NUMERO UNICO DI STORIA, ARTE, COSTUME FOLCLORE,...

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NUMERO UNICO DI STORIA, ARTE, COSTUME FOLCLORE, CULTURA CENTESE Redazione, Amministrazione: C.so Guercino 17 - Tel. 904815

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NUMERO UNICO DI STORIA, ARTE, COSTUMEFOLCLORE, CULTURA CENTESE

Redazione, Amministrazione: C.so Guercino 17 - Tel. 904815

pag. 2 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

SBARCA A CENTO IL MODELLO AMERICANO SBARCA A CENTO IL MODELLO AMERICANO DEGLI AFFARI A COLAZIONEDEGLI AFFARI A COLAZIONE

Eʼ NATO IL TEAM NEICOS GUERCINO Eʼ NATO IL TEAM NEICOS GUERCINO GIÀ 34 LE ADESIONIGIÀ 34 LE ADESIONI

Il modello americano del ‘business suit breakfast’ (letteralmente, una colazio-

ne in abito da lavoro) è sbarca-to nella nostra città. È nato, infatti, il 22 marzo scorso, il Team Neicos Guercino, che già conta 34 attività produttive aderenti. Ma di cosa si tratta? Un gruppo di imprenditori e professionisti si riunisce e, do-po la colazione con caffè, cap-puccino e brioche, discute del-le proprie aziende, dei propri affari, scambiando informazio-ni, contatti e segnalazioni così da incrementare le opportunità di fare business. Ed incrementare, di conse-guenza, la propria crescita. A

portare a Cento questo model-lo è stata Neicos, un’organiz-zazione solidissima, compo-sta da imprenditori e profes-sionisti, il cui obiettivo prima-rio è lo scambio di referenze di affari qualificate, con lo scopo di generare una condivisione di idee ed opportunità nel cam-po del business. “All’interno delle colazioni – riferiscono dall’azienda - non vi è scam-bio di provvigioni o percen-tuali, ma solo un’opportunità di crescita sia personale che professionale. La richiesta di contatti avviene nel corso de-gli incontri settimanali, duran-te i quali ciascun membro ha a disposizione un suo spazio per

chiedere un’informazione o un contatto per un fornitore, un cliente, un collaboratore, op-pure per sviluppare all’interno del team una relazione diretta”. Una specificità è che i compo-nenti del team appartengono a settori diversi l’uno dagli al-tri: ci può essere solo un co-struttore edile, solo un’azien-da grafica, solo un’impresa metalmeccanica, ecc. Grazie a questo clima, il gruppo di lavoro è solido e performante: ogni membro può così ottene-re il massimo”. E questo inno-vativo sistema ha preso piede anche nella città del Guercino, dove sono tante le realtà pro-duttive presenti che, in questo

modo, possono co-minciare a fare rete e affari tra di loro. I membri del Team Guercino invitano tutti gli imprendito-ri a partecipare alle colazioni come loro ospiti, dove avran-no l’opportunità di raccontare le pro-prie realtà e scam-biare i bigliettini da visita. Per maggiori infor-mazioni, visita il si-to www.neicos.it.

Valerio Franzoni

Non capita tutti i giorni che il Presidente del-la Repubblica scri-

va una lettera, e per di più di suo pugno, ad un Cente-se, Carlo Farnè, presidente dell’Associazione Amici per Adwa. Il motivo della missiva è l’ospedale di Adwa.Ma facciamo un passo indie-tro, precisamente nella To-rino del 1944, dove nasce Laura Girotto.Conseguito il diploma di figurinista, vince il concorso per le giovani “cate-rinette”. Poi, improvvisa, la svolta: entra nella Congregazione delle suore salesiane di Don Bosco. I Salesiani giungono in Africa nel 1974, aprendo a Macallè una scuola profes-sionale per avviare i giovani al lavoro. Nello stesso anno, un colpo di stato, guidato da Menghistu, rovescia l’impe-

ratore Hailè Selassiè, al quale segue una lunga guerriglia fino al ’91; all’instabilità politica si aggiunge la ciclica carestia. In questo marasma accade il I° miracolo: gli unici a soccorrere la comunità tigrina sono proprio i Padri missionari salesia-ni. Con due camion telonati, con la scritta “Don Bosco” ed un vecchio aereo Pilatus cominciano a distribuire aiuti alimentari e medicinali, inviati dalla Comunità interna-zionale, sottraendoli così a Menghistu, che li sequestrava per i suoi soldati, raccoglien-do al ritorno donne e feriti. Quando nell’87 termina l’emergenza ali-mentare, avviene il II° miracolo. Gli anziani dei villaggi riconoscono in “quelli di Don Bosco” degli stranieri che hanno amato veramente il Tigray, a co-sto della propria vita. Per questo si reca-

no ad Adigrat dal Vescovo cattolico per chiedergli se quelli di don Bosco possono aiutarli ancora. Alla risposta affermativa segue la richiesta di papa Giovanni Paolo II° di una presenza salesiana ad Adwa.Intanto suor Laura, dopo anni in terra di missione, sembra non doversi schiodare più da Roma, dove si occupa di attività sostan-zialmente “tranquille”: ecco il III° miraco-lo. Durante una passeggiata con la Madre generale, si sente chiedere: “Che ne diresti di tornare in terra di missione?” Suor Laura non aspetta altro, non è fatta per le comodità! “Ti mando ad Adwa”. A questo punto, ti invito ad acquistare e leggere “La tenda blu” di Niccolò d’Aqui-no, dove suor Laura racconta la sua vita di missione.Come si arriva al coinvolgimento di Ser-gio Mattarella? Daniela Lanza, collega di Carlo Farnè nella sede centrale di Roma, è sua nuora. Eletto presidente della Repubblica, Carlo Gli invia la documentazione sulla missione di Adwa, invitandoLo all’inaugurazione dell’ospedale. Suor Laura, nominata Cavaliere della Re-pubblica, ricevuta in udienza privata dal Capo dello Stato, Gli rinnova l’invito .

Questo il testo della Sua risposta:

“Gentile Presidente dell’Associazione, La ringrazio per la Sua lettera e Le esprimo tanti sinceri complimenti per quanto fate per Adua e per i risultati conseguiti. Seguirò l’andamento delle attività del pro-getto dell’ospedale e sarei lietissimo di po-terlo visitare quando sarà in funzione.

Con tanta cordialità, Sergio Mattarella”

SEMPRE SENZA PAURASEMPRE SENZA PAURAA CURA DI GIUSEPPE SITTAA CURA DI GIUSEPPE SITTA

Auguri!

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 3

Inizia il 25 aprile 1467, giorno della festa di San Marco, patro-no di Genazzano, cittadina in

provincia di Roma. In una chiesetta, dedicata a Santa Maria, durante i Vespri, avviene un prodigio mira-coloso: appare un’immagine che rappresenta la Santissima Vergine con in braccia il figlio Gesù Bam-bino con il capo appoggiato alla guancia, successivamente venera-ta come Madonna del Buon Con-siglio. E’ un dipinto su di un sottile strato di intonaco, 31x43; questo affresco rimane tuttora avvolto nel mistero e nel miracolo.Nella stessa epoca viveva a Genaz-zano una vedova ottantenne, Pe-truccia di Nocera, suora terziaria dell’Ordine Agostiniano, molto de-vota alla Madonna del Buon Con-siglio; iniziò allora la ricostruzione della chiesetta che, in pochi anni, divenne un Santuario, grazie al-le numerose offerte dei cittadini. Il Santuario, successivamente, fu ampliato fino a diventare Basili-

ca Minore nel 1903, meta di tanti devoti, di numerosi Papi, che si in-chinarono davanti alla Sacra Im-magine. Ai piedi del sacro affresco nacquero verso la fine degli anni ’50 gli Araldi del Vangelo, per ini-ziativa di Mons. Joao Scognami-glio Dias, brasiliano. Si tratta di un’Associazione internazionale di fedeli, di diritto pontificio; la sua spiritualità è fondata sulla Ma-donna, l’Eucarestia ed il Papa; conta oltre 5.000 affiliati, presenti in oltre 80 Paesi del mondo.La Madonna del Buon Consiglio a Dodici Morelli. La devozione alla Madonna del Buon Consiglio passa da Reno Centese. Nel marzo 1833, Giovanni Zerbini da Lucca, frate francescano, consegna per deside-rio di una pia monaca, un quadret-to dipinto ad olio della Madonna del Buon Consiglio alla comunità cattolica di Reno Centese, con la preghiera di esporre la sacra imma-gine al pubblico culto. Nei decenni successivi si assiste ad una devozio-

ne crescente per i prodigi dovuti alla Sacra Imma-gine, al punto che popolo e clero decidono di de-dicarle un pic-colo Santuario. Nel 1883 per il 50° della conse-gna del dipinto, iniziano i lavori per una cappella con cupola per collocarvi il pre-zioso quadretto; nel 1884 si con-cludono i lavori

e nel 1885 l’immagine della Ma-donna viene solennemente incoro-nata da mons. Francesco Battagli-ni, Cardinale di Bologna.Il 27 agosto 1872 nasce a Reno Centese Giuseppe Antonio Con-tri: Nel 1906, il Card.. Domeni-co Svampa, 1851-1907, lo invia a Dodici Morelli come cappellano sussidiale. Prima del suo arrivo a Dodici Morelli, soggiornava in zo-na un povero, che viveva di cari-tà, grazie ad una tavoletta di legno, sulla quale era dipinta l’immagine della Madonna con il Bambin Gesù in braccio. Non aveva una sua di-mora, ma trovava riparo nei fienili, nelle stalle, ospite di varie famiglie che gli offrivano un ristoro, appena sufficiente per sopravvivere. Fre-quentava spesso i Tassinari ( i Ma-cafer ), una famiglia numerosa, che gestiva un grande podere con annessa stalla nella tenuta Spada: qui trovava ospitalità nello “stan-ziol”, uno sgabuzzino ricavato in un angolo della stalla, con un paglie-riccio per i bovari e i braccianti ( agli ovar ) che lavoravano saltuaria-mente nella tenuta. Qui un mattino fu rinvenuto cadavere: la famiglia Tassinari, espletate le procedure di legge, consegnò alle autorità le sue povere cose, trattenendo il quadretto di legno. All’arrivo di don Antonio Contri, la famiglia Tassinari gli consegna il quadretto: don Antonio cono-sceva già la devozione praticata a Reno Centese, per cui ben presto si aggiunsero anche i fedeli residenti “ai Dodici Morelli di Renazzo”. Al-la nomina a parroco di don Antonio, nel 1919, lascia Dodici Morelli per Nugareto, sulle colline bolognesi;

gli subentra don Giacomo Sangiorgi, originario di San Carlo. “Don Iacum” come veniva chiamato dai Morellesi, incoraggiò que-sta devozione alla Madon-na, tanto che fece costruire una piccola teca, circonda-ta da una coroncina di fio-ri. Fu poi la volta di don Francesco Pasti, originario di Funo di Argelato. Questi fece costruire una teca più grande, posizionata su un altare laterale della navata centrale della chiesa.La chiesa centrale fu co-struita in due momenti: nel 1804 fu trasformato in Oratorio un fienile, di proprietà delle famiglie Busi e Crisofori; poi nel 1900 iniziarono i lavori per la costruzione della chiesa, così come l’abbiamo vista fino alla sua demolizione: la navata centrale, la parte a destra dell’altar maggiore, titolato alla SS.ma Trinità, con annesso campa-nile. Nel 1932 ritorna don Anto-nio. Il 4 febbraio 1934 comincia la sua battaglia per rendere la par-rocchia autonoma.. L’8 ottobre 1941 ottiene l’autonomia parroc-chiale, per cui don Antonio di-venta il primo parroco di “Dodici Morelli di Renazzo”. Alla Madon-na sono attribuiti frequenti grazie, prodigi, miracoli: grande e devota è la partecipazione alle varie funzioni religiose, tra le quali il Rosario nel mese di Maggio, la Benedizione alle campagne.Il Voto alla Madonna del Buon Consiglio. Il culmine della devo-zione avviene nella prima metà del 1946, quando, circa 70 uomini capisti, appartenenti alla compa-gnia del SS.mo Sacramento, deci-dono di stipulare un solenne Voto perché non avvengano mai più guerre, si sostengano le famiglie

per superare il brutto momento, fatto di stenti e di miseria. Dopo il Voto, la comunità parrocchiale istituisce un vincolo: celebrare nella prima domenica del mese di Ottobre una giornata di adorazione e di pre-ghiere. Il 6 ottobre 1946 la funzione re-ligiosa terminò con una solenne processione con l’immagine della Madonna del Buon Consiglio. Fu scelto il giorno della SS.ma Trini-tà, quando agli inizi del 1700 un gruppo di capisti costruì una chie-setta, 30 piedi per 20, sullo “Stra-dello centrale” vicino a Galeazza, in una zona “alta” già bonificata. Don Antonio muore a 78 anni, la sera del 2 Ottobre 1950. Gli suc-cede don Marino Capra, originario di Sant’Agata, fino al 1963. In que-sti anni acquistò la canonica, costruì il teatro, l’Asilo infantile ed il Cimi-tero.Il 2 ottobre 1963 gli subentra don Giacinto Benea fino al 28 set-tembre 2001.

Giancarlo Alberghini

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pag. 4 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

Buone Feste!

13 Novembre 2016 – Visita a Treviso e alla mostra “Storie dell’Impressionismo”E’ Fiorella Vancini a riportarci la cronaca della giornata.

Il gruppo della Famiglia Centese è partito alle 7,30 da Cento ed è arrivato a Treviso verso le 10, dove con una guida molto brava e prepa-rata ha iniziato la visita della città: la Cattedrale di S.Nicolò, in stile gotico con la sala del Capitolo dei Domenicani, affrescata da Tomma-so di Modena, la sagrestia, gioiello affrescato ed ammobiliato, è stata il-lustrata in tutti i suoi più affascinanti segreti dal parroco della cattedrale.Successivamente la visita a Piazza dei Signori, alla Loggia dei Cavalie-ri, a Calmaggiore, a scorci pittore-schi dei canali, per concludersi poi nel centro storico.

Alle 12 e 30, per non perdere le “buone e sane abitudini”, la compa-gnia si è recata presso il ristorante “Toni del Spin”, tipico locale tre-visano, dove l’ottimo cibo e l’otti-mo vino, uniti alla convivialità del

gruppo, hanno dato la carica per affrontare il pomeriggio.Alle 15 infatti è iniziata la visita gui-data alla mostra “Storie dell’Impres-sionismo”, al museo di Santa Cateri-na, dove con una ricca esposizione,

si sono potute ammirare opere di Monet, Degas, Picasso, Van Gogh, Sisley, Renoir, Cezanne e tanti altri artisti del periodo che va dalla fine dell’800 all’inizio del ‘900.La giornata è trascorsa ottimamen-te, accompagnata anche da tempo e clima favorevoli per completarne la

buona riuscita!La mostra, per chi fosse interessa-to, rimarrà aperta sino al 17 aprile 2017.

Ricordiamo a tutti i nostri lettori che sul sito della Famiglia Cente-se, raggiungibile attraverso il link www.famigliacentese.it, alla voce di menù Galleria fotografica, si possono vedere tutte le foto scat-tate in occasione degli eventi che vengono descritti periodicamente in questa pagina, comprese quelle che, per ovvie ragioni di spazio, non è possibile pubblicare qui.

Anna Vegetti

Diario di Famiglia

17 / 18 Settembre 2016 - Asiago: un weekend tra sto-ria, profumi e buon ciboLuciana Orsini ed Elisa Resca ci raccontano il suggestivo fine settimana.

Sabato 17 settembre il nostro gruppo di soci ha raggiunto Asiago, quella che il poeta Gabriele d’Annunzio definì “la più piccola e più luminosa città d’Italia”, coniando uno slogan che sembra scritto oggi. Asiago è il centro principale dell’Al-topiano più vasto d’Italia. Comple-tamente ricostruito dopo la Prima Guerra Mondiale, colpisce per la bellezza architettonica e l’ampiezza delle strade e delle piazze, tratti ca-ratteristici rispetto ad altri paesi di montagna. Un gioiello in mezzo al verde, da scoprire e da vivere.Visitare Asiago e l’Altopiano signi-fica fare un viaggio tra le testimo-nianze di diverse epoche storiche, ognuna delle quali ha lasciato la sua “firma” sul territorio. Nel corso della giornata abbiamo avuto il piacere di vedere e visitare il Municipio che, con la sua architet-tura classica in marmo locale bianco

e rosso, con la torre incorporata con cella, colonne e tetto a cartoccio, domina maestosamente il centro storico. Il Duomo di San Matteo, realizzato nel tipico marmo rosa di Asiago e che troneggia di fronte al municipio, quasi a sancire l’equili-brio tra vita civile e spirito religioso. Ed ancora il sacrario militare che con la sua imponenza, domina tut-ta Asiago dall’alto del colle Leiten e all’interno del quale riposano in eterno quasi 60 mila soldati, italiani e non, i Giardini di Piazza Carli nei quali è presente anche la Fontana del Fauno, un essere mitologico che porta un tocco di magia in pieno centro di Asiago e, infine, la statua della Beata Giovanna Maria Bono-mo, festeggiata il 26 febbraio, a cui è legato un evento che ha del pro-digioso: quando i bombardamenti della Prima Guerra Mondiale rasero completamente al suolo Asiago, la statua fu l’unico manufatto rimasto in piedi. Domenica 18 settembre, poi, il no-stro gruppo, sfidando le avverse condizioni meteorologiche ha rag-giunto il Rifugio Cecchin (dedicato alla memoria di Giovanni Cecchin di Marostica medaglia d’oro al va-

lore militare e ferito mortalmente sull’Ortigara durante l’azione del 19 giugno 1917) dove è stato calorosa-mente accolto, nutrito e riscaldato: la fitta pioggia caduta nella matti-nata non ha impedito agli impavidi “compagni di viaggio” , infatti, di raggiungere la vetta ed assaporare il sapore della storia, l’odore del caffè e perdersi nei racconti di chi c’era e vuole mantenere il ricordo per “chi ci sarà”.Qui, a 1920 metri di quota, si trova-no la chiesetta realizzata negli anni Venti a ricordo dei caduti della Bat-taglia dell’Ortigara, il piccolo Os-sario ed il Rifugio Cecchin (gestito dalla Sezione ANA di Marostica), mentre sul cocuzzolo sovrastante s’innalza la colonna che sorregge la statua della Vergine. Tutta la zo-na, inoltre, conserva ancora evidenti resti delle opere difensive realizzate dalle truppe italiane tra l’estate del 1916 e l’autunno del 1917.Al termine di queste due bellissi-me giornate il gruppo ha fatto ri-torno verso Cento portando con sé le emozioni che detti paesaggi e, soprattutto, i racconti degli alpini hanno suscitato in tutti.

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 5

Arrivando da Piazza Guercino e percorrendo i portici sulla sinistra di via Provenzali,

difficilmente non si fa una breve sosta davanti all’accattivante vetrina del negozio “ Biagina “. Con lo sguardo si accarezza veloce-mente tutta la merce così elegante-mente esposta, dai cioccolatini alle caramelle, dai confetti agli articoli da regalo così accuratamente con-fezionati.La tentazione è forte e spesso si en-tra per acquistare anche solo piccole prelibatezze.Subito si nota una perfetta sintonia di eleganza e raffinatezza in tutto il negozio, eleganza e raffinatezza che contraddistinguono anche la Signora Biagina, titolare del negozio.Benatti Biagina è nata a Cento il 27 gennaio 1937 ed è molto orgogliosa delle sue origini centesi.A vent’anni, insieme alla sorella

Gloria, rilevò l’at-tività commerciale dal Signor Anto-nio Lugli e dopo un anno ne rimase unica titolare.Al negozio fu dato dapprima il nome Unica, marchio della cioccolata commercializzata, cambiato succes-sivamente in Tal-mone, sino al de-finitivo ed attuale nome “Biagina”. Per l’accurato al-lestimento della vetrina, Biagina ha ricevuto nel settembre del 1996 dall’Ascom di Cento, il premio per la migliore vetrina della fiera cam-pionaria di settembre.Biagina ha sempre puntato sulla qualità dei prodotti e questo fa si che, da sempre, possa vantare una clientela non solo locale: i suoi ac-quirenti giungono anche dalle vicine città di Modena, Bologna e Ferrara.

Ricevere o donare un articolo con l’etichetta “Biagina” dà sempre un tono d’importanza al regalo ed an-che la certezza di offrire prodotti qualitativamente garantiti, così co-me affidarsi al buon gusto di Biagi-na per la preparazione di bombonie-re per le varie cerimonie, è sinonimo di successo.Da quattro anni Biagina è affianca-ta nella gestione dell’attività, dalla nipote Valentina, che ha ereditato

dalla nonna le buone maniere, oltre alla passione per un’atti-

vità che richiede note-vole impegno.Tante sono infatti le ore richieste anche al di fuori dell’orario di apertura del negozio, per potere confeziona-re con maestria articoli da regalo, bombonie-re e ricercare sempre nuove proposte per le esigenze dei clienti.Valentina prepara arti-gianalmente i bigliet-

t i per le bombonie-re, deco-randoli e scrivendo-li a mano.Il prossi-mo anno

ricorreranno i 60 anni di attività del negozio e noi auguriamo a Biagi-na e Valentina continuità futura nell’esercizio di questa impresa commerciale, sulla scia del suc-cesso passato e presente del loro “mondo di dolcezze”.

Anna Vegetti

“ “ Biagina Biagina ““ Da 60 anni un mondo di dolcezze Da 60 anni un mondo di dolcezze

Inizi anni ‘60

Inizi anni ‘70

Anno 1968Biagina e Valentina

Biagina riceve premio per la migliore vetrina

della fi era campionaria di Cento - anno 1996

pag. 6 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

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Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 7

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pag. 8 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

La vita presenta molto presto il conto a Mauro Guidet-ti: a 14 anni, infatti, mentre

stancamente cerca di condurre in porto l’esame di Licenza media, gli muore il padre, di professione ce-mentista. Già da due mesi prima, però, aveva cominciato a lavorare in una piccola officina di torneria a Renazzo. Da questo momento intra-prende tanti mestieri, i più disparati, fintanto che, conseguita la patente da camion, si mette in proprio.La meccanica è la sua passione e le macchine non hanno segreti per lui: le smonta e le rimonta pez-zo per pezzo, per carpirne tutti i segreti. Sempre a corto di mezzi, ricorre ai rottamai per procurarsi a buon mercato i materiali di cui ha bisogno. E proprio da un rottama-io, Andrea Gallini Pirani, di Ca-sumaro, gli viene posta la domanda che gli fa trovare la sua strada: “Sa

costruire una macchina capace di dividere la plastica dai cavi?” Ri-sponde di sì, d’istinto! Mauro, infat-ti, tra i tanti mestieri intrapresi per trovare la sua strada, si era occupato della manutenzione nei magazzini di grano. Qui aveva avuto l’oppor-tunità di conoscere le diverse at-tività del molino: una di queste, il metodo per selezionare le sementi, gli offre la soluzione per costru-ire la macchina, richiestagli dal rottamaio , che gli spianerà la via del successo. Tanti accorgimenti per le sue macchine gli verranno suggeriti proprio dall’industria molitoria.Riesce così da solo, non poteva permettersi dei collaboratori, a re-alizzare in un capannone preso in affitto a Decima, questa macchina che, immessa sul mercato, riscuo-te un successo immediato. E così dal 1988 al 1999 inventa, produce e vende macchine impiegate nei settori più disparati:per separare le fibre di cocco degli zerbini dalla base di plastica;l’alluminio dalla plastica dei barat-toli di yogurt;i datteri dai semi, il ginseng e i chic-chi di caffè da radici e terra, le man-dorle dal guscio, per eliminare gli inquinanti dalle carcasse delle batterie esaurite delle auto; per macinare e dividere i coni di plastica dal filato rimasto. Nel 1999 sorge l’attuale sede del-la “GUIDETTI RECYCLING” a Renazzo,su un terreno in preceden-za occupato dalla CHIMIREN, Da un pezzo ci stava pensando e ogni volta che transitava da quelle parti

con il suo amico e stretto collabora-tore Cesare Tamburini, rinnovava il suo proposito, pur sapendo di tro-varsi in difficoltà a pagare il pieno di carburante! Sembrava un sogno irrealizzabile. Quell’area sembrava maledetta, era evitata da tutti. Il dr. Paolo Fava, sindaco di Cento, fece eseguire dall’ARPA carotag-gi del terreno, che non rivelarono la presenza di sostanze pericolose per la salute. Fu però necessario procedere, dopo tanti anni di abban-dono, ad una profonda ristruttu-razione dei capannoni, restituendo così l’area all’attività economica, come dimostra anche l’insediamen-to della “Manichini Bonaveri”:Via Salvi diventa così una bella e promettente realtà industriale carat-terizzata da ampie strutture, piene di luce, che non hanno niente da spar-tire con i tradizionali opifici. L’ele-fante della “Guidetti”, che richia-

ma quello della V.M., dà sicurezza e fiducia a quanti vi operano.Nel suo ufficio campeggiano due fo-to significative: quella di Ferruccio Lamborghini. e quella di Cesare Tamburini. Del primo sottolinea: “è stato un genio, uno degli imprenditori mi-gliori della zona, sicuramente del Centese. Per il tipo di lavoro che fa-ceva lui, di imprenditori bravissimi ce ne sono stati tanti, ma nessuno che come lui è entrato nella sto-ria. E’ indimenticabile. Oggi Lam-borghini è conosciuto in qualsiasi angolo del mondo. Fino a quando ci saranno automobili Lamborghini sarà sulla strada”Al secondo riconosce un ruolo de-cisivo nell’averlo aiutato, con le sue riconosciute competenze tecniche, nella realizzazione dei suoi progetti e delle sue idee.Le macchine di Guidetti incontrano ovunque successo e ammirazione al punto da risultare tra le più co-piate al mondo, soprattutto in Ci-na. Non ha, infatti voluto proteg-gerle da brevetti internazionali, fermamente convinto che chi copia è un passo indietro all’inventore, il quale, invece, si preoccupa di essere un passo avanti rispetto al-la concorrenza. Si evitano, inoltre, lunghe e dispendiose cause legali, in caso di violazione dei brevetti stessi.Quali sono i criteri operativi dell’azienda? Sono dettati dal valore dei materiali da estrarre, legati strettamente all’evoluzio-ne della tecnologia, e dal valore di mercato della materia prima stessa. Questa non manca presso i

rottami, le industrie produttrici di cavi, i Consorzi RAEE, le raffinerie di alluminio; pensiamo per un mo-mento alla vita estremamente breve dei prodotti dell’informatica e alla quantità di materiali preziosi che contengono ancora!; oppure ai pro-dotti per il risparmio energetico

