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Numero unico – 2017

Il lavoro nellepubbliche amministrazioni

RIVISTA DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

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Direttori:Franco Carinci, Sandro Mainardi.

Direttore Responsabile:Franco Carinci.

Vice direttori:Alessandro Boscati, Gaetano D’Auria, Valerio Talamo.

Comitato di direzione: Alessandro Bellavista, Marina Brollo, Bruno Caruso, Alfredo Corpaci, Gianfranco D’Alessio, Alessandro Garilli, Gabriella Nico-sia, Paolo Pascucci, Maurizio Ricci, Riccardo Salomone, Lorenzo Zoppoli.

Comitato scientifico:Piergiovanni Alleva, José Antonio Fernández Avilés, Emilio Balletti, France-sco Basenghi, Franco Bassanini, Lorenzo Bordogna, Domenico Borghesi, Marco Cammelli, Bruno Caruso, Sabino Cassese, Carlo Cester, Marcello Clarich, Luigi De Angelis, Carlo Dell’Aringa, Raffaele De Luca Tamajo, Bru-no Dente, Madia D’Onghia, Marco Esposito, Valeria Filì, Giuseppe Ferra-ro, Luigi Fiorillo, Domenico Garofalo, Sergio Gasparrini, Edoardo Ghera, Vito Leccese, Francesco Liso, Fiorella Lunardon, Arturo Maresca, Luigi Ma-riucci, Pierluigi Mastrogiuseppe, Oronzo Mazzotta, Michele Miscione, Lui-gi Montuschi, José Luis Monereo Pérez, Alessandro Pajno, Filippo Patroni Griffi, Mattia Persiani,Vito Pinto, Alberto Pizzoferrato, Fabio Alberto Rover-si Monaco, Gianfranco Rucco, Renato Ruffini, Mario Rusciano, Pasquale Sandulli, Silvana Sciarra, Alberto Tampieri, Vito Tenore, Adriana Topo, Lui-sa Torchia, Paolo Tosi, Tiziano Treu, Patrizia Tullini, Luciano Vandelli, Rober-to Voza, Gaetano Zilio Grandi, Carlo Zoli.

Comitato di Redazione:Marco Biasi, Davide Casale, Emanuele Menegatti, Pasquale Monda, Anna Montanari, Mauro Montini, Monica Navilli, Alessandro Riccobono, Ester Villa, Anna Zilli.

Valutazione:Tutti i contributi destinati alla pubblicazione nella Rivista, sia su iniziativa degli autori, sia in quanto richiesti dalla Direzione della Rivista, sono sotto-posti a una procedura di valutazione scientifica. Il contributo è avviato ai valutatori senza notizia dell’identità dell’autore. L’identità dei valutatori è coperta da anonimato.

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G. Giappichelli Editore

Rivista diretta daFranco Carinci e Sandro Mainardi

Direttore responsabile

Franco Carinci

Numero unico – 2017

Il lavoro nellepubbliche amministrazioni

RIVISTA DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

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IL LAVORO NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONITrimestrale digitale - Iscrizione al R.O.C. n. 25223

G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO

VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it

ISSN 2499-2089

Pubblicato on-line nel mese di marzo 2018presso la G. Giappichelli Editore – Torino

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Indice V

INDICE

pag.

Sezione Prima: Dottrina

La quarta riforma del lavoro nelle pubbliche amministrazioni (parte prima)

MAURIZIO RICCI E FRANCESCO DI NOIA, Relazioni sindacali e contrattazione collettiva nel settore pubblico dopo la Riforma Madia e i rinnovi contrattuali 1

LORENZO ZOPPOLI, La stagione delle riforme: pubblico e privato a confronto 25

ALESSANDRO BELLAVISTA, Gli infiniti tormenti del lavoro pubblico 39

ALESSANDRO BOSCATI, La riforma mancata: il ruolo della dirigenza pubblica nei nuovi assetti 46

ALESSANDRO GARILLI, Misure di contrasto al precariato e stabilizzazioni del personale 84

GIANFRANCO D’ALESSIO, La legislazione anticorruzione: l’impatto sui rappor-ti di lavoro pubblico 99

MARINA BROLLO, Il lavoro agile nell’era digitale tra lavoro privato e pubblico 119

L’attualità

VALENTINA PASQUARELLA, Gli strumenti di inclusione sociale di disabili e svantaggiati: dagli affidamenti “preferenziali” tramite convenzioni agli ap-palti “riservati” 129 

ENRICO CARLONI,  I codici di comportamento “oltre” la responsabilità disci-plinare 158

 

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VI Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Sezione Seconda: Giurisprudenza

MONICA NAVILLI, Graduatorie ad esaurimento, diploma magistrale e acclara-ta insufficienza del titolo: i maestri diventeranno di ruolo? (nota a Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11) 187

GIOVANNI ZAMPINI, L’equivalenza delle mansioni nel pubblico impiego prima e dopo la “Riforma Brunetta” (nota a Cassazione, sez. lav., 26 gennaio 2017, n. 2011) 221

CHIARA TINCANI, Trasferimento dell’aeromobile e trasferimento di azienda in una complessa decisione sulla sorte del personale di volo. (nota a sentenza Trib. Civitavecchia, 11 gennaio 2018) 232

Rassegna di giurisprudenza

Lavoro nelle p.a. e giurisprudenza della Corte di cassazione (gennaio-dicembre 2017) 247

Sezione Terza: Rubriche

1. Segnalazioni bibliografiche e letture 263

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Indice analitico della giurisprudenza VII

INDICE ANALITICO DELLA GIURISPRUDENZA

ASSUNZIONE E NOMINA Impiegato dello Stato e pubblico – Lavoratori socialmente utili – Assunzioni in ap-

plicazione di graduatoria – Controversie – Giurisdizione – Fattispecie (Corte di Cassa-zione, S.U., 17 febbraio 2017, n. 4229).

Impiegato dello Stato e pubblico – Processi di stabilizzazione – Necessario rispetto disponibilità finanziarie – Deroga procedure di reclutamento – È configurabile – Condi-zioni – Possesso titolo di studio – Svolgimento procedure selettive – Giurisdizione am-ministrativa (Corte di Cassazione, S.U., 2 agosto 2017, n. 19166).

Impiegato dello Stato e pubblico – Società «in house» – Reclutamento di dipendenti – Controversie – Giurisdizione ordinaria (Corte di Cassazione, S.U., 27 marzo 2017, n. 7759).

Impiegato dello Stato e pubblico – Vincitore concorso pubblico – «Ius superve-niens» – Diritto all’assunzione – Non sussiste (Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 15 dicembre 2017, n. 30238). CONCORSI

Impiegato dello Stato e pubblico – Processi di stabilizzazione – Necessario rispetto disponibilità finanziarie – Deroga procedure di reclutamento – È configurabile – Condi-zioni – Possesso titolo di studio – Svolgimento procedure selettive – Giurisdizione am-ministrativa (Corte di Cassazione, S.U., 2 agosto 2017, n. 19166).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Superamen-to concorso – Annullamento graduatoria dopo la relativa approvazione – Esercizio pote-re autotutela – Non sussiste – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione ordinaria – Sussi-ste (Corte di Cassazione, S.U., 16 novembre 2017, n. 27197).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedure concorsuali – Scorrimento di graduatoria – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione or-dinaria – Sussiste – Impugnazione provvedimento che dispone di non coprire più il po-sto vacante – Giurisdizione amministrativa – Sussiste (Corte di Cassazione, S.U., 20 ot-tobre 2017, n. 24878).

Impiegato dello Stato e pubblico – Vincitore concorso pubblico – «Ius superve-niens» – Diritto all’assunzione – Non sussiste (Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 15 dicembre 2017, n. 30238).

Pubblico impiego – Scuola – Personale docente – Art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 – Graduatorie ad esaurimento – Requisiti – Diploma magistrale – Suffi-cienza – Non sussiste (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con com-mento di M. Navilli).

Pubblico impiego – Scuola – Provvedimento amministrativo – Controversie – Impu-gnazione – Termine – Decorrenza – Piena conoscenza dell’atto e degli effetti lesivi –

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VIII Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Correttezza – Sopravvenuto annullamento giurisdizionale di atto amministrativo – Dif-ferimento dies a quo decorrenza del termine decadenziale – Esclusione (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con commento di M. Navilli).

COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE

Impiegato dello Stato e pubblico – Contratto di collaborazione continuativa con ente pubblico – Conversione del rapporto – Esclusione – Tutela risarcitoria (Corte di Cassa-zione, sez. lav., 8 febbraio 2017, n. 3384). CONTRATTI A TERMINE

Istruzione pubblica – Personale scolastico – Supplenze – Reiterazione di contratti a termine – Legittimità – Limiti (Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9402).

Istruzione pubblica – Personale scolastico – Supplenze – Reiterazione di contratti a termine – Legittimità – Limiti (Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 6 aprile 2017, n. 8935).

CONTRATTI COLLETTIVI

Impiegato degli enti locali – Inquadramento – Contratto collettivo – Interpretazione – Criteri – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 10 gennaio 2017, n. 293).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Classifica-zione e progressione del personale – Contrattazione collettiva integrativa – Limiti – Fat-tispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 213). DIRIGENZA

Impiegato dello Stato e pubblico – Dirigente – Mancato raggiungimento degli obiet-tivi – Illegittimità del procedimento di valutazione – Risarcimento – Perdita di chance – Configurabilità – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9392).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Riforma della dirigenza – Valutazioni delle funzioni dirigenziali – Disciplina applicabile (Corte di Cassazione, sez. lav., 23 maggio 2017, n. 12898).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Riorganiz-zazione aziendale – Svuotamento delle mansioni dirigenziali – Diritto al ripristino (Cor-te di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 217).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Dirigente sanitario – Incarico di componente delle commissioni invalidi civili – Compenso ag-giuntivo – Esclusione (Corte di Cassazione, 30 marzo 2017, n. 8261).

Impiegato dello Stato e pubblico – Responsabilità dirigenziale – Responsabilità di-sciplinare – Qualificazione dell’addebito (Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1753).

Impiegato dello Stato e pubblico – Ufficio di livello dirigenziale generale – Espressa qualificazione normativa – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 26 aprile 2017, n. 10320).

Regione – Calabria – Pubblico impiego – Dirigente generale di dipartimento – «Spoils

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Indice analitico della giurisprudenza IX

system» – Operatività – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2510). ECCEDENZE DI PERSONALE

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Eccedenze di personale – Esuberi inferiori a dieci unità – Obbligo di ricollocamento – Patto di de-classamento – Legittimità (Corte di Cassazione, sez. lav., 6 marzo 2017, n. 5543).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Eccedenze di personale – Esuberi inferiori a dieci unità – Consultazione sindacale – Esclusione – Criteri di selezione – Obblighi della pubblica amministrazione (Corte di Cassazione, sez. lav., 13 febbraio 2017, n. 3738).

ESTINZIONE DEL RAPPORTO

Impiegato dello Stato e pubblico – Applicabilità modifiche ex legge n. 92 del 2012 al pubblico impiego privatizzato – Esclusione – Perdurante vigenza disciplina art. 18, legge n. 300 del 1970 ante riforma (Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25376).

Impiegato dello Stato e pubblico – Procedimento disciplinare – Licenziamento – Organo incompetente – Illegittimità (Corte di Cassazione, sez. lav., 21 marzo 2017, n. 7177). FORMAZIONE PROFESSIONALE

Impiegato dello Stato e pubblico – Mobilità volontaria – Formazione professionale – Pubblica amministrazione di destinazione – Onere (Corte di Cassazione, sez. lav., 2 gennaio 2017, n. 2). FUNZIONI VICARIE

Amministrazione dello Stato – Funzioni vicarie del soggetto preposto all’ente – Po-teri del sostituto – Mancata indicazione – Presunzione di legittimo esercizio – Conse-guenze (Corte di Cassazione, sez. III, 12 maggio 2017, n. 11776). GIURISDIZIONE

Impiegato dello Stato e pubblico – Lavoratori socialmente utili – Assunzioni in ap-plicazione di graduatoria – Controversie – Giurisdizione – Fattispecie (Corte di Cassa-zione, S.U., 17 febbraio 2017, n. 4229).

Impiegato dello Stato e pubblico – Processi di stabilizzazione – Necessario rispetto disponibilità finanziarie – Deroga procedure di reclutamento – È configurabile – Condi-zioni – Possesso titolo di studio – Svolgimento procedure selettive – Giurisdizione am-ministrativa (Corte di Cassazione, S.U., 2 agosto 2017, n. 19166).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Superamen-to concorso – Annullamento graduatoria dopo la relativa approvazione – Esercizio pote-re autotutela – Non sussiste – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione ordinaria – Sussi-ste (Corte di Cassazione, S.U., 16 novembre 2017, n. 27197).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedure

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X Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

concorsuali – Scorrimento di graduatoria – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione or-dinaria – Sussiste – Impugnazione provvedimento che dispone di non coprire più il po-sto vacante – Giurisdizione amministrativa – Sussiste (Corte di Cassazione, S.U., 20 ot-tobre 2017, n. 24878).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Controver-sie di lavoro – Riparto di giurisdizione – Inadempimento unitario – Discrimine tempora-le – Rilevanza – Esclusione (Corte di Cassazione, S.U., 22 marzo 2017, n. 7305).

Impiegato dello Stato e pubblico – Società «in house» – Reclutamento di dipendenti – Controversie – Giurisdizione ordinaria (Corte di Cassazione, S.U., 27 marzo 2017, n. 7759).

Pubblico impiego – Scuola – Personale docente – Art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 – Graduatorie ad esaurimento – Requisiti – Diploma magistrale – Suffi-cienza – Non sussiste (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con com-mento di M. Navilli).

Pubblico impiego – Scuola – Provvedimento amministrativo – Controversie – Impu-gnazione – Termine – Decorrenza – Piena conoscenza dell’atto e degli effetti lesivi – Correttezza – Sopravvenuto annullamento giurisdizionale di atto amministrativo – Dif-ferimento dies a quo decorrenza del termine decadenziale – Esclusione (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con commento di M. Navilli). GRADUATORIE

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Superamen-to concorso – Annullamento graduatoria dopo la relativa approvazione – Esercizio pote-re autotutela – Non sussiste – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione ordinaria – Sussi-ste (Corte di Cassazione, S.U., 16 novembre 2017, n. 27197).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedure concorsuali – Scorrimento di graduatoria – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione or-dinaria – Sussiste – Impugnazione provvedimento che dispone di non coprire più il po-sto vacante – Giurisdizione amministrativa – Sussiste (Corte di Cassazione, S.U., 20 ot-tobre 2017, n. 24878).

Pubblico impiego – Scuola – Personale docente – Art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 – Graduatorie ad esaurimento – Requisiti – Diploma magistrale – Suffi-cienza – Non sussiste (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con com-mento di M. Navilli).

Pubblico impiego – Scuola – Provvedimento amministrativo – Controversie – Impu-gnazione – Termine – Decorrenza – Piena conoscenza dell’atto e degli effetti lesivi – Correttezza – Sopravvenuto annullamento giurisdizionale di atto amministrativo – Dif-ferimento dies a quo decorrenza del termine decadenziale – Esclusione (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con commento di M. Navilli). INCARICHI E FUNZIONI DIRIGENZIALI

Impiegato dello Stato e pubblico – Dirigente – Mancato raggiungimento degli obiet-tivi – Illegittimità del procedimento di valutazione – Risarcimento – Perdita di chance – Configurabilità – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9392).

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Indice analitico della giurisprudenza XI

Impiegato dello Stato e pubblico – Impiego pubblico contrattualizzato – Incarico di-rigenziale – Conferimento – Soggetto esterno alla pubblica amministrazione – Condi-zioni – Motivazione del provvedimento (Corte di Cassazione, sez. lav., 22 febbraio 2017, n. 4621).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Riforma della dirigenza – Valutazioni delle funzioni dirigenziali – Disciplina applicabile (Corte di Cassazione, sez. lav., 23 maggio 2017, n. 12898).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Funzioni di-rigenziali – Incarico temporaneo – Retribuzione (Corte di Cassazione, sez. lav., 19 apri-le 2017, n. 9878).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Riorganiz-zazione aziendale – Svuotamento delle mansioni dirigenziali – Diritto al ripristino (Cor-te di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 217).

Impiegato dello Stato e pubblico – Ufficio di livello dirigenziale generale – Espressa qualificazione normativa – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 26 aprile 2017, n. 10320). INQUADRAMENTO, QUALIFICHE E MANSIONI

Impiegato degli enti locali – Inquadramento – Contratto collettivo – Interpretazione – Criteri – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 10 gennaio 2017, n. 293).

Impiegato dello Stato e pubblico – «Ius variandi» – Adibizione a mansioni equiva-lenti – Legittimità – Condizioni (Corte di Cassazione, sez. lav., 27 gennaio 2017, n. 2140).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Eccedenze di personale – Esuberi inferiori a dieci unità – Obbligo di ricollocamento – Patto di de-classamento – Legittimità (Corte di Cassazione, sez. lav., 6 marzo 2017, n. 5543).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Classifica-zione e progressione del personale – Contrattazione collettiva integrativa – Limiti – Fat-tispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 213).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere – «Ius variandi» – Adibizione a mansioni equivalenti – Legittimità – Condizioni (Corte di cassazione, sez. lav., 26 gennaio 2017, n. 2011, con commento di G. Zampini). IUS VARIANDI

Impiegato dello Stato e pubblico – «Ius variandi» – Adibizione a mansioni equiva-lenti – Legittimità – Condizioni (Corte di Cassazione, sez. lav., 27 gennaio 2017, n. 2140).

Impiegato dello Stato e pubblico in genere – «Ius variandi» – Adibizione a mansioni equivalenti – Legittimità – Condizioni (Corte di cassazione, sez. lav., 26 gennaio 2017, n. 2011, con commento di G. Zampini). LAVORI SOCIALMENTE UTILI

Impiegato dello Stato e pubblico – Lavoratori socialmente utili – Assunzioni in ap-

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XII Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

plicazione di graduatoria – Controversie – Giurisdizione – Fattispecie (Corte di Cassa-zione, S.U., 17 febbraio 2017, n. 4229). LICENZIAMENTI

Impiegato dello Stato e pubblico – Applicabilità modifiche ex legge n. 92 del 2012 al pubblico impiego privatizzato – Esclusione – Perdurante vigenza disciplina art. 18, legge n. 300 del 1970 ante riforma (Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25376).

Impiegato dello Stato e pubblico – Procedimento disciplinare – Licenziamento – Organo incompetente – Illegittimità (Corte di Cassazione, sez. lav., 21 marzo 2017, n. 7177).

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Impiegato dello Stato e pubblico – Denuncia di comportamenti illeciti della pubblica amministrazione – Infondatezza – Licenziamento disciplinare (Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1752).

Impiegato dello Stato e pubblico – Licenziamento disciplinare – Atti del procedi-mento penale – Utilizzo in sede di impugnativa – Valutazione – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 1° marzo 2017, n. 5284). MOBILITÀ

Impiegato dello Stato e pubblico – Impiego pubblico privatizzato – Avviso di mobi-lità – Impugnazione – Giurisdizione amministrativa – Fattispecie (Corte di Cassazione, S.U., 12 maggio 2017, n. 11800).

Impiegato dello Stato e pubblico – Mobilità volontaria – Formazione professionale – Pubblica amministrazione di destinazione – Onere (Corte di Cassazione, sez. lav., 2 gennaio 2017, n. 2).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Copertura di posti vacanti – Mobilità intercompartimentale – Obbligo dell’amministrazione proce-dente (Corte di Cassazione, sez. lav., 18 maggio 2017, n. 12559).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Passaggio di personale tra amministrazioni diverse – Disciplina ex art. 2112 c.c. – Applicabilità – Presupposti – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 6 giugno 2017, n. 13994). ORARIO DI LAVORO

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Lavoro straordinario – Compensi – Previa autorizzazione dell’amministrazione – Necessità (Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2509).

PASSAGGIO DI PERSONALE

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Passaggio di personale tra amministrazioni diverse – Disciplina ex art. 2112 c.c. – Applicabilità – Presupposti – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 6 giugno 2017, n. 13994).

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Indice analitico della giurisprudenza XIII

PERSONALE ATA Istruzione pubblica – Conferimento di supplenze a personale Ata – Nullità – Atto di

revoca – Natura (Corte di Cassazione, sez. lav., 31 maggio 2017, n. 13800). PERSONALE DI VOLO

Impiego privato – Personale di volo – Accordo sindacale – Obbligo di assunzione non trasferibile a un singolo lavoratore – Irrilevanza (Tribunale di Civitavecchia, sen-tenza 11 gennaio 2018, con nota di C. Tincani).

Impiego privato - Personale di volo - Amministrazione straordinaria di una grande impresa in stato di insolvenza - Natura liquidatoria - Trasferimento di azienda a terzi ₋ Trasferimento di azienda – Inconfigurabilità - Compatibilità con l’ordinamento comuni-tario (Tribunale di Civitavecchia, sentenza 11 gennaio 2018, con nota di C. Tincani).

Impiego privato - Personale di volo ₋ Art. 917 cod. nav. - Espletamento dell’attività su più velivoli –Inapplicabilità (Tribunale di Civitavecchia, sentenza 11 gennaio 2018, con nota di C. Tincani). POSIZIONI ORGANIZZATIVE

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Conferi-mento di posizioni organizzative – Criteri di valutazione (Corte di Cassazione, sez. lav., 27 gennaio 2017, n. 2141). POTERE DISCIPLINARE

Impiegato dello Stato e pubblico – Licenziamento disciplinare – Atti del procedi-mento penale – Utilizzo in sede di impugnativa – Valutazione – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 1° marzo 2017, n. 5284).

Impiegato dello Stato e pubblico – Procedimento disciplinare – Licenziamento – Organo incompetente – Illegittimità (Corte di Cassazione, sez. lav., 21 marzo 2017, n. 7177).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedi-mento disciplinare – Norme imperative – Composizione UPD – Discrezionalità P.A. – Sussiste (Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25379).

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Impiegato dello Stato e pubblico – Procedimento disciplinare – Licenziamento – Organo incompetente – Illegittimità (Corte di Cassazione, sez. lav., 21 marzo 2017, n. 7177).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedi-mento disciplinare – Norme imperative – Composizione UPD – Discrezionalità P.A. – Sussiste (Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25379).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedi-mento disciplinare – «Ius superveniens» – Decorrenza – Fattispecie (Corte di Cassazio-ne, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 209).

Impiegato dello Stato e pubblico – Sentenza penale di patteggiamento – Procedi-

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XIV Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

mento disciplinare – Termine – Decorrenza (Corte di Cassazione, sez. lav., 2 marzo 2017, n. 5313). RECLUTAMENTO

Impiegato dello Stato e pubblico – Lavoratori socialmente utili – Assunzioni in ap-plicazione di graduatoria – Controversie – Giurisdizione – Fattispecie (Corte di Cassa-zione, S.U., 17 febbraio 2017, n. 4229).

Impiegato dello Stato e pubblico – Processi di stabilizzazione – Necessario rispetto disponibilità finanziarie – Deroga procedure di reclutamento – È configurabile – Condi-zioni – Possesso titolo di studio – Svolgimento procedure selettive – Giurisdizione am-ministrativa (Corte di Cassazione, S.U., 2 agosto 2017, n. 19166).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Superamen-to concorso – Annullamento graduatoria dopo la relativa approvazione – Esercizio pote-re autotutela – Non sussiste – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione ordinaria – Sussi-ste (Corte di Cassazione, S.U., 16 novembre 2017, n. 27197).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedure concorsuali – Scorrimento di graduatoria – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione or-dinaria – Sussiste – Impugnazione provvedimento che dispone di non coprire più il po-sto vacante – Giurisdizione amministrativa – Sussiste (Corte di Cassazione, S.U., 20 ot-tobre 2017, n. 24878).

Impiegato dello Stato e pubblico – Società «in house» – Reclutamento di dipendenti – Controversie – Giurisdizione ordinaria (Corte di Cassazione, S.U., 27 marzo 2017, n. 7759).

Impiegato dello Stato e pubblico – Vincitore concorso pubblico – «Ius superve-niens» – Diritto all’assunzione – Non sussiste (Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 15 dicembre 2017, n. 30238).

Impiegato dello Stato e pubblico – Vincitore concorso pubblico – «Ius superve-niens» – Diritto all’assunzione – Non sussiste (Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 15 dicembre 2017, n. 30238).

Pubblico impiego – Scuola – Personale docente – Art. 1, comma 605, lett. c) legge n. 296/2006 – Graduatorie ad esaurimento – Requisiti – Diploma magistrale – Suffi-cienza – Non sussiste (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con com-mento di M. Navilli).

Pubblico impiego – Scuola – Provvedimento amministrativo – Controversie – Impu-gnazione – Termine – Decorrenza – Piena conoscenza dell’atto e degli effetti lesivi – Correttezza – Sopravvenuto annullamento giurisdizionale di atto amministrativo – Dif-ferimento dies a quo decorrenza del termine decadenziale – Esclusione (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con commento di M. Navilli). REGIONI E AUTONOMIE LOCALI

Regione – Calabria – Pubblico impiego – Dirigente generale di dipartimento – «Spoils system» – Operatività – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2510).

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Indice analitico della giurisprudenza XV

RESPONSABILITÀ DIRIGENZIALE Impiegato dello Stato e pubblico – Responsabilità dirigenziale – Responsabilità di-

sciplinare – Qualificazione dell’addebito (Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1753). SANITÀ

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Dirigente sanitario – Incarico di componente delle commissioni invalidi civili – Compenso ag-giuntivo – Esclusione (Corte di Cassazione, 30 marzo 2017, n. 8261). SCUOLA

Istruzione pubblica – Conferimento di supplenze a personale Ata – Nullità – Atto di revoca – Natura (Corte di Cassazione, sez. lav., 31 maggio 2017, n. 13800).

Istruzione pubblica – Personale scolastico – Supplenze – Reiterazione di contratti a termine – Legittimità – Limiti (Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9402).

Istruzione pubblica – Personale scolastico – Supplenze – Reiterazione di contratti a termine – Legittimità – Limiti (Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 6 aprile 2017, n. 8935).

Pubblico impiego – Scuola – Personale docente – Art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 – Graduatorie ad esaurimento – Requisiti – Diploma magistrale – Suffi-cienza – Non sussiste (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con com-mento di M. Navilli).

Pubblico impiego – Scuola – Provvedimento amministrativo – Controversie – Impu-gnazione – Termine – Decorrenza – Piena conoscenza dell’atto e degli effetti lesivi – Correttezza – Sopravvenuto annullamento giurisdizionale di atto amministrativo – Dif-ferimento dies a quo decorrenza del termine decadenziale – Esclusione (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, con commento di M. Navilli). SINDACATI

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Eccedenze di personale – Esuberi inferiori a dieci unità – Consultazione sindacale – Esclusione – Criteri di selezione – Obblighi della pubblica amministrazione (Corte di Cassazione, sez. lav., 13 febbraio 2017, n. 3738). SOCIETÀ IN HOUSE

Impiegato dello Stato e pubblico – Società «in house» – Reclutamento di dipendenti – Controversie – Giurisdizione ordinaria (Corte di Cassazione, S.U., 27 marzo 2017, n. 7759). SPOILS SYSTEM

Regione – Calabria – Pubblico impiego – Dirigente generale di dipartimento – «Spoils system» – Operatività – Fattispecie (Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2510).

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XVI Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

STABILIZZAZIONI Impiegato dello Stato e pubblico – Processi di stabilizzazione – Necessario rispetto

disponibilità finanziarie – Deroga procedure di reclutamento – È configurabile – Condi-zioni – Possesso titolo di studio – Svolgimento procedure selettive – Giurisdizione am-ministrativa (Corte di Cassazione, S.U., 2 agosto 2017, n. 19166). TRATTAMENTO ECONOMICO

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Funzioni di-rigenziali – Incarico temporaneo – Retribuzione (Corte di Cassazione, sez. lav., 19 apri-le 2017, n. 9878).

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Lavoro straordinario – Compensi – Previa autorizzazione dell’amministrazione – Necessità (Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2509). 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Dirigente sanitario – Incarico di componente delle commissioni invalidi civili – Compenso ag-giuntivo – Esclusione (Corte di Cassazione, 30 marzo 2017, n. 8261).

TUTELE NEI LICENZIAMENTI Impiegato dello Stato e pubblico – Applicabilità modifiche ex legge n. 92 del 2012

al pubblico impiego privatizzato – Esclusione – Perdurante vigenza disciplina art. 18, legge n. 300 del 1970 ante riforma (Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25376). WHISTLEBLOWING

Impiegato dello Stato e pubblico – Denuncia di comportamenti illeciti della pubblica amministrazione – Infondatezza – Licenziamento disciplinare (Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1752).

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Indice cronologico della giurisprudenza XVII

INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA

CONSIGLIO DI STATO

Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11 CASSAZIONE

Corte di Cassazione, sez. lav., 2 gennaio 2017, n. 2 Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 217 Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 213 Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 209 Corte di Cassazione, sez. lav., 10 gennaio 2017, n. 293 Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1753 Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1752 Corte di Cassazione, sez. lav., 26 gennaio 2017, n. 2011 Corte di Cassazione, sez. lav., 27 gennaio 2017, n. 2140 Corte di Cassazione, sez. lav., 27 gennaio 2017, n. 2141 Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2509 Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2510 Corte di Cassazione, sez. lav., 8 febbraio 2017, n. 3384 Corte di Cassazione, sez. lav., 13 febbraio 2017, n. 3738 Corte di Cassazione, sez. un., 17 febbraio 2017, n. 4229 Corte di Cassazione, sez. lav., 22 febbraio 2017, n. 4621 Corte di Cassazione, sez. lav., 1° marzo 2017, n. 5284 Corte di Cassazione, sez. lav., 2 marzo 2017, n. 5313 Corte di Cassazione, sez. lav., 6 marzo 2017, n. 5543 Corte di Cassazione, sez. lav., 21 marzo 2017, n. 7177 Corte di Cassazione, sez. un., 22 marzo 2017, n. 7305 Corte di Cassazione, sez. un., 27 marzo 2017, n. 7759 Corte di Cassazione, 30 marzo 2017, n. 8261 Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 6 aprile 2017, n. 8935 Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9402 Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9392 Corte di Cassazione, sez. lav., 19 aprile 2017, n. 9878 Corte di Cassazione, sez. lav., 26 aprile 2017, n. 10320 Corte di Cassazione, sez. III, 12 maggio 2017, n. 11776 Corte di Cassazione, sez. un., 12 maggio 2017, n. 11800 Corte di Cassazione, sez. lav., 18 maggio 2017, n. 12559

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XVIII Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Corte di Cassazione, sez. lav., 23 maggio 2017, n. 12898 Corte di Cassazione, sez. lav., 31 maggio 2017, n. 13800 Corte di Cassazione, sez. lav., 6 giugno 2017, n. 13994 Corte di Cassazione, sez. un., 2 agosto 2017, n. 19166 Corte di Cassazione, sez. un., 20 ottobre 2017, n. 24878 Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25379 Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25376 Corte di Cassazione, sez. un., 16 novembre 2017, n. 27197 Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 15 dicembre 2017, n. 30238 TRIBUNALE

Tribunale di Civitavecchia, sentenza 11 gennaio 2018

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Abbreviazioni XIX

ABBREVIAZIONI

AaS L’Assistenza sociale (Riv. INCA-CGIL) AC Amministrazione in cammino ArchC Archivio civile ADC Archivio di diritto costituzionale ADL Argomenti di diritto del lavoro AI L’Amministrazione italiana AP Archivio penale AppNDI Appendice al Novissimo Digesto italiano ArchISAP Archivio dell’Istituto per la scienza dell’Amministrazione pubblica AS Le assicurazioni sociali BCE Bollettino delle Comunità Europee BSPT Boll. Sc. Perf. Spec. Dir. Lav. Un. Trieste CdI Comuni d’Italia CG Corriere giuridico CI Contratto e impresa CommSB Commentario del codice civile Scialoja – Branca CP Cassazione penale CS Consiglio di Stato D&G Diritto e giustizia D&L Diritto e lavoro – Riv. critica di diritto del lavoro DA Diritto amministrativo DDG Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza DDPubbl. Digesto delle discipline pubblicistiche DE Diritto dell’economia DF Diritto fallimentare DG Documenti giustizia DLMarche Diritto e lavoro nelle Marche DLM Diritti, lavori e mercati DL Il diritto del lavoro DLRI Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali DM Il diritto marittimo DML Il Diritto del mercato del lavoro DPA Diritto processuale amministrativo DPL Diritto e pratica del lavoro DPP Diritto penale e processo Dpub Diritto pubblico DR Diritto della regione DRI Diritto delle relazioni industriali

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XX Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

DS Droit social ED Enciclopedia del diritto EGT Enciclopedia giuridica Treccani EL Economia e lavoro EP Economia Pubblica EPubb Enti pubblici FA Foro amministrativo FI Foro italiano Fpad Foro padano FP Funzione pubblica GA Giustizia amministrativa GASic Giustizia amministrativa siciliana GC Giustizia civile Gcomm Giurisprudenza commerciale Gcost Giurisprudenza costituzionale GDA Giornale di diritto amministrativo Gdir Guida al diritto – «Il Sole 24 Ore» GEL Guida agli Enti Locali de Il Sole 24 Ore GGGI Gazzetta Giuridica Giuffrè Italia Oggi GI Giurisprudenza italiana GL Governo locale Glav Guida al Lavoro – «Il Sole 24 Ore» GM Giurisprudenza di merito Gnorm Guida normativa – “Il Sole 24 Ore» GP La Giustizia penale Gpiem Giurisprudenza piemontese Gtosc Giurisprudenza toscana GU Gazzetta Ufficiale GUCE Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee IApA Impresa, ambiente e pubblica amministrazione IF Istituzioni del federalismo ILJ Industrial Law Journal Iprev Informazione previdenziale IS Industria e sindacato J Jus Labor Labor. Il lavoro nel diritto L80 Lavoro’80 LD Lavoro e diritto LDE Lavoro Diritti Europa. Rivista nuova di Diritto del Lavoro LG Il lavoro nella giurisprudenza LI Lavoro informazione LP Lavoro pubblico questa Rivista Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni LPO Lavoro e previdenza oggi

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Abbreviazioni XXI

LS Lavoro e sindacato MFI Massimario del Foro italiano MGC Massimario di Giustizia Civile MGI Massimario della Giurisprudenza italiana MGL Massimario giurisprudenza del lavoro NA Nuove autonomie ND Il nuovo diritto NDA Il Nuovo Diritto Amministrativo NDI Novissimo Digesto italiano (v. anche AppNDI) NGC Nuova giurisprudenza civile NGCC Nuova giurisprudenza civile commentata NGL Notiziario della giurisprudenza del lavoro NLCC Le nuove leggi civili commentate NP Notizie di Politeia NR Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza OF Osservatorio sulle fonti OGL Orientamenti della giurisprudenza del lavoro PAP Problemi di amministrazione pubblica PD Politica del diritto PE Politica e economia PQM P.Q.M. Psoc Previdenza sociale QADL Quaderni di Argomenti di diritto del lavoro Qcost Quaderni costituzionali QDLRI Quaderni di dir. del lavoro e delle rel. industriali QI Queste istituzioni QIS Quaderni di industria e sindacato QR Quaderni regionali. Qridl Quaderni della Rivista italiana di diritto del lavoro Qrs Quaderni di Rassegna sindacale RE Le Regioni RaDP Rassegna di diritto pubblico RAGIUSAN Rivista giuridica della sanità RACamp Rivista amministrativa della Campania RAmmRI Rivista amministrativa della Repubblica Italiana RAS Rassegna mensile dell’Avvocatura dello Stato RASan Rassegna amministrativa della sanità RassDP Rassegna di diritto pubblico RbDS Rivista bimestrale di diritto sanitario RCdc Rivista della Corte dei Conti RCDP Rivista critica del diritto privato RCP Responsabilità civile e previdenziale RDC Rivista di diritto civile RDComm Rivista di diritto commerciale

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XXII Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

RDICL Rivista di diritto internazionale e comparato del lavoro RDIPP Rivista di diritto internazionale privato e processuale RDP Rivista di diritto pubblico RDPC Rivista di diritto procedura civile RDProc Rivista di diritto processuale RDS Rivista di diritto sportivo RDSS Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale ReCL Regioni e comunità locali RFI Repertorio del Foro italiano RGC Repertorio della Giustizia civile RgE Rivista giuridica dell’edilizia RGEnel Rassegna giuridica dell’Enel RGI Repertorio della Giurisprudenza italiana RGL Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale RGLoc Regione e governo locale RGP Rivista giuridica di polizia RGS Rivista giuridica della scuola. RGU Rivista giuridica dell’urbanistica. RI Relazioni industriali RIDL Rivista italiana di diritto del lavoro RIDPC Rivista italiana di diritto pubblico comunitario RIMP Rivista degli infortuni e malattie professionali RIPS Rivista italiana di previdenza sociale RLP Rassegna dei lavori pubblici RPEL Rivista del personale dell’ente locale RS Rassegna sindacale e Nuova rassegna sindacale RTA Rivista trimestrale degli appalti. RTAR Rassegna dei Tribunali amministrativi regionali RTDP Rivista trimestrale di diritto pubblico RTDPC Rivista trimestrale di diritto e procedura civile RTSA Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione SeR Stato e Regioni SP Sanità pubblica TAR I Tribunali Amministrativi Regionali Temi Temi TDCC Trattato di diritto civile e commerciale TLG Toscana Lavoro Giurisprudenza TR Temi romana VTDL Variazioni su Temi di Diritto del Lavoro

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Autori XXIII

HANNO COLLABORATO A QUESTO FASCICOLO DI LPA

ALESSANDRO BELLAVISTA – Professore ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università di Palermo

ALESSANDRO BOSCATI – Professore ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università statale di Milano

MARINA BROLLO – Professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Udine ENRICO CARLONI – Professore associato di Diritto Amministrativo nell’Università degli

Studi di Perugia GIANFRANCO D’ALESSIO – Professore ordinario di Diritto Amministrativo nell’Univer-

sità di Roma Tre FRANCESCO DI NOIA – Dottore di ricerca in Diritto del Lavoro ALESSANDRO GARILLI – Professore ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università di

Palermo MONICA NAVILLI – Ricercatrice di Diritto del Lavoro nell’Università di Bologna VALENTINA PASQUARELLA – Ricercatrice di Diritto del Lavoro nell’Università di Foggia MAURIZIO RICCI – Professore ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università di Foggia CHIARA TINCANI – Ricercatrice di diritto della navigazione nell'Università di Verona GIOVANNI ZAMPINI – Professore associato di Diritto del Lavoro nell’Università Poli-

tecnica delle Marche LORENZO ZOPPOLI – Professore Ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Napo-

li Federico II

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XXIV Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 1

LA QUARTA RIFORMA DEL LAVORO NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI (PARTE PRIMA) *

RELAZIONI SINDACALI E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NEL SETTORE PUB-BLICO DOPO LA RIFORMA MADIA E I RINNOVI CONTRATTUALI

MAURIZIO RICCI E FRANCESCO DI NOIA **

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’autonomia collettiva nel “nuovo” sistema delle fonti del rapporto di la-voro alle dipendenze delle PP.AA. dopo il D.Lgs. n. 75/2017. – 3. La contrattazione collettiva naziona-le. – 4. La contrattazione collettiva integrativa. – 5. Le relazioni sindacali. – 6. Le disposizioni introdot-te dalla riforma Madia al “test” dei rinnovi contrattuali. – 7. Alcune osservazioni conclusive.

1. Premessa

Il D.Lgs.25 maggio 2017, n. 75 è intervenuto su alcune disposizioni del D.Lgs. n. 165/2001 (c.d. “Testo Unico in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, di seguito: Testo Unico), ponendosi come uno dei molteplici “stati d’avanzamento” di quello che è stato definito il «cantiere aperto» della rifor-ma del lavoro pubblico 1 e, forse, nemmeno definitivo in previsione del futuro asset-to politico. A quasi dieci anni dall’ultimo intervento organico in materia di lavoro alle dipendenze delle PP.AA. 2, il legislatore delegato è intervenuto per dare attua-

* LPA pubblica in questo fascicolo una prima parte delle relazioni ed interventi svolti dagli studiosi del diritto del lavoro e del diritto amministrativo alla XIII edizione dei Seminari di Bertinoro – Bolo-gna, 6-7 dicembre 2017, «La quarta riforma del lavoro nelle pa (D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 – D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 74)». La seconda parte verrà pubblicata sul fascicolo 1/2018.

** I paragrafi 1, 2, 3, 4, 5 e 7 del presente contributo, che è frutto di una elaborazione congiunta, so-no stati scritti da Maurizio Ricci e il paragrafo 6 da Francesco Di Noia.

1 La metafora del «cantiere aperto» è stata utilizzata da BELLAVISTA, Lavoro pubblico e contratta-zione collettiva, in RGL, 2007, I, 333 e VISCOMI, La contrattazione collettiva nazionale, in L. Zoppoli (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009, 45.

2 Il riferimento è alla c.d. riforma Brunetta (legge delega n. 15/2009 e d.lgs. n. 150/2009) su cui, per tutti, si v. F. CARINCI-MAINARDI (a cura di), La Terza Riforma del Lavoro Pubblico. Commentario al D. Lgs 27 ottobre 2009, n. 150, aggiornato al “Collegato Lavoro”, Milano, 2011; L. ZOPPOLI (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, cit. e NAPOLI-GARILLI (a cura di), La terza rifor-ma del lavoro pubblico tra aziendalismo e autoritarismo, Padova, 2013.

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2 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

zione al contenuto della legge delega n. 124/2015 prima della scadenza del termine 3. Uno degli aspetti più interessanti e innovativi del D.Lgs. n. 75 è relativo alla

contrattazione collettiva e più in generale al rapporto tra legge e autonomia colletti-va, vera e propria cartina di tornasole della matrice “pubblicistica” o “privatistica” della materia che, nelle intenzioni del legislatore dei primi anni ‘90, si sarebbe do-vuta uniformare a quella del lavoro privato 4, mentre l’evoluzione legislativa è stata ben diversa.

Prima di analizzare le principali modifiche del legislatore dell’ultima riforma (la “quarta” in ordine temporale), vanno ricordati sinteticamente i principali effetti sca-turenti dopo il D.Lgs. n. 150/2009, così riassumibili, diversi dei quali in parte già presenti all’epoca: centralizzazione della struttura contrattuale con effetto a cascata; decontrattualizzazione e rilegificazione di diverse materie, prima negoziabili; raf-forzamento delle PP.AA. e dei dirigenti in virtù di meccanismi atti a superare even-tuali stalli negoziali dei contratti collettivi nazionali di comparto e di quelli decen-trati integrativi; inderogabilità delle disposizioni del Testo Unico (una specie di “blindatura”) rispetto all’intervento regolatore dell’autonomia collettiva 5; farragi-nosità delle procedure contrattuali anche per effetto dell’abrogazione del termine massimo con un possibile incremento della durata delle trattative, farraginosità resa ancora più complessa dalla mancata soluzione della causa nello slittamento tempo-rale dei negoziati 6; rappresentanza legale affidata all’Aran più quale rappresentanza sindacale dei datori di lavoro pubblici che quale portavoce del Governo 7; assenza di autorizzazione del Governo per la sottoscrizione, da parte dell’Aran, dei contratti collettivi, con un deciso rafforzamento del ruolo della Corte dei conti 8; reintrodu-zione dell’obbligo di predeterminazione finanziaria per la contrattazione collettiva e rafforzamento dei controlli sulla dinamica del costo del lavoro pubblico 9, controllo

3 Sull’ampio disegno riformatore, sotteso alla legge delega n. 124/2015 cfr. MATTARELLA, La L. n. 124 del 2015 e i suoi decreti attuativi: un bilancio, in GDA, 2017, 5, 565 ss.

4 Per tutti cfr. AA.VV., Le trasformazioni dei rapporti di lavoro pubblico e il sistema delle fonti, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro (L’Aquila 31 maggio-1giugno 1996), Milano, 1997.

5 L’inderogabilità e l’automatica inserzione di clausole al posto di quelle difformi senza causare la nullità dell’intero contratto (artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c.) si riferiscono ai seguenti casi: a) remune-razione del merito e tipologia dei premi (art. 29, d.lgs. n. 150/2009); b) violazione dei vincoli e dei limi-ti di competenza imposti alla contrattazione integrativa da norme legali e contrattuali nazionale (art. 54, d.lgs. n. 150/2009); c) disciplina e procedimento disciplinare (art. 68, D.Lgs. n. 150/2009).

6 Il riferimento è all’obbligatorio inserimento nella legge di stabilità finanziaria della quantificazione di costi per il rinnovo dei ccnl di comparto in presenza di un’insufficiente assegnazione di risorse finanziarie.

7 Art. 46, comma 1, per. 1, D.Lgs. n. 165/2001. 8 Infatti, la Corte dei conti può operare quasi un controllo nel merito delle clausole contrattuali con

un potere interdittivo per la stipulazione dei contratti collettivi nazionali di comparto. 9 Tra questi, vanno ricordati: il congelamento dei posti, la temporanea riduzione dei fondi per la

contrattazione collettiva, la riduzione e la rideterminazione delle dotazioni organiche.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 3

sul costo del lavoro, una delle finalità genetiche sottese già alla riforma del 1992/1993; predeterminazione per legge di diversi dei contenuti normativi dei con-tratti collettivi e ancor più di quelli integrativi con dubbi di legittimità costituzionale specie per il regime delle autonomie 10; proroga dell’efficacia temporale del contrat-to collettivo oppure sua totale o parziale sospensione 11; facoltà di definire consen-sualmente il significato delle clausole controverse con un ruolo ben più attivo del Governo (specie per effetto della funzione del Ministro per la Pubblica Ammini-strazione e del Ministro dell’Economia e delle Finanze) 12. Tutti questi effetti si so-no tradotti in un sensibile rafforzamento del controllo del Governo.

In ultima analisi, la finalità del legislatore del 2009 è individuabile nel tentativo, non infondato anche per effetto di una prassi cogestionale di fatto, di porre rimedio a quelle che sono state definite le più importanti «[…] storture del sistema, impron-tate a un eccesso di contrattualizzazione e a una carenza di capacità e di autonomia della dirigenza» con un «[…] ruolo esorbitante della legge» e aderendo a una «[…] visione autoritaria ed etero diretta degli apparati burocratici» 13.

Ricordate brevemente le innovazioni del D.Lgs. n. 150/2009, si potranno meglio verificare i mutamenti della riforma Madia e, soprattutto, se siano state superate le criticità e/o aporìe del previgente sistema di contrattazione collettiva.

2. L’autonomia collettiva nel “nuovo” sistema delle fonti del rapporto di lavoro alle dipendenze delle PP.AA. dopo il D.Lgs. n. 75/2017

Prima di esaminare il nuovo assetto legislativo, però, è bene ricordare che il si-stema messo a punto nel 2009 non ha avuto concreta attuazione, in ragione del c.d. “blocco” dei contratti, introdotto dal d. l. n. 78/2010 e reiterato negli anni successivi sino all’emanazione della sentenza della Corte costituzionale n. 178/2015 14. Solo a

10 Tra le disposizioni in questione l’obbligo di prevedere almeno tre aree funzionali per il sistema di classificazione, le progressioni di carriera solo per concorso pubblico, l’accesso dall’esterno per le posi-zioni apicali, la destinazione alla premialità individuale di una quota prevalente nella contrattazione collettiva integrativa, i criteri predefiniti per legge per le progressioni orizzontali.

11 Art. 48, comma 3, d. lgs. n. 165/2001. 12 Art. 49, d.lgs. n. 165/2001. 13 GARILLI, Breve storia di una riforma incompiuta, in GARILLI-RICCOBONO-DE MARCO-BELLAVI-

STA-MARINELLI-NICOLOSI-GABRIELE, Il lavoro alle dipendenze della P.A. dopo la riforma Madia, Mila-no, 2018, 1 e ivi anche per l’ulteriore bibliografia.

14 C. cost. 24 giugno 2015, n. 178, in GI, 2015, 2703 ss., con nota di SCAGLIARINI, Diritti e risorse: il ragionevole equilibrio raggiunto dalla Corte e su cui, tra gli altri, si cfr. i contributi di L. ZOPPOLI, Una sentenza interpretativa di accoglimento con manipolazioni temporali rispetto allo ius novum, in  

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4 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

cavallo tra il 2017 e il 2018 e dopo l’intesa Governo e sindacati del 30 novembre 2016, invece, sono stati approvati i contratti collettivi nazionali Funzioni centrali 15, Funzioni locali 16, Istruzione e ricerca 17 e Sanità 18, i quattro nuovi comparti in cui è ripartita la P.A. dopo il contratto collettivo nazionale quadro, siglato in sede Aran il 13 luglio 2016 19.

Specie nell’intesa del 30 novembre 2016, sottoscritta dopo l’emanazione della legge delega ma prima ancora di quella dei decreti delegati, nella rubrica “Relazioni sindacali” sono contenuti impegni precisi in ordine agli orientamenti dell’Esecutivo sulle modifiche da introdurre rispetto alla riforma Brunetta. In particolare, vi è un’e-splicita dichiarazione di policy circa la futura regolamentazione, finalizzata «[…] a rivedere gli ambiti di competenza, rispettivamente della legge e della contrattazio-ne, privilegiando la fonte contrattuale quale luogo naturale per la disciplina del rap-porto di lavoro […]», oltre a sviluppare la partecipazione sindacale 20 nei nuovi con-tratti collettivi e a riformare, limitandolo, l’atto unilaterale motivato delle ammini-strazioni 21, sottoposto a ulteriori condizioni e limiti temporali rispetto alla discipli-na allora vigente 22. In effetti, nelle modifiche legislative poi emanate, sono stati mo-dificati tutti i profili prima indicati, confermando una sostanziale coerenza rispetto al contenuto della descritta intesa, profili, invece, assenti (p. es., la revisione del rapporto tra legge e contrattazione collettiva) nei princìpi della legge delega 23.

DLRI, 2017, 183 ss.; SCIARRA, I diritti sociali e i dilemmi della giurisprudenza costituzionale, in RIDL, 2017, I, 347 ss. e in part. p 363-364; BARBIERI, Contratto collettivo e lavoro pubblico: blocco salariale e blocco della contrattazione tra scelte legislative e giurisprudenza costituzionale, ivi, 2015, I, 453 ss. e FIORILLO, Contrattazione collettiva e lavoro pubblico: una nuova interpretazione sistematica della Cor-te costituzionale, in GC, 2015, 5, 1879.

15 23 dicembre 2017. 16 21 febbraio 2018. 17 8 febbraio 2018. 18 23 febbraio 2018. 19 Contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti e delle aree di contrattazione

collettiva nazionale (2016-2018) del 13 luglio 2016 tra l’Aran e le organizzazioni sindacali. 20 L’istituto della partecipazione sindacale è stato diffuso anche per attuare l’accordo sui requisiti

minimi comuni di informazione e consultazione dei lavoratori pubblici del settore delle amministrazioni centrali, stipulato il 21 dicembre 2015 nell’àmbito del Comitato di dialogo sociale per tale settore del-l’Unione Europea. Il punto è ricordato da BELLAVISTA (Contrattazione collettiva e partecipazione sin-dacale nella riforma Madia, in GARILLI-RICCOBONO-DE MARCO-BELLAVISTA-MARINELLI-NICOLOSI-GABRIELE, Il lavoro alle dipendenze della P.A. dopo la riforma Madia, cit., 68), che cita anche l’atto di indirizzo del 6 luglio 2017 per riprendere il processo di contrattazione collettiva nel settore pubblico.

21 Art. 40, comma 3-ter, D.Lgs. 165/2001. 22 Punto 1 dell’Intesa Governo e sindacati del 30 novembre 2016. 23 DELFINO, I nuovi “spazi negoziali”, cit. 11 e GARILLI, Breve storia di una riforma incompiuta,

cit., 14.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 5

Nell’analizzare il D.Lgs. n. 75/2017, la prima modifica da esaminare è relativa all’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 in tema di fonti. Secondo quanto disposto dal decreto del 2017 24, le disposizioni normative, regolamentari e statutarie posso-no essere derogate nelle materie affidate all’autonomia collettiva 25 da successivi contratti collettivi. La deroga, però, può essere attivata entro certi limiti:

a) nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1;

b) nel rispetto dei princìpi stabiliti dallo stesso decreto; c) a livello «nazionale» (mal celando la consueta diffidenza del legislatore, an-

che se non del tutto infondata rispetto alla prassi negoziale, nei confronti della con-trattazione integrativa).

Lo spazio di manovra della “deroga”, peraltro, investe sia le disposizioni appro-vate dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 75, sia quelle già in vigore («disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipli-ne dei rapporti di lavoro») 26.

Questa è sicuramente una delle modifiche più rilevanti del disegno riformatore, che riporta – nell’andamento pendolare tra autonomia ed eteronomia dei plurimi in-terventi di riforma succedutisi dai primi anni ‘90 a oggi – la disciplina del lavoro alle dipendenze delle PP.AA. al suo “spirito originario” 27. Nella prima fase, infatti, particolare impulso è stato dato all’àmbito “privatistico” nella regolazione e nella gestione dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali, con la conseguenza – sul piano delle fonti – di un favor nei confronti dell’autonomia individuale e collettiva a discapito della legge 28.

24 Art. 1, D.Lgs. n. 75/2017. 25 Art. 40, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 26 In questo senso MAGRI, Il lavoro pubblico tra sviluppo ed “eclissi” della privatizzazione, in

GDA, 2017, 5, 583, secondo cui «l’enunciato è volto a chiarire che la ripristinata libertà della contratta-zione collettiva si può esercitare nei confronti di leggi adottate in qualunque tempo, incluse ipotetiche disposizioni emesse con finalità di “rilegificazione” nel precedente assetto pubblicistico delle fonti. Si tratta insomma di una norma che vuol dare il senso di una restituzione, più che di un conferimento, di diritti all’autonomia collettiva».

27 In questo senso L. ZOPPOLI, La “riforma Madia” del lavoro pubblico, in AA.VV., Il libro del-l’anno del diritto, Roma, 2018, 349; NATULLO, Tra legge e contratto collettivo: l’“equilibrio instabile” del sistema delle fonti del lavoro pubblico, in ESPOSITO-LUCIANI-A. ZOPPOLI-L. ZOPPOLI (a cura di), La riforma dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Commento alle innovazioni della XVII legislatura (2013-2018) con particolare riferimento ai d.lgs. nn. 74 e 75 del 25 maggio 2017 (c.d. riforma Madia), Torino, 2018, 22 e ALES, L’esercizio partecipato del potere di organizzazione, ivi, 53.

28 Su questo aspetto cfr., ex multis, ALES, Contratti di lavoro e pubbliche amministrazioni, Utet, To-rino, 2007, 34 ss.; RUSCIANO-L. ZOPPOLI, Sub art. 2, in CORPACI-RUSCIANO-L. ZOPPOLI (a cura di), La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche  

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6 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Con la riforma Brunetta, invece, anche alla luce di una tendenza legislativa già emersa negli anni precedenti, si è assistito a una netta inversione di tendenza, carat-terizzata da una vera e propria “rilegificazione” della materia operata dal legislato-re, che ha avocato a sé una pluralità di poteri prima devoluti all’autonomia privata (individuale e collettiva) e alla nuova dirigenza pubblica 29. La nuova impostazione è stata affermata attraverso una forte gerarchizzazione delle fonti, per cui alla con-trattazione collettiva è stata preclusa la possibilità di “derogare” alle disposizioni «di legge, di regolamento o statuto» al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalle stesse.

Con il D.Lgs. n. 75/2017, come si è anticipato, vi è stato un “ritorno alle origi-ni”: il potere di deroga può essere esercitato solo dalla contrattazione nazionale nel-le materie affidate all’autonomia collettiva (ex art. 40, comma 1) e nel rispetto dei princìpi stabiliti dal Testo Unico 30. Anzi, sotto un certo profilo, la nuova disposi-zione rafforza la disposizione del 2001, in quanto la derogabilità, in precedenza, era prevista, ma fatta salva «[…] la legge che disponesse espressamente in senso con-trario» 31.

Appare evidente il cambio di passo rispetto all’assetto precedente 32: mentre, a

(d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29), in NLCC, 1999, 1073 ss.; RUSCIANO, La riforma del lavoro pubblico: fonti della trasformazione e trasformazione delle fonti, in DLRI, 1996, 79 ss.

29 Tra gli altri, cfr. GARILLI-BELLAVISTA, Riregolazione legale e decontrattualizzazione: la neoibri-dazione normativa del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in questa Rivista, 2010, 1, 1 ss.; F. CA-RINCI, La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi: dalla legge 133/2008 alla legge n. 15/2009, in questa Rivista, 2008, 6, 954; ID., Il secondo tempo della riforma Brunetta: il D. Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in F. CARINCI-MAINARDI (a cura di), La Terza Riforma del Lavoro Pubblico, cit., XLVII ss., oltre i miei Il contratto collettivo nazionale nel lavoro pubblico: verso il suo ridimensionamento?, ivi, 313 ss. e in part. p 325-329 e Struttura e articolazione della contratta-zione collettiva nel lavoro pubblico, in PROIA (a cura di), Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, in PERSIANI-F. CARINCI (diretto da), Trattato di Diritto del Lavoro, Cedam, Padova, 2014, II, 1207 ss.

30 Art. 2, comma 2, cpv. 2, D.Lgs. n. 165/2001. 31 L. ZOPPOLI, La “Riforma Madia” del lavoro pubblico, cit., 3. 32 Sul punto MAGRI (Il lavoro pubblico tra sviluppo ed “eclissi” della privatizzazione, cit., 583-

584) si chiede se si tratti di un’ipotesi di eccesso di delega, atteso che nella legge n. 124/2015 non si fa riferimento specifico a questo cambio di impostazione in materia di fonti. Di diverso avviso il Consiglio di Stato che, nel parere del 21 aprile 2017, n. 917, ha affermato che con il D.Lgs. n. 75/2017 non vi sia stata alcuna modificazione del rapporto tra le fonti ma soltanto un coordinamento delle disposizioni vigenti. In altre parole, l’Esecutivo avrebbe operato un mero aggiustamento nel contesto di una “rilegi-ficazione” rimasta inalterata rispetto a quella introdotta dalla riforma del 2009. La nuova disciplina del-la potestà di deroga alla legge da parte del contratto collettivo troverebbe «adeguata copertura nella de-lega legislativa, in particolare nella generale finalità di semplificazione del settore in questione (comma 1, lett. a), dell’art. 16 della legge n. 124/2015) e negli specifici princìpi e criteri direttivi di cui al suc-cessivo comma 2, lett. b) (coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni legislative vigenti, apportando le modifiche strettamente necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e  

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partire dal 2009, la singola disposizione poteva prevedere “volta per volta” la dero-gabilità ad opera dell’autonomia collettiva, adesso la derogabilità è disposta “in via preventiva e generale” in tutte le materie oggetto della contrattazione collettiva 33, sia per le leggi successive all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 74/2017, sia per quelle precedenti, anche emanate dopo il 2009. Così la contrattazione collettiva, quanto meno potenzialmente, può svolgere una funzione incisiva nella regolazione dei pro-fili collettivi e individuali del rapporto di lavoro con una forte attenuazione dei vin-coli imposti dalla etero regolamentazione.

In definitiva, il legislatore del 2017 ha nettamente aumentato la forza abrogativa del contratto collettivo nazionale nell’alveo delle materie proprie perché, a differen-za del passato, lo stesso contratto può derogare a disposizioni legislative senza con-dizioni, mentre in precedenza solo se espressamente autorizzato. Con l’abrogazione del citato inciso si è forse inteso «[…] precludere al futuro legislatore sconfinamenti sulle materie di competenza contrattuale» 34, andando ben oltre il testo originario del 2001.

3. La contrattazione collettiva nazionale

A una prima valutazione, la nuova formulazione dell’art. 40, comma 1 35 («La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto»), rispetto alla versione intro-dotta nel 2009 («La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi diret-tamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali») sembra molto più simile a quella precedente («La contrattazione collet-tiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sin-dacali») 36.

sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo) e lett. c) (risoluzione delle antinomie in base ai princìpi dell’ordinamento e alle discipline generali regolatrici della materia), nonché nel comma 1, lett. h), dell’art. 17 (che prevede, tra l’altro, la concentrazione delle sedi di contrattazione integrativa, la definizione delle materie escluse dalla contrattazione integrativa anche al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito e la parità di trattamento tra categorie omogenee, nonché di accelerare le procedure negoziali)».

33 In questo modo vengono fugati i timori delle organizzazioni sindacali per una nuova “rilegifica-zione” del rapporto di lavoro alle dipendenze delle PP.AA., palesati nell’incontro del 15 febbraio 2017 e di cui si dà conto nel citato parere del Consiglio di Stato n. 917/2017 (Punto 3.1.2).

34 GARILLI, Breve storia di una riforma incompiuta, cit., 17. 35 Come modificato dall’art. 11, D.Lgs. n. 75/2017. 36 NATULLO, Tra legge e contratto collettivo: l’“equilibrio instabile” del sistema delle fonti del la-

voro pubblico, cit., 24.

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8 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Permangono, però, alcune differenze fondamentalmente di carattere sintattico, oltre ad alcune esclusioni e limitazioni introdotte nel 2009: mentre nelle materie re-lative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corre-sponsione del trattamento accessorio e della mobilità, la contrattazione è consentita «nei limiti previsti dalla legge» (rispetto alla formulazione del 2009 sparisce il rife-rimento alle «progressioni economiche») 37, restano precluse all’autonomia colletti-va, oltre alle sette materie riservate dalla legge delega n. 421/1992 38, quelle attinenti:

a) all’organizzazione degli uffici e alla partecipazione sindacale ai sensi dell’art. 9; b) alle prerogative dirigenziali ai sensi degli artt. 5, comma 2, 16 e 17; c) al conferimento e alla revoca degli incarichi dirigenziali.

Uno dei punti di cesura tra il sistema contrattuale privato e quello pubblico-pri-vatizzato emerge nella netta separazione tra la contrattazione collettiva e le altre forme di partecipazione sindacale.

Come si è osservato, il legislatore sottrae all’autonomia collettiva le materie og-getto di partecipazione sindacale che, ai sensi degli artt. 5 e 9, sono però previste dagli stessi contratti collettivi di livello nazionale (l’art. 9, infatti, dispone che «i contratti collettivi nazionali disciplinano le modalità e gli istituti della partecipa-zione»).

Tale esclusione, peraltro, desta qualche perplessità; la sua ratio è individuabile nel fatto che la partecipazione trovi il proprio àmbito di attuazione nelle singole amministrazioni e, quindi, si troverebbe a concorrere con la contrattazione decentra-ta, nei cui confronti, come già accennato, il legislatore – a differenza del settore pri-vato – guarda con molta diffidenza 39.

Quanto alle materie, all’autonomia collettiva è attribuito – e questo rappresenta una conferma – un ruolo da protagonista riguardo al trattamento retributivo 40.

37 In realtà, non è una modifica di particolare rilievo, perché è tuttora vigente l’art. 23, D.Lgs. n. 150/2009, modificato dal D.Lgs. n. 74/2017, per effetto del quale le progressioni economiche sono at-tribuite in modo selettivo a una quota limitata di dipendenti, disposizione, questa, che ha carattere impe-rativo e non è derogabile da parte della contrattazione collettiva. Come si è giustamente ricordato (BEL-LAVISTA, Contrattazione collettiva e partecipazione sindacale nella riforma Madia, cit. 70), proprio nella contrattazione collettiva integrativa prima della riforma Brunetta si sono registrate progressioni economiche di massa.

38 Il riferimento è all’art. 2, comma 1, lett. c), legge n. 421/1992. 39 Del resto, come sottolinea NATULLO, Rapporto tra le fonti e ruolo della contrattazione, cit., 355,

tali limiti sono «[…] comprensibili se si considera che il riferimento principale è alle relazioni sindacali nelle singole amministrazioni, relativamente alle quali […] sono sempre state forti le preoccupazioni con cui il legislatore delle riforme, ed anche quello del 2017, ha guardato e guarda alla contrattazione in periferia».

40 DELFINO, I nuovi “spazi negoziali”, in ESPOSITO-LUCIANI-A. ZOPPOLI-L. ZOPPOLI (a cura di), La riforma dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, cit., 31.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 9

Il legislatore del 2017, da un lato, ribadisce i vincoli del 2009 (in modo partico-lare, il meccanismo sostitutivo, parzialmente modificato) 41; da un altro, individua ulteriori limiti in merito alla destinazione vincolata di parte delle risorse economi-che da destinare alla contrattazione collettiva. Il riferimento è, ad esempio, alla di-sposizione secondo cui «i contratti collettivi nazionali di lavoro devono prevedere apposite clausole che impedisc[a]no incrementi della consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi in cui i dati sulle assen-ze, a livello di amministrazione o di sede di contrattazione integrativa, rilevati a consuntivo, evidenzino, anche con riferimento alla concentrazione in determinati periodi in cui è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’u-tenza o, comunque, in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale, si-gnificativi scostamenti rispetto a dati medi annuali nazionali o di settore» 42.

Sorgono fondati dubbi in merito alla reale applicabilità della disposizione in esame in virtù della genericità della sua formulazione (p. es., l’indeterminatezza della tipologia di assenze da considerare; la quantificazione circa i “significativi scostamenti”, nonché l’effettiva consistenza di risorse finanziarie da destinare ai trattamenti accessori) 43.

Perciò, il legislatore pone in capo alla contrattazione nazionale l’onere di indivi-duare un complesso sistema di difficile attuazione per contrastare fenomeni di as-senteismo anomalo che evoca, oltre alla “retorica” del dipendente pubblico “fannul-lone”, anche – con le ovvie differenze – alcuni esperimenti effettuati nella contrat-tazione collettiva del settore privato 44.

Ulteriore competenza prevista in capo alla contrattazione collettiva nazionale, infine, è individuabile nell’art. 30 del Testo Unico (sulla mobilità del personale), come modificato dal decreto delegato del 2017 45, allorché si stabilisce che i ccnl

41 Art. 47-bis, D.Lgs. n. 165/2001. 42 Art. 40, comma 4-bis, D.Lgs. n. 165/2001, introdotto dal D.Lgs. n. 75/2017. 43 Nei rinnovi dei ccnl si è operato un rinvio agli organismi paritetici per l’innovazione con la fun-

zione di analizzare i dati sulle assenze del personale, valutandone cause ed effetti e di proporre eventua-li obiettivi di miglioramento anche attraverso il monitoraggio. In caso di mancato miglioramento a fron-te di tassi più alti di assenteismo, si prevede di non incrementare le risorse finanziarie per i fondi desti-nati ai trattamenti accessori fin quando non si modificheranno positivamente i descritti dati. Nel com-plesso la descritta disciplina contrattuale appare di difficile applicazione in relazione alle sue modalità regolative. A titolo esemplificativo cfr. l’art. 21 ccnl Istruzione e Ricerca.

44 Il riferimento è alla clausola per contrastare l’assenteismo anomalo prevista al Punto 8 dell’Ac-cordo aziendale per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco del 15 giugno 2010, su cui si v. E. BAL-LETTI, Assenteismo, in F. CARINCI (a cura di), Da Pomigliano a Mirafiori: la cronaca si fa storia, Mila-no, 2010, 209 ss.; D. GAROFALO, Il contrasto all’assenteismo negli accordi Fiat di Pomigliano d’Arco e di Mirafiori, in ADL, 2011, 3, 499 ss.; LA TEGOLA, Il contrasto dell’assenteismo negli accordi Fiat di Pomigliano, Mirafiori e Melfi, in DLM, 2012, 3, 517 ss.

45 Art. 3, D.Lgs. n. 75/2017.

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10 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

possano integrare le procedure e i criteri generali per l’attuazione del passaggio di-retto tra le pubbliche amministrazioni.

4. La contrattazione collettiva integrativa

Il legislatore della riforma è intervenuto anche sulla disciplina della contratta-zione integrativa, da sempre considerata la “Cenerentola” del sistema contrattuale pubblico e, negli ultimi anni, osservatorio privilegiato in virtù delle sempre più marcate differenze rispetto al sistema privato. In quest’ultimo, infatti, sul piano sia intersindacale 46 sia statuale 47, il livello decentrato ha visto accrescere le proprie funzioni; in modo particolare, la sua facoltà derogatoria nei confronti di quello na-zionale e, in alcuni casi, della legge.

La riforma del 2017 ha confermato ruolo e assetto della contrattazione integrati-va, le cui caratteristiche possono essere individuate sostanzialmente nella sua netta subordinazione gerarchica rispetto al livello nazionale 48 e nella sua finalizzazione al miglioramento dei sistemi di performance. A quest’ultimo profilo si collega una delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 75: il legislatore, infatti, ha disposto che la con-trattazione integrativa debba destinare «una quota prevalente delle risorse finalizza-te ai trattamenti economici accessori comunque denominati» per assicurare «ade-guati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance» 49.

Sempre sullo stesso argomento, inoltre, va sottolineata una modifica al Testo Unico, introdotta dal D.Lgs. n. 74/2017, che ha riscritto integralmente l’art. 19, rela-tivo ai criteri per la differenziazione delle valutazioni dei dipendenti: si è attribuito nuovo spazio alla contrattazione collettiva nazionale a discapito della legge e di

46 Cfr. gli Accordi Quadro e Interconfederale “separati” 22 gennaio e 15 aprile 2009 e, in modo partico-lare, l’Accordo Interconfederale “unitario” 28 giugno 2011, poi confluito nel Testo Unico 10 gennaio 2014 (su cui, per tutti, cfr. F. CARINCI (a cura di), Il Testo Unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014, Adapt University Press, e-book series, 2014, n. 26), e, da ultimo, l’Accordo Interconfederale 28 febbraio 2018.

47 Art. 8, D.L. n. 138/2011 e, più di recente, art. 51, D.Lgs. n. 81/2015 su cui anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici, cfr. F. DI NOIA, Legge e contratto collettivo prima e dopo l’art. 8, l. n. 148/2011: storia di un rapporto in crisi, in DLM, 2017, 3, 553 ss.

48 Restano ferme le parti dell’art. 40, comma 3-bis, secondo cui la contrattazione collettiva integra-tiva «si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono» e il rigido sistema sanzionatorio pre-visto dal comma 3-quinquies, secondo cui «nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono es-sere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile».

49 Art. 40, comma 3-bis, D.Lgs. n. 165/2001.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 11

quella integrativa. La precedente versione della disposizione, infatti, prevedeva l’individuazione di tre fasce di merito del personale non dirigente ai fini della per-formance individuale e abilitava la contrattazione di secondo livello a derogare alle percentuali stabilite dalla legge.

La nuova disposizione, invece, anche più coerente rispetto al principio costitu-zionale di libertà sindacale, non fa più riferimento alle tre fasce legali, ma investe il contratto collettivo nazionale della facoltà di stabilire sia la quota di risorse destina-te alla performance organizzativa e individuale sia i criteri idonei a garantire che a giudizi differenti corrisponda un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici.

Qui si pone una questione nodale nella valutazione dei dipendenti pubblici, punctum dolens nella gestione delle risorse umane, e nell’esigenza di operare una diversificazione nel trattamento retributivo quanto alla performance individuale.

Sotto questo profilo, il problema è duplice: a livello prima regolatorio, poi appli-cativo. In merito al primo aspetto, la regolamentazione può astrattamente oscillare tra tre possibili soluzioni: la fissazione di parametri di massima oppure l’apposizio-ne di criteri ben determinati oppure, ancora, l’assenza di un suo intervento. Nell’e-conomia del lavoro, alla luce del contenuto dei rinnovi contrattuali, le parti sembra-no aver preferito la prima opzione.

Ora, però, la scelta passa alla successiva contrattazione collettiva integrativa, dove il pregresso e reiterato blocco negoziale, le retribuzioni mediamente modeste dei dipendenti, la prassi negoziale, seguita in genere dai sindacati, verso un tenden-ziale appiattimento salariale potrebbero ridimensionare le differenze retributive, de-rivanti dalla performance individuale, incentivando l’orientamento vigente, secondo cui il differente apporto qualitativo e quantitativo dei lavoratori è, in ultima analisi, irrilevante ai fini di una diversificazione salariale.

Proprio in senso opposto alle finalità della riforma Brunetta, sarebbe auspicabile, invece, un cambio di passo e una modifica nella cultura negoziale dei soggetti con-traenti per favorire effettivamente un sistema premiale di retribuzione, valorizzando il ruolo e la funzione dell’autonomia collettiva, oltre a evitare la prassi consolidata degli aumenti retributivi “a pioggia” o, meglio ancora, “a pioggerellina” in virtù dell’esi-guità degli importi, corrisposti in senso opposto rispetto al principio di meritocrazia.

Con il D.Lgs. n. 75, inoltre, è stato conservato l’impianto vincolistico introdotto nel 2009, anche se sono stati individuati alcuni correttivi per smussarne alcune criticità.

Nello specifico va segnalata una modifica con una diversa finalità rispetto al passato. Infatti, nella disposizione originaria il potere sostitutivo dell’amministra-zione, rispetto allo stallo negoziale, sottendeva un intento migliorativo (assicurare la continuità e il miglior svolgimento della funzione pubblica); ora, invece, è solo per evitare un pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa, pregiudizio che va dimostrato dalla stessa amministrazione 50.

50 Art. 40, comma 3-ter, per. 1, D.Lgs. n. 165/2001. Come sottolinea DELFINO, I nuovi “spazi nego- 

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12 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Si riducono, così, i margini di discrezionalità a favore del potere sostitutivo 51, anche perché la finalità più ampia, sottesa alla nuova disposizione, rafforza il ruolo dell’autonomia collettiva. Infatti, è esplicitamente sancito il principio della provvi-soria esecutività del provvedimento assunto con l’obbligo, però, di proseguire le trattative al fine di pervenire in tempi certi alla conclusione dell’accordo «nel ri-spetto dei princìpi di correttezza e buona fede tra le parti».

Al di là di questa ipotesi, il legislatore ha previsto anche la possibilità per i con-tratti nazionali di «individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l’amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo». Nella disposizione è stato scritto termine “minimo”, ma si tratta forse di una svista del le-gislatore, in quanto logicamente si sarebbe dovuto scrivere termine “massimo” 52.

In ogni caso, la possibilità di stabilire un termine temporale nella durata del pro-cesso negoziale a livello integrativo da parte del contratto collettivo nazionale e non della legge risponde anche a un’esigenza di non incorrere in profili di illegittimità per la possibile violazione dell’art. 39, comma 1, Cost. Così come in un’analoga censura di incostituzionalità sarebbe incorsa una disposizione legale contenente un potere sostitutivo incondizionato a favore dell’amministrazione 53.

Provando a semplificare il contenuto della disposizione, il legislatore ha previsto due ipotesi in cui l’amministrazione può esercitare il potere sostitutivo:

1) quando il protrarsi delle trattative possa determinare un pregiudizio alla fun-zionalità dell’azione amministrativa;

2) in ogni caso, decorso il termine massimo delle sessioni negoziali, previsto dalla contrattazione di livello nazionale.

ziali”, cit., p 34-35, «sembra essere mutata la filosofia di fondo perché nella precedente versione della norma pareva prevalere la finalità migliorativa […]. La nuova versione, invece, sembra prediligere l’ot-tica del danno».

