo-luzione Francese (1793/1806)perché creava troppe difficoltàa confrontarsi con gli altri paesid'Europa.

Calèsna: Caligine, fuliggine.Viene data come scontata la de-rivazione dal latino calìgo, cali-ginis, termine che indica vapore,nebbia densa. Colonna aggiungela possibilità di un legame colsanscrito Kalah = nero. Fa ecce-zione Bertani che, pur accettan-do la precedente versione, tira inballo un termine africano-bantu,Kalenge, con lo stesso significa-to di sopra. Minghelli ricorda una

strana usanza: agli ammalati dipolmonite veniva somministratoun infuso di Calèg-na.

Càlibro: E' questo uno dei casiin cui la fantasia dei ricercatori hacavalcato per le praterie delle lin-gue in lungo e in largo. Partiamodal Pianigiani (fine 1800), chechiama in causa l'arabo (Qàlìb ,o Qalàb = stampo, forma) maricorda anche un anteriore termi-ne greco, Kalàpos = forma perle scarpe. Sempre il Pianigianiriporta anche l'opinione di nonprecisati "altri" i quali si rifannoal latino Qua lìbra?, traducibilecon: Di che peso? Per Devoto iltermine deriverebbe dal francesedel XV secolo Calibre, deriva-to però dall' arabo Qalib intesocome forma per le scarpe. In ita-liano il termine può indicare unostrumento per la misurazione de-gli spessori o dei diametri di tubi,ma soprattutto indica il diametrointerno di una bocca da fuoco o ildiametro esterno dei proiettili. Ri-cordo che mio zio (ma anche tanticacciatori del luogo) possedeva ilcoltello da cacciatore, munito didoppio estrattore per cartucce dicalibro) 2 o 16. •

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