Quali sono state le sue carte vin-centi?Sicuramente la perfetta padro-nanza della lingua inglese, che gli consente di trattare direttamente con la sua clientelala serie SINCRO, il prototipo è del 1990; seguono i modelli 315 Eko, 2013, venduti in 1295 unità; e 415 Eko, sempre nel 2013;la tavola di separazione “N.5” del 1993;Nel settore delle macchine movi-mento terra: Frantoio a mascelle, anno 2001, vendute in 377 unità; la

Motolivellatrice, MG 100, del 2011 Tutta particolare è la storia del pri-mo frantoio mobile per il riciclo degli inerti, del 2002. L’idea nasce mentre è incolonnato nel caotico traffico sulla tangenziale di Milano, rallentato da un grosso autocarro di macerie di demolizione, che proce-deva lentamente. Capisce immedia-tamente che ricorrere al trasporto speciale per macerie da demolire, per il tempo impiegato è sicuramen-te antieconomico. Da qui l’idea del frantoio mobile, presentato a Ve-rona nel febbraio 2002 alla Fiera delle Macchine movimento terra, incontra subito il favore del merca-to. Per l’azienda, questo frantoio mobile rappresenterà per cinque anni uno dei settori trainanti con una vendita di oltre 1.500 unità. La successiva crisi dell’edilizia ne ha ridimensionato la portata, ridu-cendone la percentuale al 10% della

produzione. I Premacinatori elettrici, modello 400 N serie PMG, del 2011, venduti in 329 unità; i prema-cinatori idraulici PMG 900 e 1200H del 2014, venduta quest’ultima ver-sione in 42 unità; la Linea Wire Pro-f e s s i o n a l 1 0 0 0 , composta da un pre-macinatore elettrico PMG 600N, rasper, camera di taglio, due separatori a zig zag, raffinatore, tavola di separazione e sot-totavola, del 2013, vendute in 57 unità; Linea Wire Profes-sional 3000, compo-sta da premacinatore idraulico modello PMG 1200, rasper, due separatori a zig zag, camera di ta-glio, nastro dosatore, raffinatore, tavola di separazione e sottotavola;la Linea per il riciclaggio dei cavi elettrici, composta dal premacinato-re elettrico PMG 400N e dal Sincro 415 Eko, del 2013;il Separatore ROBI 151, del 2014, ultimo modello, venduto in 412 unità;la Linea RAEE, 476kW per il re-cupero dei metalli non ferrosi, de-rivante dalla macinazione delle apparecchiature elettriche ed elet-troniche, progettata nel 2013: uni-co esemplare installato in Polonia;il Sincro Mill 315, del 2015.Per quanto riguarda il futuro, si sta giocando la carta di sedi commer-ciali all’estero, per curare l’assi-stenza, la vendita e la post ven-dita. Su questa linea si pongono le aperture ad Atlanta, negli Stati Uniti, dal maggio 2015 , con as-

sunzione di manodopera locale, la “GUIDETTI EST” in Romania, ad opera di alcuni ex dipendenti, per il mercato dell’Est Europeo;oggi l’azienda è governata da un Consiglio d’Amministrazione, pre-sieduto da Mauro Guidetti, mentre il dr. NILO GOZZI è l’Amministrato-re Delegato: Ma nel futuro di Guidetti, oltre al

Politecnico di Milano, per il re-cupero del materiale fotovoltaico, c’è forse … Ferruccio Lamborghi-ni? Per lui Lamborghini non solo è stato tra i migliori imprenditori del Centese, ma un uomo che è entrato nella Storia. In uno dei suoi capan-noni si possono ammirare diversi trattori Lamborghini e una Urraco del 1973. Come lui ha realizzato la sua SUPERCAR un sogno da lungo coltivato; lui minimizza, ma cono-scendolo …La GUIDETTI RECYLING si estende su una superficie di 4 et-tari, 15000 mq dei quali sono co-perti; gli addetti sono 35. Il 90% della produzione viene esportato all’estero. “C’è un tempo dove le idee sono solo coraggio e gli investimenti sembrano la follia di un azzardo.

Si fanno progetti con l’ingegno. Solo la tenacia e l’innovazione li rendono autorevoli, capaci di conquistare il mercato mondiale, perché crederci è una sfida indi-viduale e ha testa e mani tra gli ingranaggi di un’officina”.

(da “Guidetti, un racconto per immagini” di Andrea Samaritani e Claudia Fortini, 2015.).

resto con il suo amico e stretto collabora- rottam

“GUIDETTI”“GUIDETTI”a cura di Giuseppe Sitta

PREMIO ʻARTE ,̓ LA CENTESE PREMIO ʻARTE ,̓ LA CENTESE FEDERICA CIPRIANI INCANTAFEDERICA CIPRIANI INCANTAARMONIA E MOVIMENTO NELLʼOPERA ARMONIA E MOVIMENTO NELLʼOPERA

“SENZA TITOLO #T70”“SENZA TITOLO #T70”

La centese Federica Cipriani è stata tra i vincitori del premio

‘Arte’, nella sezione dedicata alla scultura. Per la giova-ne artista e titolare della ditta artigiana Cipriani sas, è so-lo l’ultimo dei successi otte-nuti e, a regalarglielo è stata l’opera ‘Senza titolo #T70’. Alla base della ricerca arti-stica di Federica Cipriani ci sono armonia e movimento: “La gestualità della costru-zione dell’opera, ripetitiva – spiega -, tende all’apertura e

alla disgregazione della for-ma verso un senso assoluto di movimento. “Senza Titolo #T70” nasce dall’osservazio-ne del paesaggio, in cui sono nata e vivo, e dalle sugge-stioni visive generate dalla nebbia”. L’opera è realizzata con carta da lucido, chiodi, tela e grafite. Le sagome di carta rimangono sospese sui chiodi di diversa altezza cre-ando architetture impalpabili. È la carta la materia prima protagonista e ‘viva’ delle mie composizioni: le sagome

se esposte a corrente d’aria, o anche solo ad un flebile sof-fio, si muovono rendendo la percezione del movimento, simulata nella composizione, reale a tutti gli effetti. L’ope-ra ha convinto i giudici del premio, organizzato da Cairo editore. Tutti gli anni la re-dazione della rivista selezio-na 120 artisti, suddivisi nel-le diverse categorie pittura, scultura, fotografia e grafica tramite un bando di concor-so. Successivamente vengono scelti 40 finalisti che parteci-pano a una mostra collettiva, quest’anno è stata a Palazzo Reale a Milano dal 10 al 13 novembre. E il 9 novembre scorso c’è stata la premia-zione: sono state assegnate quattro targhe d’oro, una per ogni categoria, “e a me – dice Cipriani - è stata data quella per la sezione scultura. Nel numero di dicembre della ri-vista ci sarà un articolo dedi-cato ai vincitori, che saranno anche inseriti nel catalogo di Arte Moderna Mondadori di quest’anno. Sono stata dav-vero felice di ricevere questo riconoscimento, sinceramente insperato; inoltre la mostra in un palazzo cosi prestigioso di Milano è stata un emozione ancora più grande”.

Valerio Franzoni

IL COMUNE INFORMAIL COMUNE INFORMAÈ iniziato lo scorso 10 ottobre •

il cantiere di recupero post-sisma del cimitero di Cento. L’opera, il cui importo a contratto è di 828.517 euro, contempla interventi di riparazione dei danni riportati dalle strut-ture, di messa in sicurezza e rinforzo dei solai di sottotetto dei colonnati, di rinforzo dei colonnati, di ripristino delle coperture e delle finiture, di riparazione e messa in sicurezza degli elementi di carattere artistico più vulnerabili. Il ter-mine dei lavori è fissato tra sei mesi.

Dallo scorso 15 novembre, il • Mercato Contadino di Cento si è tra-sferito, come programmato, in piazza Guercino. Una prima fase, utile per fa-miliarizzare con la nuova ubicazione e per valutarne tutti gli aspetti. L’obiettivo è riqualificarlo nell’immagi-ne, con gazebo uguali in forma e colore e limitazioni sulla tipologia di automezzi presenti, così da avere un colpo d’occhio della piazza omogeneo e gradevole.

Il • corpo di Polizia Municipale di Cento si è dotato del dispositivo portatile Targa System. Uno strumen-to costituito da una telecamera a raggi infrarossi che memorizza il transito dei

veicoli, riconoscendo il numero della targa , e interrogando in tempo reale le banche dati della Motorizzazione Civile, dell’Ania e dei veicoli rubati. Esperiti tutti i controlli documentali del caso, alla presenza del trasgressore, e a conferma della segnalazione ricevuta dallo stru-mento, si procederà alla contestazione immediata dell’illecito e al sequestro del veicolo in caso di mancata copertura assicurativa.

Cento e Taverna si sono incon-• trate per dare vita a una mostra inedita: ‘Guercino e Mattia Preti a confronto’. La mostra costituirà una novità assoluta: la pregevole occasione di vedere, per la prima volta a confronto, il maestro cen-tese e il ‘Cavaliere calabrese’, che ne è stato l’allievo. L’esposizione, che proporrà dalle 16 al-le 20 opere, si svolgerà a primavera al Museo Civico di Taverna, che nel 2017 celebrerà il quarto di secolo della sua istituzione. Farà quindi tappa in autunno a Cento, per poi arrivare all’Aquila, con la cui amministrazione si lavora per concretiz-zare la disponibilità.

Il nostro giornale è arrivato al numero ‘100’. Un importantissimo traguardo che è stato possibile raggiungere grazie all’impegno dell’indimenticabile direttore Guido Vancini che ha avuto l’intuizione di fondarlo e grazie alla dedizione dei collabo-ratori che, con i loro articoli, hanno lasciato ai posteri il racconto di un pezzo di storia della nostra città. Il ringraziamento più grande e sentito della ‘Famiglia Cen-tese’, in questa occasione, lo rivolgiamo a Giuliano Donini e Claudia Poluzzi della tipografia ‘Graphic System’ di Cento che, con estrema cura e pazienza, confeziona e stampa il giornale e rende possibile la sua uscita. Grazie davvero, dall’associazione ‘Famiglia Centese’ dal direttore e da tutti i colla-boratori.

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 9

pag. 10 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

LAVORATRICI E LAVORATORI UCRAINI CATTOLICILAVORATRICI E LAVORATORI UCRAINI CATTOLICIFESTEGGIANO ALLA MADDALENAFESTEGGIANO ALLA MADDALENA

DOMENICA 06 NOVEMBRE 2016DOMENICA 06 NOVEMBRE 2016

Solenne Santa Messa della Chiesa Ucraina Cattolica di rito bizantino celebrata da due sacerdoti ucraini inviati dal Vescovo Ireneo, canonico di Santa Maria Maggiore di Roma; e da Andriy Zhyburskyy da cinque

anni celebrante delle liturgie a Cento e da Mons. Andrea Caniato, direttore dell’ufficio Migrantes della diocesi di Bologna, inviato dall’arcivecovo S.E. Mons. Matteo Zuppi per ricordare il quinto anno della liturgia ucraina nella chiesa di Santa Maria Maddalena di Cento.

ASSOCIAZIONI ISLAMICHE IN SAN LORENZOASSOCIAZIONI ISLAMICHE IN SAN LORENZODomenica 3 agosto 2016, rappresentanti delle associazioni islamiche centesi unitamente al Vice sindaco, per l’Amministrazione comunale di Cento, hanno presenziato alla S. Messa delle ore 11,30 in San Lorenzo, in segno di solidarietà alla Comunità cattolica per il martirio in chiesa di P. Jacques Hamel nei pressi di Rouen.Al termine, in piazza Guercino, con la lettura di alcuni versetti del Corano, si è ribadito che l’Islam è la religione per la pace e che coloro che danno altre interpretazioni al Corano non sono buoni musulmani.

Buone Feste

Rappresentanti delle Ass. Islamiche in San Lorenzo ... ... e in piazza Guercino, tra Mons. Stefano Guizzardi e Simone Maccaferri

Avevo 15 anni o poco più e sen-tivo che il mestiere di orefice di mio padre Silvestro mi stava

stretto. Combattevo con il desiderio di aiutare i miei genitori e la profonda ne-cessità di aiutare il prossimo in senso lato.

Che cosa c’è di più importante che intra-prendere la carriera di medico per realiz-zare i miei sogni??

E così feci.

Dopo essermi diplomato al Liceo Classi-co Cevolani di Cento, seguii il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia presso la Università degli Studi di Bologna, laure-andomi a 26 anni.

(Già all’inizio dei miei studi iniziai a col-laborare con l’AVIS di Cento, compito che ho portato avanti per 29 anni, rico-prendo il ruolo di Direttore Sanitario per gli ultimi 10 anni.)

Immediatamente dopo feci il Tirocinio obbligatorio post Laurea presso l’Ospe-dale di Pieve di Cento (Primario il Dott. Govoni) ed iniziai subito dopo (maggio 1980) a lavorare nella Guardia Medica nelle notti e nei festivi.

Il 1981 lo trascorsi fra Bari-Udine e Vit-torio Veneto facendo il Servizio Militare in Sanità.

Appena tornai, vinsi il posto come Medi-co di Medicina Generale presso la USL di Mirandola ed aprii l’Ambulatorio nel Comune di San Prospero, che lasciai do-po circa 9 mesi perché nel frattempo, si era liberato il posto a Cento e come tra-sferimento ebbi la precedenza.

Quindi il mio inizio vero a Cento è stato l’8-febbraio-1983, nello Studio Medico che l’Avvocato Benazzi mi affittò nel suo stabile di Via Provenzali 6.

Nello stesso anno iniziai a frequentare la Scuola di Specializzazione in “GERIA-TRIA E GERONTOLOGIA” a Modena presso la quale mi specializzai nel 1986, continuando a frequentare la Scuola e

producendo circa 60 pubblicazioni scien-tifiche fino all’inizio del 1990.

Per completare il mio curriculum, nel 1993 accettai la possibilità di aprire un secondo ambulatorio nella bella frazione di XII Morelli, dove ho lavorato fino al momento del mio pensionamento, avve-nuto il 10 settembre 2016, pochi giorni orsono. (quasi 24 anni di lavoro a XII Morelli)

Ringrazio qui pubblicamente tutti coloro che mi sono stati vicino in questi 46 anni di studio e lavoro e in particolar modo la mia bravissima assistente di studio Clotil-de Manna (mia dipendente dal 1990) e le tre dottoresse della Medicina di Gruppo di Cento (dott.ssa Borghi Milena, dott.ssa Paola Loretta Codeluppi e dott.ssa Lina Taverna) oltre alla mia famiglia che mi ha dovuto supportare in un lavoro che lascia pochi spazi alla intimità familiare, senza dimenticare mia madre e mio padre che mi hanno aiutato in un modo incredibile.

Ora il mio lavoro continua da pensionato della Medicina ma con tanto desiderio solo di aiutare la mia famiglia in ciò che si sta sviluppando (del resto dai 64 ai 94 anni dovrò pur fare qualcosa, no???)

UN GRAZIE ED UN ABBRACCIO A TUTTI I MIEI ASSISTITI.

Dott. Antonio Gallerani

Dott. Antonio GalleraniDott. Antonio Gallerani

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 11

NOTTAMBULINOTTAMBULIa cura di Rino Balboni e Giuseppe Sitta

In questo numero 100 non poteva mancare un articolo su questa associazione, che tante benemerenze ha saputo conquistar-

si nei suoi primi cinquanta anni di vita. Ho incontrato per questo Rino Balboni, il pre-sidente in carica, al quale ho rivolto alcune domande. Come e quando è nata la società? Nasce, così come la vediamo adesso, alla fine del 1965, con lo statuto sociale a partire dal 1966, dall’unione di altre due società: “L’Arcobale-no” ed una prima società dei “Nottambuli”. Quest’ultima, a parte un paio di partecipazioni al Carnevale, era per lo più dedita ai veglioni mascherati al ”Borgatti”. Il fulcro attorno al quale orbitava il sodalizio era il bar “Otello” in via Donati. Inizialmente il suo scopo fu il Carnevale, con sfilate per diversi anni lungo il Corso Guercino, riscuotendo sempre il grande favore del pubblico. Come nascono le vostre attività? Dal Car-nevale spaziarono allo sport alla cultura, al folclore popolare. Chi non ricorda, fra i tanti, il magnifico giardino allestito in piazza del Guercino, la festa dell’uva, la mostra cani-na, “i zug ad na volta”, il concorso di pittu-ra fra le Scuole di Cento, le gare podistiche, le tante gite culturali, la pubblicazione di libri, il lancio dei fiori al “Borgatti”il mar-tedì di Carnevale? E che dire delle tante goliardate, ancora oggi nel cuore della gente, che le ricorda come

momenti felici: il muro di ghiac-cio, la corsa dei becchi per San Martino e tante altre simpatiche iniziative che prendevano forma da idee che scaturivano dentro al bar Otello, nella quotidianità e nello stare insieme. E’ proprio questa la chiave per compren-dere tanta vivacità: quasi tut-ti i soci, infatti, o per lo meno il gruppo trainante, si trovava tutti i giorni da “Otello” per il caffè, la briscola dopo mangiato, due chiacchiere alla sera. E’ facile immaginare come si in-nescavano tante trovate: era sufficiente una scommessa, una sfida, e subito ci si dava da fare per studiare il modo per attuarle; si può dire che le cose sbocciavano da sole.Avete cominciato con il Carnevale: perché non vi partecipate più? Alla fine degli anni Ottanta, i Nottambuli si ritirano dal Carneva-le, perché lo ritengono non più aderente al loro modo di sentirlo e di interpretarlo, per cui, quasi per gioco, si avvicinano al mondo del teatro, interpretando la commedia musi-cale “Pinocchio”.Qual è la carta vincente del vostro modo di fare teatro? A dire il vero, nel mazzo sono diverse le carte vincenti: da un’idea di Aroldo Dinelli, Giancarlo Mandrioli e della moglie Patrizia Roncaglia la compagnia teatrale è composta esclusivamente da soli uomini, i quali coprono anche i ruoli femminili; sono tutti carissimi amici che i Nottambuli ricor-dano con molto affetto, anche come registi di alcune commedie. A riguardo di Aroldo

Dinelli, simbolo del Carnevale di Cento, dal portamento elegante e dalle movenze gentili, è sempre stato non solo un socio dei Not-tambuli, ed un elemento di traino del gruppo della commedia, ma anche attore e autore dei testi dei lavori rappresentati. Quella del doppio attore e autore non è una novità per i Nottambuli: come recentemente avvenuto anche per Marco Amadio Pilati.La gente segue da sempre i Nottambuli con entusiasmo e tanto interesse: qual è la soddisfazione maggiore? Senza dubbio quella di essere di aiuto al prossimo. E per noi il prossimo sono le Scuole, gli Asili, il Centro di psichiatria infantile dell’Ospeda-le di Cento, l’A.N.T., ai quali si devolvono i proventi delle manifestazioni programmate, oltre a fornire materiali di consumo, carta per fotocopie, giochi didattici.Altra bene-merenza dei Nottambuli è la difesa e la va-lorizzazione del dialetto. E’ una lingua che, purtroppo, sta lentamente ed inesorabilmente scomparendo dall’uso quotidiano, ma dal sa-pore unico, che con tutte le sue molteplici sfu-

mature rende esattamente qualsiasi situazione. E’ un qualcosa di profondo, che è dentro ad ogni per-sona, parlato fin dalla più tenera età, e che ci si por-ta dentro come bagaglio culturale inconfondibile ed inimitabile. Signor presidente, grazie per questa bella chiac-chierata, con l’augurio di un buon lavoro, nella speranza che nuovi soci possano aderire a questo meraviglioso sodalizio.

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“ ETERNI INTERNI”“ ETERNI INTERNI”Mostra di artisticontemporanei

a Pieve di Cento22 Ottobre – 27 Novembre

Presso la Galleria Il Ponte, a Pieve di Cento, è stata inaugurata la mostra “Eterni Interni”, con esposizione di

quadri di Dino Boschi, Matteo Massagrande, Raffaele Minotto, Nicola Nannini (docente di disegno e figura presso la Scuola di Artigia-nato Artistico di Cento), Giorgio Scalco ed Alberto Zamboni, artisti eccellenti dell’arte contemporanea.E’ dedicata al tema degli interni abitativi, per-ché, come spiega Franco Basile, curatore dei testi del catalogo, in essi si racchiude l’anima di chi li vive.Alessandro Bregoli, Graziano Cortesi e An-drea Maccaferri ne hanno curato la realizza-zione ed organizzazione.I quadri esposti rappresentano al meglio l’alto livello artistico degli autori, un susseguirsi di suggestive immagini di camere da letto, in-gressi, sale da pranzo, salotti, studi.Stanze a volte elegantemente arredate, a volte fredde e spoglie, a volte metodicamente ordi-nate, a volte in abbandonato disordine.

Anna Vegetti

pag. 12 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

Alfredo Govoni, terminate le Scuole elementari, nell’a.s. 1936-37 entra nella Sezione industriale delle Tad-

dia. Da subito dimostra di possedere estro, capacità creativa, voglia di sperimentare, di fare, qualità che gli vengono riconosciute da tutti e che stanno alla base della sua attività di imprenditore. Suo, infatti, è il disegno tecni-co allegato alla domanda di omologazione della Carioca di Ferruccio Lamborghini nel 1947-1948. Dopo avere lavorato presso la Essiccatoi Fa-va, come disegnatore, apre con il sig. Guido Franzoni una bottega artigianale di lavo-razioni meccaniche in Corso Ugo Bassi n° 31, dove mette a frutto il suo spirito creativo. Ai due soci sono intestati, infatti, due brevetti industriali: il primo, presentato il 15 giugno 1953, per una “macchina adatta alla lava-tura ed alla estrazione della canapa lavata” direttamente dal macero; il secondo, presen-tato il 20 marzo 1954, per un “Coltivatore composito”per la contemporanea lavora-zione di aratura e di erpicatura del terreno, con sistemi diversi da quelli tradizionali.Tramontata questa coltura, che aveva rappre-sentato, con il frumento, il paesaggio agrario italiano, e Centese in particolare, l’ azienda comincia a ricevere richieste di macchine per l’escavazione della sabbia, a fronte dell’in-tensa attività edilizia del Centese nel secon-do dopoguerra. Sorge così nel 1960 la “ditta Govoni Alfre-do”, sulla strada Provinciale per Bologna su una superficie di 6.000 mq., 2.000 dei quali coperti. Conclusa la fase artigianale, inizia quella industriale, durante la quale l’azienda razionalizza e circoscrive il suo raggio d’azione , grazie ad un’intensa atti-vità di ricerca, al settore dei sistemi di tra-sporto di materiali sfusi e confezionati. La tradizione dell’azienda, quindi, si basa sulla progettazione e costruzione di trasportatori

meccanici a piastre, a raschiante e a coclea, ed a nastro gommato, utilizzati nei più svariati settori di applicazione alimentare, chimico, saccarifero, cartario, estrattivo, meccanico, e da ultimo nello smaltimento dei rifiuti.All’indomani della triste scomparsa del suo fondatore, 1984, la moglie, signora Maria Rosa, che da sempre lo aveva seguito nella gestione dell’azienda, prendeva la difficile decisione di proseguire l’attività. Le Sue capacità pragmatiche di buona ammini-stratrice consentirono ai figli di proseguire gli studi: Daniele si laurea in Economia e Commercio, Paolo in Ingegneria meccani-ca.Alla fine degli anni ’80, il settore ricerche dell’azienda, proseguendo nell’intuizione del fondatore della necessità inderogabile dell’innovazione del prodotto, punta deci-samente allo sviluppo di apparecchiature e sistemi innovativi. nell’ambito della movi-mentazione dei trucioli metallici e la filtra-zione dei liquidi lubro-refrigeranti, con lo scopo di elaborare prodotti di elevata affida-bilità e salvaguardia dell’ambiente.Fondamentale in questo senso si rivela la collaborazione con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, nella persona dell’ing. Fabio Soavi, docente alla Facoltà di Ingegneria e Paolo, laureando, secon-dogenito di Alfredo: insieme sperimenta-no, progettano e costruiscono macchine per il trasporto del truciolo, che poi Paolo gradualmente perfeziona. L’azienda, nei primi anni ’90, grazie alle innumerevoli rea-lizzazioni, assume la nuova denominazione di “Govoni Handling System”. Qual è la carta vincente di questo nuovo indirizzo produttivo? Si basa sul criterio di convogliare il truciolo metallico, di qualsia-si forma e di qualsiasi materiale con l’azio-ne rotatoria di una vite, che agisce per tutta la sua lunghezza, attraverso un collettore, il cui profilo geometrico è correlato alle modalità di funzionamento della vite stes-sa. Questo concetto, tradotto in un sistema meccanico innovativo, viene coperto nei primi anni ’90, da brevetti internazionali. Il truciolo, giunto allo scarico, viene raccol-to dagli evacuatori di ogni singola macchi-na utensile e convogliato, in orizzontale o in verticale, in un collettore principale che lo trasporta in un unico contenitore centraliz-zato, collocato all’esterno dello stabilimen-to, senza alcun ausilio di operatori. Fino a quel momento, infatti, il truciolo era gestito in modo manuale: il truciolo veniva scaricato in cassoncini posti a bordo di ogni macchina utensile, cassoncini successivamen-te trasportati all’esterno da operatori e carrel-listi. Nella fase del trasporto, poi, il truciolo viene compattato, per cui si riduce di volu-

me. Il vantaggio è evidente: si possono in questo modo, infatti, utilizzare collettori a sezione trasversale molto ridotta, e sfrut-tare spazi più ristretti per l’installazione dell’intero impianto.In presenza di fluido lubrorefrigerante, il truciolo viene separato dallo stesso in appo-siti dispositivi di pre-filtrazione, realizzati in posizioni opportune nei collettori oriz-zontali a terra. Le soluzioni offerte per la filtrazione di oli lubrorefrigeranti consentono di mantenerne intatta la qualità, per cui po-tranno essere nuovamente utilizzati, con ri-cadute vantaggiose in termini di precisione e durata delle lavorazioni delle macchine utensili ed il minimo ricorso ad interventi di manutenzione.Grazie a queste caratteristiche il Sistema Go-voni soddisfa in pieno le nuove esigenze del

mercato in fatto di rispetto delle leggi sulla sicurezza e sull’ambiente; di risparmio sui costi e in termini di spazio di lavoro; di miglioramento dell’ergonomia ed ecologia nelle officine; di un più facile riciclaggio dei materiali di scarto; della conseguente ridu-zione di rifiuti speciali, quali olio da taglio o liquidi lubrorefrigeranti. Come si vede, il rispetto delle leggi sulla si-curezza e sull’ambiente costituisce l’obiet-tivo numero uno del nuovo sistema: gli impianti installati migliorano l’ambiente lavorativo nelle officine riducendo l’impat-to di esalazioni e odori ed il contatto diretto con materiali pericolosi e nocivi. L’azienda è fermamente convinta che un am-biente di lavoro “ecologico”, rispettoso delle normative vigenti, ha un importante effetto ricaduta sull’immagine aziendale, sia verso i propri operatori, sia nei confronti dei clienti e di altri interlocutori esterni; e che migliora-re l’ambiente di lavoro, inoltre, è un vero e proprio investimento, che riscuote un ampio consenso sociale interno ed esterno ad ogni realtà produttiva. Sono proprio la qualità, l’efficienza e la semplicità tecnologica ad avere consentito all’azienda non solo di conquistarsi un ruo-lo di primo piano in diversi settori: macchi-ne utensili, ruote in lega, valvole e raccordi, rubinetterie, tornerie, armerie, forgiatori, componenti oleodinamici, trasmissioni in-dustriali, lavorazioni meccaniche di preci-sione, ma anche di vantare aziende leader mondiali tra le proprie referenze.A dimostrazione del grado di qualità rag-giunto dalla Govoni, richiamo l’articolo di Stefano Cazzani “La vite che muove il tru-ciolo” apparso su RMO n° 58 dell’ottobre 2002, relativo all’impiego nelle linee di pro-duzione della Fabbrica d’armi Pietro Be-retta di un innovativo sistema brevettato dalla azienda centese.