51 Si è ricordato, sulla base del rapporto Aran (Monitoraggio della contrattazione integrativa, Anno 2015, 12 ss.), che il potere sostitutivo dell’amministrazione è stato scarsamente utilizzato. Tuttavia, la disposizione in esame può aver influito sulla condotta negoziale dei sindacati, forse più disponibili ad accettare le proposte dell’amministrazione, stipulando così il contratto integrativo, per evitare l’assenza del loro ruolo in caso di esercizio della determinazione provvisoria dell’ente in presenza di uno stallo negoziale. Sul punto cfr. BOSCATI-BIANCO, Il sistema delle fonti e le novità della contrattazione, in La riforma del pubblico impiego e la valutazione, Santarcangelo di Romagna, 2017, 12.

52 In questo senso L. ZOPPOLI, La “riforma Madia” del lavoro pubblico, cit., 349. 53 Sempre la disposizione in esame non ha recepito il contenuto dell’Intesa Governo e sindacati del

30 novembre 2016, secondo cui i contratti collettivi avrebbero determinato la durata massima della vi-genza dell’atto unilaterale (punto 1, lett. c, per. 2), forse perché, in assenza di un’apposita autorizzazio-ne legale, avrebbero limitato «[…] una potestà organizzativa lato sensu concessa dal legislatore alle singole amministrazioni». Così: BELLAVISTA, Contrattazione collettiva e partecipazione sindacale nella riforma Madia, cit. 73.

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Quanto alla ipotesi sub 1), il legislatore ha disposto che presso l’Aran sia istitui-to un Osservatorio a composizione paritetica per monitorare i casi e le modalità con cui ciascuna amministrazione adotta tali atti senza prevedere, però, una funzione sanzionatoria nel caso di illegittimo esercizio del potere sostitutivo da parte del-l’amministrazione 54 e questo depotenzia in parte il compito assegnato.

Nell’ottica della spending review, oltre alla clausola di invarianza finanziaria («senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»), è stato specifica-to che ai componenti dell’Osservatorio «non spett[i]no compensi, gettoni, emolu-menti, indennità o rimborsi di spese comunque denominati».

Un’ulteriore novità è stata introdotta nel caso in cui a livello di contrattazione integrativa vi sia stato il «superamento dei vincoli finanziari accertato da parte del-le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della fun-zione pubblica o del Ministero dell’economia e delle finanze». In tale ipotesi, si di-spone (come nella formulazione del 2009) l’obbligo di recupero nella sessione ne-goziale successiva ma – ed è questa la novità legislativa del 2017 – «con quote an-nuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è veri-ficato il superamento di tali vincoli» 55. Non solo, ma per non pregiudicare l’ordina-ta prosecuzione dell’attività delle amministrazioni interessate, il legislatore ha an-che previsto che la quota di recupero non possa superare «il 25 per cento delle ri-sorse destinate alla contrattazione integrativa ed il numero di annualità», in cui si è verificato lo “sforamento”, previa certificazione degli organi di governo 56, è corri-spondentemente incrementato.

Accanto a quelle indicate, si è introdotta un’ulteriore clausola per esercitare un controllo sulla dinamica del costo del lavoro: il legislatore ha stabilito che, in alterna-tiva a quanto disposto, «le regioni e gli enti locali poss[a]no prorogare il termine per procedere al recupero delle somme indebitamente erogate, per un periodo non supe-riore a cinque anni, a condizione che adottino o che abbiano adottato le misure di contenimento della spesa, di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 57, dimostrino l’effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa previste

54 Art. 43, comma 3-ter, per. 4 e 5, D.Lgs. n. 165/2001. 55 Art. 40, comma 3-quinquies, D.Lgs. n. 165/2001. 56 Art. 40-bis, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001. 57 Ai sensi del quale «le regioni adottano misure di contenimento della spesa per il personale, ulte-

riori rispetto a quelle già previste dalla vigente normativa, mediante l’attuazione di piani di riorganiz-zazione finalizzati alla razionalizzazione e allo snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con la contestuale riduzione delle dotazioni organiche del per-sonale dirigenziale in misura non inferiore al 20 per cento e della spesa complessiva del personale non dirigenziale in misura non inferiore al 10 per cento. Gli enti locali adottano le misure di razionalizza-zione organizzativa garantendo in ogni caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri definiti dal decreto di cui all’articolo 263, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Al fine di conseguire l’effettivo contenimento della spesa, alle unità di personale eventualmente risultanti  

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dalle predette misure, nonché il conseguimento di ulteriori riduzioni di spesa derivan-ti dall’adozione di misure di razionalizzazione relative ad altri settori anche con rife-rimento a processi di soppressione e fusione di società, enti o agenzie strumentali».

Regioni ed Enti locali sono tenuti a fornire la dimostrazione delle misure previ-ste mediante «apposita relazione, corredata del parere dell’organo di revisione e-conomico-finanziaria, allegata al conto consuntivo di ciascun anno in cui è effet-tuato il recupero». In altri termini, il legislatore ha predisposto una pluralità di mec-canismi, che consentano di recuperare quanto indebitamente erogato dalle ammini-strazioni nella contrattazione integrativa, evitando, però, che tale recupero possa pregiudicare la normale attività amministrativa.

L’art. 40, D.Lgs. n. 165/2001 si arricchisce di un nuovo comma che, al fine di semplificare la gestione amministrativa dei fondi destinati alla contrattazione inte-grativa e di consentirne un utilizzo più funzionale a obiettivi di valorizzazione degli apporti del personale, nonché di miglioramento della produttività e della qualità dei servizi, dispone che la contrattazione collettiva nazionale provveda al «riordino, al-la razionalizzazione ed alla semplificazione delle discipline in materia di dotazione ed utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa» 58.

5. Le relazioni sindacali

Quanto alle relazioni sindacali, il D.Lgs. n. 75/2017 sembra non scalfire sostan-zialmente l’assetto delineato dal legislatore del 2009, che aveva riscritto l’art. 9 del D.Lgs. n. 165/2001, prevedendo che i contratti collettivi nazionali avrebbero disci-plinato le modalità e gli istituti della partecipazione, fermo restando quanto previsto dall’art. 5, comma 2, a proposito del potere di organizzazione riconosciuto agli or-gani di gestione interna.

in soprannumero all’esito dei predetti piani obbligatori di riorganizzazione si applicano le disposizioni previste dall’articolo 2, commi 11 e 12, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modifi-cazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nei limiti temporali della vigenza della predetta norma. Le cessazioni dal servizio conseguenti alle misure di cui al precedente periodo non possono essere calco-late come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle as-sunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn-over. Le Regioni e gli enti locali trasmettono entro il 31 maggio di ciascun anno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e al Ministero dell’interno – Dipartimento per gli affari interni e terri-toriali, ai fini del relativo monitoraggio, una relazione illustrativa ed una relazione tecnico-finanziaria che, con riferimento al mancato rispetto dei vincoli finanziari, dia conto dell’adozione dei piani obbli-gatori di riorganizzazione e delle specifiche misure previste dai medesimi per il contenimento della spesa per il personale ovvero delle misure di cui al terzo periodo».

58 Art. 40, comma 4-ter, D.Lgs. n. 165/2001.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 15

Quest’ultima norma individuava, accanto a quella legale e contrattuale, la “ter-za” fonte di regolazione della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle PP.AA. (ovvero quella datoriale), alla quale venivano demandate, in via esclusiva, «le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure organizzative ine-renti alla gestione dei rapporti di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindaca-ti per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero, limitatamen-te alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l’esame congiunto, ove previsti nei contratti di cui all’articolo 9».

In altri termini, gli unici limiti al potere degli «organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro» erano rappresentati dall’infor-mazione ai sindacati per le decisioni sull’organizzazione degli uffici e dall’esame congiunto sulle misure riguardanti i rapporti di lavoro.

Il legislatore del 2017 è intervenuto proprio su questi limiti, riformulando la di-sposizione che, all’esito della modifica, sembra allargare il novero degli strumenti della partecipazione sindacale. L’ultimo periodo del comma 2, infatti, fa salve «la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove pre-visti nei contratti di cui all’art. 9».

La formulazione è molto generica e il compito di riempirla di contenu-ti è demandata alle parti stipulanti i contratti collettivi nazionali, così co-me è stato fatto nei rinnovi contrattuali del 2017/2018.

Alla luce dei nuovi contenuti, questo induce a ritenere che gli istituti della partecipazione possano erodere spazi al potere unilaterale del datore di lavoro pubblico, rilanciando possibili poteri cogestionali di fatto, ben presenti nella prassi decentrata delle relazioni sindacali e, quindi, in con-trotendenza rispetto alle scelte di politica del diritto sottese alla riforma del 2009.

6. Le disposizioni introdotte dalla riforma Madia al “test” dei rinnovi con-trattuali

L’approvazione del contratto collettivo del comparto Funzioni centrali a dicem-bre 2017, a cui nel febbraio 2018 sono seguiti quelli di Istruzione e Ricerca, Fun-zioni locali e Sanità, consente di sottoporre a un primo test le novità del D.Lgs. n. 75/2017 in materia di relazioni sindacali e di contrattazione collettiva. Nell’econo-mia del presente lavoro, peraltro, si farà riferimento prevalentemente al primo con-tratto stipulato, a cui – seppur con alcune fisiologiche differenziazioni (di cui si darà conto) – si sono uniformati anche quelli degli altri tre comparti, in quanto sia la

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formulazione delle norme contrattuali sia il numero dei diversi articoli sono quasi sempre gli stessi nei quattro ccnl.

Quanto alle relazioni sindacali, si prevede che esse si declinino ai vari livelli (nazionale e territoriale) attraverso il metodo sia partecipativo sia conflittuale, allor-ché si fa espresso riferimento ai modelli relazionali della partecipazione e della contrattazione integrativa 59.

Il modello “partecipativo” è teleologicamente orientato «ad instaurare forme costruttive di dialogo tra le parti, su atti e decisioni di valenza generale delle am-ministrazioni, in materia di organizzazione o aventi riflessi sul rapporto di lavoro ovvero a garantire adeguati diritti di informazione sugli stessi» e si articola in tre differenti strumenti: l’informazione, il confronto e gli organismi paritetici di parte-cipazione 60.

L’informazione, al di là degli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vi-gente, consiste nella «trasmissione di dati ed elementi conoscitivi, da parte dell’am-ministrazione, ai soggetti sindacali, al fine di consentire loro di prendere conoscen-za della questione trattata e di esaminarla» 61; va fornita «nei tempi, nei modi e nei contenuti» per consentire ai soggetti sindacali di procedere a una valutazione appro-fondita ed esprimere osservazioni e proposte 62 su tutte le materie in cui sia previsto il confronto o la contrattazione integrativa 63. In altri termini, l’informazione assume un ruolo di fondamentale importanza – una specie di condicio sine qua non – per il proficuo esperimento del confronto e della contrattazione.

Rispetto al confronto (una delle “novità” della tornata contrattuale), quale «mo-dalità attraverso la quale si instaura un dialogo approfondito sulle materie rimesse a tale livello di relazione» al fine di consentire ai soggetti sindacali «di esprimere valutazioni esaustive e di partecipare costruttivamente alla definizione delle misure che l’amministrazione intende adottare» 64, le parti hanno definito una pluralità di regole.

Si è previsto che il confronto si sviluppi innanzi tutto mediante l’invio degli «elementi conoscitivi sulle misure da adottare» ai soggetti sindacali e che, nei suc-

59 Art. 3, comma 3, ccnl Funzioni centrali. 60 Art. 3, comma 4, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità e art. 4, comma 4, ccnl Istruzio-

ne e Ricerca. 61 Art. 4, comma 2, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità e art. 5, comma 2, ccnl Istruzio-

ne e Ricerca. 62 Art. 4, comma 3, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità e art. 5, comma 3, ccnl Istruzio-

ne e Ricerca. 63 Art. 4, comma 4, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità e art. 5, comma 5, ccnl Istruzio-

ne e Ricerca. 64 Art. 4, comma 1, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità e art. 6, comma 1, ccnl Istruzio-

ne e Ricerca.

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cessivi cinque giorni, questi ultimi possano richiedere un incontro, peraltro propo-nibile dalla stessa P.A. contestualmente all’invio della informazione. Si fissa anche un limite temporale agli incontri, non superiore a trenta giorni, al termine del quale deve essere redatta una sintesi dei lavori e delle posizioni emerse 65.

Quanto alle materie oggetto di confronto, agli stessi livelli in cui si svolge la contrattazione integrativa (infra), si tratta dell’articolazione delle tipologie dell’o-rario di lavoro, dei criteri generali di priorità per la mobilità tra sedi di lavoro del-l’amministrazione, dei criteri generali dei sistemi di valutazione della performance, dell’individuazione dei profili professionali, dei criteri per il conferimento e la re-voca degli incarichi di posizione organizzativa, dei criteri per la graduazione delle posizioni organizzative (ai fini dell’attribuzione della relativa indennità), del trasfe-rimento o del conferimento di attività ad altri soggetti, pubblici o privati, ai sensi dell’art. 31, D.Lgs. n. 165/2001 66.

Una particolarità nei vari rinnovi contrattuali a proposito dell’istituto del con-fronto è individuabile nel contratto del comparto Sanità, in cui si prevede che le Regioni, «previo confronto con le organizzazioni sindacali firmatarie», possano e-manare entro novanta giorni dall’entrata in vigore del ccnl «linee generali di indi-rizzo per lo svolgimento della contrattazione integrativa» in una pluralità di materie (tra le altre, l’utilizzo di risorse regionali aggiuntive destinate alla produttività; le metodologie di impiego, da parte delle aziende, ed enti, di una quota di minori oneri derivanti dalla riduzione stabile della dotazione organica; le modalità di incremento dei fondi in caso di aumento della dotazione organica del personale o dei servizi; le linee di indirizzo in materia di prestazioni aggiuntive del personale) 67. Tale previ-sione va letta alla luce della competenza legislativa concorrente delle Regioni nella tutela della salute ex art. 117, comma 3, Cost.

Ulteriore novità della tornata contrattuale è rappresentata dalla creazione di un organismo paritetico per l’innovazione, che è la sede in cui i rappresentanti delle organizzazioni sindacali sono coinvolti «su progetti di organizzazione e innovazio-ne, miglioramento dei servizi, promozione della legalità, della qualità del lavoro e del benessere organizzativo […] al fine di formulare proposte all’amministrazione o alle parti negoziali della contrattazione integrativa» (anche in riferimento alle politiche formative, al lavoro agile, alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alle misure di prevenzione dello stress lavoro-correlato e di fenomeni di burnout) 68.

Gli organismi paritetici per l’innovazione possono essere destinatari di progetti e

65 Art. 5, comma 2, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità e art. 6, comma 2, per. 4, ccnl Istruzione e Ricerca, ma in questo comparto l’arco temporale previsto è di 15 giorni.

66 Art. 5, commi 3 e 4, ccnl Funzioni centrali. 67 Art. 6, ccnl Sanità. 68 Art. 6, comma 2, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità e art. 9, commi 1 e 2, ccnl Istru-

zione e Ricerca.

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programmi elaborati dalle organizzazioni sindacali o da gruppi di lavoratori, su cui si esprimono in ordine alla fattibilità 69; sono, inoltre, destinatari di informazione sugli andamenti occupazionali, sui dati relativi ai contratti a termine e di sommini-strazione e sulle assenze del personale 70.

È prevista, infine, una pluralità di regole sulla sua composizione e sul suo fun-zionamento: l’organismo è formato da un componente designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale e in pari nume-ro da una delegazione della P.A.; si riunisce almeno due volte all’anno e ogniqual-volta l’amministrazione presenti un progetto organizzativo “innovativo”, “comples-so” (si precisa «per modalità e tempi di attuazione») e “sperimentale”; può trasmet-tere proprie proposte progettuali alle parti negoziali della contrattazione integrativa (sulle materie di sua competenza) o alla P.A.; può dotarsi di un proprio regolamento di competenza; può svolgere analisi, indagini e studi; effettua il monitoraggio dell’at-tuazione dei piani di azioni positive 71, predisposte dai Comitati Unici di Garanzia 72.

In merito al modello relazionale “conflittuale” – la contrattazione integrativa – le parti sociali dispongono che essa sia «finalizzata alla stipulazione di contratti che obbligano reciprocamente le parti, ai diversi livelli» in cui si articola 73. Risulta ben chiaro il ruolo di subordinazione gerarchica al livello contrattuale superiore (oltre che alla legge), allorché si prevede che essa si svolga «nel rispetto delle procedure stabilite dalla legge e dal presente ccnl» 74.

Quanto alle sedi di contrattazione, per le sole amministrazioni centrali articolate al loro interno in una pluralità di uffici, individuati come autonome sedi di elezione di RSU, si prevede un doppio canale negoziale (in alcune materie, i livelli sono cu-mulativi e non alternativi) 75: una contrattazione «integrativa di livello nazionale» e una «di sede territoriale». In tutte le altre amministrazioni, invece, essa si svolge in un unico livello («contrattazione integrativa di sede unica») 76.

Questa diversità si riverbera anche sui soggetti stipulanti: mentre per la parte da-toriale i componenti della delegazione trattante sono «designati dall’organo compe-

69 Art. 6, comma 4, ccnl Funzioni centrali e Funzioni locali; art. 7, comma 4, ccnl Sanità e art. 9, comma 2, ccnl Istruzione e Ricerca.

70 Art. 6, comma 5, ccnl Funzioni centrali e Funzioni locali; art. 7, comma 5, ccnl Sanità e art. 9, comma 3, ccnl Istruzione e Ricerca.

71 Art. 6, comma 3, ccnl Funzioni centrali. 72 Art. 57, D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 21, comma 1, legge n. 183/2010. 73 Art. 3, comma 5, ccnl Funzioni centrali, Funzioni locali e Sanità. 74 Art. 7, comma 1, ccnl Funzioni centrali e Funzioni locali; art. 8, comma 1, ccnl Sanità. 75 Il riferimento è a quanto previsto dall’art. 7, comma 7, ccnl Funzioni centrali, secondo cui a livel-

lo di contrattazione collettiva di sede territoriale possono essere rinegoziati i «criteri di adeguamento […] di quanto definito a livello nazionale» relativamente a una serie di materie.

76 Art. 7, comma 2, ccnl Funzioni centrali.

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tente secondo i rispettivi ordinamenti» 77, per quella dei lavoratori, invece, nel caso di contrattazione integrativa di livello nazionale sono solo «i rappresentanti delle orga-nizzazioni sindacali di categoria firmatarie del presente ccnl»; nel caso di contratta-zione integrativa di sede territoriale o di sede unica sono «la RSU» e «i rappresentanti territoriali delle organizzazioni sindacali» firmatarie del contratto nazionale 78.

A proposito dei livelli, in cui si articola la contrattazione integrativa, si segnalano due particolarità. La prima riguarda il comparto Istruzione e ricerca, che per la Scuola dispone – a differenza di Università e Afam (che presentano un doppio livello) – che la contrattazione integrativa si svolga a livello nazionale, regionale e di singola istitu-zione scolastica 79, precisando – mediante il ricorso a una clausola “bicefala” (di non ripetibilità e di delega) 80 – che i differenti livelli non debbano sovrapporsi.

La seconda investe il comparto Funzioni locali, in cui la contrattazione integra-tiva si sviluppa in via generale a livello nazionale, mentre a quello territoriale è con-templata solo come “possibilità” per iniziativa dei soggetti negoziali. Le parti, infat-ti, hanno disposto che la contrattazione di secondo livello «p[uò]ossa svolgersi an-che a livello territoriale sulla base di protocolli di intesa tra gli enti interessati e le organizzazioni sindacali» 81.

Le materie oggetto della contrattazione decentrata, secondo l’elenco contenuto nel contratto nazionale 82, riguardano in maniera preponderante la retribuzione (pre-mi correlati alla performance; indennità per attività disagiate o pericolose per la sa-lute; trattamenti accessori demandati dalle leggi alla contrattazione collettiva; mag-giorazioni per alcuni turni o per la reperibilità) 83 e l’orario di lavoro (limiti: ai turni effettuabili in orario notturno o in reperibilità, al numero di ore che possono con-fluire nella banca delle ore, alla flessibilità oraria in entrata e in uscita, al periodo di tredici settimane di maggiore o minore concentrazione dell’orario multi periodale, allo straordinario; individuazione delle causali per elevare di ulteriori sei mesi l’ar-co temporale per il calcolo del limite delle quarantotto ore settimanali medie) 84, ma

77 Art. 7, comma 5, ccnl Funzioni centrali. 78 Art. 7, comma 4, ccnl Funzioni centrali. 79 Art. 22, comma 2, ccnl Istruzione e ricerca. 80 Il riferimento è all’art. 22, comma 3, ccnl Istruzione e ricerca, secondo cui «è esclusa la sovrap-

posizione, duplicazione e ripetibilità di materie trattate ai diversi livelli di cui al comma 1, ferma re-stando la possibilità per i contratti di cui al comma 2, lettere a) e b) di demandare ai livelli inferiori la regolazione delle materie di loro pertinenza individuate nel successivo comma 4, o di loro parti specifi-che, nel rispetto della legge e del ccnl».

81 Art. 9, comma 1, ccnl Funzioni locali. 82 Art. 7, comma 6, ccnl Funzioni centrali. 83 Art. 7, comma 6, lett. b, d, e, f e h, ccnl Funzioni centrali. 84 Art. 7, comma 6, lett. i, l, n, o, p, q, u e v, ccnl Funzioni centrali.

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non mancano deleghe in materia di risorse per la contrattazione integrativa 85, pro-gressioni economiche 86, welfare integrativo 87, salute e sicurezza 88, utilizzo delle tipologie contrattuali c.d. flessibili 89, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro 90 e dipendenti con disabilità 91.

I contratti collettivi prevedono anche una molteplicità di regole sui tempi e sulle procedure di stipulazione della contrattazione integrativa. In primo luogo si precisa la sua durata triennale e la sua riferibilità a tutte le materie, ad eccezione dei criteri di ripartizione delle risorse, che possono essere negoziati con cadenza annuale 92. Quanto alla delegazione trattante di parte datoriale, le PP.AA. provvedono a costi-tuirle entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto nazionale 93, mentre le dele-gazioni sindacali devono essere convocate entro trenta giorni dalla presentazione delle piattaforme 94.

Ulteriore aspetto, disciplinato nei contratti di comparto, è relativo ai “tempi mas-simi” delle trattative e agli effetti derivanti dagli stalli negoziali. Si prevede, infatti, che, qualora dopo trenta giorni dall’inizio delle trattative non si sia concluso l’ac-cordo, le parti riacquisiscano «le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e deci-sione» su diverse materie 95. Qualora non si raggiunga l’accordo su alcune materie e «il protrarsi delle trattative determini un oggettivo pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa» 96, la P.A. può provvedere «in via provvisoria […] fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell’accordo» 97.

Il controllo sulla compatibilità economica dei costi della contrattazione di se-

85 Art. 7, comma 6, lett. a, ccnl Funzioni centrali. 86 Art. 7, comma 6, lett. c, ccnl Funzioni centrali. 87 Art. 7, comma 6, lett. g, ccnl Funzioni centrali. 88 Art. 7, comma 6, lett. k, ccnl Funzioni centrali. 89 Art. 7, comma 6, lett. m e r, ccnl Funzioni centrali. 90 Art. 7, comma 6, lett. t, ccnl Funzioni centrali. 91 Art. 41, comma 2, lett. j, ccnl Istruzione e Ricerca. 92 Art. 8, comma 1, ccnl Funzioni centrali. 93 Art. 8, comma 2, ccnl Funzioni centrali. 94 Art. 8, comma 3, ccnl Funzioni centrali. 95 Art. 8, comma 4, ccnl Funzioni centrali, che fa riferimento alle materie di cui all’art. 7, comma 6,

lett. i, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, u e v. 96 Si mutua così la nuova formulazione dell’art. 40, comma 3-ter, D.Lgs. n. 165/2001. 97 Art. 8, comma 5, ccnl Funzioni centrali, secondo cui il termine minimo delle sessioni negoziali di

cui all’art. 40, comma 3-ter, D.Lgs. n. 165/2001 «è fissato in 45 giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori 45» e fa riferimento alle materie, di cui all’art. 7, comma 6, lett. a, b, c, d, e, f, g, h e j, ccnl Funzioni centrali.

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condo livello è demandato all’organo, di cui all’art. 40-bis, comma 1, del Testo U-nico; a tal fine, l’ipotesi di contratto integrativo, corredata dalle relazioni illustrativa e tecnica, è inviata entro dieci giorni dalla sottoscrizione e, nel caso tale organo pro-ponga rilievi, la trattativa deve essere ripresa entro cinque giorni. Trascorsi quindici giorni senza che siano pervenuti rilievi, l’organo di governo competente della P.A. può autorizzare il presidente della delegazione trattante di parte datoriale a sotto-scrivere il contratto 98.

Alle parti, inoltre, sono imposte ulteriori prescrizioni: si prevede che i contratti integrativi debbano contenere clausole su «tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione» e si dispone la loro “ultrattività” fino alla stipulazione dei suc-cessivi contratti integrativi 99. Si pone in capo alle PP.AA. l’obbligo 100 di trasmette-re in via telematica all’Aran e al Cnel il testo del contratto collettivo o degli atti as-sunti, unitamente alle relazioni illustrativa e tecnica, entro cinque giorni dalla sotto-scrizione definitiva 101.

A chiusura dell’articolato complesso di regole, infine, le parti sociali hanno inse-rito delle clausole di raffreddamento che delineano un sistema di relazioni sindaca-li, «orientato alle prevenzione dei conflitti» 102. In virtù di queste clausole le parti negoziali entro il primo mese del negoziato relativo alla contrattazione integrativa «non assumono iniziative unilaterali né procedono ad azioni dirette» e si impegna-no a compiere «ogni ragionevole sforzo per raggiungere l’accordo» 103. Analogo impegno è assunto nel periodo di svolgimento del confronto 104.

7. Alcune osservazioni conclusive

Analizzate le principali novità del D.Lgs. n. 75/2017 sulle relazioni sindacali e sul-la contrattazione collettiva nel lavoro pubblico-privatizzato, anche alla luce dei recenti rinnovi contrattuali, si possono formulare “a caldo” alcune sintetiche osservazioni.

In primo luogo, le modifiche introdotte non stravolgono l’impianto ridisegnato nel 2009; piuttosto, intervengono solo su alcune delle criticità emerse nella fase ap-plicativa.

98 Art. 8, comma 6, ccnl Funzioni centrali. 99 Art. 8, comma 7, ccnl Funzioni centrali. 100 Ai sensi dell’art. 40, comma 3-ter D.Lgs. n. 165/2001. 101 Art. 8, comma 8, ccnl Funzioni centrali. 102 Art. 9, comma 1, ccnl Funzioni centrali e analoga finalità è esplicitata all’art. 3, comma 1. 103 Art. 9, comma 2, ccnl Funzioni centrali. 104 Art. 9, comma 3, ccnl Funzioni centrali.

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Certo, va registrata una netta inversione di tendenza rispetto al rapporto legge-contratto collettivo con un ritorno allo “spirito originario” della privatizzazione ma, sul piano dell’autonomia collettiva, l’assetto dei livelli non ne esce complessiva-mente scalfito. Il legislatore della riforma ha confermato la predominanza della con-trattazione collettiva nazionale, indicando nel contempo alcuni percorsi obbligati (p.es., con l’art. 40, comma 4-bis e 4-ter, si prevedono clausole di contrasto all’as-senteismo e di razionalizzazione dei fondi per la contrattazione integrativa).

Quanto al secondo livello negoziale, non si registrano novità sostanziali; a di-spetto delle aspettative suscitate dalla legge di delega, il legislatore si è limitato a introdurre alcuni aggiustamenti, mantenendo comunque due caratteristiche: la sua funzionalizzazione gerarchica rispetto all’àmbito nazionale e la sua regolazione da parte della legge.

Tuttavia, dopo la tornata dei rinnovi contrattuali, va segnalata l’attribuzione di ampie funzioni a favore della negoziazione integrativa, quest’ultima resa possibile non tanto dai princìpi della legge delega n. 124/2017 (con dubbi di legittimità costi-tuzionale, perciò, per eccesso di delega), quanto e, soprattutto, dai contenuti dell’In-tesa Governo e sindacati del 30 novembre 2016.

Un’apertura, tutta da verificare anche dopo la stipulazione dei contratti collettivi nazionali di comparto, si registra in materia di partecipazione sindacale, allorché – quale limite al potere unilaterale del datore di lavoro – oltre all’informazione sinda-cale, si sono introdotte ulteriori forme di partecipazione (confronto e organismi pa-ritetici per l’innovazione). In proposito, va segnalato nuovamente il potenziale ri-schio che così si incentivi l’insufficiente responsabilizzazione del datore di lavoro pubblico, così come permane più in generale il tema della scarsa selettività dei sin-dacati rappresentativi: questo potrebbe determinare una miscela in controtendenza rispetto all’obiettivo di accrescere l’efficienza e la produttività delle pubbliche am-ministrazioni.

In estrema sintesi, se si apprezzano alcune delle modifiche apportate dal legisla-tore della riforma, sarebbe sicuramente un’ingenuità ritenere risolte tutte le descritte criticità (supra).

Da sottolineare, infine, la conferma delle differenze strutturali con il sistema contrattuale privato, in virtù delle quali l’integrazione appare sempre più una chi-mera e, di fatto, sembra consolidarsi un orientamento antitetico rispetto a quello originario, sotteso alla riforma del 1992/1993: estendere le regole del settore privato a quello pubblico, riconducendo sotto la disciplina del diritto civile i rapporti di im-piego dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni 105.

Non solo alla luce delle disposizioni qui analizzate, ma anche in virtù della più complessiva riforma legislativa del 2017 e trascorsi ormai quasi trent’anni dall’av-

105 Art. 2, comma 1, lett. a, legge n. 421/1992.

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vio della riforma, sembra consolidarsi l’immagine di due binari paralleli, destinati a restare tali anche in futuro, binari sui quali sembrano viaggiare separatamente le di-scipline in materia di diritto del lavoro privato e pubblico-privatizzato 106.

Parlare di tendenziale convergenza o, addirittura, di unicità dei modelli e dei rapporti fra settore privato e pubblico-privatizzato appare sempre più illusorio, no-nostante le frequenti dichiarazioni d’intenti, ma solo a titolo di mero flautus vocis, così come ha fatto esplicitamente il legislatore nel 2009 107.

Agli estremi dei modelli si collocano i due rapporti di lavoro classici (privato e pubblico, entrambi in senso stretto), al centro quello alle dipendenze dalle pubbliche amministrazioni, sempre meno privatizzato, caratterizzato dal recupero di elementi tipici del rapporto pubblicistico, anche se con la riforma del 2017 si cerca di rivita-lizzare il ruolo della contrattazione collettiva senza evitare, però, il rischio di logi-che cogestionali di tipo corporativo. Si registra, così, una scarsa valorizzazione, da un lato, dell’interesse della collettività a una maggiore efficienza e produttività della pubblica amministrazione; da un altro, del riconoscimento della differente profes-sionalità, nonché del diverso apporto qualitativo e quantitativo, dei lavoratori.

Sotto quest’ultimo profilo, suscita molte perplessità una nuova disposizione 108, che ha abrogato quella precedente per effetto della quale occorreva destinare la quo-ta prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti accessori, comunque denomina-ti, alla performance individuale 109. Così, se si ridimensiona il fin troppo rigido mo-dello di incentivazione etero – imposto dalla riforma Brunetta, ora il rischio è che la descritta quota possa essere destinata in maniera totale o, comunque, nettamente maggioritaria alla performance organizzativa.

Peraltro, sempre il legislatore del 2017 non ha operato una decisa semplificazio-ne del complesso sistema di misurazione e valutazione della performance, ma ha introdotto solo lievi modifiche, che non incidono sul suo assetto complessivo. Nel contempo, ha esteso l’àmbito di intervento della contrattazione collettiva (nonché di quella integrativa), àmbito ora abilitato anche a individuare la quota di risorse fi-nanziarie per premiare la performance (organizzativa e individuale), nonché la loro ripartizione in riferimento alle valutazioni del personale (supra) 110.

Per superare la prassi consociativa tra le parti 111, sarebbe opportuna una modifi-ca della cultura negoziale attraverso la responsabilizzazione dei differenti soggetti e

106 Si rinvia al mio Lavoro privato e lavoro pubblico: rapporti tra le due ipotesi di riforma, esten-sione delle regole e modelli, in questa Rivista, 2014, 477.

107 Art. 2, comma 1, lett. a, legge n. 15/2009. 108 Art. 40, comma 3-bis, D.Lgs. n. 165/2001. 109 Art. 45, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001. 110 Art. 19, D.Lgs. n. 150/2009, come modificato dal D.Lgs. n. 74/2017. 111 Art. 19, D.Lgs. n. 150/2009, come modificato dal D.Lgs. n. 74/2017.

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la reciproca distinzione dei ruoli. Soprattutto, appare imprescindibile incidere effet-tivamente sulla distinzione del rapporto politica-amministrazione, ridimensionando il controllo della prima sulla seconda con un ampliamento del ruolo e delle funzioni della dirigenza. Il controllo della politica, infatti, condiziona nettamente gli esiti della contrattazione collettiva sia nazionale 112, spesso utilizzata strumentalmente per acquisire il consenso dei sindacati e dei lavoratori, sia integrativa 113. Sono pro-prio gli organi politici a scegliere i dirigenti da preporre agli uffici e a decidere se lasciarli o no alla loro guida alla scadenza del mandato.

Spesso, perciò, si realizza una discrasia tra gli interessi della politica nelle sue differenti articolazioni organizzative per ottenere il consenso a fini elettorali e quelli della collettività a favore del buon funzionamento della pubblica amministrazione e del rispetto del principio di imparzialità nell’azione amministrativa. E questa discra-sia condiziona, limitandola in misura sensibile, anche l’azione del dirigente/datore di lavoro pubblico, nonostante le molteplici riforme, a decorrere dal 1992, di poter effettivamente agire con i poteri del privato datore di lavoro 114.

In mancanza di un’effettiva autonomia e di un’assenza di condizionamenti da parte della politica nelle sue differenti articolazioni organizzative il dirigente pub-blico, i cui poteri manageriali sono già fin troppo compressi da un coacervo di com-plesse regole organizzative e procedimentali, imposte da un intervento fin troppo penetrante del legislatore, non potrà esercitare pienamente i poteri datoriali, così come nel settore privato. Perciò, il lavoro pubblico privatizzato, anche alla luce del-le precedenti osservazioni, si configura così come tertium genus, ontologicamente separato rispetto a quello privato in senso stretto 115.

112 Un esempio è fornito dai rinnovi contrattuali del 1998-2001, in occasione dei quali un istituto partecipativo allora vigente, la concertazione, è stato trasformato nella prassi in una vera e propria for-ma negoziale, spesso anche su materie organizzative.

113 Cfr. sul punto i significativi dati sugli esiti della contrattazione collettiva decentrata a conferma di tale tendenza in ARAN, Monitoraggio della contrattazione collettiva, 2015 e già TALAMO, Gli inter-venti sul costo del lavoro nelle dinamiche della contrattazione collettiva nazionale ed integrativa, in questa Rivista, 2009, 504 ss.

114 Art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001. 115 D’ORTA, L’organizzazione delle p.a. dal diritto pubblico al diritto privato: il fallimento di una

riforma, in questa Rivista, 2011, 454 ss.

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LA STAGIONE DELLE RIFORME: PUBBLICO E PRIVATO A CONFRONTO

LORENZO ZOPPOLI

Sommario: 1. Pubblico e privato venticinque anni dopo (1992-2017). – 2. Le tortuose convergenze. – 3. Le materie più “toccate” dalle riforme. – 4. Il punto di maggiore resistenza. – 5. Quali alternative? Qua-le contratto di lavoro al centro delle riforme? – 6. Manovre di avvicinamento: il sistema di relazioni sindacali. – 7. Segue: il rapporto di lavoro. – 8. Distanze vecchie e nuove. – 9. Una conclusione possibi-le: divaricazioni incolmabili sul piano micro-organizzativo attraverso la regolazione giuslavoristica. Il ruolo degli “attori”, diversi tra pubblico e privato.

1. Pubblico e privato venticinque anni dopo (1992-2017)

Il bilancio delle riforme in materia di lavoro è un esercizio molto complesso, po-co praticato e particolarmente esposto ad una molteplicità di approcci anche meto-dologici, tutti legittimi ma con esiti potenzialmente diversissimi 1. Se parliamo di stagione delle riforme legislative pensando ad un confronto tra pubblico e privato dobbiamo a mio parere prendere in considerazione un arco temporale lungo: almeno un quarto di secolo. Anche se nel lavoro pubblico le riforme legislative cominciano prima (1992, rispetto al pacchetto Treu del 1997) e trovano il più recente punto di approdo successivamente (2017 rispetto al Jobs Act del 2015).

Naturalmente in questo periodo sono state fatte tantissime riforme legislative: generali, con riguardo a profili istituzionali, o, più specifiche, ad esempio in materia previdenziale. Oppure sono state fatte profondissime riforme settoriali: si pensi al-l’assetto degli Enti locali, delle Regioni, della Sanità o alle nostre Università. Una comparazione completa dovrebbe guardare a tutti gli aspetti. Ad esempio nell’ulti-mo anno sono stati riformati i rapporti di lavoro nelle imprese a partecipazione pub-blica (o società controllate: alcune centinaia di migliaia di lavoratori) 2, ma anche

1 Con un approccio del tutto diverso v., ad esempio, TOSI, Le novelle legislative sul lavoro privato e pubblico privatizzato tra armonizzazione e diversificazione, in RIDL, I, 2018.

2 V., da ultimo anche per i riferimenti bibliografici, FERRARA M.D., Organizzazione e gestione del personale nelle società in controllo pubblico e in house tra mercato e interessi generali, in ESPOSITO, LUCIANI, ZOPPOLI A., ZOPPOLI L. (a cura di), La riforma dei rapporti di lavoro nelle pubbliche ammini-strazioni, Torino, 2018 (in corso di pubblicazione).

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negli enti del terzo settore (alcuni milioni di lavoratori, se si considera l’area assai vasta del volontariato) 3.Fare un confronto che comprenda tutte le discipline setto-riali non rientra né nei miei intendimenti né nelle mie forze. Qui mi limiterò ad un ragionamento che riguarda le discipline di applicazione tendenzialmente generali, differenziate solo in ragione dell’appartenenza del datore di lavoro alle pubbliche amministrazioni in senso stretto (prima area) o alle imprese con veste giuridica ge-nericamente privatistica (seconda area). Non si terrà dunque conto di specificità set-toriali delle discipline generali, sebbene tali specificità assumano talora in concreto una rilevanza primaria.

Insomma l’area del confronto è quella ancora oggi complessivamente indicata dall’art. 2, D.Lgs. n. 165/2001: da un lato i rapporti di lavoro con le amministrazio-ni pubbliche non sottoposti a “regime di diritto pubblico” (art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001) e, dall’altro, i rapporti di lavoro nell’impresa, disciplinati dalle disposi-zioni del capo I, titolo I, libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001).

In queste due aree il confronto a valle della stagione delle riforme, appare di no-tevole interesse scientifico in quanto proprio a partire dal 1992 il legislatore ha vo-luto porre a base di un sempre più complesso edificio legislativo la medesima cate-goria giuridica, cioè il contratto di lavoro di diritto civile, pur dando per scontato che tale contratto non potesse e non dovesse avere un’identica regolazione per tutti i relativi istituti. Né che questa identità dovesse esservi per la regolazione provenien-te dai contratti collettivi o, su un altro versante, per l’unicità della giurisdizione. Quindi sin dall’origine – 1992-93, ma anche 1997-98 (quando prende corpo la c.d. seconda privatizzazione) – non si pensava ad una medesima disciplina che accomu-nasse per ogni aspetto lavoro pubblico e lavoro nell’impresa. Piuttosto ad una tecni-ca di regolazione simile, con contenuti anche significativamente diversi, in ragione delle persistenti peculiarità derivanti da vari elementi esterni al contratto di lavoro: norme Costituzionali (in primis artt. 97-98 Cost.), complessità della figura datoriale, canali di finanziamento, assetti organizzativi, sistemi di controllo, ecc.

Sin dall’inizio però erano chiare due avvertenze: 1. le divergenze non dovevano superare una soglia di guardia, se non si voleva snaturare l’unificazione regolativa intorno alla strumentazione privatistica; 2. la soglia di guardia andava costantemen-te monitorata su due versanti, quello della disciplina divergente riguardante il lavo-ro pubblico, ma anche quello di un’eventuale stravolgimento della disciplina del la-voro nell’impresa. In fondo l’unificazione normativa era resa possibile nel 1992/93 perché in era post-costituzionale c’era stata una progressiva ma profonda osmosi

3 V. ZOPPOLI L., Volontariato e diritti dei lavoratori tra Jobs Act e codice del terzo settore, in OLI-

VIERI U.M., ZOPPOLI L. (a cura di), Lavoro volontariato e dono tra globalizzazione e nuova regolazione, Lecce, 2018 (in corso di pubblicazione).

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sostanziale e normativa tra lavoro pubblico e lavoro nell’impresa 4. Una osmosi do-ve il pubblico si era avvicinato al privato (vedi sciopero e contrattazione collettiva, la seconda prima informale e poi formalizzata), non meno di quanto il privato non si fosse avvicinato al pubblico (v. procedimentalizzazione dei poteri datoriali e pro-gressiva limitazione della libera recedibilità).

Anche utile è tener presente che nel progetto di graduale e parziale unificazione normativa del 1992/1993 confluivano anche varie, persino contrapposte, visioni progettuali, all’epoca ben esemplificate da due termini brutali, ma efficaci: azienda-lizzazione versus sindacalizzazione del lavoro pubblico 5. Due prospettive rispetto alle quali pareva opportuno mitigare il carico ideologico della c.d. privatizzazione, optando piuttosto per una più generica ma duttile “contrattualizzazione” – conse-guente alla delegificazione organica della materia – da contestualizzare nelle diver-se articolazioni dell’assai variegato apparato amministrativo 6.

Che poi il contratto di lavoro venisse anche accreditato nell’ambito del lavoro pubblico di una maggiore vocazione ad esser leva di una innovativa gestione mana-geriale è senz’altro vero: ma nella consapevolezza che a “maneggiare” quel contrat-to dovessero esserci soggetti – all’epoca non esistenti – dotati di una moderna cultu-ra, solo superficialmente sintetizzabile come manageriale 7, dovendosi piuttosto a-vere quei medesimi soggetti, o altri ad essi vicini (e spesso collocati sopra piuttosto che sotto), anche culture politiche, giuridiche, economiche tutte più modernamente attente ai complessi problemi gestionali posti da organizzazioni così delicate e ric-che come quelle pubbliche.

2. Le tortuose convergenze

Dunque il contratto di lavoro come luogo o istituto giuridico di nuove plurime convergenze. E questo, si è detto, realizzava già un profondo mutamento del para-

4 V. RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978. 5 V. CASSESE, Il sofisma della privatizzazione del pubblico impiego, in CG, 1993, p. 401 ss.; Roma-

gnoli, La revisione della disciplina del pubblico impiego: dal disastro verso l’ignoto, in LD, 1993, 231 ss. 6 V. RUSCIANO-ZOPPOLI L. (a cura di), L’impiego pubblico nel diritto del lavoro, Torino, 1993; CA-

RINCI F. (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Commentario al d.lg. 29/1993, Milano, 1995; D’ANTONA, Le fonti privatistiche. L’autonomia contrattuale delle pubbliche amministrazioni in materia di rapporti di lavoro, in FI, V, comma 29 ss.

7 V. ZOPPOLI A., Dirigenza, contratto di lavoro e organizzazione, Esi, 2000. E, più di recente, dello stesso autore I chiaroscuri della disciplina degli incarichi nella “privatizzazione” della dirigenza pubbli-ca, in FIORILLO-PERULLI (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Torino, 2013, 845 ss.

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digma scientifico per il lavoro pubblico, un paradigma intorno al quale costruiva anzitutto il legislatore a successive riprese ma operando in dialettica sintonia con dottrina e forze sociali, guardati con sospetto da molti altri attori che calcavano la medesima scena (in primis il Consiglio di Stato e la giurisprudenza in genere, scet-tica sull’abbandono di storiche bipartizioni). A fatica comunque si giunse ad un as-setto, tutt’altro che perfetto, ma di corposa sedimentazione del nuovo paradigma nel 2001 con il D.Lgs. n. 165/2001, nel quale confluiva il denso operare anche dei nuo-vi soggetti del sistema sindacale con i primi contratti collettivi simil-privatistici, si-glati a metà degli anni ’90. Qui si può considerare chiusa quella che, con qualche enfasi, potremmo chiamare “la fase eroica” della riforma del lavoro pubblico.

Intanto però la stagione delle riforme aveva avuto un’accelerazione anche nel privato. Con un’impronta per vero abbastanza soft, tant’è che di recente si è parlato di una “razionalizzazione” del modello giuslavoristico imperniato su uno Statuto dei lavoratori sul cui volto cominciavano ad apparire segni di visibile stanchezza (le “rughe” manciniane) 8.

Ciò che poi ha impresso un ritmo ben diverso, e alquanto divaricante tra pubbli-co e privato, alle stagioni riformatrici sono state le successive tappe. Per il lavoro nell’impresa la razionalizzazione è stata seguita da una destrutturazione lacerante sul piano istituzionale e sindacale (2003-2011) 9. E la destrutturazione ha poi parto-rito una stagione di riforme all’insegna del barocchismo manieristico (2012-2013). Alla quale ha fatto seguito – finalmente per certi versi (viva la chiarezza, almeno dei propositi) – una fase che, eccedendo nella brutalità terminologica, possiamo de-finire di liberalizzazione, seppure tardiva (2015) e per certi versi opaca (l’abbat-timento di vincoli all’utilizzazione del fattore lavoro è accompagnato da corposi in-centivi a carico delle finanze pubbliche).

Mentre questo accadeva nel privato, alterando in profondità il modello di con-tratto da cui era partita l’unificazione normativa del lavoro e mettendo alla fine in discussione l’intero paradigma scientifico del diritto del lavoro classico, il pubblico prendeva ben altre strade: incappato prima in un improvvido riassetto istituzionale di stampo federalista (2002/2006), attraversava poi una fase che continuerei a defi-nire “onirica” 10, dove i sogni meritocratici della riforma Brunetta si infrangevano sul congelamento della spesa pubblica (2007-2011). Ai sogni impossibili seguiva una sostanziale fase di distrazione regolativa/gestionale durata un paio di governi (Mon-ti/Letta), per approdare a una nuova riforma (intestata a Marianna Madia) assai sban-dierata, ma realizzata a pezzi e bocconi con tempi lenti e ambizioni non proporzionate

8 V. CAZZETTA, Trent’anni di Lavoro e diritto, in LD, 2016, 580. 9 Una destrutturazione i cui rischi venivano messi in luce in CESTER, La norma inderogabile: fon-

damento e problema del diritto del lavoro, in DLRI, 2008, 341 ss. 10 V. ZOPPOLI L., Bentornata realtà: il lavoro pubblico dopo la fase onirica, in Jus, 2013.

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all’impegno realizzativo, soprattutto per una sopravvalutazione della possibilità di di-sintermediare la regolazione del lavoro pubblico (ma anche privato) 11.

Cosicché oggi siamo a fare bilanci di una riforma sostanzialmente partorita ben 25 anni fa con una semantica coperta dalla polvere del tempo e propositi sbiaditi, consegnati a memorie per lo più labili o disinteressate. E magari scopriamo – con malcelata sorpresa – che si trattava di una “privatizzazione impossibile” 12. A me pare francamente una conclusione troppo facile, ma, soprattutto, un po’ irresponsa-bile. Benché il problema principale per gli studiosi non sia quello di tenersi lontani dalle responsabilità, anzi. Però, sempre nella prospettiva di continuare ad approfon-dire gli studi in materia, può essere più interessante, come dicevo all’inizio, riguar-dare la vicenda sotto il profilo delle acquisizioni scientifiche che riguardano la no-stra disciplina. E chiederci, a valle di una stagione riformatrice che ha fatto saltare, seppure in modo asincrono, due paradigmi scientifici, cosa oggi è e a cosa può an-cora servire il contratto di lavoro subordinato nel pubblico e nel privato?

3. Le materie più “toccate” dalle riforme

In questa prospettiva la “stagione delle riforme” è stata – ed è tuttora – un gran-de laboratorio dentro il quale osservare come il legislatore ha scomposto e ricompo-sto i vari ingranaggi che fanno funzionare, più o meno bene, il sofisticato sistema di regolazione del contratto di lavoro.

Che la strada di ingresso delle innovazioni legislative sia stato il pubblico o il privato, ad essere profondamente rivisitati sono state in questo ventennio un’infinità di materie e istituti. A fare una mera elencazione già ci si può rendere conto dell’e-norme opera compiuta. Sono stati rivisti – a volte anche profondamente: le fonti 13; gli assetti organizzativi (specie nel pubblico, ma non solo: per il privato si pensi ai contratti di rete) 14; la figura datoriale con i conseguenti poteri (anche nel privato: si pensi alla somministrazione) 15; il sistema di relazioni sindacali dentro e fuori i luo-

11 Più diffusamente v. il mio La Riforma Madia del lavoro pubblico, in Il libro dell’anno del diritto, Roma, 2018.

12 È il titolo di un convegno tenuto in Cassazione nel novembre 2017, ma v. già PILEGGI, Efficienza della pubblica amministrazione e diritto del lavoro, Roma, 2004.

13 V. ZOPPOLI L., Le fonti: recenti dinamiche e prospettive, in SANTORO PASSARELLI G., Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Milano, 2017.

14 CARINCI M.T. (a cura di), Dall’impresa a rete alle reti d’impresa. Scelte organizzative e diritto del lavoro, Atti del convegno internazionale di studio tenutosi all’Università degli studi di Milano il 26-27 giugno 2014, Milano, 2015.

15 BARBERA, L’idea di impresa. Un dialogo con la giovane dottrina giuslavorista, in WP C.S.D.L.E.  

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ghi di lavoro, ivi comprese le regole sul conflitto 16; i sistemi di reclutamento (nel 1992 nel privato esisteva ancora il collocamento statale) 17; la struttura stessa del contratto di lavoro (si pensi alle nozioni di subordinazione e collaborazione o alla disciplina del licenziamento) 18; la tipologia contrattuale, specie quella orientata alla flessibilità 19; il sistema dei trattamenti economici (in sintesi si è passati dalla scala mobile al welfare aziendale) 20; le normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro 21; l’ambito e il ruolo della giurisdizione 22; le tecniche di deflazione del contenzioso 23.

Tutte queste materie sono profondamente mutate tanto nel pubblico quanto nel privato. Certo non tutte nella medesima misura e direzione. A fare una drastica sin-tesi direi che nel pubblico si collocano in un punto assai più distante rispetto agli assetti del 1992 le regole in materia di fonti, relazioni sindacali e giurisdizione. Nel privato invece le maggiori distanze si registrano in tema di flessibilità in ingresso, lavori flessibili e licenziamento, ma anche in ordine a ruolo e poteri dei giudici. So-lo che, quanto alla giurisdizione, la grande differenza è che nel privato si è di recen-te assistito ad un vero e proprio crollo del contenzioso che non sembra toccare in egual misura il pubblico 24.

“Massimo D’Antona”.IT – 293/2016; BELLAVISTA, La figura del datore di lavoro pubblico, in DLRI, 2010, p. 87 ss.; SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, in DLRI, 2010, 1 ss.

16 Per tutti v. Zoppoli L.-Zoppoli A.-Delfino (a cura di), Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, Napoli, 2014.

17 V. SARTORI, Servizi per l’impiego e politiche dell’occupazione in Europa. Idee e modelli per l’Italia, Maggioli, 2013; VALENTE, La riforma dei servizi per il mercato del lavoro. Il nuovo quadro della legislazione italiana dopo il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150, Milano, 2016.

18 ZOPPOLI L., Giustizia distributiva, giustizia commutativa e contratti di lavoro, in DLM, 2017, 279 ss. 19 V. per tutti MAGNANI-PANDOLFO-VARESI (a cura di), I contratti di lavoro, Torino, 2016. 20 ZOPPOLI L., La retribuzione, in Trattato di diritto del lavoro, a cura di Romei, Milano, vol. II, in

corso di pubblicazione. 21 Sul punto v. NATULLO-SARACINI (a cura di), Salute e sicurezza sul lavoro. Regole, organizzazio-

ne, partecipazione, Quaderno di DLM, 3, 2017. 22 V. il numero speciale di LD, 2-3, 2014 dedicato al tema Il lavoro e la giustizia. Interpretare. Ar-

gomentare. Decidere. 23 V., da ultimo, RICCIO, I principali profili teorici e pratici della certificazione dei contratti di la-

voro, in DLM, 2017, 3; ZOPPOLI A., Istituti per la prevenzione delle controversie giudiziali. La conci-liazione. L’arbitrato, in ESPOSITO-GAETA-SANTUCCI-VISCOMI-ZOPPOLI A.,-ZOPPOLI L., Istituzioni di diritto del lavoro e sindacale, III, Il rapporto di lavoro, II edizione, Torino, 2015, 420 ss.

24 V. BARATTA L., La vera “rivoluzione” del Jobs Act: aver ridotto le cause di lavoro, in Linkie sta.it del 5 dicembre 2017.

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4. Il punto di maggiore resistenza

Comparando gli equilibri che oggi risultano dalla disciplina del contratto di la-voro nel pubblico e nel privato, la mia impressione è che, pur in una unificazione parziale delle regole, la funzione prevalente del contratto di lavoro continui ad esse-re sensibilmente diversa. Nel pubblico si registra un persistente effetto di tutela del lavoratore, per molti versi diversa rispetto al passato e con consistenti eccezioni (come l’area del precariato 25), ma radicata in un contesto organizzativo caratteriz-zato da attività dominate dalla routine e scarsamente dinamico. Nel privato invece il contratto di lavoro risulta sempre più sbilanciato nel senso dello squilibrio tra le parti, con un’accentuazione dell’unilateralità dei poteri datoriali e vincoli decre-scenti al licenziamento 26. Se si considera che le organizzazioni dell’impresa privata hanno avuto e hanno tratti di assai più accentuato dinamismo esogeno (mercati glo-bali) e endogeno (riassetti organizzativi e tecnologici), non è difficile cogliere come un medesimo orientamento regolativo volto ad accentuare l’uso “disciplinare” del contratto di lavoro, cioè la sua curvatura a farne uno strumento di disciplinamento della forza lavoro ai fini del conseguimento del risultato, non produca e non possa produrre un impatto analogo.

5. Quali alternative? Quale contratto di lavoro al centro delle riforme?

Ma, in fondo, questo era ben noto. Quando gli amministrativisti – anche quelli di scuola più moderna, sensibile alla scienza dell’amministrazione – ammonivano che l’organizzazione viene prima della regolazione dei rapporti di lavoro 27, in fondo non dicevano che questo: inutile illudersi che regolando i rapporti di lavoro si regoli l’organizzazione. Pur essendo senz’altro vero anche l’assunto dei giuslavoristi pas-sati per il bagno degli economisti organizzativi secondo cui il contratto di lavoro svolge un’indiscutibile funzione organizzativa al fine di tenere insieme e far marcia-re l’impresa. Però il motore delle organizzazioni complesse, quanto alla loro effi-

25 V., da ultimo, V. PINTO, Le assunzioni a termine nelle pubbliche amministrazioni: specialità del-la disciplina e criticità irrisolte, in SARACINI-ZOPPOLI L. (a cura di), Riforme del lavoro e contratti a termine, Napoli, 2017, 225; MENGHINI L., I contratti a tempo determinato, in ESPOSITO-LUCIANI-A. ZOPPOLI-L. ZOPPOLI (a cura di), op. cit. (in corso di pubblicazione).

26 Più dettagli in ZOPPOLI L., Giustizia distributiva, cit., 279 ss. 27 GIANNINI, Impiego pubblico (profili storici e teorici), in ED, XX, 1970; CASSESE, L’amministra-

zione pubblica in Italia, in RTSA, 1985, 3 ss.; TORCHIA (a cura di), Il sistema amministrativo in Italia, Bologna, 2009.

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cienza/efficacia, non sta tanto o solo nelle regole del contratto di lavoro 28. Se questo è vero, resta aperto un robusto problema di tipo teorico: quale contrat-

to di lavoro porre al centro del paradigma regolativo di un moderno diritto del lavo-ro comune a pubblico e privato? Quello “paritario” del diritto del lavoro classico? O quello sbilanciato e asimmetrico che legittima vecchie e nuove supremazie indivi-duali? Pure ammesso che quest’ultimo paradigma sia quello intorno a cui si ristrut-tura la disciplina del lavoro nell’impresa (Jobs Act) e che questo paradigma resista ai vincoli di sistema, possiamo essere abbastanza certi che esso svolga adeguata-mente la sua funzione organizzativa nel lavoro pubblico? Saremmo poi così distanti dal rapporto speciale di diritto amministrativo che garantiva però l’obbedienza “po-litica” più che l’efficacia dell’azione amministrativa? Se il problema è il ripristino dell’autorità, non è questa oggi garantita più da un’integrale privatizzazione che da un ritorno al diritto pubblico con tutti i suoi apparati protettivi?

Per converso il laboratorio di questi 25 anni ci dice che è impossibile importare nel pubblico un contratto di lavoro di stampo imprenditoriale senza che ci sia l’im-prenditore, o i suoi stretti “collaboratori”, a gestirlo. Tutt’al più si ripristina l’auto-ritarismo di burocrazie autoreferenziali (i poteri deontici 29); ma non necessariamente l’efficienza/efficacia di stampo imprenditoriale (quello utile al benessere generale).

Resterebbe un diritto pubblico che, invertendo il corso della storia, riproponga l’annullamento del rapporto di servizio nel rapporto organico. Ma chi è capace di ri-portare tanto indietro le lancette della storia? Io penso che sia più realistico continuare ad interrogarsi su dove abbiamo sbagliato nel regolare il contratto di lavoro di diritto civile in modo da renderlo più funzionale ad un miglior funzionamento delle organiz-zazioni pubbliche. Insomma occorrono analisi tecnico-giuridiche più sofisticate.

6. Manovre di avvicinamento: il sistema di relazioni sindacali

Si può allora, evitando però gli eccessi di schematismo ragionieristico, fare il punto su quanto hanno funzionato le manovre di avvicinamento tra le due aree.

Un po’ a sorpresa io direi che hanno funzionato più del previsto quanto ai rap-porti collettivi e alla contrattazione collettiva. So che questa può apparire quasi una bestialità per chi guarda al dato formale, alle regole previste dalla legge. E qui non può non risaltare la distanza ancora marcata tra il sistema del D.Lgs. 165/01 e quel-lo, abbozzato e per molti versi contraddittorio, risultante dagli artt. 8 della legge

28 MERCURIO-ESPOSITO, La valutazione delle strutture: il punto di vista dello studioso di organizza-zione, in ZOPPOLI L. (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2011, 231 ss.

29 V. ZOPPOLI L., Bentornata realtà, cit.

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148/2011 e 51 del D.Lgs. 81/2015 (richiamato da molte altre disposizioni successi-ve). Però la dottrina – specie quella giussindacale – non può fermarsi al mero raf-fronto tra testi di legge. E se si considera quanto c’è dietro e oltre quelle norme, mi pare difficile negare che sempre più il sistema giuridico delle relazioni sindacali ita-liano vada nel senso di una riunificazione tra pubblico e privato, specie se si consi-dera il punto di rottura verso cui precipitano entrambi i mondi alle prese con pro-blemi vecchi e nuovi. Anzitutto sul ruolo di un autonomo ordinamento intersindaca-le, che venticinque anni fa esisteva ancora nel privato, sebbene in crisi, ma non era mai esistito nel pubblico, dove era appunto necessaria una compiuta disciplina dei circuiti di legittimazione e vincolatività giuridica per la contrattazione collettiva. Mentre ora anche nel privato l’autonomia dell’ordinamento intersindacale ha mo-strato più volte la corda – logorata dai molti tentativi di eliminare i corpi intermedi nella disciplina del lavoro – e oggi quell’ordinamento prova a rialzare la testa con un crescente (sebbene poco lucido) intervento legislativo e mutuando tecniche di legittimazione (si pensi al noto testo unico del 2014) proprio dalla legislazione sul lavoro pubblico (ovviamente con i necessari adattamenti) 30.

Ma le manovre di avvicinamento vanno anche oltre, per chi sa guardare oltre le cronache delle evidenti patologie quotidiane (purtroppo in crescita). Così è sempre più chiaro che se una contrattazione collettiva deve restare tra le fonti del diritto del lavoro non è sostenibile una totale libertà privata di organizzare gli ambiti della contrattazione nazionale. Occorre qualche regola o criterio predeterminato che pon-ga un limite alla proliferazione dei contratti di categoria 31. Anche in questo il priva-to andrà verso un sistema più regolato, anche se non sarà certo possibile risolvere il sempre più grave problema della rappresentatività delle imprese con la creazione di un soggetto come l’Aran.

Infine c’è un altro grande tema che fa convergere pubblico e privato: quello del-la partecipazione dei lavoratori e dei loro sindacati nella gestione delle organizza-zione. Un tema antico in entrambe le aree, che nella prassi ha presentato vizi gravi per difetto o per eccesso, ma che oggi richiede di essere nuovamente affrontato con una nuova strumentazione sia nel lavoro pubblico – dove la colorazione ancora for-temente labour intensive impone un coinvolgimento non passivo dei lavoratori – sia nel lavoro nelle imprese, dove il crescente individualismo digitale rischia di disper-dere il grande potenziale dell’apporto umano alla produttività complessiva dei si-stemi organizzativi.

30 Sul Testo unico del 2014 v. ZOPPOLI L., Sindacati e contrattazione collettiva: vecchi stereotipi o preziosi ingranaggi delle moderne democrazie?, in LD, 2015, 415 ss.

31 V. il rapporto del Cnel del 5 dicembre 2017 sui contratti nazionali ormai giunti al numero spropo-sitato di 868, di cui solo una ventina riguardano il lavoro pubblico, ben regolato su questo punto da molti anni e anzi oggetto di un riassetto ulteriormente restrittivo avviato dalla riforma del 2009 e final-mente realizzato nel 2016.

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7. Segue: il rapporto di lavoro

Quanto al rapporto di lavoro, le manovre di avvicinamento hanno riguardato più le tecniche regolative di fondo che le specifiche discipline degli istituti, via via di-varicatisi specie a seguito della deriva ultraliberistica impressa alla riforma della disciplina del lavoro privato. Però gli avvicinamenti non vanno sminuiti.

Pur nella permanenza del principio costituzionale del concorso – che molto ha condizionato e condiziona – vari sono stati gli snellimenti riguardanti le procedure di stipulazione del contratto, specie per consentire di utilizzare modalità di lavoro non standard (termine, somministrazione, part-time, collaborazioni).

Costanti – sebbene per lo più frustrati – sono stati anche i tentativi per evitare reclutamenti che prescindessero da una migliore utilizzazione del personale in ser-vizio, anche presso amministrazioni diverse da quelle con carenze di personale.

I sistemi di inquadramento, sempre alla rincorsa di professionalità in evoluzione, sono stati però adeguati con l’occhio rivolto ai sistemi più avanzati in uso nel priva-to (almeno fino a quando c’è stata una contrattazione nazionale).

I poteri datoriali sono stati regolati sulla falsariga di quelli privatistici, per quan-to consentito dalla peculiare configurazione della figura datoriale e dell’organizza-zione dell’esercizio dei poteri stessi.

I sistemi di retribuzione sono stati configurati in modo da dare sempre più spa-zio – almeno teorico – al salario variabile e, soprattutto, si è in tutti i modi cercato di far penetrare nella gestione del personale la tecnica di una periodica e specifica valutazione delle performance.

Tutti gli istituti riguardanti il tempo di lavoro e non lavoro sono regolati in modo sostanzialmente uniforme tra pubblico e privato e non vi è tecnica di flessibilizza-zione o controllo dell’orario che non venga utilizzata – o non possa essere utilizzata – anche nel pubblico 32.

8. Distanze vecchie e nuove

Le distanze che permangono sono ancora tante sia nelle relazioni collettive sia nel rapporto di lavoro. Ma non mi paiono prevalenti e, comunque, sono da analizza-re attentamente.

Sul piano delle relazioni collettive, non v’è dubbio che il sistema regolato inte-

32 Su tutti gli aspetti menzionati in questo paragrafo v. di recente i contributi raccolti in SANTORO PASSARELLI G. (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Milano, 2017; e in ESPOSITO-LUCIANI-ZOPPOLI A.-ZOPPOLI L. (a cura di), op. cit. (in corso di pubblicazione); da ultimo, in chiave manualistica, FIORILLO L., Il diritto del lavoro nel pubblico impiego, Padova, 2018.

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ramente per legge produce maggiore rigidità Ad esempio è bastato bloccare la con-trattazione per legge per determinare un’irradiazione di nuovo immobilismo in tutto il sistema di gestione del personale. Qui però il blocco della contrattazione è stato utilizzato per ridurre il costo del lavoro. Non il costo del lavoro per unità produttiva (c.d. clup), ma i costi complessivi per il personale, che infatti risultano sensibilmen-te ridotti (anche grazie al blocco del turn-over). Questo ha prodotto effetti parados-sali: ad esempio gli spazi di residua libertà lasciati alla contrattazione integrativa nel pubblico non sono stati utilizzati per far crescere la produttività del lavoro (come nel privato si deve presumere), ma per tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni.

Sul piano dei rapporti di lavoro, forse il dato più eclatante si ritrova nella disci-plina del licenziamento, dove forti sono le divergenze sia sul piano delle regole so-stanziali sia sui rimedi. Da ultimo risalta la conferma, con alcune non marginali modifiche, della reintegrazione (art. 63, D.Lgs. n. 75/2017) mentre il D.Lgs. n. 23/2015 l’ha ridotta al lumicino nel privato.

Però neanche quest’ultima pare da enfatizzare perché nel privato una parte di li-cenziamenti illegittimi (non solo nulli) rimane coperta da tutela reintegratoria e non è quantitativamente insignificante (tutti i rapporti nati prima del 7 marzo 2015, quando è stato introdotto il catuc, ovvero il contratto a tutele crescenti); mentre per converso anche la conservazione di una più ampia tutela reintegratoria nel lavoro pubblico si accompagna a tutele meno vantaggiose rispetto all’area del lavoro privato in cui per-mane l’applicazione dell’art. 18 nell’originaria versione (ad esempio nei tetti apposti al risarcimento del danno) 33. E perché anche laddove la reintegrazione appare per ta-bulas ridimensionata o marginalizzata occorre vedere in concreto come procederà la metabolizzazione di queste recentissime riforme nel sistema giuridico complessivo 34.

9. Una conclusione possibile: divaricazioni incolmabili sul piano micro-organizzativo attraverso la regolazione giuslavoristica. Il ruolo degli “attori”, diversi tra pubblico e privato

Dunque tornando al nostro contratto di lavoro subordinato di diritto civile, mi pare si possa dire che, nonostante una crescente divaricazione di discipline per le

33 V. CESTER, Lavoro pubblico e licenziamento illegittimo davanti alla corte di cassazione, in RIDL, 2016, II, 383 ss.; LUCIANI, Il licenziamento illegittimo del dipendente pubblico e la tutela reintegratoria “universale”, in ESPOSITO-LUCIANI-ZOPPOLI A.-ZOPPOLI L., op. cit. (in corso di pubblicazione).

34 Sul regime del licenziamento illegittimo introdotto nel 2015 pende una questione di costituziona-lità sollevata da Trib. Roma, ordinanza del 26 luglio 2017, su cui v. FONTANA, Le questioni di costitu-zionalità del contratto a tutele crescenti, in DLM, 2017, 3. Più in generale v. SPEZIALE, La mutazione genetica del diritto del lavoro, in Quaderni di DLM, 2, 2016.

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due aree prese in considerazione, esso resti uno strumento unitario posto al centro di due universi organizzativi nei quali risulta impiegata la maggior parte del lavoro subordinato o parasubordinato.

Le divergenze hanno superato la soglia di guardia che consente di parlare di un’unica fattispecie tipica, seppure con peculiarità di regole legali riguardanti alcuni istituti o frammenti di istituto? Io darei una risposta negativa, anche perché le regole speciali – in un senso o in un altro rispetto al modello originario di riferimento degli anni ’90 – rispondono ad esigenze e finalità spesso diverse e altrettanto spesso e-strinseche alla regolazione del tipo contrattuale in quanto tale.

Nel pubblico ad esempio molte regole – oltre alle originarie peculiarità – hanno dovuto affrontare il problema del pareggio di bilancio introdotto in Costituzione: per cui il contenimento complessivo della spesa pubblica ha fatto premio sulla rego-lazione più fine in grado di puntare ad un incremento della produttività conseguente ad una migliore gestione delle risorse umane. Anche gli insoddisfacenti risultati – spesso lamentati – sul piano del dinamismo organizzativo, non sono riconducibili alla regolazione del contratto di lavoro, ma a ben altri profili disfunzionali, in primis riguardanti i vertici politici e amministrativi; o la rete dei controlli; o l’invadenza giudiziaria favorita dalla ancora alta proceduralizzazione delle decisioni; o la dila-gante corruzione che porta addirittura il giudice penale a occuparsi spesso di scelte amministrative. Alla radice di molte regole che differenziano pubblico e privato vi è ad esempio la persistente difficoltà di inserire nelle organizzazioni pubbliche figure dirigenziali competenti e autonome nella gestione dinamica delle svariate risorse dell’amministrazione e, innanzitutto, del personale.

Invece nel privato all’origine di molte regole, ben lontane dagli equilibri giusla-voristici dei primi anni ’90, sono giustificate dall’emergenza occupazionale e dal-l’obiettivo di regolare il mercato del lavoro, piuttosto che il contratto di lavoro in sé e per sé. Anche qui i nessi esistono e come: riduzione del costo del lavoro e poten-ziamento dell’effetto disciplina possono infatti “liberare” molte scelte organizzative a livello di ciascuna impresa. Però – mentre lungo questa linea si rischia di trala-sciare principi, valori e vincoli ancora presenti in Costituzione – tutt’altro che chia-ro e dimostrato è se la riforma legislativa del contratto di lavoro subordinato e din-torni abbia un positivo impatto su quantità e qualità dell’occupazione 35. Intanto quel proposito giustifica nel privato determinate politiche del diritto che imprimono una particolare curvatura al contratto di lavoro nell’impresa, curvatura che invece non ha alcun senso nel pubblico (l’effetto occupazionale perseguito nel pubblico è stato di segno diametralmente opposto: ridurre gli occupati, contenere il turn-over per gli effetti immediati sulla spesa pubblica).

35 V. ZOPPOLI A., Legittimità costituzionale del contratto di lavoro a tutele crescenti, tutela reale per il licenziamento ingiustificato, tecnica del bilanciamento, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Anto-na”.IT – 260/2015.

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Osservando queste dinamiche incrociate, potrebbe dirsi che una significativa dif-ferenza tra pubblico e privato che si può cogliere sul piano ordinamentale è quella di una più incisiva costituzionalizzazione della disciplina del contratto nel pubblico in presenza di un linea di alleggerimento della recezione di principi costituzionali nella legislazione lavoristica di stampo squisitamente privatistico. Potrebbe essere questa una direzione di ripubblicizzazione innovativa, caratterizzata da un contratto di lavoro che nel pubblico viene non sgravato ma gravato di ulteriori valori di rilie-vo costituzionale (per esemplificare alla stabilità si aggiunge il pareggio di bilan-cio), mentre nel privato si va nel senso contrario. Sarebbe però a ben guardare una linea di riflessione che fa riverberare sul piano del contratto individuale esigenze sistematiche che non dovrebbero entrare nella regolazione conforme a Costituzione della struttura tipica del rapporto di lavoro subordinato (e dintorni, ma i dintorni sa-rebbero da capire meglio).

Comunque quest’ultima riflessione ci consente di formulare una conclusione (forse) di qualche rilievo teorico. Lo schema del contratto di lavoro subordinato come contratto di scambio con finalità organizzative contenute dall’esigenza di tu-tela complessiva della persona del lavoratore pare ancora posto giustamente al cen-tro della legislazione sul lavoro privato e pubblico. Esso indubbiamente si differen-zia per molte regole legali specifiche di varia ispirazione e finalità. Molte di queste regole potrebbero essere ulteriormente sottoposte ad una prova di resistenza e even-tualmente modificate in un senso o nell’altro. Però sovraccaricare la disciplina lega-le del contratto per garantirne specifiche finalità organizzative non sembra la via più coerente con l’equilibrio funzionale della fattispecie. In essa devono confluire sì esigenze organizzative di vario genere – anche orientate a realizzare diritti costitu-zionali e interessi pubblici – ma attraverso il concreto esercizio dei poteri ricono-sciuti al creditore nel rispetto degli interessi della controparte e sempreché il sub-strato organizzativo sia idoneo a realizzare quegli interessi. Se le esigenze organiz-zative non vengono soddisfatte essenzialmente per problemi riguardanti il substrato organizzativo in senso stretto, a nulla serve accanirsi sulla disciplina del contratto o del rapporto di lavoro del dipendente. Occorre intervenire – con la regolazione, an-che legislativa, o altrimenti – sul substrato organizzativo, calibrando regole e inter-venti sulle specifiche esigenze di ottimizzazione del contesto organizzativo (nel quale qui ricomprendo anche la regia soggettiva e i sistemi di valutazione 36).

La regolazione giuslavoristica poi contiene adeguati strumenti per adattare an-che in una certa misura la disciplina dei contratti di lavoro alle specifiche esigenze

36 V. ZOPPOLI L., Retribuzione e ruolo unico: filosofie organizzativo-istituzionali e tecniche regola-tive, in questa Rivista, 2016, 43 ss.; NICOSIA, Controllori e controllati; amministratori e amministrati: i percorsi di apprendimento organizzativo tracciati dalla riforma Madia del 2017 e MONDA, La valuta-zione delle performance: programmazione degli obiettivi e gestione premiale, in ESPOSITO-LUCIANI-ZOPPOLI A.-ZOPPOLI L., op. cit.

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micro-organizzative, a cominciare da una corretta contrattazione integrativa. Biso-gna far funzionare tali strumenti.

A mio parere ciò che è venuto a mancare negli ultimi 10 anni nel lavoro pubbli-co è stato, come ho detto anche altre volte 37, la consapevolezza della centralità della dimensione micro-organizzativo nella garanzia della funzionalità delle amministra-zioni. E questa consapevolezza deve accomunare tutti gli attori che possono inter-venire in quella dimensione. Che oggi, dopo la riforma Madia, sono i soliti, ma con un maggior peso riconosciuto a vertice politico e, in misura minore, ai soggetti sin-dacali.