Seguiamo ora l’avvincente racconto di Fran-cesco Franzini, responsabile dell’Ufficio Tecnologie della Beretta.L’adozione del nuovo impianto di trasporto del truciolo è la conseguenza di una serie di scelte strategiche che Beretta ha compiuto ne-gli anni scorsi, che derivano da un articolato progetto aziendale rivolto al miglioramento a 360° dei processi produttivi.Questo processo di miglioramento conti-nuo, impostato nel 1999, ha riguardato tutte le aree del ciclo produttivo, all’in-terno delle quali ha assunto particolare importanza il processo di lavorazione per asportazione del truciolo. Il piano strategico di aggiornamento tecnologico ci ha indotti a valutare tutta una serie di macchinari ad altis-sime prestazioni, come ad es. le macchine a motori lineari servite dall’impianto di tra-

sporto del truciolo della Govoni. Nell’impianto in questione produciamo due particolari d’arma: la culatta del fucile semi-automatico, per cui partiamo da un grezzo del peso di 1.600 grammi, producendo circa 1.000 grammi di truciolo per ogni pezzo; il fusto della pistola, dal quale si asportano po-co più di 600 grammi. Se si pensa che di culatte se ne producono 80.000 l’anno e di fusti di pistola circa 100.000, è facile immaginare la massa di tru-ciolo da movimentare e smaltire.I centri di lavoro, poi, che funzionano in regi-me di alta velocità, generano trucioli medio-lunghi, sia per il processo sia per il tipo di lega leggera utilizzati. Questa massa, prima dell’installazione dell’impianto Govoni, era gestita con me-todi manuali, riempiendo mediamente un cassone di due metri cubi al giorno per ogni macchina.Avendo deciso di utilizzare per la produ-zione delle parti principali d’arma in le-ga leggera centri di lavoro non presidiati, operanti h 24 per sette giorni, l’analisi per la scelta del migliore sistema di trasporto di trucioli ha impegnato l’azienda per un anno, prendendo in considerazione tutti i sistemi presenti sul mercato, da quelli tradizionali (come evacuatori a pale draganti o a tappeto) a quelli a fluido (come i sistemi ad aspirazio-ne d’aria o idraulici) per finire con quelli più innovativi, come quello a vite proposti da Govoni.La scelta è poi caduta sul sistema a vite, rappresentando la sintesi migliore dei van-taggi espressi dagli altri sistemi, senza ere-ditarne i difetti. Negli ultimi anni l’azienda, oltre a consolida-re il rapporto con il Gruppo Beretta, ha con-quistato la fiducia di altre eccellenze italiane nonchè di colossi internazionali.

GOVONI HANDLING SYSTEMSGOVONI HANDLING SYSTEMSdi Giuseppe Sitta

Alfredo Govoni - il fondatore

Maria Rosa Govoni, con i fi gli Daniele e Paolo

Impianto trasporto trucioli realizzato in CROMODORA WHEELS

Il 18 maggio Sandro Tirini, in-gegnere nucleare, è stato il pro-tagonista di un evento storico

incentrato sul concittadino Gherar-do Monari, sfortunato esploratore in Terra d’Africa. Nella prestigiosa se-de della Società Geografica Italiana, a Roma, si è confrontato con tre do-centi universitari ( Luca Bevilacqua, G.P. Calchi Novati, Claudio Cerreti) e con il dott. Luca Lupi, massimo esperto italiano della Dancalia, ri-proponendo quanto era stato esposto a Cento alla Partecipanza agraria in occasione del 130° anniversario dell’eccidio. Paradossalmente a que-sto prestigioso traguardo giunge con il lavoro del 2015, in quanto l’edito-re aveva inviato copie in omaggio, una delle quali era finita alla Società Geografica.Approfittando dei suoi incarichi in Francia e alla presidenza italiana del G8 alla Farnesina, ha potuto accede-re all’Archivio storico del Ministero degli Affari esteri, a Roma. Aveva, da parte sua, letto il ricco epistolario di Rimbaud e le due relazioni esplo-rative; per Monari invece, il Diario della sua avventura africana.Come hanno vissuto i due giovani, quasi coetanei, questa loro esperien-za? Grazie ad una documentazione di prima mano, redatta dagli stessi protagonisti, e d’archivio, in gran parte inedite, l’avventura africana perde in gran parte, se non tutto, quell’alone di idealismo, di mis-sione civilizzatrice che da sempre l’avevano presentata. E’ l’auto-

re stesso a fornirci la risposta nei rispettivi titoli, che riassumono le fondamentali differenze: per Rim-baud “sogni, tormenti e segreti”, per Monari “una romantica avventura”. Rimbaud, dopo un’esistenza rotta ad ogni esperienza, per un litigio con un suo operaio a Cipro, lo ucci-de con una pietra, fugge sulla prima nave in partenza, e, incurante della destinazione, sbarca ad Aden. Qui deve ricominciare tutto da capo e arrangiarsi da solo; Gherardo Monari, figlio di una del-le famiglie più in vista di Cento, consegue il diploma di capitano ma-rittimo alla Scuola commerciale di Venezia. Vive in pieno clima risor-gimentale, nei valori condivisi di Patria, Onore e Lealtà, rinforzati dal fascino delle esplorazioni geogra-fiche. Se la sua partenza è dettata da una cocente delusione d’amore per Sofia Ravogli, questa avviene, però, nell’ambito di una spedizio-ne sapientemente organizzata alle sue spalle che, però, avrà proprio nella guida del capo Bianchi uno dei fattori del suo tragico fallimento Troppo tardi capirà di essere stato usato: lo confida a Marianna, sorel-la di Cesare Carpeggiani “che non si affiderà più a ben noti e pratici viaggiatori”, volendo essere padro-ne delle sue scelte.Per tutti gli undici anni della sua avventura africana Rimbaud è per-seguitato dall’ansia del denaro, che cerca di procurarsi in tutti i modi: addirittura nella sua cintura nascon-

de migliaia di franchi e persino 8 chili d’oro, il cui peso sarà indicato come una delle cause della sua spos-satezza fisica. Non esita a prendere parte ai lucrosi commerci di armi e, forse, anche di schiavi, attività che consentivano un rapido arricchimen-to. Ma non sempre le cose vanno nel giusto verso, come dimostra la vicenda dei 2.000 fucili a Menelik, da lui stesso considerato un misero affare. Ma non si arrende mai e, do-po ogni fallimento, è già pronto un nuovo progetto perché l’inventiva non gli manca: basti pensare all’in-crocio tra muli e cavalle per ottene-re un asino più robusto; nemmeno la gamba amputata lo frena. Ancora nel maggio ’91, infatti, è convinto di tornare ad Harar per riprendere l’attività.Se Monari vive l’avventura da gran-de bambino, come emerge dalle sue entusiastiche e dettagliate descri-zioni del paesaggio, dal suo desi-derio di portare a casa un trofeo ( la caccia all’ippopotamo si interrompe perché ha sprecato le munizioni in dotazione per quella giornata ), non ha lo spirito del vincitore ( ha parole di commiserazione per le prostitute e per il modo in cui vivono, rifiu-tando di approfittare delle giovani ragazze che si offrono o che gli ven-gono offerte ).Drammatiche le pagine sulla tratta degli schiavi. Ad un secolo dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, 1794, continua ad essere praticata, indisturbata, a dispetto di tutte le ro-

boanti condanne di facciata, favorita anche da una posizione geografica vicina ai porti defilati del Mar Ros-so, più appartati e poco sorvegliati. Opportunismo, quieto vivere, cor-ruzione, rapido arricchimento sono le motivazioni di base: uno schiavo adolescente, acquistato per 10/12 franchi, era rivenduto a 200/250! Secondo l’esploratore Soleillet, lun-go la pista da lui indicata, calcolava che fossero trasferiti 10.000 schiavi in un anno. L’ammontare del profit-to in un anno è facilmente calcolabi-le! Combatterla avrebbe significato, paradossalmente, mettere in crisi l’intera economia, poiché si sareb-bero ridotti tutti i traffici ( armi, avorio, pelli, caffè ). Non succede oggi, forse, la stessa cosa? Pensia-mo al caso irrisolto della morte di Ilaria Alpi e Krovatin, o ai recenti fatti di Mafia capitale, o ai viaggi della disperazione lungo le rotte del Mediterraneo, o lungo la pista bal-canica, o alla giungla di Calais.Tragici sono i destini di questi due ragazzi.“In questo ozio forzato pensa con rimpianto al passato: “Dove sono le corse attraverso i monti, le cavalca-te, le passeggiate, i deserti, i fiumi e i mari? E ora solo un’esistenza da monco e storpio .. e pensare che avevo deciso di rientrare in Francia per sposarmi! Addio matrimonio, addio famiglia, addio avvenire! La mia vita è passata, non sono che un amputato immobile”.“Queste tristi parole contengono la sintesi di una metamorfosi, sicu-ramente già iniziata in Africa, im-pensabile nel Rimbaud poeta che la Francia aveva conosciuto. La malat-tia accentua la riflessione esistenzia-le, gli fa vedere la vita sotto una lu-ce diversa; tutto ciò che da scrittore aveva deriso e disprezzato ora, nella nuova condizione, lo fa riflettere profondamente. La conclusione a cui approda è che quel che conta è

avere un avvenire nel proprio fu-turo, un destino da costruire con la concatenazione di scelte giuste. E lui le ha mancate tutte”.Gherardo Monari è ucciso due vol-te: nell’assalto dei Dancali prima, dall’ipocrisia poi, che ha contornato l’intera vicenda.

Giuseppe Sitta

Sandro TiriniSandro Tirini

“GHERARDO MONARI ESPLORATORE IN AFRICA, “GHERARDO MONARI ESPLORATORE IN AFRICA, UNA ROMANTICA INGENUITÀ”UNA ROMANTICA INGENUITÀ” Bologna, Pedragon 2014Bologna, Pedragon 2014

“JE SUIS ICI ... “JE SUIS ICI ... SOGNISOGNI TORMENTI E SEGRETI TORMENTI E SEGRETI DI ARTHUR RIMBAUD IN AFRICA”DI ARTHUR RIMBAUD IN AFRICA” Genesi Editrice, Torino, 2015 Genesi Editrice, Torino, 2015

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 13

Dalla Carioca è un susse-guirsi di proposte nuove ed originali che, se da un

lato pongono Ferruccio e Cento all’attenzione del mondo, trovano un improvviso stop alla fine degli anni Sessanta. La situazione viene affrontata con estrema decisione: lo stabilimento di Cento e una par-te delle maestranze passano alla Fiat, mentre la produzione di trat-tori continua alla Lamborghini Bruciatori di Pieve di Cento, op-portunamente ristrutturata e ridefi-nita, per molti anni ancora.

Come nasce questa nuova azien-da? Invitato negli Stati Uniti, Fer-ruccio, oltre alla Ford e alla Gene-ral Motors, visita una fabbrica di bruciatori, attività che non cono-sceva come realtà produttiva. Prese le opportune informazioni, dati alla mano, fiuta immediatamente il bu-siness: il bruciatore rende più del trattore! A Cento, era già operativa, sia pu-re a livello artigianale, la Baltur: Ferruccio propone al sig. Ballanti, uno dei titolari, una società a mag-gioranza e marchio Lamborghini.

Ballanti, visto tanto interessamento, sonda le intenzioni dei Fratelli Fa-va, che accettano di entrare in so-cietà, a condizioni più vantaggiose per la piccola Baltur.Ma non si dà per vinto, per cui si rivolge alla Thermomatic, di Bo-logna, e alla Riello, di Legnago, reclutando gli uomini migliori per il suo “gruppo tecnico”. Nella primavera del 1960, cogliendo le opportunità offerte dalla legge sul-le aree depresse, inizia a Pieve di Cento la costruzione della Brucia-tori-Condizionatori Lamborghini, ultimata in appena 160 giorni! La fabbrica viene concepita con crite-ri moderni, come dimostra l’inno-vativa cupola; è la prima azienda che introduce nel Centese il sistema della catena di montaggio. Questa azienda, partita letteralmente da ze-ro, in pochi anni si piazza ai primis-simi posti sul mercato italiano, pro-prio per avere introdotto le soluzioni tecniche più innovative. La strategia aziendale seppe tenere in considera-zione i sistemi di fuoco presenti nel territorio: in campagna, oltre al ca-mino, poteva essere presente anche la stufa a legna; in città, il riscalda-

mento nelle case era assicurato da caldaie a carbone. Da qui nasce la Serie L. Il model-lo L10, famigliarmente noto come “paperina” si poteva applicare alla vecchia caldaia a carbone, senza eli-minarla, limitandosi a togliere la gri-glia, procedendo ad un rivestimento di refrattario, sagomato e proporzio-nato alla fiamma per migliorarne il rendimento. Il cliente non era ob-bligato a modificare radicalmente il suo impianto. Immediati, comun-que, i vantaggi: non erano più ne-cessari il deposito per il carbone, il caricamento della caldaia, mentre il riscaldamento era continuo. Il mo-dello L4 , più piccolo, poteva es-sere inserito nel vano cucina, nella vecchia stufa a legna, con gli stessi vantaggi già evidenziati per il mo-dello più grande. Con l’introduzione del gasolio nasce il modello LG04.Se la prima rivoluzione fu il pas-saggio dalla nafta al gasolio, la se-conda fu la caldaia pressurizzata, la terza fu il trasferimento dell’at-tività nel nuovo stabilimento del-la Lamborghini Calor Dosso nel 1970, un complesso notevole per dimensioni e strutture. Grazie ad

una lungimirante politi-ca di investimenti e alla metanizzazione, l’azien-da ha saputo ritagliarsi nuovi spazi produttivi, e cogliere importanti rico-

noscimenti ( ad es. il marchio “An-gelo Blu” nella Repubblica federale tedesca ) che l’hanno rilanciata sui grandi mercati esteri, regolamentati da severe normative ambientali, e tradizionalmente dominati da azien-de giapponesi ed americane.

L’avventura dell’Auto. All’au-tomobile Lamborghini ha sempre pensato, e la sua storia personale lo dimostra ampiamente: le motoci-clette, la sfortunata partecipazione alla Mille Miglia, i suoi screzi e lo scambio di “complimenti” con Enzo Ferrari, ecc. E così il 19 dicembre 1952 leggiamo nella “Gazzetta di Padova”: “Nel segreto di una in-dustria centese sta nascendo una nuova vettura sport ( .. ). La na-scita di un’auto differisce dalla cre-azione di un qualsiasi prodotto e richiede, oltre a serietà di intenti e

capitali, severità di collaudi, tecnici esperti e grande capacità industriale ( .. ). Occorre però dire che non è la prima volta che un fatto del genere si verifica a Cento. Dal nulla sono state create officine e stabilimenti che producono macchine e moto-ri; dove prima crescevano l’erba o, tutt’al più, veniva coltivato il grano, si elevano oggi i monumenti della civiltà e del lavoro. L’ipotesi che il “miracolo centese” riuscirà a pro-durre un gioiello quale un’auto di grande potenza, impresa nella qua-le si lanciano, solitamente, soltanto Case con anni di esperienza, non è perciò azzardata”. L’articolo fu co-me un fulmine a ciel sereno: molti gli scettici, molti i profeti di sven-tura; le banche stesse giudicavano l’avventura dell’auto un fallimento in partenza, che avrebbe potuto tra-volgere quanto Lamborghini ave-va saputo costruire in tutti quegli anni. Quella che a Padova è rite-nuta “un’ipotesi non azzardata” a Cento i successi della Trattori e della Bruciatori sembrano non bastevoli a garantirgli credito e

FERRUCCIO LAMBORGHINI FERRUCCIO LAMBORGHINI (TERZA PUNTATA)(TERZA PUNTATA)

Giuseppe SittaGiuseppe Sitta

pag. 14 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

Nuova edizione 2017 in edicola

Il 3 dicembre è stato presentato alla Partecipanza Agraria il volume di Giuseppe Sitta “Guido Vancini, un Uomo per la sua Città”, che sarà posto in vendita a 15 euro nelle edicole e libre-rie cittadine. I Soci che non hanno ancora ritirato il volume sono pregati di richiedero a Davide Fiocchi in piazza Guercino.

Prima applicazione domestica del

bruciatore “Paperina”

Prima applicazione del bruciatore ad una cucina economica

Pieve di Cento. Sede del gruppo Same, già sede della Lamborghini Bruciatori,

successivamente trasferita a Dosso

credibilità. Ma le sue intenzioni vanno ben oltre quello che poteva sembrare uno “sfizio”, sia pure mol-to costoso!Da “Supersport” 25 febbraio 1963 “Da due trattori all’ora a .. 2000 automobili” così rispondeva a Le-lio Tagliaferro: ( .. ) “Io la cosa la vedo sotto il profilo industriale ed aziendale vero e proprio. Finora in Italia la costruzione di granturi-smo dalle prestazioni notevoli e dalle caratteristiche di alta classe è rimasta alla “fase artigianale”. Sia chiaro: nel concetto di artigia-nato non voglio includere nessuna sfumatura dispregiativa; voglio solo dire che, finora, le industrie che han-no prodotto GT, per forza di cose hanno dovuto limitare le loro produ-zioni a poche centinaia di esemplari l’anno. Noi abbiamo intenzione di dare la qualità e la quantità con i criteri di un ciclo di produzione a caratteristiche del tutto “indu-striali” ( .. ).Da “Auto In” giugno ’89. Così ri-corda Gino Rancati. “Nel giugno ’63, davanti alla villetta che ospita a Sant’Agata Bolognese la prima se-de della Lamborghini Auto, Lam-

borghini mi mostra un vasto terreno con quattro paletti ai quattro angoli. Caro Gino, qui prima del Salone di Torino, verso la fine di otto-bre, presenterò lo stabilimento e la macchina. Dentro di me penso

che sarà impossibile”. Ma Lam-borghini si è già assicurato uno staff di prim’ordine: Dallara, Bizzarini, Stanzani, Vecchi, Pedralli, Bevini, Gionelli, Malossi, Frignani; ancora una volta coglie nel segno con la sua 350 GTV. Ma è con la Miura che fa parlare tutto il mondo del marchio del toro. Da “La Domenica del Corriere”, 9 giugno 1970: “Io non faccio di-spetti a nessuno, faccio soltanto i miei conti e ho capito che la Miu-ra avrebbe pubblicizzato il nome

di Lamborghini, tutti i prodotti del Gruppo Lamborghini: i bruciato-ri, a Pieve di Cento, le caldaie a Dosso, i trattori, a Cento, il settore dell’Oleodinamica, nella fabbrica aperta a Funo di Argelato il 20 set-tembre 1970. Qualunque cosa og-gi mi mettessi a produrre, fossero anche cravatte o medicinali, con-quisterei subito il mercato ( .. )”.

“La Fiorita”. Con il ritorno alla terra, si chiude per Lamborghi-ni il cerchio di un’esistenza con-dotta sulla cresta dell’onda, e lo fa, ovviamente, da par suo. Riceve la tenuta di Panicarola, piccolo comune a metà strada tra Chiusi e Perugia in cambio di un credito, non altrimenti esigibile; è una va-sta zona incolta, con un rudere di casa colonica e tre silos diroccati. Nell’impossibilità di disfarsene, pensa seriamente di trasformare questa “perdita” in un buon inve-stimento: affida la ristrutturazione degli stabili all’amico ing. Sergio

Venturi; vengono sbancati, livellati migliaia di ettari di terra, scavati canali di irrigazione, aperte strade fra i vigneti, un laghetto per la pesca e come riserva idrica; analizzato il terreno, si rivela più adatto al vigneto e al mais, che sostituiscono erba medica e girasole; ai vigneti affianca una cantina ultramoder-na. Superato lo scetticismo iniziale, una costante che accompagna ogni nuova iniziativa, completa l’ope-razione assumendo Giorgio Gray, il più esperto vignaiolo dell’Alto Adige: nel ’75 le prime bottiglie di vino Lamborghini compaiono alla Fiera di Verona! Grazie a que-sti investimenti riesce a trasformare questa vasta zona incolta in un mo-dello di azienda agricola, al pun-to da meritare una medaglia d’oro dalla CCIAA di Perugia, quale

azienda pilota.“La Fiorita” diventa meta continua di visitatori, attratti dalla possibilità di incontrare Ferruccio, di toccare con mano, nel Museo che ha alle-stito, le sue realizzazioni, di ascol-tare dalla sua viva voce il raccon-to emozionante della sua vita. Ma Lamborghini ha un progetto ancor più ambizioso, che anticipa una ten-denza, che si affermerà anni dopo, l’Agriturismo, per cui all’idea di vacanza si abbina il fondamentale rispetto dell’ambiente. Per questa la arricchisce di impianti sportivi, di un ristorante, di 14 appartamenti arredati, due piscine, un campo da tennis, un maneggio, due laghetti da pesca, un piccolo aeroporto con i relativi servizi ed un campo da golf a 18 buche.La morte di Ferruccio, 1993, non

ha minimamente scalfito la sua memoria, anzi, lo ha proiettato nel mito senza tempo, fra quei grandi Centesi che hanno fatto grande Cento in Italia e nel mondo.

(Libera riduzione da Tonino Lambor-ghini, “Ferruccio Lamborghini e dintor-ni.. quasi tutta una vita” Siaca, 1990 );fotografie relative alle prime produzioni della Bruciatori/Condizionatori Lam-borghini, a Pieve di Cento, tatte dallo stesso volume già citato;foto di gruppo, a sinistra: Ferruccio Lamborghini, Giuseppe Sitta e signora, Sandro Marozzi e signora (archivio fa-miglia Sitta)foto stabilimenti e Museo La Fiorita so-no tratte da Giuseppe Sitta “Ferruccio Lamborghini, l’uomo e la leggenda”, in “Dall’artigianato all’industria, Prota-gonisti dell’industrializzazione centese” Cento, 1989.

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 15

Dosso, frazione di S. Agostino. Sede attuale della Lamborghini Calor

Sede della Lamborghini Auto a S. Agata Bolognese

Primi esempi nel tessuto industriale cento pievese della catena di montag-gio.

Funo, frazione di Argelato. Sede della Oleodinamica Lamborghini

Il dottor Viscardo Malagodi, me-dico condotto di Alberone, nel 1907 acquistò dai Ghisellini la

villetta, all’angolo di via Ghisellini, stabilendovi la sua residenza e il suo ambulatorio. La casa presenta-va all’ingresso due torri, risalenti al 1896, con una particolarità: in ognuna era stato dipinto un cavallo, Pippo, dal manto chiaro, e Panta-lone, dal manto scuro, un vero e proprio atto d’amore verso i due

animali, che il dott. Viscardo usava per le visite in calesse al domicilio dei propri pazienti.In questa casa amavano soggiorna-re i suoi fratelli Olindo, senatore del Regno, Armando, medico e di-rettore del Brefotrofio “La Ca’ di Dio” di Ferrara, per 27 anni, quando ritornavano a Cento. Il tempo e il terremoto, però, hanno danneggiato irreparabilmente le due torri: ma l’attuale proprietario, prof. Nazario

Malagodi, nipote di Viscardo, le ha fatte ricostruire secondo il pro-getto originario, incaricando il pitto-re Domenico Simonini di ridipinge-re i due cavalli.Questa è l’ultima casa dei Mala-godi rimasta in territorio cente-se, nel quale si erano insediati fin dal ‘700, con proprietà terriere tra Dosso – Corporeno – Cento (podere delle Fosse) case in Borgo Malgrato e Dimane inferiore.

Mons. Matteo e don Remo Mons. Matteo e la mamma della nostra Anna Rosa, una delle parrocchiane più longeve di Penzale.

MONS. MATTEO NON HA VOLUTO MANCARE ALLA TRADIZIONALE MONS. MATTEO NON HA VOLUTO MANCARE ALLA TRADIZIONALE CENA DEL 14 AGOSTO A PENZALECENA DEL 14 AGOSTO A PENZALE

NUOVA VITA PER PIPPO E PANTALONENUOVA VITA PER PIPPO E PANTALONEa cura di Giuseppe Sitta

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E’ caduto pochi mesi fa il 150° anniversario dell’uscita alla ribalta del

mondo dell’esercito italiano che si presentava all’azione sullo stesso te-atro operativo delle prime due guerre di indipendenza (1848 e 1859). Sol-tanto che per le prime due guerre si era trattato degli eserciti degli Stati pre-unitari e principalmente di quel-lo piemontese, il più solido, e nella seconda c’era stato il determinante apporto di una potente armata fran-cese. Il nemico era sempre quello: l’occupante austriaco che diretta-mente con le sue truppe o indiretta-mente tramite le case regnanti locali o la pressione minacciosa delle sue forze, faceva il bello e cattivo tem-po su tutti nella penisola italiana (espressione geografi ca, come disse il Metternich).Anche il Papa e il suo Stato pontifi -cio (entro il quale era compreso an-che il nostro territorio delle Quattro Legazioni), che pure era una potenza quasi soltanto spirituale, era in cer-to qual modo soggetto alla potenza austriaca, considerata questa come l’Entità protettrice cattolica princi-pale. La Francia invece era l’esatto contrario, in quanto rivoluzionaria (1789!) e laica, almeno per lunghi periodi dell’Ottocento.Lo stesso Napoleone il Grande, con i rivolgimenti da lui provocati, aveva determinato del resto l’inizio delle lotte di quello che si sarebbe poi chiamato Risorgimento italia-no, principalmente per avere fuso i piccoli staterelli pre-unitari nella Repubblica Cisalpina (poi divenu-ta Regno italico). Questa corrente avrebbe provocato sommovimenti e complotti prima politici e poi mi-litari che portarono alla guerra del 1848-1849 del piccolo Piemonte contro l’Austria, fi nita con l’inevi-tabile sconfi tta infl itta dalla grande potenza austriaca.Ricordiamo le onorevoli operazioni condotte dal nostro battaglione civi-co “Basso Reno” (a prevalenza cen-tese) e poi dal più grande reggimen-to “l’Unione” di cui il battaglione precitato costituiva il nocciolo duro combattente (non va dimenticato comunque che questi reparti erano composti da cittadini, paganti un censo, sommariamente addestrati e

non da militari professionisti).Erano questi, sostanzialmente, dei re-parti costituiti per il presidio del ter-ritorio e per il mantenimento dell’or-dine pubblico e c’è da meravigliarsi che reggessero a veri scontri militari, come a Vicenza il “Basso Reno” nel 1848, e alla difesa di Roma nel 1849 il Reggimento ”l’Unione” (secondo battaglione ex “Basso Reno”). Dopo dieci anni (1859) il tenace Piemonte, rafforzato da molti esuli provenienti da tutta Italia, imparata la lezione, ritentò l’impresa, questa volta con la provvidenziale alleanza con la Francia di Napoleone III (os-sia il nipote del Grande).I due eserciti, piemontese e france-se, alleati ma combattenti con una certa autonomia fra di loro (anche se a contatto di gomito), ottennero de-cisivi successi in Lombardia a Sol-ferino (i francesi) e a S. Martino (i piemontesi). A Solferino però, che fu la battaglia più importante, i france-si subirono troppe perdite e chiesero l’armistizio e la pace. I piemontesi e tutti i patrioti italiani dovettero in-ghiottire il rospo ed accontentarsi di ottenere la sola Lombardia, esclusa Mantova, rinunciando ad acquisire il Veneto, come sognato, con l’armisti-zio che venne fi rmato a Villafranca. L’intero processo di riunifi cazione subì una forte battuta d’arresto, forse esiziale, se non ci fosse stata la gran-de impresa garibaldina dei Mille che consentì dopo pochi mesi (1861) la costituzione del Regno d’Italia (ov-viamente con l’esclusione del Vene-to).I sei anni che seguirono alla fonda-zione del nuovo Stato, che era più simile ad una annessione da parte del Piemonte di tutti gli Stati italiani, ad eccezione della Roma di Pio IX fortemente conservatore (“reazio-nario” per i patrioti) e del Veneto, e non senza sospetti circa la regolarità nello svolgimento dei plebisciti per l’annessione dei vari territori, vide-ro il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze e, grazie alla forte attività di costruzione delle nuove ferrovie, anche il primo decol-lo delle industrie metalmeccaniche e il consolidamento delle preesistenti industrie tessili. Le banche d’affari internazionali concessero grossi pre-stiti. Il governo, ora italiano, conscio che la lotta per completare l’Unità era soltanto sospesa e che i sudditi del nuovo Stato (quasi 23 milioni) con-sentivano la creazione di un grande esercito (rapporto normale in Europa era considerato una Divisione di fan-

teria ogni milione di abitanti, quindi nel caso italiano un esercito di oltre 20 Divisioni), non badò a spese per armi ed equipaggiamenti, ovviamen-te sempre caricando sul debito na-zionale che già era molto grande (e per tenerlo sotto controllo si sarebbe arrivati di lì a qualche anno alla fa-migerata tassa sul “macinato”). Le spese erano anche dovute alla guerriglia nel sud (ex Regno delle Due Sicilie), repressa sanguinosa-mente dai militari che largheggiaro-no in fucilazioni sommarie e incendi di villaggi. Quasi la metà del nuovo esercito venne infatti impiegato in quegli anni nella repressione, ossia in azioni vio-lente di polizia e ciò anche a detri-mento dell’addestramento dei reparti nella loro attività più propriamente militare, ossia nella preparazione al combattimento campale contro altri eserciti regolari. In questo periodo (1859) ebbe parti-colare peso il generale (carpigiano) Manfredo Fanti divenuto comandan-

te del temporaneo esercito dell’Italia centrale.Per quanto riguarda la Marina si giudicava indispensabile avere una grande fl otta data la conformazione geografi ca del Paese, tuttavia per l’industria siderurgica era ancora troppo presto e le corazzate, ossia le navi da battaglia di nuovo modello, venivano commissionate ai cantieri esteri, specialmente inglesi e ameri-cani (U.S.A.).Soltanto un paio di decenni più tardi si crearono le condizioni che spinse-ro industrie britanniche a costruire cantieri e stabilimenti in Italia (Arm-strong a Castellamare e Vickers a Terni, per artiglierie navali e coraz-zature, principalmente, quest’ulti-ma). Naturalmente la politica e la diplo-mazia erano in piena attività, soprat-tutto quelle delle maggiori potenze

europee e cioè di Francia, Austria e Prussia.La Germania era in una situazione assai simile all’Italia, anzi come en-tità statuale era un po’ più arretrata; infatti era ancora e sempre la vecchia Prussia, anche se il suo peso fra gli Stati tedeschi confederati e uniti do-ganalmente dallo “Zoll verein” era di molto cresciuto dopo la vittoria su Napoleone il Grande (1815). Siccome la supremazia nella Confe-derazione era ovviamente dell’Impe-ratore d’Austria, gli attriti fra Prussia e Austria erano in continuo aumento, proprio per via di questa competizio-ne. Con il crescere di dette frizioni, mediate da Napoleone III, si venne a sapere a livello diplomatico che l’Austria, per poter meglio para-re il pericolo che si palesava come sempre crescente nel Nord tedesco, avrebbe visto volentieri diminuire gli attriti con il nuovo stato italiano e per questo sarebbe stata incline a cedere il Veneto all’Italia, pacifi -camente e c’era un atteggiamento favorevole della Francia a questa operazione (a Napoleone III piaceva il ruolo di grande mediatore e cer-tamente temeva anche una Prussia troppo forte....).E il governo italiano? Pare che a Fi-renze prendessero la cosa con molta calma, quasi che il Veneto volesse-ro prenderlo con la forza, ossia con una guerra, per dimostrare la nuova potenza italiana. Dopotutto la presi-denza del Consiglio dei governi ita-liani, di breve durata anche allora, era spesso tenuta da militari, propensi a menare le mani.....per forma menta-le. Come a seguire un fatale destino

quindi, il governo del generale di origine biellese Alfonso La Marmo-ra lasciò perdere le offerte austria-che tramite la mediazione francese e strinse un’alleanza con la Prussia del cancelliere Bismark, in funzione antiaustriaca (attacco della Prussia da nord e dell’Italia da sud: classi-ca tenaglia). Purtroppo la potenza effettiva dell’esercito italiano che si presentava all’Europa non era pari al numero dei soldati che incorporava e ciò a causa dell’addestramento, a sua volta dipendente da cattivo in-quadramento e atteggiamento della truppa, specie di certe regioni, non soltanto meridionali, non abituata da tempo immemorabile alla leva mi-litare (salvo il breve periodo “fran-cese” di Napoleone il Grande che la leva l’aveva imposta nel centro nord d’Italia, ossia nella Repubblica Ci-salpina poi Regno italico ).

Per lo Stato maggiore dell’esercito la nuova guerra che si profi lava pros-sima sarebbe stato preferibile “po-sporla di qualche anno” , proprio per amalgamare meglio i Reparti e per la creazione di scorte adeguate. Cosa che evidentemente non era ancora convenientemente avvenuta (acqui-sti di cavalli e biade in U.S.A. e nei porti del mar Nero). Si arrivò così alle operazioni militari sul confi ne segnato dai fi umi Mincio e Po. Oltre alle fortezze del cosiddetto Quadri-latero, per precisione, si dovrebbero aggiungere anche quelle di Rovigo e di Marghera. In Cento erano stanziati grossi re-parti di artiglierie pesanti ( parco d’assedio) per la presa delle fortez-ze (Mantova, Borgoforte, Rovigo, Venezia) e migliaia di metri di ma-teriale da ponte per il superamen-to di dozzine di corsi d’acqua che sbarravano l’avanzata dell’Armata e i cui vecchi ponti venivano siste-maticamente distrutti dagli austriaci in ritirata e dovevano quindi essere sostituiti mediante il gittamento di ponti militari. Nel corso delle ope-

1866. LA SCONFITTA DI CUSTOZA E LA RITIRATA DI BONDENO: 1866. LA SCONFITTA DI CUSTOZA E LA RITIRATA DI BONDENO: DIFFICILE ESORDIO DELLʼ ESERCITO ITALIANO DIFFICILE ESORDIO DELLʼ ESERCITO ITALIANO ( PER NON PARLAR DI LISSA !)( PER NON PARLAR DI LISSA !)

( La III guerra di indipendenza) ( La III guerra di indipendenza)GALEAZZO GAMBERINIGALEAZZO GAMBERINI

F. 3 Il generale Manfredo Fanti (Carpi 1808 - Firenze 1865) , carpigiano. Milita-re formatosi nelle guerre civili spagnole. Fu l’organizzatore dell’Esercito dell’Italia centrale dopo le annessioni al Piemonte del 1859-60.Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, come ministro della Guerra, curò la fusione delle forze dell’Italia centrale nell’esercito piemontese, creando nel 1861 l’Esercito ita-liano. Sempre come ministro della Guerra decise la costruzione della grande cintura fortifi cata di Bologna che sbarrava la pene-trazione della minacciosa Austria, schiera-ta nel vicino Polesine, che incombeva sulla nuova capitale del Regno, Firenze, raggiun-gibile facilmente con la nuova ferrovia por-rettana in costruzione (1860-1864).

F. 2 Il barone Bettino Ricasoli (Firen-ze 1809 - Brolio - Siena 1880), politico accorto e conservatore. Era presidente del Consiglio dei ministri al tempo della guerra del 1866. Conosciuto oggigiorno come “creatore “ del vino Chianti che egli produceva in grande quantità nelle sue tenute toscane.

F. 4 Il fi glio di Vittorio Emanuele II, Umberto di Savoia (Torino 1844 - Mon-za 1900), in uniforme di colonnello dell’Esercito. Come accadeva in quasi tutte le monarchie i membri della Casa regnante avevano alti gradi nell’esercito, anche se quasi mai avevano capacità tec-niche militari adeguate; a tale scopo era-no affi ancati da Capi di Stato maggiore che avevano il comando effettivo.Umberto quindi, verso la trentina, era già generale di Divisione e come tale era schierato sul Mincio. La sua fanteria venne attaccata dalla cavalleria austria-ca a Villafranca e di qui l’episodio tra-mandato del “Quadrato” difensivo. Con questa manovra (praticata fi n dall’anti-chità dagli uomini a piedi che doveva-no difendersi dagli attacchi di uomini a cavallo) i fanti formavano un quadrato più o meno regolare (dipendeva dal loro sangue freddo...) facendo sporgere ver-so l’esterno, ossia verso gli attaccanti, i loro fucili con le bajonette inastate (non innestate, termine scorretto) e , a questo punto , i cavalli attaccanti mai, o quasi mai, pazzi come gli uominche li cavalca-vano, tendevano a bloccarsi.Il termine è diventato sinonimo di “dife-sa a riccio” (altro sinonimo). Umberto succedette al padre alla sua morte nel 1878 e assunse il nome di Umberto I e gli affi bbiarono il titolo di “Re Buono”. Fece iniziare le guerra coloniali in Africa e diverse volte fi rmò lo “Stato d’assedio” per reprimere moti popolari fra i quali il più odioso fu quello del 1898 quando il generale Bava-Beccaris prese a canno-nate il popolo milanese che chiedeva di-ritti (e pane). Un anarchico di nome Ga-etano Bresci venne appositamente dagli Stati Uniti e durante una manifestazione sportiva a Monza freddò il Re.

pag. 16 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

F. 1 Il Re sardo-piemontese e primo Re d’Italia Vit-torio Emanuele II di Savoia (Torino 1820 - Roma 1878). Una caratteristica dello Statuto piemontese (Costituzione) del 1848 era quella di lasciare forte in-fl uenza del sovrano in tutte le questioni concernenti i mini-steri militari (Guerra e Marina, separati). Il Re era di gusti assai borghesi e appassionato

cacciatore...... e non soltanto di selvaggina. Si attirò l’inimi-

cizia di Papa Pio IX per la “questione romana”, os-

sia la conquista di Roma strappata al Papa, nel 1870, per farne la capitale italiana, in concomitanza con la ritirata delle truppe francesi di Napoleone III che la presidiavano fi n dal 1849 (Repubblica

romana). Va ricordato che la Francia

era stata sconfi tta dalla Prus-sia a Sedan nel 1870.

razioni si progettò e si diede inizio alla costruzione del ponte ferrovia-rio (provvisorio) di Pontelagoscuro, necessario per il collegamento ferro-viario diretto fra Bologna e Padova (da Bologna a Ferrara la ferrovia era già attiva dal 1864).Nel corso delle operazioni, quando il IV Corpo d’Armata di Cialdini darà luogo al Corpo d’ armata d’opera-zione di oltre 50mila uomini lanciato verso il Friuli, si dovrà panifi care a Ferrara per tutte le truppe in Veneto, cosa che poi verrà modifi cata adot-tando il sistema locale, sostituendo il pane con la polenta. Per quanto riguarda il nostro territo-rio, esattamente centrale al cuneo che aveva per base la Modena-Bologna e per vertice offensivo Bondeno (foce del Panaro nel Po), ossia a Stellata e Casette sul Po e dove l’esercito si preparava a costruire tre enormi pon-ti di barche per invadere il Polesine, la popolazione sembrava scomparsa nella massa dei militari accantonata negli edifi ci principali o negli ac-campamenti di tende, vastissimi. Il generale Ricotti aveva il suo Q.G. della Divisione (quartier generale) in Palazzo Diana (Panini) e pure 8 chiese, 2 conventi, 3 palazzi nobilia-ri erano requisiti dall’esercito.Il 26 maggio arrivò il gen. Raffaele Cadorna ( il padre di Luigi!), co-mandante di Divisione. Situazione analoga era a S.G. Persiceto, Finale, Castelfranco e Mirandola. Questa situazione era estremamente

fl uida e cambiava continuamente. Il 40% dell’esercito gravitava in quest’area: la Divisione Ricotti partì per assediare Borgoforte di Manto-va, ma la sostituì la Divisione Cador-na e così via. La popolazione era entusiasta di tut-to questo movimento che certamente rompeva la sonnolenza ancora tutta agricola che durava da sempre e fa-ceva fare pure affari d’oro ai com-mercianti. Fa pensare la situazione igienica oltre che quella alimentare. Per l’igiene certo si provvedeva con le acque del Reno allora ben correnti e abbondanti, mentre per l’alimen-tazione si usava l’acqua del solito Canalino, purissima: è impossibile pensare al trasporto dell’acqua con carri-botte a traino animale per de-cine di km e per migliaia di metri cubi.Circa il movimento di personaggi e reparti c’è da dire che i cronisti lo-cali dell’epoca, prendevano anche grossi abbagli, dando per presente il Principe ereditario Umberto, che era invece schierato con la sua Divisione sul Mincio, e sarà poi coinvolto nel combattimento di Custoza (“quadra-to” di Villafranca). La città di Cento diede alla “Divi-sione Volontari” di Garibaldi ben 31 uomini, che combatterono sulle Alpi, e diversi altri soldati regolari a Custoza.Per l’armamento, la fanteria era sta-ta dotata da poco tempo di fucile a retrocarica a canna rigata, a percus-sione del calibro di 17,5 mm con tolleranza fi no a 18,2 mm e con pro-iettile cilindro ogivale cavo di 17,2 mm, dotato di alzo e con portata di 600 metri, ma utile fi no a 400 metri. Questo fucile era il mod. 1860. I bersaglieri erano dotati invece di

carabina più corta munita di sciabo-la-bajonetta a doppio taglio, mentre il fucile 1860 aveva bajonetta trian-golare (tre spigoli); la portata di questa carabina (mod. 1856) era la stessa del fucile 1860.L’artiglieria da campagna era dotata del cannone da 8 libbre (dove 8 era il peso del proiettile, all’inglese) e pre-cisamente 8 BR (BR indicava il me-tallo con il quale era fusa la bocca da fuoco e cioè il bronzo), ma c’erano anche le bocche FR, ossia di ferro, in questo caso cerchiate per rinforzo. Tiro a granata effi cace fi no a 2500 m (ma 4000 m alla massima elevazio-ne) se con il tiro a cartuccia a “mitra-glia” l’effi cacia era di 500 m.Il cannone della “Riserva” (per l’at-tacco ai forti) era il 16 BR effi cace fi no a 3200 m. 50 pezzi di questo

tipo stazionavano a Cento per l’at-tacco alle fortezze di Rovigo e Vene-zia ( Malghera, come allora veniva chiamata Marghera). Pure a Cento erano depositati i tantissimi barconi da ponte.Il Regio esercito italiano scendeva in campagna nel 1866 con 538 can-noni, oltre che con 311.978 uomini e 42.867 cavalli. Molta parte di quanto elencato calpestò le nostre polverose strade e stradelli. Per portarsi sotto Stellata i Reparti dovevano passare i punti obbligati di Cento oppure di Finale, se prove-nienti da Modena o, se provenienti da Bologna, come già detto, utiliz-zavano la nuova ferrovia Bologna Ferrara, ma bisogna tenere presente l’intasamento delle strade percorse anche da cariaggi privati a servizio dell’esercito con conducenti civi-li che spesso provocavano paurosi ingorghi per aggirare i quali era ne-cessario compiere lunghissime de-viazioni.La guerra venne dichiarata il 20 giugno 1866 e l’esercito, formato da quattro corpi d’armata compren-denti complessivamente 20 divisioni di fanteria e una di cavalleria, avan-zava oltre la linea del Mincio. Tre corpi erano sul Mincio e uno, molto più grosso degli altri, era schierato sul basso Po, nel ferrarese, e lo co-mandava il generale d’armata Enrico Cialdini (modenese d Castelvetro).Era la Divisione dell’esercito in due tronconi che comunicavano fra di

loro solamente per mezzo di tele-grammi. Nessun contatto personale fra il capo di S.M. La Marmora e il suo sottordine principale Cial-dini, salvo un “convegno” inizia-le a Bologna, mentre La Marmora transitava per raggiungere il Re al Q.G.Principale ad assumere il suo incarico. Il quarto giorno di guerra (24 giugno) l’esercito imperiale del sud comandato dall’Arciduca Alber-to attaccava nella zona di responsabi-lità del I Corpo d’Armata del gen. G. Durando (proprio il generale pontifi -cio a noi ben noto, passato nell’eser-cito piemontese) e più precisamente nel settore della Divisione granatieri ( 1° Rgt. Granatieri di Sardegna) con audaci manovre di cavalleria (gen. Pelz) e in breve i reparti italiani si sfaldarono, prima i granatieri e poi

altre Divisioni (tre gravemente, e poi altre due, molto meno) si fecero tra-scinare indietro, sbandate: era chia-ramente panico ingiustifi cato, tanto più che gli austriaci rinunciarono a sfruttare il successo con l’insegui-mento, come accadeva di norma.Ciò non impedì al Re di telegrafare a Cialdini, a Porporana di Ferrara: “l’esercito ha subito una disfatta”. Cialdini che aveva predisposto il suo potente corpo d’armata per passare il Po alla Stellata di Bondeno, spaven-tato di trovarsi l’Arciduca di fronte con tutte le sue forze proprio durante il delicato passaggio del fi ume, de-cise non soltanto di rimanere fermo sugli argini, ma di ritirare tutte le sue forze a Modena e dintorni ( sic!) con il risultato, per i nostri territori, di trovarsi con il nostro proprio esercito in transito prima in avanzata, poi in ritirata e poi fi nalmente in avanzata defi nitiva. E tutto in poche settimane.Gli austriaci erano comunque inten-zionati a non muoversi , salvo che per ragioni strettamente difensive.

Così il telegramma di un Re depres-so, indirizzato ad uno spaventato ge-nerale, ebbe il potere di far perdere la faccia ad un neonato Regno.Era venuta meno l’unità di coman-do, cosa fondamentale in una orga-nizzazione militare. Ad ogni modo i prussiani avevano sconfi tto l’eserci-to austriaco a Sadowa in Boemia e minacciavano di entrare addirittura a Vienna e così lo Stato maggiore imperiale austriaco richiamò truppe dall’Italia, il che permise al Cialdini di ritornare al Po e fi nalmente pas-sarlo e costituire un grosso Corpo d’esercito di diverse Divisioni, fra cui quella del Cadorna stazionata a Cento, per raggiungere il confi ne dell’Isonzo, rinunciando però alle città di Gorizia, Trieste e all’Istria “Territorio del Litorale” per gli au-striaci, oltre che alla Dalmazia dove avrebbe dovuto sbarcare Garibaldi se l’ammiraglio Persano non aves-se subito la famigerata sconfi tta nei pressi dell’isola di Lissa.Storicamente data da questo mo-mento la frattura fra la popolazione di lingua italiana, che abitava le città giuliane, e i retroterra quasi total-mente di etnia slava.E’ del 1867, cioè dopo la guerra di cui parliamo, che per rifarsi dalla crisi indotta dalla vittoria prussiana, che l’Impero si riorganizzò sulla base fondamentale di due paesi: Austria e Ungheria (aquila bicipite!) con un certo peso anche degli slavi (e gli ita-liani persero di importanza in quan-to relativamente piccola minoranza, sul complesso dell’Impero). Curioso il fatto che quanto accaduto per il Veneto nel 1866 si sarebbe ripetuto nel 1914-1915 per il Trentino che gli austriaci avrebbero ceduto all’Italia in cambio della nautralità di questa nella I° guerra mondiale. La guerra uffi cialmente si concluse con l’armi-stizio di Cormons (Go) e il Trattato di pace fi rmato a Vienna.

Agli interessati dell’argomento: mate-riale sulla guerra del 1866 viene esposto proprio in questi giorni (fi no al 7 genna-io 2017) nella sala superiore del Palazzo del Governatore a Cento.L’autore del presente lavoro vi ha con-tribuito.

Crediti

Tutte le foto sono state concesse dall’Archivio

Museo del Risorgimento di Bologna tranne la

F. 9 che dobbiamo al dott: Mario Parmeg-

giani, tramite l’Archivio storico comunale di

Cento.

F. 7 Il senatore del Regno avv. Francesco Borgatti (Cen-to 1818 - Firenze 1885). Come Vicepresidente vicario del Senato ebbe un ruolo fondamenta-le nel processo che Camera e Senato ri-uniti in Alta Corte di giustizia celebrarono a carico del Coman-dante la fl otta italia-na ammiraglio Carlo Pellion di Persano. Era, l’ammiraglio, ac-cusato di imperizia nel corso della battaglia na-vale di Lissa. L’alto uffi cia-

le venne espulso dalla Marina con perdita della pensione e fi nì i suoi giorni nell’indi-

genza assoluta. Il nostro Borgatti, laureato in

Legge all’Università di Bologna, aveva ini-ziato la sua carriera praticando la profes-sione forense per poi farsi assorbire total-mente dalla politica, nell’epoca risorgimen-

tale. Era esponente del cattolicesimo moderato

e patriottico, centese pri-ma e nazionale poi.