Nel privato gli attori sono ben diversi, con una crescente prevalenza del soggetto imprenditoriale, specie se di adeguato dimensionamento complessivo, che oggi tro-va nel diritto del lavoro un sostegno plurimo (meno vincoli legali e minore costo del lavoro). Senza però che le finalità perseguite della sua organizzazione siano granché condizionate dalla realizzazione di risultati di interesse generale.

Ne consegue che la responsabilità del funzionamento ottimale delle organizza-zioni, almeno sotto il profilo organizzativo, grava su soggetti diversi nel pubblico e nel privato. E questa mi pare, al netto della libertà di perseguimento dei risultati (massima nel privato, giustamente ridotta nel pubblico), ancora la maggiore diffe-renza a valle della complessa e tortuosa stagione delle riforme in grado di ripercuo-tersi profondamente sugli assetti regolativi dei rapporti di lavoro.

37 Da ultimo nel saggio appena citato.

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GLI INFINITI TORMENTI DEL LAVORO PUBBLICO

ALESSANDRO BELLAVISTA

Cambiano i governi e, purtroppo, in Italia, le cose restano in sostanza uguali, seppure in apparenza ne risulti mutata la forma. Questa purtroppo non è una facile battuta, ma la constatazione di un’amara realtà, specie se si concentra la visuale sul-le questioni concernenti le dinamiche del settore del lavoro pubblico, della dirigen-za e, più in generale, della ricerca di strumenti atti a migliorare l’efficienza com-plessiva delle pubbliche amministrazioni. Anzitutto, e per fortuna, il tempo ha dato ragione a chi, nonostante le imperanti narrazioni di stampo neoliberista, ha sempre sostenuto l’importanza della presenza di un ramificato apparato pubblico di eroga-zione di servizi, per sostenere lo sviluppo del paese, per mantenere la coesione so-ciale, per soddisfare i bisogni essenziali dei cittadini e per contribuire alla diffusione dell’educazione e della civiltà.

Il problema concreto è, al momento, diventato, infatti, più che la riduzione dello spazio pubblico (di cui in sostanza non si parla più, visto che s’è accertato che il “privato” spesso non è bello come appare nelle favole) quello di aumentare la capa-cità di risposta delle pubbliche amministrazioni alle esigenze della società e quindi di incrementare ciò che si definisce come efficacia ed efficienza dell’azione ammi-nistrativa. Purtroppo, a questo proposito, i policy makers, in modo bipartisan, con-tinuano a pensare e, soprattutto, a diffondere, con tecniche sempre più fantasiose di marketing elettorale e di storytelling, l’idea che le cose possano cambiare a colpi di mere riforme legislative senza curarsi effettivamente di svolgere azioni di governo nella direzione auspicata. Così, ormai, è prassi abituale che ogni Governo, all’atto del suo insediamento, annunci la necessità di una riforma epocale della pubblica amministrazione.

Di conseguenza, il discorso pubblico è stato (ed è sempre) dominato dal cosid-detto mito della riforma della pubblica amministrazione. Certo, vi sono differenze sostanziale tra i vari periodi temporali. Fino agli novanta del secolo scorso, gli in-terventi si sono ridotti, in concreto, a piccoli ritocchi dello stato giuridico ed eco-nomico del personale; ritocchi che anzi sono stati fortemente influenzati dalle esi-genze di quest’ultimo soprattutto nell’applicazione pratica. E anche l’importante provvedimento che ha istituito nel 1972 la dirigenza pubblica statale è stato in so-

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stanza travolto nei fatti (rectius, dalle forze e dagli interessi che si opponevano alla trasformazione); in quanto, come ebbe a dimostrare magistralmente Sabino Cassese, si instaurò immediatamente uno scambio tra potere e sicurezza tra organi politici e dirigenza, a seguito del quale la dirigenza rinunciò a svolgere i compiti affidatigli dalla legge in cambio della garanzia della conservazione della sua posizione privi-legiata. I percorsi riformatori avviati a partire dagli anni novanta del secolo scorso sono stati alquanto più radicali dei precedenti e hanno cercato, invero, di risolvere i problemi manifestatisi in passato, tenendo conto di un’importante quantità di studi e di ricerche sul campo. Tuttavia, da allora fino ad oggi, si continua a commettere lo stesso errore. L’innovazione è progettata dall’alto, spesso (ma non sempre) è tecni-camente ben costruita, però si dimentica di creare gli appositi strumenti volti a ga-rantire il rispetto degli obiettivi prefigurati. È mancata, e manca, cioè la capacità di governo, in concreto (day to day), nella direzione dell’effettivo cambiamento. Il che presuppone, come dimostra tutta la letteratura più importante, soprattutto il coin-volgimento attivo delle persone lungo la traiettoria riformatrice. Coinvolgimento che può essere realizzato attraverso una costante opera di formazione del personale, di costruzione della cosiddetta etica del servizio pubblico, di valorizzazione reale della professionalità e del merito. Si tratta cioè di creare un ambiente organizzativo in cui tutti i dipendenti si sentano veri attori protagonisti e non mere comparse. Le persone dovrebbero essere in grado di introiettare, nella loro azione giornaliera, gli obiettivi fondamentali della rispettiva organizzazione, in modo tale che la soddisfa-zione delle esigenze del cittadino diventi anche gratificazione dello stesso lavorato-re. Invece, proprio negli ultimi anni, s’è raggiunto il picco del fallimento. Ciò quan-do, con la cosiddetta riforma Brunetta, s’è instaurata una sorta di moderna caccia alle streghe, etichettando i pubblici dipendenti come fannulloni da stanare e da ob-bligare a lavorare con gli antichi metodi da caserma del bastone e della carota. È evidente che con un atteggiamento del genere era impossibile trovare un minimo di condivisione da parte delle maestranze; e infatti tale progetto è stato boicottato in tutti i modi fino a costringere lo stesso Brunetta a repentine marce indietro e a con-gelare sine die gli istituti più esasperati.

D’altra parte, è ormai consapevolezza comune che l’azione pubblica è un ele-mento indispensabile per lo sviluppo e la crescita economica. Ma, per raggiungere risultati virtuosi, è necessaria una pubblica amministrazione che si muova proprio nella direzione del soddisfacimento degli interessi della collettività. E un tassello di un’effettiva strategia di rilancio dell’azione amministrativa è rappresentato da una politica di reale coinvolgimento e motivazione dei dipendenti pubblici in modo chiaro e trasparente. Tutto questo richiede che il ceto politico di governo si faccia carico dell’imprescindibile esigenza della rimodulazione della macchina ammini-strativa in funzione degli interessi generali e abbandoni la prassi prevalente di con-siderarla come struttura servente per il soddisfacimento delle ragioni particolaristi-che e clientelari.

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Anche in tempi recenti l’azione politica ha manifestato tutta una serie di ambi-guità. Il governo Renzi aveva lanciato, con un’ampia pubblicità su tutti i media e con un ingente schieramento di forze d’assalto, una vastissima campagna riforma-trice di ogni settore della pubblica amministrazione che ancora, al di là della muta-zione formale di alcune regole, proprio sul piano della realtà effettuale non ha pro-dotto alcun effetto. Per giunta, la revisione della disciplina della dirigenza pubblica è stata bloccata dalla Consulta a causa di un grave errore procedurale del Governo che non aveva raggiunto, con le regioni, l’accordo preventivo sul testo da varare de-finitivamente.

Così, scaduta la delega per la dirigenza pubblica, ogni prospettiva riformatrice in quest’ambito è stata rinviata a data da destinarsi, visto anche la prossima scadenza dell’attuale legislatura. Invece, sono stati definiti i decreti concernenti la modifica della disciplina del lavoro pubblico (D.Lgs. n. 75/2017) e del sistema di valutazione (D.Lgs. n. 74/2017).

Orbene, non è questa la sede per soffermarsi sui dettagli tecnici di tali provve-dimenti (cosiddetta riforma Madia), ma è necessario svolgere alcuni considerazioni essenziali.

L’impressione generale è quella che il Governo si sia mosso in una direzione, in sostanza, influenzata dal soffio del vento delle incipienti elezioni (stante che, come s’è appena detto, la legislatura volge comunque al termine). E quindi l’operazione è stata quella di tentare di riconquistare il consenso perduto, nel settore del lavoro pubblico, e specie presso le grandi organizzazioni sindacali, di cui la sconfitta refe-rendaria dello scorso dicembre ne è un chiaro esempio. D’altra parte, il Governo di centro-sinistra, fin dai suoi albori, non ha avuto un buon rapporto con le rappresen-tanze del mondo del lavoro, in quanto deprecava, a chiare lettere, le prassi concerta-tive e teorizzava apertamente la cosiddetta disintermediazione. Lo stesso Governo ha rallentato il più possibile l’avvio della contrattazione collettiva, specie per il rin-novo della parte economica degli accordi (ormai bloccata dal 2010), nonostante la censura della Consulta (sentenza n. 178/2015). Sorprendentemente, però, esso ha cominciato in concreto a porre in essere i primi passi, per la riapertura dei tavoli di contrattazione, appena prima del referendum costituzionale, con un apposito accor-do ai massimi livelli (il 30 novembre 2016), con l’ulteriore promessa di restituire all’azione sindacale alcune competenze sottratte dalla precedente riforma Brunetta.

In quest’ottica di palese scambio politico, possono essere lette le novelle norma-tive volte a consentire alla contrattazione collettiva di recuperare un po’ di spazio di azione rispetto alla legge e alla regolazione unilaterale. Si tratta di innovazioni che vanno valutate positivamente, perché annullano il tentativo della riforma Brunetta di eliminare una fonte indispensabile della disciplina del lavoro pubblico, vale a di-re la contrattazione collettiva. La situazione appare, tuttavia, paradossale, perché dalla lettura della legge delega (legge n. 124/2015) poteva desumersi un’intenzione affatto contraria. E cioè, per quanto molti dei principi della legge delega fossero al-

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quanto generici e indeterminati, non era difficile ricavare da essi una forte continui-tà con la riforma Brunetta circa il mantenimento di rigide restrizioni alla contratta-zione collettiva e la considerazione di quest’ultima con estrema diffidenza, come occasione di costi e di inefficienza e non come importante risorsa organizzativa per le amministrazioni. Il che è confermato dal fatto che, secondo una diffusa opinione, la nuova disposizione dell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 è viziata di illegit-timità costituzionale per eccesso di delega. La novella riporta i rapporti tra regola-zione unilaterale e contrattazione collettiva al momento antecedente la riforma Bru-netta. Infatti, essa oggi consente alla contrattazione collettiva nazionale (successiva) di derogare alle fonti unilaterali che, in precedenza, abbiano introdotte discipline speciali per i lavoratori pubblici. Il che ristabilisce la giusta primazia della contrat-tazione collettiva come fonte generale delle regole del lavoro pubblico ed evita il rischio di “leggine” particolari e di privilegio, a meno che ovviamente non sia il le-gislatore stesso ad assumersi la responsabilità di dichiarare le sue norme inderogabi-li da parte della contrattazione collettiva. Tuttavia, delle possibilità di operare un intervento sul sistema dei rapporti tra regolazione unilaterale e contrattazione collet-tiva non v’è alcuna traccia nella legge delega, mentre quando il legislatore della ri-forma Brunetta volle intervenire sul punto introdusse, nella legge n. 15/2009, un’e-splicita previsione. Tutto ciò avvalora l’idea che il rapido cambio di rotta sia stato causato soprattutto da ragioni prettamente politiche e non da una seria ponderazione sul valore aggiunto del dialogo con le rappresentanze del lavoro, pur ovviamente nella reciproca distinzione di ruoli.

Per il resto, gran parte delle innovazioni apportate dai due decreti hanno un valo-re puramente simbolico, come, per esempio, alcune disposizione in tema di contrat-tazione collettiva che avrebbero potuto tranquillamente costituire oggetto di apposi-te direttive all’Aran, senza la necessità di cristallizzarle in formule legislative. Pre-occupante è però la complessa disciplina della sanatoria della contrattazione inte-grativa che abbia sfondato i limiti di spesa ad essa imposti. Cosa è questa?, se non l’ammissione del fallimento di un’impostazione che cerca aprioristicamente di in-gabbiare dinamiche che vanno al di là di qualunque tentativo dirigistico e che sono basate su logiche di scambio politiche ed elettorali? Singolare è che il legislatore invece di tentare di evitare l’enfatizzazione di queste dinamiche, di fatto le legittima.

Inoltre, non è apparente, bensì reale, l’allargamento dello spazio della partecipa-zione sindacale operato dalla riforma Madia rispetto alla situazione precedente. Ap-prezzabile è sicuramente il fatto che le associazioni sindacali abbiano la possibilità di essere consultate circa le scelte gestionali delle amministrazioni e di potere e-sprimere il loro punto di vista. Tuttavia, è altresì importante che il nuovo sistema di relazioni sindacali, che va costruito dalla contrattazione collettiva nazionale in itine-re, non costituisca l’occasione per introdurre nuovamente, in modo surrettizio, mo-menti di cogestione (com’è accaduto in passato con la cosiddetta concertazione) e di contrattazione occulta nell’area dell’organizzazione amministrativa che non può

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che rimanere una prerogativa esclusiva del management pubblico, come si verifica nel settore privato.

In effetti, ciò che, però, il legislatore dimentica (o fa finta di dimenticare) è che una vera contrattazione collettiva nel mondo del lavoro pubblico (che non sia collu-siva e a danno degli interessi dei cittadini) può esistere solo se effettivamente lì ci sia un vero datore di lavoro, che sia in conflitto d’interessi con la controparte e che possa quindi realmente contrattare. Ma dove è il datore di lavoro pubblico? L’attua-le disciplina dei rapporti tra politica e amministrazione rende la dirigenza ostaggio del potere politico e quindi subalterna ai suoi voleri. Lo schema di riforma della di-rigenza cassato dalla Consulta avrebbe peggiorato le cose, perché la dirigenza sa-rebbe divenuta ancora più precaria e quindi più debole. E una dirigenza debole non è in grado di agire con autonomia e responsabilità, di affermare le superiori esigen-ze degli interessi pubblici nei confronti dei lavoratori, delle loro organizzazioni e dello stesso potere politico.

La verità è che, come dimostra la lunga storia dei tormentati rapporti tra politica e amministrazione, il potere politico non può (si potrebbe dire, ontologicamente) tollerare una dirigenza veramente autonoma e imparziale, perché essa sarebbe di ostacolo alla perversa tendenza del primo di invadere l’amministrazione e di usarla a proprio uso e consumo; e quindi di raccogliere consenso elettorale e, sul piano delle relazioni di lavoro, di flirtare con i lavoratori e le rispettive organizzazioni. Pertan-to, è indispensabile iniziare dalla testa e non dai piedi del sistema.

Va così ripetutamente sottolineato che la questione dei rapporti tra politica e amministrazione è il problema dei problemi di ogni serio tentativo di riforma del-l’intero sistema delle pubbliche amministrazioni. Ma, come si vede, questa impre-scindibile consapevolezza non trova ascolto nelle sedi decisionali, dove invece ven-gono adottate scelte del tutto inefficienti e soprattutto si preferisce (in modo biparti-san) preservare lo status quo. Sicché, l’alternativa è chiara e non ammette soluzioni ambigue. Un’opzione può essere quella di portare a termine l’idea ispiratrice delle riforme avviate negli anni novanta del secolo scorso e quindi di introdurre effetti-vamente quelle garanzie che permettano alla dirigenza amministrativa di svolgere in pieno le proprie funzioni di datore di lavoro, senza subire le indebite pressioni del potere politico al momento titolare dell’illimitato potere di decidere su ogni aspetto della carriera dei dirigenti e che quindi ha su di essi un sostanziale ius vitae ac ne-cis. Oppure, si prenda atto che, al momento, il reale datore di lavoro pubblico è co-stituito dagli organi politici di vertice delle amministrazioni e che costoro, proprio in quanto sono istituzioni politiche, sono esposti a vincoli ed incentivi di tipo eletto-rale ben lontani da quelli che operano nel mercato privato e concorrenziale. Da tem-po si riflette sugli strumenti più opportuni per ridurre l’influenza del mercato elet-torale sugli organi politici. A questo proposito, nei documenti programmatici che illustravano gli aspetti generali del suo intervento riformatore, il Ministro Brunetta parlava della necessità di introdurre un istituto come il cosiddetto “fallimento politi-

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co”: e cioè un apparato di sanzioni a carico degli organi politici che avessero scelto dirigenti non in grado di garantire l’efficienza delle rispettive amministrazioni o che si fossero resi direttamente autori di decisioni a danno delle medesime. Ma poi di tutto ciò non si fece nulla. E oggi come prima l’unica forma di responsabilità a cui restano assoggettati gli organi politici è quella elettorale che, com’è noto, in un pae-se come l’Italia, è del tutto inefficace, per un vario ordine di motivi.

La stessa risolutezza andrebbe adottata sul piano macro della contrattazione col-lettiva nazionale, cercando di allontanare sempre di più le perverse istanze della po-litica dai tavoli contrattuali, con un vero rafforzamento dell’autonomia d’azione del negoziatore pubblico, che dovrebbe avere la possibilità di muoversi, nell’interesse generale, tenendo conto delle direttive delle amministrazioni rappresentate, senza però essere costretto ad accettare indicazioni esorbitanti dai vincoli legislativi e fi-nanziari. Basti pensare, infatti, che le passate tornate contrattuali hanno prodotto contratti nazionali zeppi di disposizioni contra legem e che sfondavano i liniti di spesa. E ciò è dipeso dalla circostanza che le amministrazioni interessate, per mezzo dei rispettivi comitati di settore, imponevano all’Aran di accettare gli accordi sotto-banco già preventivamente realizzati con le organizzazioni sindacali per evidenti motivi elettorali e di acquisizione del consenso, in pieno dispregio delle ragioni del-la collettività e degli utenti dei servizi pubblici.

Altresì importante è ribadire con forza che le pubbliche amministrazioni sono al servizio dei cittadini e quindi della collettività che, di fatto, rappresentano i loro veri padroni. Così, è imprescindibile l’attivazione di effettivi ed oggettivi sistemi di va-lutazione sull’efficacia e sull’efficienza delle politiche pubbliche, sull’impatto dei relativi servizi e perciò sui livelli di soddisfazione degli utenti e dei cittadini. Solo grazie alla disponibilità di un siffatto patrimonio conoscitivo è poi possibile attivare idonei meccanismi di valutazione della dirigenza e del resto del personale e comun-que adottare le opportune scelte strategiche ed organizzative orientandole verso un miglioramento della performance complessiva. Ma anche qui si assiste, nel discorso pubblico, ad un profondo iato tra gli annunci e le realizzazioni concrete. Lunga è la catena delle responsabilità di questo deprecabile ordine di cose che favorisce il mantenimento di una sorta di armistizio tra le varie “voci di dentro” e gli “spiriti animali” delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, è evidente che per primo sul banco degli imputati dovrebbe salire il ceto politico di governo che disdegna ogni forma di valutazione sul proprio operato che non sia quella dell’ordalia elettorale. Sicché, solo una grande mobilitazione della società e della parte migliore degli atto-ri presenti all’interno delle pubbliche amministrazioni potrà indurre lo stesso ceto politico ad allentare tale resistenza. Un evidente esempio della tendenza della poli-tica a difendere strenuamente la sua autoreferenzialità è offerto dal rilievo che, in breve tempo, negli ultimi anni, amministrazioni non espressione di rappresentanza politica, come quelle delle università, sono state sottoposte ad intensissimi e perva-sivi (e talvolta eccessivi) processi di valutazione su tutte le loro attività. Mentre in

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tutte le amministrazioni controllate direttamente dalla politica, come s’è appena det-to, gli obblighi imposti dalla legge di introdurre simili forme di valutazione non so-no mai stati sostanzialmente rispettati.

È quasi superfluo osservare che l’ultima riforma qui in esame non affronta, se non con estrema superficialità, il tema cruciale della valutazione in tutti gli ambiti poc’anzi esaminati. Ci si limita, infatti, da un lato, quanto al personale, ad abbattere la “gabbia d’acciaio” della riforma Brunetta e a rivitalizzare l’intervento della con-trattazione collettiva in ordine ai criteri per la differenziazione dei giudizi sui singo-li lavoratori. Dall’altro, ad aggiornare direttive già contenute nella medesima rifor-ma Brunetta tra cui quelle volte a prevedere la partecipazione dei cittadini al pro-cesso di misurazione delle performance organizzative e l’introduzione di sistemi di rilevazione del grado di soddisfazione degli utenti e dei cittadini in relazione alle attività e ai servizi erogati da parte delle amministrazioni. Solo il futuro consentirà di verificare se tale novella troverà effettiva applicazione o se verrà del tutto conge-lata com’è già accaduto in precedenza.

Un’ultima osservazione. Anche la stessa ossessione governativa sui lavoratori assenteisti ovvero i cosiddetti “furbetti del cartellino” può essere letta in termini di pura strategia di marketing elettorale e di diffusione dell’illusione circa le virtù taumaturgiche della legislazione. In pratica, il potere politico necessita di sedurre gli elettori, scontenti delle inefficienze di alcuni uffici delle pubbliche amministrazioni e comunque colpiti dagli effetti della crisi che mette in dubbio tante certezze esi-stenziali. In questo modo, parlando degli assenteisti, della propria volontà di colpire chi non vuole lavorare, e introducendo nuove norme in materia disciplinare, il Go-verno distoglie l’attenzione del pubblico sui reali problemi della società italiana che forse proprio lo stesso Governo non vuole o non può risolvere. In effetti, anche prima di tutte le novelle degli ultimi tempi, licenziare gli assenteisti era estrema-mente semplice, purché lo si fosse voluto effettivamente. Ma chi ha protetto (e non è detto che non continui a farlo) gli assenteisti? La risposta è facile, a dir poco ov-via: il potere politico che ha la guida delle amministrazioni e che, molto difficil-mente, tende ad inimicarsi i suoi elettori più facilmente conquistabili.

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LA RIFORMA MANCATA: IL RUOLO DELLA DIRIGENZA PUBBLICA NEI NUOVI ASSETTI

ALESSANDRO BOSCATI

Sommario: 1. Premessa: specificità e criticità della dirigenza pubblica tra disciplina vigente e prospettive di riforma. – 2. La legge Madia e il decreto delegato di riforma della dirigenza. Gli elementi qualificanti. – 3. Segue: la sentenza n. 251/2016 della Corte Costituzionale ed il ritiro da parte del Governo del decreto de-legato appena approvato. – 4. I decreti attuativi della legge delega n. 124/2015 e i riflessi sulla disciplina della dirigenza. Il D.Lgs. n. 74/2017. – 5. Segue: il D.Lgs. n. 75/2017. – 6. Cosa ci lascia la mancata attua-zione dell’art. 11 della legge delega n. 124/2015. Che cosa si sarebbe potuto fare? – 7. Segue: indebolimen-to del principio di distinzione funzionale tra politica ed amministrazione nello schema di decreto delegato di riforma della dirigenza. 7.1. Segue: Criticità della disciplina vigente: a) definizione ed assegnazione de-gli obiettivi. – 7.2. Segue: b) disciplina del conferimento degli incarichi. – 8. Segue: la contrattualizzazione del rapporto di lavoro e l’esercizio dei poteri datoriali. – 9. Riflessioni conclusive.

1. Premessa: specificità e criticità della dirigenza pubblica tra disciplina vigente e prospettive di riforma

È circostanza nota la centralità rivestita dal tema del personale in tutti i processi di riforma della pubblica amministrazione 1. Ed è del pari indiscusso che nell’am-bito di tali processi un’attenzione particolare sia stata dedicata alla dirigenza. Così è stato fin dal d.P.R. n. 748/1972 con cui la categoria dirigenziale è stata introdotta nel settore pubblico, al tempo rigidamente ancorato al regime pubblicistico anche per quanto concerne la disciplina del rapporto di lavoro, per differenziarne compiti e ruolo rispetto agli altri dipendenti e con cui si è fissato il principio di separazione tra politica ed amministrazione, con attribuzione di compiti di indirizzo alla prima e di gestione alla burocrazia 2. E lo è stato con ancora maggiore accentuazione a se-

1 Cfr. per una ricostruzione in termini critici del processo che ha portato alla contrattualizzazione del pubblico impiego, v., in particolare, F. CARINCI, Una riforma “conclusa”. Fra norma scritta e prassi applicativa, in F. CARINCI-L. ZOPPOLI (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da F. Carinci, vol. V, Torino, 2004, XLIII ss.

2 Sui contenuti del d.P.R. n. 748/1972, COLAPIETRO, voce Dirigenti pubblici, in DDPubbl., vol. V, To-rino, 1990, 119; RAIMONDI, voce Dirigenza, in EGT, vol. XI, Roma, 1989.

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guito della scelta di contrattualizzare il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, originariamente pensata per il solo personale del comparto e poi immediatamente estesa anche alla dirigenza di base dalla legge delega n. 421/1992 e dal successivo decreto delegato n. 29/1993, per poi ricomprendere, con gli interventi del 1997-1998, anche la dirigenza apicale.

La contrattualizzazione del rapporto di lavoro dell’intera dirigenza costituisce il primo dei due pilastri su cui si fonda la disciplina della categoria dirigenziale; il se-condo è rappresentato dal confermato principio di distinzione funzionale tra politica ed amministrazione che deve essere letto in continuità con quanto già introdotto dalla riforma del 1972, ma da considerare, quanto per i compiti e per le responsabi-lità della dirigenza, alla luce della natura privatistica del rapporto di lavoro. Due prin-cipi cardine che sono stati in seguito sempre confermati: così la legge n. 145/2002, nell’ambito di un progetto di riforma che ha significativamente ridisegnato le moda-lità di conferimento degli incarichi, con l’obiettivo (almeno dichiarato) di rafforzare l’autonomia della dirigenza rispetto alla politica 3; così ancora, il decreto delegato n. 150/2009 (c.d. legge Brunetta) che, con modalità non sempre lineari, ha inteso raf-forzare l’autonomia gestionale della categoria dirigenziale e la sua autonomia ri-spetto alla politica ed alle organizzazioni sindacali, finendo tuttavia nei fatti per li-mitare la discrezionalità dell’agire a favore della esecuzione puntuale 4; analoga-mente l’art. 11 della legge n. 124/2015 e lo schema di decreto delegato che ne costi-tuiva attuazione avevano l’obiettivo (come si avrà modo di esplicitare in seguito, non sempre coerentemente perseguito) di emancipare la dirigenza dalla politica al fine di consentirle di agire in maniera effettivamente autonoma e responsabile per l’at-tuazione delle politiche pubbliche 5.

Tutti i descritti interventi normativi, ancorché espressione di opzioni ideologiche

3 Sulle novità introdotte dalle legge n. 145/2002 v. CORPACI, Riflessioni sulla dirigenza pubblica alla luce della l. n. 145 del 2002, in questa Rivista, 2002, 859; COLAPIETRO, La «controriforma» del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica (l. 15 luglio 2002, n. 145), in NLCC, 2002, p. 639; D’ORTA, Gli incari-chi dirigenziali nello stato dopo la l. 145/2002, in questa Rivista, 2002, 929.

4 Sulla riforma Brunetta, senza pretesa di esaustività, v. AA.VV., La terza riforma del lavoro nelle Pubbliche amministrazioni, parti I-II-III, in questa Rivista rispettivamente: 2008, 949 ss.; 2009, 1 ss. e 2009, 469 ss.; L. ZOPPOLI (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009; AA.VV., La riforma “Brunetta” del lavoro pubblico, in GDA, 2010, p. 1 ss.; PERSIANI (a cura di), La nuova disciplina della dirigenza pubblica, in GI, 2010, I, 2697 ss.; AA.VV., Il pubblico impiego dopo la riforma del 2009, in RGL, 2010, I, 447 ss.; F. CARINCI-MAINARDI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico, Milano, 2011; NAPOLI-GARILLI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico tra aziendalismo e autoritarismo, Padova, 2013.

5 Sui contenuti della legge delega n. 124/2015 v. AA.VV., La riforma del lavoro pubblico, in RGL, 2015, I, 473 ss.; AA.VV., La riforma della pubblica amministrazione, in GDA, 2015, 621 ss.; BATTINI, Al servizio della Nazione? Verso un nuovo modello di disciplina della dirigenza e del personale pubbli-co, Relazione presentata al convegno di Varenna – 23 settembre 2016.

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diverse, si sono connotati per l’obiettivo comune (almeno dichiarato) di rafforzare il ruolo della dirigenza, considerata il perno del sistema per migliorare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione della pubblica amministrazione. Un incremen-to che, tuttavia, in alcuni settori della pubblica amministrazione può risultare di dif-ficile misurabilità in assenza di un mercato con cui confrontarsi. E ciò a prescindere da ogni considerazione relativa alla presenza di congrui sistemi di valutazione, in molti casi presenti solo nelle regolamentazioni degli enti 6.

Altro importante elemento da considerare attiene agli indubbi elementi di speci-ficità della dirigenza pubblica rispetto a quella del settore privato. Al pari del diri-gente privato il dirigente pubblico è un prestatore di lavoro, ma nel contempo rive-ste anche il ruolo di datore di lavoro nei confronti dei dipendenti assegnati al pro-prio ufficio, sì da essere descritto con la nota figura mitologica del Giano Bifronte.

Il dirigente pubblico “dipendente” è assunto al pari di quello privato con un con-tratto individuale di lavoro, ma presenta una doppia specificità. La prima è che il contratto di assunzione attribuisce la sola qualifica dirigenziale ed il dirigente nel corso del rapporto sarà destinatario di molteplici incarichi a termine 7. La seconda è che il dirigente pubblico contrattualizzato è tenuto ad esercitare anche poteri pub-blicistici. Di qui l’ampio dibattito nato dall’esigenza di far convivere (e giustificare) in capo alla medesima figura la natura privatistica del rapporto di lavoro con l’eser-cizio di poteri pubblici o, detto diversamente, l’adempimento del contratto di lavoro con l’esercizio della pubblica funzione. La composizione di tale apparente dicoto-mia si è avuta con il riconoscimento della natura privatistica dell’atto di conferi-mento dell’incarico quale atto determinativo delle mansioni e di assegnazione alla direzione di una determinata struttura, presupposto per l’esercizio di tutti i poteri, anche quelli pubblicistici, propri dell’ufficio di attribuzione secondo l’articolazione organizzativa definita ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001 8.

6 Come evidenziato dalle “Linee guida per il Sistema di misurazione e valutazione della performance dei Ministeri” redatte dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica. Ufficio per la valutazione della performance del dicembre 2017 la fase di misurazione serve a quantificare i risultati raggiunti dall’amministrazione nel suo complesso, i contributi delle articolazioni organizzative e dei gruppi (performance organizzativa) e i contributi individuali (performance individuali), mentre la valu-tazione formula un “giudizio” complessivo sulla performance, cercando di comprendere i fattori (interni ed esterni) che possono aver influito positivamente o negativamente sul grado di raggiungimento degli obiet-tivi medesimi, anche al fine di apprendere per migliorare nell’anno successivo.

7 Come ha rilevato D’AURIA, La tormentata riforma della dirigenza pubblica, in questa Rivista, 2001, 20, l’elemento di specialità del rapporto di lavoro del dirigente pubblico di ruolo è dato dalla convivenza nel corso del rapporto di un contratto di lavoro a tempo indeterminato ed una serie di inca-richi a termine.

8 La giurisprudenza è univoca nel riconoscere natura privatistica all’atto di conferimento dell’incari-co dirigenziale: v., dopo l’affermazione della natura privatistica dell’atto di conferimento da parte di Cass. 20 marzo 2004, n. 5659, in questa Rivista, 2004, 153 ss. (i principi contenuti in tale decisione era- 

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Quanto al dirigente pubblico “datore di lavoro” la peculiare connotazione consi-ste nell’attribuzione di prerogative datoriali diverse (e per taluni profili addirittura più ampie) di quelle proprie del dirigente privato il cui esercizio è però talvolta as-soggettato a precisi vincoli tali da limitare l’autonomia d’azione.

Nonostante i plurimi interventi di riforma le complessità riferite alla figura del dirigente pubblico sono molteplici; la dirigenza rimane continuamente alla ricerca di una propria identità e, facendo proprio quanto già esplicitato da altri, “vive so-spesa, in bilico tra pubblico e privato, tra tecnica e politica, tra imparzialità e fidu-ciarietà” 9.

Nei prossimi paragrafi saranno innanzitutto richiamati, in maniera sintetica, i contenuti dello schema di decreto delegato di riforma della dirigenza approvato dal Governo ed immediatamente ritirato per effetto della nota sentenza della Corte Co-stituzionale n. 251/2016 e si analizzeranno i decreti legislativi nn. 74 e 75 del 2017 nelle parti che più direttamente incidono sulla posizione dirigenziale. Tale ricostru-zione costituirà la premessa per approfondire due temi centrali, quello della distin-zione funzionale tra politica ed amministrazione e quello della contrattualizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza e dell’esercizio delle prerogative manageriali, cercando di individuare i profili di criticità e di delineare quello che potrebbe essere l’assetto futuro della dirigenza, riprendendo anche alcune soluzioni tracciate nel re-cente passato, ma forse troppo presto abbandonate.

2. La legge Madia e il decreto delegato di riforma della dirigenza. Gli elementi qualificanti

L’art. 11 della legge n. 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di ri-organizzazione delle amministrazioni pubbliche” dedicava una specifica attenzione alla riforma della dirigenza, dettando appositi principi di delega che erano da consi-

no stati anticipati da Corte di Cassazione – Consiglio di Stato, Relazione di sintesi dei lavori della Commissione di studio istituita dai presidenti della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato per l’approfondimento dei problemi di maggiore rilievo in tema di riparto di giurisdizione, in FI, 2004, V, 38), nello stesso senso, tra le molte, Cass., S.U., 9 dicembre 2004, n. 22990, in GC, 2005, I, 1392; Cass., S.U., 5 luglio 2005, n. 14252, in FI, 2006, I, 1487; Cass. 14 aprile 2008, n. 9814, in GC, 2008, I, p. 3046; Cass. 26 novembre 2008, n. 28274, in GC, 2009, I, 2850; Cass. 30 settembre 2009, n. 20979, in GC, 2010, I, 2350; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27888; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088, in FI, 2011, I, 804; Cass. 26 settembre 2011, n. 19630, in GC, 2012, I, 1337; Cass. 4 aprile 2012, n. 5369; Cass. 26 marzo 2014, n. 7107; Cass. 24 settembre 2015, n. 18972; Cass. 10 novembre 2017, n. 26694. In senso diverso Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2009, n. 19135.

9 Così espressamente GARDINI, La dirigenza pubblica in cerca di identità. Riflessioni alla luce di una riforma interrotta, in Dpub, 2017, 155.

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derare insieme ad altri contenuti nella medesima legge ed in particolare negli artico-li 16 e 17, tra cui spiccava la previsione di un nuovo testo unico in materia di lavoro pubblico. Il progetto di riforma si legava anche alla proposta di modifica costituzio-nale che prevedeva un nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni in senso for-temente centralista.

Il decreto delegato, approvato dal Governo in via definitiva a novembre 2016 e che recepiva solo in parte alcune marcate critiche espresse dal Consiglio di Stato in sede di redazione del parere consultivo 10, era senza dubbio ambizioso 11. Il punto qualificante era dato dalla previsione di un sistema unico per la dirigenza della Re-pubblica, articolato in tre ruoli (statale, regionale e locale) e dall’abolizione delle due fasce dirigenziali, con inserimento di tutti i dirigenti in un’unica fascia al fine di consentire a tutti di poter ricoprire incarichi apicali 12. Sulla base di tali principi car-dine il decreto delegato ridefiniva il sistema di reclutamento della dirigenza, riba-dendo il doppio canale di accesso del corso-concorso e del concorso, ma con raffor-zamento del primo e con previsione di immissione dei vincitori del corso-concorso (di cadenza annuale, basato su un anno di corso con esame finale) come funzionari per i primi tre anni (riducibile ad un anno in relazione all’esperienza lavorativa ma-turata nel settore pubblico o a esperienze all’estero) e successiva immissione in ruo-lo come dirigenti previa valutazione positiva e per i vincitori del concorso l’assun-zione come dirigenti con contratto a termine e successiva immissione in ruolo dopo un triennio, previo superamento di un esame di conferma volto ad accertare la con-creta attitudine e capacità manageriale; si proponeva l’obiettivo di rafforzare la for-mazione iniziale ed in itinere della dirigenza ridisegnando la struttura della Scuola Nazionale dell’Amministrazione; interveniva sul sistema di valutazione e di attribu-

10 La Commissione speciale del Consiglio di Stato con il parere 14 ottobre 2016, n. 2113 invitava il Governo ad elaborare precise regole volte ad assicurare, secondo la sintesi fornitane dallo stesso Consi-glio: oggettività e trasparenza nelle procedure e nei criteri di scelta del dirigente, così da valorizzare le specifiche professionalità e competenze acquisite nell’ambito dei molteplici settori in cui le pubbliche amministrazioni operano; una durata ragionevole dell’incarico che, evitando incertezze sul regime del rapporto di lavoro, consenta al dirigente di perseguire, con continuità, gli obiettivi posti dall’organo di indirizzo politico, consolidando l’autonomia tecnica propria del dirigente stesso, ed evitando i pericoli di una autoreferenzialità che mal si concilia con la responsabilità dell’autorità politica di fissare obietti-vi; modalità di cessazione degli incarichi soltanto a seguito della scadenza del termine di durata degli stessi, ovvero per il rigoroso accertamento della responsabilità dirigenziale. Ma soprattutto – e questa può essere individuata come la maggiore criticità ravvisata – il Consiglio di Stato sottolineava la man-cata previsione, per esserne priva la stessa legge delega, di nuovi sistemi di valutazione della dirigenza e di principi per la fissazione degli obiettivi da parte degli organi politici, considerati come due punti in grado di compromettere l’impianto della riforma.

11 Per un’analitica ricostruzione e commenti dei contenuti dello schema di decreto delegato v. AA.VV., La Dirigenza pubblica nella Riforma Madia, in questa Rivista, 2016, 3 ss.

12 In ragione dell’unificazione delle due fasce si prevedeva che i contratti collettivi avrebbero attua-to la graduale convergenza del trattamento fondamentale di tutti i dirigenti iscritti ai ruoli della dirigen-za, utilizzando le conseguenti economie per incrementare il trattamento economico correlato all’incarico.

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zione e revoca degli incarichi prevedendo l’istituzione di tre commissioni (per la dirigenza statale, regionale e locale) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il compito di definire ex ante una rosa di dirigenti idonei a ricoprire incarichi dirigenziali di direzione di uffici dirigenziali generali e di valutare ex post le scelte compiute dalle amministrazioni pubbliche nel conferimento degli altri incarichi 13 e di esprimere parere obbligatorio e non vincolante sulla decadenza di incarichi diri-genziali in caso di riorganizzazione dell’amministrazione e sui provvedimenti con-nessi ad un’accertata responsabilità dirigenziale; definiva per tutti gli incarichi diri-genziali una durata quadriennale, con facoltà di proroga per altri due anni nel caso di valutazione positiva o per il solo periodo necessario al completamento delle pro-cedure per il conferimento del nuovo incarico; ammetteva la possibilità di attribuire il medesimo incarico nuovamente allo stesso titolare per altri quattro anni, previo esperimento di una nuova procedura e stante il necessario rispetto del principio di rotazione degli incarichi individuati a rischio di corruzione; disciplinava la condi-zione del dirigente rimasto privo di incarico sancendone l’obbligo di partecipare ogni anno ad almeno cinque interpelli riferiti a posizioni di cui possedeva le attitu-dini e le capacità e garantendo per il primo anno la corresponsione del trattamento economico fondamentale, decurtato di un terzo dal secondo anno e con collocamen-to d’ufficio, su decisione del Dipartimento della Funzione Pubblica, tra i posti va-canti a partire dal terzo anno (diverso il caso del dirigente cui sia stato revocato l’in-carico per responsabilità dirigenziale 14 per il quale era prevista la decadenza dal ruolo se entro un anno non fosse riuscito ad ottenere un nuovo incarico).

3. Segue: la sentenza n. 251/2016 della Corte Costituzionale ed il ritiro da parte del Governo del decreto delegato appena approvato

Il decreto delegato di riforma della dirigenza è stato approvato e ritirato dal Go-verno nel breve volgere di un giorno a fine novembre 2016, a seguito della pubbli-

13 Il decreto delegato prevedeva, altresì, la possibilità per le amministrazioni di conferire gli incari-chi ai dirigenti appartenenti a ciascuno dei tre ruoli; imponeva di definire, per ciascun incarico, i requi-siti in termini di competenze ed esperienze professionali; di attivare per l’attribuzione degli incarichi una procedura comparativa con avviso pubblico sulla base di requisiti e criteri definiti dall’Ammini-strazione, in base a criteri generali definiti dalle Commissioni per la dirigenza Statale; di assegnare in ogni caso rilevanza alle attitudini e alle competenze del singolo dirigente, ai precedenti incarichi e alla relativa valutazione, alle specifiche competenze organizzative possedute, nonché alle esperienze di di-rezione eventualmente maturate all’estero nel privato o nel settore pubblico, purché attinenti all’inca-rico da conferire.

14 Con riguardo alla responsabilità dirigenziale il decreto delegato prevedeva l’integrazione dell’art. 21 del D.Lgs. n. 165/2001 introducendo ulteriori ipotesi di mancato raggiungimento degli obiettivi.

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cazione, con significativa tempestività, della sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2016 con cui veniva dichiarata l’illegittimità costituzionale di alcune disposi-zioni della legge delega n. 124/2015, tra cui anche alcune previsioni dell’art. 11 de-dicato alla dirigenza 15.

Secondo la Corte nell’indicata pronuncia ha affermato che qualora una previsio-ne normativa riformi istituti incidenti su competenze legislative statali e regionali, che siano tra loro inestricabilmente connesse, sì da impedire di poter stabilire la prevalenza di una materia sulle altre, occorre che il legislatore statale nel rispetto del principio di leale collaborazione appresti adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni a difesa delle loro competenze. Ad avviso della Corte in questi casi – e qui nella soluzione proposta vi è un indubbio elemento di novità solo in apparente continuità con propri precedenti – è necessario ricorrere all’intesa, da adottare al-l’interno della Conferenza Stato-Regioni (e non alla Conferenza Unificata), e non al mero parere, ritenuto non idoneo a realizzare un confronto autentico con le autono-mie regionali.

Con specifico riferimento alle disposizioni della legge delega riferite alla diri-genza pubblica la Corte Costituzionale ha ravvisato un concorso di competenze, inestricabilmente connesse, statali e regionali, nessuna delle quali è stata considera-ta prevalente, in relazione all’istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali e alla definizione, da un lato, dei requisiti di accesso, delle procedure di reclutamento, delle modalità di conferimento degli incarichi, nonché della durata e della revoca degli stessi (aspetti inerenti all’organizzazione amministrativa regionale, di compe-tenza regionale) e, dall’altro, di regole unitarie inerenti al trattamento economico e al regime di responsabilità dei dirigenti (aspetti inerenti al rapporto di lavoro priva-

15 Corte cost. 25 novembre 2016, n. 251. Tra i molti commenti specifici, senza alcuna pretesa di esaustività, v. BATTINI Cambiamento amministrativo, cambiamento giurisprudenziale, cambiamento costituzionale. Brevi note sulla sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale, in DLM, 2017, 121; ALAIMO, La “Riforma Madia” al vaglio della Corte costituzionale. Leale collaborazione e intese pos-sono salvare la riforma della pubblica amministrazione, in DLM, 2017, p. 145; B.G. MATTARELLA, De-lega legislativa e principio di leale collaborazione, in GDA, 2017, 179; G. D’AURIA, Sull’incostitu-zionalità di alcune deleghe legislative ‘ex’ l. 124/15 per la riforma della pubblica amministrazione, in FI, 2017, I, 451; AMOROSO, Legge di delega e principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, in FI, 2017, I, 471; BIFULCO, L’onda lunga della sentenza 251/2016 della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 2017, n. 3; BALBONI, La Corte richiede e tutela la leale collaborazione tra Stato e Re-gioni ... e l’intendenza seguirà, in www.forumcostituzionale.it, 2017; STERPA, Sentenza n. 251/2016: può la Corte costituzionale ampliare il contenuto necessario della legge di delega ex art. 76 Cost.?, in fede-ralismi.it, 2017, n. 10; AGOSTA, Nel segno della continuità (più che della vera e propria svolta) l’a-pertura alla leale collaborazione tra Stato e Regioni della sent. n. 251/2016 sulla delega in materia di riorganizzazione della pubblica amministrazione, in www.forumcostituzionale.it, 2017; D’AMICO, Il seguito della sentenza. n. 251/2016 della Corte costituzionale fra “suggerimenti”, “correzioni” e nuo-ve impugnative, in GDA, 2017, 287; MARTIRE, Brevi note alla sentenza n. 251 del 2016 della Corte Co-stituzionale, in Dpub, 2017, 195 ss.

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tizzato e quindi riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, di competenza statale) 16.

Ancorché la Corte avesse precisato (al punto 9 del Considerato in diritto) che le illegittimità costituzionali rilevate nella pronuncia “sono circoscritte alle disposi-zioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si esten-dono alle relative disposizioni attuative” e che “nel caso di impugnazione di tali di-sposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di as-sicurare il rispetto del principio di leale collaborazione” la scelta del Governo è sta-ta quella di lasciare scadere i termini di delega 17.

Il de profundis (anche politico) della possibilità di riavviare l’iter di riforma del-la dirigenza è stato segnato dall’esito del referendum popolare confermativo del 4 dicembre 2016 – di pochi giorni successivo alla sottoscrizione in data 30 novembre 2016 dell’Intesa Governo – Sindacati sui rinnovi contrattuali 18 – con cui non è sta-to approvato il testo della legge costituzionale di riforma della Carta Costituzionale (e che, come anticipato, contemplava anche la revisione del Titolo V della Costitu-zione).

Il processo si è arrestato nonostante la Commissione Speciale del Consiglio di Stato con il parere n. 83 del 17 gennaio 2017 avesse espressamente affermato l’im-portanza di portare a compimento una riforma organica della dirigenza pubblica ed

16 La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettere a), b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q), e comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124, nella parte in cui prevede che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

17 Analogamente è stato lasciato scadere il termine di delega per il decreto delegato di riforma dei servizi pubblici locali, mentre per i tre decreti già approvati (D.Lgs. n. 116/2016 in materia di licenzia-mento disciplinare su cui MAINARDI, Il licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza in servizio, in GDA, 2016, 585 ss.; CORSO, Sostanza ed apparenza nel contrasto all’assenteismo fraudo-lento nei luoghi di lavoro (D.Lgs 20 giugno 2016, n. 116), in RIDL, 2017, I, 77 ss.; D.Lgs. n. 171/2016 in materia di dirigenza sanitaria su cui PIOGGIA, Le nomine dei vertici della sanità, in GDA, 2016, 733 ss.; D.Lgs. n. 175/2016 relativo alle società a partecipazione pubblica) la scelta – in seguito avallata anche dal Consiglio di Stato (v. Commissione Speciale del Consiglio di Stato 17 gennaio 2017, n. 83) è stata quella di procedere acquisendo l’intesa con la Conferenza Unificata e i pareri delle competenti Commissioni parlamentari.

18 I punti qualificanti di tale intesa sono così sintetizzabili: a) un nuovo sistema di relazioni sindaca-li che impegna il governo a promuovere un intervento legislativo a favore della contrattazione al fine di ripristinare un giusto equilibrio tra legge e contratto; b) la definizione in sede contrattuale di criteri e regole su valutazione e valorizzazione professionale del personale di tutte le pubbliche amministrazioni; c) un aumento stipendiale non inferiore a 85 euro medi mensili nel triennio 2016-2018; d) la previsione di specifiche disposizioni finalizzate a ampliare i margini di autonomia della contrattazione integrativa; e) il rinnovo dei contratti a termine in scadenza e introduzione di apposite norme per superare il lavoro precario disciplinato dalla legge di riforma della pubblica amministrazione; f) l’estensione del welfare integrativo.

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avesse a tal fine individuato alcuni possibili percorsi. Il primo, e più immediato, era rappresentato dall’adozione di una nuova legge delega conforme ai vincoli proce-dimentali sanciti dalla Corte Costituzionale; ma erano ipotizzate anche altre modali-tà di intervento a livello primario, primo fra tutti un disegno di legge governativo avente, almeno in parte, il contenuto del decreto delegato che sarebbe andato a so-stituire; un decreto – afferma espressamente il Consiglio di Stato – “che oltre tutto, nella versione finale degli schemi poi decaduti, recepiva anche i pareri delle Com-missioni parlamentari”.

Se il processo di riforma della dirigenza si è fermato, l’iter è, invece, continuato sia per i decreti attuativi della legge n. 124/2015 adottati prima del deposito della sentenza n. 251/2016 – tra cui i decreti legislativi n. 116/2016 in materia di licen-ziamento disciplinare e n. 171/2016 relativo alla dirigenza sanitaria per i quali si successivamente è giunti all’emanazione, previa acquisizione dell’intesa in sede di conferenza unificata, dei relativi decreti correttivi 19 – sia per l’emanazione degli altri decreti delegati per i quali non erano ancora scaduti i termini di delega, da adottare in conformità con le indicazioni dettate dalla Corte Costituzionale. Tra que-sti, per quello che interessa in questa sede, sono stati emanati i Decreti Legislativi nn. 74 e 75 del 2017: il primo recante modifiche al D.Lgs. n. 150/2009 [“in attua-zione dell’articolo 17, comma 1, lettera r) della legge 7 agosto 2015, n. 124] e, dunque, con interventi incidenti sul sistema di misurazione e di valutazione della perfomance; il secondo recante modifiche e integrazioni al D.Lgs. n. 165/2001 [“ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e), e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124”], con una novella di significativa portata che ha riguardato sia il sistema di relazioni sindacali sia le disposizioni inerenti il rapporto individuale di lavoro, pri-me fra tutte quelle relative all’esercizio del potere disciplinare.

4. I decreti attuativi della legge delega n. 124/2015 e i riflessi sulla di-sciplina della dirigenza. Il D.Lgs. n. 74/2017

Se si focalizza l’attenzione sui contenuti dei decreti nn. 74 e 75/2017 – accanto-nando l’analisi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 171/2016 per la dirigenza sanitaria –

19 Con riferimento al D.Lgs. n. 116/2016 è stato adottato il D.Lgs. n. 118/2017 (le previsioni sono inse-rite nel corpo dell’art. 55-quater del D.Lgs. n. 165/2001); con riferimento al D.Lgs. n. 171/2016 è stato emanato il D.Lgs. n. 126/2017, su cui MONACO, La dirigenza sanitaria: il “correttivo” rende effettiva la riforma, GDA, 2017, 699 ss. Con riguardo alla dirigenza sanitaria deve essere considerata anche la legge 8 marzo 2017, n. 24 recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, non-ché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che contiene anche alcune disposizioni direttamente incidenti sul rapporto di lavoro.

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emergono senza dubbio disposizioni di specifico interesse anche per la categoria dirigenziale.

Si prende innanzitutto in esame il D.Lgs. n. 74/2017 20 di cui occorre considerare tre ambiti di intervento.

a) Il primo attiene alla riaffermazione della centralità della valutazione sia per il conferimento degli incarichi dirigenziali (art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 150/2009), sia per l’accertamento della responsabilità dirigenziale (art. 3, comma 5-bis, D.Lgs. n. 150/2009) 21. È evidente come tali disposizioni ribadiscano quanto già previsto dal D.Lgs. n. 165/2001, ovvero che “Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto … dei risultati conseguiti in precedenza nell’am-ministrazione di appartenenza e della relativa valutazione” (art. 19, comma 1), sì da sancire l’esigenza di una precisa coerenza tra l’attribuzione dell’incarico dirigenzia-le e la valutazione già effettuata; e che “il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del de-creto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, … ovvero l’inosser-vanza delle direttive imputabili al dirigente” (art. 21, comma 1) comportano l’appli-cazione delle tre misure previste dalla norma (divieto di rinnovo dell’incarico, revo-ca dell’incarico e collocamento nei ruoli, recesso), in modo da prevedere uno stretto nesso tra valutazione negativa ed adozione di specifiche misure graduate in ragione della gravità dell’inadempimento.

Tuttavia nella novella del 2017 vi sono anche alcuni profili innovativi, peraltro, a ben vedere, più di forma che non di sostanza. In primo luogo le nuove previsioni sono inserite nell’art. 3 del D.Lgs. n. 150/2009 rubricato “Principi generali”, sì da esplicitare e rafforzare la rilevanza della valutazione nell’ambito del sistema lavoro pubblico. In stretto legame vi è la previsione del novellato comma 5 secondo cui

20 Per un commento complessivo delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 74/2017 v. RUFFINI, Il sistema di misurazione e valutazione delle performance. Le modifiche al d.lgs. n. 150/2009, in BIANCO-BOSCA-TI-RUFFINI, La riforma del pubblico impiego e della valutazione, Rimini, 2017, 145 ss.; v. anche D’AL-TERIO, Il lungo cammino della valutazione nelle pubbliche amministrazioni, in GDA, 2017, 570.

21 Il comma 5-bis aggiunge prevede che la valutazione negativa rilevi anche ai fini “dell’irrogazione del licenziamento disciplinare ai sensi dell’articolo 55-quater, comma 1, lettera f-quinquies)”. Tale norma si riferisce all’“insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concer-nenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante va-lutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell’ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell’articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 150 del 2009”. Si condivide la considerazione critica di chi si interroga quanto i sistemi di valutazione a carattere premiale possano essere utili anche a fini disciplinari (così RUFFINI, Il sistema di misurazione e valutazione delle perfor-mance. Le modifiche al d.lgs. n. 150/2009, cit., 151), cui deve aggiungersi la difficoltà di coniugare isti-tuti (scarso rendimento e valutazione negativa della performance) che non hanno ad oggetto profili del tutto omogenei tra loro.

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l’attribuzione di incarichi dirigenziali (in ciò accomunati all’erogazione di premi e componenti del trattamento accessorio, all’attuazione delle progressioni economi-che, all’attribuzione di incarichi di responsabilità al personale) è condizionata al ri-spetto di tutte le disposizioni del secondo titolo del decreto 150 concernente “Misu-razione, Valutazione e Trasparenza della performance”. Posto che sul piano qualifi-catorio la condizione in parola deve qualificarsi come condizione sospensiva, riferi-ta cioè ad atti successivi all’entrata in vigore della riforma del 2017, non potendo la norma, con tutta evidenza, incidere su decisioni organizzativo-gestionali già assun-te, due sono le riflessioni che scaturiscono dalla sua analisi. La prima, di carattere generale, attiene alla difficoltà di ravvisare la mancata attuazione delle previsioni del Titolo II del decreto 150/2009 22. Se si escludono casi eclatanti, la previsione si configura più per la sua portata di norma simbolo che non per la sua effettiva co-genza. La seconda, di carattere specifico e riferita agli incarichi dirigenziali, con-cerne un problema di coordinamento tra la nuova disposizione e la durata necessa-riamente temporanea degli incarichi dirigenziali. La previsione per cui in caso di mancato rispetto delle disposizioni del Titolo II del decreto 150 non si possa proce-dere all’attribuzione di incarichi dirigenziali produce quale effetto implicito la con-servazione degli incarichi in essere oltre il limite legislativo di durata con l’effetto di realizzare nella sostanza l’effetto paradossale di rendere inoperante la regola del-la temporaneità.

b) Il secondo attiene alla nuova articolazione degli obiettivi, ridefiniti dalla ri-forma del 2017 nel novellato articolo 5 del D.Lgs. n. 150/2009 in obiettivi generali e in obiettivi specifici di ogni amministrazione. Se l’introduzione degli obiettivi ge-nerali costituisce il tentativo di uniformare e coordinare l’azione amministrativa tra i diversi enti e amministrazioni, gli obiettivi specifici, da individuarsi in coerenza con gli obiettivi generali ed i programmi determinati dagli organi di indirizzo della singola amministrazione, costituiscono i “classici” obiettivi di ogni singola ammini-strazione definiti in coerenza con gli obiettivi di bilancio individuati dai documenti di programmazione ed inseriti nel piano della perfomance. Si ribadisce anche in questa norma che il conseguimento degli obiettivi “costituisce condizione per l’ero-gazione degli incentivi previsti dalla contrattazione integrazione”, da intendersi, per la dirigenza, quale condizione per la corresponsione della retribuzione di risultato.

Con riguardo agli obiettivi specifici il novellato comma 1 dell’art. 5 ribadisce quanto già “genericamente” affermava la previgente formulazione dell’art. 5, ovve-ro che gli obiettivi sono programmati “sentiti i vertici dell’amministrazione che a loro volta consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative”. Tale pre-visione è da leggere in connessione con quanto previsto dall’art. 14 del D.Lgs. n.

22 Così anche RUFFINI, Il sistema di misurazione e valutazione delle performance. Le modifiche al d.lgs. n. 150/2009, cit., 150 il quale si chiede se obiettivi ed indicatori superficiali rappresentino un mancato rispetto della norma.

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165/2001 secondo cui l’attività di indirizzo politico deve essere svolta “anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all’art. 16”. Nondimeno l’art. 16, comma 1, lett a) del D.Lgs. n. 165/2001 stabilisce che i dirigenti degli uffici dirigenziali gene-rali “formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro, nelle materie di sua com-petenza” 23; mentre l’art. 17, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 165/2001 prevede che i dirigenti “di base” “formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali”.

Con tali disposizioni il legislatore attribuisce alla dirigenza di più alto livello so-lo un potere propositivo che non può incidere sulla autonoma determinazione finale dell’indirizzo politico che compete in via esclusiva agli organi politici. Con tutta evidenza – fermo quanto si dirà nei prossimi paragrafi in merito alla tempestiva at-tribuzione degli obiettivi e ad loro formulazione – la circostanza che i dirigenti api-cali debbano essere solo sentiti esclude la possibilità di addivenire a qualsivoglia negoziazione in merito ai contenuti dell’atto di indirizzo ed alla successiva defini-zione degli obiettivi. È, tuttavia, del pari indubbio che i vertici burocratici, ed a ca-scata i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative, siano tenuti a fornire il loro contributo. La mancata cooperazione configura, senza dubbio, un inadempi-mento sanzionabile sul piano disciplinare; ma anche un incongruo apporto che as-sume certamente rilievo quale elemento sintomatico di inadeguatezza del dirigente a ricoprire il ruolo assegnatoli. Nondimeno non è irrilevante che gli obiettivi definiti dall’organo di indirizzo politico ricalchino o meno le indicazioni fornite dai vertici burocratici. Nel primo caso il mancato raggiungimento degli obiettivi potrà essere unicamente giustificato da una inadeguata assegnazione di risorse o da una presenza di sopravvenute circostanze esterne impeditive. Qualora, invece, la determinazione degli obiettivi si discosti dalle indicazioni fornite dal dirigente, questi potrà anche dimostrare la non realisticità e/o l’incoerenza degli obiettivi assegnati.

c) Il terzo attiene al doppio ruolo rivestito dal dirigente, come valutatore e come valutato, ribadito anche dalla novella del 2017, ma con alcune significative novità, alcune delle quali difficilmente integrabili con le restanti previsioni normative.

Quanto al dirigente valutatore, ne viene confermato l’inserimento tra i soggetti chiamati a valutare la performance: a seguito della novella del 2017 insieme agli altrettanto “confermati” organismi interni di valutazione e ai “nuovi” cittadini o altri utenti finali in rapporto alla qualità dei servizi resi dall’amministrazione che sosti-

23 L’art. 16, comma 1, lett. b) attribuisce ai dirigenti generali l’esercizio del c.d. indirizzo sub-primario [così D’ORTA, Sub artt. 16-17, in NLCC, 1999, 1148, e TALAMO, Le funzioni, le competenze, i poteri e le attribuzioni della dirigenza pubblica, in F. CARINCI-L. ZOPPOLI (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, vol. V., Torino, 2004, 1127] prevedendo che essi curano l’attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal Ministro ed attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni, definendo gli obiettivi che i dirigenti devono perseguire e attribuendo loro le conseguenti risorse uma-ne, finanziarie e materiali.

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tuiscono il ruolo in precedenza assegnato alla Civit, prima, e all’Autorità Nazionale Anticorruzione, poi. Si specifica [cfr. novellata lett. b) del comma 2 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 150/2009] che il compito dei dirigenti concerne la valutazione della per-formance organizzativa e di quella individuale (“dai dirigenti di ciascuna ammini-strazione, secondo quanto previsto dagli articoli 8 e 9”) con una previsione più pun-tuale del più generico richiamo ai compiti del dirigenti fissati dal D.Lgs. n. 165/2001 contenuto nella previgente formulazione della norma [“dai dirigenti di ciascuna amministrazione, secondo quanto previsto agli articoli 16 e 17, comma 1, lettera e-bis), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”] 24. Infine l’art. 12 del decreto 150/2009 nel confermare i dirigenti, unitamente agli organismi indipendenti di valu-tazione e agli organi di indirizzo politico di ciascun amministrazione tra i soggetti del processo di misurazione di valutazione della perfomance, inserisce il Diparti-mento della Funzione Pubblica quale “titolare delle funzioni di promozione, indiriz-zo e coordinamento, esercitate secondo le previsioni del decreto adottato ai sensi dell’articolo 19, comma 10, del decreto-legge n. 90 del 2014” in luogo della Civit 25.

Significative sono, invece, le novità riferite al dirigente come soggetto valutato, non tanto per quanto concerne l’individuazione del soggetto chiamato alla sua valu-tazione, ove non si registrano modifiche alla disciplina previgente 26, quanto per l’oggetto della valutazione. Così nel novellato art. 9, D.Lgs. n. 150/2009 a fianco di alcune disposizioni confermate, ovvero il rilievo assegnato al raggiungimento di specifici obiettivi individuali [art. 9, comma 1, lett. b)] e alla capacità di valutazione dei propri collaboratori dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi [art. 9, comma 1, lett. d)], si inseriscono due importanti specificazioni. Si prevede così l’attribuzione di un peso prevalente nella valutazione complessiva agli indicatori di perfomance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità [art. 9, comma 1, lett. a)] e si aggiunge alla valutazione della qualità del contributo assicurato alla perfomance generale della struttura, alle competenze professionali e

24 Non è stato, invece, modificato il secondo comma dell’art. 9 secondo cui la misurazione e la va-lutazione svolte dai dirigenti sulla performance individuale del personale sono effettuate sulla base del sistema di misurazione e di valutazione della performance di cui all’articolo 7 e collegate al raggiungi-mento di specifici obiettivi di gruppo o individuali, nonché alla qualità del contributo assicurato alla performance dell’unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali e organizzativi.

25 Dal D.L. n. 90/2014, convertito in legge n. 114/2014 è scaturito il d.P.R. n. 105/2016 che regola il ruolo del Dipartimento della Funzione Pubblica nel coordinamento del sistema della perfomance, in precedenza assegnato alla Civit e poi assunto dall’Anac.

26 Secondo quanto prevedono gli artt. 7, comma 2, lett. a) e 14, comma 4, lett. e), D.Lgs. n. 150/2009 agli organismi indipendenti di valutazione compete la proposta di valutazione annuale dei dirigenti; mentre nulla si dice per quanto concerne i dirigenti di base. In merito la delibera Civit n. 89/2010 ha af-fermato che ai dirigenti di livello generale compete la misurazione e la valutazione della performance individuale dei dirigenti di livello non generale e del personale responsabile di una unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità.

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manageriali dimostrati quella relativa ai comportamenti organizzativi richiesti per il più efficace svolgimento delle funzioni assegnate [art. 9, comma 1, lett. c)].

Si tratta di novità senza dubbio significative. Il rilievo prevalente assegnato agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità segna un evidente spostamento dall’individuale al collettivo, da leggere in connes-sione con i novellati artt. 19, comma 1, D.Lgs. n. 150/2009 e 40, comma 3-bis, D.Lgs. n. 165/2001. La prima disposizione prevede che il contratto collettivo nazio-nale “nell’ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio colle-gato alla performance ai sensi dell’articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare, ri-spettivamente, la performance organizzativa e quella individuale” 27; a sua volta l’art. 40, comma 3-bis, D.Lgs. n. 165/2001 prevede che la contrattazione collettiva integrativa assicuri “adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l’ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente del-le risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati”. Dal combinato disposto delle due disposizioni, ancorché riferite a diversi livelli di con-trattazione, emerge che la quota prevalente di risorse deve essere destinata a remu-nerare la performance. Il che di per sé potrebbe apparire neutro, non emergendo al-cun elemento a favore di quella collettiva o, viceversa, di quella individuale. Tutta-via se si considera la novellata previsione del comma 3-bis dell’art. 40 alla luce del-la precedente formulazione della stessa norma emerge una chiara discontinuità atte-so che la disposizione previgente prevedeva la destinazione “al trattamento econo-mico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato” 28.

27 La disposizione poi prosegue prevedendo che la contrattazione collettiva “fissa criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi di cui all’articolo 9, comma 1, lettera d), cor-risponda un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati” che, da un lato, segna il supe-ramento delle griglie fissate dal previgente art. 19 e, dall’altro lato, sottolinea la necessità di una diffe-renziazione retributiva attribuendo la relativa competenza alla fonte negoziale. Il secondo comma pre-vede poi che “Per i dirigenti, il criterio di attribuzione dei premi di cui al comma 1 è applicato con rife-rimento alla retribuzione di risultato”.

28 Il contratto collettivo del comparto Funzioni Centrali periodo 2016-2018 sottoscritto in via defi-nitiva il 12 febbraio 2018 si limita a prevedere le destinazioni delle risorse disponibili per la contratta-zione integrativa, disponendo che la contrattazione integrativa destina ai “premi e trattamenti economici correlati alla performance organizzativa”, ai “premi e trattamenti economici correlati alla performance individuale” e alle “indennità correlate alle condizioni di lavoro” (obiettive situazioni di disagio, ri-schio, turnazioni, particolari o gravose articolazione dell’orario di lavoro, reperibilità) la parte prevalen-te delle risorse variabili del fondo e. specificamente alla perfomance individuale almeno il 30% di tali risorse; ed aggiunge che una quota non inferiore al 20% delle risorse destinate ai premi e ai trattamenti economici correlati alla perfomance organizzativa ed individuale deve essere riservata alla contrattazio-ne di sede (cfr. art. 77, commi 3 e 4).

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Del pari rilevante è l’esplicitazione della valutazione dei comportamenti orga-nizzativi, prevista espressamente per la dirigenza dalla riforma del 2017, mentre in precedenza era richiamata solo per i dipendenti senza particolari ruoli di responsabi-lità. È opportuno ricordare come la letteratura manageriale differenzi tra competen-za e comportamenti organizzativi. Mentre la prima concerne l’insieme delle cono-scenze, capacità ed esperienze del singolo, i secondi attengono alla considerazione delle azioni realizzate. Secondo tale classificazione la richiesta capacità di valuta-zione dei propri collaboratori dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi è senza dubbio riconducibile al comportamento organizzativo. Ne deriva un’esigenza di avere riguardo anche al come sono state poste in essere certe azioni e non solo al che cosa è stato realizzato. Si tratta, con tutta evidenza, di una previsio-ne che si pone in continuità con quanto previsto dall’art. 5, D.Lgs. n. 286/1999 (“Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valuta-zione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazio-ni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, abrogato dal D.Lgs. n. 150/2009) ove si faceva riferimento per i dirigenti anche alla valuta-zione dei “comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate”.

Alcune perplessità reca la previsione del nuovo comma 1-bis dell’art. 9, D.Lgs. n. 150/2009 ove si precisa che per i dirigenti apicali (ovvero per quelli titolari degli incarichi di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 19, D.Lgs. n. 165/2001) la misurazione e la valutazione della perfomance individuale è collegata sia al raggiungimento degli obiettivi individuati nella direttiva generale per l’azione amministrativa e la gestio-ne e nel Piano della performance, sia all’adempimento degli obiettivi specifici defi-niti nel contratto individuale. Se il riferimento agli obiettivi individuati nella diretti-va e a quelli indicati nel Piano della perfomance appare del tutto congruo e confor-me al quadro normativo di riferimento (cfr. art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001), perplessità suscita il riferimento agli obiettivi definiti nel contratto individuale. Ciò non tanto per le ragioni indicate dal Consiglio di Stato 29 e riferite ad una asserita genericità degli obiettivi, se non ad un mero rinvio ai compiti dell’ufficio, quanto per la circostanza che nel contratto individuale gli obiettivi non sono definiti. E questo vale sia per il contratto di assunzione che conferisce la sola qualifica diri-genziale, sia per l’accordo accessivo sul trattamento economico che segue l’atto unilaterale di conferimento dell’incarico. Nella definizione dei contenuti dell’accor-do economico le parti non hanno alcuna capacità di effettiva negoziazione, sia per quanto concerne il trattamento fondamentale (quantificato sulla base delle previsio-ni della contrattazione collettiva), sia per quanto concerne il trattamento accessorio, sia per la parte correlata alle funzioni attribuite (retribuzione di posizione), sia per la

29 Commissione speciale del Consiglio di Stato 21 aprile 2017, n. 917.

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parte connessa alle responsabilità e risultati (retribuzione di risultato) 30 la cui quan-tificazione è definita unilateralmente dall’amministrazione nel rispetto dei criteri fissati dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Sicché sarebbe affermazione non realistica quella che giungesse ad affermare una negoziabilità degli obiettivi rica-vandola da una negoziabilità sulla quantificazione della retribuzione di risultato.

5. Segue: il D.Lgs. n. 75/2017

Anche il D.Lgs. n. 75/2017 contiene alcune disposizioni normative riferibili al ruolo ed ai compiti della dirigenza 31. Gli ambiti di rilievo sono anche in questo caso tre, i primi due riguardanti in via prevalente il dirigente nella sua veste di datore di lavoro, il terzo il dirigente quale dipendente.

a) Innanzitutto si considerano le modifiche apportate al sistema di relazioni sin-dacali. La novella del 2017, nel mantenere ferma la distinzione tra forme di parteci-pazione sindacale e contrattazione, ne ha ridisegnato gli ambiti con la volontà di ri-pensare alcune soluzioni restrittive introdotte dalla riforma Brunetta 32.

La linea ispiratrice della recente riforma è senza dubbio volta a riattribuire uno spazio regolativo alla contrattazione collettiva, anche in ragione dell’esigenza di da-re attuazione ad alcuni precisi impegni formalizzati nella già richiamata Intesa Go-verno – Sindacati del 30 novembre 2016. Non meno rilevanti sono le modifiche re-lative ai principi che disciplinano le forme di partecipazione sindacale.

a.1) Con riferimento all’ambito di regolazione della contrattazione collettiva, il novellato comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. n. 165/2001 dispone che essa “disciplin(i) il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali”. Tale formulazione, nel riecheggiare quella originaria del 2001, delinea una “competenza” più ampia di quella prevista dal testo introdotto dalla Riforma Brunetta del 2009 secondo cui spettava alla con-

30 In merito alla struttura della retribuzione del dirigente pubblico, v. ZILIO GRANDI, Il trattamento economico dei dirigenti tra riduzione della spesa e aumento della produttività delle pubbliche ammini-strazioni, in QDLRI, 2009, 31, 209 ss.; sia consentito rinviare anche a BOSCATI, Responsabilità dirigen-ziale, trattamento economico, in F. CARINCI- MAINARDI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubbli-co, Milano, 2011, 246 ss.

31 Per una rassegna dei contenuti del D.Lgs. n. 75/2017, v. MAGRI, Il lavoro pubblico tra sviluppo ed eclissi della “privatizzazione”, in GDA, 2017, 581.

32 Per un’analisi approfondita delle modifiche introdotte dalla legge Brunetta in materia di forme di partecipazione sindacale v. TALAMO, La riforma del sistema di relazioni sindacali nel lavoro pubblico, in GDA, 2010, 14 s.; GARILLI-BELLAVISTA, Riregolazione legale e decontrattualizzazione: la neoibrida-zione normativa del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in questa Rivista, 2010, 1 ss.; CORPACI, Regime giuridico e fonti di disciplina dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in RGL, 2010, I, 467 ss., sp. 476 s.

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trattazione collettiva “determina(re) i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali”. La norma ri-badisce poi quanto già affermato dalle disposizioni previgenti in merito all’elenco di materie escluse dalla contrattazione collettiva e a quelle per le quali la contratta-zione può esplicarsi nei limiti previsti dalla legge, sì da preservare esplicitamente le prerogative unilaterali della dirigenza 33.

Il modificato articolo 40 deve essere letto anche alla luce del pure novellato se-condo periodo del comma 2 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 165/2001 con cui si è riesteso lo spazio regolativo della fonte negoziale nelle materie disciplinate da leggi speciali relative ai soli pubblici dipendenti, ma limitatamente alle materie affidate alla con-trattazione collettiva 34.

La novella del 2017 ribadisce il vincolo reale sussistente tra contrattazione na-zionale e contrattazione integrativa. Conferma, altresì, la facoltà dell’amministra-zione di agire in via unilaterale qualora a livello decentrato le parti non riescano a raggiungere l’accordo, ferma l’applicabilità anche agli atti adottati unilateralmente delle procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall’art. 40-bis, D.Lgs. n. 165/2001 (novellato comma 3-ter, dell’art. 40, D.Lgs. n. 165/2001). La nuova formulazione – che ricalca quanto previsto dall’intesa del 30 novembre 2016 e che per quanto concerne l’assoggettamento dell’atto unilaterale alle proce-dure di controllo conferma la precedente disposizione – si presenta più articolata rispetto alla previgente. Mentre la vecchia norma riconosceva la possibilità di agire in via unilaterale “al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica” e, dunque, con una lettera di chiara proiezione positiva tale da consentire l’introduzione di previsioni idonee a modificare in senso migliorativo l’esistente, il testo vigente nel riferirsi ad un “protrarsi delle trattative (che) deter-mini un pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa” pare seguire una prospettiva significativamente diversa, ovvero la possibilità di agire unilateralmente solo in presenza di un possibile pregiudizio. In altri termini una proposta migliorati-va dell’amministrazione può condurre ad un’azione unilaterale solo qualora vi sia un contestuale pregiudizio. Il mutamento di prospettiva si desume anche dall’ob-bligo imposto all’amministrazione di “prosegu(ire) le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell’accordo”, fermo restando che l’atto unilaterale

33 Restano escluse dalla contrattazione collettiva: l’organizzazione degli uffici; le materie oggetto di partecipazione sindacale; le materie afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli artt. 5, comma 2, 16 e 17, D.Lgs. n. 165/2001; il conferimento e la revoca degli incarichi; le materie di cui all’articolo 2, comma 1, lett. c), legge n. 421/1992; la contrattazione collettiva è, invece, consentita nei limiti previ-sta dalle norme di legge nelle materie relative alle sanzioni disciplinari; alla valutazione delle prestazio-ni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio; della mobilità (rispetto alla disciplina previ-gente è espunto il riferimento alle progressioni economiche).