F. 5 Il gen. Enrico Cialdini (Castelvetro di Modena 1813- Livorno 1892). An-che Cialdini operò per anni nelle guerre spagnole dopo essere fuggito da Modena dove si era compromesso politicamente nei confronti del Duca (1831). Si arruolò poi nell’esercito piemontese e fece car-riera.Al momento dell’Unità d’Italia (1861) era uno dei generali dell’Esercito più quota-ti assieme al gen. Alfonso Ferrero della Marmora. La posizione dei due ne fece dei potenziali concorrenti,anche se for-malmente mantennero rapporti corretti. Il più aggressivo dei due era il Cialdini. Allo scoppio della guerra nel 1866, La Marmora divenne il Capo di Stato mag-giore dell’Esercito, mentre il Cialdini ebbe il comando di ben 8 Divisioni (su 20), lontano da lui, sul Po (Ferrara). Quando venne a sapere da un telegramma speditogli dal Re dell’ esito sfavorevole di Custoza, si spaventò e anziché attaccare gli austriaci, che peraltro stavano oltre la fortezza di Rovigo e quindi non difendeva-no il Po, fece ritirare il suo grosso Corpo d’armata fi no alla via Emilia.Quando l’esercito austriaco cominciò a sgomberare il Veneto, riprese l’iniziativa e lanciò la sua armata che dilagò nel Ve-neto fi no all’Isonzo. Non fu la sconfi tta di Custoza, ma la prudenza (o passività) del Cialdini a fare perdere la faccia e l’onore militare all’Esercito italiano, da cui nac-que il detto, che non era un complimento, che fece per decenni il giro delle amba-sciate straniere.La battuta è questa: “L’Italia è stata fatta con tre Esse: Solferino, Sadowa e Sedan”. Solferino(1859) a spese dei francesi morti in quantità, Sadowa (1866) con la vitto-ria dei prussiani sugli austriaci e Sedan (1870) con la vittoria dei prussiani sui francesi che costrinse Napoleone III a ritirare il presidio di truppa da Roma e quindi la conquista di Roma da parte de-gli italiani.

F. 6 L’ammiraglio Carlo Pellion (Vercelli 1806 - Torino 1883), conte di Persano e senatore del Regno. Comandante in Capo della fl otta italiana nel 1860-1866. Ele-mento passivo, doveva essere continua-mente stimolato ad agire. Aveva trasferito la fl otta da Taranto alla defi ciente base di Ancona. La sua squadra navale da batta-glia era più moderna di quella austriaca dell’ammiraglio Tegethoff per la semplice ragione che quella italiana era una fl otta nuova di zecca. Parecchie navi erano ap-pena state consegnate dai cantieri inglesi e americani. Alcune avevano ancora a bordo gli operai borghesi che fi nivano la-vori quando il Persano salpò per la fatale Lissa. E’ diffi cile spiegare in poche righe quello che accadde nelle acque di Lissa. Un detto austriaco recita: “La battaglia dove navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno vennero sconfi tte da navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro”. In realtà fu la confu-sione creata da Persano che cambiò nave ammiraglia senza segnalare e il rifi uto di obbedienza del subordinato ammiraglio Albini che assistette inerte allo scontro che causò l’irreparabile. Le due navi più potenti e moderne italiane vennero colate a picco. Fossero stati semplici marinai, Persano e Albini sarebbero stati fucilati immediatamente. In realtà, la differenza di armamento fra le due fl otte non era sta-ta tanto grande. Grande fu la confusione nella mente dei Capi.

F. 9 Antonio Parmeggiani (Cento 1846- ?) ripreso, in età matura, in una foto di studio. Classico esponente della borghe-sia centese si arruolò nelle formazioni garibaldine nelle cui fi le militarono al-cune dozzine di centesi, diversi dei quali raggiunsero poi alte posizioni politiche e parlamentari. Un esame attento della po-sizione sociale di questi volontari dimostra che essi non erano tutti degli scavezzacol-lo come da una certa vulgata. Il Parmeg-giani apparteneva al IV battaglione del 7° Reggimento Volontari.

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 17

F. 8 Giuseppe Garibaldi (Nizza, quando era piemontese, 1807.- Isola di Caprera 1882).

La fi gura di quello che è stato chiamato “l’Eroe dei due mondi” è troppo nota agli italiani tutti perché debba essere illustrata su questa pagina. E’ tuttavia doverosa una piccola precisazione per quanto riguarda la sua opera nelle valli del Brescia-no dove agì energicamente per la conquista del Tiro-lo (oggi Trentino). Gli uomini radunati da Garibaldi presso vari depo-siti di tutta Italia furono circa 40mila di cui 38mila vennero incorporati in 10 Reggimenti. Combatterono a Bezzecca nel Trentino e riportarono

l’unica vera grande vittoria nella disgraziata guerra del 1866.

A seguito dell’armistizio di Cormons (Gorizia) gli ven-ne ordinato di ritirarsi dal Trentino, da cui il famoso e

tacitiano telegramma: “Obbedisco”.

Razione di guerra del soldato (giornaliera):

Pane 750 gr oppure 250 gr. di biscotticarne fresca gr. 300Riso gr. 120 o pasta gr. 100lardo per condimento gr. 15sale gr. 15pepe gr. 0,50caffè gr. 15zucchero gr. 20vino cent. 25 o acquavite cent. 6

pag. 18 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

Il primo concerto del 1986, orga-nizzato Pro Collegio Maschile da “Gli Amici del Loggione” per

domenica 16 febbraio, sarebbe stato sicuramente annoverato tra quelli più celebrati del “Borgatti”: tra gli interpreti, infatti, figurava il baritono Leo Nucci. Da anni si era imposto all’attenzione del mondo per le sue interpretazioni di Figaro ne “Il bar-biere di Siviglia” di G. Rossini, di Rigoletto in “Rigoletto” di G. Verdi, imponendosi poi come grande inter-prete verdiano, lui che al Concorso Voci Verdiane di Bologna era stato scartato, in quanto ritenuto più adat-to per opere come Don Pasquale , Elisir d’amore e simili, come ci rac-conta Achille Mascheroni in “Leo Nucci, un baritono per caso” 2009. Ma Leo Nucci quella sera non cantò a Cento, venendo sostituito dal bari-tono Paolo Coni: negli stessi giorni, infatti, era in scena al Metropolitan in “Don Carlo” di G. Verdi.Quella domenica, da appena un mese, avevo compiuto 9 anni e quell’evento, che oggi saluterei con tanto entusiasmo e ascriverei tra gli appuntamenti teatrali più importanti

per Cento, e non solo, allora non mi coinvolse minimamente.In seguito il mio interesse per la mu-sica iniziò gradualmente, prima per la musica sacra, quale componen-te della Cappella musicale di San Biagio, diretta dal maestro Giorgio Piombini. Sono cresciuto musical-mente alla Sua scuola e a quella del maestro Davide Masarati, due figure che rimangono impresse in modo in-delebile in me per il ruolo che hanno rivestito nella mia vita. Il passo successivo fu la musica li-rica: il primo momento magico fu nell’estate del 2007 all’Arena di Ve-rona, con uno spumeggiante “Bar-biere di Siviglia” di G. Rossini. Che emozione! Mi sembrò di avere toccato il cie-lo con un dito: che errore! Rotto il ghiaccio, mio padre mi propose il repertorio verdiano, iniziando da “Rigoletto” con il Rigoletto per eccellenza, il maestro Leo Nucci. Ascoltai, e non mi stanco di ascol-tarlo, con i CD e i DVD prediligen-do le sue interpretazioni, che presi a studiare, ammaliato a tal punto che mi rifiutai di prendere in con-

siderazione altri cantanti Dopo questa preparazio-ne di base, l’anno dopo il cartellone dell’Arena “mi regalò” Rigoletto con Leo Nucci. Immaginate il mio stato d’animo: appena en-trò in scena, piansi in si-lenzio per la commozione. Sentirlo e vederlo a pochi metri di distanza saltellare come un giovanotto, nono-stante l’infarto di qualche anno prima , dominare il palcoscenico, concedere bis, richiesti dal pubblico a gran voce con “Corti-giani, vil razza dannata” e “Vendetta” suscitarono emozioni indimenticabili.Successivamente, per altre circostanze fortunate, ebbi occasione di conoscerlo di persona, per cui non smisi di seguirlo: all’Arena, alla Scala, a Modena, a Piacenza, a Par-ma, sempre nel repertorio verdiano;. l’ultima volta fu il 30 agosto all’An-tica Corte Pallavicina di Polesine Zi-bello, ad una serata di beneficenza.

Il maestro è un ar-tista a tutto tondo, di grande esperien-za e professionalità, unite ad una pro-fonda umiltà che lo porta ad affrontare “Rigoletto” come fosse la prima vol-ta, perché, sono sue testuali parole, “mi debbo divertire !”. E come potrebbe essere diversamen-te, dal momento che ascendono a 600 le sue interpretazioni del capolavoro ver-diano. Nella sua biblioteca puoi trovare, tra gli altri, “Le roy s’amù-se” di Victor Hu-go, da cui fu tratto “Rigoletto”, oppure

“La trilogia di Figaro” di Caron de Beaumarchais, utilissimi per cono-scere sempre meglio il personaggio da interpretare. Ogni suo concerto, ogni sua interpretazione costituisco-no altrettante perle che, difficilmen-te, si potranno riascoltare.Desidero rivolgere un doveroso rin-graziamento, oltre a Daniele Lanzo-ni, al maestro Andrea Bianchi, con il quale sto affrontando da tre anni un percorso di studi molto determi-nato, che mi offre la possibilità di comprendere al meglio il repertorio lirico, in particolare quello verdiano in tutte le sue sfaccettature. E’ stata per me un’emozione indimenticabi-le ascoltare al “Municipale” di Pia-cenza ne “I due Foscari” a forma di concerto, i “miei due maestri” duet-tare insieme.Caro maestro, alle 10,30 del 17 gen-naio 2017 compirò 40 anni; Lei, a mezzogiorno del 16 aprile i 75: sa-rebbe bello poterli festeggiare con un suo concerto a Cento, “recupe-rando” così la serata di quel lontano 16 febbraio 1986. Grazie, maestro, per le emozioni che ci dona e conti-nua a donarci.

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LEO NUCCI A CENTO LEO NUCCI A CENTO di Michele Sitta

Leo Nucci e Michele Sitta

8 Novembre 2010 8 Dicembre 2010

La Sua frase tipi-ca era : “Silvia, vai avanti tu , con il mio sogno e sii forte, come il tuo animo”

Il credo di OTTAVIO MAZZO-NIS. Al di là di tutto, credere e andare avanti, lavorando, lavo-rando e poi lavorando.

A Maria Censi, instancabile ani-mo e intensa collaboratrice cul-turale.Dopo l’inagurazione dell’ultima stazione della “ VIA CRUCIS”, “LA RESURREZIONE” il 3 giu-gno 2006, quel particolar giorno dissi a Maria:Tutto ciò in cui credo e faccio per il Maestro Ottavio Mazzonis è una mia fervida e tenace determi-nazione: la vita ti mostra dei per-corsi tracciati e sei tu a maturare la convinzione, a seguirli sino a farne la tua ragione di vita. Cre-dere nell’operosità geniale del Maestro è per il bene della storia dell’arte, soprattutto nel mara-sma del nostro tempo caratteriz-zato da un tale disordine capace di dissacrare il bene, il bello e di negare certe verità chela storia ci ha trasmesso. L’uomo senza l’humus del passato è nulla.

Maria mi rispose: Silvia giovane donna, la tua vera essenza è la cosa più bella che ha Ottavio; sei veramente bella nell’animo, carico di gioia di fare per poi trasmettere la tua sensibilità, la grazia e la sublimazione di ve-rità intoccabile nell’arte.E piangemmo insieme …

Ti ricordo sempre con stima, am-mirazione e affetto.Mi manchi Maria

Silvia PirracchioPresidente “Fondazione

Ottavio Mazzonis.”Torino

Archivio Daniele Lanzoni

Augura un SerenoNatale

Buone Feste!

Avv.Avv.Valeria BottiValeria Botti

Una brutta notizia ha sconvolto la no-stra città il 26 otto-

bre scorso. A soli 46 anni si è spenta prematuramen-te la vita di Massimiliano Bonzagni, nella sua casa a Stoccolma che, condivide-va con la moglie Gabriel-la e le due figlie Isabelle e Alexia. Bonzagni era molto conosciuto, anche se l’amo-re e il lavoro l’avevano da tempo portato lontano da Cento, ma lui non ha mai reciso il cordone ombeli-cale che lo legava alle sue origini. La sua vita, seppur troppo breve, è stata ricca di soddisfazioni e traguar-di raggiunti, con tenacia e

dedizione, tanto da meritare una citazione sul ca-lendario ‘Gente di Cento’, cura-to da suo padre Guido (storico speaker della Centese calcio) e dal professor Giuseppe Sitta. ‘Massi’, come lo chiamavano gli amici, dopo la scuola media, aveva consegui-to i diplomi di cuoco e came-riere all’Istituto alberghiero di Serramazzoni,

nel Modenese. Da lì è co-minciata la sua avventura lontano da Cento che l’ha portato, a soli 17 anni, ad imbarcarsi sulla ‘Royal Princess’, dove ha ricoper-to l’incarico di cameriere. Nel 1988, per lui, è arrivata una delle più grandi soddi-sfazioni: entrò a far parte dello staff di ‘Casa Italia’ che accompagnò gli atle-ti azzurri all’Olimpiade di Seul e questo lo ha riempito di orgoglio. E fu durante una vacanza a Riccione che conobbe la moglie Gabriella che sposò dopo il servizio militare e con la quale si tra-sferì in Svezia, dove ha lavo-

rato come chef al ristorante ‘Martini’ di Stoccolma. Tra la composizione di una pie-tanza e l’altra, riprese gli studi, si diplomò ragionie-re e ciò gli ha permesso di diventare responsabile del servizio logistica di un’im-portante multinazionale sve-dese. Massimiliano aveva una grande passione per lo sport. In gioventù ha fatto parte della storica curva degli ‘Indians’, i più acce-si sostenitori della Centese calcio. E, nonostante la lon-tananza, non ha mai smesso di chiedere al padre Guido i risultati dei biancazzurri. Ogni domenica. E la neonata Cento 1913 non ha mancato di tributar-gli un ricordo: lo scorso 6 novembre, prima della par-tita contro il Kaos Ferrara allo stadio ‘Bulgarelli’, la società ha fatto osservare un minuto di raccoglimento in ricordo di Massimiliano e il capitano Roberto Balboni ha deposto un mazzo di fio-ri in segno di condoglianze, in sala stampa, sulla scriva-nia solitamente occupata da Guido Bonzagni. A quest’ultimo e alla moglie Giliola Mazzanti vanno le sentite condoglianze ed un abbraccio dalla ‘Famè Zen-teisa’ in questo momento di dolore.

Valerio Franzoni

RICORDO DIRICORDO DIMASSIMILIANO BONZAGNIMASSIMILIANO BONZAGNI

Vincere una medaglia dà sempre grande soddisfazione, ma se

una birra italiana riceve un premio nella patria delle bir-re, vale a dire la Germania, la soddisfazione è ancora più grande. E’ quello che è successo al Birrificio Biren di Dos-so (FE) che il 9 novembre, nel corso di una pomposa cerimonia, ha ricevuto una medaglia d’argento al presti-gioso “European beer star” di Norimberga, uno dei con-corsi più importanti del mon-do nel settore della birra. Il Concorso viene organizzato dalla Private Brauereien e premia birre autentiche, di carattere e di alto valore qua-litativo, tenendo conto degli stili di produzione della birra che hanno la loro origine in Europa. Possono partecipare i bir-rifici di tutto il mondo e quest’anno il concorso, or-mai alla sua tredicesima edizione, ha raggiunto la cifra record di 2,103 birre partecipanti, provenienti da 44 paesi diversi (compresa la Cina ed il Giappone). Le birre vengono valutate da una giuria di 124 esperti ed il prestigio dell’evento è te-

stimoniato dai numeri che di anno in anno sono in conti-nua crescita.Ricevere il famoso “Cilin-dro” è sicuramente il premio più ambito per ogni birraio tanto che, per chi è del setto-re, una vittoria all’European beer star significa vincere l’ “Oscar delle birre” , mentre i tedeschi lo definiscono come la “ Champions League of the beer world”.La birra vincitrice, arrivata seconda, è stata la “Philip-pe”, categoria Kellerpils, che quest’anno ha ottenuto anche la medaglia d’oro al concorso di Rimini “La birra

dell’anno”. Nel corso della cerimonia, hanno ritirato il premio il birraio Andrea Govoni ed il figlio Matteo che lavora, insieme al padre, nel birri-ficio di famiglia. Entrambi hanno espresso grande gioia e soddisfazione per questo premio tanto desiderato e si sono sentiti orgogliosi di rappresentare il nostro Stato in terra teutonica.Da oggi anche una birra pro-dotta nella nostra zona è di-ventata una “star” che brilla nell’Olimpo delle birre del mondo.

BIREN VINCE UN ARGENTO BIREN VINCE UN ARGENTO NELLA PATRIA DELLA BIRRANELLA PATRIA DELLA BIRRA

STRAORDINARIA VITTORIA DEL BIRRIFICIO FERRARESE STRAORDINARIA VITTORIA DEL BIRRIFICIO FERRARESE ALLʼ “EUROPEAN BEER STAR”ALLʼ “EUROPEAN BEER STAR”

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 19

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pag. 20 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

In questo volume, fortemente vo-luto dall’Assessorato alla Cultura, si ripercorre una vicenda proces-

suale, caratterizzata da una precisa volontà di un’esemplare condanna a morte, nonostante le testimonianze coraggiose dei testimoni italiani e di quelli provenienti dalla nostra Terra.Nella ricostruzione del clima politico-sociale dell’epoca, emergono l’odio indiscriminato verso gli Italiani, i lin-ciaggi dei quali furono vittime i nostri connazionali, colpevoli solo di avere coltivato una speranza. Sacco e Vanzetti sono tra i tanti che lasciano l’Italia alla ricerca di un la-voro e di un avvenire migliore. Gli anarchici, in quanto tali, sono vera-mente pochi; lo diventeranno, forse, a contatto con una realtà ben diversa da quella raccontata. Vanzetti sbarca ad Ellis Island il 19 giugno 1908; per quattro anni passa di mestiere in mestiere, di città in città, tra ogni forma di degrado e di umi-liazioni, che lo inducono ad aderire al movimento anarchico. Il padre, Gio-vanni Battista, in una lettera del 12 agosto 1912 lo supplica di non occu-parsi di cose che potrebbero danneg-giarlo, ma inutilmente. In settembre, infatti, sottoscrive un abbonamento di tre mesi a “Cronaca sovversiva” organo di propaganda rivoluzionaria, in lingua italiana.Sacco, pur battendo strade diverse, si avvicina all’anarchismo, diventando un fervente attivista. I loro nomi figu-rano insieme, per la prima volta, il 28 marzo 1914, versando al giornale del denaro per l’acquisto di libri. Sacco è in prima linea a combattere contro la Droper Co di Hopedale, dove lavora. E’ una fabbrica dove i diritti dei lavo-ratori sono non solo calpestati, ma si fa ricorso addirittura alla forza, fino ad uccidere, pur di imporre la propria legge.Vanzetti lavora alla Plymouth Corda-ge Company, che estende il suo con-trollo sulle case, sui negozi, sui luoghi di divertimento, sulla sanità, per cui ha tante leve per tenere sotto controllo ogni forma di dissenso; per questo in-traprende un’azione sindacale a tutela dei lavoratori.Ma gli anarchici sono ormai in prima linea: attentati vengono compiuti in varie città.Il 23 maggio 1915 l’Italia entra in guerra, per cui si cerca di fare rien-trare anche gli emigrati, promettendo il viaggio gratuito ed un ricongiungi-mento duraturo con le proprie fami-

glie. La realtà è ben diversa: rimar-ranno in casa al massimo due giorni, quando addirittura non sono prelevati direttamente all’arrivo dai Carabinieri e inviati a destinazione, in attesa di essere spediti al fronte. In America queste cose non si conoscono. Il vec-chio padre lo implora nuovamente di ritornare a casa, dal momento che è stato dichiarato inabile al servizio. “Cronaca sovversiva” si schiera con-tro la partenza degli emigrati con la lettera “Figli, non tornate!” La rea-zione americana è altrettanto dura: viene limitata pesantemente la libertà individuale, si impone la censura sulla stampa. In questo clima, gli Stati Uni-ti entrano in guerra a fianco dell’Italia il 2 aprile 1917; gli anarchici rispon-dono con un volantino antimilitarista. Molti cambiano residenza, modificano le proprie generalità; Sacco e Vanzetti raggiungono il Messico, ma anche questa destinazione è assai problema-tica, per cui preferiscono rientrare alla spicciolata.La situazione degenera rapidamente e l’America sembra scatenare la propria guerra contro l’anarchismo, partico-larmente italiano e russo. I più attivi finiscono in carcere, continua l’acca-nimento contro “Cronaca sovversi-va” al quale viene impedito l’acces-so postale. Il 16 maggio 1918 nuovi provvedimenti colpiscono quanti non sono allineati col potere sul tema della guerra, quanti ostacolano la vendita dei titoli di Stato, emessi per finanzia-re lo sforzo bellico ( Liberty bonds), quanti mettono in luce negativa la partecipazione americana alla guerra, quanti scoraggiano il reclutamento ecc.Con la vittoria del 4 novembre 1918 si scatena in America la reazione contro pacifisti, immigrati che si erano oppo-sti alla guerra; la stessa appartenenza ad un gruppo diverso diventa motivo di indagine e di repressione. Ma an-che la reazione anarchica si fa sentire. Attentati con pacchi bomba, dinamite non provocano i danni preventivati, inducono il governo a misure ancora più restrittive, e tanti anarchici ven-gono rimpatriati con la forza. Sacco mantiene la sua buona occupazione in un’azienda di calzature, con un incari-co di grande responsabilità; Vanzetti, stanco del continuo cambio di lavoro, sul finire del ’19 rileva da un amico il carretto per la vendita del pesce. Poi la fallita rapina a Bridgewater, 24 dicembre 1919: quel giorno Barto-lomeo sta consegnando il pesce con Beltrando, figlio di Alfonsina e Vin-cenzo Brini; Nicola è al lavoro nella sua fabbrica; il 15 aprile 1920 a South Braintree vengono uccisi due portava-lori: di entrambi gli episodi saranno incolpati Sacco e Vanzetti!Che dire del processo? Abbiamo già parlato del clima di odio contro gli Italiani. Ma altri furono i protagonisti, in negativo, della vicenda processua-le: il giudice Thayer, di cui erano note le posizioni contro i bolscevichi e gli anarchici, che operavano contro le istituzioni americane; il procuratore

distrettuale Katzmann, che puntava alla carica di procuratore generale del Massachusetts. Per questo si adoperò per far valere le proprie tesi, anche contro l’evidenza dei fatti. Cosa poteva fare la difesa nei con-fronti dell’accusa, che portava come testimone principale della rapina uno che aveva capito che si trattava di uno straniero, “dal suo modo di correre”? I testimoni italiani diedero prova di grande solidarietà e senso civico: sa-pevano che i due erano innocenti, e non ci pensarono due volte a testi-moniare, incuranti delle minacce e delle conseguenze di questa scelta. A questo punto sono le difficoltà lin-guistiche e le trappole del procuratore distrettuale a svolgere un ruolo deci-sivo.Struggente ed intensa la drammatiz-zazione dell’ultima lettera, spedita a Giovanni Battista Vanzetti dal figlio Bartolomeo, nell’interpretazione di Marco Cantori con l’accompagnamen-to musicale di Emanuela Sitta sull’aria “Tu che di gel sei cinta” dalla Turan-dot, di Giacomo Puccini.Sono due i tipi di dolore che domi-nano la lettera: quello di Bartolomeo, che sa sì di essere innocente, ma an-che che la sua innocenza non paga; l’unica “consolazione” che riesce ad offrire al padre e alla sua famiglia è rap-presentata dai tanti e dai comitati che si battono per la sua libertà; quello del padre, che non solo sta per perdere un figlio, ma che deve sopportare l’onta del-la vergogna per un figlio in prigione, con una col-pa così grave. Bartolomeo esorta i suoi cari a non na-scondersi, ma a protestare a gran voce la sua estranei-tà ai fatti e contro il delitto che si sta tramando ai suoi danni. Come rappresentare questi drammi incrociati? L’abbiamo chiesto all’at-tore Marco Cantori: “All’inizio dovevamo fare una lettura musicata, ma si è posto subito il proble-ma di leggere in pubblico un documento intimo: una lettera di un figlio ad un padre. Per ritrovare tale dimensione intima biso-gnava eliminare l’aspetto pubblico del personaggio e perciò mi sono imbian-cato il visto e ho indossa-to un naso finto di pelle (molto simile ai nasi delle maschere della commedia dell’arte creato dall’arti-sta Nives Storci) per poi toglierlo una volta entrato in scena, come se Barto-lomeo si togliesse la ma-schera del personaggio pubblico: prepararsi ad essere un figlio che parla a suo padre. Levato il na-so, prendo una spugna e la immergo in un secchio da muratore (che richiama, come anche la canottiera

e i pantaloni che indosso, l’origine umile di Bartolomeo) e mi pulisco il viso. Qui avviene una trasformazione simbolica: Bartolomeo colpevole, ico-na politica per i presenti ed i posteri, scompare. Rimane il figlio che parla al papà e soltanto ora può iniziare l’interpretazione della lettera da par-te dell’attore. Ho condiviso queste sensazioni con la pianista Emanue-la Sitta che ha proposto di suonare l’aria della Turandot “Tu che di gel sei cinta”, un’aria drammatica, che con la sua percussività costante ci restituisce l’immagine del tempo, che scorre inesorabile verso un sacrificio che non è invano, come dice lo stesso Bartolomeo: “Eppure ho fede nella vittoria e spero nella libertà”.

Giuseppe Sitta

Marco Cantori: attore e regista. Dopo le pri-me esperienze nei Centri Teatrali Universitari di Ferrara e di Toulouse (Francia), lavora con il regista Lech Rackzak (Polonia). Partecipa al Percorso di formazione organizzato da ERT per Attori fra Arti Popolari, Cinema e Teatro, tenutosi a Santarcangelo di Romagna. All’interno di questo percorso studia con Silvio Castiglioni, Davide Iodice, Alfonso Santagata e Kuniaki Ida etc. Entra poi a far parte del Teatro del Lemming dove rimane per 4 anni. Scrive e mette in scena alcuni te-sti teatrali originali tra cui Macerie (Selezio-ne Scenario 2005, Premio Ermo Colle 2008)

e Il Protagonista (Premio Anna Pancirolli 2012). Nel 2015 ha partecipato al progetto “La Guerra sul Dente” con la supervisione di Oscar De Summa. Sempre nel 2015 fonda il Teatro Perdavvero con cui scrive e realiz-za Re Tutto Cancella (2015, spettacolo di teatro ragazzi), I Musicanti di Brema (2016, spettacolo di teatro ragazzi tratto dalla cele-bre favola dei Fratelli Grimm). Studia body percussion e tip tap. Insegna teatro e si occu-pa di progetti rivolti ai giovani. Dal 2014 è direttore artistico Teatro Troisi di Nonantola (MO).

LA CONDANNA DI VANZETTILA CONDANNA DI VANZETTIRuolo e testimonianza degli emigrati emiliani al Ruolo e testimonianza degli emigrati emiliani al

processo di Plymouthprocesso di Plymouth

Domenica 6 Novembre si è svolta presso la Sala Comunale di Renazzo la

presentazione del libro “Una let-tera ai miei figli: patrimonio di una famiglia Italo Americana” scritto da Laura Alberghini Ven-timiglia con la collaborazione di Diletta Ballati. L’evento si è svolto con la collaborazione dell’Associazione Amici del Mu-seo di Renazzo e della Biblioteca di Renazzo. Un bel pomeriggio all’insegna della riscoperta delle tradizioni, della famiglia e della ricerca genealogica; una passeg-giata nel tempo attraverso le foto

storiche e di famiglia, il biglietto del piroscafo per New York, le

liste dei passeggeri arrivati ad Ellis Island e l’enorme albero

genealogico frutto di trent’anni di ricerca. Il libro è la lettera di una madre Italo Americana ai suoi figli, il racconto di come le loro origini hanno influenzato la loro esistenza, la loro persona e le loro scelte.

A LETTER TO MY CHILDRENA LETTER TO MY CHILDREN

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Il FondatoreGiorgio Bonora nasce a Cento il 14 maggio 1925 da Ferruc-

cio, macellaio e da Ada. Dopo le Scuole elementari, nell’a.s. 1936-37 entra alle Scuole Taddia, sezione industriale. Anche a lui va ricono-sciuto un ruolo di primo piano nello sviluppo economico del dopoguerra dell’hinterland centese. Dopo es-sersi reso artefice, infatti, della fon-dazione della società Motori Bono-ra, dà vita, in sinergia con i fratelli Adrasto ed Angiolino, alle Fonderie FABO. Negli anni seguenti conso-lida la propria esperienza impren-ditoriale divenendo anche titolare della Biliardi Orsi S.r.l., azienda storica centese, produttrice di tavoli da biliardo, e più tardi socio fonda-tore della POLITEC S.r.l., a Pieve di Cento, azienda affermatasi nella produzione di leghe plastiche.

Gli iniziLa nascita della Motori Bonora, co-mune a quella di tante altre attività economiche del territorio, si intrec-cia con le vicende della ricostruzio-ne post bellica. Le sue origini si col-locano, infatti, in anni estremamente difficili, quando l’ultimo conflitto mondiale si era appena concluso, allorché un gruppo di tecnici, fra i quali Renato Borgatti, suo compa-gno alle Taddia e il sig. Magnani, tecnico di Modena, quando in una piccola officina, ricavata nel fabbri-cato di via Baruffaldi, dato in uso alle Taddia, inizia la sua attività di riparazione e costruzione di motori elettrici e di piccoli elettrodomesti-ci, gestita dal direttore delle Taddia Apollinare Mercuriali. Terminata la guerra, il sig. Magnani si trasferisce a Modena, ma Giorgio rimane con il socio a Cento, sempre in via Ba-ruffaldi.

Alla fine degli anni Quaranta si specializza nella vera e propria co-struzione dei primi motori elettrici, passando in uno stabile più ampio adiacente alla Biliardi Orsi, in an-golo al Viale del Cimitero, necessi-tando di aree più estese da destinare alla produzione. Si aggiunge come consulente l’ing. Giorgio Venturi. Il 1952 è l’anno della svolta: con la separazione del Borgatti, l’azienda assume l’attuale denominazione so-ciale di Motori Bonora; si costruisce un nuovo stabilimento in via Righi, dove svolgerà la propria attività fino al 1997: qui con una trentina di ope-rai produce una gamma di motori da una potenza di ½ cv. ai 10. Sono anni in cui il mercato dei motori elettrici è dominato da importanti colossi nazionali ( Ansaldo, Ma-relli, Bezzi ) e stranieri ( Siemens, Leroy-Somer, Asea ). A quell’epoca la produzione industriale era oltre-modo esigua, trovandosi, peraltro, a far fronte con la scarsità di mate-riali. Perciò, attrezzarsi per svolgere all’interno dello stabilimento tutte le lavorazioni era condizione indispen-sabile per la crescita e lo sviluppo dell’attività. Sono queste le premes-se che condurranno all’apertura del reparto fonderia, a cui faranno se-guito la pressofusione d’alluminio, la tranciatura del lamierino, ed altre lavorazioni meccaniche, dalla bo-binatura, e dall’inserimento degli avvolgimenti, fino all’assemblaggio del prodotto finito. A poco a poco, l’originario opificio di via Righi, costituito da un ca-pannone di poche centinaia di metri quadrati, viene ampliato fino a rag-giungere gli 8.000 mq. coperti men-tre la manodopera supera le cento unità.Dalla nascita all’inizio degli anni Novanta, la Motori Bonora, perse-guendo quella che lo stesso fonda-tore aveva ribattezzato “la politica dei piccoli passi”, vive una fase di lenta ma costante crescita, riservan-do un’attenzione del tutto speciale agli investimenti in attrezzature ed impianti sempre più avanzati tec-nologicamente. La gamma di pro-duzione viene via via gradualmente ampliata ( oltre ai motori, infatti, vengono prodotti anche elettrou-tensili, elettropompe, compressori, generatori ), fino all’inizio degli an-ni Ottanta, quando tutte le energie aziendali vengono di nuovo con-centrate esclusivamente su i motori elettrici. Grazie alla collaborazione di Graziano Bonzagni prima, e di Gimmi Sacenti poi, si raggiungono traguardi sempre più prestigiosi.

Gli anni ’90Nel gennaio ’92 la Bonora Mo-tori deve registrare una grave per-dita: Giorgio, amministratore uni-co, muore dopo una lunga malattia, il che provoca ricadute negative sull’attività aziendale, che incontra un periodo di difficoltà. Diego, succeduto al padre nella di-rezione aziendale, decide di ope-rare una radicale riorganizzazione aziendale con l’obiettivo dichiara-to di recuperare competitività. La ristrutturazione consiste, in prima istanza, nel decentramento di alcune lavorazioni, iniziando proprio da quelle, tra le quali la pressofusio-ne, la tranciatura del lamierino e le diverse lavorazioni connesse agli avvolgimenti, che avevano costi-tuito il punto di forza della politi-ca aziendale precedente, divenute antieconomiche, dal momento che gli elevati investimenti necessari per mantenere il parco macchine al passo con l’evoluzione tecnologica non erano più giustificati dai limita-ti volumi di vendita. Si mantengono, invece, le lavorazioni meccaniche degli alberi e le operazioni com-plementari, acquistando i compo-nenti sui mercati del Veneto e della Lombardia. Ormai non conviene più tenere aggiornato tecnologicamente il parco macchine, in considerazio-ne sia dei limitati volumi di vendi-ta. Proprio a causa di queste scelte operative, negli anni Ottanta si era registrato contemporaneamente in Italia un fortissimo sviluppo di pic-cole e medie aziende sub-fornitrici che, lavorando per diversi clienti, avevano potuto contare su volumi assai più consistenti. Nell’arco di un paio d’anni l’azienda ritrova una consolidata efficienza nelle fasi di lavorazione svolte all’interno e di conseguenza una buona competiti-vità che le consente di riacquistare consistenti quote di mercato, pun-tando su prodotti a più alta tecnolo-gia: motori customerizzati.Da via Righi, poi, nel 1998 trasfe-risce la propria struttura produttiva nel nuovo stabilimento in via Reno vecchio, che si sviluppa su un’area di 21.000 mq. 7.000 dei quali coper-ti. Questa operazione consente una decisa razionalizzazione dei proces-si produttivi e permette all’azienda di consolidarsi sul mercato.Fino agli anni 2000-2001 la produ-zione aziendale si concentra prin-cipalmente su prodotti comunque standard. L’invasione dei mercati internazionali da parte di concor-renti dei Paesi emergenti costrin-ge, però, ad un cambio di strategia commerciale e produttiva. Per evi-tare l’insostenibile concorrenza dei prodotti di importazione, si è deciso di puntare con decisione su produ-zioni speciali e personalizzate, de-stinate a ben determinate tipologie di clientela. Questo ha consentito l’acquisizione di una clientela di un certo livello e di potere esprimere le proprie capacità tecniche ed orga-nizzative.

DIFFUSIONE SUL MERCATO.Nel corso dei 70 anni di attività, il marchio Bonora si è affermato so-prattutto in Italia, anche se oggi la quota dell’export si attesta attorno al 40% del fatturato. In passato l’azienda disponeva di diversi distributori sull’intero terri-

torio nazionale: da Milano a Bari, da Napoli a Padova, Firenze, Roma, Torino, Bolzano ecc. Dal 1993 la rete commerciale si è concentrata in prevalenza nelle aree industriali più sviluppate: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e sui mercati eu-ropei. A livello di esportazione, oggi esistono rapporti consolidati soprat-tutto in Germania, Spagna, Turchia, Francia, Austria ed Olanda. Negli ultimi anni, poi, con la produzione di prodotti personalizzati, l’offerta si è orientata verso una clientela di un certo livello, aziende normal-mente riconosciute come punto di riferimento del proprio mercato specifico, con particolari esigenze tecniche, che difficilmente possono essere soddisfatte da prodotti d’im-portazione.

ATTUALI PUNTI DI FORZA.La MOTORI BONORA ha compiu-to nel 2015 i 70 anni di attività ed è una delle poche aziende del settore a vantare una così lunga ed ininter-rotta tradizione. Ciò ha contribuito in massima parte alla diffusione ed alla conoscenza del marchio sul ter-ritorio nazionale. L’azienda dispone di una gamma di produzione aggiornata, prodotta mediante l’impiego di un efficiente parco macchine ed assestata su una fascia qualitativa medio-alta; ma so-prattutto può vantare una spiccata predisposizione nella produzione di motori progettati sulla base delle necessità specifiche della clientela. E’ evidente che in questa strategia molte risorse sono state dedicate all’Ufficio Tecnico, che oggi rap-presenta il vero valore aggiunto. In particolare è risultata di fondamen-tale importanza la preziosa collabo-razione prestata dal sig. Massimo Diegoli, entrato in azienda nel 1994 ed ancora oggi Responsabile Tec-nico.L’azienda può contare anche su un importante e razionale stabilimen-to produttivo e su una consolidata struttura organizzativa, che consen-tono di sostenere ulteriori crescite future. Non per ultimo, certamente, un costruttivo rapporto di positiva collaborazione con le maestranze, che ha consentito di rafforzare la propria vocazione di “costruttori”, mantenendo unicamente a Cento la

struttura produttiva, anche quando, soprattutto in questo settore, i pro-cessi di delocalizzazione andavano sempre più affermandosi.

PROGRAMMI E PROGETTI FUTURI.Il mercato dei motori elettrici è sempre stato contrassegnato da una forte competitività, anche a causa dell’elevato livello delle importa-zioni a basso costo, provenienti da Paesi meno sviluppati, culminato all’inizio degli anni Duemila con la dilagante invasione di manufatti provenienti dall’Estremo Oriente, anche se si tratta per lo più di pro-dotti standardizzati, orientati sulla fascia di bassa qualità.La MOTORI BONORA oggi riser-va un’attenzione crescente ai mer-

cati di nicchia, prefiggendosi la con-quista di nuove quote di mercato, grazie alla realizzazione di prodotti personalizzati, di elevata qualità e di rinnovata flessibilità. Attualmen-te è focalizzata sulla produzione di motori ad ALTA EFFICIENZA ENERGETICA e sulle rigorose cer-tificazioni di prodotto per il mercato Nord Americano.Dopo alcuni anni di contrazione, dal 2015 l’azienda sta conoscendo una fase di crescita sostenuta: in questa situazione è stato avviato un importante piano d’investimenti per aggiornare i reparti produttivi e, so-prattutto, la sala prove.La capacità produttiva è di 100.000 motori all’anno;numero addetti: 35la famiglia Bonora (Diego Bonora e Monica Bonora) ha il controllo del 100% dell’azienda;

Giuseppe Sitta

ORGANIGRAMMAAmministratore e Responsabile commerciale: Diego BonoraResponsabile tecnico e della pro-duzione: Massimo Diegoli;Responsabile dell’amministrazio-ne: Claudio Balboni;Responsabile degli Acquisti: Italo Anderlini;Ufficio Vendite ed Assistenza: Va-lerio Alberghini;Ufficio Programmazione Produ-zione: Fausto Finetti.

BONORA MOTORI ELETTRICI

Il fondatore Giorgio Bonora

Uno dei nostri prodotti

Esterno stabilimento

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 21

Chi è stato Cesare Tambu-rini, considerate le foto, le citazioni e le attestazioni

di stima contenute in “Guidetti, una storia per immagini” e che un suo ritratto campeggia nell’ufficio del sig. Guidetti accanto a quella di un altro grande centese, Fer-ruccio Lamborghini. Questa è la testimonianza del figlio Roberto. Nasce a Dosso il 21 maggio del 1930 da Emilio, 1903-52 , ed Ines Cristofori, 1902-69. Dal padre , fa-legname e mobiliere, apprende il

mestiere che pratica, dopo l’orario scolastico, fino al suo ritorno dalla guerra.Nel 1947, però, capisce di avere una notevole attrazione e predisposizio-ne per la meccanica: il materiale bellico, abbandonato sul territorio a guerra finita, stimola la sua in-traprendenza; anche Cesare viene “contagiato”, come tanti in quegli anni, dall’urgenza di “meccaniz-zare l’agricoltura, utilizzando al massimo componenti di residuati bellici. Il capannone è la stalla di amici di Molino Albergati: qui, con il caris-simo Gino Alberghini, si avventu-ra, senza mezzi economici ma con tanta volontà, nella costruzione di un trattore agricolo. Con la minima dotazione di attrezzatura ( chiavi, incudine, martelli, fiamma ossidrica e, una rarissima motosaldatrice ad elettrodo ) nell’inverno ’48 varano il loro primo ed unico trattore, non senza avere abbattuto parte della muratura del portone per-ché non passava! Nonostante gli sforzi e la soddisfazione del cliente, debbono cedere il passo ai diversi artigiani, più strutturati, impe-gnati nel Centese nella loro stessa impresa. Decidono, così, di seguire strade di-verse: Gino come meccanico pres-so il mitico emergente Ferruccio Lamborghini; Cesare apre la sua O.M.T. ( Officina Meccanica Tam-burini ), all’interno del complesso “Vitali” nella quale insegue il suo sogno, progettando e costruendo nuove attrezzature agricole.

(Sandro Samaritani lo ricorda co-sì: “Quando entrava in negozio, al-la “Bortolotti/Lazzari, poi Lazzari/Samaritani” si metteva in disparte, sul bancone, e, seguendo mental-mente il suo disegno, cominciava a snocciolare lentamente i pezzi di cui aveva bisogno, incurante dei clienti che gli passavano davanti”). Nel 1951 conosce Maria Teresa Guidoboni, che sposerà nel 1954. In questi anni progetta e realizza diverse ed innovative soluzioni per l’agricoltura, riprese poi da diversi concorrenti, tra le quali la prima fresa interfilare a disco circolare con sensore di pianta! Con que-sta evitava all’agricoltore di dovere “zappare” per eliminare le erbacce attorno alle piante, dai cardi alle vigne ai frutteti. Seguono con suc-cesso innovativi frangizolle, span-diconcime, atomizzatori d’acqua, nonché case e capannoni prefab-bricati in acciaio, ecc. Uno sbattitore d’ulivi, con braccio oleodinamico vibrante con telo di

raccolta, gli procura un ricono-scimento dalla Facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Fi-renze, ed un articolo sulla presti-giosa rivista “Terra e Vita”, come progetto più innovativo dell’anno.A “sostenere economicamente” le prototipazioni di Cesare, sono sicuramente i carri motorizzati, costruiti per la maggior parte dal-la O.M.T., i famosi “Cic Ciak”, nome derivato dal tipico rumore che producevano. Il loro basso costo e

l’estrema versatilità, rispetto ad un trattore vero e proprio, ne favorisco-no la diffusione tra gli agricoltori. Nel giugno 1955 nasce Emiliana e nel 1958 Danila. Alla fine degli anni ’50, precisamente nel 1958, la “Carlo Pesci”, confinante con l’area “Vitali” nella quale opera la O.M.T., intraprende la produzio-ne di Escavatori idraulici. France-sco e Ferruccio Pesci decidono di avvalersi della sua collaborazione per la fornitura della carpenteria metallica per il nuovo escavatore. Questo rapporto esclusivo di lavoro si trasforma, nel corso degli anni, in una solida amicizia: quando nel ’64, infatti, l’O.M.T. viene distrut-ta da un incendio, saranno pro-prio l’amicizia, il sostegno morale e la garanzia di commesse dei f.lli Pesci che convincono un Cesare disperato a rimboccarsi le mani-che e a ricominciare da capo. Nel-lo stesso ’64 nasce Roberto.Nel ’69 la ditta Pesci inizia a co-struire le mitiche ”Grù per auto-carri”: Tamburini si trasferisce a Corporeno, in un’area di 2000 mq. con ampi piazzali, ( nell’area dei sigg.ri Aprile ), potendo così ampliare la produzione. La O.M.T. raddoppia con la O.M.P. ( Offici-na Meccanica Padana ) occupan-do 28 dipendenti.Verso la metà degli anni ’70 la cri-si energetica e problemi familia-ri costringono Cesare a vendere le aziende, trasferite a Cento nel-la nascente area artigianale di via Pisacane, sotto la denominazione “C.I.M.E”. Nel ’79 ritorna in sce-na con la costruzione di grù per autocarri a Corporeno: è un per-corso ad ostacoli, forte è la concor-renza, ma in tre anni costruisce 170 unità in 5 modelli.La passione del figlio Roberto per il volo lo porta, nel 1985, ad oc-cuparsi dei deltaplani a motore che in quegli anni solcano i cieli. Il suo prototipo non è più un telaio in tubo di alluminio e cavi d’acciaio, bensì con scocca tubolare portante d’acciaio inox ed ammortizzato. E’ talmente bello ed innovativo che si presta per un altrettanto in-novativo kit che lo rende l’idrovo-lante più economico e versatile sul mercato. Tra l’85 e l’89 vengono

prodotti 60 esemplari con ruote e 10 kit di trasformazione.La genialità di Tamburini ha modo di esprimersi anche nel settore del riciclaggio, al quale sia il mercato mondiale che quello italiano mo-strano un interesse crescente. Da qui nel 1992 inizia la sua collabo-razione, che si prolungherà per

dieci anni, con Mauro Guidetti, che già da tempo sta recuperando e riciclando il rame dai cavi elet-trici. Sono anni pieni di progetti ed esperimenti, di soddisfazioni e di momenti difficili, sempre con-divisi con Guidetti, che non esita

a definirlo il realizzatore delle sue idee. Ma un destino avverso attende Ce-sare: nel 2003 viene colpito da un male incurabile che, in pochi me-si, lo porta alla morte ( febbraio 2004 ). Termina così, a 74 anni, una vita piena di fatiche, difficoltà, in-certezze, avversità, ma anche di tan-

te soddisfazioni e riconoscimenti, lasciandoci una lunga serie di cre-azioni più o meno note, battendosi sempre con la piena consapevolezza dei suoi mezzi, del suo ingegno e della sua creatività.

CESARE TAMBURINI, CESARE TAMBURINI, artigiano costruttore artigiano costruttore meccanico nell’area centese per tutta la sua meccanico nell’area centese per tutta la sua vitavita

A cura di Giuseppe Sitta

Deltaplano Tamburini con kit idrovolante, Castelmassa Mn 1987

Cik Ciak Tamburini, restaurato da Roberto 2000

pag. 22 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

PASTIFICIO ANDALINI PASTIFICIO ANDALINI a cura di Giuseppe Sitta

Determinanti per la nostra storia sono due fattori: la presenza a Cento del Pastificio Barbieri

e l’esperienza lavorativa di Arrigo ed Egletina nel pastificio stesso.Arrigo ed Egletina, infatti, vengono assunti nel 1931 e nel 1933: il lavoro è svolto principalmente dalle donne, mentre i compiti di pastaio e di auti-sta sono di perti-nenza maschile. Tra i pastai, ai quali sono affi-dati il reparto di essiccazione e l’intero proces-so produttivo ( i n c a r t a m e n t o , r inven imen to , essiccazione de-finitiva ) figura anche Arrigo , che può così ap-propriarsi dei segreti dell’industria pastaria.Se il 13 gennaio 1956 segna l’anno di nascita del Pastificio Andalini, ancora più importante è il 3 novem-bre 1946, giorno del matrimonio tra Arrigo ed Egletina: i due ragazzi, infatti, oltre al loro amore, portano in dote le rispettive esperienze acquisite nel Pastificio, che si riveleranno fon-damentali nella loro nuova impresa.La società, all’inizio, è composta da Arrigo, Egletina e il fratello Giulia-no; è finanziata dai risparmi di Or-lando, fratello di Egletina, derivanti dal suo lavoro in Belgio, da quelli di Egletina e da un mutuo della Cassa di Risparmio di Cento. La 1^ sede è in Corso Ugo Bassi, di proprietà di Augusto Borghi. Si tratta di 3 stanze, utilizzate per la produzio-ne, l’essiccazione, il magazzino, oltre al vano per la caldaia a vapore e la “tiz”, granaio adibito a cucina/mensa.Gli inizi non sono dei più favorevo-li: per un’irregolarità amministrati-va, legata alla posizione di Giuliano, l’INPS commina una multa di quasi 1 milione di lire, un’enormità per quegli anni. Risolta la sua posizione giuridica, si acquista da Nando Fe-rioli, un robivecchi, una macchina usata continua, modello Costa. Si comincia con la pasta fresca, sia di semola che all’uovo, poi si passa a quella secca, che consente tempi lun-ghi di conservazione. Se le tagliatelle in tutti i formati e la pasta verde, per la quale è l’unico produttore in zona e, forse, il primo in Italia, sono i suoi prodotti di punta, è altrettan-to vero che si privilegia la grande varietà di tipi di pasta, sia per essere sempre più concorrenziali, sia per un richiamo continuo alle proprie tra-dizioni. Ai formati classici di mac-cheroni, sedani, penne etc., prodotti dalla concorrenza con la sola semola di grano duro, aggiunge 2 uova/kg. offrendo così al consumatore di pro-dotti Andalini una doppia opzione.Abbiamo così evidenziato la I^ scelta strategica dell’azienda: fare trovare in negozio al cliente i “soliti tipi di pasta di casa sua”, caratteristica questa che non sarà più abbando-nata. Per l’approvvigionamento del-le uova, si fa ricorso alla campagna circostante o nei negozi, scambiando pasta con uova. Le uova si conserva-vano in diversi modi: nella cenere, ben unte nello strutto, “in bagn”, in grandi vasche, piene di acqua e calce, ognuna della capacità di mille uova.L’area di distribuzione copre il triangolo Bologna-Modena-Ferrara, raggiunto con un triciclo a pedali con cassone anteriore e con la lambretta con cassone posteriore; anche Mas-simo, figlio di Arrigo ed Egletina, se ne occupa, e provvede alle consegne ai negozi di Cento, prima di entrare in classe, alle Taddia, dove frequenta l’Avviamento commerciale. La pa-sta è, infatti, venduta sfusa, in sacchi da 5/10 kg. Nel 1960 si acquista un Fiat 1100, con 12 q.li di portata, gra-zie ai soldi anticipati, ancora una vol-ta, da Orlando, rientrato dal Belgio. Il successo immediato della pasta verde impone, fin dal 1958, sia una nuova sede, sia la creazione del pro-

prio marchio. Per la nuova sede si procede, come sempre, con graduali-tà, acquistando per prima cosa in via del Curato il terreno, reso possibile, anche questa volta, grazie ad Orlan-do, entusiasta all’idea, e ad un mutuo artigianale di 5 milioni con la Cassa di Risparmio di Cento. Il 1° lotto è costruito nel ’62 e il tutto si comple-

ta nel ’71. Per quanto riguarda il marchio, che rappresenterà il Pastificio fino ai primi anni ’90, è il risulta-to, invece, di un incontro casua-le in SIACA tra Arrigo e Arnal-do Pomodoro.A metà del ’62 comincia una