34 Si vedano in questo numero per più approfondite riflessioni i saggi di Sandro Mainardi e Mauri-zio Ricci.

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– come già previsto dalla disciplina previgente – resta fino a quel momento produt-tivo di effetti. La norma sancisce così un chiaro obbligo a trattare in capo alle parti che nel corso del confronto devono – per espresso richiamo dei principi generali – rispettare i principi di correttezza e buona fede. .

Dalle disposizioni sopra richiamate deriva con tutta evidenza un ridimensiona-mento dell’autonomia decisionale della dirigenza a favore della condivisione nego-ziale. La dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio atto a legittimare l’azione unilaterale dell’amministrazione oltre a poter essere difficoltosa è senza dubbio idonea ad agevolare il contenzioso giudiziale in presenza di relazioni sindacali tese, cioè in presenza delle stesse tensioni negoziali che il più delle volte sono alla base del mancato perfezionamento dell’accordo.

È importante considerare che il regime desumibile dalle citate disposizioni nor-mative può essere allentato dalla contrattazione collettiva nazionale. Il comma 3-ter dell’art. 40 prevede, infatti, la possibilità per i contratti di comparto di individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l’amministrazione interessata potrà in ogni caso provvedere, in via provviso-ria, sulle materie oggetto del mancato accordo 35. Con tutta evidenza la relativa de-terminazione è stata rimessa dalla legge alla contrattazione collettiva al fine di ri-spettare il principio di libertà sindacale. Si ritiene, tuttavia, che qualora il contratto nazionale abbia previsto un termine minimo di durata delle sessioni negoziali, il suo superamento legittimi l’amministrazione ad agire in via unilaterale, a prescindere dalla dimostrazione della sussistenza di un pregiudizio e ferma l’esigenza di un riavvio del confronto sindacale al fine di verificare il possibile raggiungimento del-l’accordo.

a.2) Sul piano delle forme di partecipazione sindacale non è stato modificato l’art. 9, D.Lgs. n. 165/2001 che continua a recitare “fermo restando quanto previsto dall’articolo. 5, comma 2, i contratti collettivi nazionali disciplinano le modalità e gli istituti della partecipazione”. Di rilievo sono proprio le modifiche apportate al comma 2 dell’art. 5. Resta confermato che le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro ed, in particolare, la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici, sono assunti dai dirigenti (“organi preposti alla gestione”) con la capacità del privato datore di lavo-ro, sì da confermare in tali ambiti non solo la natura privatistica degli atti, ma anche la non negoziabilità del potere datoriale. Tuttavia, vi è un ampliamento della possi-bile partecipazione delle organizzazioni sindacali nella fase propedeutica all’assun-

35 In merito il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto Funzioni centrali per il periodo 2016-2018 all’art. 8 prevede per una serie di materie demandate alla contrattazio-ne integrativa (non di contenuto strettamente economico) che “qualora, decorsi trenta giorni dall’inizio delle trattative, eventualmente prorogabili fino ad un massimo di ulteriori trenta giorni, non si sia rag-giunto l’accordo, le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione”.

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zione delle decisioni. Infatti, mentre la formulazione previgente (quale risultante dalla modifica apportata dal D.L. n. 95/2012) prevedeva “la sola” informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici e, limitata-mente, alle misure riguardanti i rapporti di lavoro l’esame congiunto ove previsto dai contratti di comparto, quella odierna consente ai medesimi contratti di comparto di estendere l’informazione e le altre forme di partecipazione sindacale (“fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti di cui all’articolo 9”) 36.

L’ampliamento dell’ambito di esplicazione delle forme di partecipazione sinda-cale non deve essere considerato come un ridimensionamento delle prerogative di-rigenziali, atteso che la dirigenza rimane la responsabile ultima delle decisioni nelle materia oggetto di confronto sindacale. Senza dubbio si può concretizzare un rallen-tamento decisionale posta la potenziale esigenza di attivare un tavolo sindacale per l’analisi di questioni in precedenza escluse. Ma ciò non deve essere necessariamen-te valutato negativamente in ragione della possibilità di acquisire in tale sede la consapevolezza di utili esperienze maturate altrove

b) Il secondo ambito concerne la modifica delle disposizioni relative all’eser-cizio del potere disciplinare e, segnatamente, il sostanziale superamento della titola-rità pluriarticolata del potere suddivisa tra dirigenti ed Ufficio per i procedimenti disciplinari 37. A seguito della novella del 2017 al responsabile della struttura (non

36 In merito il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto Funzioni centrali per il periodo 2016-2018 all’art. 3 dopo aver affermato che “la partecipazione è finalizzata ad instaurare forme costruttive di dialogo tra le parti, su atti e decisioni di valenza generale delle ammini-strazioni, in materia di organizzazione o aventi riflessi sul rapporto di lavoro ovvero a garantire adegua-ti diritti di informazione sugli stessi”, prevede che essa si articoli nella informazione, nel confronto e negli organismi paritetici di partecipazione (poi disciplinato in uno specifico articolo come “Organismo paritetico per l’innovazione”). In particolare il confronto, istituto nominalmente nuovo rispetto alle già conosciute forme di consultazione, esame congiunto e concertazione, è definito come “la modalità at-traverso la quale si instaura un dialogo approfondito sulle materie rimesse a tale livello di relazione, al fine di consentire ai soggetti sindacali ... di esprimere valutazioni esaustive e di partecipare costruttiva-mente alla definizione delle misure che l’amministrazione intende adottare”.

37 Con riguardo alla disciplina dettata dalla Riforma Brunetta, v. MAINARDI-LIMA, Il procedimento disciplinare e i rapporti con il procedimento penale, in F. CARINCI-MAINARDI (a cura di), La terza ri-forma del lavoro pubblico, Milano, 2011, 493 ss.; B.G. MATTARELLA, La responsabilità disciplinare, in GDA, 2010, 34 ss.; BORGOGELLI, La responsabilità disciplinare del dipendente pubblico, in L. ZOPPOLI (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009, 423; MAINARDI, Profili della responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici, in RGL, 2010, I, sp. 623 ss.; TENORE, Il pro-cedimento disciplinare nel pubblico impiego dopo la riforma Brunetta, Milano, 2010; LOSTORTO, Il nuovo procedimento disciplinare, in TIRABOSCHI- VERBARO (a cura di), La nuova riforma del lavoro pubblico, Milano, 2010, 483 s.; VOZA, Fondamento e fonti del potere disciplinare nel lavoro pubblico, in questa Rivista, 2011, 663; e successivamente con riferimento alla disciplina introdotta dalla Riforma Madia v. TENORE, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Milano, 2017 e sia con-sentito anche BOSCATI, Potere disciplinare in BIANCO-BOSCATI-RUFFINI, La riforma del pubblico im-piego e della valutazione, cit., 79 ss.

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necessariamente di qualifica dirigenziale) rimane attribuita la sola competenza per l’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, con devoluzione all’Ufficio per i procedimenti disciplinari della competenza a comminare tutte le altre sanzioni conservative ed estintive.

Occorre chiedersi se tale modifica possa incidere in maniera positiva sull’am-pliamento delle competenze manageriali della dirigenza.

In senso negativo si potrebbe affermare che in realtà nulla cambia in quanto il re-sponsabile della struttura deve segnalare (immediatamente e, comunque, entro dieci giorni) all’ufficio per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza (cfr. art. 55-bis, comma 4, D.Lgs. n. 165/2001). E ad avvalorare l’assenza di cambiamento si potrebbe aggiungere la conferma della respon-sabilità disciplinare del dirigente (e più in generale del responsabile della struttura) in caso di ritardo senza giustificato motivo nella segnalazione all’Ufficio per i procedi-menti disciplinari o nell’ipotesi di “valutazioni manifestamente irragionevoli di insus-sistenza dell’illecito in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza discipli-nare” (art. 55-sexies, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001). In sostanza anche la nuova disci-plina avrebbe ribadito la sostanziale obbligatorietà dell’avvio dell’azione disciplinare.

Tuttavia la circostanza che il dirigente non sia più competente ad irrogare le sanzioni disciplinari (tranne il caso del rimprovero verbale) porta a ravvisare un po-tenziale ampliamento del margine di esercizio del potere direttivo per una possibile composizione della situazione sul piano organizzativo senza l’attivazione di un pro-cedimento disciplinare. Con tutta evidenza la considerazione non è riferibile alle ipotesi di macroscopico inadempimento e, quindi, in concreto, ai casi di potenziale applicabilità delle sanzioni più gravi. Tuttavia nei casi “minori”, a fronte di una ra-pida e proficua soluzione sul piano organizzativo, si potrebbe ravvisare senza dub-bio un “giustificato motivo” idoneo ad escludere una possibile responsabilità del dirigente (e più in generale del responsabile della struttura) per mancato avvio del procedimento disciplinare. Ciò ovviamente sulla base della prova dell’avvenuta so-luzione della criticità o, comunque, della dimostrazione della congruità della solu-zione ipotizzata. Il che potrebbe (o meglio, dovrebbe) avere un riscontro positivo anche sul piano della valutazione del dirigente che abbia privilegiato la soluzione direttiva in luogo di quella disciplinare.

Si aggiunga che mentre la precedente formulazione attribuiva rilievo disciplina-re alle “valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o mani-festamente infondate” la nuova fa riferimento a “valutazioni manifestamente irra-gionevoli di insussistenza dell’illecito”, sì da ampliare gli spazi per una eventuale giustificazione della ritenuta insussistenza di una condotta disciplinarmente rilevan-te idonea ad attivare la segnalazione disciplinare.

Dunque, se alcuni margini di maggiore autonomia gestionale sono ravvisabili in capo ai dirigenti, è del pari ovvio che l’inerzia non può trovare neppure nelle novel-late disposizioni alcuna giustificazione.

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c) Il terzo ambito concerne la tutela da riconoscere al dirigente illegittimamente licenziato. Dopo un contrasto giurisprudenziale e dottrinale che vedeva contrapposti coloro che propendevano per l’applicabilità del nuovo articolo 18 dello Statuto, an-corché per taluni limitatamente alla c.d. tutela reintegratoria forte, e coloro che, in-vece, postulavano l’applicabilità dell’art. 18 pre-Fornero 38, il legislatore del 2017 è intervenuto prevedendo l’applicazione di una speciale tutela reintegratoria a favore di tutti i pubblici dipendenti illegittimamente licenziati. Il novellato secondo comma dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 prevede che il giudice con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento condanna l’amministrazione alla reinte-grazione del lavoratore nel posto di lavoro e alla corresponsione a suo favore di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calco-lo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo decorrente dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Tale indennità – speci-fica ancora la norma – non può essere superiore alle ventiquattro mensilità e deve essere dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attivi-tà lavorative (c.d. aliunde perceptum). Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali 39.

Il legislatore con la sopra richiamata disposizione ha introdotto una tutela rein-tegratoria speciale che apre molteplici questioni interpretative non affrontabili in questo scritto. Ciò che assume rilievo ai fini dell’analisi che si sta compiendo è l’af-fermato principio di stabilità reale che è riferibile senza alcun dubbio anche alla di-rigenza. Il legislatore ha inteso così marcare anche sul piano delle tutele una netta differenza rispetto al settore privato. Infatti se era ormai chiaro che per il dirigente pubblico non potesse valere il regime legale di libera recedibilità, restava dibattuto il tema delle tutele per il caso di illegittimo licenziamento 40. Una problematica che aveva ricadute anche sui ragionamenti riferiti al concreto atteggiarsi del rapporto tra

38 In merito, da ultimo, v. per tutti, M. MARTONE, La riforma della riforma. Il licenziamento illegit-timo e la reintegrazione del pubblico dipendente tra contrasti dottrinali, incertezze giurisprudenziali e modifiche legislative, in ADL, 2017, 366 ss. e sempre M. MARTONE, Ancora sulla reintegrazione nel pubblico impiego a seguito della riforma madia, in ADL, 2017, 655 ss.

39 Il nuovo comma 2-bis dell’art. 63 prevede ancora che “Nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità il giudice può rideterminare la sanzione, in applicazione delle disposizioni normative e contrattuali vigenti, tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato”.

40 V. Corte cost., 25 luglio 1996, n. 313 (in RIDL, 1997, II, 36, con nota di GRAGNOLI, Imparzialità del dipendente pubblico e privatizzazione del rapporto) ove si è affermato che “l’applicabilità al rap-porto di lavoro dei pubblici dipendenti delle disposizioni previste dal codice civile comporta non già che la pubblica amministrazione possa liberamente recedere dal rapporto stesso, ma semplicemente che la valutazione dell’idoneità professionale del dirigente è affidata a criteri e a procedure di carattere og-gettivo – assistite da un’ampia pubblicità e dalla garanzia del contraddittorio –, a conclusione delle qua-li soltanto può essere esercitato il recesso”.

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organi di indirizzo e vertici burocratici e, segnatamente, sulla possibile monetizzazio-ne di una decisione politica volta ad allontanare illegittimamente un dirigente. L’e-spressa presa di posizione del legislatore supera in radice questa ipotesi e si pone qua-le ulteriore “paletto” a garanzia dell’autonomia della dirigenza rispetto alla politica.

6. Cosa ci lascia la mancata attuazione dell’art. 11 della legge delega n. 124/2015. Che cosa si sarebbe potuto fare?

Occorre ora chiedersi se la mancata riforma della dirigenza pubblica debba esse-re considerata come un’occasione persa o se, al contrario, come un pericolo scam-pato. Anche se gli indici a favore della seconda soluzione paiono prevalere una pre-sa di posizione netta sarebbe errata. A parere di chi scrive il testo approvato dal Go-verno e poi ritirato presentava molteplici aspetti non condivisibili; però, è del pari, indubbio che proprio quel testo ha permesso il riavvio di una discussione che si spe-ra possa proseguire e possa essere interessante e proficua.

Le considerazioni che seguono hanno l’obiettivo di approfondire le criticità rela-tive al ruolo manageriale del dirigente esaminando partitamente le difficoltà riferi-bili all’attuazione del principio di distinzione funzionale tra politica ed amministra-zione e quelle connesse alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro e all’eser-cizio delle prerogative dirigenziali. I due profili saranno considerati distintamente e con riguardo ad entrambi si porranno in luce quelle che apparivano le parti proble-matiche del testo approvato a novembre 2016 e si indicheranno de iure condendo alcune propsote circa i possibili futuri interventi.

7. Segue: indebolimento del principio di distinzione funzionale tra politica ed amministrazione nello schema di decreto delegato di riforma della dirigenza

Se si dà uno sguardo d’insieme al testo di riforma della dirigenza approvato a fi-ne novembre 2016 pare emergere un duplice limite.

Il primo limite concerne il rafforzamento del legame della dirigenza con la poli-tica. Le norme di riforma della dirigenza tendevano a realizzare un risultato diverso rispetto a quello prefigurato dall’esecutivo. Non si afferma certamente nulla di nuo-vo se si sottolinea che il testo approvato dal Governo, in continuità con quanto era già desumibile dalla legge delega, in concreto rafforzasse il legame dell’alta diri-genza con la politica e, a cascata, di tutti i dirigenti. La burocrazia non usciva af-

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francata dalla politica, tutt’altro. Emblematico di ciò erano le previste modalità di conferimento degli incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali. Secondo il sistema ipotizzato l’organo politico si sarebbe dovuto limitare a scegliere, nell’ambito di una ristretta rosa di nomi elaborata da una apposita commissione, il dirigente rite-nuto più idoneo, con una valutazione prettamente soggettiva, senza alcun ulteriore fil-tro oggettivo. Solo per l’attribuzione degli incarichi dirigenziali di base era prevista una verifica ex post da parte della medesima commissione nazionale circa la scelta compiuta dai dirigenti incaricati della direzione di uffici dirigenziali generali.

Il secondo limite – da leggere sempre nella logica di rafforzamento del rapporto di dipendenza del vertice burocratico rispetto alla politica – attiene alla prevista a-bolizione delle due fasce dirigenziali ed alla costituzione di tre ruoli in cui i dirigen-ti sarebbero stati originariamente inseriti in ragione della provenienza o della speci-fica procedura concorsuale di assunzione. Dopo il primo inserimento ne era però prevista una piena fungibilità attesa la prevista possibilità per le singole ammini-strazioni di attribuire gli incarichi ai dirigenti dei tre ruoli. La scelta del legislatore aveva senza dubbio alcuni punti forti, primo fra tutti la possibilità di attuare effetti-vamente il principio di rotazione degli incarichi, richiesto anche dall’Autorità Anti-corruzione, nella sostanza non realizzabile nelle amministrazioni che presentano un numero limitato di dirigenti. Tuttavia il modello conteneva alcuni punti deboli e pa-lesi incongruità.

Quanto ai primi faceva venir meno il diritto all’incarico. Il dirigente, ancorché valutato positivamente, poteva rimanere senza incarico e dopo un certo periodo es-sere obbligato, pena l’estinzione del rapporto di lavoro, ad accettare una qualsivo-glia tipologia di incarico in qualsiasi amministrazione anche geograficamente molto distante. Il che ovviamente finiva per rafforzare la posizione della politica.

Quanto alle incongruità, da un lato si prevedeva una selezione per l’accesso di-versificata per ruolo, sì da presupporre una differenziazione nelle competenze ri-chieste e, dall’altro lato, si postulava una completa fungibilità tra gli appartenenti ai ruoli, sì da dare per presupposto proprio la sufficienza del possesso di competenze manageriali trasversali.

L’idea di ritenere tutti i dirigenti fungibili può essere condivisa solo ad una pri-ma e marginale valutazione. La categoria dirigenziale è unitaria, ma è chiamata a svolgere compiti specifici in ragione della tipologia di amministrazione in cui ope-ra. È unitaria per l’omogeneità degli elementi strutturali del rapporto di lavoro: per tutti i dirigenti di ruolo vi è la scissione tra il contratto di assunzione a tempo inde-terminato con cui si acquisisce la qualifica e gli incarichi a termine che si succedo-no nel corso del rapporto di lavoro. È, altresì, indiscussa l’esigenza di tenere separa-to il piano della funzione, ovvero dell’attività istituzionale propria delle varie am-ministrazioni da quello relativo all’esecuzione del contratto di lavoro per il raggiun-gimento degli obiettivi definiti dagli organi di indirizzo politico-amministrativo.

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Resta però una specificità professionale del dirigente che deriva dal contesto in cui egli opera e che merita di essere valorizzata anziché appiattita. Proprio tali specifici-tà il testo di riforma del 2016 pareva invece ridimensionare se non addirittura can-cellare. Ciò sull’implicito presupposto che un dirigente è tale in quanto è idoneo a dirigere; e questo a prescindere dal contesto in cui si trova ad operare.

Il percorso ideato dal legislatore del 2016 nel prevedere una sostanziale omolo-gazione della disciplina della dirigenza portava ad estendere in via definitiva il mo-dello ministeriale secondo una logica accentratrice presente anche nella proposta di riforma costituzionale. Una omogeneizzazione che era destinata a riflettersi anche sul piano organizzativo.

A parere di chi scrive occorre, invece, acquisire definitivamente la consapevo-lezza delle diversità esistenti tra le varie amministrazioni e sulla base di ciò chieder-si se non sia opportuno addivenire ad una differenziazione di regolamentazione non tanto tra amministrazioni centrali o locali, quanto tra amministrazioni di servizio alla politica ed amministrazioni erogatrici di servizi alla collettività 41. Una diversi-ficazione che assume rilievo non solo sul piano organizzativo, ma anche con riferi-mento alla definizione delle regole che disciplinano il rapport o di lavoro dirigen-ziale. La dirigenza nel primo caso è al servizio pressoché esclusivo della politica e nel secondo caso, pur dovendo attuare gli indirizzi espressi dagli organi di vertice, chiamata ad esercitare compiti analoghi a quelli che svolge la dirigenza privata nei medesimi settori e, dunque, con una maggiore attenzione al mercato.

Non si tratta certamente di un’idea del tutto nuova in quanto recepisce e svilup-pa alcune riflessioni dell’ultimo decennio del secolo scorso, ma che si ritiene meri-tevole di approfondimento.

Innanzitutto è bene sottolineare come l’idea non sia certamente quella di addi-venire ad una privatizzazione dell’ente che eroga il servizio, bensì di rivedere alcu-ne regole che ne disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento, comprese quel-le relative al personale, in primis di livello dirigenziale. L’esigenza di rispettare i vincoli e le finalità dettati dalla Costituzione, primi fra tutti quelli dell’art. 97 della Costituzione, da leggere in connessione con l’art. 3 della stessa Carta Costituzionale è indiscussa. e, dunque, il soddisfacimento dell’interesse pubblico e non di un inte-resse egoistico cui è intrinsecamente connessa la garanzia di una generalizzata pos-sibilità di fruizione del servizio. Un interesse pubblico da perseguire in maniera im-parziale, efficiente, efficace ed economica nel rispetto delle molte volte limitate ri-

41 Consiglio di Stato, sez. II, n. 1661/2003, ha affermato che, ai sensi dell’art. 4, D.Lgs. n. 165/2001, “rimangono attratte nella sfera dell’organo di governo politico le attività che involgono l’esercizio della c.d. puissance publique, per tale intendendosi non tutte le attività di imperio, ma solo quelle inerenti ai fondamentali interessi dello Stato-apparato e dello Stato-ordinamento, nonché quelle di discrezionalità politica, per tale intendendosi quelle libere nella valutazione degli interessi da soddisfare e tutelare e nelle relative determinazioni finalistiche o strumentali”.

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sorse pubbliche. Sul piano della gestione del personale l’eliminazione di alcune ri-gidità presenti nel settore pubblico potrebbe favorire, se adeguatamente governata da una classe dirigente formata, processi virtuosi.

In secondo luogo, ed in continuità con quanto appena detto, la classificazione tra amministrazioni “politiche” ed amministrazioni “di servizio” non è certamente sem-plice, non potendosi realizzare con un taglio netto. L’esempio corre facilmente alle amministrazioni locali in cui ad un’attività prettamente politica se ne affianca un’al-tra, di pari importanza, di gestione ed erogazione di servizi alla collettività. Tale dif-ficoltà non fa tuttavia venir meno l’opportunità di rimettere nell’agenda un tema fin troppo coperto da polvere stantia.

La possibile obiezione all’ipotizzata riflessione è che in realtà un percorso nel senso indicato è già stato intrapreso, con le aziende municipalizzate ed i consorzi prima e con le aziende speciali poi; e che la riforma delle società partecipate è anda-ta proprio nel senso qui ipotizzato 42.

Senonché non vi è chi non veda come nei fatti tutte le realtà di “imprenditoria pubblica” sopra richiamate non abbiano mai reciso il cordone ombelicale con le lo-ro origini, con l’effetto di creare un sistema ibrido che si colloca a metà strada tra pubblico e privato, il più delle volte recependo i difetti e non i pregi delle due realtà. In ciò “facilitati” da un’autonomia statutaria che permette un sostanziale shopping libero tra le regole ritenute più utili, ma senza la garanzia della conservazione di una omogeneità di disciplina. Il che se certamente può essere valutato positivamente se considerato nella logica di adeguamento alle specificità, ma assume una valenza negativa nel caso di assoluta eterogeneità di regole.

Nondimeno anche la più netta soluzione di esternalizzare servizi pubblici affi-dandoli alla gestione di soggetti privati non ha dato sempre buoni esiti. I dati di esperienza dimostrano come in molti casi non vi sia stato alcun reale minor costo per la pubblica amministrazione e vi sia stato, invece, l’erogazione di un minor ser-vizio unito ad una potenziale precarizzazione del personale impiegato nell’appalto, il più delle volte a condizioni economiche e normative deteriori rispetto a quelle ri-conosciute ai pubblici dipendenti.

L’idea che è alla base delle presenti riflessioni non è, quindi, quella di creare soggetti nuovi o di assegnare ad esterni l’esercizio diretto di un’attività, ma di in-trodurre regole funzionali a garantire una maggiore flessibilità nella organizzazione e nella gestione del servizio da parte della pubblica amministrazione, cui deve esse-re intrinsecamente connessa una maggiore flessibilità nella organizzazione e nella gestione del personale, con una tensione più marcata al risultato.

Si potrebbe anche pensare all’introduzione di disposizioni volte ad agevolare la

42 Sul tema anche per la ricostruzione storica v. BORGOGELLI, Modelli organizzativi e tutele dei la-voratori nei servizi di interesse pubblico, testo disponibile su www.aidlass.it; v. anche GIACONI, Il lavo-ro nella pubblica amministrazione partecipata da privati, in GDLRI, 2017, 523 ss.

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ripresa della gestione diretta di alcuni servizi da parte delle pubbliche amministra-zioni; una reinternalizzazione idonea a superare le criticità sopra evidenziate e che dovrebbe essere però accompagnata da una sostanziale e non formale applicazione delle regole di flessibilità organizzativa sul piano del rapporto. Più precisamente al-la garanzia di stabilità del posto di lavoro data dalla solidità economica dell’ente dovrebbe affiancarsi quella di una maggiore flessibilità gestoria.

In linea generale, ferma l’esigenza di rispettare il vincolo costituzionale dell’ac-cesso per concorso e di riconoscere la tutela reintegratoria nel caso di illegittimo licenziamento, vi dovrebbe essere la formalizzazione dell’esplicita tensione ad una maggiore flessibilità funzionale nel corso del rapporto di lavoro, per quanto concer-ne sia il tempo di lavoro sia lo svolgimento (anche) di mansioni promiscue e, co-munque, diversificate nel corso dell’anno. Una maggiore flessibilità che dovrebbe togliere ogni alibi circa la più volte asserita impossibilità di operare costruttivi con-fronti con il settore privato. Il risultato del servizio dovrebbe essere utilizzato anche come criterio fondamentale di valutazione della dirigenza la quale non avrebbe più la “giustificazione” di dover gestire il personale con regole diverse rispetto al priva-to; un risultato del servizio che dovrebbe nel contempo vincolare anche la politica rispettivamente a confermare e rimuovere i dirigenti che abbiano o non abbiano ga-rantito il raggiungimento dei preventivati e realizzabili risultati.

Se sul piano generale l’obiettivo è di creare le condizioni per un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza del servizio, sul piano specifico della dirigenza lo scopo è di garantirle una effettiva maggiore autonomia d’azione, liberandola dalla morsa di una iperegolazione che, se da un lato ne ha diminuito l’autonomia, dall’al-tro lato non ha impedito l’ingerenza della politica anche nella definizione di alcune determinazioni di dettaglio.

Occorre ora analizzare la disciplina vigente, espressione di un modello astratto congruo e condivisibile, ma che risulta attuato con modalità non sempre coerenti.

7.1. Segue: Criticità della disciplina vigente: a) definizione ed assegnazione degli obiettivi.

La prima riflessione, forse fin troppo scontata, attiene alle criticità riferite alla formulazione ed alla assegnazione degli obiettivi. In merito al primo aspetto, l’atti-vità di indirizzo si deve concretizzare nella determinazione di obiettivi che non sia-no né troppo generici, né troppo dettagliati. Se l’eccessiva genericità genera un’e-vidente difficoltà di definire quale sia la coerente attività attuativa da compiere, con conseguenti effetti diretti sulla stessa possibilità di valutare congruamente l’operato di tutti i dirigenti, l’eccessiva puntualizzazione comporta che la dirigenza divenga una mera esecutrice di indicazioni dettate dagli organi di vertice che, in questo modo, si riappropriano della gestione concreta. La prassi applicativa sconta entrambe le pato-

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logie, con obiettivi talvolta declinati come svolgimento utile delle attività dell’ufficio e, talaltra, con indicazione specifica di alcune particolari missioni di cui sono indicate anche le modalità operative ritenute necessarie per il loro raggiungimento.

La seconda attiene alla tempistica. Ancorché l’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, si limiti a prevedere che l’atto di conferimento dell’incarico deve contenere l’indi-cazione degli “obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai pro-grammi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modi-fiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto”, è indubbio che gli obiettivi debbano essere assegnati prima dell’inizio dell’attività e che debbano essere annual-mente rivisti con tempestività alla luce di quanto previsto dall’atto di indirizzo politi-co 43. Si tratta di un aspetto tanto importante, quanto ineffettivo nella prassi. Al ritardo cronico nella definizione dell’atto di indirizzo si aggiunge il ritardo nella successiva declinazione e specificazione degli obiettivi da assegnare alla dirigenza ed a cascata il ritardo nell’assegnazione degli obiettivi a tutti i dipendenti. La conseguenza è di una valutazione riferita ad un arco temporale annuale, ma con obiettivi assegnati ad anno avanzato, con l’effetto di un suo inevitabile indebolimento.

A chi è contestato il mancato raggiungimento degli obiettivi è agevole dimostra-re la non coincidenza temporale tra il periodo di riferimento per la valutazione e il periodo in cui ha avuto espressa conoscenza degli obiettivi, potendo addurre a pro-pria giustificazione l’insufficienza dell’arco temporale in concreto a disposizione per il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Di qui l’esigenza di introdurre stru-menti idonei a garantire una definizione e conseguente assegnazione celere degli obiettivi (ad esempio tramite l’introduzione di vincoli di spesa per le amministra-zioni ritardatarie); ma forse anche la possibilità di prevedere, compatibilmente con i tempi della annuale legge di Bilancio, una diversificazione dell’ambito temporale per la valutazione, non più riferita all’anno civile, ma all’anno solare con inizio coincidente con l’assegnazione degli obiettivi o, comunque, posticipata di qualche mese rispetto alla data di approvazione della legge di Bilancio.

7.2. Segue: b) disciplina del conferimento degli incarichi.

La seconda riflessione attiene alla disciplina del conferimento degli incarichi, oggetto di interventi interpretativi e valutativi di segno diverso. La disciplina degli incarichi a termine fu introdotta con la riforma Bassanini del 1998 (unitamente alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza generale) quale effetto di un compromesso politico/istituzionale che postulava un definitivo arretramento della politica dalla gestione concreta, ma che aveva quale contropartita il riconoscimento

43 In merito v. criticamente SANTUCCI, La valutazione dei dirigenti, in questa Rivista, 2016, sp. 86 ss.

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alla stessa di una maggiore flessibilità (e non discrezionalità) nella individuazione dei dirigenti a cui conferire gli incarichi dirigenziali apicali; dirigenti apicali che a loro volta erano tenuti ad assegnare gli incarichi dirigenziali di livello inferiore.

È importante ricordare come il modello delineato nel 1998 che già prevedeva criteri soggettivi ed oggettivi per l’individuazione del dirigente cui conferire l’inca-rico (unitamente alla previsione della non applicabilità dell’art. 2103 cod.civ. e, dunque, la possibilità per il dirigente di passare da un incarico più importante ad un incarico meno importante a prescindere da una valutazione negativa) è stato in seguito precisato dalla novella del 2009 (comma 1 dell’art. 19 del D.Lgs. n. 165/2001) con la procedimentalizzazione della fase di conferimento degli incarichi. Si è così previsto l’obbligo per le amministrazioni di rendere conoscibili, anche mediante pubblica-zione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione dirigenziale che si rendono disponibili nella dotazione organica e dei crite-ri di scelta, nonché ad acquisire le disponibilità dei dirigenti interessati e di valutarle (comma 1-bis, art. 19, D.Lgs. n. 165/2001).

La novella del 2009 introduceva anche un’importante disposizione, che sarà do-po poco tempo cancellata dalla manovra finanziaria dell’estate del 2010, secondo cui qualora l’amministrazione, in assenza di una valutazione negativa, avesse inteso non confermare l’incarico al dirigente gliene avrebbe dovuto dare, con un congruo preavviso, idonea e motivata comunicazione, prospettando i posti disponibili per un nuovo incarico (comma 1 ter dell’art. 19 del D.Lgs. n. 165/2001). Tale disposizione denotava un forte equilibrio e risultava idonea a contemperare l’aspettativa del diri-gente prestatore di lavoro alla conferma nell’incarico e la sussistenza di un effettivo interesse pubblico da parte dell’amministrazione alla modifica nelle ipotesi in cui non vi fosse stata una valutazione negativa ed in presenza di ponderate ed effettive esigenze di carattere organizzativo.

Venuta meno la garanzia appena riportata il dibattito si è concentrato sulla defini-zione dei vincoli esistenti nella individuazione del dirigente cui conferire un incarico e, più precisamente, ci si è posti un duplice quesito: a) se a seguito dell’acquisizione delle disponibilità a ricoprire i singoli incarichi l’amministrazione fosse o meno tenuta ad attivare una procedura comparativa e b) se l’amministrazione dovesse conferire l’incarico soltanto ai dirigenti che ne avessero formulato esplicita richiesta o se fosse comunque libera di individuarne altri. Le posizioni espresse erano diverse, soprattutto per quanto concerne la necessità di esperire una procedura comparativa, con una giu-risprudenza di Cassazione (pronunciatasi a partire da un anno prima della novella del 2009) 44 che pareva optare per la soluzione positiva. In questa direzione si muoveva

44 V. Cass. 14 aprile 2008, n. 9814 ove si è affermato che l’amministrazione è tenuta ad applicare i criteri dettati dal comma 1 dell’art. 19 anche per il tramite delle clausole di correttezza e buona fede, riferibili all’attività di diritto privato alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., sì da desumere l’esistenza di una necessaria procedimentalizzazione dell’esercizio del  

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anche lo schema di decreto delegato approvato a fine novembre 2016 il quale preve-deva che “gli incarichi dirigenziali sono sempre conferiti mediante procedura compa-rativa con avviso pubblico e con atto motivato”.

Il ritiro del decreto delegato ha riaperto la questione interpretativa che, come an-che da altri più volte rilevato, si collega al problema fondamentale di dover conciliare l’esigenza della distinzione funzionale tra la politica e la dirigenza con quella della fiducia 45. A parere di chi scrive – e con ciò si ribadisce con alcune riflessioni ulteriori quanto già affermato anche in scritti precedenti – la questione deve essere risolta nel senso di escludere l’attivazione di una procedura comparativa nei rigorosi termini pro-posti da chi l’eleva ad una vera e propria procedura selettiva. Il comma 1-bis dell’art. 19 del D.Lgs. n. 165/2001 si limita a richiedere all’amministrazione di valutare le di-sponibilità acquisite per la copertura dell’incarico. Ne deriva un obbligo di evidenzia-re le ragioni per le quali si ritiene un dirigente idoneo a ricoprire un certo incarico, senza che sia imposta l’attivazione di una rigorosa procedura comparativa, né tanto-meno l’esplicitazione delle ragioni per le quali si ritiene un dirigente più idoneo ri-spetto ad un altro 46. Occorre dimostrare che in applicazione dei criteri definiti dal comma 1 dell’art. 19, come eventualmente specificati nell’avviso (c.d. interpello) del-l’amministrazione, il prescelto possegga le capacità per svolgere l’incarico avendo riguardo alla sua “professionalità” ed alla tipologia di incarico da ricoprire. Tale solu-zione appare, altresì, del tutto coerente con l’unilateralità riconosciuta all’amministra-zione nella definizione dei contenuti dell’atto di conferimento (oggetto, obiettivi e du-rata). Si aggiunga che una rigida interpretazione in termini comparativi impedirebbe nei fatti la rotazione tra i vari incarichi. In ragione dell’esperienza acquisita dal diri-gente nello svolgimento di un certo incarico il mancato rinnovo – fatte salve le ipotesi di accertata responsabilità dirigenziale – risulterebbe in concreto ammissibile solo in presenza di processi di riorganizzazione. Si propende, dunque, per un’investitura fi-duciaria oggettivizzata adottata all’esito della procedura prevista dal comma 1-bis del-l’art. 19, D.Lgs. n. 165/2001 che è del tutto conforme ai principi di imparzialità e tra-sparenza desumibili dall’art. 97 della Costituzione 47.

potere di conferimento dell’incarico, ravvisando un obbligo per l’amministrazione di procedere a valu-tazioni anche comparative, di consentire forme adeguate di partecipazione dei dirigenti alla procedura, di esternare le ragioni giustificatrici delle scelte.

45 Così espressamente GARDINI, La dirigenza pubblica in cerca di identità. Riflessioni alla luce di una riforma interrotta, in DP, 2017, 162.

46 In termini anche MEZZACAPO, Dirigenza pubblica e tecniche di tutela, Napoli, 2010, 131 s. e 257; D’AURIA, Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, in GDA, 2010, 11.

47 In merito alla necessità di una procedura comparativa la giurisprudenza di Cassazione successiva a Cass. 14 aprile 2008, n. 9814 (su cui retro nota 44) si esprime in termini ambivalenti. Infatti se alcune pronunce paiono porre al centro la comparazione (Cass. 10 novembre 2017, n. 26694 “Tali norme ... obbligano la pubblica amministrazione a valutazioni comparative, all’adozione di adeguate forme di  

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In continuità con quanto appena affermato deve essere risolta anche la questione relativa all’eventuale obbligo di attribuzione dell’incarico ai soli dirigenti che ab-biano risposto al relativo interpello. Anche in questo caso la risposta mi pare che non possa che essere negativa. In base alla disciplina vigente il dirigente ha diritto ad un incarico (mentre, come visto, il decreto approvato a novembre 2016 lo aveva nella sostanza eliminato), ma non ad un certo incarico; la sua posizione è pretensiva (più precisamente qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come di interesse legittimo di diritto privato), con il diritto a partecipare alla procedura indetta dal-l’amministrazione, ma non di ottenere l’incarico per cui “concorre” 48. Tant’è che in presenza di un asserito comportamento illegittimo dell’amministrazione potrà chie-dere al giudice la ripetizione della procedura, ovvero limitarsi alla richiesta di risar-cimento del danno subito 49. Non potrà, invece, chiedere l’accertamento del proprio diritto a ricoprire un certo incarico dirigenziale e la condanna dell’amministrazione ad assegnarglielo 50- 51. La giurisprudenza è, infatti, univoca nell’affermare che il giudice ordinario può emettere una pronuncia costitutiva del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato solo ove si tratti di attività vincolata e non discreziona-le 52. Alla luce di ciò la tesi per cui l’amministrazione sarebbe vincolata a conferire l’incarico ad uno dei dirigenti che ne abbiano manifestato la disponibilità e non ad altri appare in contrasto con il quadro normativo appena delineato. A conferma di quanto affermato si aggiungono due ulteriori considerazioni. Innanzitutto all’inter-pello relativo ad una determinata posizione potrebbero rispondere dirigenti tutti “i-nidonei” a ricoprire quell’incarico, sì da vincolare l’amministrazione ad una scelta in contrasto con l’interesse pubblico. Inoltre se a proporre la domanda fosse un solo dirigente egli avrebbe diritto al conferimento dell’incarico, in contrasto con la sua

partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte”), altre si e-sprimono in termini senza dubbio meno netti con la semplice aggiunta della congiunzione “anche” che depotenzia senza ombra di dubbio la portata della valutazione comparativa (Cass. 24 settembre 2015, n. 18972: “tali norme obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte”; ma già Cass. 14 aprile 2015, n. 7495; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088.

48 Cfr. Cass. 22 febbraio 2017, n. 4621 secondo cui alla qualifica dirigenziale corrisponde solo l’at-titudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali; Cass. 20 giugno 2016, n. 12678 ove si afferma che la pubblica amministrazione non può lasciare immotivatamente il dirigente pubblico senza incarichi dirigenziali.

49 Cass. 23 settembre 2013, n. 21700; Cass. 14 aprile 2015, n. 7495; Cass. 24 settembre 2015, n. 180972; Cass. 10 novembre 2017, n. 26694.

50 Cfr. Cass. 26 novembre 2008, n. 28274, in GC, 2009, I, p. 2850. 51 Cfr., tra le altre, Cass. 3 novembre 2006, n. 23549, in FI, 2007, I, 1806 secondo cui il giudice or-

dinario può emettere una pronuncia costitutiva del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato solo ove si tratti di attività vincolata e non discrezionale.

52 Cfr. Cass. 3 novembre 2006, n. 23549; Cass. 14 settembre 2005, n. 18198.

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posizione meramente pretensiva. Si potrebbe così assistere ad una vera e propria “spartizione” degli incarichi nel caso di previo accordo tra i dirigenti dell’ammi-nistrazione che decidessero di predeterminare, suddivindendoseli, gli incarichi ri-spetto ai quali proporre singolarmente domanda.

Richiamate le questioni riferite alla disciplina del conferimento degli incarichi che appaiono di maggior rilievo occorre chiedersi quali interventi sarebbero auspi-cabili. La risposta appare più semplice di quanto si possa pensare, atteso che sareb-be sufficiente rivolgere lo sguardo al passato e reintrodurre quella parte del comma 1-ter dell’art. 19 del D.Lgs. n. 165/2001 troppo repentinamente cancellata. Le ra-gioni che sono state alla base della scelta abrogativa del legislatore appaiono evi-denti, riconducibili alla volontà di garantire una maggiore flessibilità alle ammini-strazioni. Tuttavia quella previsione nel sancire il principio della conservazione del-l’incarico, salve le ipotesi di valutazione negativa o di esigenze organizzative pre-viamente definite dall’amministrazione risultava di garanzia sia per l’interesse per-sonale del dipendente, sia per l’interesse pubblico, depotenziando in nuce artificiose speculazioni interpretative.

8. Segue: la contrattualizzazione del rapporto di lavoro e l’esercizio dei poteri datoriali

Il secondo ambito di attenzione attiene alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro dell’intera dirigenza e all’esercizio delle prerogative gestionali con la capaci-tà del privato datore di lavoro

a) La contrattualizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza apicale è stata criticata da una parte della dottrina per l’asserito contrasto con i principi costituzio-nali, primo fra tutti quello di imparzialità 53.

A prescindere dal fatto che la Corte Costituzionale nel breve volgere di pochi anni ha riconosciuto dapprima la costituzionalità della contrattualizzazione della sola dirigenza di base ed in seguito dell’intera dirigenza 54, ritengo che l’estensione

53 RUSCIANO, “Contro la privatizzazione dell’alta dirigenza pubblica”, in DLM, 2005, 621 ss.; BORDOGNA, Per una maggiore autonomia dell’alta dirigenza pubblica: una proposta, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 92/2009, sp. 7 ss.

54 Corte cost., 25 luglio 1996, n. 313, cit., avallò la scelta del legislatore della duplicazione delle fonti regolatrici del rapporto, non ritenendola in contrasto con le regole di imparzialità e di buon anda-mento dell’azione amministrativa; in seguito Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 11 (in questa Rivista, 2002, 293) affermò che “la privatizzazione del rapporto di impiego pubblico (intesa quale applicazione della disciplina giuslavoristica di diritto privato) non rappresenta di per sé un pregiudizio per l’impar-zialità del dipendente pubblico, posto che per questi (dirigente o no) non vi è – come accade per i magi- 

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delle regole privatistiche al rapporto di lavoro dell’intera dirigenza non comporti i rischi paventati. Più precisamente non concordo con chi ritiene che soltanto lo sta-tus pubblicistico sia idoneo a garantire una effettiva autonomia della dirigenza dalla politica funzionale all’effettivo esercizio dei compiti assegnati. In merito occorre ricordare come la staticità della dirigenza era associata anche alla sua sostanziale inamovibilità propria dello statuto pubblicistico e alla mancanza di stimoli verso l’innovazione.

È già emerso che l’asse portante della c.d. privatizzazione è rappresentato dalla cesura tra i profili organizzativi, rimasti nell’egida del diritto pubblico e la discipli-na del rapporto di lavoro, dotata di una sua autonomia e demandata al diritto priva-to 55. Una demarcazione che si è progressivamente modificata con una sola macro-organizzazione lasciata al diritto pubblico e con la riconduzione di tutto ciò che sta a valle (micro-organizzazione, organizzazione del lavoro e rapporto di lavoro) sotto l’ala del diritto privato. In questo assetto si delinea una distinzione (non configura-bile come contrapposizione in quanto conosce indubbi elementi di sintesi) tra l’esi-genza organizzativa finale dell’amministrazione (o detto in altri termini tra l’eser-cizio della funzione) e l’interesse dei lavoratori come prestatori di lavoro subordina-to. Una situazione che si configura in termini apparentemente peculiari per i diri-genti in quanto anch’essi sono assunti con un contratto individuale, ma nello svol-gimento dei loro compiti sono tenuti ad esercitare anche poteri pubblici. Di qui l’in-dubbia tensione tra la genesi contrattuale del rapporto di lavoro, da cui derivano ob-blighi e diritti sulla base di un atto di autonomia privata, e l’esercizio di poteri pub-blicistici con cui si esprime l’agire dell’amministrazione per finalità di interesse pubblico. Ciò non toglie che sul piano del rapporto di lavoro il dirigente sia tenuto a svolgere i compiti assegnati alla stregua di ogni altro lavoratore subordinato nell’a-dempimento del contratto di lavoro. L’esercizio della funzione per il perseguimento dell’interesse pubblico generale si pone su un altro e distinto piano; l’interesse pub-blico resta al di fuori della causa tipica del contratto fondata sul sinallagma lavoro / retribuzione e risulta mediato dall’attività e dai risultati e, dunque, dalla capacità manageriale di raggiungere gli obiettivi definiti nell’atto di indirizzo politico.

strati – una garanzia costituzionale di autonomia da attuarsi necessariamente con legge attraverso uno stato giuridico particolare che assicuri, ad es., stabilità ed inamovibilità”, per cui rientra nella discrezio-nalità del legislatore disegnare l’ambito di estensione di tale privatizzazione, con il limite del rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e della non irragionevo-lezza della disciplina differenziata.

55 Per alcuni si è trattato di un trasloco della disciplina del lavoro prestato in posizione di subordi-nazione verso le pubbliche amministrazioni dall’area del diritto pubblico a quella del diritto privato (LI-SO, La privatizzazione dei rapporti di lavoro, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Commentario diretto da F. Carinci, Milano, 1995, 84); per altri di un matrimonio di interesse, ove pubblico e privato continuano a convivere nella disciplina dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni (D’ANTONA, La neolingua del pubblico impiego riformato, in LD, 1996, 251).

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Ne deriva che sul versante del rapporto di lavoro e, dunque, ai fini della valuta-zione della prestazione resa, rilevante ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 165/2001 anche in sede di conferimento e di revoca degli incarichi, ciò che assume rilievo è l’adempimento del contratto ed il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Secondo il modello vigente la politica non può sindacare direttamente nel merito i singoli at-ti, ma solo rilevare eventuali violazioni normative.

Pare, dunque, evidente come la natura privatistica del rapporto di lavoro sia ido-nea a preservare l’autonomia della dirigenza, ed a sua volta l’imparzialità d’azione, non risultando necessario invocare l’applicabilità dello statuto pubblicistico che si configura quale mera garanzia del ruolo in senso statico. In definitiva sono da riget-tare tutte le soluzioni che prospettano come possibile un ritorno allo statuto pubbli-cistico.

b) L’esercizio delle prerogative gestionali con la capacità del privato datore di lavoro si lega a doppio filo con il tema della valutazione delle capacità manageriali del dirigente. Secondo il modello delineato dal legislatore il dirigente ha il potere di organizzare l’ufficio di assegnazione ed il personale ivi impiegato. Si tratta dell’e-sercizio di poteri attribuiti in via originaria al dirigente e non delegati dall’organo politico, sì da potersi prospettare in astratto una completa omologazione rispetto al settore privato.

Senonché il lavoro pubblico confrontato con quello privato presenta una doppia specificità. La prima attiene al ruolo degli organi di indirizzo politico nell’esercizio dei compiti di c.d. macro-organizzazione e, per quel che più interessa in questa se-de, nello svolgimento delle funzioni relative alla definizione della dotazione organi-ca e alla connessa redazione del piano di fabbisogno triennale del personale. Si trat-ta di competenze proprie degli organi di vertice e rispetto alle quali alla dirigenza sono attribuiti meri compiti di proposta 56. La dirigenza non ha, quindi, il potere di determinare direttamente l’organico ritenuto adeguato per l’attività dell’ufficio.

La seconda concerne l’esercizio concreto dei poteri datoriali, non solo soggetto a regole peculiari (si pensi alle speciali regole dell’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001 per l’attribuzione di mansioni superiori o quanto previsto dall’art. 45 del medesimo de-creto delegato in tema di parità di trattamento ed ancor prima il vincolo concorsuale per l’assunzione o il passaggio di categoria), ma in molti casi anche indirizzato con la previa indicazione di comportamenti attesi (si pensi in questo caso all’attivazione dell’azione disciplinare ex art. 55 e ss. del D.Lgs. n. 165/2001). Una specificità che trova la propria giustificazione nell’esigenza di conformarsi ai precetti costituziona-li e, segnatamente, ai principi di imparzialità e di buon andamento dettati dall’art. 97 della Carta Costituzionale.

Se il primo aspetto – ovvero le competenze attribuite agli organi di vertice in

56 In merito v. GARILLI, Dirigenza pubblica e poteri datoriali, in questa Rivista, 2016, 17.

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materia di definizione del fabbisogno di personale – risponde certamente ad una lo-gica di sistema anche in termini di contenimento della spesa pubblica, senza dubbio maggiori perplessità destano gli ulteriori limiti e vincoli posti all’esercizio delle pre-rogative datoriali.

Se, da un lato, il dirigente esercita alcune rilevanti prerogative datoriali in “liber-tà vigilata” secondo quanto previsto da dettagliate previsioni normative, dall’altro lato, egli è tenuto a svolgere la propria attività in maniera efficiente, economica ed efficace con una continua tensione al risultato. Il che segna un evidente mutamento di paradigma rispetto ad un passato in cui se l’azione era “legale” era per definizio-ne anche “efficiente”; oggi non è più così, il contesto è significativamente mutato. È indubbio che non può essere vero il contrario, ovvero che la scelta efficiente (eco-nomica ed efficace) sia per definizione anche legale. Parimenti il solo rispetto delle regole non è garanzia del raggiungimento degli obiettivi assegnati. Il tutto compli-cato da un sistema in cui la soluzione organizzativo/gestionale più efficiente non sempre può essere adottata perché se assunta contrasterebbe con precisi vincoli normativi. A titolo di esempio si pensi alla preclusione posta ad un dipendente pro-fessionalmente meritevole di poter partecipare ad un procedura concorsuale per una categoria superiore in assenza del prescritto titolo di studio. Se la promozione intui-tu personae non sarebbe conforme ai precetti costituzionali per la violazione del principio dell’accesso per concorso di cui al terzo comma dell’art. 97 della Costitu-zione, la preclusione basata sul necessario possesso di un titolo di studio rappresen-ta un’indubbia rigidità (la cui genesi, peraltro, è da ricondurre a comportamenti non virtuosi di sostanziale scivolamento verso l’alto di tutto il personale in applicazione di criteri basati sulla sola anzianità di servizio). Ma si pensi ancora alle regole che governano le procedure concorsuali le quali, a prescindere da eventuali comporta-menti patologici, non sono oggi strutturate in maniera tale da far emergere le vere attitudini, conoscenze e capacità del singolo. Infine si consideri l’obbligo di addive-nire necessariamente a valutazioni differenziate del personale anche ove ciò risulti oggettivamente difficile, con conseguente evidenza di svantaggi gestionali rispetto a possibili vantaggi.

Tuttavia anche in presenza dei richiamati vincoli in larga misura dettati dall’esi-genza di conformarsi a principi costituzionali sussistono ampi ambiti per l’esercizio autonomo delle prerogative dirigenziali. Gli ostacoli paiono essere di due ordini e non di natura strettamente giuridica. Il primo è che a distanza di venticinque anni dall’avvio del processo di “privatizzazione” vi sono ancora forti sacche di resistenza nella stessa dirigenza nel comprendere la reale estensione del potere gestionale as-segnato, emergendo molte volte logiche adempitive e non propositive. L’eseguire anziché il proporre viene sentito e vissuto come più sicuro del corretto adempiere. Il secondo ordine di problemi, strettamente legato al primo, e che costituisce la ragio-ne di una certa ritrosia della dirigenza ad esercitare fino in fondo le prerogative da-toriali, attiene alla significativa responsabilizzazione cui essa è soggetta e che porta

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a sanzionare con rigore ogni errore dalla stessa compiuto, a prescindere dal fatto che sia più o meno grave o che sia espressione di attività vincolata o discrezionale. Il che fa si che con riguardo al binomio autonomia/responsabilità si percepisca la seconda e non la prima.

Due esempi possono essere d’aiuto. Il primo attiene all’accertamento in sede giudiziale dell’illegittimità di un atto gestionale in ragione di una differente valuta-zione di merito circa la sussistenza dei presupposti per la sua adozione. Tale deci-sione giudiziale l’illegittimità nei fatti assume per il dirigente rilievo non solo ai fini della valutazione della sua performance, ma con ogni probabilità anche sul piano di una possibile responsabilità erariale attese le maglie larghe con cui viene configura-ta dal giudice contabile la sussistenza della colpa grave. Il secondo concerne il ver-sante delle relazioni sindacali e, in particolare, la sottoscrizione di un contratto inte-grativo di cui si contesta la legittimità 57. La questione di solito concerne la defini-zione dei criteri per la distribuzione della produttività e delle altre indennità o la de-terminazione delle regole per le progressioni economiche.

È certamente noto il rigore interpretativo della giurisprudenza contabile non sempre pronta ad attribuire il congruo rilievo alle specificità delle relazioni sindaca-li; ed in particolare a considerare la circostanza che in molti casi i contratti rappre-sentano l’esito di lunghi e faticosi negoziati volti ad individuare una soluzione di compromesso in applicazione di disposizioni non sempre chiare o che lo divengono solo in ragione di successivi interventi interpretativi. Ravvisare in questi casi quasi sempre comportamenti responsabili degli agenti negoziali pubblici, a fronte della nota sostanziale irresponsabilità giuridica delle organizzazioni sindacali, il cui ap-porto causale nella definizione di una previsione censurata assume rilievo ai soli fi-ni dell’esercizio del potere di riduzione del danno risarcibile, reca l’evidente rischio di disincentivare qualsivoglia costruttivo negoziato.

Il discorso può essere certamente esteso ai casi nei quali il sindacato giudiziale riguarda una scelta discrezionale assunta nell’esercizio di poteri pubblicistici e che porta a ravvisare una responsabilità del dirigente agente in ragione di una diversa valutazione della situazione concreta 58.

57 In merito condivisibilmente TALAMO, Relazioni collettive e dirigenza pubblica: prove di legisla-zione al test della consulta (ed ancora alla ricerca di un assetto ragionevole, in questa Rivista, 2016, 309 il quale rileva la sussistenza di un’evidente anomalia allorquando il dirigente si presenti quale sog-getto componente la delegazione di parte pubblica in quanto “si determina un conflitto di interessi neanche tanto potenziale, in quanto il dirigente-attore negoziale finisce con il contrattare condizioni normative che gli si applicheranno direttamente, con l’aggravante che le stesse trattative che lo riguar-dano si svolgono perlopiù in confronto con le stesse organizzazioni sindacali che costituiscono la sua controparte in sede di contrattazione integrativa per i dipendenti non dirigenti”.

58 In merito D’ORTA, 25 anni di norme che hanno paralizzato la pubblica amministrazione. Ricono-sciamo gli errori e proviamo a rilanciare il nostro paese, in questa Rivista, 2016, 785 parla di “nega-zione della ‘discrezionalità amministrativa’, da intendere come ragionata capacità di valutazione e scel- 

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La conseguenza di quanto appena evidenziato è una dirigenza non incentivata ad assumere iniziative gestionali virtuose qualora appaiono innovative ed in disconti-nuità con l’esistente. Si è così nella sostanza affermato un sistema in cui prevale una rigorosa razionalità manageriale ove l’azione del dirigente è nella sostanza diretta dall’esterno, veicolata secondo logiche gestionali di continuità rispetto al passato, ed in cui il binomio virtuoso autonomia/responsabilità vede compressa la prima ed ampliata la seconda. Il risultato è di una scarsa attenzione all’efficienza e all’effica-cia che rimangono solo sulla carta ed in cui la sola economicità offre, in apparenza, riscontri tangibili. Al fine di superare la situazione che si è venuta a creare sarebbe forse opportuno acquisire la consapevolezza di una certa fisiologicità della possibi-lità di errore, non necessariamente qualificabile come grave inadempimento e/o vio-lazione di rilievo anche erariale.

In stretta correlazione con quanto fin qui evidenziato deve essere considerato anche l’incremento degli incombenti in materia di trasparenza ed anticorruzione cui sono tenuti i pubblici dipendenti, primi fra tutti i dirigenti. Si tratta di adempimenti che non hanno una valenza burocratica, ma che, tuttavia, tendono ad essere conside-rati tali, sì da farne perdere di vista il valore aggiunto e la finalità intrinseca. Tale sensazione deriva anche dall’essere chiare le responsabilità nel caso di inerzia, men-tre meno chiari appaiono i vantaggi sottesi al puntuale adempimento. L’idea di esse-re in presenza di un mero aggravio di compiti troverebbe ulteriore conferma nel do-ver essere adempiuti ad invarianza di spesa, ossia senza l’utilizzo di risorse aggiun-tive. L’incremento dei compiti si è affiancata ad una contrazione del personale tale da far cogliere una riaffermazione della prevalenza del principio di legalità e un’at-tenzione alla sola economicità.

È indubbio che si imponga un necessario cambio di rotta funzionale al rafforza-mento della spinta manageriale della dirigenza. In questa logica si suggeriscono due riflessioni.

La prima è una sfida nuova che si sviluppa sull’asse trasparenza – allentamento dei vincoli di spesa e, più in generale, verso un ripensamento dell’orientamento per cui il binomio pubblicità e riduzione della spesa rappresentino i parametri per la ga-ranzia dell’imparzialità e del buon andamento. Ferma l’indubbia importanza dei principi dettati in materia di trasparenza è però del pari indubbio che a medio – lun-go termine una economicità possa conseguire anche da una spesa iniziale più eleva-ta (che può in ipotesi derivare anche da un incremento di organico). Questa seconda considerazione, per alcuni forse troppo banale, ma non per questo non meritevole di attenzione, riguarda tutti gli ambiti dell’agire della pubblica amministrazione e non solo la gestione del personale. Si deve cioè procedere nel senso di affermare che la

ta delle amministrazioni a fronte delle mutevoli situazioni che si verificano della realtà, messa all’indice quale che fosse un male in sé.

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“trasparenza”, anche con una modificazione in senso più selettivo, ma più comple-to, dei dati da pubblicare, possa essere una garanzia di scelte congrue ed economi-che nello svolgimento dell’attività amministrativa e di gestione delle risorse umane ed idonea a far emergere i profili di illegittimità. In tale prospettiva è necessaria la modifica delle disposizioni che configurano quale forma di responsabilità dirigen-ziale la mancata osservanza degli obblighi di pubblicazione, nonché la violazione dei termini previsti in materia di procedimento amministrativo, atteso che detti ina-dempimenti assumono una valenza intrinsecamente disciplinare.

In diretta connessione vi è l’esigenza di un ripensamento dei parametri della va-lutazione e delle regole in materia di responsabilità gestionale della dirigenza. Sul piano della valutazione occorre implementare il percorso ripreso dal D.Lgs. n. 74/2017, ovvero porre al centro non solo l’analisi del che cosa è stato fatto, ma an-che del come è stato fatto. Ed in questa logica occorre avere ben chiara la differenza esistente tra obiettivi e competenza, la prima rilevante sul piano del risultato, la se-conda prevalentemente su quello del rendimento.

9. Riflessioni conclusive

Al termine del percorso ricostruttivo compiuto emerge senza dubbio un quadro ben diverso da quello prefigurato dal riformatore degli anni ’90 del secolo scorso. La dirigenza era stata posto al centro della riforma, quale punta di diamante del rin-novamento delle pubbliche amministrazioni; una dirigenza che prometteva una maggiore competenza e managerialità ed un minor legame con la politica. Lo svi-luppo, come emerso anche da questa pagine, è stato ben diverso. La politica non ha perso il timone di comando delle amministrazioni, non limitandosi, il più delle vol-te, a fornire meri atti di indirizzo, ma entrando nelle singole scelte per alimentare il proprio consenso; una dirigenza, ma più in generale tutti i dipendenti posti in posi-zione di responsabilità, più attenti al legalismo formale che al risultato, secondo un comportamento che può essere definito di “burocrazia difensiva”. Una dirigenza che quale datore di lavoro non è mai riuscita a connotarsi fino in fondo come tale, emblematico della difficoltà di introdurre una cultura aziendalistica nella pubblica amministrazione, anche per le specificità del sistema di relazioni sindacali ove tra dirigenza ed organizzazioni sindacali non si configura una netta contrapposizione, ma neppure una identità di obiettivi. Ma soprattutto per la difficoltà di introdurre la cultura della programmazione e della valutazione, aspetti senza dubbio portanti, ma rispetto ai quali gli attori tutti hanno manifestato una resistenza passiva.

La dirigenza molte volte è stata utilizzata come il capro espiatorio di difetti ed inefficienza le cui responsabilità ricadevano in prevalenza su altri. È fin troppo evi-

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dente che il tema della dirigenza non può essere disgiunto da una riflessione di più ampia portata.

In questo senso le soluzioni possibili paiono due, talmente diverse tra loro, da ri-sultare con tutta evidenza inconciliabili. La prima, minimale, attiene ad un semplice restayling dell’esistente, al fine di superare alcune aporie normative e di rendere ef-fettive le condizioni per l’attuazione delle riforme. E per quanto riguarda nello spe-cifico la dirigenza, alla presenza di idonee garanzie riferite alla fase di conferimento dell’incarico ed a quella della sua cessazione, non se ne affiancano di sufficienti per quanto concerne la fase di svolgimento del rapporto. Il ritardo nella assegnazione degli obiettivi e le carenze dei sistemi di valutazione rappresentano senza dubbio i punti di maggiore criticità per una effettiva garanzia di autonomia della dirigenza.

Oppure, al contrario, la scommessa è molto più radicale e si dirige nel senso di operare una netta distinzione tra le amministrazioni di servizio alla politica (c.d. amministrazioni di puissance) e amministrazioni di servizio alla collettività, come tali connotate da alcune evidenti similitudini con i soggetti privati erogatori dei me-desimi servizi. Tuttavia, ed è bene ricordarlo, occorre parlare di similitudine e non di identità attesa la diversa “funzione sociale” degli enti pubblici rispetto agli enti privati. Ciò però non impedisce di acquisire anche nel pubblico alcune regole orga-nizzative e gestionali proprie del privato secondo una logica virtuosa volta a rendere sempre migliori (e non banalmente competitivi) i settori pubblici e privati.

La speranza è che il protagonismo normativo ceda il passo ad analisi ponderate che riescano a vedere al di là della contingenza del momento con l’umiltà di volgere lo sguardo anche al passato per recuperare esperienze ed idee utili per il futuro. Solo in questo modo si potrà aprire una costruttiva stagione nuova di cui si sente la ne-cessità.

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MISURE DI CONTRASTO AL PRECARIATO E STABILIZZAZIONI DEL PERSONALE

ALESSANDRO GARILLI

Sommario: 1. L’irresistibile ascesa del precariato. – 2. Controllo sulla flessibilità e piani di stabilizza-zione nel periodo 2006-2013. – 3. Criteri direttivi e lacune applicative della legge delega n. 124/2015. – 4. La stabilizzazione secondo l’art. 20 del decreto legislativo. – 5. Il mancato bilanciamento tra tutela degli interni e accesso dall’esterno.

1. L’irresistibile ascesa del precariato

Il fenomeno del precariato, quale forma di assunzione di personale con contratti temporanei in deroga ai principi del concorso e della predeterminazione degli orga-nici, costituisce una caratteristica strutturale della pubblica amministrazione italia-na, le cui cause storiche, individuabili nel commercio elettorale del posto pubblico e nell’assorbimento dell’endemica disoccupazione nel Mezzogiorno, si sono combi-nate in tempi più recenti con le politiche di contenimento della spesa imperniate sul blocco delle assunzioni a tempo indeterminato.

Comparso già all’indomani della formazione dello Stato unitario e implementa-tosi durante il regime fascista (grazie a una legge del 1937 che consentiva il c.d. straordinariato) 1, esso si ripresenta puntualmente nelle prime stagioni della Repub-blica, nonostante il divieto di cui all’art. 97, comma 3, Cost. 2; e si riproduce come le teste dell’Idra nella fase successiva delle riforme avviate nel 1992-93, nonostante il cambiamento di paradigma determinato dalla trasformazione della natura del rap-porto di lavoro da pubblico a privato, introdotta quale precondizione per la moder-nizzazione del tessuto amministrativo. Come dire che a nulla è valso il rovescia-mento del modello organizzativo basato sulla rigidità della pianta organica e sulla classificazione del personale sganciata dalle mansioni e dalle esigenze effettive de-

1 GARILLI, Flessibili e precari nelle pubbliche amministrazioni, in BELLAVISTA- GARILLI-M. MARI-

NELLI (a cura di), Il lavoro a termine dopo la legge 6 agosto 2008, n. 133. Privato e pubblico a confron-to, Torino, 2009,113. In generale, per i profili storico-giuridici delle stabilizzazioni, cfr. CIMINO, I limiti al reclutamento di personale precario e i loro effetti, in GDA, 2013, 913-914.

2 MELIS, Per l’amministrazione italiana è sempre sanatoria, in GDA, 2013, 911.

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gli uffici e dei servizi, sostituito, almeno nelle intenzioni del legislatore delle rifor-me, da tipologie flessibili nella provvista di personale e nel suo utilizzo. Parodos-salmente si può anzi affermare che la possibilità di utilizzare contratti flessibili di lavoro autonomo e subordinato, importati dal settore del lavoro nell’impresa, ha da-to nuova linfa al fenomeno per l’incapacità amministrativa di gestire in modo fisio-logico i nuovi strumenti. E anche le ricette per farvi fronte sono rimaste pressoché immutate: al divieto generale di assunzioni temporanee tranne che per ipotesi for-malmente limitate e individuate in esigenze straordinarie, si accompagnano nume-rose deroghe, a cui si aggiungono palesi violazioni della legge (specie nelle regioni, negli enti locali, nella sanità e nel parastato), determinando l’uso abusivo del preca-riato e la sua protrazione per un numero indefinito di anni. Da qui le ricorrenti sana-torie, a far data da quella emanata all’indomani della nascita della Repubblica e in concomitanza con le elezioni politiche del 1948, disposta per coloro che avessero maturato sei anni di servizio e attuata con la creazione di ruoli speciali transitori poi confluiti nei ruoli organici (ovviamente ampliati) 3. Si pongono così le premesse per un circolo vizioso in cui il transitorio tende a divenire definitivo e le elusioni alla legge, spesso frutto di connivenze fraudolente tra lavoratori e pubblica amministra-zione, lungi dal venire represse vengono fomentate dall’aspettativa di una futura ga-ranzia di stabilizzazione. Poco importa se la giurisprudenza del Consiglio di Stato abbia affermato la nullità assoluta, imprescrittibile e insanabile degli atti di assun-zione, negando la conversione del rapporto, considerato di mero fatto e tutelato sol-tanto dall’art. 2126 c.c. 4; e la Corte costituzionale, intervenuta prima e dopo la pri-vatizzazione, abbia risolto negativamente la dedotta violazione del principio di eguaglianza a causa delle differenti discipline applicabili nella materia al lavoro pubblico e a quello privato 5. Le pressioni per “sistemare” con interventi straordinari questa massa di personale non vengono certo scoraggiate dai richiami all’osservan-za dei principi costituzionali del buon andamento e dell’accesso dall’esterno me-diante pubblico concorso.

Non è questa la sede per ripercorrere analiticamente le vicende storiche del pre-cariato, le sue impennate per fronteggiare le crisi occupazionali (si vedano le infor-nate determinate dai provvedimenti per l’occupazione giovanile della seconda metà degli anni ’70), i finti tentativi di arginare il fenomeno e le politiche delle proroghe e delle deroghe. È invece più utile soffermarsi sugli interventi degli ultimi anni (dal dicembre 2006), in cui le tecniche utilizzate non differiscono significativamente da quelle messe in opera con le regole per il superamento del precariato indicate dal-l’art. 20 del D.Lgs. n. 75/2017. Peraltro, sono del periodo che ci accingiamo ad

3 GARILLI, op. cit., 113-114. 4 Cons. St., Ad. plen., 9 settembre 1992,in GI, 1993, I, 786 con nota di Tassone. 5 Corte cost., 3 marzo 1986, n. 40 e 27 marzo 2003, n. 89; e da ultimo 20 luglio 2016, n. 187, tutte

in www.giurcost.org.

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esaminare i primi interventi della Corte di giustizia che hanno ritenuto applicabile la direttiva 99/70/CE sul contratto a termine anche al lavoro pubblico e compatibile con il principio di parità di trattamento la previsione legislativa (in sostituzione del-la conversione del contratto) del risarcimento del danno in funzione repressiva degli abusi da parte della pubblica amministrazione purché sia proporzionato e sufficien-temente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme di attua-zione adottate dall’ordinamento interno con il D.Lgs. n. 368/2001 (oggi artt. 19 e ss. D.Lgs. n. 81/2015) 6. Questa giurisprudenza, a cui faranno seguito più puntuali ela-borazioni dei giudici domestici sull’applicazione automatica del risarcimento quale diretta conseguenza del c.d. danno comunitario 7, mette in crisi l’impianto normati-vo di cui all’art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e concorre a rendere ineludibile la previsione di percorsi di stabilizzazione del precariato di lunga durata 8. La necessi-tà di un intervento è peraltro tanto più avvertita in quanto il fenomeno dal 2000, in coincidenza con il blocco delle assunzioni,ha assunto proporzioni considerevoli, su-perando nel 2005 le 340.000 unità (scuola compresa) con una crescita di tutte le ti-pologie contrattuali.

2. Controllo sulla flessibilità e piani di stabilizzazione nel periodo 2006-2013

La risposta del legislatore, in un primo tempo, è indirizzata a correggere il mo-dello dell’unificazione normativa con il settore privato introdotto dal D.Lgs. n. 80/1998 (che, modificando l’art. 36 del D.Lgs. n. 29/1993, consentiva l’avvalimen-to senza limiti, e con il solo obbligo della selezione pubblica, delle forme contrat-tuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa). L’art. 4 della legge n. 80/2006 (di conversione del D.L. n. 4/2006) infatti condiziona l’attivazione di con-tratti atipici esclusivamente ad esigenze temporanee ed eccezionali, e solo previa valutazione negativa della possibilità di ricorrere all’assegnazione temporanea del

6 Corte Giust., 4 luglio 2006, proc. C-212/04 (Adeneler), in www.dejure.it. 7 Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072, in www.dejure.it; Cass., S.U., 2 agosto 2017, n. 19165, in

Gdir, 2017. 8 La stabilizzazione, secondo la giurisprudenza della Cassazione, che si colloca sulla scia di Corte

cost. n. 187/2016, una volta avvenuta o quando vi sia certezza del suo avveramento, ha natura riparato-ria e quindi cancella l’illecito ed esclude il danno comunitario, in quanto l’immissione in ruolo consente all’interessato di ottenere il medesimo “bene della vita” per il quale agisce, salvi gli ulteriori e diversi danni con onere di allegazione e prova a carico del lavoratore: cfr. Cass., 3 luglio 2017, n. 16336, in GCM, 2017, con riguardo alla stabilizzazione prevista dalla legge 296/2006; sul personale della scuola cfr. Cass. da 2252 a 2256/2017, in www.dejure.it.

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personale di ruolo, ai contratti di somministrazione o all’esternalizzazione e all’ap-palto dei servizi.

In un secondo tempo, a distanza di pochi mesi, con la legge finanziaria n. 296/2006 (art. 1, commi 519 ss. e 558 ss.) si mettono in campo nuove procedure di stabilizzazione riservate ai soggetti assunti con contratto a tempo determinato e di formazione e lavoro, mentre per le collaborazioni coordinate e continuative, utiliz-zate da almeno un anno impropriamente per soddisfare esigenze attinenti all’ordi-naria attività di servizio, si prevede una cospicua quota di riserva nei concorsi per le assunzioni di personale a tempo determinato. Nei confronti dei lavoratori a termine si pone un doppio requisito: che si tratti di rapporti protrattisi per almeno tre anni e che essi si siano svolti nell’arco del quinquennio precedente alla data di entrata in vigore della legge. L’obbligo delle procedure selettive viene formalmente rispettato, prevedendosi che queste devono essere predisposte soltanto nel caso in cui l’assun-zione a termine sia avvenuta in assenza di procedure di natura concorsuale o previ-ste da norme di legge (è il caso delle qualifiche basse avviate attraverso il colloca-mento, delle assunzioni obbligatorie o degli lsu). Si è trattato comunque di concorsi riservati dall’esito praticamente scontato.

Il successivo intervento, ad opera della legge n. 244/2007 (art. 3, commi 90 ss.), prescrive che le pubbliche amministrazioni predispongano, sentite le organizzazioni sindacali e nell’ambito della programmazione triennale del fabbisogno, piani per la progressiva stabilizzazione del personale, senza il vincolo dell’invarianza della spesa ed invece con un incremento del fondo per la stabilizzazione. Inoltre si allarga la pla-tea degli aventi diritto in quanto si proroga di un anno il possesso del requisito relati-vo all’anzianità di servizio, si parificano i collaboratori ai lavoratori a termine (restan-do dubbia la trasformazione del contratto a tempo indeterminato), e si demanda ad un d.p.c.m., mai emanato, la disciplina dei presupposti per la stabilizzazione dei lavorato-ri utilizzati con altre tipologie contrattuali flessibili (quali i contratti di somministra-zione). Infine la legge introduce nei concorsi per l’assunzione di personale non diri-genziale una riserva di posti per i “triennalisti” con rapporto subordinato, e per i col-laboratori il riconoscimento di un punteggio per il servizio prestato.

Contemporaneamente la legge (art. 3, comma 79) tenta di chiudere il rubinetto di ingresso al precariato con un’ulteriore modifica all’art. 36 del D.Lgs. n. 165/2001. L’utilizzo dei contratti flessibili è limitato alle assunzioni per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi con divieto di rinnovo del contratto o di impiego del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale, fermo restando l’obbligo del previo ricorso all’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazio-ne per un periodo non superiore a tre mesi, non rinnovabile, per fare fronte ad esi-genze temporanee ed eccezionali.

Nel periodo 2008 – 2011 (IV governo Berlusconi) sia la disciplina delle forme di lavoro flessibile che le stabilizzazioni vengono investite da nuove riforme che prece-dono il ben più ambizioso progetto di mettere mano all’intero D.Lgs. n. 165/2001.