nuova fase per il Pastificio Andalini: l’attività si trasferisce in via del Cu-rato; cambia la forma giuridica, per cui l’azienda diventa artigianale. Si procede poi sia alle prime assunzioni e collaborazioni continuative; sia al rinnovo delle attrezzature. Alla mitica “Costa”, che lavorerà ancora per un anno, se ne affiancano altre due, alle quali si aggiungono due “Macri-Braibanti”, acquistate alla “Due Torri” di Bologna. Si attivano due rotanti per la pastina e la pasta corta; si amplia il reparto di essic-cazione con 4 nuove celle, capaci di 12 carrelli per un totale di 896 telai; le tagliatelle, prodotto di punta, non sono più tagliate e preparate a mano, ma si producono con una lavorazione semiautomatica.Gli ultimi anni ’60 vedono il varo di una serie di provvedimenti legislativi che riguardano l’industria pastaria. La 580 del ’67 disciplina la lavorazione, il confezionamento e il commercio della pasta, prodotta esclusivamen-te con grano duro; il riempimento è ancora manuale, ma le pezzature cambiano, da 250 g. a 500 g. e mul-tipli; i sacchetti si chiudono con una saldatrice, fino all’acquisto nel ’70 di una confezionatrice Ika e di due pe-satrici automatiche della SIRAM di Parma, montate sulla confezionatrice. Per raffred-dare le ten-sioni sociali dell’Autunno caldo, il Go-verno congela il prezzo del-la pasta, la-sciando però liberi quelli delle materie prime. E’ una situazione pa-radossale, che taglia le gam-be a molte aziende, tra le quali nella nostra zona, Santipasta, Bertagni, Pastificio Ma-scarino. Come reagisce il Pastificio Anda-lini? Per aggirare il blocco dei prezzi, si “inventa” le tagliatelle, non le solite tagliatelle, ma le “Tagliatelle della Rocca” presentate come specialità! Il fatturato “lievita” immediata-mente, il che consente, fra l’altro, di ampliare il parco auto, con l’acqui-sto di un Fiat 238, di un’Alfa Romeo F. 12 e di un camion Fiat 140.Intanto anche il sistema distributivo presenta la grande novità del Su-permercato. Siamo negli anni ’70 la Coop apre un suo punto vendita in Corso Guercino a Cento: Massi-mo Andalini coglie immediatamen-te questa opportunità come dimostra la prontezza con la quale ottempera alla “580”, consapevole dell’insuffi-cienza della dimensione artigianale dell’azienda, deciso ad entrare in una dimensione industriale. Del re-sto, a Cento non ha più concorrenti.Nel 1981 Massimo entra come so-cio e quando nell’ottobre ’86 muo-re Giuliano, gli eredi e la vedova, sig.ra Marta, trasferiscono le in-tere quote di partecipazione ai co-

niugi Andalini: da questo momento la conduzione passa interamente a Massimo; la nuova ragione sociale è “Pastificio Andalini Massimo & C.”. Altra carta vincente è l’espan-sione della rete commerciale: oltre alla Coop si aggiungono altre realtà distributive. Negli anni ’90, Andalini non pro-duce solo con il suo marchio, ma an-che per i marchi delle varie catene di supermercati, che pretendono, a loro volta, di essere tutelati nel pro-dotto e nell’immagine. Per questo richiedono profondi cambiamenti, an-che strutturali: rigoroso rispetto delle norme igieniche, nuove modalità di consegna, nuovi sistemi di carico e scarico. L’adeguamento delle strutture e delle capacità produttive dell’azienda ren-de necessario un restyling dell’im-magine aziendale e del packaging, l’unico elemento che veicola il mar-chio e che sugli scaffali deve captare immediatamente l’attenzione del consumatore. Questa operazione è af-fidata alla M.P.S.A., azienda centese specializzata nel settore alimentare. Anche la scelta tecnica della tempe-ratura di essiccazione la dice lunga sull’attenzione costante della Andalini alle esigenze del consumatore. Con le basse temperature, le caratteristi-che del prodotto sono strettamente correlate alle semole impiegate; la pasta mantiene il caratteristico sa-pore di grano; con quelle alte, inve-ce, si hanno vantaggi sotto il profilo economico; si possono usare materie prime di non primissima qualità, come se si trattasse del grano miglio-re; si ottiene il miglioramento del co-lore, ma aumenta la possibilità della comparsa di colorazione anomala; riguardo al sapore, possono compa-rire gusti anomali, amaro e crosta di pane, ma in ogni caso si verifica un generale appiattimento.Dagli anni ’90 al 2000 sorge il gros-so del nuovo stabilimento in via En-rico Toti. Nel ’92 con la trasforma-zione della società in s.r.l. avviene il passaggio alla dimensione industria-le, con ricadute sul management e il personale. Riguardo al primo aspetto si creano

la Direzione commerciale per allargare gli orizzonti alla Grande distribuzione e ai mercati esteri; la Di-rezione mar-keting, con le competenze di direttore del personale e di respon-s a b i l e d e i rapporti con

Enti pubblici ed Enti di categoria. Per quanto riguarda il secondo aspet-to, alcuni dipendenti provengono dalla sede di via del Curato; il ba-cino d’utenza centese e del Circon-dario non permette l’assunzione di operai specializzati; la formazione dei dipendenti è la stessa di Arrigo ed Egletina, con l’esperienza e l’inse-gnamento diretto; si procede a nuove assunzioni: Paganini Fabio, prove-niente dal pastificio Ricci di Ferra-ra e dalla Frumens, di Milano, per sostituire Arrigo; Cesari Antonio, dal pastificio “F.lli Capponcelli”, di San Giovanni in Persiceto; Quarti Marco, dal pastificio Zannellini, di Mantova. Nell’ottobre ’97 si acquista una nuo-va Linea della ditta Fava, in sostitu-zione di quella vecchia, triplicandosi così la produzione di pasta a nido da 2 a 6 q.li/h; si automatizza la fase di confezionamento del prodotto; si migliora il margine di contribuzio-ne; si recupera efficienza economi-ca-produttiva e si aumenta la reddi-tività della gestione operativa.Un altro traguardo da conseguire è la Certificazione del sistema qualità, indispensabile per garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti con il pro-

prio marchio e di quelli con i marchi della Grande distribuzione. La Dire-zione generale elabora un piano, fi-nalizzato a questo risultato, che passa attraverso una ridefinizione dei nuovi compiti e delle nuove responsabilità del personale; l’assunzione di un assistente alla Direzione logistica, che dovrà sostituirsi a Massimo; la creazione di un Ufficio logistica, for-mato da tre persone, perfettamente intercambiabili, per la gestione degli ordini di vendita, di acquisto, di produzione e di spedizione. Si costruiscono anche un nuovo ma-gazzino di circa 4.000 mq., una nuo-va linea per le tagliatelle, nuovi uffi-ci; si ampliano i locali destinati alle linee di produzione; si sostituisce il Sistema informativo gestionale SAM con il nuovo Sistema “Meto-do”; si analizzano le soluzioni offerte dal mercato per la gestione automatiz-zata del magazzino e il controllo della produzione. La Certificazione viene conseguita il 28 giugno 1999.

Eventi dal 2000 ad oggi. A partire dal 2000, il Pastificio Andalini compie scelte strategiche di notevole impor-tanza, che gli consentono di affrontare la recente crisi economica in maniera efficace e relativamente indolore. Nel 2001 acquisisce l’antico pastifi-cio ”La Sovrana di Puglia”, di Ca-nosa di Puglia, nel territorio denomi-nato “il granaio d’Italia” dedito alla produzione di pasta semola. Negli anni più recenti, questo stabilimen-to viene totalmente rinnovato per specializzarsi nella produzione di pasta biologica, paste speciali e per la lavorazione per conto terzi.Viene, inoltre, sviluppato ciò che era iniziato alla fine degli anni ’90, ov-vero l’export verso i principali Pa-esi europei ed alcuni extraeuropei, quali Stati Uniti, Canada ed Emirati Arabi, cercando di trovare nicchie interessanti di mercato.Il Pastificio Andalini rimane comun-que votato al private label, specia-lizzandosi ulteriormente nel Tay-lor Made, quindi nei prodotti “fatti su misura” per il cliente. Nel 2005 l’Azienda acquisisce le certificazio-ni CSQA UNI EN ISO 22000, IFS BRC e consegue l’autorizzazione a produrre paste biologiche. Al fine di rispondere in modo sempre più efficiente alle esigenze del merca-to e dei clienti, perfeziona la propria struttura organizzativa interna con specifici capi funzione e inizia un processo di passaggio generaziona-le, che vede nel 2010 Simona, figlia di Massimo, divenire Amministrato-re Delegato. Nel 2013 la società di-venta una S.p.A. e nel 2014 avviene il lancio della nuova brand image e restyling dei packaging.Nell’ottica di un continuo migliora-mento, il Pastificio Andalini ha re-centemente effettuato investimenti in entrambi i siti produttivi, intro-ducendo un nuovo sistema logistico automatizzato, al fine di migliorare le condizioni di lavoro e conseguire una riduzione dei costi.

Palazzo del Governatore - Sala Franco Zarri -Venerdì 20 maggio 2016 - Conferenza stampa per il

60° anniversario di fondazione del Pastificio Andalini: “60 anni a tutta sfoglia”.( .. ) E’ da 60 anni che il pastificio della famiglia Andalini, ormai giunta alla terza generazione, produce pa-sta all’uovo, di semola, biologica e specialità. Con passione, entusiasmo e impegno, proprio come vuole la più autentica tradizione emiliana.Sei le linee di prodotto: Antica Tradizione Uovo, che include pasta corta, nidi e pastine; Le Biologiche con pasta di semola, semola integrale, farro e uovo; 4 Minuti, una gamma completa di pasta a sfoglia sottile che unisce il gusto alla velocità di cottura; Cuor di semola, che più che una linea, è un nuovo brand per chi ama il meglio e vuole distinguersi; Le Specialità, dal-le forme originali e dal sapore unico; La Sovrana, una proposta studiata appositamente per i mercati esteri.L’offerta variegata ha permesso al pastificio di Cento di raggiungere importanti traguardi in questi an-ni, ma porta con sé ancora ampi margini di sviluppo, soprattutto all’estero. “Cerchiamo di dare il mi-glior prodotto possibile, spiega Stefa-no Venturi, direttore commerciale e marketing di Pastificio Andalini, idoneo per i consumatori. Il nostro fatturato è in crescita del 5% circa sia a volume che a valore, soprattutto grazie all’estero e a nuove idee. Il 40% è lo share dell’export sul fatturato totale, grazie soprattutto al Nord Europa, dove proponiamo una gamma di pasta dedicata a un canale consumer specifico. Stiamo lavorando per ampliare l’offerta nei Paesi emergenti, anche se la situa-zione geopolitica attuale rende il tutto sempre più complicato e difficile”.Tra Italia ed estero, la private label rappresenta il 50% della produzio-ne di pasta all’uovo e di semola, in vari formati. L’azienda può garantire ai retailer innegabili vantaggi: la qua-lità di prodotti innovativi, sicurezza alimentare, tecnologia, ottimizza-zione dei costi e puntuali servizi lo-gistici.Tra i progetti a breve-medio termi-ne, figura l’ampliamento della gam-ma bio, con nuove ricette e materie prime salutistiche, puntando anche sulla creazione di temporary shop strategici. Nelle strategie di comu-nicazione, si privilegia l’utilizzo dei social e dell’interazione con i con-sumatori.“Ci piacciono i concorsi, nota Ven-turi, perché permettono di far co-noscere il brand e il prodotto. Per i prossimi mesi stiamo preparando l’evento per il 60° compleanno del Pastificio, per festeggiarlo con tutti i nostri collaboratori e le loro famiglie, i clienti, i fornitori e gli amici. Per l’occasione abbiamo creato un logo celebrativo ad hoc. Crediamo molto nella comunicazione sulla stampa specializzata, nell’inbound marke-ting e nei social, puntando molto sui valori emozionali del territorio e della cultura emiliana della pasta all’uovo. E vogliamo comunicare fin dal prodotto la sua genuinità, attraver-so la ruvidità della sfoglia e la colora-zione dell’uovo naturale”.

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Ne “I luoghi della memoria a Cento”, di Tiziana. Contri, novembre 2009, Mar-co Cecchelli in “Due secoli di epigra-

fia centese, 1750c-1950c”, inserisce il seguen-te paragrafo “Gloria agli eroi: il monumento ai caduti”.Fra l’ultimo quarantennio dell’800 ed i primi due decenni del ‘900, la società borghese dovette affrontare e risolvere su nuove basi il problema della memoria scritta dei defunti, per effetto di tre concomitanti fattori:

la curva demografica quasi dappertutto in - costante crescita, con una conseguente e decisa affermazione dei valori della vita rispetto a quella della morte; l’alfabetizzazione sempre più estesa, al-- meno nelle aree urbane;i grandi massacri, provocati, in misura - mai conosciuta prima, dalle nuove armi da fuoco rapido sui campi di battaglia delle guerre di distruzione, il cui ciclo fu iniziato nel 1861-65 dalla guerra civile nordamericana, e trovò il suo culmine, per quanto riguarda le perdite militari, nella Grande Guerra europea del 1914-18.( . ).

Gli Stati Uniti, dopo la guerra di secessione, riconobbero il diritto ad una memoria fune-raria individuale a tutti i caduti in guerra. La “Grande Guerra” rappresenta la più grande strage militare della storia, che ha visto il mas-sacro di intere generazioni di giovani. Questo sacrificio di massa colpì profondamente la mentalità collettiva e fu esorcizzato ricor-rendo alla retorica del patriottismo, alla ce-lebrazione delle virtù eroiche dei defunti, al valore del sacrificio compiuto per la patria. I caduti, divenuti tutti eroi, furono ricor-dati in tutti i Paesi belligeranti con cimiteri militari di massa e con monumenti in ogni località. Tutta questa operazione fu impostata e condotta dalla gerarchia militare, che vi impose le stimmate della propria ideologia, dei propri valori, delle proprie autogiustifica-

zioni, rovesciando così in esaltazione per sé il ricordo delle vittime.Per quanto riguarda i cimiteri militari, a Cento opera da 70 anni l’Incimar. Tra i suoi campi d’azione privilegiati sono comprese le Ono-ranze funebri, come dimostra l’accordo con il Commonwealth War Graves Commission, per cui fornisce macchine, modelli, stemmi delle varie armi per i cimiteri di guerra ingle-si. Altra benemerenza centese è rappresentata dalla signora Mercedes Grilli, alla quale il 21 giugno 1998 fu conferito il diploma d’onore “La Croce Nera con nastro” per la cura dei cimiteri di guerra, prestata per tanti anni, come da documentazione gentil-mente inviata dal sig. Rodolfo Maggiorato, suo pronipote.Così racconta Lanfranca Lodi, figlia della signora Mercedes: “Avevamo la casa a Ce-suna, dove trascorrevamo due mesi in estate ed un mese in inverno. Laura ed io eravamo ragazzine e con la mamma ci piaceva fare lunghe e salutari passeggiate nei boschi per raccogliere fiori e frutti del sottobosco, more, funghi, lamponi. Spesso, però, accadeva di

imbatterci o di inciampare in mucchietti di ossa, che ci spaventavano e che ci causava-no un senso di ribrezzo, ma che la mamma raccoglieva in una busta di plastica, depo-nendole, poi, al rientro amorevolmente in un contenitore di alluminio. Sedendoci sull’erba, per calmare le nostre paure, cominciava a

spiegarci quel suo, per noi strano, comporta-mento: quelle non erano ossa di animali, ma poveri resti umani. In quei luoghi, infatti, si erano svolte tante battaglie, nelle quali erano morti tantissimi soldati, in massima parte gio-vani. Recuperare, quindi, ciò che rimaneva di

loro, italiani e nemici, non era soltanto un gesto di pietà cri-stiana, ma anche un gesto di riconoscenza per il loro estre-mo sacrificio. Quel contenitore di allumi-nio si riempì più volte, il che indusse nostra madre a rivol-gersi alle autorità del paese per dare a quei poveri resti un’onorata sepoltura. L’ini-ziativa fu accolta con molto entusiasmo e così quei ragazzi poterono ritrovare nel sorriso di Mercedes, una mamma per tutti loro, che non avevano potuto godere nel momento estremo.

e “I luoghi della memoria a Cento” di zioni rovesciando così in esaltazione per sé

Cimiteri di guerra Cimiteri di guerra a cura di Giuseppe Sitta

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Giovanni avrebbe potuto se-guire la strada, già traccia-ta da suo padre Luigi, 1878

– 1927, di bravo orologiaio, ma si sentiva più portato a rimettere or-dine in meccanismi ben più grandi delle piccole rotelle d’orologio; ci prova, comunque, per un breve pe-riodo, dovendo però constatare che non faceva per lui.Apprende le prime nozioni tecniche nei brevi corsi di Meccanica delle Scuole Taddia, ma ben presto deve interrompere gli studi, sia perché preferisce esperienze di lavoro pra-tico, sia perché deve contribuire al sostentamento della famiglia, do-po la prematura morte del padre, 1927., lasciando la moglie Giusep-pina Tinti e dieci figli. Il primo-genito Roberto, 1907-1999, infatti, entra in Seminario a Bologna: alla sua robusta vocazione sacerdotale unisce uno spiccato interesse e una grande competenza nella fisica e nella tecnologia in genere, una vera e propria predisposizione di fami-glia. L’attività di orologiaio viene proseguita da Paolo, 1912-1991, in Corso Guercino n° 7.Dal 1929 lavora come autista nel “Pastificio Faustino Barbieri & Figli”; nel 1936 un grave incidente con la sua moto Gilera 8 Bulloni, lo spedisce in ospedale: dovrà tra-scorrere tre anni di assoluta inattivi-tà, di sofferenza; una gamba rimarrà

irrimediabilmente menomata.Come tanti Centesi, cerca fortuna in Libia, a Tripoli: dalle sue lettere, inviate a casa per posta aerea, “Ala Littoria” risulta, nel ’42-’43, lavora-re come meccanico ed autista presso due ditte italiane, la SATA e la G. Alberghini & P. Zanolini .

Al rientro in Italia, inizia in proprio l’attività di riparatore di automezzi di ogni tipo, aprendo un’officina in via Baruffaldi, cortile proprietà Veronesi, riscuotendo l’apprezza-mento della sempre più affezionata clientela, assumendo anche alcu-ni dipendenti: un nome per tutti, il bravo Piero Piccaglia. Il succes-so incontrato rende necessaria una nuova sede più adeguata , in via Orsini 9, angolo via Breveglieri. Contemporaneamente, a lui che doveva lavorare come orologia-io nelle lancette, viene assegnata l’assistenza delle auto della presti-giosa Lancia!Nel 1974 entra in officina anche il figlio Gianni, che affiancherà il padre, assumendo poi, nel 1981, la titolarità dell’officina.Molteplici sono stati i campi della tecnica esplorati dalla curiosità cre-ativa di Giovanni; un esempio per tutti, la nautica, passione condivi-sa con l’amico dr. Villiam Arvie-ri, l’amato e indimenticato medico in Otorinolaringoiatria, 1920-2011. Si racconta che la passione del dr.

Arvieri per la navigazio-ne sia iniziata nelle acque del nostro Reno, a bordo di un’imbarcazione ricava-ta da un capace serbatoio d’aereo, sganciato perché vuoto, tagliato a metà, ot-tenendo così un guscio galleggiante! A Cento, quindi, non si tagliavano soltanto veicoli militari per fare le prime cario-che! Poi sia Villiam che Giovanni si dotarono di im-barcazioni sicure, sempre però alla ricerca di valide modifiche per migliorarne le prestazioni. Giovanni, raffinato mecca-nico, onesto fino allo scrupolo, oro-logiaio mancato, ha maneggiato le auto con la stessa cura che si riserva agli orologi più preziosi. Durante gli ultimi anni, infatti, nella sua officina si è dedicato al recupero, non sem-pre facile, della parte meccanica di vecchie auto d’epoca, dei più disparati modelli, facendo la gioia di appassionati e collezionisti.

La famiglia: Tassinari Pierluigi, 1878-1927, Tinti Giuseppina, 1888 - ? ; Roberto, 1907-1999, monsi-gnore abate a Poggio Renatico; Li-na, 1908-2001; Giovanni, 1910-1997; Paolo, 1912-1991; Antonio, 1920-1957, tipografo; Laura, 1921, vivente; Ferdinando, 1924-1948, elettricista; Giuseppe ?-? marescial-lo CC; Luisa, 1925, vivente; Carlo, 1927, muratore, vivente.

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Giovanni Tassinari con il fi glio Gianni posano accanto al gioiello appena ripristinato

Chi è Andrea Boni e perché ripropone un manufatto in disuso da almeno un paio di

secoli? Possiamo trovare le risposte ad ambedue le domande nel volu-me dello stesso Venturelli “Andrea Boni e la Casa del Manzoni. La ri-nascita ottocentesca del cotto orna-mentale” del Centro nazionale di Studi manzoniani, 2014.

Della ditta An-drea Boni ci parla Antonio Orsini, 1857-1928, nel qua-derno n° 5, pag. 70 della sua Selva Enciclo-pedica Centese, edita a Cento a cura di Giu-seppe Sitta, nel 2012: “.. scul-ture e decora-

zioni in rilievo venivano eseguite dalla ditta Andrea Boni di Milano. Un tale teatro, che costò parecchi milioni, apertosi contemporanea-mente a quello di Carpi, meritò di essere riprodotto siccome modello d’arte architettonica nelle grandi ta-vole litografiche del Melhenhauer”.Andrea Boni nasce a Campione d’Intelvi il 4 marzo 1815, primoge-

nito di Luigi, piccolo proprietario, e Antonia Maderni. Papà Luigi aveva lavorato a Vicenza, per secoli centro dell’argilla più pregiata dell’Italia settentrionale, polo di attrazione per giovani apprendisti da altre regio-ni; nel 1806 apre con alcuni soci una manifattura di terraglia. La pri-ma sede è nell’abitazione dei Boni, che si trasferisce successivamente nell’antica casa parrocchiale, con-cessa in uso dall’Amministrazione comunale. La ditta, infatti, rappre-senta un’alternativa per i 200 abi-tanti di Campione, dediti alla pesca e ad un’agricoltura di sussistenza. Oltre ai 4 soci titolari, vi lavorano 4 apprendisti e 11 operai.Ad Andrea Boni spetta il merito di avere riportato alla luce, nel 1850, in Lombardia la ceramica monumenta-le, conseguendo ovunque prestigiosi riconoscimenti, in Italia e nel mon-do, grazie ad uno studio accurato

sulla composizione delle argille, sul loro impasto, riuscendo così ad evitare le deformazioni e le irre-golarità nella cottura. Fra le tantissime, si ricordano le decorazioni della Gal-leria Vittorio Emanuele, della Casa di Alessandro Manzoni, del nostro “Bor-gatti” ecc.La sua massima espansio-ne si registra negli anni ’60, anche con una nuova sede; negli anni ’70 inizia il lento declino, causato dall’affermazione di nuo-vi gusti e nuovi materia-li. Andrea Boni si spegne a Milano il 15 settembre 1874.

Libera riduzione di Giuseppe Sitta

ENRICO VENTURELLI ENRICO VENTURELLI ROSSO BORGATTIROSSO BORGATTILE TERRECOTTE DI ANDREA BONI A CENTOLE TERRECOTTE DI ANDREA BONI A CENTO

PuntalennaPuntalenna, GIOVANNI TASSINARI, 1910–1997, GIOVANNI TASSINARI, 1910–1997DA OROLOGIAIO MANCATO A PROVETTO MECCANICODA OROLOGIAIO MANCATO A PROVETTO MECCANICO

A cura di Sandro SamaritaniA cura di Sandro Samaritani

Giovanni Tassinari con un cliente ... il tempo di

fumarsi una sigaretta e la macchina riparte! ...

Antonio Scagliarini:

L’Ospedale militare di Riserva di Pieve di CentoL’Ospedale militare di Riserva di Pieve di CentoIl singolare destino di un edificio scolastico, mai inaugurato, trasformato in ospedale militare, ribattezzato Il singolare destino di un edificio scolastico, mai inaugurato, trasformato in ospedale militare, ribattezzato

due volte; diventerà sede di culturadue volte; diventerà sede di cultura

Curiosa è la storia dell’edifi-cio scolastico comunale di Pieve. Il Consiglio comuna-

le, pur avendo deliberato il 25 ot-tobre 1881 “la costruzione di un fabbricato per le scuole comunali con le abitazioni degli insegnanti nella zona di terreno adiacente al Palazzo comunale, di proprietà dell’Ospedale di Pieve” ripiegò ri-adattando alcuni locali comunali, già destinati ad uso abitazione.Il 13 ottobre 1911 si deliberò la sua edificazione su progetto dell’ing. Attilio Evangelisti di Bologna, as-segnandola alla Cooperativa Mu-ratori, presieduta da Giacomelli Federico, di Gaetano.Il 14 dicembre 1911 fu posta la prima pietra nel cantiere nei pressi di Porta Bologna; i lavori termina-rono nel 1914. I tempi lunghi sono da attribuire a varie cause: i ritardi dei pagamenti con fondi destinati a sollievo della disoccupazione; il notevole riempimento di terreno per livellarlo; la mancanza di un sorvegliante dei lavori, più vol-te sollecitato dal progettista per le “speciali esigenze artistiche e ar-chitettoniche del costruendo edi-ficio” Per ottenere il mutuo statale, il Consiglio municipale, presieduto dal sindaco Zeno Conti, il sinda-co della Grande Guerra, dovette di-chiarare di impegnare il Comune a mantenere in perpetuo il costruendo edificio per esclusivo uso scolastico, delibera 19 maggio 1912 n° 1923.Il prof. Umberto Guidicini, che realizzò i fregi esterni dell’edificio in un elegante stile liberty, con la supervisione del prof. Achille Ca-

sanova di Minerbio, suggerì alla Giunta di assumere come assistente “il valoroso concittadino Giuseppe Zacchini”, scultore e membro della Commissione dell’Ornato.L’inaugurazione, con delibera 14 agosto, fu fissata per il giorno di Natale 1914 “decidendo di sospen-dere ogni cosa soltanto se l’Italia uscirà dalla neutralità”. Dal 14 al 16 settembre si tennero nella nuova scuola gli esami di ammissione e il 5 ottobre iniziarono provvisoriamen-te le lezioni per i 216 alunni, con alterne sospensioni per interruzioni della caldaia nuova, per gli arredi incompleti e per altro ancora, co-me la mancanza dei bagni, per cui si doveva andare in quelli pubblici dell’Ospedale civile ( i WC erano già stati installati ). Il 22 ottobre, infatti, il Consiglio comunale aveva deliberato di togliere la spesa per l’impianto dei bagni, incaricando il sindaco di accordarsi con l’Ammi-nistrazione dell’Ospedale per potere mettere a disposizione degli alun-ni, dietro congruo compenso e per una o due volte la settimana, i bagni pubblici all’interno della struttura

sanitaria. Ma per “gli incombenti eventi bellici che colpirono tutto il mondo” si decise per la sospensio-ne dell’inaugurazione, il che non impedì al sindaco Zeno Conti di aprire la scuola il 25 ottobre per le visite della cittadinanza. Il collaudo dell’edificio scolastico fu effettua-to dal Genio Civile il 20 maggio 1915, 4 giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia.Il primo luglio 1915 l’edificio sco-lastico fu requisito e trasforma-to in Ospedale militare di Riser-va. Le autorità militari provvidero all’impianto dei bagni nella Scuola; le lezioni si svolgevano presso vari locali, sia comunali sia privati, i cui affitti erano poi rimborsati “scarsa-mente” dall’Autorità militare. Le vecchie scuole comunali di via Ga-luppi, presso il convento dei Padri Scolopi, non erano più utilizzabili perché, per il progetto dell’ing. Alfredo Carpeggiani, si stavano trasformando in Case popolari, data la “necessità di provvedere alla mancanza di abitazioni nel paese; considerando che molte famiglie ri-marranno indubbiamente senza casa per l’arrivo di emigranti”.Pochi giorni dopo la requisizio-ne, attrezzato per l’assistenza sa-nitaria, cominciarono i ricoveri nell’Ospedale militare i primi sol-dati feriti e ammalati dal fronte. Dipendeva dall’Ospedale militare principale di Bologna, mentre la gestione amministrativa spettava per legge alla Congregazione di carità locale. Questa doveva provvede-re alle varie forniture alimentari, ai materiali, muratori, imbianchini,

falegnami, spaccalegna, lattonieri, elettricisti ecc. Per il pane si fece una convenzione di 15 giorni con i fornai di Pieve ( Busi, Michelini, Landi ), mentre per galline, uova, maiali, legna ecc. le forniture pro-venivano anche da privati. Negli archivi si trovano ricevute, vistate dall’Ufficio Finanza di Cento, anche per poche uova, o qualche gallina; curiosamente erano intestate anche

con i soprannomi dei venditori.Pagava, inoltre, operai e fornitori, venendo rimborsata dall’Ospedale Militare Principale; la convenzione valeva anche per i servizi funerari: tra questi, anche la sepoltura nel Cimitero comunale di un piede amputato ad un soldato. La gestione sanitaria dell’Ospeda-le militare di Riserva era affidata a medici ed assistenti militari; era dotato di 400 posti letto, di ambula-torio, cucina, lavanderia, cantine, di un oratorio con sacerdote militare. Nel cortile si allevavano galline, per le uova fresche, come si deduce dall’acquisto di “5 piatti di greppole per le galline” e di “1 quintale di frumentone per le galline”, come anche maiali “pagato per avere por-tato il mangiare ai maiali” e “spese per il letto ai suddetti maiali, lire 2”.Ogni giorno venivano curati dai 150 ai 200 soldati di truppa, fino al grado di sergente.Ufficialmente le lezioni ripresero nel settembre 1919, dopo l’abbatti-mento delle superfetazioni sanitarie, realizzate dai militari, e la radicale disinfezione. Con delibera poi del 2 ottobre 1924 fu dedicato a Gio-vanni Pascoli, come aveva dispo-sto Mussolini il 5 settembre 1924: “per ricordare il poeta e maestro Giovanni Pascoli, di San Mauro di Romagna, in ogni terra della Romagna ed Emilia, nonché nelle scuole di tutti i Comuni”.L’edificio scolastico è stato grave-mente lesionato dal terremoto del 29 maggio 2012; dopo il restauro, verrà destinato a sede culturale, con Pinacoteca, Biblioteca e sedi di Associazioni. Le vecchie intitola-zioni non hanno più ragion d’essere, per cui dovrà essere nuovamente consacrato alla memoria di un emi-nente personaggio pievese ( il poeta Roberto Roversi o altro Pievese? ).

Curiosità della prima guerra mondiale. L’Arciduca d’Asburgo-d’Este Francesco Ferdinando, assassinato a Sarajevo con la moglie, duchessa Sofia Chotek il 28 giugno 1914, era l’erede sia dell’Impero Asburgico, sia dell’antica famiglia dei Duchi Estensi di Ferrara, signori di Pieve e di Cento. Per assicurare la discen-denza nella linea maschile, nel 1875 la Casata degli Estensi si era legata a quella degli Asburgo: ancora oggi vivono due fratelli, Lorenz, legato alla monarchia belga e Martino, che risiede in Lomellina, dove pro-duce riso e mais.Le Case popolari, 1920-23, di Por-ta Asia, comunemente dette “al Cà Novi”, furono edificate in parte con mattoni, provenienti dai forni mili-

tari, costruiti nella villa Speranza, di proprietà della famiglia Lanzoni nei pressi del Ponte vecchio e dove pre-stava servizio militare il noto pittore Carlo Carrà.Il Commissariato generale dei consumi pubblicò sulla Gazzetta ufficiale del 6 aprile 1917 l’ordinan-za con la quale i fornai dovevano “imprimere su ciascuna forma di pane un contrassegno che identi-fichi il forno”; in un’altra, il pane del tramezzino non poteva supe-rare i 2 cm.Il 24 maggio 1918, “ricorrendo il terzo anniversario della nostra entra-ta in guerra” fu ordinato di esporre il tricolore in tutti gli edifici pubblici e di concedere un giorno di vacanza agli impiegati, perché potessero in-tervenire alle cerimonie celebrative.La “cuciniera dell’Ospedale civi-le” Elvira Campanini, di Luigi, produceva la pasta di sfoglia, spe-cialità pievese, con uova e farina bianca per i ricoverati all’Ospedale militare. Con ordinanza del Com-missariato generale dei Consumi, la farina bianca doveva essere di “tipo unico abburattata al 90%, cioè con il 10% di crusca; il 18 maggio 1917 si vietò di colorare la pasta all’uovo.Il D.L. 23 agosto 1917 n° 1345 or-dinava l’applicazione del divieto nei pubblici negozi di detenere calzatu-re che non portassero impressa nella parte esterna delle suole l’indicazio-ne del prezzo di vendita al consuma-tore e il nome della ditta produttrice, comprese le pantofole con suola e tacco. In mancanza di poterne sta-bilire la provenienza, doveva essere impressa quella del venditore.Nel 1925 il Comune di Pieve con-corse nel pagamento del debito verso l’America con l’acquisto di 100 dollari “nel culto degli eroi-ci caduti nella Grande Guerra e nel dopoguerra, per la grandezza della Patria e la difesa della Vit-toria”.

Note sul castello di Bargone. Il 18 giugno 1919 la R^ Soprintendenza ai monumenti dell’Emilia in Bolo-gna comunicava al sindaco di Pieve, Zeno Conti, che i fratelli Gaetano e

Guido Cavicchi erano i nuovi pro-prietari del castello di Bargone, nel Comune di Salsomaggiore. I fratelli Cavicchi erano importanti negozian-ti di bozzoli ed industriali della seta, con magazzini in via Borgo Mozzo, dove avevano ospitato, durante la Grande Guerra, il 2° Reparto della 65^ Sezione Panettieri che gestiva i Forni Weiss, fatti installare dalle Autorità militari nella Villa Speran-za di Lanzoni.I fratelli Cavicchi, di Giuseppe, detto Spàlètta e di Caterina Ga-dani, possedevano diverse case in Pieve ( via SS. Trinità, via G.B. Melloni, via Borgo Mozzo, ecc. e a Guardia Pieve terreni ( Bisana ), sul fondo nei pressi della Rotta Cremo-na allevavano tori ). Nella tassazio-ne per reddito del 1920 avevano un movimento d’affari superiore ai 2 milioni di lire.Cavicchi cav. Guido, Pieve 27 agosto 1855 – Bologna 19 gennaio 1936, , prima di trasferirsi a Bolo-gna, abitava a Pieve in via SS. Tri-nità n° 25, angolo via Rizzoli. Pos-sedeva “l’automobile ed un reddito industriale superiore a 30.000 lire annue”. Il 16 luglio 1921 il Sotto Prefetto di Cento gli comunicò che gli era stata concessa la nomina di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia: il diploma fu consegnato ufficialmente nel maggio 1922. Fu Consigliere provinciale, Giudice conciliatore, Commissario prefetti-zio, Revisore dei conti, sindaco di Pieve dal 1909 al 1915. Morì a Bo-logna, dove risiedeva in via Bartiera 6, lasciando eredi la moglie Pedini Clementina, fu Luigi, e i figli Re-nata, Maria, Giuseppe, “figlio natu-rale riconosciuto”. Sposò in seconde nozze Renata Ossani di Faenza.Cavicchi Gaetano, 1858-1942, pri-ma di entrare in società col fratello Guido, era stato Traghettatore del Dosso sul Reno. Abitava in via G.B. Melloni in casa di sua proprietà, tra-sferendosi poi in via Borgo Mozzo 2, dove i fratelli avevano il magaz-zino per la lavorazione dei bozzoli. Nel 1927 fu nominato Consigliere della Congregazione di Carità.cartolina archivio Cludi Gianluca

pag. 26 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

AROLDO NANNINI,AROLDO NANNINI, TIPOGRAFO E PROFESSORE DI FAGOTTOTIPOGRAFO E PROFESSORE DI FAGOTTO

Nel 1905 Aroldo inizia la sua attività di tipografo nella sua tipografia una delle più

antiche di Cento, nel cortile dell’avv. Cesare Benazzi in via Provenzali. Nel 1935 gli subentrano, come di-mostra il documento, almeno fino al 1942, la moglie Margherita, poi il figlio Antonio , 17 gennaio 1914/ 16

maggio 1987, che si trasferisce in via Roma n° 9/A, vicino al monumento dei caduti. Con la morte del padre, la titolarità dell’azienda passa alla figlia Maria Luisa, che nel 1996 trasloca in viale Falzoni Gallerani 2. Fra i tanti lavori. eseguiti per molti anni, ricorda le locandine del “Borgatti”.Qui fino ai primi del Novecento fun-zionavano una delle “ghiacciaie” di Cento, una sorta di “frigorifero” della Comunità; una fabbrica del ghiaccio, acquistata nel 1929 da Aldo Mar-velli, poi sindaco di Cento, eletto nel 1959, che la gestisce fino alla morte, 1962. Gli subentra il fi-glio Pietro, ma-rito di Adriana Nannini, sorella di Antonio, de-ceduto nel 1965. Infine, la ditta di “Taglia e cuci Alexa”, attiva fi-no al 1996. Tra le sue mac-chine si ricorda-

no un torchio 70x100 Hopkinson’s Albion Press, una Heidelberg Platina, una Heidelberg Cilindro, una Nebiolo Cilindro, una Pedalina. In tipografia lavoravano 3-4 dipen-denti, tra i quali Maria Luisa ricorda con molto affetto Emo Balboni, di Renazzo che vi rimane dal 1946 al 1991 e che rappresenta per Lei un punto di riferimento, dopo la morte del padre. Emo morì il 2 settembre 2014, la-sciandoLe un grande vuoto.

Giuseppe Sitta

La ‘Coccinella gialla’, spegne La ‘Coccinella gialla’, spegne dieci candelinedieci candeline

La missione è dare un futuro alle persone disabiliLa missione è dare un futuro alle persone disabili

Il centro socio-riabilitativo ‘Coccinella Gialla’ ha spento, nell’ottobre di quest’anno, dieci

candeline. Era il 21 ottobre 2006, quando ventitrè genitori realizzaro-no il sogno di creare una struttura che desse l’opportunità a persone con disabilità di avere un futuro. Il centro in via dei Tigli, gestito dalla sezione Anffas centese (Associa-zione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o rela-zionale) è, oggi, un punto di riferi-mento per un’ottantina di persone, tra ospiti interni ed esterni, dove sono seguiti da operatori qualificati, hanno la possibilità di socializzare e di svolgere diverse attività. Negli spazi della ‘Coccinella Gialla’, di-retta da Michele Bronzino, vengono organizzati corsi di cucina, pittura, musica, teatro e, al sabato, di ballo. Un orgoglio per Giordana Govoni, presidente della sezione centese di Anffas e una dei fondatori del cen-tro che ricorda gli importanti pas-si in avanti che sono stati fatti in questi anni per riconoscere diritti e doveri delle persone con disabilità. “Anffas – ricorda Govoni -, che ha 186 associazioni in tutta Italia, ha partecipato alla stesura della legge ‘Dopo di noi’ con Roberto Speziale, presidente nazionale dell’associa-zione. Perché l’obiettivo è pensa-re al futuro”. Un futuro che vedrà

gli ospiti della ‘Coccinella Gialla’ sempre più protagonisti della vi-ta sociale cittadina. Ed è per que-sto che ha preso parte al convegno sull’autonomia ‘Io cittadino’ che ha il fine di realizzare una piattaforma nazionale di autorappresentanti per dare l’opportunità alle persone con disabilità di affermare i propri diritti e doveri. Tra gli otto gruppi sele-zionati a livello italiano è entrata anche ‘Coccinella Gialla’, che avrà come presidente Chiara Fipertani e la sua vice Giorgia Balboni. E, per questo, una rappresentanza del centro è stata ricevuta dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Positiva – prosegue la presidente di Anffas Cento – è anche la de-libera di Giunta dell’amministra-zione centese che ci consentirà di presenziare al Consiglio comunale di Cento e segnerà l’avvio di un percorso di promozione di un coin-volgimento attivo delle persone con disabilità, in particolare intellettive e del neuro sviluppo, nelle questio-ni che li riguardano e di ascoltare le loro opinioni e tenerle in consi-derazione nei processi decisionali, valorizzando la loro partecipazione alla vita politica centese su temi che li riguardano da vicino”. I dieci anni di vita del centro sono stati festeg-giati, anche, con l’avvio di un altro progetto. Il 25 ottobre, alla presenza

dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, del sindaco di Cento Fabrizio Toselli e della presidente della Fondazione CariCento Cristia-na Fantozzi, è stata posata la prima pietra di una nuova struttura che andrà ad ampliare il centro e potrà ospitare sei persone con disabilità lieve: “Importante – ringrazia Gior-dana Govoni – è stato il contributo della Fondazione CariCento che ha messo a disposizione 70mila euro: 35mila per il 2016 e 35mila per il 2017, per permetterci la realizzazio-ne di questi nuovi spazi che saranno finanziati anche con i proventi del 5 x 1.000 del 2015 e del 2016 e con le tante donazioni che generosamente sono arrivate dalle associazioni, dal mondo dell’industria e dai cittadini che hanno dimostrato il loro attac-camento alla ‘Coccinella Gialla’. Contiamo di poter inaugurare entro la fine del 2018”. E c’è anche un altro sogno nel cassetto e l’auspicio e che ci rimanga per il minor tempo possibile. Assieme all’associazione ‘Oltre-tutto’, si sta lavorando alla realizzazione di una sala tè, che sarà gestita da ospiti del centro, ovvia-mente supportate, per dare loro mo-do di sentirsi valorizzate, di lavorare in uno spazio di socialità, dove sarà possibile dare vita a letture e mu-sica.

Valerio Franzoni

Nelle foto: la posa della prima pietra dei nuovi spazi residenziali in via dei Tigli a Cento

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 27

La Compagnia “Il Governatore delle Antiche Terre del Gam-bero” di Cento, si è costituita

dieci anni fa divulgando sul territorio locale e nazionale, la rievocazione di eventi storici risalenti al XVI secolo, che hanno per tema precipuo dan-ze rinascimentali, sfilate storiche e teatro di strada rifacentesi principal-mente alla Corte Estense.Questo tipo di rappresentazioni vie-ne effettuato soprattutto nel periodo carnevalesco, con animazione nella Rocca di Cento.Altre manifestazioni a cui la compa-gnia ha partecipato, con entusiasmo e professionalità, sono state effettua-te a Ferrara in occasione del Palio, con rievocazione storica, a Bondeno sul periodo Matildeo e a Borgo Fran-co in provincia di Mantova. Sempre riguardanti quel periodo e con parti-

colare attenzione la danza e il teatro di strada, la compagnia si è esibita anche a Sarteano e Castelvetro.Questo sodalizio è composto da una cinquantina di elementi, che vanno a rappresentare i più svariati personag-gi: dai nobili ai volti famosi passati alla storia, le cortigiane, i cavalieri e di recente anche un gruppo di ar-migeri.Animati da grande passione ed en-tusiasmo, tutti gli appartenenti alla compagnia esibiscono il loro talento, sotto la guida capace e attenta della presidente Franca Carpeggiani che unisce e fila l’ordito per dar vita a una trama che ricordi, con lustro e filologica pregnanza, le nostre tradi-zioni più preziose ed antiche.

Per chi volesse avvicinarsi alla nostra Compagnia il numero di telefono al quale rivolgersi è il se-guente: 3466875739.

La Compagnia “Il Governatore delle antiche Terre del Gambero”

Presentazione della Compagnia Presentazione della Compagnia “IL GOVERNATORE DELLE ANTICHE “IL GOVERNATORE DELLE ANTICHE

TERRE DEL GAMBERO”TERRE DEL GAMBERO”

La liturgia ha avuto inizio alle ore 16,30 con l’ado-razione del Santissimo

Sacramento seguita alle ore 17,30 dal Santo Rosario ed infi -

ne alle ore 18 con la Santa Mes-sa solenne celebrata dal Parroco di S. Biagio e di S. Pietro Mons. Stefano Guizzardi alla presenza di tantissimi fedeli.

Giovedì 16 giugno 2016 Giovedì 16 giugno 2016 Chiesa di Santa Maria Maddalena Chiesa di Santa Maria Maddalena

esposte le reliquie di S. Pio esposte le reliquie di S. Pio

pag. 28 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

Nel mese di luglio la Fondazione dio-cesana Ritiro San Pellegrino, ente gestore dei Licei Malpighi di Bolo-

gna, ne ha rilevato la direzione. Tale cambia-mento è avvenuto per iniziativa di S.E. Mons. Zuppi che all’inizio dell’estate ha proposto a Don Gabriele Porcarelli, presidente della Fondazione Ritiro San Pellegrino, di pren-dere la guida delle Scuole di Cento, poiché le Maestre Pie dell’Addolorata, che reggevano la scuola dell’infanzia dal 1886 e che aveva-no dato vita nel 2008 alle scuole elementari e nel 2011 alle scuole medie, non erano più in grado di garantirne la conduzione, nonostan-te i buoni frutti (nel corso di appena 8 anni le Scuole Renzi sono consistentemente cre-sciute diventando un polo didattico con circa 300 alunni, suddivisi nei tre ordini di scuo-la). Ne è diventata Preside la dott.ssa Elena Ugolini, che svolge lo stesso incarico presso il Liceo Malpighi ed è anche Consigliere del Ministro Giannini. Dall’estate, dunque, questo polo scolastico si è aperto ad un contesto più ampio, entrando all’interno della rete delle scuole Malpighi, che hanno sedi a Bologna e a Castel San Pie-tro Terme. Questa collaborazione si è poi allargata an-che alle Scuole dell’infanzia e primaria del Pellicano di Bologna, poiché sono state or-ganizzate attività di formazione e aggiorna-mento in rete tra le diverse scuole. La scuola dell’infanzia ha benefi ciato di questo cambiamento rinnovandosi nell’or-ganizzazione degli spazi e introducendo un progetto pilota che va nella direzione della educazione bilingue (grazie alla collabora-

zione con il Collegio San Carlo di Milano e alla presenza della lettrice madrelingua inglese Claire ogni giorno, in ogni sezione, durante le attività didattico-educative).La scuola primaria ha confermato le proprie peculiarità, che la distinguono dalle altre scuole del territorio: insegnante prevalente che si occupa delle materie base, quali ita-liano, storia, geografi a, matematica, scienze, arte e religione; insegnanti specialisti per le materie di inglese e inglese madrelingua, musica, informatica ed educazione motoria. La scuola media si sta arricchendo con un laboratorio di scienze e con un’aula poliva-lente per le lezioni di arte e tecnologia. Il potenziamento dello studio della lingua inglese, da sempre punto di forza della scuo-la, è stato ulteriormente rafforzato mettendo un’ora settimanale in compresenza con la lettrice madrelingua e inserendo la prepara-zione alle certifi cazioni linguistiche all’ in-terno delle cinque ore curriculari. Diffi cile raccontare in poche righe quel che è accaduto in questi pochi mesi, anche grazie alla presenza della dott.ssa Clara Dell’Oma-rino, presidente della Fondazione Berti e della prof.ssa Gloria Succi, vicepreside della scuola, che hanno aiutato tutti gli insegnanti a cambiare e crescere senza perdere la ric-chezza dell’esperienza precedente.Per conoscere meglio le Scuole Malpighi Renzi, si potrà visitare la scuola dell’infanzia (via Gennari 70) sabato 11 febbraio dalle 10 alle 12, mentre il giorno 28 gennaio dalle ore 10 alle ore 12 sarà aperta la scuola primaria (via Gennari 68) e dalle ore 15 alle ore 17 la scuola media (via Bassi 45).

È sempre possibile visitare la scuola fi ssando un appuntamento all’indirizzo [email protected] o telefonan-

do al nr. 0516831390. Per altre informazioni è inoltre possibile consultare il sito www.scuolemalpighirenzi.it.

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pag. 30 NATALE 2016 Famiglia Centese n.100

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RIUNIONE DI FAMIGLIA A RENAZZO

Una giornata emozionante per Marsha e Dennis Caron, Andrew, Donna e Mike Buttieri, nipoti di Cesare Buttieri e Generosa Trocchi, emigrati a fi ne 1800 negli Stati Uniti, che sono venuti a Renazzo a conoscere i loro cugini italiani. Dopo aver consultato alcuni documenti presso la Parrocchia di S. Sebastiano, con l’aiu-to di Don Ivo Cevenini, i parenti americani e renazzesi hanno pranzato insieme. Il ricordo di questo incontro resterà a lungo nel cuore di tutti. Luca Balboni

Memorie di famiglia

I BALBONI AL FRONTERicordo del nonno Quinto a 100 anni dalla nascita

Tra le pagine del quotidiano “Il Corriere Pada-no”, negli anni della Seconda Guerra Mondiale, si elogiarono diverse famiglie ferraresi e della provincia che avevano i propri figli impegnati con l’Esercito Italiano al fronte. Il 12 giugno 1943 il giornale dedicò un trafiletto alla famiglia di Angelo Balboni, con i figli Primo (nato 1907), Secondo (1909), Terzo, detto Aldo (1912), Quinto (1916) e Ottavio (1922) chiamati alle armi. Sul numero di allora furono pubblicate le fotografie dei cinque fratelli, tutti tornati al termine del con-flitto.

Luca Balboni

Dopo la gita ad Asiago con la “Fame’ Zen-teisa”, ho preso slancio ed il 25 Settembre 2016, con partenza da Cento, sono stato al SANTUARIO DI SAN LUCA a Bologna, in bicicletta.Non ho trovato nessun coetaneo che condivi-desse la mia iniziativa, percio’ sono partito da solo alle ore 6:15.Arrivato a Bologna, sono salito a San Luca sulla strada a fi anco dei portici.Santa Messa delle 9:30.Sono sceso per la via di Casaglia, poi, giardini Margherita Montagnola e visita alla tomba

del Guercino nella chiesa di SAN SALVA-TORE.Indi ritorno a Cento, felice e contento, alle ore 18:00.

Un saluto a tutti

dal socio

MALUCELLI ALFONSO

alias DARIO

Famiglia Centese n.100 NATALE 2016 pag. 31

In questi ultimi mesi diverse persone care ci hanno In questi ultimi mesi diverse persone care ci hanno lasciato, le ricordiamo:lasciato, le ricordiamo:

Agar Lodived.

Cavana

7.10.193214.10.2016

Sei stata una

Mamma per

tutti Noi.

VittorinaMarchesini

ved. Gambetta

21.03.19275.11.2016

Cara amica di nostra madre e delle sue so-relle con affet-to Giuseppe e Stefano Sitta.

Teresa Cariani

ved. Alberti

7,2,193021.10.2016

sempre presente alle

iniziative della Famè Zenteisa

LucianoGilli

27,7,192826,9,2016

Per molti anni socio fedele della Famè

Zenteisa

Sentite condoglianze alla famiglia

Don Dante Baldazzi, indimenticatoparroco di Penzale dal 1953 al 1970

9 ottobre 2016

Di nuovo insieme in Cielo

Olindo Accorsideceduto il 5.7.2013

Edda Martellideceduta il 27.5.2016

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I coniugi Gallerani Vincenzo e Vancini Elsa hanno festeggiato il loro splendido anniversario.

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