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Alla drastica limitazione del contingente di personale ancora da stabilizzare, contenuta nel D.L. n. 112/2008 (conv. nella legge n. 133/2008, art. 66),entro un tet-to di spesa non superiore al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente e per un numero di unità non eccedente il 10 per cento delle unità cessate,seguirà un parziale allentamento dei vincoli e la riapertura dei termini delle leggi del 2006 e 2007. Inoltre, sempre nel 2009 (D.L. n. 78 conv. nella legge n. 102/2009, art. 17, commi 10 e 11)viene riproposta, per il triennio 2010-2012, la possibilità di riservare per il personale a tempo determinato, in possesso dei ricorda-ti requisiti,il 40 per cento dei posti nei concorsi pubblici, mentre per i collaboratori coordinati e continuativi si prevede la valorizzazione con apposito punteggio nei concorsi dell’esperienza acquisita. Questa disposizioni, invero più coerenti con le indicazioni della Corte costituzionale sul rispetto dei principi di cui l’art. 97 Cost., saranno poi inserite, con lievi modifiche, nel corpo dell’art. 35 (comma 3 bis) del D.Lgs. n. 165/2001 (dall’art. 1, comma 401, legge n. 228/2012) e quindi destinate ad operare a regime. Si istituisce così in via definitiva un doppio canale di accesso al pubblico impiego: l’uno attraverso il concorso pubblico aperto a tutti e l’altro ri-servato ai contrattisti per la loro immissione in ruolo.

La stretta su sistemi automatici o semi-automatici di stabilizzazione si accompa-gna, nel provvedimento legislativo del 2009, a nuovi rimaneggiamenti delle disci-pline delle collaborazioni e dei contratti atipici. Se per i primi è confermata la linea rigorista già tracciata nel 2006 (art. 32, D.L. n. 223, conv. nella legge n. 248/2006) con le modifiche all’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, non così per i secondi. Il testo emendato dell’art. 36 ritorna infatti a consentire il ricorso alle forme di lavoro a ter-mine e alle somministrazioni per esigenze temporanee ed eccezionali, eliminando il limite temporale dei tre mesi e consentendo l’utilizzo dello stesso lavoratore anche con più tipologie contrattuali purché non si superino i tre anni nell’ultimo quin-quennio. L’avere consentito che lo stesso lavoratore potesse essere utilizzato per un lungo periodo di tempo, continuativo o interrotto da pause, vanifica il rigore della causale e apre la strada ad un nuovo precariato. Peraltro, la previsione della respon-sabilità erariale e dirigenziale per la violazione dei limiti legali resta una mera peti-zione di principio e, come tale, non esplica alcun effetto dissuasivo al ricorso abusi-vo dei contratti a termine. Parimenti ineffettivo si è dimostrato il divieto di assun-zioni “ad alcun titolo” per il triennio successivo alla violazione posto a carico delle pubbliche amministrazioni che disattendono la legge.

La riapertura del rubinetto di ingresso, unita al mancato, completo assorbimento del precariato storico – per il quale in violazione della direttiva comunitaria si concede di anno in anno la proroga dei contratti – e alle consuete pressioni politico-sindacali, aprono la strada ad una nuova stagione di “misure urgenti” per la stabilizzazione 9.

9 Cfr. TAMPIERI, Prime osservazioni sulla legge 30 ottobre 2013 n. 165, in questa Rivista, 2013, 742, che rinviene un filo rosso tra l’intervento del 2013 e quelli del 2007 e del 2008.

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Così, al sistema a regime del concorso con riserva dei posti, il D.L. 101/2013 (con-vertito nella legge n. 125/2013) affianca una nuova procedura speciale transitoria e facoltativa per le amministrazioni, a valere sul 50 per cento delle risorse disponibili per le assunzioni per gli anni 2013-2016, consistente in concorsi riservati per i pre-cari assunti con contratto a tempo determinato e per le diverse categorie di LSU che, come nelle precedenti stabilizzazioni, abbiano maturato almeno tre anni di ser-vizio nel quinquennio. Inoltre si prevede la conversione automatica e prioritaria per i collaboratori degli enti locali assunti con contratto a tempo determinato a conclu-sione delle procedure selettive previste dalla legge n. 296/2007.

Il decreto del 2013 modifica anche l’art 36 del D.Lgs. n. 165/2001. Anzitutto in-serisce l’avverbio esclusivamente alla causale giustificatrice, ma nel contempo so-stituisce la congiuntiva “e” che unificava la temporaneità con l’eccezionalità delle esigenze con la disgiuntiva “o”, separando quindi le due ipotesi e perciò contraddit-toriamente ampliando l’ambito delle eccezioni. In secondo luogo, “per prevenire fenomeni di precariato”, le amministrazioni, qualora abbiano l’esigenza di persona-le a termine devono sottoscrivere i relativi contratti con i vincitori e gli idonei delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato (della me-desima o di altra amministrazione).

Gli interventi del legislatore hanno interessato, in tempi diversi, quasi tutti i set-tori (con prevalenza dei comparti della sanità e delle autonomie locali, principali fruitori di personale flessibile), determinando un numero complessivo di stabilizza-zioni al 2015, registrato a partire dal 2007, di oltre 76.300 unità con un saldo nega-tivo (cioè di precari ancora in servizio) di circa 105.000 unità. Ma i dati – desunti dal conto annuale del MEF 10– sono parziali e non collimano con quelli pubblicati dall’Istat secondo i quali alla stessa data del 31 dicembre 2015 nelle istituzioni pub-bliche vi sarebbero quasi 293.804 lavoratori a tempo determinato e 173.558 colla-boratori e “altri atipici e temporanei” 11. In questa seconda rilevazione è però ricom-preso il personale insegnante della scuola per il quale, a seguito della sentenza della Corte di giustizia Mascolo 12 e delle numerose pronunce dei giudici nazionali 13, il legislatore ha provveduto con la legge n. 107 del 2015, il cui effetto sanante è stato avallato dalla Corte costituzionale 14.

10 MEF – Ragioneria Generale dello Stato, Commento ai principali dati del conto annuale del periodo 2007-2005, in http://www.contoannuale.tesoro.it/cognos1022/samples/images/ANALISIDATI2007-2015.pdf.

11 Cfr. Istat, Censimento permanente delle istituzioni pubbliche: primi risultati, 14 giugno 2017, 2, in https://www.istat.it/it/archivio/201209.

12 Corte Giust. 26 novembre 2014, cause riunite da C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13. In dottrina cfr. DE MARCO, Il precariato pubblico tra normativa italiana e bacchettate dall’Europa (con-siderazioni a margine della sentenza della Corte di Giustizia 26 novembre 2014), in DML, 2014, 3, 345.

13 Corte appello Brescia, sez. lav., 22 aprile 2017, n. 552, in Redazione Giuffrè, 2017. 14 Corte cost. 20 luglio 2016, n. 187, in RIDL, 2017, II, 325, con nota di ALLOCCA, Il giudizio della

 

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90 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Va inoltre considerato che nell’ultimo periodo si è dovuto fare fronte alla ricol-locazione del personale in esubero delle province. Ed anche per tale finalità il ter-mine di scadenza della procedura speciale di cui al D.L. 101 del 2013 è stato proro-gato al 31 dicembre 2018.

3. Criteri direttivi e lacune applicative della legge delega n. 124/2015

Il quadro che si è sommamente tracciato mette in evidenza che alla data di promul-gazione della legge delega n. 124/2015 il precariato residuo utilizzato per oltre un triennio (quindi in violazione della direttiva 1998/70 Ce) poteva in buona parte – e for-se tranne alcune categorie, quali i medici e i ricercatori CNR – essere assorbito con l’applicazione delle procedure ordinarie e speciali vigenti. Ciò forse spiega perché la legge non contiene chiare linee direttive che riguardino forme di sanatoria dei rapporti precari. Dei due indirizzi indicati al legislatore delegato, il primo (art. 17, comma 1, lett. a) riprende 15 la ricordata disposizione contenuta nell’art. 35, comma 3 bis del D.Lgs. n. 165/2001, stabilendo che nelle procedure concorsuali si introducano mecca-nismi di valutazione finalizzati a valorizzare l’esperienza professionale acquisita da coloro che abbiano avuto “rapporti di lavoro flessibili” con le pubbliche amministra-zioni. Il carattere innovativo della disposizione – che ha comportato la modifica nei termini indicati dalla delega del comma citato ad opera del D.Lgs. n. 75/2017 – sta nel-la sostituzione della tipologia delle collaborazioni con la più ampia ed indistinta area dei contratti flessibili, che ricomprende anche la somministrazione in quanto la norma prescinde dalla formale individuazione del datore di lavoro, richiedendo soltanto l’u-tilizzazione della prestazione di lavoro da parte della pubblica amministrazione.

Il secondo indirizzo (art. 17, comma 1, lett. o) riguarda le modifiche da apporta-re alla disciplina generale delle forme di lavoro flessibile, che vanno circoscritte a “limitate e tassative fattispecie caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esi-genze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il pre-cariato”. Il decreto legislativo però non centra questi obiettivi. Invero non si regi-strano modifiche significative al testo previgente 16: la riscrittura dell’art. 36, com-ma 2, si risolve nell’aggiornamento dei rinvii alle tipologie contrattuali come rego-

Corte Costituzionale sul conferimento di supplenze nelle scuole pubbliche prima e dopo la legge sulla «Buona Scuola».

15 Cfr. BOSCATI, La politica del governo Renzi nel settore pubblico tra conservazione e innovazio-ne: il cielo illuminato diverrà luce perpetua?, in questa Rivista, 2014, 251.

16 Contra BIANCO, Dotazioni organiche, mobilità, accessi, collaborazioni, disabilità e altre disposi-zioni, in BIANCO- BOSCATI- RUFFINI, La riforma del pubblico impiego e della valutazione, Santarcange-lo di Romagna, 2017, p. 45.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 91

late dal D.Lgs. n. 81/2015, il quale di volta in volta per le singole fattispecie indica le deroghe per il lavoro pubblico. Un’applicazione ad ipotesi limitate del lavoro oc-casionale è poi prevista dall’art. 54 bis della legge n. 96/2017.

L’ossequio formale alla delega è poi ravvisabile nell’affermazione di principio secondo cui la stipulazione di tali contratti è subordinata ai “limiti” e alle “modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche”.Norma pleo-nastica perché, oltre a quanto previsto nella ricordata disciplina organica e generale dei contratti di lavoro, la materia, secondo quanto indicato dallo stesso comma 2 e in virtù del principio di delegificazione organica reintrodotto a seguito delle modifi-che agli artt. 2, comma 2, e 40, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001, è rimessa alla compe-tenza della contrattazione collettiva a livello nazionale (secondo la consueta logica centralizzatrice che differenzia il settore da quello privato).È pertanto escluso che il Governo possa provvedere con atti amministrativi.

Punto nevralgico resta la condizione legittimante il ricorso ai contratti flessibili. È stata mantenuta la formula indicata nel testo emendato nel 2013 e cioè “per ri-spondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”, con la precisazione che queste devono essere “comprovate”, cioè supportate da una moti-vazione analitica delle ragioni, la quale va poi riportata nel rapporto informativo sulle tipologie contrattuali che le amministrazioni devono trasmettere annualmente ai nuclei di valutazione e all’osservatorio paritetico presso l’Aran (comma 3). La causale (modellata sull’art. 1, comma 2, della legge n. 230/1962) si è dimostrata inidonea a limitare le assunzioni di personale precario. Sarebbe stato opportuno in-dicare un limite temporale massimo ben al di sotto dei tre anni previsto per il settore del lavoro privato, vietare le proroghe con il medesimo lavoratore ed escludere pos-sibili deroghe. Si sarebbe così evitato che il nuovo contratto del personale del com-parto funzioni centrali per il triennio 2016-2018 (e probabilmente anche quelli degli altri comparti che saranno sottoscritti successivamente) si conformasse alle discipli-ne del contratto a tempo determinato e della somministrazione contenute nel D.Lgs. n. 81/2015, mantenendo la durata massima di tre anni,gli stessi regimi della succes-sione e delle limitazioni quantitative e, implicitamente, atteso il rinvio alla normati-va generale, anche quello delle proroghe. Come ciò possa essere compatibile con la rigidità delle causali è difficile da comprendere. Queste regole infatti sono coerenti con l’assenza di giustificazione causale all’apposizione del termine alla durata del contratto, ma collidono con l’opposto principio valevole per il lavoro alle dipenden-ze di amministrazioni pubbliche.

Altra occasione mancata riguarda la determinazione del risarcimento del danno in caso di violazione delle disposizioni imperative. La carenza di criteri legali al ri-guardo continua ad alimentare il contenzioso anche dopo l’intervento della Sezioni Unite della Corte di Cassazione 17, che, applicando in via analogica l’art. 28, comma

17 Cfr. Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072 in Ridare.it, 25 luglio 2016, e Cass., S.U., 2 agosto  

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92 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

2, D.Lgs. n. 81/2015, ha individuato l’indennità automaticamente dovuta per il “danno comunitario” nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Infatti sono stati sollevati dubbi sulla capacità di tale misura, anche se combinata con provvedimenti sanzionatori a carico dei responsabili,di prevenire e sanzionare efficacemente l’abuso; e pertanto la questione è stata riproposta sia da-vanti alla Corte di Giustizia 18, sia alla Corte Costituzionale 19.

Il D.Lgs. n. 75 interviene pure sui rapporti di collaborazione e sul conferimento di incarichi di lavoro autonomo, modificando l’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001. Anzi-tutto viene trapiantato nel corpo dell’articolo il divieto delle collaborazioni etero-organizzate, sancito dall’art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2015, a decorrere dal 1° gennaio 2018 (art 22, comma 8 del decreto). Il termine è stato prorogato dalla legge di bilancio n. 205/2017 al 1° gennaio 2019 forse per consentire, attraverso la proro-ga dei contratti, la maturazione del requisito temporale richiesto per la partecipazio-ne alle procedure di stabilizzazione di cui infra.

Le altre modifiche si muovono sul solco della precedente, in quanto sono fina-lizzate ad evitare il mascheramento 20 di collaborazioni etero-organizzate attraverso l’attribuzione di incarichi di lavoro autonomo. Così, oltre ad aggiungere l’aggettivo “specifiche” a connotazione delle esigenze giustificatrici (analogamente a quanto previsto per le ragioni legittimanti le forme di lavoro flessibile), vengono soppresse le parole “di natura occasionale coordinata e continuativa” e cancellata l’indicazio-ne del luogo di svolgimento della prestazione. Ciò però non esclude che possa farsi ricorso alle collaborazioni di cui all’art. 409, n. 3 (nuovo testo), c.p.c. le quali per la loro natura si pongono al di fuori dello statuto protettivo del lavoro subordinato 21. Viene infine ribadita la nullità dei contratti conclusi in violazione della legge e ov-viamente esclusa la conversione,trovando soltanto applicazione l’art. 2126 c.c. nel caso in cui nel suo atteggiarsi concreto il rapporto abbia assunto le caratteristiche della subordinazione 22.

2017, n. 19165, in Gdir, 2017. In dottrina cfr. D’APONTE, Abuso del ricorso al contratto a tempo de-terminato nell’impiego pubblico: le Sezioni Unite riaffermano il principio del divieto di conversione del rapporto, in questa Rivista, 2015, 849 ss.

18Causa C-496/16. 19Trib. Foggia, ord. del 26 ottobre 2016, in www.europeanrights.eu. 20Cfr. G. FONTANA, I co.co.co. nella pubblica amministrazione: scompariranno davvero?, in questa

Rivista, 2015, 413, che sottolinea il carattere restrittivo della norma con finalità anti-abusiva. 21 D’ALESSIO-L. ZOPPOLI, Riforma della pubblica amministrazione:osservazioni sugli schemi di de-

creti attuativi dell’art. 17 della legge n. 124 del 2015, in www.astrid-online.it. 22Cass. 8 febbraio 2017, n. 3384, in Ilgiuslavorista.it, 26 aprile 2017.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 93

4. La stabilizzazione secondo l’art. 20 del decreto legislativo

Come si è ricordato, di un intervento straordinario rivolto alla stabilizzazione del precariato non v’è traccia nella legge delega. Esso invece è inserito nel pacchetto di impegni assunti dal Governo nei confronti delle organizzazioni sindacali con il pro-tocollo del 30 novembre 2016. Nel documento si prevede “il rinnovo dei contratti precari… attualmente in essere e di prossima scadenza, in vista di una definitiva re-golamentazione da realizzarsi con la riforma del T.U. del p.i.”, regolamentazione che deve tendere “alla eliminazione di forme di precariato nelle amministrazioni”. Si potrebbe dunque prospettare un eccesso di delega (violazione dell’art. 76 Cost.), anche in considerazione del fatto che la disciplina speciale e transitoria sulle stabi-lizzazioni esula da quella generale regolatrice della materia su cui intervengono gli artt. 16 e 17 della legge n. 124/2015. Ma è un esercizio teorico perché, quand’anche la questione venisse sollevata, difficilmente lo scrutinio sulla legislazione delegata condurrebbe al travolgimento dell’intero impianto dell’art. 20 del D.Lgs. n. 75/2017. La Corte infatti potrebbe ritenere l’intervento straordinario coerente con la delega di riordino del settore normativo del lavoro pubblico sotto i profili logico e sistemati-co, anche in relazione alla disciplina sul precariato stratificata negli anni 23. E, for-zando il testo della legge, potrebbe trovare un appiglio nei criteri direttivi laddove indicano genericamente l’obiettivo della prevenzione del precariato e della valoriz-zazione del lavoro prestato con contratti flessibili. Altra questione, su cui ci soffer-meremo tra poco, è se l’insieme di deroghe al principio del pubblico concorso con-tenuto nel meccanismo disegnato dal legislatore delegato non presenti profili di il-legittimità costituzionale.

Il nuovo piano di stabilizzazione si basa sul sistema binario analogo a quello messo in atto con i provvedimenti del 2006 e 2007, e quindi, secondo l’art. 20 del decreto legislativo 24 e la Circolare attuativa n. 3/2017, prevede:

a) la diretta immissione in ruolo per coloro che siano stati assunti con contratto a tempo determinato attraverso una procedura concorsuale (per assunzioni a tempo de-terminato o indeterminato) espletata anche da un’amministrazione diversa da quella che procede all’assunzione, purché riguardi la “medesima attività svolta”(o per le qualifiche più basse mediante l’avviamento degli iscritti alle liste di collocamento); a condizione che il soggetto sia stato in servizio alla data di entrata in vigore della legge

23In generale, per argomentazioni analoghe, cfr. Corte cost. 13 aprile 2017, n. 84; 28 gennaio 2005, n. 52; 28 gennaio 2005, n. 53;4 maggio 2005 n. 174, tutte in www.giurcost.org.

24Per un’analisi dettagliata dell’art. 20 del D.Lgs. 75/2017 si rinvia a DE MARCO, Il lavoro alle di-pendenze della p.a. dopo la Riforma Madia, in corso di pubblicazione in GI; BIANCO, Gli effetti imme-diati: dirigenza, fondo, sanatoria della contrattazione decentrata, concorsi interni e stabilizzazioni, in BIANCO- BOSCATI- RUFFINI, op. cit., pp. 70-78.

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delega (28 agosto 2015) e abbia maturato al 31 dicembre 2017 alle dipendenze della stessa amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni; nel computo va calcolato il servizio prestato a seguito di assunzione con qualsivoglia tipologia flessibile per lo svolgimento di attivi-tà riconducibile al medesimo livello dell’inquadramento professionale che sarà poi quello di definitiva assegnazione; la presenza in servizio alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 75/2017 costituisce criterio di priorità nell’assunzione rispetto agli altri che le amministrazioni individueranno per formare la graduatoria;

b) l’indizione di procedure concorsuali riservate per il triennio 2018-2020 in mi-sura non superiore al 50 per cento di posti disponibili al personale non dirigenziale titolare di contratto di lavoro flessibile, e quindi anche di collaborazione coordinata e continuativa, in possesso dei requisiti di cui sopra.

Restano esclusi invece, per espressa disposizione (art. 20, comma 9) i contratti di somministrazione. Escluse sono poi alcune categorie per le speciali caratteristi-che dei rispettivi ordinamenti (personale militare, delle forze di polizia, della carrie-ra diplomatica e prefettizia, magistrati, professori e ricercatori universitari) e l’in-tero personale della scuola (quindi anche quello amministrativo, tecnico e ausilia-rio), mentre norme specifiche e di coordinamento con le discipline di settore riguar-dano gli enti di ricerca, il personale medico tecnico-professionale e infermieristico del Servizio sanitario nazionale, i lavoratori socialmente utili. Il piano straordinario non può essere applicato dai comuni che per l’intero quinquennio 2012-2016 non abbiano rispettato i vincoli di finanza pubblica.

Va precisato che la nuova sanatoria coesiste con le procedure di reclutamento del precariato in vigore: sia quella ordinaria relativa alla riserva del 40 per cento dei posti nei concorsi pubblici e alla valorizzazione con apposito punteggio delle pro-fessionalità acquisite (art. 35, comma 3-bis, D.Lgs. n. 165/2001); sia quella straor-dinaria di cui al D.L. n. 101/2013, che va a scadere il 31 dicembre 2018. L’utilizzo cumulativo dei diversi regimi dovrà comunque rispettare i limiti delle risorse finan-ziarie che la legge destina alle stabilizzazioni.

Vi sono infine due disposizioni che potremmo definire di chiusura del sistema: il divieto di instaurare nuovi rapporti flessibili, incluse le collaborazioni, “per le profes-sionalità interessate dalle predette procedure”, che però la circolare, con discutibile interpretazione, collega allo stanziamento delle risorse finanziarie utilizzabili, ammet-tendo nuove assunzioni nei limiti in cui l’amministrazione ne abbia mantenuto la di-sponibilità; e, correlativamente, la proroga dei contratti in corso con i soggetti che partecipano alle procedure fino alla loro conclusione. Secondo il Ministro per la sem-plificazione e la pubblica amministrazione il piano dovrebbe riguardare circa 50.000 precari 25. Resta oscuro il destino di coloro che per incapienza delle risorse finanzia-

25 Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Indirizzi operativi in materia di  

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 95

rie e dei posti disponibili non saranno stabilizzati. Se i dati sono veritieri si tratte-rebbe di una buona metà dei precari di lungo corso; talché, trascorso il triennio di operatività della disciplina speciale non è irragionevole ipotizzare un altro interven-to del legislatore.

È pertanto da escludere che i soggetti in possesso dei requisiti per l’una o l’altra ipotesi (sub a e b) vantino un diritto automaticamente azionabile alla stabilizzazio-ne, giacché il decreto non obbliga ma dà la facoltà (“possono”) alle amministrazioni di attivare le diverse procedure 26, che restano poi condizionate, quanto ai soggetti da stabilizzare, alla limitatezza delle risorse e alle qualifiche da ricoprire 27.

Una volta che l’amministrazione abbia predisposto il piano, stabilendo quale ti-po di reclutamento utilizzare, nonché il numero dei posti e delle aree o categorie da ricoprire, e abbia dato corso alle procedure, la giurisprudenza è solita distinguere, per individuare la giurisdizione, se i titoli dell’interessato gli consentano di accedere direttamente alla selezione o se invece questi debba partecipare al concorso. Nel primo caso si è ritenuto che la giurisdizione appartenga al giudice ordinario in quan-to le controversie inerenti al rispetto delle procedure di stabilizzazione esulano dal-l’ambito di quelle concorsuali (di cui all’art. 63, comma 4, D.Lgs. n. 165/2001) e afferiscono all’area del diritto all’assunzione 28. Nelle seconde invece, poiché sono necessarie valutazioni discrezionali mediante prove selettive di tipo comparativo, la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo 29.

5. Il mancato bilanciamento tra tutela degli interni e accesso dall’esterno

La Corte costituzionale ha individuato con chiarezza le condizioni che giustifi-cano la deroga al pubblico concorso, definito come il modo ordinario di provvista

valorizzazione dell’esperienza professionale del personale con contratto di lavoro flessibile e supera-mento del precariato, circolare n. 3/2017, in www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/.

26 Che sono inoltre subordinate alla verifica della ricollocazione del personale in disponibilità (art. 34-bis, D.Lgs. n. 165/2001), mentre hanno priorità rispetto alla mobilità a domanda. È invece discre-zionale la scelta di procedere alla stabilizzazione in luogo dello scorrimento di una graduatoria per as-sunzioni a tempo indeterminato, preesistente ed efficace, “a condizione che sia ragionevole e logica nonché adeguatamente e congruamente motivata (per esempio con riguardo ad una significativa e indi-spensabile professionalità acquisita): Cons. St., sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6004, in Gdir, 2015, 5, 90 con nota di Mezzacapo.

27 Cass., S.U., 29 ottobre 2015, n. 22128 in GCM, 2015. 28 Cass., 3 aprile 2015, n. 6868, in Ilgiuslavorista.it 16 giugno 2015; Cass., S.U., 12 marzo 2013, n.

6077 in www.dejure.it; 4 febbraio 2014, n. 2399, ivi; Cons. St., sez. V, 17 ottobre 2016, n. 4273, in FI 2016, 11, III, 573.

29 Da ultimo, Cass., S.U., 2 agosto 2017, n. 19166, in GCM, 2017.

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96 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

del personale delle pubbliche amministrazioni nel rispetto dei principi contenuti ne-gli artt. 3, 51 e 97 Cost. 30. La regola riguarda anche le ipotesi di trasformazione del rapporto precario a tempo indeterminato 31. La Corte ha poi individuato con chia-rezza le condizioni in cui sono legittime le deroghe. Anzitutto queste devono essere funzionali al buon andamento dell’amministrazione e devono ricorrere peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle 32. La valorizza-zione di esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione pubblica può rientrare tra tali esigenze purché: 1) l’area delle eccezioni sia numericamente contenuta in percentuali limitate rispetto alla globalità delle assunzioni poste in es-sere dall’amministrazione, e pertanto procedure selettive riservate che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno violano il carattere pubblico del concorso; 2) l’assunzione corrisponda ad una specifica necessità fun-zionale; 3) siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare che il personale as-sunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento delle mansioni 33.

La Consulta ha applicato con rigore questi principi con riguardo alle leggi regio-nali che hanno introdotto forme di stabilizzazioni più ampie di quelle previste da leggi dello Stato (oltre alle sentenze citate sopra), mentre su queste ultime (e in par-ticolare sulle leggi citate del 2006, 2007 e 2013) l’unico precedente – a quanto con-sta – aveva ad oggetto la questione di costituzionalità delle condizioni temporali ri-chieste dall’art. 1, comma 519, della legge n. 296/2006 sotto il profilo della dispari-tà di trattamento tra idonei nei concorsi a tempo determinato e indeterminato in re-lazione alle date della loro conclusione e dell’assunzione 34. Per quanto la questione sia stata dichiarata inammissibile, la Corte ha ritenuto “che la disposizione censura-ta attribuisce rilievo, con criteri non manifestamente irragionevoli, alle condizioni di tempo in cui il rapporto si è svolto, mentre il superamento di una qualsiasi prova selettiva”, cioè sia per assunzioni a tempo determinato che indeterminato “è stato

30Cfr. Corte cost., tra le molte, 23 marzo 2011, n. 109 e 31 ottobre 1995, n. 478, in www.giur cost.org.

31Cfr. Corte cost. 6 luglio 2004, n. 205 e 7 luglio 2010, n. 235, in www.giurcost.org. La Consulta considera la stabilizzazione dei contrattisti a termine come nuova assunzione, al pari delle progressioni verticali; ma occorre tenere presente che, in applicazione del principio di non discriminazione contenu-to nella direttiva 99/70 Ce, l’anzianità maturata durante il periodo di precariato e limitata ai periodi la-vorati deve essere computata in quello successivo costituito con contratto a tempo indeterminato: Corte giust., cause riunite da c-302/11 a c-305/11, Valenza e altri contro Autorità garante della concorrenza e del mercato in DRI, 2012, 4, 1189; Cass., 12 gennaio 2015, n. 262, in RIDL, 2015, II, 436, con nota di R.Voza. Cfr. altresì DE MARCO, Il lavoro alle dipendenze della p.a. dopo la Riforma Madia, cit., secon-do cui si tratta di una forma di conversione atecnica.

32Cfr. Corte cost. 18 febbraio 2011, n. 52; 13 giugno 2013, n. 137, entrambe in www.giurcost.org. 33Cfr. Corte cost. 24 giugno 2010, n. 225;17 marzo 2010, n. 100; 13 novembre 2009, n. 293;14 lu-

glio 2009, n. 215, tutte in www.giurcost.org. 34Cfr. Corte cost. 13 marzo 2009, n. 70, in www.giurcost.org.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 97

previsto come requisito minimo ai fini dell’accertamento della professionalità”. Facendo applicazione dei criteri indicati dalla Corte possono individuarsi alcuni

aspetti critici, sul piano della legittimità costituzionale, dei meccanismi previsti dall’art. 20 del decreto legislativo.

I dubbi riguardano, in primo luogo, il procedimento di immissione in ruolo di coloro che siano in possesso dei soli requisiti temporali e che siano stati a suo tem-po reclutati a tempo determinato mediante procedure concorsuali (art.20, comma 1). Il punto controverso non concerne l’assenza del concorso per l’immissione in ruolo. Infatti, secondo la Corte, il superamento di una selezione pubblica può “autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso”, purché garantisca che “la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere” 35. E tale garanzia è contenuta nella disposizione laddove richiede che l’assunzione a termine sia avvenuta attingendo a una graduatoria riferita ad una selezione concor-suale che riguardi le “medesime attività svolte”, intendendosi per tale – secondo la circolare – l’esercizio di mansioni ricomprese nell’area o categoria professionale di appartenenza che il lavoratore abbia svolto nel periodo di precariato e che andrà a svolgere dopo la stabilizzazione. La questione invece attiene al mancato collega-mento, con riferimento ai posti complessivamente disponibili, tra il meccanismo “automatico” di stabilizzazione e le assunzioni mediante concorso pubblico, in mo-do da assicurare l’equilibrio tra le due forme di reclutamento, destinando all’acces-so dall’esterno almeno il 50 per cento dei posti da coprire 36. Ed è tanto più grave se si considera che tale modalità avrà presumibilmente la precedenza rispetto alle sta-bilizzazioni del secondo tipo, che richiedono il concorso riservato.

Ma anche per queste ultime il principio dell’equilibrio tra interni ed esterni non sembra essere rispettato. Infatti, il limite del 50 per cento dei posti disponibili per le procedure concorsuali riservate non si riferisce (come chiarito dalla circolare) ai po-sti previsti nella dotazione organica (determinata in relazione al piano triennale del fabbisogno), ma alle risorse finanziarie disponibili, e di queste la quota destinata alle stabilizzazioni è maggiore di quella utilizzabile per il reclutamento ordinario, confluendovi anche le risorse riservate ai contratti flessibili dall’art. 9, comma 28, del D.L. n. 78/2010, vale a dire il 50 per cento della spesa sostenuta per tali assun-zioni nel 2009, su cui peraltro non gravano gli stabilizzandi già assunti con contrat-to a tempo determinato per qualifiche basse ai sensi dell’art. 16, legge 56/1987. Si aggiunga, infine, che per le regioni a statuto speciale e gli enti territoriali ricompresi nel loro territorio la legge consente di elevare ulteriormente tali limiti finanziari me-diante l’utilizzo di risorse appositamente individuate con legge regionale.

35Cfr. Corte cost., 24 giugno 2010, n. 225, in www.giurcost.org. 36 Cfr. Corte cost. 10 giugno 1994, n. 234 e 23 luglio 2002, n. 273, in www.giurcost.org.

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98 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Un’operazione di questo tipo, pur giustificata da asserite esigenze funzionali e di contenimento della spesa per risarcimento del danno ai precari utilizzati per oltre tre anni, suscita dunque serie perplessità. A prescindere dall’eventuale esito di un ipo-tetico vaglio di legittimità costituzionale, le conseguenze della stabilizzazione inci-deranno sensibilmente sull’assetto dell’organizzazione amministrativa e sulla prov-vista del personale. Infatti, per il triennio 2018-2020, ma con strascichi per gli anni successivi, ben scarse saranno le assunzioni dall’esterno, con una evidente penaliz-zazione dei giovani (capaci e meritevoli) che si affacciano al mercato del lavoro, e vanificazione della promessa di ricambio generazionale, necessario per dotare di competenze e professionalità adeguate quella “nuova” pubblica amministrazione prefigurata dalla quarta riforma.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 99

LA LEGISLAZIONE ANTICORRUZIONE: L’IMPATTO SUI RAPPORTI DI LAVORO

GIANFRANCO D’ALESSIO

Sommario: 1. Premessa. – 2. La rotazione del personale. – 3. Il codice di comportamento. – 4. Inconferibi-lità e incompatibilità degli incarichi. – 5. Le nuove norme in materia di trasparenza (D.Lgs. n. 97/2016). – 6. Il whistleblowing.

1. Premessa

Nei decreti legislativi n. 74 e n. 75 del 25 maggio 2017 la presenza di previsioni riguardanti la prevenzione della corruzione, in relazione alla disciplina e alla gestione del personale pubblico, risulta del tutto marginale. Nel D.Lgs. n. 74/2017, in realtà, ci sono varie disposizioni in tema di anticorruzione, ma si tratta essenzialmente dell’in-serimento nel D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, di norme volte ad adeguarne il testo al nuovo assetto di governo del settore – con la sostituzione della Commissione indipen-dente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) con l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e il nuovo riparto funziona-le fra questa e il Dipartimento della funzione pubblica (DFP) – già definito con il D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114), e il conseguente regolamento approvato con d.P.R. 9 maggio 2016, n. 105.

Quindi, oltre a segnalare i limitati riferimenti a profili che richiamano l’anticorru-zione contenuti nei decreti attuativi delle previsioni in materia di lavoro pubblico della legge delega n. 124/2015 (“legge Madia”), si cercherà qui di individuare e passare ra-pidamente in rassegna gli ambiti tematici che vedono l’incrocio fra la normativa sul contrasto alla corruzione (e quella sulla garanzia della trasparenza amministrativa, ad essa collegata) e la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, concentrando l’attenzione su aspetti toccati da altri recenti provve-dimenti legislativi – come il D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97, su pubblicità e trasparen-za, e la nuova legge 30 novembre 2017, n. 179, sul whistleblowing – o oggetto di si-gnificativi interventi interpretativi e/o applicativi dell’ANAC.

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100 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

2. La rotazione del personale

Fra le tematiche oggetto di rilevanti documenti dell’ANAC può essere ricordata, innanzitutto, la rotazione del personale, che si configura sicuramente come uno de-gli elementi di più evidente impatto della normativa anticorruzione sul personale delle amministrazioni, e alla quale, quindi, si ritiene opportuno dedicare uno speci-fico approfondimento 1.

Occorre, in primo luogo distinguere due tipi di rotazione: quella “straordinaria” e quella “ordinaria”.

La rotazione “straordinaria” – sulla quale ci si soffermerà successivamente – è stata introdotta dall’art. 16, comma 1, lettera l-quater) (aggiunta dall’art. 1, comma 24, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che prevede, come misura conseguente alla manife-stazione di fenomeni di corruzione, la rotazione «del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva».

La rotazione “ordinaria”, invece, è prefigurata come strumento precauzionale contro il possibile manifestarsi di fenomeni corruttivi da alcune norme della legge 6 novembre 2012, n. 190, sulla prevenzione e la repressione della corruzione e dell’il-legalità nella pubblica amministrazione: in particolare, ai sensi dell’art. 1, comma 5, lettera, b), le amministrazioni devono definire e trasmettere all’ANAC «procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori par-ticolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari»; a sua volta, il comma 10, lettera b), chiede al responsabi-le della prevenzione della corruzione di verificare, d’intesa con il dirigente compe-tente, «l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di cor-ruzione».

Partendo da questi dati normativi, il meccanismo della rotazione è stato introdot-to dal primo Piano nazionale anticorruzione (PNA) del 2013 2, ed è stato confermato dalle successive edizioni del Piano.

La rotazione costituisce una rilevante “misura organizzativa preventiva finaliz-zata a limitare il consolidarsi di relazioni che possano alimentare dinamiche im-

1 In dottrina è stata lamentata la disattenzione del legislatore riguardo alla disciplina dell’istituto della rotazione: v. D’AVINO, L’imperfetta contrattualizzazione del lavoro pubblico nel prisma della disciplina anticorruzione, in questa Rivista, 2015, p. 294 ss., dove si paventa il rischio che, in mancanza di una adeguata copertura normativa, dall’attuazione della misura possano derivare conseguenze danno-se per i lavoratori (e, indirettamente, per le stesse amministrazioni), specie sotto il profilo della tutela della professionalità, a causa di una possibile – se non prevedibile – dispersione delle competenze.

2 CIVIT, Delibera n. 72 dell’11 settembre 2013 (Approvazione del Piano Nazionale Anticorruzione).

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 101

proprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla permanenza nel tempo di determinati dipendenti nel medesimo ruolo o funzione. L’alternanza riduce il ri-schio che un dipendente pubblico, occupandosi per lungo tempo dello stesso tipo di attività, servizi, procedimenti e instaurando relazioni sempre con gli stessi utenti, possa essere sottoposto a pressioni esterne o possa instaurare rapporti potenzial-mente in grado di attivare dinamiche inadeguate”: così si legge nel PNA del 2016 3, che offre una trattazione particolarmente ampia ed articolata della questione, po-nendosi come un punto di riferimento essenziale per la comprensione e l’attivazione dell’istituto 4.

L’ambito di applicazione della rotazione “ordinaria” va identificato, ai sensi del-l’art. 1, comma 59, della legge n. 190/2012, nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001. Per quanto attiene alle società e agli enti di diritto privato a controllo pubblico e agli enti pubblici economici, pur man-cando una previsione normativa che li riguardi, l’ANAC ha richiamato le am-ministrazioni controllanti e vigilanti a valutare l’oopportunità di promuovere l’ado-zione da parte dei suddetti enti di misure di rotazione 5.

Riguardo, poi, ai soggetti potenzialmente coinvolti nelle operazioni di rotazione, se si guarda ai dati normativi (segnatamente, il già citato art. 1, comma 5, lettera b) della legge n. 190/2012, oltre al comma 4, lettera e), riguardante la dirigenza), e si considerano le finalità sostanziali dell’istituto, si giunge agevolmente alla conclu-sione che essi vanno identificati con tutti i pubblici dipendenti.

La rotazione risponde ad una esplicita finalità di prevenzione della corruzione. Ma in essa viene individuato anche un “criterio organizzativo” strettamente con-nesso alla formazione del personale, in quanto impone un accrescimento della pre-parazione professionale dei lavoratori pubblici, e l’acquisizione di competenze “tra-sversali”, che rendano il personale “flessibile” e “fungibile”, consentendone l’utiliz-zazione in una pluralità di ambiti operativi.

Naturalmente, la proposizione dell’uso della rotazione non conduce (e non può condurre) ad ignorarne gli aspetti problematici, che consigliano di farne un uso pru-dente e ragionevole e/o di accompagnarla e integrarla, ma anche sostituirla – in de-

3 ANAC, Delibera n. 381 del 3 agosto 2016 (Determinazione di approvazione definitiva del Piano Nazionale Anticorruzione 2016).

4 Da esso, quindi, vengono riprese molte delle considerazioni che si proporranno di seguito. 5 Si vedano, in tal senso, oltre al PNA 2016, la Determinazione n. 8 del 17 giugno 2015 (Linee gui-

da per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici) e, da ultimo, la Determinazione n. 1134 dell’8 novembre 2017 (Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche ammini-strazioni e degli enti pubblici economici).

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terminate circostanze – con altri strumenti di contrasto alla corruzione. In particola-re, la rotazione va utilizzata nella misura in cui essa non produce rischi di “ineffi-cienze e malfunzionamenti” delle amministrazioni. Ove si manifestino tali rischi, o nel caso in cui la rotazione sia impossibile o concretamente non realizzabile (ad esempio, in enti di piccole dimensioni), le amministrazioni sono tenute (si legge ancora nel PNA 2016) ad “adottare altre misure di natura preventiva che possono avere effetti analoghi, quali a titolo esemplificativo, la previsione da parte del diri-gente di modalità operative che favoriscono una maggiore condivisione delle attivi-tà fra gli operatori, evitando così l’isolamento di certe mansioni, avendo cura di favorire la trasparenza ‘interna’ delle attività o ancora l’articolazione delle com-petenze, c.d. ‘segregazione delle funzioni’”, che – per evitare che la concentrazione di più mansioni e responsabilità in capo ad un unico soggetto possa esporre l’ammi-nistrazione al rischio che egli compia errori o tenga comportamenti scorretti senza che questi possano emergere – prevede l’attribuzione a soggetti diversi dei compiti relativi allo svolgimento di istruttorie e accertamenti, all’adozione di decisioni, alla loro attuazione, alla effettuazione di verifiche 6.

In ogni caso, la rotazione non dovrebbe avere un carattere “emergenziale” e una “valenza punitiva”, ma dovrebbbe costituire uno “strumento ordinario di organiz-zazione e utilizzo ottimale delle risorse umane”. Pertanto, è necessario che l’am-ministrazione nel proprio Programma triennale di prevenzione della corruzione (PTPC) chiarisca i criteri, individui la fonte di disciplina e sviluppi un’adeguata programmazione della rotazione (pur rinviandone eventualmente la disciplina a re-golamenti di organizzazione sul personale o ad altri provvedimenti organizzativi): ciò per evitare che la rotazione, impiegata al di fuori di un programma predeter-minato, possa essere intesa o concretamente utilizzata in maniera non funzionale alle esigenze di prevenzione di fenomeni di cattiva amministrazione e corruzione.

Tra i criteri della rotazione da inserire nel PTPC l’ANAC indica, ad esempio: a) l’individuazione degli uffici da sottoporre a rotazione; b) la fissazione della periodi-cità della rotazione; c) le caratteristiche della rotazione, se funzionale o territoriale.

Su tali criteri di rotazione le amministrazioni sono tenute a dare una preventiva e adeguata informazione alle organizzazioni sindacali (senza che ne consegua l’a-pertura di una fase di negoziazione) per permettere a queste ultime la presentazione di proprie osservazioni e proposte.

Tenuto conto dell’impatto che la rotazione ha sul complesso della struttura or-ganizzativa, essa non solo dovrebbe essere calibrata tenendo conto delle caratteri-stiche proprie di ciascuna amministrazione e del personale in essa impiegato, ma andrebbe programmata e realizzata in modo graduale, per evitare che ne consegua un eccessivo rallentamento dell’attività ordinaria nella fase immediatamente succes-siva alla sua attuazione.

6 In tal senso, oltre al PNA 2016, v. la Determinazione dell’ANAC n. 8 del 17 giugno 2015, cit.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 103

La rotazione del personale, chiaramente, è destinata ad investire in primo luogo le aree dell’amministrazione a più elevato rischio di corruzione, per poi essere este-sa, se necessario, agli uffici con un minore livello di esposizione al rischio. Inoltre, per evitare che la rotazione comporti un improvviso e complessivo depauperamento delle conoscenze e delle competenze degli uffici interessati, tale da incidere sulla loro funzionalità, potrebbe risultare utile procedere in tempi diversi, e quindi non simultanei, alla rotazione del dirigente e del personale non dirigenziale di un mede-simo ufficio.

Il PNA 2016 ci aiuta anche a capire quali siano le condizioni in cui è possibile realizzare la rotazione: esse sono connesse a vincoli di natura soggettiva, attinenti al rapporto di lavoro, e a vincoli di natura oggettiva, connessi all’assetto organizzativo dell’amministrazione.

In ordine ai vincoli soggettivi, le amministrazioni devono, quindi, adottare misu-re di rotazione compatibili con eventuali diritti individuali dei dipendenti, soprattut-to laddove le misure comportino modifiche della sede di servizio. Si fa riferimento, ad esempio ai diritti sindacali e agli istituti di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (permesso di assistere un familiare con disabilità) e al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (congedo parentale).

Nel caso specifico di una misura di rotazione attuata tra sedi di lavoro diffe-renti che riguardi personale che riveste il ruolo di dirigente sindacale, l’ANAC ri-tiene necessario, in conformità con recenti orientamenti della giurisprudenza, che se ne dia una preventiva informazione all’organizzazione sindacale di riferimento, con-sentendo a quest’ultima di formulare in tempi brevi osservazioni e proposte in rela-zione ai singoli casi.

Quanto ai vincoli oggettivi, la rotazione va calibrata sull’esigenza di assicurare il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa e di garantire la qualità delle competenze necessarie per lo svolgimento di certi tipi di attività (a partire da quelle con elevato contenuto tecnico), evitando di disperdere risorse e professionalità acquisite, che possono essere difficili da riprodurre in termini brevi 7. Quindi, tra i condizionamenti all’applicazione della rotazione vi può essere l’“infungibilità” deri-vante dall’appartenenza delle unità di personale interessate a particolari categorie o al possesso da parte di determinati soggetti di particolari professionalità, anche tenuto conto di ordinamenti peculiari di settore o di particolari requisiti di reclutamento.

Va, inoltre, considerata l’ipotesi che sia la stessa legge a stabilire espressamente che alcuni soggetti che lavorano in certi uffici devono possedere necessariamente una specifica qualifica professionale: si tratta, principalmente, dei casi nei quali lo svolgimento di una prestazione è direttamente correlato al possesso di un’abilita-zione professionale e all’iscrizione nel relativo albo.

7 In tal senso v. quanto scritto da C.E. GALLO, Legge anticorruzione e funzione amministrativa, in GA, 2013, n. 10.

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104 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Per quanto riguarda i dirigenti è opportuno che la rotazione ordinaria venga pro-grammata, e ne siano definiti obiettivi e modalità, nell’ambito dell’atto generale ap-provato dall’organo di indirizzo politico, contenente i criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali. Ciò anche per evitare che la rotazione possa essere utilizzata come un mezzo o un pretesto per limitare l’indipendenza della dirigenza.

Negli uffici a più elevato rischio di corruzione, secondo l’ANAC sarebbe prefe-ribile una durata dell’incarico dirigenziale fissata al limite minimo legale: questa indicazione è meritevole di considerazione, ma andrebbe in ogni caso contemperata con i sopra richiamati principi di buon andamento e continuità, che potrebbero ri-chiedere l’attribuzione di un incarico di maggiore durata. Lo stesso discorso può valere per un’altra affermazione contenuta nel PNA 2016, secondo la quale al ter-mine di un incarico dirigenziale la responsabilità dell’ufficio dovrebbe essere di re-gola affidata ad altro dirigente, a prescindere dall’esito della valutazione riportata dal dirigente uscente: infatti, non è certo possibile escludere che si realizzino condi-zioni nelle quali la funzionalità dell’ufficio rende opportuna una conferma dell’incarico in capo allo stesso dirigente. Se l’attenzione va concentrata sugli uffici a maggior rischio, comunque, la rotazione, trattandosi di che una misura che produ-ce effetti su tutta l’organizzazione, dovrebbe essere progressivamente applicata an-che ai dirigenti che non operano nelle aree a rischio: ciò anche per evitare che in queste ultime ruotino sempre gli stessi dirigenti.

In ogni caso, ricorda l’Autorità, l’istituto della rotazione dirigenziale, specie in determinate aree a rischio, dovrebbe essere una prassi “fisiologica”, mai assumendo carattere punitivo e/o sanzionatorio.

La rotazione ordinaria del personale non dirigenziale può essere effettuata all’in-terno dello stesso ufficio, facendolo ruotare periodicamente, con la rotazione c.d. “funzionale”, ossia con un’organizzazione del lavoro impostata su una periodica m o d i f i c a dei compiti e delle responsabilità affidati ai dipendenti: ad esempio, ruotando i responsabili dei procedimenti o il personale impegnato nel front office con quello adibito a compiti di back office.

La rotazione può, poi, avvenire tra uffici diversi nell’ambito della stessa ammi-nistrazione, con la fissazione della durata di permanenza di un impiegato nell’uf-ficio secondo criteri di ragionevolezza, sempre tenendo conto delle esigenze orga-nizzative.

Nelle strutture complesse o con diverse articolazioni sul territorio, la rotazione può avere carattere “territoriale”, rispettando le garanzie di legge per gli spostamen-ti di questo tipo. Sull’argomento l’ANAC ha evidenziato che la rotazione territoria-le può essere scelta dall’amministrazione se è più funzionale all’attività di preven-zione e se, anche qui, naturalmente, non confligge con il buon andamento e la con-tinuità dell’attività amministrativa, sempre che i criteri di rotazione siano previsti nel PTPC o nei successivi atti attuativi e le scelte effettuate siano adeguatamente motivate.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 105

L’Autorità (sempre nella determinazione con ha quale ha approvato il PNA 2016) ha avuto anche modo di rilevare che attualmente non sussiste un quadro nor-mativo che consenta di realizzare una rotazione fra amministrazioni diverse 8. Ha ricordato che l’art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dal D.L. n. 90/2014, prevede che le amministrazioni possono ricoprire i posti vacanti in organico me-diante passaggio diretto di dipendenti, e che questi possono essere trasferiti, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi colloca-te nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede di appartenenza. Mobilità e rotazione, viene rilevato, rispon-dono a finalità distinte, ma la mobilità di personale può favorire il crearsi di condi-zioni che rendono possibile la rotazione, specie laddove esistono carenze di organi-co. L’Autorità, in prospettiva, auspica l’introduzione di modifiche legislative che permettano una rotazione tra amministrazioni, anche attraverso la valorizzazione di forme aggregative grazie a convenzioni fra enti territoriali limitrofi e uniformi (co-muni, aziende sanitarie, ecc.) o unioni di comuni.

Passiamo, ora, alla “rotazione straordinaria”. Come sopra ricordato, l’art. 16, comma 1, lettera l-quater), del D.Lgs. n. 165/2001

dispone che i dirigenti degli uffici dirigenziali generali, ferme restando le altre mi-sure previste in relazione alle varie forme di responsabilità, «provvedono al moni-toraggio delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione svolte nell’ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva».

Certamente dalla norma si desume l’obbligo per l’amministrazione di assegnare il personale sospettato di condotte di natura corruttiva, che abbiano o meno rilevan-za penale, ad altro servizio. Si tratta, quindi, di una misura di carattere eventuale e cautelare tesa a garantire che nell’area ove si sono verificati i fatti oggetto del pro-cedimento penale o disciplinare siano attivate idonee misure di prevenzione del ri-schio corruttivo.

Per quanto attiene all’ambito soggettivo di applicazione, dal testo normativo sembra evincersi che detta forma di rotazione in quanto applicabile al “personale” sia da intendersi come riferita sia al personale dirigenziale, sia a quello non diri-genziale. Mentre, però, per il personale non dirigenziale la rotazione si traduce in una assegnazione del dipendente ad altro ufficio o servizio, nel caso dei dirigenti ha modalità applicative differenti, comportando la revoca dell’incarico dirigenziale e, se del caso, l’attribuzione di altro incarico.

In ordine all’ambito oggettivo, e dunque alle fattispecie di illecito che l’ammini-strazione è chiamata a tenere in conto ai fini della decisione di far scattare o meno

8 V. in proposito D’AVINO, op.cit., 296 ss.

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la rotazione straordinaria, vista l’atipicità del contenuto della condotta corruttiva indicata dalla norma, e in attesa di chiarimenti da parte del legislatore, l’ANAC ri-tiene di poter considerare potenzialmente integranti le condotte corruttive anche i reati contro la pubblica amministrazione e, in particolare, almeno quelli richiamati dal D.Lgs. 8 a p r i l e 2 0 1 3 , n . 39 del 2013, che fanno riferimento al Titolo II, Capo I «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione», nonché quelli indicati nel D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235. Oltre ai citati riferi-menti, più in generale l’amministrazione potrà porre a fondamento della decisione di far ruotare il personale la riconduzione del comportamento posto in essere a condotta di natura corruttiva: dunque, potranno essere considerate anche altre fatti-specie di reato. In ogni caso, l’elemento di particolare rilevanza da tenere in conto per l’applicazione della norma è quello della motivazione adeguata del provvedi-mento con cui viene disposto lo spostamento.

La dottrina non ha mancato di segnalare come, in realtà, nella prassi seguita dal-le amministrazioni pubbliche si registrino spesso forme di aggiramento o di inter-pretazione riduttiva dell’obbligo di prevedere nei PTPC la misura della rotazione (ad esempio, traducendolo nella mera introduzione di adempimenti procedurali e formali in sede di rinnovo degli incarichi). Si è osservato che questo atteggiamento “prudente” delle amministrazioni nel programmaare ed attuare meccanismi di rota-zione del personale può probabilmente essere visto come una resistenza al cam-biamento, ma in parte può trovare una giustificazione in difficoltà oggettive che si frappongono alla realizzazione di una rotazione forzata nell’assegnazione di inca-richi e nell’attribuzione di responsabilità; e si è notato che su questo punto si regi-stra un contrasto tra l’atteggiamento prevalente nell’opinione pubblica, che vede con sospetto e mal tollera il consolidarsi di posizioni di potere negli apparati pubbli-ci, e quello delle amministrazioni, che faticano, in presenza di risorse umane scar-se, non adeguatamente qualificate e non facilmente fungibili, a praticare la rotazio-ne 9.

Anche l’ANAC nei più recenti documenti ha messo in luce le difficoltà e le ca-renze che incontra nella realtà l’attuazione sia della rotazione ordinaria che della rotazione straordinaria: di qui, come visto, l’invito a valutare l’opportunità di attiva-re altri strumenti, alternativi o complementari rispetto alla rotazione, che consenta-no di conseguire gli stessi obiettivi di quest’ultima. Però, ricordando che la legge n. 190 del 2012 prevede all’art. 1, comma 14, precise responsabilità p e r l e violazioni delle misure di prevenzione previste nel Piano anticorruzione, l’Auto-rità rispetto alla rotazione ordinaria esprime la volontà di vigilare su tali viola-zioni e, in particolare, invita le amministrazioni e gli enti a monitorare con

9 In tal senso v. TUBERTINI, Piani di prevenzione della corruzione e organizzazionr amministrativa, in Astrid Rassegna, 2016, n. 7.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 107

particolare attenzione le s i tuazioni in cui si verificano i presupposti per l’appli-cazione della rotazione straordinaria 10.

3. Il codice di comportamento

La tematica dei codici di comportamento rappresenta, con tutta evidenza, un elemento paradigmatico della intersezione fra la normativa sulla prevenzione della corruzione e quella sui rapporti di lavoro nel settore pubblico: non è un caso se le previsioni in materia della legge n. 190 del 2012 si presentano come un intervento correttivo e integrativo – seppure fortemente innovativo 11 – di disposizioni del D.Lgs. n. 165 del 2001 (in particolare, quelle dell’art. 54). In effetti, lo strumento del codi-ce di comportamento, nella nuova configurazione assunta con la legge del 2012, va a toccare e pone in connnessione fra loro tre diverse dimensioni: oltre, naturalmen-te, a quella relativa alla prevenzione della corruzione, quella dell’etica pubbblica (sotto il profilo dell’“etica del funzionario” 12) e quella della responsabilità (soprat-tuttto, ma non solo 13) disciplinare.

Nell’economia di questo contributo, però, non è possibile, né appare necesssa-rio, svolgere una disamina delle indicazioni legislative sui doveri e gli obblighi “comportamentali” dei dipendenti pubblici, e di quelle rintracciabili nei provvedi-menti attuativi (segnatamente, il d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, cioè il regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, al quale hanno fatto se-guito i codici approvati dalle varie amministrazioni): si può rinviare, per una artico-

10 ANAC, Delibera n. 1208 del 22 novembre 2017 (Approvazione definitiva dell’Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione).

11 Tra l’altro, va ricordato che a seguito della riforma avviata con la legge anticorruzione l’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto non solo comprende tutto il personale dipendente delle pubbli-che amministrazioni, inclusa la dirigenza (alla quale viene dato uno specifico rilievo), ma si estende “a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano ope-re in favore dell’amministrazione” (art. 2, comma 3, d.P.R. n. 62/20113.

12 Su questa tematica si vedano i saggi raccolti nel volume Al servizio della Nazione (a cura di F. Merloni-R. Cavallo Perin), Milano, Franco Angeli, 2009; v. anche CERULLI IRELLI, Etica pubblica e disciplina delle funzioni amministrative, in La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi (a cura di Merloni e Vandelli), Passigli, Firenze, 2010, 89 ss.

13 Infatti, in base all’art. 54, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001, la violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, oltre che fonte – come si dirà – di responsabilità disciplinare, è rilevante “ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti”.

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lata e puntuale ricognizione dei contenuti della normativa in questione, ai numerosi commenti – ricchi di interessanti osservazioni e spunti di riflessione, anche se, comprensibilmente, non sempre convergenti nelle valutazioni espresse – reperibili sia nella letteratura giuspubblicistica che in quella giuslavoristica 14.

Qui si ritiene opportuno solo fare cenno ad una previsione contenuta nel D.Lgs. n. 75/2017, che si pone in linea con la tendenza, già chiaramente riscontrabile nel-l’evoluzione legislativa degli ultimi anni, ad evidenziare il valore disciplinare dei codici di comportamento. Il riferimento è all’art. 15, comma 1, lettera a), che intro-duce nel comma 1 dell’art. 55-quater del D.Lgs. n. 165/2001 una nuova lettera f-bis), dove si stabilisce che “gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamen-to” sono suscettibili della sanzione del licenziamento.

Nel merito – come è stato opportunamente rilevato 15 – il fatto che la norma sul licenziamento si riferisca a una reiterata violazione andrebbe letto nel senso che es-sa non riguarda una singola condotta, ma un comportamento che segua ad almeno un altro già sanzionato con sanzione conservativa, senza che debba necessariamente trattarsi dello stesso comportamento, essendo sufficiente che si concretizzi in un’al-tra grave violazione di una prescrizione del codice di comportamento. Inoltre, si può notare che la disposizione parla di “codici” di comportamento al plurale, il che porta a ritenere che la sanzione del licenziamento possa conseguire anche da viola-zioni dei codici delle singole amministrazioni, e non solo da quelle del codice na-zionale di cui al regolamento del 2013.

14 Sulla nuova disciplina dei codici di comportamento contenuta nella legge n. 190/2012 v., tra gli altri, D’ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare, in B. G. Mattarella e Pe-lissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, p. 11 ss.; CARLONI, Il nuovo Codice di comportamento ed il rafforzamento dell’imparzialità dei funzio-nari pubblici, in IF, 2013, 377 ss.; GARGIULO, Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici: atto terzo, in questa Rivista, 2012, 751 ss.; MERLONI, Codici di comportamento, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014. Sul codice di comportamento di cui al d.P.R. n. 62/2013 v. B.G. MATTARELLA, Il nuo-vo codice di comportamento dei dipendenti pubblici, Nota a d.p.r. 16 aprile 2013, n. 62, in GDA, 2013, 927 ss.; ID., Le nuove regole di comportamento dei pubblici funzionari, in Astrid Rassegna, 2013, n. 22; BUZZACCHI, Il codice di comportamento come strumento preventivo della corruzione: l’orizzonte di un’etica pubblica, in AC, 22 maggio 2013; GARGIULO, La prestazione lavorativa tra prescrizioni etiche e obblighi contrattuali. Fonti e contraddizioni nella delimitazione dell’area di debito del dipendente pubbli-co, in questa Rivista, 2014, 17 ss.; NERI, Il rilievo giuridico dei codici di comportamento nel settore pub-blico in relazione alle varie forme di responsabilità dei pubblici funzionari, in AC, 18 ottobre 2016; CA-

RIDÀ, Codice di comportamento dei dipendenti pubblici e principi costituzionali, in Federalismi.it, 28 dicembre 2016. Si vedano anche le Linee guida in materia di codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni (art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001), adottate dall’ANAC con la Delibera n. 75 del 24 ottobre 2013.

15 BOSCATI, Potere disciplinare, in BIANCO-BOSCATI-RUFFINI, La riforma del pubblico impiego e della valutazione. Cosa cambia con i Decreti attuativi D.Lgs. 74/2017 e D.Lgs. 75/2017, Santarcangelo di Romagna, 2017, 119.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 109

Ma, al di là di questi specifici profili interpretativi, merita soprattutto di essere ricordato che la previsione in questione si riallaccia a quanto già statuito dall’art. 54, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001 (nel testo introdotto dalla legge n. 190/2012), il quale dopo aver previsto, in termini generali, che “la violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all’attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare”, stabilisce che, appunto, “violaziomi gravi e reiterate del codice comportano l’applicazione della sanzione di cui all’art. 55-quater, comma 1”.

Con la citata disposizione del D.Lgs. n. 75 del 2017, come detto, viene ulte-riormente ribadita la centralità della valenza disciplinare dei codici di comporta-mento (il che, naturalmente, non deve condurre a trascurarne o sottovalutarne il si-gnificato e il valore “etico”): questo si collega, anzi, per meglio dire, si colloca nel contesto di un percorso legislativo – inaugurato dal D.Lgs. n. 150/2009, e confer-mato da una serie di successivi provvedimenti, compreso lo stesso decreto del 2017 modificativo del D.Lgs. n. 165/2017 – volto a ricondurre in larga misura la materia disciplinare nell’alveo delle fonti normative, con una evidente riduzione dello spa-zio della fonte negoziale 16.

4. Inconferibilità e incompatibilità degli incarichi

La materia degli incarichi dei dirigenti e dei dipendenti pubblici viene affrontata dalla legislazione sul contrasto alla corruzione sotto due diversi profili: da un lato, la modifica della disciplina degli incarichi extrafunzionali, dall’altro l’introduzione di un nuovo regime delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi am-ministrativi. Pure su questo punto ci si limiterà ad alcuni sintetici riferimenti, anche perché in proposito non si registrano novità significative nei più recenti provvedi-menti normativi.

Il tema degli incarichi esterni alle funzioni istituzionali dei pubblici dipendenti è stato oggetto di un incisivo intervento della legge n. 190/2012, che con l’art. 1, com-ma 42, lettere a-i), ha apportato una serie di modificazioni al testo dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001. La successiva lettera l) dello stesso comma 42, invece, si occu-pa del c.d. pantouflage, cioè delle incompatibilità successive al termine del rapporto di servizio 17.

16 Su questo tema, come è noto, si è sviluppato un ampio e vivace dibattito dottrinale. Per quanto qui interessa, si vedano gli scritti citati nella nota 14, nei quali, partendo da una riflessione sulla natura e sulla rilevanza dei codici di comportamento, si riscontra una varietà di posizioni in ordine al ruolo delle fonti unilaterali e di quelle negoziali nella regolazione dei diversi aspetti della responsabilità dirigenzia-le, del sistema sanzionatorio e delle relative procedure.

17 Su queste innovazioni introdotte dalla legge n. 190 del 2012 v., in termini analitici, PONTI, Le  

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In particolare, la legge anticorruzione ha inserito nell’art. 53 un nuovo comma 3-bis, che demanda a un regolamento governativo di “delegificazione” (con formula peraltro non convincente, specie in ordine all’applicabilità di tali regolamenti anche alle autonomie territoriali) la individuazione degli incarichi vietati ai dipendenti pubblici “secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali”. In tal modo si restringe l’ambito della valutazione delle amministra-zioni in ordine alla determinazione degli incarichi da vietare o da autorizzare.

Con la normativa del 2012 cambia il senso e il valore della disciplina della ma-teria: la verifica della compatibilità va fatta non solo e non tanto considerando la sottrazione di energie e tempo di lavoro all’amministrazione derivante dall’incarico, quanto piuttosto il rischio di interferenze, foriere di potenziali conflitti di interessi, che da esso potrebbbero derivare sull’esercizio dell’attività istituzionale (rileva il fatto che i divieti vanno articolati per qualifiche e ruoli, con l’implicito riferimento al fatto che le incompatibilità crescono con il livello e la qualità dell’incarico rico-perto dal lavoratore in questione) 18.

Un’altra integrazione all’art. 53 apportata dalla legge n. 190 del 2012 riguarda il versamento – ad opera dell’erogante o, in difetto, del percettore – del compenso per prestazioni non autorizzate eventualmente svolte nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente, con destinazione all’incre-mento del fondo di produttività o di fondi equivalenti (comma 7): nel comma 7-bis si precisa che l’omesso versamento da parte del dipendente pubblico del compennso indebitamente percepito costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta al giu-dizio della Corte dei conti.

Vi sono, poi, modifiche sugli obblighi e i termini delle comunicazioni relative agli incarichi, sulle quali non mette conto soffermarsi.

Importante è, invece, la norma del nuovo comma 16-ter dell’art. 53, anch’esso introdotto dalla legge del 2012. Questo si occupa di incompatibilità che possono in-sorgere non durante, ma dopo il rapporto di lavoro con l’amministrazione, con l’as-segnazione al soggetto di incarichi o assunzioni che potrebbero essere il “prezzo” di atteggiamenti da lui assunti quando era dipendente pubblico. In base a tale disposi-zione, i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri auto-ritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni non possono svolgere,

modifiche all’art. 53 del testo unico alle dipendenze della p.a. (art. 1, commi 39-40 e 42-43), in La leg-ge anticorruzionee. Prevenzione e repressione della corruzione, cit., 167 ss.; ID, La regolazione del-l’accesso agli incarichi esterni da parte dei dipendenti dopo la legge 190/2012: evoluzione delsistema e problemi di appplicazione agli enti territoriali, in IF, 2013, 409 ss.; CORRADO, Incompatibilità degli incarichi e divieti di cumulo, in V. Sarcone (a cura di) Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche, Roma, 2013, 275 ss.

18 Per questa considerazione v. PONTI, La regolazione dell’accesso agli incarichi esterni …, cit., 411; v. anche MERLONI, Le misure amministrative di contrasto alla corruzione, in Astrid Rassegna, 2013, 18, 11.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 111

nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività la-vorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubbli-ca amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. In caso di violazione ci sono sanzioni per chi ha concluso contratti e conferito gli incarichi: essi sono nulli ed è fat-to divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni, mentre per gli ex dipendenti c’è l’obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi ri-feriti (in dottrina è stato criticato questo sistema sanzionatorio, rispetto al quale sa-rebbe stata preferibile, si dice, la fissazione di sanzioni pecuniarie 19).

Come è stato precisato dall’art. 21 del D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39, ai fini del-l’applicazione del divieto “sono considerati dipendenti delle pubbliche amministra-zioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo”. Pertanto, il divieto in questione riguarda anche personale con rapporto a tempo determinato, che sarebbe forse più di altri indotto ad accettare incarichi dopo la fine del suo servizio presso l’amministrazione (ad es., i dirigenti “esterni” con incarichi ex art. 19, comma 6, D.Lgs. n. 165/2001).

Quanto all’estensione oggettiva del divieto, dovrebbe riguardare tutti quei sog-getti privati operanti in ambiti anche potenzialmente riconducibili alla sfera nella quale l’ex dipendente pubblico poteva incidere (non la sfera generale delle attività dell’amministrazione presso la quale operava).

Venendo al secondo dei profili sopra indicati, si può notare che la normativa re-lativa alla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, oggetto della delega di cui ai commi 49 e 50, ed attuata con il D.Lgs. n. 39/2013 20, ricopre una posizione centrale nel sistema di prevenzione dei fenomeni corruttivi disegnato dalla legge n. 190 del 2012, in quanto è diretta ad evitare che “possano accedere e permanere in incarichi pubblici persone che si trovino in situazioni che facciano dubitare della loro imparzialità” 21: si tratta di una disciplina assai articolata, della quale in questa

19 PONTI, Le modifiche all’art. 53 del testo unico alle dipendenze della p.a., cit., 190. 20 Su questa tematica v. per tutti MERLONI, Nuovi strumenti di garanzia dell’imparzialità delle am-

ministrazioni pubbliche: l’inconferibiltà e incompatibilità degli incarichi (art. 1, commi 49 e 50), in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, cit., p. 191 ss.; ID., Il nuovo regime delle inconferibilità e incompatibilità nella prospettiva dell’imparzialità dei funzionari pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, 2013, 806 ss.; ID., Inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014. Si vedano anche le Linee guida in materia di accer-tamento delle inconfereibilità e delle incompatibilità degli incarichi amministrativi da parte del re-sponsabile della prevenziione della corruzione. Attività di vigilanza e poteri di accertamento del-l’A.NA.C in caso di incarichi in conferibili e incompatibili, adottate dall’ANAC con la Delibera n. 833 del 3 agosto 2016.

21 MERLONI, Inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, cit.

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112 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

sede si ricorderanno solo alcuni tratti essenziali, per segnalarne la rilevanza sulla relazione dei dipendenti e, in particolare, dei dirigenti con le pubbliche amministra-zioni.

La legge e il decreto prevedono diverse ipotesi nelle quali è esclusa la conferibi-lità di incarichi amministrativi: in primo luogo, non possono accedere ad incarichi di vertice e dirigenziali nelle amministrazioni coloro i quali siano stato condannati, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale; è, poi, stabilito il divieto di conferire incarichi di vertice e incarichi dirigenziali esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni e negli enti pubblici – e nelle ASL – che siano relativi allo specifi-co settore o ufficio dell’amministrazione che esercita i poteri di regolazione e finan-ziamento, a coloro i quali, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e rico-perto cariche in enti di diritto privato o finanziati dall’amministrazione o dall’ente pubblico che attribuisce l’incarico ovvero abbiano svolto in proprio attività profes-sionali, se queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite dall’amministra-zione o ente che conferisce l’incarico; infine, l’inconferibilità riguarda quanti negli anni precedenti abbiano fatto parte di organi politici di livello regionale e locale.

Quanto alle incompatibilità, con le quali si intende evitare che continuino a ri-coprire incarichi amministrativi soggetti che si trovino in situazioni potenzialmente conflittuali, si stabilisce che gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi di-rigenziali nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dal-l’amministrazione che conferisce l’incarico, sono incompatibili con l’assunzione e il mantenimento, nel corso dell’incarico, di incarichi e cariche in enti di diritto pri-vato regolati o finanziati dall’amministrazione o ente pubblico che conferisce l’in-carico, come pure con lo svolgimento in proprio di un’attività professionale, se que-sta è regolata, finanziata o comunque retribuita dall’amministrazione o ente che conferisce l’incarico. Vengono, poi, individuate le ipotesi di incompabilità fra l’e-sercizio di incarichi di vertice o di incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pub-bliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico e l’assunzione o il mantenimento, nel corso dell’incarico, di cariche in or-gani di indirizzo politico.

I soggetti interessati all’assunzione di incarichi amministrarivi devono presenta-re al momento del conferimento (come condizione per l’efficacia dello stesso) una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di inconferibilità, e coloro i qua-li abbiano ricevuto un incarico sono tenuti a presentare annualmente una dichiara-zione sulla insussistenza di cause di incompatibilità.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 113

5. Le nuove norme in materia di trasparenza (D.Lgs. n. 97/2016)

La connessione fra norme sulla prevenzione della corruzione e norme sulla tra-sparenza è un carattere qualificante del modello costruito a partire dalla legge n. 190 del 2012, ed è stata ulteriormente rafforzata da scelte normative effettuate negli anni successivi: significative in tal senso sono l’assegnazione all’ANAC di entram-be le materie, nel momento in cui si spostavano sul DFP le competenze in tema di performance (con il D.L. n. 90/2014); e l’inserimento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (PTTI) all’interno del PTPC (con il D.Lgs. n. 97 del 2016).

Può, quindi, essere utile richiamare alcune disposizioni del D.Lgs. n. 97 del 2016 – con il quale, in attuazione dell’art. 7 della “legge Madia”, si è intervenuti sul D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, attuativo delle previsioni sulla trasparenza della legge n. 190 del 2012 – che in qualche modo toccano questioni riguardanti il personale 22.

Viene, innanzitutto, ridefinito l’oggetto dell’art. 14 del D.Lgs. n. 33/2013, che prima riguardava solo gli obblighi di pubblicazione posti a carico dei titolari degli organi di indirizzo politico, mentre ora si occupa, oltre che di quelli dei “titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo”, anche di quelli dei “titolari di incarichi dirigenziali” (in precedenza oggetto dell’art. 15).

Ne consegue che vengono estesi ai dirigenti tutti gli obblighi di pubblicazione dei dati indicati nell’art. 14, che sono più numerosi e articolati di quelli già presenti nell’art. 15: essi ora sono richiesti anche ai “titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione”.

In particolare, ciascun dirigente è tenuto a comunicare all’amministrazione presso la quale presta servizio “gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, del decre-to-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. L’amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l’ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente”. Il dirigente che non ef-fettua tale comunicazione, relativa agli emolumenti complessivi percepiti a carico del-la finanza pubblica, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria (in base al nuovo testo dell’art. 47, D.Lgs. n. 33/2013).

22 Per un organico commento al D.Lgs. n. 33/2013, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 97/2016, v. PON-

TI (a cura di), Nuova trasparenza amministrativa e diritto di accesso alle informazioni, Santarcangelo di Romagna, 2016 (le disposizioni riguardanti organizzazione e personale sono analizzate, in particolare, nel capitolo XII); v. anche CORRADO, La trasparenza attraverso gli obblighi di pubblicazione, in Nunziata (a cura di ) Riflessioni in tema di lotta alla corruzione, Carocci, Roma, 2017, 81 ss.

Si vedano, inoltre, le “Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pub-blicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d,lgs. 97/2016”, adottate dall’ANAC con la Delibera n. 1310 del 28 dicembre 2016.

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114 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Riguardo a questa normativa va segnalata una complessa e tormentata vicenda che ne sta caratterizzando l’applicazione (rectius, la parziale sospensione dell’appli-cazione). L’ANAC in data 8 marzo 2017 aveva emanato la determinazione n. 241, contenente le relative linee guida, nelle quali tra l’altro disciplinava anche il regime di trasparenza applicabile ai dirigenti cessati dall’incarico, compresi quelli esterni con incarico a termine. Ma poi, con delibera n. 382 del 12 aprile 2017, l’Autorità ha sospeso l’efficacia di detta determinazione, a seguito dell’ordinanza cautelare n. 1030/2017 del TAR Lazio, che sospendeva atti applicativi della normativa in que-stione riguardo ai dirigenti in ragione della consistenza di questioni di costituziona-lità e di compatibilità con le norme comunitarie, cui facevano seguito prese di posi-zione dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, dell’Avvocatura del-lo Stato e della Presidenza del consiglio dei ministri: quindi si è provvisoriamente bloccata l’applicazione delle disposizioni in questione per i dirigenti, rispetto agli obblighi di cui alle lettere c) (pubblicazione degli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici) e f) (dichiarazioni sui dati reddituali e patrimo-niali e sulle relative variazioni) dell’art. 14, D.Lgs. n. 33/2013.

Tornando al testo dell’art. 14 del D.Lgs. n. 33/2013, novellato dal D.Lgs. n. 97/2016, si rileva che negli atti di conferimento di incarichi dirigenziali e nei rela-tivi contratti vanno riportati “gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con partico-lare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico”.

Il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina responsabilità diri-genziale ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 165/2001, e del mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi si tiene conto ai fini del conferimento di successivi incarichi.

Si aggiunge che gli obblighi di pubblicazione in questione si applicano anche ai titolari di posizioni organizzative ai quali sono affidate deleghe ai sensi dell’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 165/2001, nonché nei casi di cui all’art. 4-bis, com-ma 2, del D.L. 19 giugno 2015, n. 78 (sulle agenzie fiscali) e in ogni altro caso in cui sono svolte funzioni dirigenziali. Per gli altri titolari di posizioni organizzative si prescrive solo la pubblicazione del curriculum vitae.

Si segnalano, poi, le modifiche all’art. 19 del D.Lgs. n. 33/2013, concernenti la pubblicità dei bandi di concorso: ora si richiede, oltre alla pubblicazione del bando, anche quella dei criteri di valutazione adottati dalla commissione nonché delle trac-ce delle prove scritte (“scopo della norma è quello di rendere trasparente il proces-so di valutazione della commissione anche in relazione ad esigenze di tutela degli interessati” 23). Cade, invece, l’obbligo di pubblicazione dei bandi espletati nell’ul-timo triennio, oltre che di quelli in corso.

23 ANAC, Delibera n. 1310 del 2016, cit.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 115

Si tenga anche presente che gli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 33/2013 (non modifi-cati dalla recente normativa) individuano rispettivamente gli obblighi di pubblica-zione concernenti la dotazione organica e il costo del personale con rapporto di la-voro a tempo indeterminato e i dati relativi al personale non a tempo indeterminato; a sua volta, l’art. 18 si occupa degli obblighi di pubblicazione dei dati relativi agli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici.

Con il D.Lgs. n. 97 del 2016 viene anche riformulato il testo dell’art. 20, comma 2, del decreto del 2013, concernente la pubblicazione dei criteri definiti nei sistemi di misurazione e valutazione della performance per l’assegnazione del trattamento accessorio e i dati relativi alla sua distribuzione.

Non ci sono, invece, cambiamenti sostanziali dell’art. 21, riguardante gli obbli-ghi di pubblicazione dei dati sulla contrattazione collettiva.

Sempre riguardo alla trasparenza, guardando retrospettivamente alla legge n. 190 del 2012, va ricordato che l’art. 1, comma 15, di tale legge pone la trasparenza amministrativa (assicurata “mediante la pubblicazione sui siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministra-tivi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazio-ne”) fra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione. Ebbene, fra i procedimenti in questione sono compresi, in base al successivo comma 16, lettera d), quelli concernenti “concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all’art. 14 del … decreto legislativo n. 150 del 2009”. Le procedure concorsuali rientrano così (ac-canto ad autorizzazioni e concessioni, affidamento di contratti pubblici e sovven-zioni) fra le aree più sensibili in rapporto alla prevenzione della corruzione (aree di rischio obbligatorie, da tenere presenti nei PTPC anche ai fini della rotazione di personale). Il tema è ripreso anche nell’art. 23 del D.Lgs. n. 33 del 2013 24.

6. Il whistleblowing

La recente legge 30 novembre 2017, n. 179, recante “Disposizioni per la tutela de-gli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nel-l’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, detta un nuovo testo dell’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, che contiene una disciplina più articolataa e maggior-mente “garantista” della posizione del c.d. whistleblower rispetto a quella precedente, introdotta dalla legge n. 190 del 2012 e già modificata con il D.L. n. 90 del 2014 25.

24 Su questo aspetto v. LUCE, Il personale della PA, concorsi e progressioni di carriera, in Rifles-sioni in tema di lotta alla corruzone. Rimedi preventivi e repressivi, cit., 599 ss.

25 Sulla disciplina del whistlebolwing dettata dalla legge n. 190 del 2012 v. CANTONE, La tutela del  

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116 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

In base alla nuova versione, il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’inte-grità della pubblica amministrazione “in buona fede” (l’elemento psicologico, come si vedrà, assume un rilievo particolare nel modello definito con il testo riformato) segnala al responsabile della prevenzione della corruzione o all’ANAC, o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venu-to a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, “demansionato” (elemento questo non presente nel testo originario), licenziato, “trasferito” (altro elemento di novità), o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione.

L’adozione di misure ritenute ritorsive nei confronti del segnalante è comunica-ta in ogni caso all’ANAC (prima l’informazione era al diretta al DFP) dall’inte-ressato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’ammi-nistrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L’ANAC informa il Di-partimento della funzione pubblica o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza.

Quanto alla qualificazione del dato psicologico, viene precisato che va conside-rato in buona fede “il dipendente pubblico che effettua una segnalazione circostan-ziata nella ragionevole convinzione, fondata su elementi di fatto, che la condotta illecita segnalata si sia verificata”. La buona fede è, in ogni caso, esclusa qualora il segnalante abbia agito con colpa grave.

Per ciò che attiene, poi, all’ambito soggettivo di applicazione della norma, per dipendente pubblico deve intendersi “il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all’art. 3, il dipendente di

whistleblower, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, cit., 243 ss.; BOVA, Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti: il whistlebolowing, in Il contrasto al feno-meno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche, cit., 299 ss. Si vedano anche le Linee guida in materia del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower), adottaare dall’ANAC con la Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015. Sul dibattito precedente e sulle esperienze internazionali v. FRASCHINI-PARISI-RINOLDI (a cura di), Il whistleblowing come strumento di prevenzione della corru-zione, Acireale, 2011; GANDINI, La protezione dei whistleblowers, in La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, cit., 167 ss. Sull’attuazione delle norme della legge del 2012 v. i due rap-porti dell’ANAC su Segnalazione di illeciti e tutela del dipendente pubblico: l’Italia investe nel whist-leblowing, importante strumento di lotta alla corruzione, Presentazione del primo monitoraggio nazio-nale, del 22 giugno 2016, e Prevenzione della corruzione, segnalazione di illeciti e tutela del dipenden-te pubblico: presentazione del secondo monitoraggio nazionale sull’applicazione del whitleblowing, del 22 giugno 2017. Sulle problematiche applicative e sulle motivazioni della riforma poi realizzata con la legge n. 179 del 2017 v. D’AVINO, op.cit., 298 ss.; DE ROSA, La prevenzione della corruzione nella tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblowing), in Riflessioni in tema di lotta alla corruzione. Rimedi preventivi e repressivi, cit., 137 ss.; NIGER, Il whistleblowing tra prevenzione della corruzione e tutela del segnalante, in Astrid Rassegna, 2017, n. 1; MARCIAS, La disciplina del whistleblowing tra prospettive di riforma e funzioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, in Nicotra (a cura di) L’Autorità Nazionale Anticorruzione, Torino, 2016, 173 ss.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 117

un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottopo-sto a controllo pubblico ai sensi dell’art. 2359 del codice civile. La norma si applica anche ai collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o di incarico, nonché ai lavoratori e ai collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica”.

Il fulcro della disciplina in questione è costituito dal divieto di rivelazione del-l’identità del segnalante. Prima la questione veniva posta solo in riferimento al pro-cedimento disciplinare a carico del denunciato. Ora invece si stabilisce anche che nell’ambito del procedimento penale l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 del codice di procedura penale 26, e che, nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. In sede di procedi-mento disciplinare l’identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contesta-zione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispet-to alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa (prima in questo caso poteva essere rivelata, con il consenso dell’interessato).

Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incol-pato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di “consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità” (nel testo precedente questo consenso non era previsto).

È di tutta evidenza che nel nuovo sistema regolativo la protezione dell’“a-nonimato” del whistleblower fa premio, soprattutto (ma non solo) nel procedimento disciplinare, su altre esigenze, ivi compreso l’esito dello stesso procedimento: ciò si spiega, chiaramente, con la volontà del legislatore di incoraggiare l’utilizzazione dello strumento della segnalazione, che fin qui rischiava di essere condizionata dal timore che l’identificazione dell’autore della segnalazione potesse produre conse-guenze negative a suo carico.

Rimane ferma la sottrazione della segnalazione all’accesso previsto dagli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990.

Si stabilisce, inoltre, che l’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, deve adottare apposite linee guida relative alle procedure per la presenta-zione e la gestione delle segnalazioni. Le linee guida “prevedono l’utilizzo di moda-lità anche informatiche e promuovono il ricorso a strumenti di crittografia per ga-rantire la riservatezza dell’identità del segnalante e per il contenuto delle segnala-zioni e della relativa documentazione”.

26 Art. 329 c.p.p.: “Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”.

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118 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

La nuova legge, inoltre, attribuisce specifici poteri sanzionatori all’ANAC nella materia in questione. Qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dalla stessa Autorità, l’adozione di misure discriminatorie da parte dell’ente, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Se, invece, viene accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi a quelle di cui alle linee guida, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 20.000 euro.

Si prevede, ancora, che le tutele di cui al nuovo testo dell’art. 54-bis non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la “re-sponsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comun-que per reati commessi con la denuncia ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave”.

A fronte di questo evidente rafforzamento delle garanzie poste a presidio della posizione del denunciante la legge n. 179 del 2017 introduce, per converso, una di-sposizione volta a istituire un deterrente contro segnalazioni “incaute” e, comunque, contro abusi del diritto di denuncia: qualora al termine del procedimento penale, ci-vile o contabile ovvero all’esito dell’attività di accertamento dell’ANAC risulti l’“in-fondatezza della segnalazione e che la stessa non è stata effettuata in buona fede” (di qui la rilevanza dell’elemento psicologico), il segnalante è sottoposto a proce-dimento disciplinare dall’ente di appartenenza, al termine del quale, sulla base di quanto stabilito dai contratti collettivi, può essere irrogata la misura sanzionatoria anche del licenziamento senza preavviso.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 119

IL LAVORO AGILE NELL’ERA DIGITALE TRA LAVORO PRIVATO E PUBBLICO

MARINA BROLLO

Sommario: 1. Il lavoro agile nel nuovo art. 18 dello ‘statuto dei lavori’. – 2. Il lavoro agile nelle Pubbli-che Amministrazioni ‘4.0.’. – 3. Una prima sperimentazione con monitoraggio degli effetti: il progetto E.L.E.N.A. – 4. Il lavoro agile nella contrattazione collettiva come misura di sviluppo del welfare aziendale.

1. Il lavoro agile nel nuovo art. 18 dello ‘statuto dei lavori’

Ringrazio i colleghi della segreteria scientifica dei Seminari di Bertinoro, in par-ticolare il prof. Franco Carinci, per questo prezioso appuntamento (giunto alla 13a edizione) di ‘aggiornamento professionale’ per i giuslavoristi sui temi delle tra-sformazioni del lavoro, pubblico e privato, nell’era digitale 1. Sono grata inoltre per l’occasione di presiedere la sessione finale dedicata a “Il lavoro agile nell’Industria 4.0” che permette di riflettere sull’importanza delle regole e del diritto quale perno per il cambiamento, per stare “al passo col futuro” 2.

Anche i giuristi sono consapevoli che i dati e le proiezioni del mercato del lavo-ro all’epoca della grande trasformazione 3 indicano una significativa potenzialità di crescita per le attività lavorative prestate in modalità ‘agile’, cioè caratterizzate da

1 Intervento effettuato in occasione del coordinamento della sessione 5: ‘Il lavoro agile nell’Indu-stria 4.0’ dei Seminari di Bertinoro, XIII ed., Bologna 6-7 dicembre 2017.

2 Come recita il titolo dello stimolante saggio di J. ITO-J. HOWE, Al passo col futuro, trad. it., Mila-no, 2017.

3 Per il dibattito nazionale in ambito lavoristico – oltre agli interventi nelle sessioni del 3, 4 e 5 di questo convegno (in corso di pubblicazione in ADAPT, e book) – si rinvia alle relazioni AIDLASS di D. GAROFALO, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative; BASENGHI, Decentramento organizzati-vo e autonomia collettiva; BORGOGELLI, Modelli organizzativi e tutele dei lavoratori nei servizi di inte-resse pubblico, Giornate di Studio, Frammentazione organizzativa e lavoro: rapporti individuali e col-lettivi, Cassino, 18-19 maggio 2017, dattil. in http://www.aidlass.it/giornate-di-studio-aidlass-2017-2. V. anche la raccolta di saggi di DAGNINO-NESPOLI-SEGHEZZI (a cura di), La nuova grande trasformazio-ne del lavoro Lavoro futuro: analisi e proposte dei ricercatori ADAPT, e-book 62/2017, in https:// moodle.adaptland.it/pluginfile.php/28485/mod_resource/content/2/ebook_vol_62_GTL.pdf.

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120 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

un lavoro ‘a distanza’, al di fuori dei tempi e dei luoghi tradizionali di lavoro, per il tramite, di regola, di strumenti informatici o telematici 4.

Grazie alle nuove tecnologie digitali, che a volte possono stare addirittura nelle nostre tasche, il lavoro agile o smart working permette, mediante accordo tra le parti (c.d. patto di agilità), di far ‘vibrare’ lo spazio e il tempo nel rapporto di lavoro su-bordinato, lavorando anche per obiettivi 5, con conseguente valutazione sul risultato raggiunto piuttosto che in base ai parametri classici quale l’ora di lavoro e la pre-senza fisica nei locali aziendali 6. Il lavoratore subordinato che si ‘auto-organizza’

4 Una recente indagine internazionale conferma che il lavoro a distanza affidato alle nuove tecnolo-gie è in aumento nella maggior parte dei Paesi europei (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Regno Unito): ILO-Eurofound, Working anytime, anywhere: the effects on the world work, 2017 in www.eurofound.europa.eu/publications/report/2017/. Nel confronto internazionale l’Italia si colloca nell’ultima posizione della classifica sia rispetto ai dipendenti che scel-gono di lavorare da casa sia rispetto a quelli che fanno largo uso delle nuove tecnologie lavorando in vari luoghi fuori dai locali dell’impresa. Tuttavia, negli ultimi cinque anni, il fenomeno è in crescita anche in Italia, specie nel settore privato, in particolare nelle grandi aziende (con un ruolo di apripista della contrattazione aziendale): v. l’Osservatorio ADAPT Smart Working in https://moodle.adapt land.it/course/view.php?id=625 attivo dal 2015; nonché i dati e le proiezioni elaborati dall’Osser-vatorio Smart Working del Politecnico di Milano, in www.osservatori.net/it_it/osservatori/osservatori/ smart-working. La Risoluzione 13 settembre 2016 del Parlamento europeo sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale (2016/2017(INI), in www.europarl.europa.eu/sides/, nell’ambito delle misure per garantire l’Occupazione di qualità al punto 48 afferma di sostenere il “lavoro agile”, cioè «un approccio all’organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non richiede necessariamente al la-voratore di essere presente sul posto di lavoro o in un altro luogo predeterminato e gli consente di ge-stire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi; sottolinea pertanto il potenziale offerto dal lavoro agile ai fini di un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale, in partico-lare per i genitori che si reinseriscono o si immettono nel mercato del lavoro dopo il congedo di mater-nità o parentale; si oppone tuttavia alla transizione da una cultura della presenza fisica a una cultura della disponibilità permanente; invita la Commissione, gli Stati membri e le parti sociali, in sede di elaborazione delle politiche in materia di lavoro agile, a garantire che esse non impongano un onere supplementare ai lavoratori, bensì rafforzino un sano equilibrio tra vita privata e vita professionale e aumentino il benessere dei lavoratori; sottolinea la necessità di concentrarsi sul conseguimento di obiettivi occupazionali al fine di scongiurare l’abuso di queste nuove forme di lavoro; invita gli Stati membri a promuovere il potenziale offerto da tecnologie quali i dati digitali, internet ad alta velocità, la tecnologia audio e video per l’organizzazione del (tele)lavoro agile».

5 Il comma primo dell’art. 18, legge n. 81/2017, non a caso menziona la possibilità di «forme di or-ganizzazione per fasi, cicli e obiettivi».

6 Per questi profili nel più recente contesto normativo rinvio a G. SANTORO-PASSARELLI, Lavoro ete-rorganizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 327/2017; PERULLI, Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile: come cambiano i concetti di subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 341/2017.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 121

tempo e luogo della prestazione diventa pericolosamente simile al lavoratore auto-nomo, data l’eventualità di una traslazione del rischio di impresa dal datore al lavo-ratore. Inoltre dal ricorso al lavoro agile derivano probabili ricadute esistenziali dato che le dimensioni online e offline del lavoro personale tendono a mischiarsi, interve-nendo nelle pieghe più nascoste e private del quotidiano e delle attività di ciascuno.

In questo contesto tecnologico, sociologico e culturale, il legislatore – sulla scia della proposta di legge Mosca e altri 7 – ha disciplinato il nuovo “lavoro agile” con gli artt. 18-24 della legge 22 maggio 2017, n. 81, recante «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione fles-sibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato», in vigore dal 14 giugno 2017 e nota tra gli operatori come il nuovo “Statuto dei lavori”, con norme a tutela sia del lavoro autonomo (Capo I) sia del lavoro subordinato (Capo II); quest’ultimo nella variante di prestazione lavorativa caratterizzata da un nuovo aggettivo ‘agile’ o nel-la versione anglofona ‘smart’e da un duplice finalità di incrementare la competitivi-tà aziendale e /o di soddisfare le esigenze del lavoratore consentendogli di migliora-re l’integrazione tra sfera professionale e sfera privata.

A ben vedere, non è necessaria la compresenza di entrambe le finalità, tuttavia l’idea sottesa è che, dovendoci essere il consenso anche del lavoratore, la sua soddi-sfazione migliora il clima lavorativo e può stimolare la sua produttività, con un van-taggio cumulativo per dipendente e datore.

A questo punto mi permetto di segnalare una cabala dei numeri, figlia del c.d. Jobs act, forse indicativa dello spirito del tempo. Il classico art. 18 dello Statuto dei lavora-tori (come riformulato dalla legge n. 92/2012), a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015 sul contratto di lavoro a tutele crescenti, è esposto de jure condito ad un ridimensionamento fisiologico, per il naturale restringimento della sua base di applicazione, fino allo svuotamento applicativo. Nel contempo, è entrato in vigore un nuovo art. 18 dello Statuto dei lavori, dedicato alla promozione di una inedita «moda-lità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato», quella agile. La modifica di contenuti dell’articolo 18 dei diversi statuti sembra sintetizzare un cambio epocale per il diritto del lavoro: dall’occupazione stabile a quella agile. Nel contempo, il rovescio del 18, cioè l’81, sta diventando il numero chiave della principale produzione norma-tiva dell’ultimo decennio: dal testo unico sulla sicurezza del 2008, al decreto contratti del 2015, alla legge appena citata del 2017. Concludendo il gioco, in virtù del signifi-cato dei numeri nella smorfia napoletana, con un pizzico di fortuna, «se son fiori (si-gnificato del numero 81) fioriranno…», anche se con minor passione (significato del numero 18), ma con il germogliare di nuovi diritti ‘digitali’ (come quelli alla discon-nessione intellettuale dagli strumenti tecnologici che ne consentono la reperibilità e all’apprendimento permanente, di cui agli artt. 19 e 20, legge n. 81/2017).

7 Vedi le ‘Disposizioni per la promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro’ in www. camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0019490.pdf, presentata il 29 gennaio 2014.

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122 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

2. Il lavoro agile nelle Pubbliche Amministrazioni ‘4.0.’

I colleghi che intervengono in questa V sessione ( 8) sono stati invitati a declinare i diversi profili del lavoro agile calato nel contesto, come recita il titolo, dell’“Industria 4.0”, collegato alla IV sessione di questo seminario dedicata al nuovo Statuto del la-voro autonomo 9. Tuttavia segnalo che il tema ha un collegamento con le sessioni ini-ziali dedicate alla quarta riforma del lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni; colle-gamento forse meno evidente (anche tenendo conto delle poche amministrazioni pub-bliche coinvolte nella sperimentazione di schemi di lavoro agile e flessibili), ma con un impatto potenzialmente più significativo se ed in quanto si realizzi la trasforma-zione digitale del lavoro pubblico 10. La tesi è che la digitalizzazione, c.d. “Pubblica Amministrazione 4.0”, potrebbe creare le premesse per una riforma della gestione delle risorse umane in un contesto di smaterializzazione dello stesso posto di lavoro.

Invero il lavoro agile nel pubblico impiego non è previsto nei due decreti legi-slativi (nn. 74 e 75 del 2017) che hanno monopolizzato i lavori delle sessioni I e II, bensì nella legge delega in materia di riorganizzazione delle Pubbliche Amministra-zioni, n. 124 del 2015, che ha dato il via alla c.d. riforma Madia (dal nome della Ministra) o quarta riforma del lavoro pubblico.

La legge n. 124/2015, per innovare la PA e coltivare gli obiettivi di efficacia, ef-ficienze ed economicità, prevede, nell’art. 14 volto alla «Promozione della concilia-zione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche anticipando le

8 Rispettivamente: PELLACANI, Dalla smart factory allo smart working; BELLAVISTA, La linea di demarcazione fra lavoro agile e telelavoro; BALLETTI, Il potere di controllo sul lavoratore agile; OC-CHINO, Il lavoro agile nella contrattazione collettiva, nel cit. e-book in corso di pubblicazione in ADAPT.

9 Per un’analisi del tema del lavoro agile nella legge n. 81/2017 si rinvia al commento a cura di ZI-LIO GRANDI-BIASI, Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Cedam, Pa-dova, 2018; TIRABOSCHI, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 335/2017; PINTO, La flessibilità funzionale ed i poteri del datore di lavoro. Prime considerazioni sui decreti attuti-vi del Jobs Act e sul lavoro agile, in RDGL, 2016, I, 367 ss. V. inoltre gli atti del convegno romano del Gruppo giovani giuslavoristi Sapienza: AA.VV., Il lavoro agile nella disciplina legale, collettiva ed individuale. Stato dell’arte e proposte interpretative di un gruppo di giovani studiosi, in WPCSDLE “Massimo D’Antona”. Collective Volumes – 6/2017; DONINI, Nuova flessibilità spazio temporale e tecno-logie: l’idea di lavoro agile, in Tullini (a cura di), Web e lavoro. Profili evolutivi e di tutela, Torino, 2017, 87 ss. Per le istruzioni operative v. DAGNINO-MENEGOTTO-PELUSI- TIRABOSCHI, Guida pratica al lavoro agile dopo la legge n. 81/2107, ADAPT University Press, 2017. Per un’analisi sociologica della fattispecie v. CHIARO-PRATI-ZOCCA, Smart working: dal lavoro flessibile al lavoro agile, in SL, 2015, n. 138.

10 Cfr. l’interessante ‘Relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni’, in www.camera.it/ Coglie bene questo nesso il saggio di ZILLI, Il lavoro agile nella pubblica amministrazione “4.0”, in D. Garofalo (a cura di) per i tipi di Adapt University Press, in corso di stampa, 2018.

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Sezione Prima: Dottrina – La quarta riforma del lavoro nelle PA (parte prima) 123

riforme del lavoro privato», la «sperimentazione, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione la-vorativa» (comma 1) incluso il lavoro agile; seppur continua a menzionare l’arche-tipo classico del lavoro ‘a distanza’, cioè il vecchio telelavoro 11, rilanciandolo. Ne consegue che, nel pubblico impiego, il lavoro agile viene «ricavato per differenza dal progenitore». Sicché il telelavoro, pur avendo sinora una modestissima diffu-sione, resta la «pietra di paragone» per la nuova figura di attività a distanza, in al-ternanza tra sede interna ed esterna di lavoro, senza una postazione fissa, con l’u-tilizzo (non indispensabile) di strumenti tecnologici per la prestazione lavorativa 12.

Inoltre la norma rinvia ad una Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione degli indirizzi e delle linee guida «contenenti regole inerenti l’orga-nizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti».

Lungamente attesa, l’ampia e dettagliata Direttiva n. 3/2017, recante «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’ar-ticolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato», contiene regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti pubblici. Le linee guida in essa contenute forniscono utili indicazioni pratiche a supporto delle amministrazioni per i passaggi operativi propedeutici per l’avvio della sperimentazione del lavoro agile con l’am-bizione di promuovere una nuova visione dell’organizzazione del lavoro volta a stimolare l’autonomia e la responsabilità dei dipendenti.

La Direttiva è stata pubblicata il 5 giugno 2017, alla vigilia dell’approvazione della legge sul lavoro agile nel settore privato che, a sua volta, intende coltivare il tradizionale senso di marcia della c.d. privatizzazione del lavoro pubblico. Così la legge n. 81/2017 prevede l’applicazione della medesima disciplina del lavoro agile del settore privato, «in quanto compatibile, anche nei rapporti di lavoro alle dipen-

11 Per un’analisi della fattispecie rinvio a GAETA-PASCUCCI (a cura di), Telelavoro e diritto, Torino, 1998; GAETA-PASCUCCI-POTI (a cura di), Il telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 1999; GOTTARDI, Telelavoro, in DDP Sez. comm., Torino, 2003, p. 911 ss. Per alcune esperienze e dati v.: MCBRITTON, Luci e ombre della regolazione del telelavoro: a proposito del Progetto Telelab di Unisa-lento, in LAMBERTI (a cura di), Il lavoro che avvicina, Lecce, 2014, 119 ss.; PENNA, I numeri del telela-voro nel pubblico impiego Il ricorso al telelavoro nella PA: entità e caratteristiche, 2016, in www.enea.it/it/produzione-scientifica/rapporti-tecnici.

12 Così ZILLI, Il lavoro agile nella pubblica amministrazione “4.0”, cit. La querelle sui confini fra l’una e l’altra fattispecie di lavoro ‘a distanza’ assume rilevanza particolare per l’applicazione delle norme sulla sicurezza ai telelavoratori ovvero ai lavoratori agili. Sul punto v. anche PERUZZI, Sicurezza e agilità: quale tutela per lo smart worker?, in DSL, 2017, 1, http://ojs.uniurb.it/. In tema si segnala la recente Circolare Inail n. 48 del 2 novembre 2017, contenente istruzioni operative sulla tutela del per-sonale dipendente (del settore privato e pubblico) in modalità di lavoro agile in www.inail.it/cs/internet/ docs/testo-integrale-circolare-n-48-del-2-novembre-2017.pdf.

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denze delle amministrazioni pubbliche», individuate con il classico elenco «di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni»; con un rinvio alle «direttive emanate anche ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124» e la salvaguardia dell’«applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti» (art. 18, comma 3). Ne deriva che la Direttiva n. 3/2017 costituisce il principale filtro entro cui trovano attuazione al lavoro pubblico le regole dettate per il settore privato dalla legge n. 81/2017.

Individuata la mappa delle fonti normative del lavoro agile nelle amministrazio-ni pubbliche, provo ad elencare i motivi per cui ritengo lo strumento potenzialmente molto importante nell’ambito pubblico riconoscendo al legislatore la volontà di co-minciare a sperimentare soluzioni concrete ed efficaci di flessibilità organizzativa delle risorse umane allo scopo, secondo le finalità espressamente indicate, sia di in-crementare la competitività, sia di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (art. 18, comma 1, legge n. 81/2017).

La convinzione che aleggia nella normativa è che se i ritmi di lavoro risultano più adeguati alle esigenze del lavoratore e della lavoratrice potrebbe migliorare la soddisfazione e il benessere, con un calo dell’assenteismo e, si spera, una crescita della produttività. Questa policy potrebbe avere un impatto significativo applicata ad una platea di pubblici impiegati, come quella italiana, con un’età media elevata (e in costante innalzamento in conseguenza della nuova età pensionabile), e a mag-gioranza femminile, nonché ad una realtà territoriale – vuoi di piccoli comuni mon-tani, vuoi di metropoli – foriera di disagi di mobilità che alimentano un’esigenza di natura ambientale (traffico, smog, stress, ecc.) che arricchisce la doppia intentio menzionata dal legislatore.

Innanzitutto, nel lavoro pubblico, il legislatore fissa un obiettivo preciso e garan-tista per lo sviluppo di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della pre-stazione lavorativa che permettano, «entro tre anni» (dall’attuazione della legge), «ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penaliz-zazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carrie-ra» (art. 14, comma 1, legge n. 124/2015). Ed ancora l’adozione di queste misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi «costituiscono oggetto di valuta-zione nell’ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e in-dividuale all’interno delle amministrazioni pubbliche»; da qui l’ulteriore spinta ver-so un controllo della performance efficiente ed efficace 13.

13 Lo stesso art. 14, legge n. 124/2015 prosegue prevedendo che «Le amministrazioni pubbliche a-deguano altresì i propri sistemi di monitoraggio e controllo interno, individuando specifici indicatori per la verifica dell’impatto sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati, delle misure organizzative adottate in tema di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative».

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Inoltre la normativa del settore pubblico rimanda ad una Direttiva n. 3/2017 (meglio nota come “Direttiva Madia”) che contiene preziose istruzioni operative per l’attivazione del lavoro agile, che potrebbero costituire “buone prassi” di possibile esportazione anche nel settore privato (invertendo il tradizionale senso di marcia della privatizzazione).

3. Una prima sperimentazione con monitoraggio degli effetti: il progetto E.L.E.N.A.

Con questi obiettivi, nel 2016 è stata avviata – dal Dipartimento per le Pari Oppor-tunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (con il supporto scientifico del Cen-tro di Ricerca sulle Dinamiche Sociali e Politiche Pubbliche “Carlo F. Dondena” dell’Università Bocconi e in partnership con il Dipartimento per le Politiche della Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – la sperimentazione pilota – il progetto E.L.E.N.A. “Experimenting flexible Labour tools for Enterprises by eNga-ging men And women” – per la (inedita) valutazione quantitativa degli effetti sull’or-ganizzazione e produttività del lavoro, nonché sulla qualità della vita connessi al-l’adozione del lavoro agile per un campione significativo di 300 dipendenti di una grande società italiana (Gruppo Acea S.p.A., società partecipata del Comune di Ro-ma) che non aveva mai utilizzato prima forme di flessibilità del lavoro 14. I dipendenti, che si sono sottoposti, sulla base di accordi individuali, alla sperimentazione, sono stati suddivisi, con modalità casuali, in due gruppi di lavoratori agili e di lavoratori normali, entrambi sottoposti a monitoraggio prima e dopo l’esperimento volto a ricer-care e misurare relazioni causali degli effetti della politica di flessibilità.

Si tratta del primo studio sperimentale condotto su questo tema in Italia 15, con fondi europei e criteri rigorosi (con la metodologia degli esperimenti ‘randomizzati

14 Per la rassegna bibliografica, le caratteristiche della misurazione dell’impatto di organizzazioni flessibili del lavoro e la costruzione di indicatori per misurare i risultati si rinvia al documento work-stream1 in www.pariopportunita.gov.it/media/3137/workstream-1_it.pdf correlato al progetto di cui alla prossima nota.

15 L’iniziativa si inserisce nell’ambito del progetto E.L.E.N.A. “Experimenting flexible Labour tools for Enterprises by eNgaging men And women”, co-finanziato con i fondi del programma europeo REC (Rights, Equality and Citizenship), coordinato dalla Cons. M. Parrella, cui ho collaborato come compo-nente del Comitato IBSA (International Board of Scientific Advisors), assieme a D’AMICO-DEL BOCA. Sul progetto e gli eventi collegati allo stesso v. www.pariopportunita.gov.it/ ed ivi in particolare per individuare i percorsi operativi e i principali risultati dell’esperimento il ‘Toolkit per l’implementazione del lavoro agile nelle aziende private’. Per indicazioni sulle caratteristiche e sui risultati della ricerca si rinvia alla sintesi di ANGELICI-PROFETA, Se lo smart working piace a lavoratori e imprese, in www.la voce.info/archives/50466/lavoro-agile-aumenta-la-produttivita/.

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controllati’ applicata per la prima volta alle flessibilità del lavoro), per verificare empiricamente se e in quale misura il lavoro agile, grazie alla flessibilità degli orari e dei luoghi di svolgimento delle prestazioni lavorative, nonché all’utilizzo della tecnologia mobile da remoto, possa produrre benefici non soltanto ai dipendenti che lo hanno sperimentato (cioè ‘trattati’), in termini di maggiore soddisfazione e be-nessere, ma anche all’azienda, in termini di aumento della produttività.

In concreto, l’agilità è consistita nella possibilità per una parte dei lavoratori dell’azienda, per nove mesi, per un giorno alla settimana, di lavorare fuori sede con libertà di scelta del luogo e dell’orario. Il dato più evidente, emerso dal quarto mese di sperimentazione, è che il lavoro in modalità agile riduce il tasso di assenze e au-menta la soddisfazione individuale per il bilanciamento vita-lavoro, specie per le donne. Invece i dati sull’andamento della produttività oggettiva non sono significa-tivi dal punto vista statistico, ma sono importanti sul piano delle politiche dato che mettono in discussione il pregiudizio che la produttività di un lavoratore dipenda dalle ore trascorse in ufficio.

Da qui la continuazione del progetto sul lavoro agile nella PA 16 per realizzare un’azione di sistema articolata sul tema della conciliazione vita-lavoro, quale que-stione centrale e strategica di sviluppo economico, oltre che di accesso e permanen-za delle donne nel mondo del lavoro 17, nonché di efficacia ed efficienza dell’azione amministrazione e di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

4. Il lavoro agile nella contrattazione collettiva come misura di sviluppo del welfare aziendale

Il monitoraggio della prima sperimentazione conferma, dunque, che il lavoro subordinato in modalità agile migliora per i lavoratori, e soprattutto le lavoratrici, la possibilità di conciliazione tra vita professionale e vita privata, senza riduzioni dell’orario di lavoro (e della correlata retribuzione/contribuzione) 18, e aumenta il

16 V. una sintesi del nuovo progetto PON – Governance e capacità istituzionale 2014-2020 intitola-to ‘Lavoro agile per il futuro della PA. Pratiche innovative per la conciliazione vita-lavoro’ in www. pariopportunita.gov.it/.

17 La dirigente generale del DPO, PARRELLA ha definito il lavoro agile come una sorta di «equaliz-zatore per la sua propensione ad equalizzare, appianare le distorsioni di genere che si riscontrano oggi nel mercato del lavoro» nel Dossier ‘Smart working, un cambiamento organizzativo e culturale’ in www.forumpa.it/.

18 Da questo punto di vista il lavoro agile permette una conciliazione tra vita professionale e vita privata più vantaggiosa per il lavoratore rispetto al lavoro a tempo parziale.

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benessere dei dipendenti, cioè la soddisfazione media rispetto a varie dimensioni della qualità della vita legate alla sfera lavorativa.

Questo obiettivo – la promozione del c.d. work life-balance – a sua volta può stimolare il perseguimento di un’altra misura prevista e incentivata dal legislatore per il (solo) settore privato: lo sviluppo del welfare aziendale per ridurre i costi del lavoro agile per i datori di lavoro date le loro minori spese ad es. per l’uso di posta-zioni fisse e dei consumi energetici.

In assenza di una normativa sul lavoro agile, la legge di stabilità per il 2016 19 già prevedeva che le agevolazioni fiscali e contributive applicabili ai premi di pro-duttività negoziati in sede collettiva decentrata valevano anche per i lavoratori che operavano in modalità agile, rendendoli competitivi rispetto ai costi dei collaborato-ri autonomi (circa il 33% contro il 28%). In questo modo il lavoro agile viene con-siderato dal legislatore uno strumento atto ad incrementare la produttività dell’a-zienda e come tale promosso attraverso il riconoscimento di benefici contributivi e fiscali.

Da ultimo, l’art. 25, D.Lgs. n. 80/2015, nel prevedere, in via sperimentale, che una significativa quota delle risorse del «Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello» (pari complessivamente a 110 milioni per il 2017-2018) sia destinata alla promozione della conciliazione tra vita-lavoro, richiede quale condicio sine qua non per la concessione del beneficio che il contratto collettivo, di livello aziendale (anche in recepimento di contratti collettivi territoriali), sia sottoscritto e depositato nei modi e tempi previsti 20 e rechi l’intro-duzione di misure innovative e migliorative rispetto a quanto già previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro ovvero dalle disposizioni normative vigenti.

Il tanto atteso decreto interministeriale attuativo degli sgravi contributivi per la conciliazione vita-lavoro 21 ha identificato un preciso elenco di misure da cui la con-trattazione collettiva decentrata deve pescare se vuole essere ammessa al finanzia-mento. Fra queste misure, in gran parte riconducibili alle previsioni del Jobs Act, rien-tra espressamente anche il lavoro agile (ricondotto all’area di intervento «flessibilità organizzativa») confermando che il legislatore intende promuovere e incentivare il ricorso a tale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Nel dubbio sui confini dell’ampia area del welfare aziendale, le finalità della normativa fiscale ci per-mettono di includervi anche il lavoro agile quale misura di welfare organizzativo.

Queste previsioni fiscali determinano, di fatto, un’importante ricaduta sulle fonti di disciplina del lavoro agile.

Come noto, la legge n. 81/2017 affida la definizione di aspetti specifici della di-sciplina del lavoro agile del settore privato al solo accordo individuale, senza men-

19 Legge n. 208/2015, D.I. 25 marzo 2016, circ. Agenzia Entrate 28/E del 15 giugno 2016. 20 Nell’arco temporale dal 1° gennaio 2017 al 31 agosto 2018. 21 Cfr. D.I. 12 settembre 2017 e circ. INPS 3 novembre 2017, n. 163.

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zionare l’accordo collettivo. Il silenzio della norma, che non esclude la tradizionale competenza della contrattazione collettiva, forse potrebbe derivare dal tentativo di superare il nuovo filtro sui soggetti sindacali di cui all’art. 51, D.Lgs. n. 81/2015 22.

La citata normativa fiscale e previdenziale costituisce una preziosa occasione di rilancio indiretto dell’autonomia collettiva nella regolamentazione del lavoro agile. La segnalata convenienza economica per i datori privati potrebbe rimettere in gioco la contrattazione collettiva aziendale che non per caso aveva anticipato la sperimen-tazione di modalità di lavoro agile con contenuti che in larga parte hanno trovato riscontro nella traduzione normativa al punto che le riflessioni dottrinali più interes-santi prendono le mosse dalla regolazione collettiva e si interrogano sul rapporto tra legge-contrattazione collettiva.

Diversa pare la situazione del lavoro pubblico privatizzato dato che, post-ri-forma Madia, si condivide la tesi della necessità della contrattazione collettiva, an-che decentrata; seppur ritenendo che l’obiettivo del 10% di lavoro agile in tre anni di cui all’art. 14, comma 1, legge n. 124/2015, possa essere perseguito pure con la regolamentazione provvisoria 23.

Nell’ipotesi di CCNL 23 dicembre 2017 del personale del comparto Funzioni cen-trali (triennio 2016-2018), si prevede che l’elaborazione delle strategie sul lavoro agi-le al fine di formulare proposte all’amministrazione o alle parti negoziali della con-trattazione integrativa spetti al nuovo «organismo paritetico per l’innovazione» (di cui all’art. 6). La costituzione di questo nuovo organismo, sia pure nella diversità del-le fonti, presenta una forte sovrapposizione con le competenze dell’orami tradizionale «Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, il contrasto alle discriminazioni e la valorizzazione del benessere di chi lavora» (CUG), previsto all’interno di ciascu-na Pubblica Amministrazione dall’art. 57, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 (come modi-ficato dall’art. 21, legge n. 183/2010). Tale sovrapposizione riguarda non solo la com-posizione, ma pure i compiti propositivi del CUG sulle politiche di conciliazione vita professionale-vita privata e sulle azioni atte a favorire condizioni di benessere lavora-tivo, quindi riguarda in modo particolare il lavoro agile.

A conti fatti, l’accordo di secondo livello (aziendale o integrativo), per la sua vi-cinanza alle realtà da regolare, potrebbe dare una mano (nel lavoro privato o pub-blico) a trovare i giusti pesi e contrappesi per evitare che la bandiera della concilia-zione e del benessere nasconda un’operazione ‘cosmetica’ che trasforma il lavoro ‘a distanza’ in un mero lavoro ‘senza stanza’ e ‘senza orario’.

In conclusione, a mio parere nel futuro del lavoro agile dell’era digitale c’è uno spazio importante per uno strumento dell’era analogica: la contrattazione collettiva decentrata.

22 Nell’iter legislativo infatti, è stato stralciato l’apposito comma che rinviava ai contratti collettivi ex art. 51, D.Lgs. n. 81/2015.

23 Così ZILLI, Il lavoro agile nella pubblica amministrazione “4.0”, cit.

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 129

L’ATTUALITÀ

GLI STRUMENTI DI INCLUSIONE SOCIALE DI DISABILI E SVANTAGGIATI: DAGLI AFFIDAMENTI “PREFERENZIALI” TRAMITE CONVENZIONI

AGLI APPALTI “RISERVATI”

VALENTINA PASQUARELLA

Sommario: 1. Premessa. – 2. La “vocazione sociale” degli appalti pubblici: le sollecitazioni provenienti dall’Europa. – 3. Le policy di inclusione sociale nel quadro normativo nazionale: dal modello degli af-fidamenti in deroga ex art. 5, legge n. 381/1991 ... – 4. Segue: ... agli appalti riservati nel “vecchio” e nel “nuovo” Codice dei contratti pubblici.

1. Premessa

Il D.Lgs. n. 50/2016, recante il “nuovo” Codice dei contratti pubblici 1, all’art. 112, riprende, rivedendola, la disciplina in materia di appalti e concessioni riservati, contenuta nell’ormai abrogato D.Lgs. n. 163/2006 (art. 52), confermando un utile strumento che la pubblica amministrazione può utilizzare per promuovere l’inse-rimento nel mercato del lavoro di disabili e di persone svantaggiate. La possibilità

1 Il D.Lgs. n. 50/2016 è stato modificato e integrato, prima, dal D.Lgs. n. 56/2017, adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8, legge n. 11/2016 e, successivamente, dal D.L. n. 50/2017, conv. in legge n. 96/2017. Sul “nuovo” Codice dei contratti pubblici, cfr. i contributi pubblicati in GAROFALO D. (a cura di), Appalti e lavoro. Volume I – Disciplina pubblicistica, Giappichelli, Torino, 2017, Tomi I-II, in cor-so di stampa; cfr. anche MASTRAGOSTINO (a cura di), Diritto dei contratti pubblici, Giappichelli, Torino, 2017; GARELLA, MARIANI, Il Codice dei contratti pubblici. Commento al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, Giappichelli, Torino, 2016; CARINGELLA-MANTINI-GIUSTINIANI (diretto da), Il nuovo diritto dei contratti pubblici. Commento organico al d.lgs. 50/2016, Dike Giuridica editrice, 2016. TORCHIA, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in GDA, 2016, 5, 605, 611, evi-denzia come il nuovo Codice, quale «prodotto di un’operazione di recepimento lunga e molto articola-ta», sia per i tempi impiegati, sia per il numero dei soggetti coinvolti nei procedimenti di consultazione in sede parlamentare e governativa, contenga molte novità importanti e sia destinato a diventare effetti-vamente «un Codice nuovo, e cioè uno strumento di innovazione e di modernizzazione». Analogamen-te, CHITI, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in GDA, 2016, 4, 436, sot-tolinea che, «malgrado una legge delega ipertrofica», il quadro delle fonti normative risulta particolar-mente «innovato» dal nuovo Codice, mediante lo «snellimento della disciplina legislativa», «l’elimi-nazione del regolamento di esecuzione» (del 2010) e soprattutto attraverso «un sistema originale di norme secondarie incentrato sulle “linee guida”».

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di attivare questi appalti “a causa mista”, la cui finalità, quindi, non sia solo l’acqui-sizione della prestazione del bene, servizio o lavoro, ma anche la possibilità di favo-rire l’inserimento socio-lavorativo di soggetti meritevoli di particolare tutela, risulta coerente con il criterio di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), della legge delega n. 11/2016, che propugna la «previsione di specifiche tecniche», sia «nei criteri di ag-giudicazione di un appalto», sia «nelle condizioni di esecuzione» dell’appalto me-desimo, sia «nei criteri per la scelta delle tecnologie dell’informazione e della co-municazione», tali da garantire «l’accessibilità» dei soggetti portatori di disabilità, in conformità agli standard europei.

Al pari del “vecchio” Codice degli appalti (D.Lgs. n. 163/2006), anche il “nuo-vo” Codice è di derivazione europea; in particolare, l’art. 112, D.Lgs. n. 50/2016 recepisce l’art. 20, dir. 2014/24/UE, l’art. 38, dir. 2014/25/UE, l’art. 24, dir. 2014/ 23/UE 2.

Ed è proprio dalla normativa sovranazionale che occorre partire per comprende-re quanto siano stati rilevanti, in questa materia, gli input lanciati dall’Europa, sin dalla fine degli anni ’90 e quanto abbiano influito sulla regolamentazione nazionale, che nel corso degli anni ha promosso policy diversificate di inclusione sociale rivol-te a disabili e svantaggiati.

A tal proposito, non si possono non menzionare i due modelli paradigmatici di in-clusione promossi rispettivamente dalla legge n. 381/1991 e dalla legge n. 68/1999.

La prima legge, nell’istituzionalizzare il profilo della cooperazione nell’ambito del sociale, ha inteso promuovere, attraverso una particolare tipologia di cooperati-ve [quelle c.d. di tipo b)], che operano attraverso «lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali, di servizi, la finalità dell’«inserimento lavorati-vo di persone svantaggiate»: esse hanno la possibilità di svolgere attività lavorativa retribuita e, compatibilmente con il proprio stato soggettivo, di essere soci ordinari delle cooperative sociali di tipo b), purché costituiscano almeno il 30% rispetto al complesso dei lavoratori della compagine mutualistica (art. 4, comma 2) 3. Di recen-

2 La dir. 2014/24/UE, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, abroga la precedente dir. 2004/18/CE; la dir. 2014/25/UE, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, abroga la precedente dir. 2004/17/CE; la dir. 2014/23/UE, del 26 febbraio 2014, disciplina l’aggiudicazione dei contratti di concessione. CHITI, Il sistema delle fonti ..., 439, evidenzia la «specifica matrice comunitaria» del diritto dei contratti pub-blici, affermando che, anche in seguito all’attuazione delle tre direttive del 2014, «la disciplina primaria della materia rimane basata su tali direttive e (...) [sul] rispetto dei principi generali del diritto UE, in una scala sostanzialmente gerarchica di fonti contraddistinta dalla primazia del diritto dell’Unione sul diritto nazionale»; quindi, «anche a fronte di disposizioni nazionali puntuali e in apparenza “finali”», bisognerà sempre verificarne la compatibilità con le tre Direttive del 2014.

3 La legge individua i destinatari dell’inserimento lavorativo attraverso un’elencazione parziale, in-tegrabile con l’aggiunta di ulteriori categorie determinate con d.p.c.m., al termine di un articolato un procedimento che vede coinvolti, da un lato, alcuni Ministeri e, da un altro, la Commissione Centrale per le cooperative (art. 4, comma 1, legge n. 381/1991). Quanto ai soggetti che l’art. 4, comma 1, legge  

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 131

te, poi, il legislatore ha attribuito all’altra tipologia di cooperative [quelle c.d. di tipo a)] un importate ruolo di supporto, affidando loro la gestione di «servizi finalizzati all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro» di lavoratori molto svan-taggiati (ex art. 2, n. 99), reg. UE n. 651/2014) e di persone svantaggiate o con disa-bilità (ex art. 112, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016), nonché di persone beneficiarie di protezione internazionale (ex D.Lgs. n. 251/2007) e persone senza fissa dimora, le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia 4.

Dunque, un importante strumento di «politica occupazionale attiva» diretto a so-stenere l’«integrazione e [la] promozione effettiva della persona», attraverso l’attività lavorativa prestata nell’ambito della cooperativa sociale: così, per un verso, il lavoro diviene strumento funzionale «al superamento della (...) situazione di svantaggio» del soggetto 5; per un altro, l’inserimento lavorativo costituisce un requisito «indefettibile e caratterizzante dell’agire [delle cooperative] (...), fino a giungere a sovrapporsi, al-meno parzialmente con l’obiettivo sociale della loro attività» 6. Una misura, questa, che risulta «per la persona interessata, di gran lunga più efficace e, per la società, eco-nomicamente più conveniente di ogni forma di mera assistenza» 7.

Ma il legislatore ha affrontato il tema dell’inserimento lavorativo dei disabili an-che attraverso le disposizioni in materia di governo del mercato del lavoro e, in par-ticolare, con quella parte della normativa sul c.d. collocamento obbligatorio emana-ta alla fine degli anni ’60 (legge n. 482/1968), successivamente rimaneggiata e con-fluita nella legge n. 68/1999. Quest’ultima normativa segna una vera e propria tran-sizione dal rigido garantismo della legge previgente, alla ricerca del «posto adatto confacente alla capacità globale residua» 8 del lavoratore disabile, nonché dall’«ap-proccio afflittivo-sanzionatorio», all’«approccio premiale» nei confronti dei datori

n. 381/1991, include nella categoria dei soggetti svantaggiati, si tratta di: invalidi fisici, psichici e sen-soriali, ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, soggetti in trattamento psichiatrico, tossico-dipendenti, alcolisti, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, persone detenute o in-ternate negli istituti penitenziari, condannati e internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno (ex art. 21, legge n. 354/1975 s.m.i.).

4 Cfr. artt. 2, comma 1, lett. p) e comma 4, lett. a) e b), D.Lgs. n. 112/2017 (sulla revisione della di-sciplina in materia di impresa sociale). Le cooperative di tipo a), originariamente, avevano per oggetto soltanto «la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi» (art. 1, comma 1, legge n. 381/1991). Que-st’ultima norma è stata integrata, di recente, dall’art. 17, D.Lgs. n. 112/2017, attraverso il riferimento a diverse attività «di interesse generale» che possono essere svolte dalle cooperative di tipo a): si tratta delle attività elencate dall’art. 2, comma 1, lett. a), b), c), d), l) e p) del medesimo decreto.

5 DONDI, Sul lavoro nelle cooperative sociali, in RGL, 1999, I, 564 e 566. 6 Cfr. BALDUCCI, Il lavoro e il terzo settore, in GAROFALO D.-RICCI M. (a cura di), Percorsi di dirit-

to del lavoro, Bari, 2006, 584. 7 GAROFALO M.G., Legislazione e contrattazione collettiva nel 1991, in DLRI, 1992, 389. 8 Così DE LUCA, Norme per il diritto al lavoro dei disabili (legge n. 12 marzo 1999, n. 68), in FI,

2000, V, 293.

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132 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

di lavoro obbligati ad assumere questi lavoratori, atteso che «il disabile non è più considerato soggetto improduttivo, ma lavoratore a tutti gli effetti, se destinatario di un corretto inserimento» 9. Così, per promuovere l’integrazione sociale dei disabili e il pieno sviluppo della loro persona, il legislatore mira a favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro, attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato, nell’ot-tica di valorizzarne le abilità residue e la professionalità e considerarli una vera e propria risorsa per l’azienda, in grado di apportare un valore aggiunto pari a quello degli altri dipendenti. Un modello, questo, che strutturalmente ha resistito anche agli ultimi interventi di riforma 10, attraverso i quali il legislatore, nell’ottica di ra-zionalizzare e revisionare procedure e adempimenti in materia 11, e attraverso un metodo combinato tra intervento diretto e delegificazione 12, ha sottoposto la legge n. 68/1999 ad una significativa operazione di restyling 13.

È evidente che i modelli brevemente richiamati siano diversi, per natura – imposi-tivo, quello ex legge n. 68/1999, volontario e fondato su incentivi, quello ex legge n. 381/1991, – e per sfera soggettiva di applicazione, in quanto, mentre quest’ultima normativa «mostra aggiornata sensibilità nel cogliere le dimensioni dell’handicap (fi-sico e sociale) nell’accesso al mercato del lavoro» 14, includendo tra i beneficiari tutte quelle categorie per le quali risulta effettivamente più arduo l’inserimento lavorativo; invece, la legge n. 68/1991, nell’individuare i disabili quali destinatari dell’avvia-mento (coattivo) al lavoro, delimita l’ambito della tutela ai portatori di handicap psi-cofisico e, quindi, alle sole persone che presentano specifiche minorazioni (infra) 15.

9 In tal senso, cfr. GAROFALO D., Disabili (lavoro dei), in DDPcomm., Vol. V, Aggior., Appendice, Torino, 2009, 762 s.

10 Ci si riferisce al D.Lgs. n. 151/2015 (artt. 1-13) e al successivo D.Lgs. n. 185/2016 (art. 5, com-ma 1).

11 Cfr. art. 1, comma 4, lett. g) e aa), legge n. 183/2014. 12 A parte alcune modifiche apportate alla legge n. 68/1999, il legislatore, per ragioni connesse ai

tempi di attuazione della delega, sceglie di non attuare interventi radicali sull’impianto legislativo, rin-viando a successivi decreti del Ministero del lavoro la definizione di linee guida ad hoc in materia di collocamento mirato, nel rispetto di una serie di principi che provvede a fissare (art. 1, comma 1, lett. a)-f)), D.Lgs. n. 151/2015). GAROFALO D., Jobs act e disabili, in RDSS, 2016, 1, 95 parla di una «sorta di subappalto regolativo».

13 GAROFALO D., Jobs act ..., 89 s., sottolinea il duplice ambito di intervento della riforma, che toc-cando la sfera delle competenze, nonché la disciplina dell’avviamento al lavoro, mira a garantire un funzionamento più efficiente del sistema del collocamento mirato e a «fornire una qualche risposta» alla pronuncia di condanna inflitta, nel 2013, all’Italia dalla CGUE, sez. IV., 4 luglio 2013, causa C-312/11, in RIDL, 2013, 4, II, 922 (con note di CINELLI e di LUGHEZZANI). GRAGNOLI, Il collocamento obbligatorio e le politiche attive, in RGL, 2016, I, 534, parla di un legislatore «attento a modificare molti aspetti della legge n. 68/1999, ma conservatore a proposito della sua struttura».

14 DONDI, Sul lavoro ..., 567. 15 A parte l’eccezione di cui all’art. 18, comma 2, – prevista in via transitoria fino all’emanazione di

 

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 133

A questi modelli di inclusione a favore di diverse categorie di soggetti “deboli” (disabili e/o svantaggiati) si sono affiancati peculiari strumenti legislativi diretti a favorire il perseguimento della finalità inclusiva attraverso una deroga alle condi-zioni normali di concorrenza, in favore di soggetti, tra cui le cooperative sociali «che vocazionalmente impiegano manodopera svantaggiata» 16: ci si riferisce, per un ver-so, alle convenzioni ex art. 5, legge n. 381/1991, e per un altro, al regime dei c.d. appalti riservati.

L’analisi si soffermerà proprio su due questi strumenti così diversi quanto a pre-supposti, ambiti applicativi e fattispecie oggetto di regolazione, eppure, come ha recentemente evidenziato l’Autorità nazionale anticorruzione 17 recependo le indica-zioni della giurisprudenza amministrativa, così affini nella loro «identica natura ec-cezionale (e derogatoria rispetto alla disciplina comune)» e nella ratio ispiratrice, ossia il perseguimento di finalità di utilità sociale 18.

2. La “vocazione sociale” degli appalti pubblici: le sollecitazioni prove-nienti dall’Europa

È indubbio che la valorizzazione della dimensione sociale degli appalti pubblici sia diventata un obiettivo rilevante in ambito europeo 19, tant’è che la normativa, prima orientata a disciplinare gli appalti per regolare la concorrenza e la paritaria partecipazione delle imprese europee al mercato, in linea con i successivi indirizzi della Commissione europea, ha poi puntato a realizzare una graduale integrazione dei criteri sociali nella regolamentazione degli appalti pubblici 20.

una disciplina ad hoc – riguardante profughi, nonché orfani e coniugi di caduti in guerra, per servizio o sul lavoro.

16 SLATAPER, Le convenzioni con le cooperative sociali per favorire l’inserimento dei soggetti svan-taggiati, in MISCIONE-RICCI M. (a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro, Titoli I e II, Artt. 1-19, in CARINCI F. (diretto da), Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Tomo I, Milano, 2004, 297, 304.

17 D’ora in poi: ANAC, cui com’è noto, sono state trasferite le competenze in materia di vigilanza dei contratti pubblici, in seguito alla soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ad opera della legge n. 114/2014.

18 Così delibera ANAC 20 gennaio 2016, n. 32 – Determinazione Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali.

19 Per un’analisi della normativa comunitaria in tema di appalti pubblici e promozione dello svan-taggio, cfr. LEONE, Appalti pubblici e soggetti svantaggiati nel dialogo fra le istituzioni comunitarie, in GAROFALO D. (a cura di), Appalti e lavoro ..., in corso di stampa.

20 Sul tema delle clausole sociali negli appalti alla luce del diritto europeo, cfr. da ultimo MELI, Appalti e clausole sociali nel diritto europeo, in Garofalo D. (a cura di), Appalti e lavoro ..., in corso di stampa.

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134 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Tale finalità, già messa in luce nel Libro Verde alla fine degli anni ‘90 21, viene ribadita, in un primo momento, mediante strumenti di soft law. Ci si riferisce, in particolare, a due Comunicazioni (del 1998 e del 2001) 22, attraverso le quali la Commissione ha inteso sottolineare la rilevanza «primordiale» della politica sociale nell’azione comunitaria, in virtù del progressivo ridimensionamento della prospetti-va secondo cui «l’interesse economico in materia di appalti rappresentava l’obietti-vo primario ed assoluto, da perseguire e realizzare», sebbene si trattasse ancora di timide aperture, in quanto le clausole sociali erano «ammesse, in una posizione di subordinazione, nella misura in cui non produc[essero] effetti distorsivi e limitativi del mercato» 23.

In tale prospettiva, l’obiettivo di favorire la tutela di determinati soggetti svan-taggiati è perseguito attraverso misure differenziate. Infatti, nella prima Comunica-zione, si promuovono idonee «azioni positive» mirate alla «costituzione di un mer-cato ristretto» a favore di soggetti che assumono persone con disabilità e che ragio-nevolmente si troverebbero in difficoltà a «sostenere la concorrenza di imprese commerciali classiche», con un regolare livello di produttività 24; mentre, nel secon-do documento, si riconosce la possibilità di applicare criteri e/o clausole contrattuali in materia sociale sia nella fase della selezione dei candidati o offerenti 25, sia in quella dell’esecuzione dell’appalto 26.

21 Si tratta del Libro Verde «Gli appalti pubblici nell’Unione europea: spunti di riflessione per il fu-turo», COM(1996) 583 def., 27 novembre 1996.

22 Cfr. Comunicazione della Commissione dell’11 marzo 1998 [COM(1998) 143 def.] su «Gli ap-palti pubblici nell’Unione europea» e Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2001 [COM (2001) 566 def.] su «Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare aspetti sociali negli appalti pubblici».

23 Così ALBERTI, Tutela ambientale, politica sociale e appalti: verso uno sviluppo sostenibile del Mercato unico. Primi interventi interpretativi della Commissione Ce, in RTA, 2002, 1, 181.

24 Cfr. il par. 4.4. della Comunicazione della Commissione dell’11 marzo 1998 [COM(1998) 143 def.] su «Gli appalti pubblici nell’Unione europea».

25 Cfr. punti 1.3. e 1.4.2. della Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2001 [COM(2001) 566 def.], cit., in cui, ai fini dell’accertamento dell’idoneità di offerenti o candidati (a partecipare ad appalti o a presentare offerte), in aggiunta ai criteri di selezione qualitativa, tassativamente e imperati-vamente, fissati dalle direttive (attinenti alla capacità tecnica, economica e finanziaria), si riconosce alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di applicare un criterio ulteriore di natura sociale e di ma-trice giurisprudenziale, ossia il c.d. «criterio addizionale». Cfr., a tal proposito, causa Beentjes, Cgce, 20 settembre 1988, C-31/87, in Racc., 1988, 4652, in cui il criterio addizionale riguardava l’impiego di disoccupati di lunga durata. Nello stesso senso, cfr. CGCE, 26 settembre 2000, C-225/98.

26 Tra le clausole o condizioni supplementari per l’esecuzione dell’appalto che l’amministrazione aggiudicatrice potrebbe imporre al titolare del contratto, consentendole così di prendere in considera-zione aspetti sociali, rientrerebbe, per esempio, «l’obbligo di assumere (...) un numero di disabili supe-riore a quello stabilito dalla legislazione nazionale dello Stato membro in cui ha luogo l’esecuzione del-l’appalto o di quello del titolare del contratto». Condizione di legittimità di tali clausole è che non solo  

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 135

Qualche anno più tardi, la valorizzazione della dimensione sociale degli appalti pubblici diventa un obiettivo vincolante per gli Stati membri, in quanto affidata a strumenti di hard law. Infatti, attraverso la dir. 2004/18/CE (e la direttiva gemella 2004/17/CE) 27, il legislatore comunitario accoglie le indicazioni della Commissione compendiate nelle Comunicazioni sopra richiamate, rivelando, sin dai consideran-do, l’intento di potenziamento di «questa sorta di “funzione sociale” della concor-renza» e, quindi, di «promozione della persona rispetto alle ferree e omologanti leggi del mercato» 28. Così, attraverso una previsione di cui è stata evidenziata l’in-dubbia bivalenza, in virtù della duplice finalità, sociale ed economica, di cui si fa promotrice, si punta, per un verso, a tutelare situazioni di svantaggio e, per un altro, a garantire la capacità concorrenziale di determinati soggetti 29. In particolare, dopo aver fatto riferimento ai «laboratori protetti» e ai «programmi di lavoro protetti», quali strumenti efficaci per «promuovere l’integrazione o la reintegrazione dei disa-bili nel mercato del lavoro», si prendono in considerazione le difficoltà cui potreb-bero andare incontro i suddetti laboratori ad operare in normali condizioni concor-renziali e ad aggiudicarsi degli appalti, e, a tal fine, si riconosce agli Stati membri l’opportunità di prevedere una doppia riserva: di «partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici» a favore di detti laboratori oppure di «esecuzio-ne degli appalti nel contesto di programmi di lavoro protetti» 30.

In attuazione di queste premesse, il legislatore comunitario, nell’intento di di-stinguere due ipotesi, l’una «generica» e l’altra «specifica» 31, per un verso, ricono-sce alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di «esigere condizioni partico-

esse siano rispettose del diritto comunitario, ma anche che siano prive di effetti discriminatori diretti e indiretti nei confronti di offerenti non nazionali: cfr. punto 1.6. della Comunicazione della Commissio-ne del 15 ottobre 2001 [COM(2001) 566 def.], cit.

27 Dir. 2004/18/CE, del 31 marzo 2004, «relativa al coordinamento delle procedure di aggiudica-zione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi» e dir. 2004/17/CE, del 31 marzo 2004, «che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forni-scono servizi di trasporto e servizi postali».

28 Cfr. PECCHIOLI, Art. 52. Appalti riservati, in FERRARI-MORBIDELLI (diretto da), Commentario al codice dei contratti pubblici, Milano, 2013, Vol. I, 764.

29 In questo senso LEONE, Appalti riservati, in PERFETTI (a cura di), Codice dei contrati pubblici commentato, Milano, 2013, 773, con riferimento al 28° Considerando, dir. 2004/18/CE, cit.

30 Cfr. il 28° considerando, dir. 2004/18/CE, cit. e il corrispondente 39° considerando, dir. 2004/17/ CE, cit. Cfr. anche il 33° considerando, dir. 2004/18/CE, cit. (e il corrispondente 44° considerando, dir. 2004/17/CE, cit.) secondo cui le condizioni di esecuzione di un appalto possono essere finalizzate an-che alla «promozione dell’occupazione delle persone con particolari difficoltà di inserimento»; quindi, in linea con la Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2011 [COM(2001) 566 def.], cit., tra gli obblighi applicabili rientrerebbe anche quello di «assumere un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale».

31 È questa la distinzione accolta da BARTOLI, L’introduzione delle clausole sociali negli appalti ri-servati, in amministrazioneincammino.luiss.it., 2010, 7.

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136 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

lari» nell’esecuzione dell’appalto, comprese quelle basate su «considerazioni sociali e ambientali», purché «compatibili con il diritto comunitario e (...) precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri» 32; per un altro, in linea con quanto anticipa-to nella Comunicazione del 2001 33, introduce per la prima volta la figura del c.d. appalto riservato 34. Si tratta di un regime particolare, che in attuazione dei principi esposti nelle premesse delle Direttive, risulta fondato su una duplice riserva operan-te sia sub specie di “riserva di partecipazione” alle procedure di aggiudicazione de-gli appalti pubblici, a favore dei laboratori protetti, sia sub specie di “riserva di ese-cuzione” di programmi di lavoro protetti, laddove «la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di disabili», impossibilitati, a causa «della natura o della gra-vità del loro handicap», ad «esercitare un’attività professionale in condizioni nor-mali».

È indubbio che il legislatore comunitario abbia inteso introdurre una disposizio-ne derogatoria rispetto ai tradizionali meccanismi di selezione della dinamica con-correnziale, al fine di favorire determinati soggetti giuridici e specifici programmi che promuovono l’integrazione o la reintegrazione dei disabili nel mercato del lavo-ro; è altrettanto evidente, però, che non viene fornita la strumentazione necessaria per rendere operativa questa deroga, considerato che i contorni degli istituti richia-mati («laboratori protetti» e «programmi di lavoro protetti») non sono affatto deli-neati nelle Direttive in esame. In effetti, tali istituti fanno la loro comparsa per la prima volta, a livello comunitario, nel 2001, in un altro documento, dove si prevede la possibilità degli Stati membri di riservare «taluni appalti a programmi per posti di lavoro protetti o laboratori protetti, di cui fa menzione il bando di gara», precisando che si tratta di programmi o laboratori caratterizzati dall’impiego di oltre la metà di soggetti portatori di handicap, i quali in ragione della natura o della gravità della menomazione «non possono esercitare un’attività professionale in condizioni nor-mali di lavoro e ai quali è offerta la sicurezza connessa a un contratto di lavoro o di apprendistato per la riqualificazione professionale» 35.

32 Cfr. art. 26, dir. 2004/18/CE, cit. e art. 38, dir. 2004/17/CE, cit. 33 Cfr. parte II della Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2001 [COM(2001) 566 def.],

cit.: con riferimento agli appalti pubblici che non sono oggetto delle direttive, si riconosce la libertà delle amministrazioni aggiudicatrici di «definire e applicare criteri sociali di selezione e di aggiudica-zione» anche attraverso la riserva degli appalti a favore di alcune categorie di soggetti, come i disabili (attraverso i c.d. «laboratori protetti») o i disoccupati, purché ciò avvenga in conformità alle norme e ai principi del Trattato CE.

34 Cfr. art. 19, dir. 2004/18/CE, cit. e art. 28, dir. 2004/17/CE, cit. 35 Cfr. Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al

coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, di servizi e di la-vori (COM(2000) 275 – C5-0367/2000 – 2000/0115(COD)), del 29 ottobre 2001 (spec. emendamento 36 – art. 15-bis (nuovo)). La motivazione alla base della proposta emendativa fa leva, da un lato, sul-l’importanza di prevedere una definizione adatta del concetto di “programma per posti di lavoro protet- 

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 137

Nel 2014, la regolamentazione degli appalti pubblici è stata oggetto di un rile-vante processo di riforma, in ragione dell’approvazione, a livello europeo, di tre nuove direttive in materia di appalti e concessioni pubblici: si tratta delle dir. 2014/24/UE, 2014/25/UE e 2014/23/UE 36, che confermano l’obiettivo della norma-tiva europea di valorizzare ulteriormente il ruolo delle imprese sociali che hanno come scopo l’integrazione o la reintegrazione sociale e professionale dei soggetti svantaggiati 37, in perfetta coerenza con i propositi manifestati dalla Commissione in una Comunicazione ad hoc del 2011 38. Ed è quanto si ricava sin dai preamboli delle Direttive, dove riemerge espressamente il connubio tra valenza sociale e valenza economica di alcune previsioni, in quanto, per un verso, si riconosce la rilevanza del ruolo che i «laboratori protetti» e le «altre imprese sociali» possono svolgere ai fini dell’«integrazione o reintegrazione sociale e professionale» delle persone disa-bili e dei soggetti svantaggiati («disoccupati, persone appartenenti a minoranze svan-taggiate o comunque a categorie socialmente emarginate»), per un altro, si ribadisce la possibilità degli Stati membri di attivare lo strumento della doppia riserva – in via alternativa – (di «partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o di determinati lotti di appalti» o di «esecuzione nel contesto di programmi di lavo-ro protetti»), per consentire a tali soggetti di operare in condizioni di concorrenza normali, altrimenti difficilmente raggiungibili 39.

In tale prospettiva, sempre nel preambolo delle direttive, la «promozione dell’in-tegrazione sociale di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili tra le persone incaricate dell’esecuzione dell’appalto» diventa non solo uno dei «criteri sostanziali» alla luce dei quali si possa effettuare la valutazione del rapporto quali-tà/prezzo di servizi e forniture, «evita[ndo] così il ricorso al sorteggio quale unico mezzo di aggiudicazione dell’appalto», ma anche una delle «misure» da inserire tra i «criteri di aggiudicazione» o tra le «condizioni di esecuzione dell’appalto» 40, co-

ti” e di “laboratori protetti”, al fine di «evitare eventuali abusi»; da un altro lato, sulla necessità di stabi-lire che «l’aggiudicazione di detti appalti, pur restando riservata ai “laboratori protetti”, sia aperta a tutti i laboratori protetti nell’intera Comunità e non diventi una variante di preferenze regionali o locali», in modo da garantire la «concorrenza comunitaria». A tal fine, occorre che essi siano aggiudicati in con-formità alle disposizioni della direttiva.

36 Cfr. sub nota 2. 37 In questo senso, cfr. Documento di analisi della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici,

adottato dal Consiglio Direttivo dell’Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compati-bilità ambientale (ITACA) nella seduta del 18 dicembre 2014, dalla Commissione Infrastrutture, Mobi-lità e Governo del Territorio nella seduta del 18 febbraio 2015, e approvato dalla Conferenza delle Re-gioni e delle Province autonome nella seduta del 19 febbraio 2015, in itaca.org.

38 Comunicazione della Commissione del 25 ottobre 2011 [COM(2011) 682 def.] su “Iniziativa per l’imprenditoria sociale. Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’eco-noma e dell’innovazione sociale”.

39 Cfr. il 36° considerando, dir. 2014/24/UE, nonché il 51° considerando, dir. 2014/25/UE. 40 Cfr. rispettivamente il 93° e il 99° considerando, dir. 2014/24/UE; il 98° e il 104° considerando,

 

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138 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

sicché la violazione degli obblighi sociali, tra cui quelli diretti a promuovere l’ac-cessibilità per le persone disabili, va interpretata come sintomo d’inaffidabilità del-l’operatore economico, a causa della discutibilità della sua integrità, e, dunque, mo-tivo di esclusione dall’aggiudicazione di un appalto pubblico, a prescindere dal pos-sesso della capacità tecnica ed economica per eseguirlo 41.

In attuazione di queste premesse, le disposizioni “gemelle” contenute nelle tre direttive ripropongono la disposizione in materia di appalti riservati, ma con alcune novità riguardo sia alla collocazione sistematica delle norme, sia al contenuto. In particolare, si riconosce agli Stati membri la possibilità di prevedere la riserva del «diritto di partecipazione alle procedure di appalto» a favore di «laboratori protetti» e di «operatori economici» che abbiano quale finalità principale l’«integrazione so-ciale e professionale» di soggetti disabili o svantaggiati oppure la riserva di esecu-zione «nel contesto di programmi di lavoro protetti», se almeno il 30 % dei lavora-tori (dei suddetti laboratori, operatori economici o programmi) sia composto da per-sone con disabilità o in condizione di svantaggio 42.

Per quanto riguarda gli aspetti innovativi sul piano della collocazione sistemati-ca delle norme in esame, c’è da rilevare che esse non sono più contenute nelle Se-zioni delle Direttive dedicate al «Regime particolare», bensì nelle «Disposizioni ge-nerali», a riprova del più ampio respiro attribuito ad esse dal legislatore europeo.

Quanto al contenuto, rispetto alle precedenti formulazioni normative che, quale presupposto per la riserva, prevedevano che la maggioranza – quindi il 50% e oltre – dei lavoratori interessati fosse composta di soggetti disabili, le norme vigenti ri-chiedono una percentuale inferiore (almeno il 30%); inoltre, se prima lo svantaggio era limitato alla sola disabilità, attualmente, invece, si assiste ad un ampliamento della categoria e, quindi, della platea dei beneficiari.

Dalla breve analisi condotta sulle fonti sovranazionali in materia di appalti pub-blici, emerge chiaramente come la questione dell’inclusione sociale delle persone disabili e dei soggetti svantaggiati sia da tempo presente nell’agenda del legislatore europeo, in perfetta sintonia con i principi enunciati e con le azioni messe in campo a livello internazionale. In tale ambito, infatti, la promozione dell’integrazione – soprattutto dei soggetti disabili – è stata perseguita, sin dagli anni ’70, attraverso la

dir. 2014/25/UE. Cfr. anche 66° considerando Direttiva 2014/23/UE. In particolare, il 99°, il 104° e il 66° considerando sopra richiamati precisano che nelle «specifiche tecniche le amministrazioni aggiudi-catrici possono prevedere requisiti di natura sociale che caratterizzano direttamente il prodotto o servi-zio in questione, quali l’accessibilità per persone con disabilità o la progettazione adeguata per tutti gli utenti».

41 Cfr. il 101° considerando, dir. 2014/24/UE; il 106° considerando, dir. 2014/25/UE; il 70° consi-derando dir. 2014/23/UE.

42 Cfr. gli artt. 20, dir. 2014/24/UE; 38, dir. 2014/25/UE; 24, Direttiva 2014/23/UE; a chiusura delle norme si prevede che l’avviso di indizione della gara deve far riferimento alla disciplina dettata dalle norme medesime.

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 139

combinazione di policy di inclusione sociale e strategie antidiscriminatorie, anche se solo con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità 43, si è realizzato un vero e proprio mutamento di «“paradigma” rispetto al tradizionale modo di intendere la disabilità», riconoscendo il soggetto disabile quale «soggetto ti-tolare di potenzialità, il cui apporto umano, sociale ed economico alla collettività può contribuire ad incrementare il senso di appartenenza generale alla stessa» 44.

Tale documento, «riconoscendo i preziosi contributi, esistenti e potenziali, ap-portati da persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle loro comunità» e considerando l’importanza di coinvolgere attivamente questi soggetti «nei processi decisionali inerenti alle politiche e ai programmi, inclusi quelli che li riguardano direttamente» (lett. m) e o) del Preambolo), mira a «pro-muovere, proteggere e assicurare» il loro «pieno ed eguale godimento di tutti i dirit-ti umani e di tutte le libertà fondamentali» e «il rispetto per la loro intrinseca digni-tà» (art. 1, comma 1), anche attraverso «la piena ed effettiva partecipazione e inclu-sione nella società». In particolare, per quanto concerne lavoro e occupazione, la Convenzione afferma il diritto all’opportunità di mantenersi attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato «in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità», con l’obiettivo di impedire qualsiasi forma di discriminazione sia nell’accesso al lavoro, sia nello svolgimento del rapporto e di garantire ai disabili l’esercizio dei propri di-ritti del lavoro e sindacali su base di eguaglianza con gli altri (art. 27).

3. Le policy di inclusione sociale nel quadro normativo nazionale: dal modello degli affidamenti in deroga ex art. 5, legge n. 381/1991 ...

Per quanto riguarda la normativa nazionale, come anticipato, la legge n. 381/1991, nell’ottica di creare ulteriori opportunità occupazionali per i soggetti svantaggiati attraverso il modello della cooperazione sociale e, quindi, in attuazione dell’art. 45 Cost., consente l’affidamento di appalti pubblici, a cooperative sociali di tipo b), anche in deroga alla disciplina generale sui contratti della pubblica amministrazio-ne, purché ricorrano determinate condizioni. In particolare, «nel quadro di una ge-

43 La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assem-blea Generale dell’ONU il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, è stata firmata dall’UE il 30 marzo 2007 ed è entrata in vigore il 22 gennaio 2011; essa è stata ratificata (unitamente al relativo Protocollo opzionale) e resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 18/2009, con cui è stato anche istituito l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (art. 3).

44 Così SIMONETTI, La Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, in I diritti dell’uomo, 2007, 4, 73.

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stione delegata dei servizi» 45, l’art. 5, comma 1, prevede che gli enti pubblici (com-presi quelli economici) e le società di capitali a partecipazione pubblica possano stipulare convenzioni con le cooperative sociali di tipo b), aventi ad oggetto la for-nitura di determinati beni e servizi (diversi da quelli socio-sanitari ed educativi) e finalizzate alla creazione di opportunità di lavoro per i soggetti svantaggiati di cui all’art. 4, derogando alla normativa di cui al Codice dei contratti pubblici, purché detti affidamenti siano di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.

Anche ad una lettura superficiale della norma, risaltano due profili di particolare interesse: il primo riguarda il “coinvolgimento” delle cooperative sociali e il secon-do attiene al ricorso alla convenzione, quale “strumento privilegiato” per l’inseri-mento lavorativo dei soggetti svantaggiati.

Quanto al primo profilo, occorre evidenziare come, nella norma, la considera-zione di aspetti sociali non avviene tramite il ricorso alle ordinarie procedure di ag-giudicazione, dalle quali, invece, ci si discosta in ragione dell’attenzione particolare riservata dal legislatore ad un particolare tipo di imprese sempre più coinvolte nei processi di esternalizzazione dei servizi alla persona messi in atto dalle amministra-zioni pubbliche (soprattutto locali), le quali reputano più opportuno e conveniente acquistare tali servizi, invece di produrli direttamente 46.

È stata proprio l’ANAC, a ribadire, di recente, l’importanza del terzo settore nel nostro Paese, dal punto di vista sia sociale, per la natura dei servizi resi, sia occupa-zionale, ritenendo che la scelta organizzativa cui sempre più frequentemente ricor-rono le pubbliche amministrazioni presenti il «vantaggio di promuovere un modello economico socialmente responsabile in grado di conciliare la crescita economica con il raggiungimento di specifici obiettivi sociali», quali, per esempio, l’incremen-to occupazionale e l’integrazione sociale 47.

Le cooperative sociali, quindi, da tempo rappresentano un prezioso strumento di inclusione sociale di soggetti deboli, in quanto, creando un ambiente che valorizza le potenzialità umane e relazionali di questi soggetti anche nello svolgimento del-l’attività lavorativa, li prepara ad affrontare meno traumaticamente il passaggio fu-turo ad un reale contesto aziendale in cui esercitare un ruolo attivo e funzionale al processo produttivo, sempre che queste particolari imprese sociali non diventino il canale abituale di reclutamento di soggetti in difficoltà con il conseguente rischio di «alimentare un mercato del lavoro separato» 48 e di realizzare «una sorta di “ghet-

45 Così BANO, Cooperative sociali, in DDPcomm., Aggiornamento, Utet, Torino, 2000, 229. 46 Secondo TAR Lombardia, Milano, sez. III, 2 dicembre 1996, n. 1734, in giustizia-amministra

tiva.it, la facoltà per l’amministrazione di avvalersi dell’istituto dell’affidamento diretto mediante con-venzione a cooperative sociali ex art. 5, legge n. 381/1991, si esercita sulla base di una valutazione complessiva che l’ente deve compiere in considerazione, soprattutto, del risultato sociale perseguito.

47 In questo senso, cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 3. 48 BORZAGA, Cooperazione sociale e inserimento lavorativo: il contributo dell’analisi economica,

in DLRI, 2006, 124.

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tizzazione” dei disabili» al loro interno, escludendoli dal «mercato del lavoro c.d. “ordinario”» 49.

Quanto, invece, al secondo profilo, come è noto, il legislatore ha fatto ricorso al-tre volte alle convenzioni, soprattutto nell’ambito del sistema del collocamento mi-rato costruito con la legge n. 68/1999, affidandosi così a questi strumenti di «flessi-bilità concordata» 50 per promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa dei disabili, attraverso «una gestione consensuale, anziché coercitiva, nell’avviamento al lavoro» 51 di questi soggetti, nonché un migliore adattamento tra le differenti si-tuazioni e condizioni di questi ultimi e le esigenze dell’organizzazione produttiva 52. Non a caso le convenzioni sono state definite una delle «parti più innovative e qua-lificanti della riforma del diritto al lavoro dei disabili» 53, in quanto nell’«ampio e duttile contenitore» 54 convenzionale sono concentrati gli elementi principali della transizione dal collocamento obbligatorio a quello mirato e, dunque, rappresentano la «chiave di lettura» del complessivo sistema di tutele delineato dalla legge 55.

Tornando alle modalità attuative dello strumento di cui all’art. 5, legge n. 381/ 1991, è evidente che, nell’introdurre lo specifico “regime di favor”, in alternativa alle ordinarie procedure di aggiudicazione, il legislatore si preoccupa di definirne l’ambito e la portata, attraverso la previsione di una serie di limiti soggettivi e og-gettivi 56.

49 DI STASI, Il diritto al lavoro dei disabili e le aspettative tradite del “collocamento mirato”, in ADL, 2013, 899.

50 BOZZAO, Il collocamento mirato e le relative convenzioni, in Cinelli, Sandulli (a cura di), Diritto al lavoro dei disabili. Commento alla legge n. 68 del 1999, Torino, 2000, 202.

51 CORBO, Le convenzioni per il diritto al lavoro dei disabili: natura, struttura, funzione e strumenti di tutela, in ADL, 2009, 386.

52 Sulle convenzioni ex artt. 11, 12 e 12-bis, legge n. 68/1999, alle quali si è aggiunto l’ulteriore modello regolato dall’art. 14, D.Lgs. n. 276/2003, si rinvia ampiamente a GAROFALO D., L’inserimento e l’integrazione lavorativa dei disabili tramite convenzione, in RDSS, 2010, 231 ss. e a CORBO, Le con-venzioni ..., 380 ss.

53 Cfr. Ministero del Lavoro, Seconda Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68, Roma, 2004, 22.

54 Così TULLINI, Il diritto al lavoro dei disabili: dall’assunzione obbligatoria al collocamento mira-to, in DML, 1999, 244.

55 In tal senso, CORBO, Le convenzioni ..., 380. 56 È stato necessario inserire tali limitazioni alla deroga, attraverso una modifica apportata alla nor-

ma originaria, dalla legge n. 52/1996 (art. 20), a seguito dell’avvio, da parte della Commissione euro-pea, di un procedimento di infrazione a carico dell’Italia per violazione dei principi comunitari concer-nenti la libera concorrenza e il mercato. Inoltre, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavo-ri, servizi e forniture, dopo aver condotto alcune indagini di settore sull’applicazione dell’art. 5, comma 1 e aver esperito una consultazione degli operatori e delle istituzioni coinvolte, ha ritenuto opportuno emanare delle linee guida per fornire alle stazioni appaltanti chiarimenti in ordine alle modalità di affi-damento delle convenzioni; così è stata emanata la determinazione n. 3 del 1° agosto 2012. Da ultimo,  

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Sotto il profilo soggettivo, i beneficiari delle convenzioni sono soltanto le coo-perative della seconda tipologia; di contro, quelle di tipo a) concorrono sul mercato con gli altri operatori economici in caso di affidamento mediante procedure ad evi-denza pubblica dei servizi socio-sanitari ed educativi, nonché delle altre «attività di interesse generale» introdotte dall’art. 17, D.Lgs. n. 112/2017 (supra).

Inoltre, deve essere rispettata la condizione della presenza delle persone svan-taggiate nella misura minima del 30%, percentuale che, secondo l’interpretazione avanzata dall’Anac alla luce delle finalità sociali della norma, va riferita sia al nu-mero complessivo dei lavoratori della cooperativa, sia a quello che esegue le singo-le prestazioni dedotte in convezione; diversamente si rischierebbe di perseguire sol-tanto parzialmente la finalità inclusiva dei soggetti svantaggiati, a fronte di una rile-vante compressione della concorrenza, violando così i canoni di adeguatezza e pro-porzionalità dell’azione amministrativa 57. Secondo questa interpretazione, dunque, l’affidamento sarà legittimo se i lavoratori svantaggiati rappresentino non solo il 30% dell’organico, ma anche il 30% degli esecutori della prestazione: a tal riguar-do, la stazione appaltante è tenuta a verificare l’impiego per singolo affidamento della percentuale indicata. L’obiettivo è che le cooperative, dalle commesse pubbli-che, possano ricavare i finanziamenti necessari per creare nuove opportunità di la-voro per i soggetti svantaggiati, purché, almeno il 30% di questi sia impiegato nel-l’esecuzione delle prestazioni oggetto della convenzione; al contrario, non sarebbe ammissibile che la cooperativa, destinataria di una commessa, non impiegasse alcun lavoratore svantaggiato nello specifico servizio oggetto dell’affidamento, ma utiliz-zasse le entrate provenienti dalla commessa per assumere un disabile (inidoneo allo svolgimento del suddetto servizio) nell’ambito di un servizio diverso 58.

D’altronde, già in passato l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di la-vori, servizi e forniture 59 ha avuto modo di evidenziare l’«immediata finalizzazione delle convenzioni (...) all’interesse generale di favorire l’inserimento nel mercato

l’ANAC, è nuovamente intervenuta a fornire indicazioni puntuali in merito a questi affidamenti, in quanto la prassi applicativa dell’art. 5 ha mostrato sensibili divergenze rispetto al modello indicato dal legislatore (soprattutto per quanto riguarda la mancata rotazione delle cooperative affidatarie; il ricorso alle convenzioni anche per l’affidamento di servizi diversi da quelli strumentali dell’amministrazione; ecc.): cfr. la delibera n. 32/2016, 21.

57 In questo senso, cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 25, 30, secondo cui il limite percentuale de-ve essere riferito come obiettivo del contratto; quindi, la cooperativa sociale non è tenuta a garantire una presenza puntuale di quel numero minimo di lavoratori svantaggiati, considerati i periodi di assenza dal lavoro necessari, in base alla condizione di svantaggio, per lo svolgimento di diverse attività di so-stegno. Risulta, quindi, opportuno indicare in sede di offerta eventuali esigenze dei lavoratori svantag-giati, in modo da agevolare le verifiche da parte della stazione appaltante.

58 Critico rispetto all’interpretazione dell’ANAC, OLIVIERI, Cooperative sociali, appalti difficili, in italiaoggi.it, 5 febbraio 2016, secondo il quale la legge intenderebbe favorire nuove opportunità lavora-tive non connesse allo specifico appalto, ma in generale.

59 D’ora in poi: AVCP.

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 143

del lavoro di soggetti a rischio di esclusione sociale», ritenendo, quindi, «coessen-ziale alla legittima applicazione della (...) normativa speciale» l’effettivo impiego di persone svantaggiate delle stesse cooperative convenzionate nella realizzazione dei servizi affidati dalle amministrazioni pubbliche, nel rispetto di un «progetto di inse-rimento negoziato» con le amministrazioni stesse 60.

Costituisce, poi, condizione soggettiva ex lege per beneficiare della deroga in esame e, quindi, per la successiva stipula della convenzione, che evidentemente rap-presenta la fonte delle obbligazioni delle parti, l’iscrizione della cooperativa all’albo regionale (di cui all’art. 9, legge n. 381/1991) 61; essa viene effettuata sulla base del possesso di una serie di requisiti attinenti alla capacità professionale ed economico-finanziaria della cooperativa e deve perdurare per l’intera durata dell’affidamento, sicché la cancellazione dall’albo si considera quale causa risolutiva della conven-zione 62.

Inoltre, secondo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, recepito dal-l’ANAC, la suddetta iscrizione prova l’«obiettiva qualità di cooperativa sociale» ai sensi della legge del 1991, ma non limita la «sua capacità operativa al solo ambito territoriale corrispondente alla regione nel cui albo essa è iscritta», in quanto tale «limitazione sarebbe contraria alla stessa logica della normativa, finalizzata alla di-sciplina di un fenomeno di rilievo nazionale» 63.

60 Così si è espressa l’AVCP nel parere 18 marzo 2009, n. 38 (PREC 247/08/S), con cui afferma la conformità alla normativa di settore del divieto di avvalimento dei requisiti tecnico-organizzativi (ser-vizi analoghi già svolti) di un altro soggetto imprenditoriale (anche se solo parziale); infatti, trattandosi di requisiti maturati con l’impiego di dipendenti dell’impresa ausiliaria, privi delle caratteristiche delle persone svantaggiate individuate dalla normativa di settore, risulterebbe falsata la selezione comparati-va, frustrando la finalità solidaristica sottesa alla disciplina, su cui si fonda la deroga alla disciplina or-dinaria degli appalti di servizi.

61 Secondo Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3445, in giustizia-amministrativa.it, l’obbligo di iscrizione all’albo non sussiste se il servizio assistenziale rientra tra quelli di cui alla tipologia a) del-l’art. 1, legge n. 381/1991.

62 Cfr. sul punto, parere AVCP 2 aprile 2009, n. 40 (PREC 248/08/S), nel quale si richiama Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2009, n. 558, in giustizia-amministrativa.it, che ha ritenuto legittima l’esclu-sione da un procedura per l’affidamento di un appalto di servizi sociali, di una cooperativa sociale che non abbia fornito indicazioni e prove circa l’effettiva iscrizione all’albo regionale delle cooperative so-ciali, tassativamente richiesto dalla normativa di gara, quale requisito minimo di partecipazione, rite-nendo, pertanto, non lesiva dei principi vigenti in materia la richiesta, da parte di una stazione appaltan-te, dell’iscrizione ad uno specifico Albo Regionale ai fini della partecipazione alla gara. Sul punto, cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 2009, n. 469, in giustizia-amministrativa.it. L’ANAC nella deli-bera n. 32/2016, cit., 25, ricorda anche che, laddove l’albo non sia stato istituito, le cooperative sociali devono comunque attestare il possesso dei requisiti previsti dalla legge (artt. 1 e 4, legge n. 381/1991).

63 Così ord. cautelare TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 24 aprile 2015, n. 530, che richiama Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2012, n. 540; Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 195, tutte in giustizia-amministrativa.it; TAR Marche, 14 maggio 1999, n. 565, in TAR, 1999, I, 2662. Cfr. anche delibera ANAC n. 32/2016, cit. 25. Più in generale, sulle limitazioni di carattere territoriale inserite nei bandi di  

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Occorre anche precisare che, nella logica di ampliare l’ambito dei beneficiari della deroga, oltre ai consorzi costituiti come società cooperative aventi la base so-ciale formata in misura non inferiore al 70% da cooperative sociali, ai quali, in real-tà, si applicano tutte le disposizioni della legge n. 381/1991, quest’ultima, in attua-zione del principio di non discriminazione affermato dal TUE, riconosce la possibi-lità di convenzionarsi con gli enti pubblici italiani anche ad analoghi operatori aventi sede in altri Stati membri dell’Unione europea, i quali dovranno essere in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti per l’iscrizione all’albo regionale e risultare iscritti in apposite liste regionali ovvero, in alternativa, saranno tenuti a dimostrare attraverso idonea documentazione il possesso dei requisiti stessi oppure la presenza del 30% di persone svantaggiate nella compagine sociale (art. 5, comma 2) 64.

Dal punto di vista oggettivo, invece, il “regime di favore” per le cooperative di tipo b) è ammesso in presenza di tre presupposti, la cui permanenza va verificata dalle stazioni appaltanti anche in fase di esecuzione 65.

In primis, gli affidamenti devono avere ad oggetto solo la fornitura di beni e ser-vizi strumentali diversi da quelli socio-sanitari, cioè svolti in favore della pubblica amministrazione e riconducibili ad esigenze strumentali della stessa; la giurispru-denza, infatti, trattandosi di una norma in deroga al principio di concorrenza, ne esclude un’interpretazione in senso estensivo, ritenendo che lo strumento conven-zionale non possa essere impiegato per contratti diversi da quelli specificamente in-dicati dal legislatore (per es., contratti aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori pub-blici o la gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica) 66.

In secondo luogo, detti affidamenti devono essere finalizzati a creare opportuni-tà di lavoro per le persone svantaggiate. Ciò significa che il modello convenzionale, alla luce delle particolari finalità sociali che, da un lato, caratterizzano (ma non

gara, l’AVCP ha avuto modo di pronunciarsi più volte (cfr. ex multis deliberazioni n. 45/2010, n. 43/2009, n. 245/2007, n. 314/2007, parere n. 83/2008), come ribadito dal comunicato del Presidente del-l’Autorità del 20 ottobre 2010.

64 Ai sensi dell’art. 5, comma 3, legge n. 381/1991, le regioni comunicano ogni anno (attraverso la pubblicazione in GUCE) i requisiti e le condizioni richieste ai fini della convenzione, nonché le liste degli organismi che ne abbiano dimostrato il possesso alle competenti autorità regionali.

65 Cfr. deliberazione AVCP 16 dicembre 2010, n. 83. 66 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2016, n. 4129; Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1863;

Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2010, n. 2829; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II. 6 luglio 2015, n. 637, tutte in giustizia-amministrativa.it. In senso conforme, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2013, n. 2342, in UA, 2013, 8-9, 927 ss. (con nota di DELLO SBARBA, Illegittimo l’affidamento diretto mediante convenzione a cooperative sociali, 929 ss.), attraverso la quale è stato apportato un rilevante contributo alla definizione di servizio pubblico. Cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 30 luglio 2004, n. 3729, in giusti-zia-amministrativa.it, secondo cui l’«idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una pla-tea indifferenziata di utenti» e il «conseguimento di fini sociali a favore della collettività dell’attività svolta» sono i tratti che caratterizzano il servizio pubblico rispetto alla fornitura di servizi, contemplata dall’art. 5, legge n. 381/1991, la quale è tesa a soddisfare esigenze dell’amministrazione pubblica.

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esauriscono) gli obiettivi della cooperativa che richiede il convenzionamento e, dall’altro, legittimano l’amministrazione, che condivide tali obiettivi, a ricorrere al regime in deroga, assume «natura bivalente, giacché presenta un oggetto “comples-so”, inclusivo tanto della fornitura di beni e servizi, quanto della creazione di nuove opportunità di lavoro per soggetti svantaggiati» 67.

In realtà, l’obiettivo sociale del reinserimento lavorativo (nonché il successivo monitoraggio qualitativo e quantitativo), che l’ente si propone di perseguire grazie alla scelta del fornitore di beni o servizi, non risulta disciplinato in modo chiaro dal-la legge n. 381/1991 68; è stata l’ANAC a chiarire che esso debba essere esplicita-mente indicato, già a monte, ossia nella determina a contrarre adottata dalla stazione appaltante 69. Ciò anche alla luce della facoltatività dell’utilizzo del modulo conven-zionale, ben potendo l’ente pubblico (o la società a partecipazione pubblica) soddi-sfare lo stesso interesse attraverso strumenti differenti, come per esempio, un ordi-nario affidamento di appalto pubblico secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che consideri criteri sociali. Trattandosi di una scelta discrezionale, infatti, essa deve essere «adeguatamente motivata in relazione alle ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano», nel rispetto del principio di adeguatezza che sostiene e indirizza l’azione amministrativa e che, sia in fase di programmazione, che nella convenzione, richiede l’esplicitazione delle esigenze sociali da realizzare, mentre, in sede di esecuzione della convenzione, impone la previsione di appositi controlli per verificare, oltre al rispetto degli standard indicati nell’offerta (condi-zione comune a tutti gli affidamenti di lavori, servizi e forniture) e al permanere delle condizioni di partecipazione (tra cui l’iscrizione all’albo), anche il soddisfaci-mento di dette esigenze 70.

67 Cfr. documento di consultazione dell’AVCP su Linee guida, cit., 6. 68 Nonostante la legge sia poco chiara in proposito, nella prassi si registra l’utilizzo di programmi di

reinserimento personalizzati per ciascun soggetto svantaggiato che presti servizio nell’ambito dell’ap-palto affidato con convenzione ai sensi dell’art. 5, legge n. 381/1991: così documento di consultazione dell’AVCP su Linee guida, cit., 8. Il documento evidenzia anche come i relativi percorsi dovrebbero, ove possibile, consentire ai soggetti interessati «di potersi collocare autonomamente nel mercato del lavoro».

69 Cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 26 s., che con riferimento alla determina a contrarre richia-ma l’art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006, oggi trasposto nell’art. 32, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016. Nelle stessa delibera, l’ANAC evidenzia anche la necessità di contemperare la finalità del reinserimento lavorativo con il principio della ragionevole durata dell’affidamento; a tal fine, le amministrazioni sono tenute a definire adeguatamente la durata delle convezioni in considerazione dell’oggetto delle stesse, affinché non risulti di fatto preclusa ad altre cooperative la possibilità di promuovere i propri progetti di inserimento (di regola, sono preclusi gli istituti della proroga e del rinnovo tacito, anche se potenzial-mente giustificabili da esigenze di natura sociale). A tal riguardo, il D.Lgs. n. 50/2016, in attuazione di quanto previsto dall’art. 77, comma 3, dir. 2014/24/UE, stabilisce che per gli appalti di servizi sociali, la durata massima del contratto non superi i tre anni (art. 143, comma 3).

70 Cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., pp. 28, 30 e determinazione AVCP n. 3/2012, cit., p. 8 s. Se- 

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D’altro canto, come ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza amministrativa, il ricorso allo strumento convenzionale non si deve tradurre in «una completa dero-ga al generale obbligo di confronto concorrenziale», poiché l’impiego di risorse pubbliche impone «il rispetto dei principi generali della trasparenza e della par condicio» 71. Alla luce di tale orientamento, che il legislatore ha inteso recepire, l’art. 5, comma 1, è stato integrato con un nuovo periodo, che impone espressamen-te il preventivo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispet-to dei suddetti principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza 72.

Secondo l’ANAC l’unico criterio di selezione delle offerte compatibile con l’og-getto degli affidamenti a cooperative sociali di tipo b) è quello dell’offerta econo-micamente più vantaggiosa 73, in quanto consentendo di attribuire rilievo a elementi oggettivi, legati alla realizzazione di particolari obiettivi di valenza non economica, permette alla stazione appaltante di valutare l’effettivo perseguimento della finalità di reinserimento dei lavoratori, in linea con le recenti disposizioni europee (e con le rispettive norme nazionali di recepimento), secondo cui risulta «possibile valutare il rapporto qualità/prezzo sulla base di fattori diversi dal solo prezzo o dalla sola re-munerazione» e comprendenti, invece, «aspetti ambientali o sociali» 74.

L’ultimo requisito oggettivo consiste nella fissazione di un tetto al valore degli affidamenti in deroga; infatti, il legislatore precisa che il ricorso al modello conven-zionale è ammissibile per la fornitura di beni e servizi il cui importo stimato (al net-to di Iva) sia inferiore alle soglie comunitarie 75. L’ANAC ha precisato che il valore

condo tali documenti l’esito negativo della verifica sulla persistenza della condizione dell’iscrizione al-l’albo determina la risoluzione della convenzione e dei contratti conseguentemente stipulati, nonché la comunicazione all’albo ai fini della cancellazione. Analogamente si deve procedere alla risoluzione del contratto qualora la stazione appaltante accerti il mancato rispetto degli obblighi di reinserimento lavo-rativo dei lavoratori svantaggiati.

71 Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 9 dicembre 2008, n. 11093; TAR Liguria, Genova, sez. I, 27 giugno 2006, n. 695, entrambe in giustizia-amministrativa.it. Tale orientamento è stato ripreso dalla determinazione AVCP n. 3/2012, cit., p. 7.

72 La modifica è stata introdotta con l’art. 1, comma 610, legge n. 190/2014. Secondo la delibera ANAC n. 32/2016, cit., p. 29, in assenza di previsioni alternative circa la procedura di affidamento da utilizzare, la materia deve essere disciplinata secondo i principi contenuti nel Codice dei contratti pub-blici, tenendo conto della natura degli affidamenti.

73 Secondo LACAVA, I criteri di aggiudicazione, in GDA, 2016, 4, 459, tra le novità principali del nuovo Codice, vi è la «netta preferenza» del legislatore per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che diventa la regola, mentre il criterio del prezzo più basso, diventa l’eccezione. Inoltre, «la ricchezza e la varietà dei criteri indicati in base ai quali è valutata l’offerta conferma (...) la centrali-tà dei temi ambientali e sociali nella disciplina degli appalti pubblici».

74 Cfr. il 93° considerando, dir. 2014/24/UE e l’art. 95, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016. Sul punto, cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 29, che richiama le indicazioni già fornite dall’AVCP con la determi-nazione 24 novembre 2011, n. 7, ai fini del corretto utilizzo del suddetto criterio.

75 Cfr. sul punto, parere AVCP 12 settembre 2012, n. 147 (PREC/12/S), che richiama TAR Lom- 

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 147

di tali affidamenti va calcolato in conformità alle disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici, includendo, quindi, il valore di eventuali rinnovi, da prevede-re espressamente già al momento di indizione della procedura di scelta del con-traente 76.

Per gli affidamenti di importo superiore alle soglie comunitarie, pur sussistendo «l’interesse pubblico ad agevolare il reinserimento lavorativo di soggetti svantag-giati», le stazioni appaltanti «non possono prevedere “affidamenti preferenziali”» per le cooperative di tipo b), ma sono tenute a rispettare le disposizioni del Codice dei Contratti, che com’è noto, consentono il soddisfacimento di esigenze sociali o medianti gli appalti riservati (infra) o per mezzo dell’inserimento nei bandi di criteri di selezioni premianti riguardanti l’impiego di lavoratori svantaggiati ovvero attra-verso la previsione di specifiche clausole di esecuzione. A tal proposito, è sempre l’art. 5, legge n. 381/1991 che prevede, per la fornitura di beni o servizi diversi da quelli socio sanitari ed educativi, di valore pari o superiore alle soglie comunitarie, la possibilità di inserire nei bandi di gara e nei capitolati d’oneri, fra le condizioni di esecuzione, quella di eseguire il contratto attraverso «l’impiego di persone svantag-giate» e quella di adottare «specifici programmi di recupero e di reinserimento lavo-rativo» (comma 4). In sostanza, in questa tipologia di affidamenti, la finalità dell’in-serimento lavorativo dei soggetti svantaggiati non si realizza mediante una deroga alle regole della concorrenza, bensì attraverso la previsione di specifiche clausole contrattuali – rivolte a qualunque soggetto partecipante – che diano rilievo ad aspet-ti sociali 77.

bardia, Brescia, sez. I, 30 marzo 2009, n. 719, in giustizia-amministrativa.it, nella quale il giudice am-ministrativo ha evidenziato che l’art. 5, legge n. 381/1991 può trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui l’ente pubblico debba acquisire beni e servizi in proprio favore e non anche affidare a soggetti di-versi lo svolgimento di servizi destinati a terzi. In senso conforme, cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 6 otto-bre 2011, n. 1466, in giustizia-amministrativa.it.

76 Cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit. 27, che fa riferimento all’art. 29, D.Lgs. n. 163/2006; tale ri-chiamo deve intendersi riferito all’art. 35, D.Lgs. n. 50/2016. La delibera precisa che, nel rispetto di quanto previsto dal Codice dei contratti pubblici (art. 29, comma 4, D.Lgs. n. 163/2006, richiamo at-tualmente riferibile all’art. 35, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016), non rientrano nell’ambito della deroga «gli affidamenti diretti effettuati da una stazione appaltante ad un medesimo soggetto per gli stessi ser-vizi (o sostanzialmente equivalenti), di durata limitata, ma ripetuti nel tempo, che singolarmente non raggiungono le soglie di fatturato comunitarie, mentre le superano se considerati nel loro complesso». Inoltre, occorre valutare di volta in volta la possibilità di far rientrare nell’ambito della deroga affida-menti di servizi analoghi a più cooperative sociali. Infatti, astrattamente si potrebbe «realizzare un’uni-ca gara che, anche laddove fosse suddivisa in lotti, supererebbe le soglie per l’esenzione. La scelta di ricorrere a più procedure distinte deve essere adeguatamente motivata dalla stazione appaltante, al fine della massima valorizzazione dell’obiettivo del reinserimento lavorativo».

77 Secondo la determinazione AVCP n. 3/2012, cit., p. 9, spetta alle stazioni appaltanti «vigilare sul rispetto del singolo programma di lavoro» correlato a ciascun inserimento lavorativo di soggetti svan-taggiati impiegati nel corso dell’esecuzione del contratto, fissando in modo chiaro le relative condizioni nei documenti di gara. Secondo Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2003, n. 2128, in UA, 2003, 7, 1068 ss.,  

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148 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

La norma riporta alla mente la possibilità di prevedere “clausole sociali” nell’e-secuzione dei contratti pubblici espressamente riconosciuta dal legislatore nell’am-bito del “vecchio” Codice dei contratti (art. 69, D.Lgs. n. 163/2006) e riproposta nel “nuovo” Codice del 2016 (art. 100, D.Lgs. n. 50/2016). Infatti, la disposizione vi-gente prevede che le stazioni appaltanti possano «richiedere requisiti particolari per l’esecuzione del contratto (...) [attinenti] ad esigenze sociali o ambientali», purché tali clausole, per un verso, «siano compatibili con il diritto europeo» e, in particola-re, con alcuni principi fondanti dello stesso (parità di trattamento, non discrimina-zione, trasparenza, proporzionalità, innovazione), e per un altro, «siano precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d’o-neri». La norma precisa anche che, in sede di offerta, l’aggiudicatario sarà tenuto a dichiarare l’accettazione dei «requisiti particolari».

Per quanto in questa sede rileva, l’Autorità, che si è pronunciata sulla compatibi-lità di tali clausole con il diritto comunitario, per evitare che le stesse incidano nega-tivamente sulle condizioni di concorrenzialità del mercato, «in modo tale da discri-minare o pregiudicare alcune categorie di imprenditori» 78, in diverse occasioni, ha ritenuto che l’impiego di persone con disabilità, quale condizione di esecuzione del-l’appalto, sia conforme al disposto normativo (art. 69, D.Lgs. n. 163/2006) sia in quanto modalità di prestazione del servizio diretta al soddisfacimento di finalità so-ciali, sia in virtù della compatibilità con il diritto comunitario e con i principi del TCE richiamati 79.

4. Segue: ... agli appalti riservati nel “vecchio” e nel “nuovo” Codice dei contratti pubblici

Il perseguimento di obiettivi di solidarietà sociale connessi all’inclusione dei soggetti disabili e svantaggiati è stato riproposto anche nel D.Lgs. n. 163/2006, al-lorquando il legislatore, ha compiuto «una scelta di alleggerimento» di quella ten-

con nota di STECCANELLA, Manutenzione del verde pubblico: appalto di servizi e affidamento a coope-rativa sociale e TAR Lombardia, Milano, sez. III, 1 aprile 2008, n. 692, in giustizia-amministrativa.it, il programma di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate costituisce una condizione di ammis-sione alla gara e un parametro di valutazione delle offerte.

78 Cfr. il parere reso sullo schema di D.Lgs. n. 163/2006, da Cons. Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, 6 febbraio 2006, n. 355, in giustizia-amministrativa.it.

79 Cfr. pareri AVCP (resi ex art. 69, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006) 4 aprile 2012, n. 7 e 14 maggio 2009, n. 8. Per la compatibilità con il diritto comunitario/europeo, cfr. il 33° considerando, dir. 2004/18/CE, cit. e il 104° considerando, dir. 2014/24/UE, cit.: entrambe le direttive, tra le condizioni particolari per l’ese-cuzione dell’appalto, menzionano anche quelle finalizzate ad assumere un numero di persone svantaggiate superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale (cfr. rispettivamente 33° e 98° considerando).

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 149

sione che caratterizza qualsiasi diritto alla concorrenza e che riguarda i rapporti tra persona e mercato, attraverso la previsione di una «riserva di aggiudicazione a favo-re dell’handicap (...) in deroga alle regole strettamente economiche che governano le dinamiche concorrenziali» 80.

Così, riprendendo le indicazioni comunitarie 81, il “vecchio” Codice dei contratti pubblici non si limitava a riconoscere espressamente la possibilità di subordinare il principio di economicità (nel rispetto delle norme vigenti) a criteri (stabiliti dal bando) ispirati, fra le altre, ad esigenze sociali (art. 2, comma 2), nonché la facoltà delle sta-zioni appaltanti di «esigere condizioni particolari per l’esecuzione del contratto», atti-nenti anche ad «esigenze sociali o ambientali», purché compatibili con il diritto co-munitario e precisate nel bando di gara (o nell’invito o nel capitolato d’oneri) (art. 69), ma, nella parte relativa ai «requisiti dei partecipanti alla procedure di affidamen-to», dedicata, quindi, ai profili soggettivi della procedura di appalto, introduceva, per la prima volta nel nostro ordinamento 82, un ulteriore strumento per aumentare le oc-casioni di lavoro delle persone disabili, facilitandone così l’inserimento lavorativo, ma, ancora una volta, operante attraverso un limite diretto alla concorrenza: i c.d. ap-palti riservati regolati dalla norma «paradigmatica» 83 contenuta nell’art. 52. Tale norma, infatti, prevedeva un regime di riserva, in virtù del quale le stazioni appaltanti, tenuto conto della tipologia ovvero dell’oggetto del singolo appalto, adattabile alla disabilità, avevano la facoltà di «riservare (...) a laboratori protetti (...) la partecipazio-ne alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici», oppure riservare l’attività di esecuzione «nel contesto di programmi di lavoro protetti, quando la maggioranza dei lavoratori interessati fosse composta da disabili», che per la natura o la gravità del loro handicap, fossero impossibilitati a «esercitare un’attività professionale in condi-zioni normali». Veniva anche fissata una condizione per l’applicazione della norma, in virtù della quale le stazioni appaltanti avrebbero dovuto rendere nota la propria in-tenzione di usufruire del “regime riservato” dandone indicazione nel bando di gara, attraverso il richiamo “espresso” e “necessario” dell’art. 52 84: ciò in quanto la natura derogatoria della norma esigeva che emergesse «con assoluta chiarezza e inequivocità l’intento della stazione appaltante di includerla nella lex specialis di gara» 85.

In ragione della collocazione sistematica della norma in esame, inserita nel Tito-

80 Così PECCHIOLI, Art. 52 ..., 763. L’A. richiama LIPARI, Diritto e valori sociali. Legalità condivisa e dignità della persona, Ed. Studium, Roma, 2004, 130.

81 Cfr. l’art. 19, dir. 2004/18/CE, cit. e l’art. 28, dir. 2004/17/CE, cit. 82 Per un excursus storico sull’elaborazione giuridica che ha preceduto il D.Lgs. n. 163/2006, cfr.

BARTOLI, L’introduzione delle clausole ... . 83 Così BARTOLI, L’introduzione delle clausole ..., 1. 84 Con la determinazione 23 gennaio 2008, n. 2 l’AVCP ha precisato che i modelli di bando sopra-

soglia contengono la specificazione nel caso in cui la stazione appaltante intenda riservare l’appalto. 85 PECCHIOLI, Art. 52 ..., 767.

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lo I della Parte II del D.Lgs. n. 163/2006, la riserva era ammessa in tutti i contratti pubblici relativi tanto a lavori, quanto a servizi e forniture; inoltre, essa si conside-rava applicabile non solo agli appalti di valore superiore alla soglia comunitaria, ma, in assenza di un’espressa disposizione contraria, anche agli appalti sottosoglia 86, in relazione ai quali era ammesso l’affidamento diretto, mentre per i primi occorreva comunque «mettere in concorrenza il mercato riservato» 87.

Attraverso l’art. 52, dunque, il legislatore intendeva perseguire le esigenze so-ciali ex art. 2, comma 2, introducendo una deroga alle condizioni normali di concor-renza in favore di soggetti giuridici e di programmi che promuovessero l’integrazio-ne o la reintegrazione dei disabili nel mercato del lavoro e, in piena corrispondenza con le norme europee (supra), prevedeva che tale deroga si attuasse per mezzo di una doppia riserva, differenziabile, in base al momento in cui essa operava, in riser-va c.d. “di partecipazione” e riserva c.d. “di esecuzione”, e in base profilo soggetti-vo (laboratori protetti) e oggettivo (programmi di lavoro) di riferimento della dero-ga stessa, ma in ogni caso caratterizzata dall’impiego maggioritario dei disabili: la ratio, dunque, era sempre quella di salvaguardare la posizione di questi ultimi, «po-nendoli la di fuori di meccanismi concorrenziali» 88.

In realtà, la formulazione poco felice della norma aveva sollevato più di un dub-bio interpretativo non solo in merito alla riferibilità del limite quantitativo alla mag-gioranza dei disabili ad entrambe le ipotesi di riserva (ossia ai «laboratori protetti» e ai «programmi di lavoro protetti») oppure soltanto alla seconda 89, ma soprattutto perché i termini normativi di riferimento per il concreto funzionamento del regime derogatorio risultavano estremamente generici e indefiniti, mancando, nel nostro

86 Così ancora determinazione AVCP n. 2/2008. 87 PECCHIOLI, Art. 52 ..., 765. In senso analogo, cfr. VENTURA, Art. 52: appalti riservati, in CARUL-

LO, IUDICA (a cura di), Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, Padova, 2012, 533.

88 Così determinazione AVCP n. 2/2008. Parla di «due limiti alternativi», uno di «carattere sogget-tivo» e l’altro di «carattere oggettivo», BALESTRERI, Gli “appalti riservati” fra principio di economicità e esigenze sociali, in UA, 2009, 789.

89 Sebbene la formulazione letterale del testo facesse propendere per la seconda interpretazione, l’AVCP, collegando il riferimento numerico (maggioranza) ad entrambe le fattispecie, ha espresso una posizione diversa, in linea con i criteri dettati dal legislatore europeo (28° considerando, dir. 2004/18/CE). Di diverso avviso, BARTOLI, L’introduzione delle clausole ..., 8, e LEONE, Appalti riservati ..., 777. Quest’ultima ritiene che la riferibilità del limite quantitativo soltanto ai «programmi di lavoro protetti», per un verso, avrebbe consentito di accogliere una lettura più ampia della disposizione, in quanto i labo-ratori, non più soggetti a limitazioni quantitative e addirittura soggettive, avrebbero potuto fronteggiare esigenze di inserimento lavorativo non solo di disabili, ma anche di altre categorie svantaggiate; per un altro, avrebbe evitato un possibile conflitto di norme, allorquando la cooperativa sociale avesse voluto essere qualificata come laboratorio protetto: in tal caso, infatti, avrebbe dovuto avere alle proprie dipen-denze una percentuale maggiore di disabili (50% + 1) rispetto a quella fissata dalla legge n. 381/1991 (ossia il 30%) per tutte le categorie dei soggetti svantaggiati.

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ordinamento, una nozione o una classificazione legislativa di «laboratori protetti» e di «programmi di lavoro protetti», tant’è che è dovuta intervenire l’AVCP per defi-nire i contorni delle due fattispecie, ai fini dell’effettiva applicazione della norma 90.

Quanto all’individuazione dei soggetti disabili, l’AVCP si è riferita ovviamente alla legge n. 68/1999, anche se poi, nell’elencare le diverse categorie, incomprensi-bilmente ne ha dimenticate alcune 91, che sono, invece, espressamente menzionate tra i destinatari della normativa del 1999 92 e, quindi, sarebbero state sicuramente da ricomprendere anche nella definizione di cui all’art. 52 93.

In sostanza, l’AVCP, facendo coincidere l’incapacità di svolgere un’attività pro-fessionale in condizioni normali con lo stato di disabilità ex legge n. 68/1999, ha ristretto l’ambito applicativo della norma, in quanto ha escluso che tale incapacità potesse caratterizzare anche le persone che fossero sì portatrici di una disabilità, ma

90 In linea con le definizioni accolte in ambito comunitario (supra), la determinazione AVCP n. 2/2008 ha fissato, in primis, le condizioni oggettive che dovevano ricorrere cumulativamente ai fini del-l’identificazione dei «laboratori protetti» e, quindi, dell’accesso alla riserva di cui all’art. 52. In partico-lare: doveva trattarsi di un «soggetto giuridico, costituito nel rispetto della vigente normativa, che eser-citasse in via stabile e principale un’attività economica organizzata»; tra le finalità dell’ente, risultanti dai documenti sociali, doveva essere inserita «quella dell’inserimento lavorativo delle persone disabili»; inoltre, nel proprio ambito, doveva avere «una maggioranza di lavoratori disabili che, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non potevano esercitare un’attività professionale in condizioni normali».

91 La determinazione AVCP n. 2/2008 ha richiamato soltanto «le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, i portatori di handicap intellettivo e le persone non vedenti e sordomute» e non le altre categorie menzionate dall’art. 1, comma 1, legge n. 68/1999.

92 A tal proposito, giova ricordare che, in assenza di «una nozione univoca di disabilità» e nell’in-tento di superare le diverse classificazioni tecniche, che hanno posto l’accento su profili complementari della disabilità, in nome dell’eguaglianza fra i diversi soggetti a prescindere dalla causa invalidante (co-sì PERA, Note sulla nuova disciplina delle assunzioni obbligatorie degli invalidi, in GCiv., 1999, 7-8, II, 324), la legge n. 68/1999 accoglie una «quadripartizione», basata sulla distinzione tra «disabilità cogni-tiva, uditiva, visiva o fisica» (art. 1, comma 1, lett. a) e comma 2) (così GAROFALO D., Disabili (lavoro dei) ..., 765), anticipando in qualche modo la definizione di disabilità che sarà introdotta qualche anno dopo dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (art. 1, comma 2). Si distinguono, quindi, ben quattro gruppi di disabili (art. 1, comma 1): «persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e portatori di handicap intellettivo» con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% (lett. a)); «persone invalide del lavoro» con un grado di invalidità superiore al 33% (lett. b)); «persone non vedenti o sordomute» (di cui alle ll. nn. 381 e 382 del 1970) (lett. c)); «persone invalide di guerra, invalidi civili di guerra e invalide per servizio» con minorazioni di una certa entità (lett. d)). L’elenco è stato arricchito dal D.Lgs. n. 151/2015 (art. 2), che ha aggiunto anche le persone «la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle [proprie] attitudini, sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo» (ex art. 1, comma 1, legge n. 222/1984), superando così l’ingiustificata disparità di trattamento rispetto a questi invalidi civili tutelati sotto il profilo assistenziale, ma esclusi dal collocamento protetto, in quanto affetti da una riduzione della capacità lavorativa generica inferiore alla misura minima prevista dall’art. 1, legge n. 68/1999. Così GAROFALO D., Jobs act ..., 98.

93 In questo senso, LEONE, Appalti riservati ..., 777.

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152 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

non ai sensi della suddetta legge, in senso difforme rispetto alla normativa comuni-taria e, in particolare, al reg. CE n. 2204/2002 e al successivo reg. UE n. 651/2014. Infatti, mentre il primo Regolamento ha definito «disabili» non solo i lavoratori ri-conosciuti come tali ai sensi delle normative nazionali (quindi, ex legge n. 68/1999), ma anche quelli che, ancorché non rientranti nella categoria nazionale dei disabili normativamente definiti come tali, siano comunque affetti da «un grave handicap fisico, mentale o psichico», che impedisca loro di trovare un’occupazione in condi-zioni normali; il secondo Regolamento, confermando il richiamo alle normative na-zionali quale primo criterio di identificazione, ha specificato meglio la precedente definizione, riferendosi anche a coloro che presentino «durature menomazioni fisi-che, mentali, intellettuali o sensoriali che, in combinazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione all’ambiente di lavo-ro su base di uguaglianza con gli altri lavoratori» 94.

Per quanto riguarda i «programmi di lavoro protetti», poi, l’AVCP ha precisato che la riserva a favore degli stessi non doveva fondarsi su requisiti soggettivi, bensì su profili di carattere oggettivo e, quindi, non «sulla qualifica soggettiva dei parte-cipanti alla gara», ma «sul ricorso, da parte delle imprese partecipanti, nella fase e-secutiva dell’appalto, all’impiego, in numero maggioritario, di lavoratori disabili che, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non [potevano] eserci-tare un’attività professionale in condizioni normali» 95.

Altro aspetto problematico riguardava il coordinamento tra l’art. 52 e le norma-tive vigenti su cooperative sociali (legge n. 381/1991) e imprese sociali (D.Lgs. n. 155/2006 recentemente abrogato e sostituito dal D.Lgs. n. 112/2017), fatte espres-samente salve dalla norma in questione 96: è indubitabile che la clausola iniziale di

94 Cfr. l’art. 2, lett. g)), reg. CE della Commissione 12 dicembre 2002 «relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione» e l’art. 2, n. 3), lett. a) e b), reg. UE della Commissione 17 giugno 2014, n. 651, «che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato».

95 Ciò significa che tutti i soggetti ammessi alla partecipazione alle gare secondo la previsione di cui all’art. 34, D.Lgs. n. 163/2006, pur essendo sprovvisti dei requisiti necessari ai fini del riconoscimento come «laboratori protetti», se ai fini dell’esecuzione dello specifico appalto, si fossero avvalsi di piani di lavoro riguardanti un numero di lavoratori disabili (altrimenti esclusi dal mercato) maggiore di quello dei lavoratori abili, avrebbero potuto godere della riserva di legge. Cfr. determinazione AVCP n. 2/2008. La determinazione ha anche chiarito che l’impiego dei lavoratori disabili sarebbe potuto avve-nire anche «sulla base di accordi conclusi con soggetti operanti nel settore sociale», ma nulla ha previ-sto circa la natura e il contenuto di tali accordi realizzati tra imprese “profit” e soggetti del terzo settore, tra cui, in particolare, le cooperative sociali di tipo b).

96 Sul punto, giova richiamare BALDUCCI, Il lavoro ..., 585, che ha condivisibilmente riconosciuto alle cooperative sociali la natura di imprese sociali, in quanto operanti nel pieno rispetto del regime concorrenziale e, quindi, «pur sempre secondo una logica imprenditoriale di mercato», seppur «mitigata dalle finalità sociali» perseguite. Sull’«identificazione fra le due fattispecie», cfr. anche LEONE, Appalti riservati ..., 775 e, precedentemente, il rapporto sulla cooperazione sociale in Italia, curato da Centro  

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 153

salvaguardia ivi prevista era sintomatica della distinzione degli ambiti di operatività delle discipline –e, in particolare dell’art. 52 e della n. 381/1991 – che, pur perse-guendo entrambe finalità sociali, avevano presupposti diversi. In particolare, secon-do l’AVCP, dalla netta distinzione tra i presupposti e gli ambiti applicativi dell’art. 52 e quelli della legge n. 381/1991, scaturiva la divergenza tra le due figure di labo-ratorio protetto e cooperative sociali, alla luce della diversità dei requisiti richiesti per la configurabilità del primo, da quelli legislativamente imposti per l’operatività delle seconde 97; tale diversità era rilevabile sul versante soggettivo, a livello sia qualitativo, con riferimento alle categorie di soggetti individuati (soltanto disabili, per il primo; disabili e soggetti svantaggiati, per le seconde), sia quantitativo, in re-lazione alla percentuale minima della loro presenza in organico richiesta dalle ri-spettive norme di riferimento (50%, + 1, per il primo; 30%, per le seconde). Da ciò la piena vigenza delle disposizioni della legge n. 381/1991 (art. 5) relative agli “af-fidamenti preferenziali” tramite convenzioni con le cooperative di tipo b) e di quelle relative all’inserimento, fra le condizioni di esecuzione, dell’obbligo di eseguire il contratto attraverso «l’impiego di persone svantaggiate» o l’adozione di «specifici programmi di recupero e di reinserimento lavorativo» (supra). Infatti, come ha avu-to modo di precisare la giurisprudenza amministrativa, l’art. 5, legge n. 381/1991 e l’art. 52, D.Lgs. n. 163/2006, sebbene «accomunate dalla identica natura ecceziona-le (e derogatoria rispetto alla disciplina comune), e dalla medesima finalità di prote-zione delle persone svantaggiate (in attuazione dei principi costituzionali di ugua-glianza e solidarietà)», presentano ambiti applicativi distinti e regolano «fattispecie del tutto differenti e non sovrapponibili tra di loro» 98.

Quanto, invece, ai requisiti richiesti per la partecipazione alla gara, il richiamo,

Studi CGM, Imprenditori sociali: secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, 1997, 11. Secondo il recente D.Lgs. n. 112/2017 (art. 1, comma 4), le cooperative sociali e i loro consorzi «acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali» e ad essi si applica la normativa contenuta nel decreto in quanto compatibile con la disciplina specifica di cui alla legge n. 381/1991. Inoltre, posto che l’impresa sociale è quella che «esercita in via stabile e principale una o più attività d’impresa di interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale» (art. 2, comma 1), la normativa considera tale anche quell’attività nella quale sono occupati (art. 2, comma 4): a) lavoratori molto svantaggiati (ex art. 2, n. 99), reg. UE n. 651/2014); b) persone svantaggiate o con disabilità (ex art. 112, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016), nonché persone beneficiarie di protezione internazionale (ex D.Lgs. n. 251/2007) e persone senza fissa dimora (iscritte nel registro di cui all’art. 2, legge n. 1228/1954), che versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia. La condizione è che, in tali ipotesi, i soggetti svantaggiati rap-presentino almeno il 30% dei lavoratori impiegati nell’impresa sociale (art. 2, comma 5).

97 Cfr. determinazione AVCP n. 2/2008. 98 Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2015, n. 1620, in giustizia-amministrativa.it. D’altro canto, secon-

do la determinazione AVCP n. 2/2008, nulla avrebbe impedito alle cooperative sociali di tipo b) di «ac-creditarsi» come laboratori protetti o di operare nell’ambito di «laboratori protetti» e di accedere alla riserva ex art. 52, purché in possesso dei requisiti richiesti dalla norma.

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contenuto nell’art. 52, al rispetto della normativa allora vigente, si doveva conside-rare riferito all’obbligo di osservare i «requisiti di ordine generale e di ordine spe-ciale richiesti per la partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica»; sicché i soggetti che intendevano candidarsi a concorrere a una procedura riservata (ex art. 52) dovevano comunque essere in possesso dei suddetti requisiti di ordine generale, stabiliti tassativamente dall’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 e di quelli di carattere spe-ciale, indicati negli artt. 39 ss. dello stesso decreto. Ciò in quanto gli obiettivi socia-li cui è ispirato il regime di riserva di cui all’art. 52 potevano prevalere sul «princi-pio di economicità» (ex art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006), ma non anche sull’e-sigenza di assicurare l’«affidabilità morale e professionale dell’operatore economi-co» o la «qualità delle forniture, delle prestazioni e delle opere» da svolgere nell’in-teresse della stazione appaltante 99.

Come preannunciato dall’AVCP, alcune questioni interpretative poste dall’art. 52, soprattutto quella relativa al coordinamento tra quest’ultima norma e l’art. 5, leg-ge n. 381/1991, si sarebbero attenuate in seguito al recepimento della dir. 2014/24/UE (e delle Direttive gemelle 100) ad opera della normativa nazionale.

In effetti, il D.Lgs. n. 50/2016, attraverso l’art. 112, ribadisce l’intentio legis di utilizzare il sistema degli appalti (ai quali vengono aggiunte le concessioni), per raggiungere obiettivi di solidarietà sociale, tuttavia, recependo quasi letteralmente le “nuove” disposizioni europee, introduce alcune importanti novità 101.

La norma nazionale, infatti, prevede la possibilità per le stazioni appaltanti, di «riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e (...) di concessione» (facendone menzione, ex comma 3, nel bando di gara o nell’avviso di preinforma-zione 102) o di «riservarne l’esecuzione, ad operatori economici e a cooperative so-ciali e loro consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate», nonché la possibilità di «riservarne l’e-secuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30% dei lavoratori dei suddetti operatori economici» sia costituito da soggetti disabili o svantaggiati (comma 1).

Analogamente alla norma contenuta nel “vecchio” Codice dei contratti pubblici, viene confermata non solo l’espressa salvezza delle disposizioni in materia di coo-

99 Da ciò derivava che, nella definizione delle griglie di partecipazione alle gare “riservate”, le sta-zioni appaltanti avrebbero dovuto declinare il rispetto del generale «principio di proporzionalità» sia con riferimento all’«oggetto dell’appalto» e alle sue «caratteristiche specifiche», sia con riguardo all’«o-biettivo sociale» al cui perseguimento era finalizzata la riserva. Cfr. determinazione AVCP n. 2/2008.

100 Si tratta delle dir. 2014/23/UE e 2014/25/UE (supra). 101 Per un breve commento all’art. 112, D.Lgs. n. 50/2016, cfr. VALENTE, Sub art. 112. Appalti e

concessioni riservati, in GARELLA, MARIANI, Il Codice dei contratti pubblici ..., 293 s. 102 Ai sensi dell’art. 70, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016, attraverso la pubblicazione dell’avviso di

preinformazione, le stazioni appaltanti rendono nota (entro il 31 dicembre di ogni anno) l’intenzione di bandire appalti per l’anno successivo.

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perative sociali e di imprese sociali, ma anche l’attuazione della deroga attraverso una doppia riserva – di partecipazione o di esecuzione –, differenziabile, però, in base alle condizioni soggettive e oggettive rivisitate dalla nuova disposizione.

In particolare, dal punto di vista soggettivo, la norma contiene una definizione più ampia – rispetto alla previgente formulazione – dei soggetti che rientrano nel suo campo di applicazione, che include tutti gli operatori economici, comprese ov-viamente le cooperative e i loro consorzi, impegnati nell’integrazione sociale e la-vorativa dei disabili e degli svantaggiati. Quindi, scompare il richiamo ai «laborato-ri protetti», che aveva sollevato non pochi dubbi interpretativi, e viene sostituito da un riferimento più ampio, agli operatori economici e da uno più specifico, alle coo-perative sociali e ai loro consorzi.

In sostanza, il legislatore, per garantire un’applicazione della riserva de qua con-forme alle finalità perseguite dalla dir. 2014/24/UE (36° considerando), ha voluta-mente fatto ricorso a una definizione generica, quella di “operatori economici”, che possa includere “tutti” i soggetti che perseguono principalmente la finalità integra-tiva e, quindi, anche i «laboratori protetti», ancorché non espressamente citati, in quanto, secondo la definizione degli stessi offerta dall’AVCP (supra), si tratta di operatori economici con soggettività giuridica, che esercitano in via stabile e prin-cipale un’attività economica organizzata, avendo tra le loro finalità quella dell’in-serimento lavorativo delle persone disabili e nella propria organizzazione una mag-gioranza di tali lavoratori. Ciò, peraltro, trova conferma nelle previsioni dell’Al-legato XIV del D.Lgs. n. 50/2016, che, tra le «informazioni che devono figurare ne-gli avvisi e nei bandi nei settori ordinari e speciali», include espressamente anche «l’indicazione, eventuale, se si tratta di un appalto riservato a laboratori protetti o la cui esecuzione è riservata nell’ambito di programmi di lavoro protetti» 103.

Sul piano oggettivo, invece, nell’ipotesi di «programmi di lavoro protetti», la norma pone un limite quantitativo e, riducendo la percentuale prevista nella formu-lazione precedente, stabilisce che almeno il 30% dei lavoratori impiegati da tali operatori devono essere costituiti da disabili o svantaggiati.

Risulta evidente, dunque, che l’indirizzo dato a livello europeo consenta una più ampia applicazione della riserva di cui all’art. 112.

La novità più significativa, però, riguarda le categorie dei beneficiari dell’in-serimento socio-lavorativo promosso dalla norma. Infatti, a differenza dell’art. 52, D.Lgs. n. 163/2006, che faceva riferimento esclusivamente ai soggetti disabili, la disposizione in esame fa riferimento anche alle persone svantaggiate. Inoltre, il le-

103 Cfr. sul punto, delibera ANAC 1° marzo 2017, n. 207, emanata in seguito alla richiesta di parere inoltrata dal Comune di Cesena in relazione all’inclusione dei «laboratori protetti» nell’ambito di appli-cazione dell’art. 112, considerato che la mancanza di previsione espressa circa la possibilità di riservare la partecipazione alle gare d’appalto e l’esecuzione dei contratti pubblici a tale categoria, aveva solleva-to una serie di dubbi interpretativi.

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gislatore, nel comma 2 dell’art. 112, si preoccupa di definire per relationem i sog-getti rientranti nella prima e nella seconda categoria, attraverso un rinvio diretto alle normative di riferimento. In particolare, per quanto riguarda i portatori di disabilità, la norma, accogliendo l’interpretazione dell’AVCP, rinvia all’elenco contenuto nel-l’art. 1, legge n. 68/1999 (supra); invece, per l’individuazione delle persone svan-taggiate, non solo richiama l’art. 4, legge n. 381/1991, ma riporta parzialmente l’e-lencazione dettata dalla norma (supra), lasciando fuori soltanto gli «invalidi fisici, psichici e sensoriali», probabilmente perché già ricompresi tra i disabili ex legge n. 68/1999.

L’apertura degli appalti riservati anche alle persone svantaggiate non è totale, in quanto, dalla formulazione poco chiara della norma, che pur richiamando generi-camente le persone svantaggiate, poi si riferisce esplicitamente soltanto a quelle elencate nel suddetto art. 4, legge n. 381/1991, sembrerebbe desumibile l’esclusione di quelle categorie eterogenee di soggetti, caratterizzati da condizioni soggettive tali da limitarne fortemente l’accesso al mercato del lavoro, attualmente elencate nel reg. UE n. 651/2014 104: una restrizione, quella operata dall’art. 112, che sembre-rebbe porsi in contrasto con le motivazioni della dir. 2014/24/UE, laddove si acco-glie una nozione più ampia di “persone svantaggiate”, riferita a «disoccupati, perso-ne appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque categorie socialmente emar-ginate» (36° considerando).

In conclusione, questa tecnica promozionale basata sull’inserimento sociale e professionale dei disabili e degli svantaggiati quale condizione per l’accesso alla riserva, recentemente riproposta, seppur in versione riveduta e corretta, dal “nuovo” Codice dei contratti pubblici, in perfetta continuità con la scelta di politica del dirit-to operata dal legislatore nel “vecchio” Codice, può continuare a rappresentare una leva importante per le pubbliche amministrazioni, e in particolare per gli enti locali, al fine di dare vita ad un «quasi mercato» nel cui ambito favorire vere e proprie esperienze lavorative di questi soggetti, attivandoli e preparandoli verso un lavoro effettivo e sostituendo così al mero intervento assistenziale un progetto di autono-mia lavorativa in vista di un ingresso più adeguato nel mercato del lavoro per queste persone che, altrimenti, ne resterebbero escluse.

In alternativa a questo strumento c’è sempre la chance offerta dagli affidamenti

104 L’art. 2, n. 4), lett. a)-g), reg. UE n. 651/2014, cit. fa riferimento a: coloro che siano privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; i soggetti di età compresa tra i 15 e i 24 anni; colo-ro che non possiedano un diploma di scuola media superiore o professionale o che, avendo completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni, non abbiano ancora ottenuto il primo impiego re-golarmente retribuito; gli over 50; gli adulti che vivono da soli con una o più persone a carico; gli occu-pati in professioni o settori caratterizzati da un elevato tasso di disparità uomo-donna; gli appartenenti a minoranze etniche degli Stati membri della UE che necessitino di migliorare la propria formazione lin-guistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un’occupazione stabile.

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“preferenziali” tramite convenzioni ex art. 5, legge n. 381/1991 per gli appalti sotto soglia, che si può continuare a sfruttare al fine di «promuovere, attraverso la copro-grammazione sociale (...) e la relativa coprogettazione, una rete pubblico-privato per gli inserimenti lavorativi» (in cui gli affidamenti di commesse alla cooperative di tipo b) avvengano «in modo non competitivo»), «quale elemento portante del-l’adesione (...) [di queste ultime] alla funzione sociale pubblica» 105: in tale prospet-tiva, la norma continua a meritare particolare attenzione da parte sia delle istituzio-ni, sia del mondo della cooperazione sociale.

105 Così BARTOLI, L’introduzione delle clausole ..., 14.

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I CODICI DI COMPORTAMENTO “OLTRE” LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE

ENRICO CARLONI

Sommario: 1. Premessa. – 2. I doveri del dipendente nel codice di comportamento. – 3. I codici di com-portamento e i codici “etici”. – 4. La dimensione “disciplinare” dei codici di comportamento. – 5. I do-veri del funzionario e le “altre” responsabilità per la loro violazione. – 6. La dimensione organizzativa: i codici come strumento dell’anticorruzione. – 7. La dimensione etica e deontologica dei codici di com-portamento. – 8. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

A circa cinque anni dalla legge n. 190/2012, che ha riscritto le disposizioni legi-slative dedicate all’istituto 1, ed a ridosso delle innovazioni legislative rivolte o a rafforzare la funzione disciplinare nelle amministrazioni pubbliche 2, appare utile ritornare su uno strumento per più versanti centrale (ma non sempre adeguatamente valorizzato) nella prospettiva di quella costruzione del “buon funzionario” cui, da angolazioni diverse, mirano le riforme amministrative recenti: il codice di compor-tamento dei dipendenti pubblici.

Una riflessione che si pone, dunque, all’intersezione tra il completamento del di-segno tratteggiato dalla legge “anticorruzione”, verso cui convergono le successive esperienze di codificazione di regole di comportamento delle diverse amministra-zioni ed ora l’avvio di un approccio “per settori” sensibili 3, ed una rinnovata atten-

1 Il comma 44 della legge n. 190 ha sostituito integralmente la precedente disciplina dell’art. 54 del D.Lgs. n. 165/2001 dedicato al “codice di comportamento”.

2 Il riferimento è alle nuove norme in materia di responsabilità disciplinare, volte ad accelerare e rendere maggiormente effettiva l’azione disciplinare, previste dal D.Lgs. n. 116/2017 e quindi dal de-creto n. 75/2017 di riforma del D.Lgs. n. 165/2001. Un decreto, quest’ultimo, che, come segnala il Con-siglio di Stato nel parere reso sullo schema, mirava all’auspicabile obiettivo di rivisitare l’intera materia disciplinare “per garantire la semplificazione e la coerenza giuridica, logica e sistematica delle disposi-zioni, in modo da definire un procedimento univoco, soggetto da regole chiare e tassative”, un “auspi-cio che risulta solo in parte accolto dal Governo” con lo schema e quindi con il successivo decreto (Cons. Stato, Comm. Speciale, 11 aprile 2017, n. 916/2017).

3 Approccio, questo, coerente con le indicazioni contenute nell’art. 54 del D.Lgs. n. 165/2001 a par- 

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zione al “nodo” della responsabilità dei dipendenti per violazione dei propri doveri. Una fase, in sostanza, che porta verso la piena messa a regime del modello come ridisegnato a partire dalla legge 190/2012 4, ma che al tempo stesso appare un mo-mento di snodo, tra le aspirazioni e le potenzialità dello strumento e le persistenti debolezze e sottovalutazioni, anzitutto nella sua prospettiva di fonte di doveri rile-vanti sul piano della responsabilità disciplinare.

Approfondire lo strumento “codice di comportamento” appare perciò di partico-lare utilità, e questo anche per altre ragioni, che vanno al di là della sola, pur signi-ficativa, esigenza di mettere meglio a sistema un ingranaggio che risulta centrale per garantire che la funzione disciplinare sia orientata ad assicurare un’amministra-zione più imparziale. Può favorire un approccio più bilanciato alle questioni di re-sponsabilità disciplinare, evitando un’attenzione prevalente se non esclusiva a pro-blematiche legate alla mera prestazione o presenza in servizio. Può risultare utile per le amministrazioni, chiamate ad un recepimento e ad un adattamento non me-ramente formale di uno strumento che si colloca a cavallo tra piani diversi, dei quali favorisce la reciproca connessione e la comunicazione: quello della responsabilità (non solo, ma anzitutto) disciplinare, quello dell’etica pubblica, quello della preven-zione del rischio di corruzione. Può favorire l’esercizio da parte della stessa Autori-tà anticorruzione 5 della sua funzione di “specificazione” dei doveri dei dipendenti, per tipologie di amministrazione e settori di intervento, proprio nel momento in cui questa competenza inizia ad essere esercitata.

Più complessivamente, può consentire di articolare una riflessione sui caratteri e le prospettive dell’“impiego pubblico”, nella sua dimensione di specialità pubblicistica, e costituzionale, a margine dell’ennesima riforma che lo sta interessando 6 ma anche ad un quarto di secolo di distanza dall’avvio dei processi di “privatizzazione” 7.

tire dalla sua riforma nel 2012, che affida appunto all’Autorità anticorruzione il compito di fissare “cri-teri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione”.

4 Su cui cfr. più diffusamente CARLONI, Il nuovo Codice di comportamento ed il rafforzamento dell’imparzialità dei funzionari pubblici, in Istituzioni del federalismo, 2013, 377 ss.; cfr. tra gli altri GARGIULO, Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici: atto terzo, in questa Rivista, 2012, 5, 751 ss.; MERLONI, Codici di comportamento, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014.

5 All’Autorità anticorruzione compete anche, secondo quanto previsto dell’art. 1, comma 2, lettera d), della legge 190, di esprimere pareri, rispetto, tra l’altro, alla conformità degli atti e comportamenti dei pubblici dipendenti alle leggi e ai codici di comportamento.

6 Il riferimento è alla recente riforma “Madia”: cfr. in questo senso, con riferimento alla legge dele-ga, BATTINI, Le norme sul personale. Commento a l. 7 agosto 2015, n. 124, in GDA, 2015, 645 ss.

7 Tra l’ampia letteratura in materia, successiva all’avvio del processo di privatizzazione del rapporto di lavoro, cfr., in termini generali, BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Ce-dam, Padova, 2000; PIOGGIA, Giudice e funzione amministrativa. Giudice ordinario e potere privato dell’amministrazione datore di lavoro, Milano, 2004; POLICE, Il rapporto di lavoro, in Mazzarolli et al. (a cura di), Diritto amministrativo, I, Bologna, 2005, 471 ss.

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Per quanto si tratti di un istituto che è attivo nel nostro ordinamento sin dalla stagione della “prima” privatizzazione del rapporto di lavoro, e che si può far risali-re all’elaborazione di poco precedente promossa dal Ministro Cassese 8, va però se-gnalata, sin d’ora, la tradizionale disattenzione “in concreto” a questo strumento, confermata dalla diffusa percezione della limitata conoscenza degli stessi doveri contenuti nel Codice: una debolezza su cui hanno inciso più fattori, che a quasi ven-ticinque anni dalla prima introduzione di questo stesso istituto può essere utile ri-percorrere, posto che non paiono del tutto prosciugate queste ragioni di fragilità.

2. I doveri del dipendente nel codice di comportamento

In via generale, è oramai acquisita, e nota ad alcuni anni di distanza dalla rifor-ma dell’art. 54 del D.Lgs. n. 165 del 2001, la radicalità della trasformazione operata dal legislatore della legge 190 del 2012: la nuova fonte di produzione del codice di comportamento interviene su molti degli elementi di debolezza ravvisati dalla lette-ratura in materia. 9

Si assiste ad una esplicitazione del valore disciplinare (e non solo disciplinare) del codice di comportamento, si rafforza la fonte 10, ora regolamentare, si chiarisce l’applicazione, ampia, a tutto il personale dipendente 11, ivi compresi i dirigenti, se ne potenziano i meccanismi di divulgazione e la formazione in materia: tutte solu-zioni rivolte a rendere maggiormente effettivo lo strumento. In risposta all’obiezio-ne di una sua eccessiva genericità, si prevedono codici di comportamento delle sin-

8 Si v. in particolare Dipartimento della funzione pubblica, Codice di condotta dei dipendenti pub-blici: proposta e materiali di studio, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1993.

9 Cfr. B.G. MATTARELLA, I codici di comportamento, in RGL, 1996, 275; E. CARLONI, Ruolo e natu-ra dei c.d. “codici etici” delle amministrazioni pubbliche, in Dpub, 2002, 319 ss.

10 Il Codice è, ora, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata.

11 Anzi, ai sensi dell’art. 2, comma 3, il campo di applicazione è ancora più ampio: “le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consu-lenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministra-zione”. Resta però, come noto e spesso criticamente segnalato nel dibattito scientifico oltre che in quel-lo pubblico, l’assenza di regole analoghe per il personale politico (cfr. es. SIRIANNI, L’etica del persona-le politico. Parlamentari e titolari di cariche di governo, in Merloni-Cavallo Perin (a cura di), Al servi-zio della Nazione, Milano, 2009, 39 ss.).

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 161

gole amministrazioni, i cui contenuti integrano e specificano quelli definiti a livello nazionale: è questa forse la previsione più significativa frutto della riforma del 2012, perché conferisce allo strumento una flessibilità ed una capacità di adatta-mento ai diversi contesti che gli permette, almeno potenzialmente, di modularsi su dimensioni diverse.

È chiara, in queste scelte, la eco delle problematiche emerse relativamente a questo istituto, a partire dalla prima formulazione contenuta nel d.m. del 1994, svi-luppato sulla base dell’originaria previsione contenuta nell’art. 58 bis del D.Lgs. n. 29 del 1993. 12 Senza ripercorrere i passaggi successivi, e quindi la graduale evolu-zione della disciplina e dello stesso codice di comportamento nella sua nuova for-mulazione nel 2000 13, è piuttosto sull’ultima regolazione, entro la quale si inserisce l’attuale codice adottato con d.PR. n. 62 del 2013 14, che è utile soffermarsi.

Una trasformazione radicale, si è detto, ma che, si noti, ha interessato più il “contenitore” (il nuovo codice di comportamento, il suo ruolo, la sua natura), che non le specifiche previsioni in esso contenute: è evidente una relativa disattenzione, anche nel dibattito scientifico, ai singoli “doveri” del funzionario, e quindi i valori a questo sottesi, la loro adeguatezza/utilità nella prospettiva di (ad esempio) un nuovo modello di amministrazione e di un miglioramento dell’imparzialità o della qualità dei servizi resi.

Un approccio ricorrente, pur con significative eccezioni 15, che si lega proprio al-la ricordata debolezza dello strumento e quindi all’esigenza di interpretarne i carat-teri, e quindi definirne il “posto” nel sistema del rapporto di lavoro con le ammini-strazioni pubbliche frutto delle successive stagioni di riforma.

12 CASSESE, I codici di condotta, in DG, 1994, 7-8; FINOCCHI, I codici di condotta, in d’Alberti, Fi-nocchi (a cura di), Corruzione e sistema istituzionale, Bologna, 1994; B.G. MATTARELLA, L’etica pub-blica e i codici di condotta (Riflessioni sul codice di comportamento dei dipendenti delle amministra-zioni pubbliche), in LD, 1994, 4; GUSTAPANE, Organizzazione amministrativa e codice di condotta dei dipendenti pubblici, in NP, 1994, 23.

13 Sul precedente art. 54 e la relativa disciplina dello strumento del codice di comportamento, cfr. CARLONI, Ruolo e natura dei c.d. “codici etici” delle amministrazioni pubbliche, cit.; GREGORATTI-R. NU-

NIN, I codici di comportamento, in F. CARINCI-L. ZOPPOLI, Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Tori-no, 2004, 827 ss. Si cfr. anche B.G. MATTARELLA, Controllo della corruzione amministrativa e regole di etica pubblica, in RIDPC, 2002, 1042.

14 D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pub-blici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), in G.U. n. 129 del 4 giu-gno 2013. Per una lettura del quale cfr. D’ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità di-sciplinare, in B.G. Mattarella-M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione, Torino, 2013, 211 ss.; cfr. B.G. MATTARELLA, Il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici, Nota a d.p.r. 16 aprile 2013, n. 62, in GDA, 2013, 927 ss.

15 Es., relativamente al precedente codice, AA.VV., Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, Milano, 2005.

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162 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Visto in termini contenutistici, il codice di comportamento (attuale, ma in modo non troppo dissimile quelli precedenti 16), si caratterizza per un impianto abbastanza compatto, con disposizioni di principio chiaramente orientate a fissare doveri rile-vanti nella prospettiva dell’esercizio delle funzioni pubbliche. Per quanto vengano ora, nell’ultima regolamentazione, previsti “nuovi” doveri, con un ridisegno che ha inciso maggiormente sul “catechismo” 17 del funzionario pubblico e ne sia esteso il campo di applicazione, il codice di comportamento del 2013 non pare sensibilmente diverso da quelli del 1994 e del 2000, contenendo un elenco circoscritto ed in ulti-ma istanza generico di doveri: ne cambia però radicalmente il senso, dal momento che, vista la scelta legislativa di puntare su un sistema su due livelli (codice “nazio-nale” e codici “di amministrazione”), quelli contenuti nel d.P.R. n. 62 non sono più i doveri “comuni”, ma i doveri “minimi”, ed è proprio ai codici di comportamento di amministrazione che dovremo guardare per cercare previsioni meno generali, e generiche.

La disattenzione ai contenuti, che salvo eccezioni ha caratterizzato il dibattito pubblico e scientifico in materia, non sembra però discendere dalla laconicità delle disposizioni, che a sua volta poteva in ogni caso essere oggetto di valutazioni diver-se e non necessariamente negative potendo sottintendere l’idea di un nucleo circo-scritto di doveri, e valori, di più facile comprensione e conoscibilità, o dalla relativa stabilità e limitata innovatività delle formulazioni successive: nella centralità rico-nosciuta al dibattito sulla fonte piuttosto che sui contenuti incide piuttosto, in modo decisivo, il “cortocircuito” frutto della privatizzazione 18 del rapporto di lavoro e non risolto, ma forse enfatizzato, proprio dal tentativo di recupero di uno spazio per

16 In particolare, come ravvisa ad esempio BUZZACCHI, Il codice di comportamento come strumento preventivo della corruzione: l’orizzonte di un’etica pubblica, in Amministrazione in cammino, 2013, “i codici del 1994 e del 2000 sono assai vicini quanto ad impostazione e contenuto: entrambi sono scanditi da articoli che recano i medesimi titoli, e spesso la disciplina del codice del 2000 è invariata rispetto a quella precedente”. Ne risultava un catalogo di doveri di comportamento, nel complesso, in ogni caso “particolarmente esiguo” (così MERLONI, Per una nuova etica pubblica. Introduzione, in IF, 2009, supp. 2, 9).

17 Così, con riferimento al primo codice di comportamento, del 1994, O. Sepe parlava già di “cate-chismo” dei dipendenti che, già nella sua prima formulazione risultava a ben vedere scarsamente inno-vativo, consistendo essenzialmente in “un indispensabile richiamo alla coscienza di coloro che operano nella e per la pubblica amministrazione” (Relazione di sintesi, in La pubblica amministrazione nella Costituzione. Riflessioni e indicazioni di riforma, Atti del XXXIX Convegno di studi di scienza del-l’amministrazione, Milano, 1995, 219). Cfr. in questo senso B.G. MATTARELLA, Le regole di compor-tamento dei pubblici funzionari, cit., spec. 1-2.

18 Cfr. in questo senso, recentemente, anche D’AVINO, L’imperfetta contrattualizzazione del lavoro pubblico nel prisma della disciplina anticorruzione, in questa Rivista, 2015, 285 ss.; GARGIULO, La prestazione lavorativa tra prescrizioni etiche e obblighi contrattuali. Fonti e contraddizioni nella deli-mitazione dell’area di debito del dipendente pubblico, in questa Rivista, 2014, 17 ss.

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doveri definiti in via unilaterale, e con fonti diverse dalla contrattazione, da parte pubblica.

È in questo cortocircuito, determinato dalla difficoltà di collocare doveri “pub-blici” in un rapporto di lavoro regolato essenzialmente per via contrattuale, gover-nato dai poteri “datoriali” del dirigente, in cui le “violazioni e le relative sanzioni” rilevanti a fini disciplinari sono definite dal contratto, le cui controversie sono affi-date al giudice ordinario come giudice del lavoro, specie alla luce della “primazia” affidata, fino alla riforma del 2009 19 (ed ora di nuovo 20, ma con limiti per quanto attiene alla materia disciplinare), alla fonte contrattuale nella disciplina degli aspetti “già regolati dalla legge”, che emerge la perdita di attenzione ai contenuti e quindi ai doveri pubblici disciplinati dal codice, alimentata in ultima istanza dall’idea di un valore essenzialmente “etico”, ed in ogni caso non “disciplinare”, dei codici di com-portamento. 21

Questo aspetto merita di essere risolutivamente chiarito, per evitare che continui a riverberarsi sulla funzionalità dell’istituto, tanto più nel momento in cui le ultime riforme intervenute in materia di lavoro con le pubbliche amministrazioni hanno ripristinato (sia pure in un mutato quadro di contesto per quanto attiene alla respon-sabilità disciplinare, oramai attentamente regolata da dettagliate previsioni normati-ve contenute nello stesso D.Lgs. n. 165 del 2001) la capacità “espansiva” dei con-tratti collettivi negli spazi disciplinati dalla legge. 22 Questo, però, in un quadro nel

19 Sull’evoluzione della materia prima delle riforme introdotte dalla legge 190/2012, si v. in ter-mini generali, tra gli altri, D’ALESSIO, La disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra pubblico e privato, in questa Rivista, 2012, 1 ss.; CORPACI, Il decreto legislativo n. 150 del 2009, di revisione della disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, tra continuità e discontinuità, in OF, 2010, 1.

20 L’art. 1 del D.Lgs. n. 75 del 2017 ha modificato l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, abro-gando in particolare l’inciso che ammetteva la derogabilità delle previsioni legislative rivolte a discipli-nare il rapporto del personale pubblico da parte dei contratti collettivi “solo qualora ciò sia espressa-mente previsto dalla legge”, riproponendo dunque (in un contesto però mutato specie sul fronte della responsabilità disciplinare) la “supremazia” del contratto collettivo. In termini generali, sulle previsioni del nuovo decreto, cfr. per tutti D’ALESSIO-L. ZOPPOLI, Riforma della pubblica amministrazione: osser-vazione sugli schemi di decreti legislativi attuativi dell’art. 17 della legge n. 124 del 2015, in Astrid Rassegna, 2017, n. 5, spec. 3-6, che reputa complessivamente coerente la scelta di reintrodurre un prin-cipio di delegificazione organica “nella quale alla contrattazione collettiva viene assegnato un ruolo organico nella disciplina di istituti necessari per una gestione moderna ed equilibrata delle risorse uma-ne nelle pubbliche amministrazioni” (ivi, p. 5)

21 Per una diversa lettura, che partendo da una lettura “sistematica” (di una certa interpretazione) della privatizzazione tende a ridurre il valore di questa affermazione, si veda già GARGIULO, Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici: atto terzo, cit.

22 In materia, cfr. L. ZOPPOLI, Legge, contratto collettivo e autonomia individuale: linee per una ri-flessione sistematica vent’anni dopo la “privatizzazione”, in questa Rivista, 2013, 713 ss.; D’ALESSIO, La disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra pubblico e privato, cit., 1 ss.

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quale la materia delle sanzioni disciplinari resta in ogni caso sottratta a questo mecca-nismo di delegificazione, risultando affidata alla competenza della contrattazione col-lettiva “negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge” 23: questo, più complessi-vamente, in un contesto nel quale la funzione della contrattazione (e la sua “prima-zia”) pure apparentemente ampia 24, appare spesso formale, meramente attuativa, spesso svuotata da un quadro normativo di esclusioni ed inderogabilità molto denso.

3. I codici di comportamento e i codici “etici”

Ricorre, sin dagli scritti che, dal versante dei sostenitori della “piena privatizza-zione del rapporto di lavoro”, hanno accompagnato la prima introduzione dello strumento, l’idea di trovarci di fronte a codici (meramente) “etici”, perché non rile-vanti in termini giuridici.

Hanno concorso, nel radicamento di questa idea, quattro fattori diversi, legati ad un fraintendimento, a un’assonanza, ad una reazione di rigetto, ad un (questo più problematico) dato fattuale.

Il fraintendimento è l’elemento che più facilmente può essere rimosso: il riferi-mento al modello comparato dei codes of ethics e quindi la collocazione del codice di comportamento nella “famiglia” dei codici etici. Un riferimento corretto, avendo però chiaro che nell’esperienza comparata i “codici etici” sono elenchi di doveri as-sistiti di norma da controlli 25 e sanzioni giuridiche, di tipo anzitutto ma non esclu-

23 Così ai sensi dell’art. 40, comma 1 dello stesso D.Lgs. n. 165/2001: questa formulazione, intro-dotta dall’art. 54 del D.Lgs. n. 150/2009, resta immutata anche a fronte della recente novella che inter-venuta sullo stesso comma in base all’art. 11 del D.Lgs. n. 75/2017. La inderogabilità delle previsioni in materia di responsabilità disciplinare contenuta nello stesso D.Lgs. n. 165/2001 è peraltro espressamen-te affermata anche dall’art. 55, comma 1, ai sensi del quale “le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all’articolo 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, e si applicano ai rapporti di lavoro di cui al-l’articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2”.

24 La contrattazione collettiva, ai sensi del novellato art. 40, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001, “di-sciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali” (prima dell’ultima riforma, era altresì chiamata a determinare “i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie rela-tive alle relazioni sindacali”). La modifica ha però introdotto specifiche “esclusioni”, tra le quali le ma-terie “attinenti all’organizzazione degli uffici” o “afferenti alle prerogative dirigenziali” (si v. lo stesso comma 1 dell’art. 40). Soprattutto, però, discipline dettagliate come quella della materia disciplinare o quella relativa alla valutazione ed alle performance costruiscono un ambiente nel quale la disciplina contrattuale diventa spesso meramente attuativa, se non puramente applicativa.

25 Sul rapporto tra regole di etica pubblica, corruzione e sistema dei controlli, si cfr. in via generale già BRANCASI, Etica pubblica e forme di controllo, in VANDELLI (a cura di), Etica pubblica e buona amministrazione. Quale ruolo per i controlli?, Milano, 2009, 46 ss.

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sivamente disciplinare. 26 Nelle esperienze assunte a modello nella prima elabora-zione teorica dell’istituto, in particolare, quali quella statunitense, il codice è “etico” perché mira a costruire, o ri-costruire, un sistema di valori che sinteticamente pos-siamo definire di “etica pubblica” 27, e quindi l’aggettivazione discende dal contenu-to e non dal valore (giuridico o meramente etico) dello strumento. 28

L’idea di codici chiamati a dirigere e “avviare comportamenti conformi” più che a “sanzionare comportamenti difformi” 29 si lega all’idea risalente, ed in ultima istanza persistente, della “labilissima consistenza pratica” 30 delle regole di condotta, al di là del corpo normativo che “sembra” disciplinare la deontologia del funzionario. 31

L’assonanza è data dalla contestuale disciplina di strumenti parzialmente diversi, previsti per la magistratura, qualificati espressamente come “codici etici” 32, e con le

26 In questo senso cfr. es. B.G. MATTARELLA, Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazio-ne, Bologna, 2007, 62 ss.; MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, Bologna, 2007, passim; cfr. da ultimo D’ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare, cit., 214, che segnala la presenza di elementi “ibridi” “ove a profili vale based si associano elementi rule based” (e v., in questo senso, in termini più generali, H.G. FREDERICKSON (a cura di), Ethics and Public Admi-nistration, New York, Sharpe, 1993, passim ma spec. pp. 136 ss.).

27 Formula che, per BUZZACCHI, Il codice di comportamento come strumento preventivo della cor-ruzione: l’orizzonte di un’etica pubblica, cit., 19, “definisce il corretto agire dei pubblici agenti al servi-zio della collettività e che comprende al suo interno tanto il rispetto della legge quanto la soddisfazione ultima degli interessi protetti, delle giuste aspirazioni dei cittadini utenti, nel rispetto della loro dignità”: in senso analogo già CERULLI IRELLI, Per una politica dell’etica pubblica: controlli e disciplina delle funzioni amministrative, in Vandelli (a cura di), Etica pubblica e buona amministrazione, cit., 28; cfr. già CASSESE, L’etica pubblica, in GDA, 2003, 1097. Una declinazione di questo stesso principio è con-tenuta nel medesimo Codice di comportamento (art. 3, comma 1: “1. Il dipendente osserva la Costitu-zione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico”.

28 Cfr. in questo senso B.G. MATTARELLA, Le regole dell’onestà cit., spec. 131 ss.; nonché già CAR-

LONI, Ruolo e natura dei c.d. “codici etici” delle amministrazioni pubbliche, cit. 29 Cfr. ivi, 149, dove è riportato questa citazione di ELIA (camera dei deputati, Atti parlamentari,

Resoconto stenografico della seduta di giovedì 19 maggio 1994, p. 49). 30 Così GIANNINI, La deontologia del funzionario pubblico (1983), in Scritti, vol. X, sez. II, Scritti

inediti, Milano, 2008, 319. 31 In termini generali, cfr. D’ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare,

cit., 213, che ravvisa come questa “labilissima consistenza pratica” già rimarcata da Giannini costitui-sca “il leitmotiv dell’evoluzione della disciplina in questi ultimi venti anni”.

32 Rimane una disciplina specifica per i codici di comportamento delle magistrature, oltre che del-l’Avvocatura dello Stato, la cui elaborazione continua a essere affidata alle associazioni di categoria: “l’a-desione da parte dei singoli magistrati e avvocati è però ora obbligatoria e non più facoltativa. Non è stabi-lito, peraltro, come debba avvenire l’adesione, né quali siano le sanzioni per la violazione dell’obbligo” (così B.G. MATTARELLA, Le nuove regole di comportamento dei pubblici funzionari, Relazione al 59° Convegno di studi amministrativi (Varenna, 19-21 settembre 2013), in Astrid Rassegna, 2013, 13).

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variabili esperienze e modellistiche di codici etici, tra i quali quelli elaborati a livel-lo internazionale. In via generale, il codice di comportamento finisce per essere ri-compreso, correttamente a fini descrittivi ma non altrettanto a fini prescrittivi, se cioè da questa categorizzazione si fanno discendere effetti sul valore dello strumen-to, in un insieme composito di cataloghi di doveri (i “codici etici”, appunto) deputa-ti a definire gli standard di condotta di categorie di personale pubblico o di specifi-che amministrazioni, dal variabile valore giuridico ma di norma frutto di autonome scelte delle singole istituzioni.

Sono pero soprattutto altri fattori ad incidere sulla “collocazione” del codice di comportamento, a partire da quello legato, si è detto, ad una “reazione di rigetto”, o forse meglio ad una marginalizzazione e svuotamento di un meccanismo difficil-mente compatibile con l’idea di una piena privatizzazione (da intendere anzitutto come piena contrattualizzazione, ma anche come tendenziale omologazione in ter-mini di fonti di disciplina 33) del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazio-ni. 34 In un disegno, in particolare, nel quale era apparso da subito complesso tenere insieme la competenza della contrattazione sulla definizione delle infrazioni e delle relative sanzioni disciplinari, ed una fonte pubblica ed unilaterale deputata a pre-definire una serie di doveri rilevanti, anch’essi, sul versante disciplinare. 35

L’elemento “estraneo”, specie nella stagione in cui la contrattazione acquista non solo centralità, ma anche capacità espansiva (per la capacità, riconosciuta dalla legge, di sostituirsi alle previsioni di legge rivolte al personale pubblico: una previsione que-sta, peraltro, ora riproposta dalle modifiche più recenti al D.Lgs. n. 165/2001 36), vie-

33 Un’omologazione, peraltro, che diviene sempre meno percorribile nel momento in cui in ambito privato si indeboliscono una serie di protezioni, come mostra bene la questione del mantenimento, in ambito pubblico, della tutela ripristinatoria in caso di licenziamento disciplinare illegittimo, con una chiara differenziazione rispetto al regime previsto ora dal D.Lgs. n. 23/2015 in ambito privato, dove la reintegrazione è prevista (per i nuovi contratti) solo ove sia direttamente dimostrata in giudizio l’insus-sistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, restando dunque esclusa, a questo fine, ogni valuta-zione circa l’eventuale sproporzione del licenziamento.

34 GREGORATTI-NUNIN, Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici tra deontologia e esi-genze disciplinari (art. 58-bis), in F. Carinci-D’Antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle am-ministrazioni pubbliche. Commentario, Milano, 2000, tomo II, spec. 1638 ss.; ID., I codici di compor-tamento, in F. Carinci-L. Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino 2004, II, 827 ss.; MAINARDI-M. MISCIONE, Potere e responsabilità disciplinare (artt. 58 bis; 59; 72 c. 2; 74, c. 3), in F. Carinci (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Milano, 1995, II, 1034 ss.

35 Cfr. in questo senso es. NOVIELLO-TENORE, La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2002, 100 ss.; in senso opposto si v. già, diffusamente, CARLONI, Ruolo e natura dei c.d. ‘codici etici’ delle amministrazioni pubbliche, cit.

36 Previsione destinata però ora a svolgere un ruolo meno significativo sul fronte della responsabili-tà disciplinare, ora densamente disciplinata dallo stesso D.Lgs. n. 165/2001.

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ne quindi marginalizzato nella sua prospettiva di fonte di doveri disciplinari, e que-sto in un contesto più complessivo nel quale è la stessa funzione disciplinare a co-noscere un progressivo inaridimento, sia quantitativo che qualitativo. 37

È in questo scenario che matura l’ultimo, e più significativo, elemento che con-tribuisce a ritenere non rilevanti in termini di responsabilità disciplinare, e quindi in ultima istanza meramente “etici” in quanto sprovvisti di cogenza, od al più provvisti di una cogenza “tenue” e legata essenzialmente al collegamento con clausole con-trattuali 38, i doveri definiti attraverso il codice di comportamento: l’ineffettività del-lo strumento, all’interno di un una complessiva scarsa effettività dei meccanismi della responsabilità disciplinare. Fino alla riforma del 2012, sono sparute le pronun-ce giurisprudenziali in materia di sanzioni disciplinari irrogate per violazione di do-veri contenuti nel codice di comportamento, e questo in un contesto (ben fotografa-to dall’indagine condotta dal Greco sull’Italia nel 2008 39) nel quale sono le sanzioni disciplinari ad essere sporadiche e, se più afflittive, in larga parte legate a vicende di rilevanza penale.

Questo esito, di sostanziale ineffettività, va però rivalutato: alla luce dell’innova-zione legislativa che ha interessato i codici di comportamento, la cui riforma era

37 In questo senso si v. i dati riportati da CAVALLO PERIN-GAGLIARDI, Status dell’impiegato pubbli-co, responsabilità disciplinare e interesse degli amministrati, in DA, 2009, 53 ss., che mostrano la va-lenza assolutamente ridotta delle sanzioni disciplinari che non si collegano a comportamenti già puniti come reati, o a comportamenti contro l’organizzazione (come le assenze ingiustificate, le violazioni di ordini dei superiori o il comportamento scorretto nei confronti dei colleghi): “colpisce l’esiguità del contenzioso che ha avuto sinora ad oggetto le sanzioni disciplinari irrogate ai dipendenti pubblici per comportamenti rilevatisi contrari agli interessi degli amministrati”.

38 Questo orizzonte trova ancora conferma nella stessa direttiva del Ministro Nicolais, del 2007: “è opportuno ricordare che tutte le prescrizioni contenute nel Codice di condotta assumono, oltre che un valore etico, uno specifico rilievo giuridico, atteso che è sulla base dello stesso che possono essere comminate le sanzioni di più tenue afflittività”, e questo in particolare in virtù delle previsioni contrat-tuali che individuano la sanzione del rimprovero verbale o scritto o della multa di importo pari a quattro ore di lavoro alla “inosservanza delle disposizioni di servizio” (cfr. Ministero per le riforme e le inno-vazioni nella Pubblica Amministrazione, Direttiva 6 dicembre 2007, n. 8, Principi di valutazione dei comportamenti nelle pubbliche amministrazioni – responsabilità disciplinare). Il collegamento tra co-dici di comportamento e la generica “inosservanza di disposizioni di servizio” ha avuto, inoltre, l’ulte-riore effetto negativo di svuotare il valore del codice anche nel suo valore “preventivo”, di indirizzo delle condotte: parla di “un adeguamento verso il basso” come effetto di questi processi D’ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare, cit., 218.

39 Si veda quindi il successivo Evaluation Reports on Italy del Groupe d’Etats contre la Corruption (Greco) del Consiglio d’Europa, del 2009. La riduzione del contenzioso in materia disciplinare era pe-raltro da tempo stata ravvisata: cfr. es. Corte dei conti, deliberazioni sez. controllo, 9 maggio 1997 n. 70, per la quale “la riduzione del contenzioso in materia disciplinare non può non derivare da un atteg-giamento mite della amministrazione nel comminare le sanzioni e da una sostanziale disarticolazione della funzione disciplinare. Minimo è il ricorso alla funzione disciplinare e il più delle volte contrasse-gnato da sanzioni irrilevanti, che non inducono a ricorrere al collegio arbitrale”.

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non a caso suggerita e richiesta dallo stesso Greco 40, ma anche tenendo conto delle riforme che hanno riguardato, a partire dal 2009 ed ora di nuovo, i meccanismi della responsabilità disciplinare.

4. La dimensione “disciplinare” dei codici di comportamento

È nel quadro della crescente attenzione al recupero della funzionalità della re-sponsabilità disciplinare che va collocato il ripensamento del ruolo dello strumento dei codici di comportamento: questo perché, al di là della chiara indicazione legisla-tiva di una loro valenza “disciplinare”, appare necessario riflettere sulla effettiva capacità del codice di comportamento di svolgere un ruolo nella conformazione do-verosa delle condotte dei dipendenti pubblici. Un codice, dunque, in grado (ora) di svolgere non solo una funzione “preventiva” 41, di orientamento valoriale delle con-dotte, ma anche “repressiva”, assicurata dal fatto che il codice è ora chiaramente assistito da sanzioni (non solo, ma in primo luogo) disciplinari. 42

In termini assoluti, i dati disponibili 43 mostrano una crescente effettività dei meccanismi della responsabilità disciplinare: per quanto si tratti di dati ancora per-centualmente ridotti, è marcato il miglioramento rispetto ad alcuni anni addietro. In questo senso, però, si tratta di indicazioni che ancora riescono a dare conto essen-zialmente delle riforme che precedono la legge n. 190 del 2012, e riflettono dunque anzitutto le innovazioni del 2009.

La tradizionale debolezza della funzione disciplinare 44 è, evidentemente, solo

40 Si v. il Guiding principle 10: “consequently the GET recommends that (i) consistent and enforce-able ehical standards be required for all officials within public administration”.

41 Parla (con riferimento già al primo codice di comportamento, del 1994 e ripercorrendone l’evo-luzione) di uno strumento concepito anzitutto come mezzo “di ausilio e di indirizzo”, piuttosto che di controllo e repressione, D’ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare, cit., 317.

42 In questa duplice prospettiva, di prevenzione e repressione delle condotte illecite, “il codice risul-ta così uno strumento potenzialmente più efficace nell’estirpare condotte contrarie ed incompatibili con l’interesse della collettività” (così per BUZZACCHI, Il codice di comportamento come strumento preven-tivo della corruzione: l’orizzonte di un’etica pubblica, cit., 18).

43 Si v. i dati sui procedimenti disciplinari ed i relativi esiti (al 2015) dell’ispettorato del dipartimen-to per la funzione pubblica (in www.funzionepubblica.gov.it/).

44 Una debolezza legata in misura rilevante alle riforme ed ai processi della c.d. “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego (si v. diffusamente, infra), ma nondimeno della quale possono rintracciarsi tracce più risalenti (parla, con riferimento allo sviluppo della responsabilità disciplinare negli anni Ottanta del secolo scorso, di un declino frutto della “recessione dei sistemi disciplinari e della deontologia profes-sionale del pubblico funzionario” GIANNINI, La deontologia del funzionario pubblico, cit., 322).

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attenuata e non certo risolta dalle riforme dell’ultimo decennio 45: per quanto si tratti di un dato che caratterizza, sia pure con eccezioni legate a specifiche realtà istitu-zionali, l’esperienza amministrativa italiana, è avvertito il ruolo negativo giocato dalla contrattazione, anzitutto in termini di iper-protezione del dipendente nelle pro-cedure disciplinari 46, ma anche in termini di “eccezionalità” delle sanzioni afflitti-ve, con effetti tanto più gravi in un contesto nel quale tradizionalmente nel rapporto di lavoro con le amministrazioni manca un datore di lavoro “sollecito a far rispetta-re i doveri del dipendente” 47 e di converso “l’interesse a perseguire la devianza di-sciplinare è dunque un interesse minimo”. 48 Tendenze cui il legislatore ha reagito, con la riforma del 2009 ed ora con gli stessi decreti attuativi della legge 124 del 2015, sia ridisciplinando, e rilegificando, le procedure 49, sia individuando specifi-che responsabilità per la mancata attivazione dei procedimenti disciplinari 50, perfi-no dequotando i vizi procedurali a vizi formali 51, sia prevedendo ipotesi di “licen-ziamento disciplinare” per espressa previsione di legge 52: un’ipotesi, quest’ultima, nella quale si innestano ora gli stessi doveri di comportamento definiti dal codice di comportamento, le cui violazioni (se “gravi o reiterate”) sono appunto suscettibili di licenziamento ai sensi dello stesso art. 55-quater 53.

45 Sulle disfunzioni della responsabilità disciplinare, cfr. TIZZANO, Il potere disciplinare nella p.a.: un potere trascurato, in questa Rivista, 2008, 1, 207 ss.; già LIGNANI, La responsabilità disciplinare dei dipendenti dell’amministrazione statale, in Sorace (a cura di), Le responsabilità pubbliche: civile, am-ministrativa, disciplinare, penale, dirigenziale, Padova, 1998, 381 ss.

46 Lamentava, ad esempio, l’“aumento geometrico delle questioni interpretative” e la “possibilità di evitare pene espulsive per questioni meramente formali” la C. Conti (Relazione concernente l’indagine sulla gestione dei procedimenti disciplinari, della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, delibera 7 del 17 maggio 2006).

47 VIRGA, La responsabilità disciplinare, Relazione al 44° Convegno di studi amministrativi di Va-renna, 17-19 sett. 1998.

48 LIGNANI, La responsabilità disciplinare dei dipendenti dell’amministrazione statale. cit., 384. 49 Art. 55-bis, “Forme e termini del procedimento disciplinare” (articolo introdotto dall’art. 69 del

D.Lgs. n. 150/2009). 50 Si v. in particolare l’art. 55-sexies, comma 3 (ora novellato); cfr. però anche le innovazioni intro-

dotte da ultimo con la modifica dell’art. 55, comma 1, e dell’art. 55-quater, con l’aggiunta al comma 1 della nuova lettera f-ter).

51 In questo senso si la nuova disciplina ora contenuta nel comma 9-ter dell’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165/2001: vizi di procedura o mancato rispetto dei termini non comportano decadenza dell’azione di-sciplinare né l’invalidità degli atti o della sanzione irrogata “a meno che non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto alla difesa del dipendente”.

52 Cfr. BOSCATI, Il licenziamento disciplinare nel settore pubblico ed in quello privato nell’evo-luzione legislativa recente: una diversa tecnica d’intervento, ma un convergente obiettivo di incremento dell’efficienza e della produttività, in DML, 2016, 1, pt. 1, 69 ss.

53 Ai sensi dell’art. 54, comma 3, “violazioni gravi o reiterate del codice comportano l’applicazione  

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170 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

La valenza disciplinare del codice di comportamento, chiaramente ora affermata dal comma 3 dell’art. 54 del D.Lgs. n. 165 del 2012, è dunque ulteriormente avvalo-rata dal rilievo dato ai comportamenti più gravemente lesivi dei doveri del codice appunto in termini addirittura espulsivi, come da ultimo ribadito appunto dalla ri-forma dell’art. 55-quater relativo al licenziamento disciplinare 54: per quanto circo-scritto da cautele proprio ad opera dello stesso d.P.R. n. 62 del 2013, che all’art. 16 riconduce questi provvedimenti non solo ai casi più gravi, ma anche ad alcune (li-mitate) ipotesi e, quindi, alla violazione di alcuni soli doveri.

Ferma questa valenza disciplinare, resta in ogni caso non del tutto risolto il nodo problematico del raccordo tra doveri (del codice) e sanzioni, restando confermato, in via generale, che “la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi”. 55 Questo, però, ai sensi della legge, fatte salve le previsioni contenute nello stesso D.Lgs. n. 165 del 2001, e quindi, in particolare, facendo salvi i doveri rimessi alla definizione unilaterale attraverso i codici di comportamento e la loro stessa rilevanza disciplinare. 56

Ne discende un “equilibrato bilanciamento” 57 di strumenti e soluzioni, che resta forse ancora non pienamente appagante: l’irrogazione di sanzioni viene in primo luogo rimessa ad una valutazione “caso per caso”. Infatti, “la violazione è valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del comportamento ed all’entità del

della sanzione di cui all’articolo 55-quater, comma 1. Le modifiche più recenti al D.Lgs. n. 165 del 2001, che hanno meglio raccordato in questo senso le disposizioni dell’art. 54 e quelle dell’art. 55-quater.

54 La tendenza del legislatore è quella di ampliare progressivamente le ipotesi di licenziamento di-sciplinare ex lege, introducendo nuove ipotesi nell’articolo 55-quater (o facendo riferimento a questo istituto, come nel caso appunto dell’art. 54 così come novellato dalla legge 190 del 2012): così il D.Lgs. n. 75/2017 ha previsto nuove fattispecie aggiungendo le lettere da f-bis a f-quinquies, dopo che il D.Lgs. n. 116 del 2016 era già intervenuto per consentire una più efficace e rapida applicazione del li-cenziamento disciplinare alle ipotesi (già previste dalla lett. a) del comma 1 dello stesso art. 55-quater) di falsa attestazione della presenza in servizio.

55 Così ai sensi dell’art. 55, comma 2, dello stesso D.Lgs. n. 165/2001. 56 Come confermato appunto dallo stesso Codice di comportamento (d.P.R. n. 62/2013), in partico-

lare all’art. 16, comma 1: “la violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comporta-menti contrari ai doveri d’ufficio. Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni con-tenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico di-pendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni”.

57 L’esigenza di un “equilibrato bilanciamento” in materia di disciplina “pubblica e privata” del rap-porto di lavoro con le pubbliche amministrazioni è un dato che connota lo sviluppo della materia, specie nella sua stagione di “snodo” in occasione dei processi di privatizzazione-contrattualizzazione: in meri-to cfr. per tutti già ORSI BATTAGLINI, Fonti normative e regime giuridico del rapporto di impiego con enti pubblici, in DLRI, 1993, 461 ss.; PIOGGIA, La competenza amministrativa. L’organizzazione fra specialità pubblicistica e diritto privato, Torino, 2001.

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 171

pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell’amministrazione di appartenenza”. 58

Spetta inoltre alla contrattazione assicurare un ulteriore “allineamento” di doveri e sanzioni: “i contratti collettivi possono prevedere ulteriori criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione” del codice di comportamento. 59

Nell’ottica del miglioramento dell’amministrazione, e del recupero di una sua più forte legittimazione, il ruolo dei codici di comportamento non deve essere tra-scurato anche a fronte di scelte legislative che paiono invece concentrarsi sempre più spesso su questioni più semplicemente “prestazionali”, a partire da quelle relati-ve alle attestazioni di presenza in servizio: per quanto non si possano trascurare condotte da considerare comunque gravi in termini di violazione del rapporto di fi-ducia con l’amministrazione, è chiaro che un sistema denso di criticità come quello italiano ha bisogno di sviluppare anticorpi maggiori, e più ampi, che non quelli rela-tivi alla sola garanzia di presenza in servizio del personale. 60

Si avvertono, in questo senso, i limiti dell’approccio “efficientista”, teso a cen-trare le questioni di responsabilità disciplinare sul rispetto di obblighi di prestazio-ne, prevedendo ipotesi di licenziamento disciplinare per “falsa attestazione della presenza in servizio”, “giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certi-ficazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia”, “assenza pri-va di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, supe-riore a tre nell’arco di un biennio”, “ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio”. Spicca, in particolare, l’a-simmetrico trattamento riservato a questioni di presenza in servizio rispetto al com-pimento di reati contro la pubblica amministrazioni: in caso di reati, ad esempio, il licenziamento è previsto solo a fronte di una “condanna penale definitiva, in rela-zione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estin-zione, comunque denominata, del rapporto di lavoro”. 61

È evidente, in sostanza, l’importanza del codice di comportamento nel sistema della responsabilità disciplinare, perché è essenzialmente attraverso questo strumen-

58 Art. 16, comma 2, dello stesso d.P.R. n. 62/2013. 59 Si v. di nuovo l’art. 16, comma 2, d.P.R. n. 62/2013. 60 Sull’esigenza di dedicare adeguata attenzione a livello normativo ai profili di esclusività ed im-

parzialità dei funzionari pubblici, cfr. MERLONI, I funzionari professionali, in Merloni-Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa, Firenze, 2010, 281 ss.

61 V. in questo senso l’art. 55-quater del D.Lgs. n. 165/2001. Da notare come le riforme più recenti abbiano innovato solo parzialmente queste previsioni sul versante delle sanzioni collegate a condotte illecite o episodi di corruzione e maladministration, mentre hanno rafforzato anzitutto le ipotesi di li-cenziamento disciplinare per questioni più puramente legate alla presenza in servizio ed alla mera pre-stazione.

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to che possono entrare, tra le situazioni di doverosità assistite da sanzione discipli-nare, quelle relative a questioni di interesse pubblico e non riconducibili in una di-mensione essenzialmente sinallagmatica. 62 Con il che, si avverte il ruolo più com-plessivo del codice, a presidio di un’area di “specialità” del rapporto di lavoro pub-blico irriducibile nelle dinamiche negoziali e di scambio. E che il rapporto di pub-blico impiego non possa ricondursi ed esaurirsi ad una relazione di mera sinallag-maticità propria delle obbligazioni a prestazioni corrispettive di natura patrimoniale “discende dal principio costituzionale […] in base al quale i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. 63

Una lettura del rapporto di “pubblico impiego” 64, si noti, che non è però altret-tanto presente nella giurisprudenza del giudice ordinario, quale giudice del rapporto di lavoro 65: un giudice troppo spesso incapace di leggere adeguatamente le esigenze di interesse pubblico che stanno dietro le (ed a supporto di) sanzioni disciplinari per violazioni di doveri, con l’effetto, in particolare, di indebolire in ambito pubblico l’istituto del licenziamento per giusta causa, proprio per condotte pregiudizievoli della funzione e del “servizio alla Nazione” enfaticamente affermato dall’art. 54 della Costituzione. 66

5. I doveri del funzionario e le “altre” responsabilità per la loro violazione

Il rilievo disciplinare da riconoscere alle violazioni dei doveri definiti dai codici di comportamento non ne esaurisce in ogni caso la rilevanza in termini di responsa-

62 Cfr. CAVALLO PERIN-GAGLIARDI, Status dell’impiegato pubblico, responsabilità disciplinare e in-teresse degli amministrati, cit., 53: “la tendenza a ridurre i valori deontologici ad un sinallagma dare-avere tra dipendente e datore di lavoro [...] porta a ritenere che l’efficienza dell’amministrazione sia data dal mero raggiungimento di risultati verso il datore di lavoro in ragione del numero di pratiche di-sbrigate o di prestazioni erogate, che porta inevitabilmente a trascurare l’imparziale erogazione delle stesse”.

63 Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 5935/2005. 64 CAVALLO PERIN, Le ragioni di un diritto ineguale e le peculiarità del rapporto di lavoro con le

amministrazioni pubbliche, in DA, 2003, 119 ss.; nonché, più recentemente, CALCAGNILE, Il rapporto di impiego con gli enti pubblici e la funzione amministrativa, ivi, 2010, 87 ss.

65 Sulla diversa prospettiva offerta dallo “sguardo” del giudice ordinario rispetto al giudice ammini-strativo nel ricostruire i rapporti con l’amministrazione, v. in termini generali PIOGGIA, Funzione ammi-nistrativa e giudice del lavoro, in questa Rivista, 2007, 2, 395 ss.

66 La prestazione lavorativa, in particolare, risulta ordinata non solo alla soddisfazione dell’interesse dell’organizzazione, ma “al perseguimento imparziale di quegli interessi superindividuali o collettivi – detti interessi pubblici – che l’ordinamento di volta in volta ha inteso tutelare” (CAVALLO PERIN, L’etica pubblica come contenuto di un diritto degli amministrati alla correttezza dei funzionari, in Merloni-Cavallo Perin (a cura di), Al servizio della Nazione, cit., 159).

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 173

bilità: questo è espressamente riconosciuto dall’art. 54, comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, ai sensi del quale “la violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabi-lità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti.”

Si tratta di un esito cui era peraltro giunta la stessa giurisprudenza, confutando quindi su versanti diversi ed ulteriori rispetto a quello della responsabilità discipli-nare la tesi della “irrilevanza giuridica” del codice di comportamento. In questo senso, da tempo si segnalava (e questo ora tanto più dopo le recenti riforme), in par-ticolare, come la violazione del dovere di astensione sancito dal codice di compor-tamento si riverberasse sulla legittimità degli atti amministrativi. È questo il versan-te sul quale più spesso si è incentrata la giurisprudenza amministrativa in materia di codici di comportamento, sancendo l’annullabilità di atti amministrativi adottati in violazione di obblighi di astensione e quindi evidenziando il rilievo dei doveri sul-l’azione amministrativa nel suo complesso, riconoscendoli quale elemento che, in sostanza, regolando le condotte dei funzionari regola la funzione stessa. 67

Ma è anche sul versante delle responsabilità che il codice di comportamento è stato utilizzato dalla giurisprudenza, contabile e penale, quale parametro di riferi-mento. 68

Così, il dovere relativo all’utilizzo “del materiale e delle attrezzature di cui di-spone per ragioni di ufficio” non a fini privati è rilevante non solo in termini di re-sponsabilità disciplinare, ma assume rilievo per profili di responsabilità diversi. Si possono ricordare, in questo senso, le indicazioni fornite dalla magistratura contabi-le rispetto all’utilizzo non conforme del servizio internet, con condanna per risarci-mento del danno corrispondente alla retribuzione “indebitamente” percepita, o quel-le sull’utilizzo improprio della propria postazione telefonica, od alla giurisprudenza penale per l’utilizzo dell’autovettura di servizio od altre attrezzature di ufficio per finalità non istituzionali 69: il tutto, peraltro, con un approccio particolarmente rigo-roso, se non rigido, anche a fronte di violazioni di limitato rilievo economico.

Si può leggere, in questa giurisprudenza, una dinamica interessante, anche al di là dei casi specifici, che è data dall’innestarsi del codice di comportamento in fatti-specie, anzitutto di reato, che pongono attenzione (con formulazioni diverse) a “vio-

67 Es., recentemente, TAR Reggio Calabria, sent. n. 517/2013. 68 Sul rilievo riconosciuto alla violazione dell’obbligo di astensione così come configurato dal codi-

ce di comportamento, cfr. es. C. Conti Lazio, sez. giurisdiz., 12 settembre 2005, n. 1726; in termini ge-nerali, sul rilievo del codice di comportamento per inquadrare condotte contrastanti con i doveri del servizio, C. Conti Puglia, sez. giurisdiz., sent., 07 ottobre 2005, n. 788.

69 Una rassegna ampia di questa giurisprudenza in GIANNOTTI, Le conseguenze, per il dipendente pubblico, in caso di improprio utilizzo dei beni dell’ente, in Azienditalia – Il Personale, 2016, 465 ss.; per i reati di peculato e la rilevanza della violazione dei doveri previsti dal Codice di comportamento cfr. es. Cass. pen. sez. VI, 8 aprile 2009, n. 21165, nonché già Cass. pen. sez. VI, 15 gennaio 2003, n. 7772; Cass. pen. Sez. VI, 6 febbraio 2001, n. 16245; Cass. pen. Sez. VI, 23 ottobre 2000, n. 3879.

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lazioni di doveri”. In questo senso, il codice riempie di contenuto una fattispecie aperta, e di converso acquista, per questa via, un rilievo non secondario, che finisce anzi per tenere sullo sfondo la stessa questione della sanzionabilità in termini disci-plinari.

La violazione dei doveri di comportamento rileva in modo interessante per i ri-flessi che esercita sulla legittimazione dell’amministrazione e quindi, di converso, nel configurare un “danno all’immagine” sanzionabile da parte della magistratura contabile. 70

Nella prospettiva della responsabilità penale, appare d’altra parte evidente l’im-patto che discende dalla nuova veste, regolamentare, del codice di comportamento nella prospettiva della configurabilità di fattispecie di reato come quella dell’abuso di ufficio. 71

Tutte dinamiche, queste, che mostrano bene il rafforzamento della dimensione giuridica, anche se non necessariamente disciplinare, del codice di comportamento e dei doveri in esso contenuti: in termini complessivi, appaiono d’altra parte interes-santi questi processi di juridification 72 dei doveri di condotta proprio perché in gra-do di proiettarne la valenza al di là delle dinamiche organizzative ed “interne”, ver-so la costruzione di situazioni doverose che si riflettono nei diritti dei cittadini ad una “buona amministrazione” e quindi, in particolare, nel loro diritto alla correttez-za ed integrità dei funzionari. 73

Questa riconosciuta importanza del codice di comportamento nel sistema dei

70 Così, ad esempio, “concretizza danno all’immagine della amministrazione il comportamento del dipendente pubblico che, facendo leva sulla propria posizione istituzionale, aveva conseguito da parte di soggetti in rapporto con l’ente pubblico di appartenenza utilità personali, quali regalie di beni e servi-zi e ciò in violazione […] decreto del ministro per la funzione pubblica del 31 marzo 1994” (C. Conti Marche, sez. giurisdiz., 9 luglio 2002, n. 658).

71 L’attuale codice è emanato nelle forme previste per i regolamenti governativi dall’art. 17 della legge n. 400/1988 e, quindi, rientra di pieno diritto fra le fonti previste dall’art. 323 c.p., relativo al rea-to di abuso di ufficio (cfr. in merito, v. BENUSSI, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica ammi-nistrazione, in Marinucci-Dolcini (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte speciale, Padova, 2013, 277 ss.).

72 Intendendo con questo il processo che “sposta il confine di ciò che è giuridicamente rilevante e ne muta le tecniche di tutela” e come tale è idonea “a trasformare interessi di fatto in interessi giuridica-mente protetti e dunque ad accrescere le posizioni soggettive garantite dall’ordinamento” (B. MAR-

CHETTI-RENNA, I processi di giuridificazione: soggetti, tecniche, limiti, in Id. (a cura di), La giuridifica-zione. A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana – Studi, III, Firenze, 2016, 13).

73 Sulla “percorribilità” della possibilità per gli amministrati di agire a protezione di “veri e propri diritti alla correttezza di funzionari e dipendenti pubblici”, correlati agli obblighi di questi alla “legalità, fedeltà, diligenza, rettitudine ed obbedienza”, cfr. le notazioni di CAVALLO PERINI-GAGLIARDI, L’etica pubblica come contenuto di un diritto degli amministrati alla correttezza dei funzionari, in Merloni-Cavallo Perin (a cura di), Al servizio della Nazione, cit., spec. 160.

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doveri, rilevanti in termini anzitutto disciplinari, non esaurisce però l’attenzione da riconoscere a questo strumento, che proprio nel suo declinarsi, ora, in forme e modi diversi presso ciascuna amministrazione acquisisce un ruolo ed una prospettiva ul-teriore, che si lega non a caso al sistema dell’anticorruzione nel cui crogiuolo è ma-turata la nuova disciplina dell’istituto.

6. La dimensione “dinamica” ed organizzativa: i codici come strumento dell’anticorruzione

Il rapporto tra Codici di comportamento e “sistema” dell’anticorruzione è com-plesso, e si sviluppa su più versanti.

Da un lato, infatti, il codice si lega strettamente ad una serie di ipotesi di reato, a partire dallo stesso reato di corruzione.

In un’ottica più complessiva, che guarda ad un concetto di corruzione ammini-strativa più largo e ad una logica di contrasto che passa attraverso la prevenzione e non solo attraverso la repressione, il rapporto si declina anche attraverso altre due dinamiche.

In primo luogo, attraverso il codice vengono assunti come rilevanti i doveri de-finiti attraverso il piano di prevenzione della corruzione: “la violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all’attuazione del Pia-no di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare”. L’arti-colo 54 contiene dunque tre sistemi di doveri che si integrano strettamente a com-porre il quadro dei doveri del funzionario: il codice nazionale, definito ora dal d.P.R. n. 62, il codice che ciascuna amministrazione è ora chiamata ad adottare, i doveri “relativi all’attuazione del piano di prevenzione della corruzione”. 74 Gli uni come gli altri sono posti, da questo punto di vista, sullo stesso piano, anzitutto in termini di rilievo in termini disciplinari della loro violazione.

In secondo luogo, con una dinamica che è nostro avviso ancora più significativa, il codice di comportamento va poi inteso, esso stesso, come strumento dell’anticor-ruzione, e quindi come “misura di prevenzione” che si inserisce a valle della valuta-zione del rischio di corruzione. In questo senso, il codice è uno degli elementi che costituiscono la struttura fondamentale del nuovo impianto, insieme alle misure di

74 Da notare, peraltro, come il codice di comportamento contempli tra i doveri del dipendente quello di collaborare con il responsabile della prevenzione della corruzione, rispettare le prescrizioni del piano di prevenzione (oltre che quelle in materia di trasparenza, come richiesto dal successivo art. 9), nonché quello di segnalare eventuali situazioni di illecito di cui sia venuto a conoscenza (art. 8, d.P.R. n. 62/2013).

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trasparenza, alle incompatibilità ed inconferibilità, al sistema dei piani anticorruzio-ne, con i quali dialoga e dei quali ultimi è parte. 75

Questo conferisce una prospettiva “dinamica”, non solo “statica” al codice di comportamento, ed è questo uno sviluppo, si noti, che si lega coerentemente alla progressiva emersione di una dimensione prettamente organizzativa 76 (e “marcata-mente organizzativo-gestionale” 77) dell’etica pubblica, intesa come “integrità” nelle riforme del 2009 e lì strettamente intrecciata con la prospettiva del miglioramento delle performance dell’amministrazione, attraverso la riduzione degli episodi di ma-ladministration.

Questa prospettiva, come accennato, conferisce un rilievo particolare alla neces-saria adozione, da parte di ciascuna amministrazione, di “propri” codici di compor-tamento 78: il codice diviene meccanismo di prevenzione, da calibrare tenuto conto del contesto, interno ed esterno, e del “rischio”. 79 Dialoga con il processo di risk assessment 80 e reagisce al verificarsi di episodi di maladministration 81: è attraverso

75 Per un quadro complessivo, cfr. MERLONI, I piani anticorruzione e i codici di comportamento, in DPP, 2013, 8S, 4 ss.

76 Sulla dimensione organizzativa dell’imparzialità, cfr. già MERLONI, Organizzazione amministra-tiva e garanzie dell’imparzialità, in Dpubb, 2009, 57 ss.

77 V. D’ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare, cit., 220. L’innovazione, introdotta nelle riforme del 2009 volte a migliorare l’efficienza delle pubbliche ammini-strazioni, riflette un’impostazione che è ben presente, ad esempio e con un influsso non secondario, nel documento Ocse in materia di innovazione del settore pubblico (OECD, Government at a Glance 2009, OECD Publishing, Parigi, 2009): “il raggiungimento di una cultura dell’integrità richiede un impegno coerente ad aggiornare gli standard, a fornire una guida per l’implementazione degli stessi, monitoran-doli e applicandoli nella pratica quotidiana. Richiede altresì che i Paesi prevedano i rischi e applichino apposite contromisure, tra cui linee guida o restrizioni specifiche, maggiore trasparenza o controllo e sanzioni applicabili” (ivi, p. 107).

78 Art. 54, comma 5: “ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla parte-cipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento di cui al comma 1”.

79 Come ribadito frequentemente dall’Autorità nazionale anticorruzione (es. da ultimo in occasione del Piano nazionale anticorruzione 2016: non si richiede “quindi una generica ripetizione dei contenuti del codice di cui al d.P.R. n. 62/2013, ma una disciplina che, a partire da quella generale, diversifichi i doveri dei dipendenti e di coloro che vi entrino in relazione, in funzione delle specificità di ciascuna amministrazione”), che combina peraltro la prospettiva “dinamica” del risk assessment con quella più “statica” dei doveri rivolti a costruire un ethos condiviso all’interno delle diverse amministrazioni in considerazione delle specificità delle funzioni svolte.

80 In merito a questo processo nella disciplina italiana dell’anticorruzione, cfr. es. TUBERTINI, Piani di prevenzione della corruzione e organizzazione amministrativa, in JusOnline, 2016, 135 ss.

81 Cfr. es. Autorità nazionale anticorruzione, Linee guida in materia di codici di comportamento del-le pubbliche amministrazioni (art. 54, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001), delibera n. 75 del 24 ottobre 2013: “il Responsabile deve verificare annualmente il livello di attuazione del codice, rilevando, ad esempio, il numero e il tipo delle violazioni accertate e sanzionate delle regole del codice, in quali aree  

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Sezione Prima: Dottrina – L’attualità 177

la definizione di un set di doveri più adeguato, e mirato anche a specifiche figure professionali, settori, uffici, e non necessariamente solo alle diverse amministrazio-ni, che le organizzazioni sono poste in condizione di governare situazioni critiche che possono verosimilmente manifestarsi o che si sono già verificate nella storia re-cente dell’ente.

Il codice di comportamento assume anche un rilievo che è assimilabile a quello che caratterizza i codici di condotta nel modello di regolazione che caratterizza la responsabilità “penale” d’impresa (c.d. “modello 231”) e che è stato assunto a rife-rimento nell’elaborazione dell’approccio dei piani di prevenzione 82: la previsione di adeguati doveri e regole di comportamento quale elemento in grado di dimostrare l’adeguatezza della risposta organizzativa al rischio.

Questo ruolo del codice di comportamento trova più conferme, a partire dall’at-tenzione che la stessa autorità anticorruzione dedica all’effettiva adozione di questo strumento di rafforzamento dell’imparzialità, ed alla sua “qualità”.

Proprio in quest’ottica, peraltro, l’esperienza di codificazione di doveri da parte delle singole amministrazioni mostra bene la distanza tra potenzialità ed effettiva implementazione dell’istituto: è ricorrente la constatazione di una limitata differen-ziazione dei codici di comportamento delle amministrazioni, con soluzioni spesso di mera riproduzione del codice nazionale od approcci “mimetici” tra amministrazioni diverse. 83 Tutte scelte che mostrano la sottovalutazione del ruolo dei “doveri” nella prospettiva della prevenzione della corruzione e del miglioramento degli standard di integrità ed imparzialità delle amministrazioni, e restituiscono l’idea di un potenzia-le ancora latente ed inespresso.

Si tratta di un approccio, quello dell’utilizzo dei codici in funzione di anticorru-zione ma più complessivamente quello stesso di risk assessment, che costituisce

dell’amministrazione si concentra il più alto tasso di violazioni. Il Responsabile, inoltre, provvedendo alla comunicazione di tali dati ricavati dal monitoraggio all’Autorità nazionale anticorruzione, assicura che gli stessi siano considerati in sede di aggiornamento sia del Piano triennale di prevenzione della corruzione”.

82 Cfr. in questo senso MERLONI, I piani anticorruzione e i codici di comportamento, cit., 4 ss. 83 Si noti che l’Autorità nazionale anticorruzione oltre a stigmatizzarle ha cercato di circoscrivere

queste pratiche, e si v. in questo senso il Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione per l’omessa adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione, dei Programmi triennali di trasparenza, dei Codici di comportamento, del 9 settembre 2014, in cui sono identificate le fattispecie relative alla “omessa adozione” dei Codici di comportamen-to, ai sensi del quale equivale ad omessa adozione: “l’approvazione di un provvedimento puramente ricognitivo di misure, in materia di anticorruzione, in materia di adempimento degli obblighi di pubbli-cità ovvero in materia di Codice di comportamento di amministrazione; […] l’approvazione di un prov-vedimento, il cui contenuto riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati da altre ammi-nistrazioni, privo di misure specifiche introdotte in relazione alle esigenze dell’amministrazione interes-sata; […] l’approvazione di un provvedimento […] meramente riproduttivo del Codice di comporta-mento emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.

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d’altra parte una novità, ed una importante “scommessa” della legge anticorruzione: amministrazioni in grado di auto-valutarsi e di predisporre soluzioni organizzative adeguate al loro livello di rischio. Un processo non semplice, ed innovativo per quanto mutuato dall’esperienza maturata con il D.Lgs. n. 231 del 2001 nel campo, però diverso, della responsabilità di impresa, che le amministrazioni sono chiamate a fare proprio: questa difficoltà in parte giustifica l’adempimento spesso essenzial-mente formale, di pura “compliance” come ravvisato dalla stessa Autorità nazionale anticorruzione. 84

Proprio la complessità e difficoltà di questo processo avvalora la scelta, del legi-slatore, di affidare all’Anac un compito di guida di questi processi: così spetta al-l’Autorità la definizione di “criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione”. 85

L’esercizio di questa funzione, che richiede ancora di essere sviluppata, può consentire di disporre di soluzioni calibrate sui diversi contesti: modelli “tipo” cui le amministrazioni dovranno attenersi, potendo però inevitabilmente calibrarne l’ap-plicazione tenuto conto del rischio specifico, del contesto interno ed esterno, delle criticità emerse nel corso del tempo sul fronte della cattiva amministrazione. In un “sistema” di codici, chiamato ad affiancarsi al codice nazionale destinato a porsi come nucleo comune, essenziale ma non sufficiente nell’ottica della prevenzione della corruzione.

Una prima esperienza, di sviluppo di questo modello, è stata portata avanti in campo sanitario: con un approccio che riflette quello che sta caratterizzando l’azio-ne dell’Autorità anticorruzione sul fronte dei piani nazionali di prevenzione (sempre più fatti di misure settoriali e meno di soluzioni generali e comuni) sono state, re-centemente, adottate della Linee Guida per l’adozione dei Codici di comportamento negli enti del Servizio Sanitario Nazionale. 86

Il ruolo dell’Autorità, e quindi la prospettiva dei Codici di comportamento come presìdi anticorruzione, è importante anche da una diversa angolazione: partecipando al sistema delle misure di prevenzione, i Codici contengono regole di comporta-mento sulle quali può essere chiamata a pronunciarsi l’Anac nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza. Il Codice di comportamento è “presidiato” dall’Autorità anti-corruzione, e questo in modo particolare con riferimento a quelle previsioni (conte-nute nel codice “nazionale” od in quelli di amministrazione) che riferendosi ad ob-

84 Si v. es. in questo senso i dati risultanti dal rapporto curato da Autorità anticorruzione, Formez e Università di Tor Vergata, Rapporto sullo stato di attuazione e la qualità dei piani triennali di preven-zione della corruzione nelle amministrazioni pubbliche 2015-2017, del 16 dicembre 2015.

85 Si v. il già citato art. 54, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001. 86 Determinazione n. 358 del 29/03/2017 dell’Autorità nazionale anticorruzione; l’opportunità di que-

sto approccio, d’altra parte coerente con le previsioni normative dello stesso art. 54, D.Lgs. n. 165/2001, era stata evidenziata con il Piano nazionale anticorruzione 2016.

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blighi di astensione entrano più direttamente in contatto con le questioni della ma-ladministration.

La questione è interessante: nell’esercizio dei suoi poteri 87 l’Autorità assume le regole di condotta poste dai codici di comportamento a parametro di riferimento per valutare la correttezza dell’azione: questo finisce per conferire alle regole dei codici non solo una maggiore valenza, ma soprattutto una maggiore effettività che si lega alla presenza di questo ulteriore percorso di enforcement. 88

7. La dimensione etica e deontologica dei codici di comportamento

Si coglie, alla luce della ricostruzione fatta, le diverse valenze di codici che sono tutt’altro che “etici” se con questo intendiamo l’assenza di un valore, di una cogenza e persino di una sanzionabilità in termini giuridici. Però i codici di comportamento mantengono una loro valenza “etica”, se con questo facciamo riferimento (come è nell’esperienza americana) a testi che, dotati di valore giuridico, sono orientati alla costruzione (o ri-costruzione) di un sistema di valori condiviso 89, attraverso la defini-zione di doveri rivolti ad una categoria, e ad una “comunità” di individui.

È una prospettiva che non va sottovalutata, e che, coerentemente con i caratteri del modello dei codes of ethics, deve essere tenuta presente: questi strumenti, giuri-dici, devono essere rivolti al rafforzamento dell’eticità delle condotte, dell’integrità, dell’imparzialità, della prevenzione dei conflitti di interesse 90, riflettendo così sul

87 Questo in base all’articolo 1, comma 3, della legge 6 novembre 2012, n. 190, secondo cui l’Auto-rità “esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni e ordina l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dal piano nazionale anticorruzione, dai piani di prevenzione della corruzione delle singole amministrazioni e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalla normativa vigente, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza”.

88 Il procedimento di vigilanza dell’Autorità, attivato d’ufficio o su segnalazione (anche attraverso whistleblowing), si conclude non un atto che può contenere una “raccomandazione con la quale si invi-tano le amministrazioni interessate a prevedere, nei propri codici di comportamento, particolari doveri o divieti di comportamento, anche al fine di prevenire l’insorgere di conflitti di interesse” o “accertamen-to di situazioni di conflitto di interesse già previste dai Codici di comportamento, nazionale o della sin-gola amministrazione interessata” (rispettivamente v. lett. b) ed e), art. 11, comma 1, del Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi nonché sul rispetto delle regole di comportamento dei pubblici funzionari (G.U. n. 91 del 19 aprile 2017).

89 Sul ruolo, la funzione, e la vocazione del funzionario pubblico come amministratore posto al di fuori degli interessi di parte v. già M. WEBER, Politik als Beruf, Wissenschaft als Beruf, Duncker & Humbolt, Berlin, 1919, trad. it. Il lavoro intellettuale come professione, Torino, 1995: “senza tale abne-gazione e disciplina etica nel senso più alto, l’intero apparato andrebbe in rovina” (ivi, p. 73).

90 In merito cfr. già CLAISSE, Conflitto di interessi e funzioni governative: analisi comparata, in  

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piano dei doveri dei funzionari le sfide che caratterizzano le istituzioni e lo stesso progetto costituzionale di amministrazione.

Si tratta, attraverso i codici, di contribuire all’orientamento delle condotte alla cura dell’interesse generale (o, utilizzando l’espressione enfatica del testo costitu-zionale) al “servizio alla nazione”, con “fedeltà ed onore”, in modo “imparziale” ma attento al buon andamento. A ben vedere, i principi di etica pubblica cui indirizzare i comportamenti individuali sono tutt’uno con i principi costituzionali 91 sull’ammi-nistrazione e sul funzionario pubblico 92, e può dunque discutersi dell’esigenza, ed opportunità, di tradurre questi principi e valori in regole giuridiche, affidando a pro-cessi di giuridificazione il rispetto di condotte che dovrebbero essere intimamente sentite e quindi guidate anzitutto dal “tribunale della coscienza”: pur avvertendo i rischi di processi che possono risultare fuorvianti ed ineffettivi, resta chiara l’esi-genza di supportare il rafforzamento degli standard etici, senza che però si possa reputare sufficiente, od efficace, “l’assorbimento in regole disciplinari” delle que-stioni di etica pubblica 93.

Il codice si muove in questo contesto, ampio e necessariamente “ibrido”, ponen-dosi in rapporto diretto con i principi costituzionali, ma anche con le innovazioni e le riforme rivolte a trasformare l’amministrazione pubblica: riflette un’idea di am-ministrazione, un modello di relazione tra amministrazione e cittadini. Si tratta di questioni centrali, che rimandano al complessivo statuto costituzionale del funzio-nario 94, spesso banalizzato entro le dinamiche di modernizzazione improntate va-riamente alla declinazione nazionale dei paradigmi del new public management 95.

CASSESE-B.G. MATTARELLA, Democrazia e cariche pubbliche. Ineleggibilità, incompatibilità, conflitto di interessi: un problema di etica pubblica, Bologna, 1996, 13 ss.

91 Cfr. es., da ultimo, CARIDÀ, Codice di comportamento dei dipendenti pubblici e principi costitu-zionali, in Federalismi.it, 28 dicembre 2016; si v. in merito a questi principi, anche con riferimento al dibattito in Assemblea costituente, PIRAS, Il buon andamento nella pubblica amministrazione tra etica pubblica e corruzione: la novella del nemico immortale, in DE, 2015, 35 ss.

92 “Il vincolo di servizio lega tra loro l’impiegato e quei valori costituzionali di cui la nazione è espressione»: MARONGIU, Funzionario e ufficio nella organizzazione amministrativa dello Stato, in Studi in memoria di Bachelet, I, Milano, 1987.

93 Cfr. D’ALBERTI, Nobiltà e miserie della giuridificazione, in Marchetti, Renna (a cura di), La giu-ridificazione cit., 2016, spec. 482, che si sofferma anzitutto sui rischi di una “giuridificazione ineffetti-va” delle regole di condotta.

94 Cfr. in questo senso NIRO, La corruzione nella prospettiva dei doveri costituzionali degli affida-tari di funzioni pubbliche, in Costituzionalismo.it, n. 3, 2016; cfr. B.G. MATTARELLA, I doveri di com-portamento dei dipendenti pubblici, in www.astrid-online.it, 2010.

95 Ricorda peraltro PASTORI, come alle tre “e” (efficienza, efficacia, economicità), che di questi pa-radigmi costituiscono la declinazione, “si deve aggiungere come altrettanto indispensabile la quarta E, quella dell’etica del servizio” (Prefazione, in URSI, Le stagioni dell’efficienza. I paradigmi giuridici della buona amministrazione, Rimini, 2016, 19). Sulla più complessiva tendenza ad una rivisitazione e superamento del NPM, cfr. es. J. O’FLYNN, From New Public Management to Public Value: Para- 

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In questo senso, i codici di comportamento sono lo strumento attraverso il quale tradurre valori “astratti” in comportamenti concreti dei quali è però chiara una proiezione che supera le logiche meramente adempitive: scorrendo il d.P.R. n. 62 del 2013 questo è evidente, basti pensare a principi come quelli di imparzialità, tra-sparenza 96, parità di trattamento 97, leale collaborazione 98, efficacia ed economicità 99, “apertura” al cittadino 100, che divengono non solo valori, ma “doveri” del funziona-rio. Attraverso questi doveri, che orientano le condotte del personale, si persegue al tempo stesso un miglioramento complessivo della “qualità attesa” anche in un’ottica di servizio: in questo senso la dimensione etica dialoga con la dimensione organizza-tiva, attraverso principi e regole che definiscono il “dover essere” delle condotte e dell’azione su fronti che non si esauriscono sul versante della prevenzione della cor-ruzione. Pensiamo in questo senso a doveri come quelli relativi al rapporto con i citta-dini e tra il personale, alla non discriminazione, a questioni diverse dalla prospettiva della maladministration ma qualificanti per amministrazioni operanti in specifici settori, che giustamente ricorrono con frequenza in numerose “carte” dei doveri.

In termini operativi, ritorna, anche in questo caso, l’importanza dell’adozione di specifici codici di comportamento delle singole amministrazioni, che si pongano quale guida (qui “stabile”) per la definizione, attraverso i doveri, dei valori di un’or-ganizzazione, declinando in modo più puntuale, ed utile quale parametro di riferi-mento concreto per l’orientamento delle condotte, gli stessi principi costituzionali all’interno delle specificità, anzitutto funzionali, dell’ente e delle sue diverse artico-lazioni e professionalità. 101

digmatic Change and Managerial Implications, in Australian Journal of Public Administration, 66, 3, 353 ss.

96 Così ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.P.R. n. 62/2013, “il dipendente rispetta altresì i principi di in-tegrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agi-sce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi”.

97 V. l’art. 3, comma 5, dello stesso decreto. 98 Cfr. il successivo comma 6: “il dipendente dimostra la massima disponibilità e collaborazione nei

rapporti con le altre pubbliche amministrazioni, assicurando lo scambio e la trasmissione delle informa-zioni e dei dati in qualsiasi forma anche telematica, nel rispetto della normativa vigente”.

99 In questo senso v. l’art. 3, comma 4, dello stesso Codice di comportamento: “il dipendente eserci-ta i propri compiti orientando l’azione amministrativa alla massima economicità, efficienza ed efficacia. La gestione di risorse pubbliche ai fini dello svolgimento delle attività amministrative deve seguire una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati”.

100 Si v. diffusamente, in particolare, l’art. 12, ma anche l’art. 9, d.P.R. n. 62/2013. Ancora più chia-ra, a ben vedere, questa prospettiva di “indirizzo” a valori e principi di riforma nel precedente codice di comportamento del 2000 (Presidenza del consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, decreto 28 novembre 2000): si v. es. l’art. 11, che prevedeva anche il dovere al “linguaggio chiaro e comprensibile” nei rapporti con il cittadino.

101 Questa prospettiva, differenziata ma “stabile”, è evidenziata dalla stessa Autorità anticorruzione: “in particolare si ribadisce che gli enti sono tenuti all’adozione di codici che contengano norme e doveri  

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Questa prospettiva può ulteriormente arricchirsi attraverso l’esercizio, da parte dell’Autorità anticorruzione, della sua funzione di “specificazione” di “tipologie” di codici di comportamento: in un processo partecipativo, questo può condurre alla de-finizione dei caratteri attesi delle condotte non solo (in termini comuni, ma perciò inevitabilmente astratti o generici) del “buon funzionario”, ma anche dei compor-tamenti che devono qualificare l’attività di specifiche categorie, che sono poi quelle che in concreto compongono l’universo del funzionariato pubblico: del personale sanitario nel rapporto con i pazienti, o del personale universitario nelle procedure di reclutamento, e così via.

Nello sviluppo di questo sistema di doveri, e quindi riportando l’attenzione al con-tenuto delle singole ipotesi e dei valori che sottendono, emergono le specificità dell’e-tica pubblica, ed i suoi paradossi: l’importanza dell’apparenza, la differenza dall’etica privata, il carattere “prioritario” dell’integrità 102, così come lo stretto collegamento (di nuovo) tra condotte ed esercizio delle funzioni, e quindi tra rispetto dei doveri ed affi-damento pubblico sul corretto esercizio delle funzioni assegnate 103.

In quest’ottica, in cui la dimensione dei codici è etica quanto ad obiettivi, si può segnalare un versante specifico, che merita di essere evidenziato, ed è la rilevanza (anche) “deontologica” del codice di comportamento.

Senza addentrarsi qui in una distinzione tra i concetti di etica e deontologia, si può fare riferimento al ruolo dei codici deontologici di specifiche categorie, e quin-di agli studi che rimarcano il valore di legittimazione, attraverso l’affermazione di specifici doveri, di corpi sociali separati e riconoscibili, e di converso le esigenze di interesse pubblico rimesse ai codici di condotta di specifici “corpi sociali”. 104 Se-guendo questi approcci, i codici deontologici divengono meccanismo di afferma-zione (o ri-affermazione) di un ceto professionale, condizione per l’accettazione so-ciale delle condizioni di “specialità” riconosciute.

Calando questo ragionamento sul contesto attuale della pubblica amministrazio-ne, si vede bene come questa sfida sia necessaria, ma complessa: necessaria per ri-costruire la legittimazione dei funzionari e delle istituzioni in una fase in cui si av-verte distanza e perdita di fiducia 105, ma complessa perché va condotta in un mo-

di comportamento destinati a durare nel tempo, da calibrare in relazione alla peculiarità delle finalità istituzionali perseguite dalle singole amministrazioni” (così dal Piano nazionale anticorruzione 2016, adottato con Determinazione n. 831 del 3 agosto 2016, 15).

102 Si v. D.F. THOMPSON, Paradossi dell’etica della pubblica amministrazione, in PAP, 1994, 1: “proprio perché tutti i problemi sono più importanti dell’etica, l’etica è il più importante di tutti i pro-blemi”, costituendo un prerequisito per la loro soluzione.

103 Cfr., di nuovo, D.F. THOMPSON, Paradossi cit., ma anche TODRES, La dimensione etica nella pubblica amministrazione, in PAP, 1994, 3, 379.

104 Su questi processi, si v. recentemente S. Stacca, L’autodisciplina delle formazioni sociali, in Marchetti-Renna (a cura di), La giuridificazione, cit., 423 ss.

105 In termini generali, sulla necessità del “conseguimento di quello che, nell’esperienza internazio- 

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mento in cui l’appesantimento del bagaglio di doveri non viene accompagnato da un investimento in termini materiali, di risorse, sullo stesso corpo dei dipendenti pubblici.

Proprio per questo, affermare il valore disciplinare dei doveri del codice appare oggi una questione necessaria, ma sulla quale non è utile attardarsi oltre misura: si tratta di doveri che devono essere condivisi, ed introiettati, prima che imposti, ne-cessari per una ri-legittimazione individuale e collettiva, punto di snodo verso una de-banalizzazione del ruolo del funzionario pubblico del quale si avverte sempre più la necessità ma che non sempre trova adeguata attenzione a livello legislativo.

8. Considerazioni conclusive

Così ricostruito, il codice di comportamento mostra bene il suo ruolo e le sue potenzialità, ma rischia anche di risentire del sovraccarico di aspettative, e di que-stioni, che vi si scaricano.

Punto di snodo di dimensioni diverse, di responsabilità (anzitutto disciplinare), prevenzione della corruzione, etica e di legittimazione, del funzionario e delle stesse istituzioni, è in grado di mettere in comunicazione questi diversi versanti ma, all’opposto, rischia di perdersi in una indeterminatezza di funzioni e nella perduran-te debolezza “percepita”, che tuttora lo caratterizza. In questo senso, pare chiara la scelta del legislatore, che risponde agli avvertiti limiti delle esperienze pregresse, di coniugare la prospettiva “preventiva” e di indirizzo con quella “repressiva”, di con-trollo e sanzione, irrobustendo non solo le ipotesi di responsabilità, anzitutto disci-plinare, ma anche le strutture deputate alla vigilanza ed all’enforcement rispetto a questo strumento.

Il tutto in un disegno più complesso, “ibrido” ma non indeterminato, che può conferire a questi cataloghi di doveri una rilevanza significativa nel processo di ri-disegno della “buona amministrazione” italiana.

Riflessioni, queste, che conducono all’esigenza di un investimento crescente sul-l’istituto, non solo e non tanto in termini di un rafforzamento ulteriore per via legi-slativa (dove pure pare opportuno un migliore orientamento della funzione discipli-nare sulle questioni dell’integrità e dell’anticorruzione anziché su quello della mera prestazione e presenza in servizio), quanto con l’azione dei soggetti deputati ad at-tuare ed implementare l’istituto: l’Autorità nazionale anticorruzione, specie nell’e-

nale, è oramai percepito come un nuovo valore, quasi un obiettivo di pubblico interesse, ossia il trust in public administration, drammaticamente basso pressoché ovunque e perciò da recuperare”, v. BARBATI, A proposito di “forme e riforme” della pubblica amministrazione: percorsi avviati e da avviare, in Go-la-Mastragostino (a cura di), Forma e riforma dell’amministrazione pubblica tra crescita economica e servizio al cittadino, Bologna, 2017, 259.

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sercizio della sua competenza di “specificazione” di tipologie e modelli di codice di comportamento, ma soprattutto le amministrazioni, anzitutto disciplinando in modo più efficace i “propri” codici, e lo stesso personale pubblico primi tra tutti i dirigenti che del codice sono ad un tempo destinatari e protagonisti nell’applicazione.

La sfida è quella di un sistema di doveri ad un tempo più adeguato e definito, ma anche meglio corrispondente alle esigenze, diverse, di strutture amministrative ac-comunate da un nucleo di valori di matrice costituzionale ma profondamente diffe-renti tra di loro, come differenti sono le funzioni assegnate e le stesse professionali-tà pubbliche.

Costruire e ri-costruire, almeno in parte, un sistema di valori condiviso del per-sonale delle pubbliche amministrazioni, richiede però non solo una convinta fase attuativa, ma costanza in queste politiche di etica pubblica 106, che le amministra-zioni ma soprattutto il legislatore non sempre mostrano di avere, ed alcune precon-dizioni.

Il nuovo codice di comportamento presenta caratteri più robusti di quelli che lo hanno preceduto, ma resta una pianticella che va ad insediarsi in un terreno partico-larmente arido: mira a rafforzare l’imparzialità di un’amministrazione invecchiata, nella quale le forze più giovani solo in parte minore sono state reclutate per concor-so. Un meccanismo, si noti, che è importante non solo per la sua, vera o presunta, capacità di selezionare per via competitiva i migliori, ma perché in grado di fornire alle amministrazioni (se svolti correttamente) funzionari maggiormente in grado di essere ed apparire imparziali. Stretta tra blocchi di assunzioni, scorrimenti interni e sanatorie ope legis o stabilizzazioni 107, la macchina amministrativa appare partico-larmente debole proprio sul versante del suo personale 108: il che suggerisce, di nuo-vo, l’esigenza di un investimento, in questo caso da parte dello Stato nel suo com-plesso, che proprio in questo svuotamento potrebbe trovare ora le ragioni, e gli spa-zi, per un irrobustimento ed un ringiovanimento di cui il sistema ha particolare bi-sogno. In questo senso, va detto, i segnali anche più recenti sono contraddittori.

Diversamente, è chiaro che al codice di comportamento non può chiedersi di ri-solvere un problema che è in ultima istanza di qualità complessiva dell’amministra-

106 Sul fatto che il problema dell’etica pubblica si pone come “problema di politica legislativa”, cfr. CERULLI IRELLI, Per una politica dell’etica pubblica: controlli e disciplina delle funzioni amministrati-ve, in Vandelli (a cura di), Etica pubblica e buona amministrazione, cit., spec. 29-31.

107 Si v., es., a commento del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, BATTINI, La stabilizzazione dei precari, in GDA, 2013, 917 ss.

108 CASSESE, L’ideale di una buona amministrazione: principio del merito e stabilità degli impiega-ti, Napoli, 2007, lamenta come “in anni recenti, alcune nostre leggi hanno posto in discussione taluni dei principi dello Stato moderno, consacrati persino nella Costituzione: il riconoscimento dei capaci e meritevoli (art. 34), il diritto di tutti i cittadini di accedere agli uffici pubblici in condizioni di egua-glianza (art. 51), l’obbligo di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore (art. 54), l’acces-so agli impieghi mediante concorso (art. 97) […]” (ivi, 3).

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zione, ma al più di fornire un ambiente più favorevole per quegli elementi di qualità dei quali, nonostante tutto, l’amministrazione italiana resta provvista, specie in al-cuni settori non secondari del complessivo sistema amministrativo: elementi però sempre meno numerosi, indeboliti per disinvestimento su corpi tecnici e da riforme per abbandono, schiacciati tra le progressioni verticali di un corpo di dipendenti non qualificato e un alto management, la dirigenza, sul quale le riforme dell’ultimo ven-ticinquennio hanno investito con forza, ma senza un adeguato ritorno e, d’altra par-te, con preoccupanti tendenze alla precarizzazione 109 e fidelizzazione politica. 110

Ripartire dai punti di forza, consolidando gli elementi di qualità ed intervenendo in modo più convinto su quelli di debolezza, possibilmente senza confondere i primi con i secondi e recuperando l’attenzione alla dimensione del funzionario e quindi alla sua specialità “pubblica”, a scapito di quella dedicata al “dipendente”: un pro-gramma solo a prima vista semplice, ma come detto necessario, da perseguire con la consapevolezza che la costruzione di un corpo amministrativo di qualità richiede decenni ma il suo smantellamento può avere dinamiche molto più brevi.

Nel momento in cui la politica “vacilla”, come è stato ben detto, è all’ammini-strazione che bisogna guardare, tornando a prestare il verso il funzionario profes-sionale 111: in questo senso, riflettere sul codice di comportamento diventa un utile esercizio per interrogarsi sulle più complessive strategie di costruzione del “buon funzionario” come tassello ineludibile di quella buona amministrazione troppo spesso affidata astrattamente, e quasi fideisticamente, alle leggi di riforma.

109 Lo stesso CASSESE, L’ideale di una buona amministrazione: principio del merito e stabilità degli impiegati, cit., riscontra una “regressione”, frutto di “interventi che vanno in due direzioni opposte, ma hanno una spiegazione unica. Consistono nella stabilizzazione dei precari (ai livelli inferiori) e nella precarizzazione dei dirigenti” (ivi, p. 35).

110 Sull’esigenza di una indipendenza soggettiva del dirigente, si v. in termini generali PONTI, Indi-pendenza del dirigente e funzione amministrativa, Rimini, 2012, spec. cap. 4.

111 CASSESE, L’imbuto dove tutto si ferma, in Corriere della Sera, 4 gennaio 2017. Uno Stato si reg-ge su politica e burocrazia: se la prima è bloccata tra molteplici incertezze, “solo una buona ammini-strazione, attenta ai bisogni dei cittadini, può salvare il Paese dal declino”.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 187

SENTENZE COMMENTATE

CONSIGLIO DI STATO, AD. PLEN. 20 DICEMBRE 2017, N. 11

Pres. PAJNO – Est. GIOVAGNOLI-RUSSO-DE BOTTIS e altri (avv.ti F. CUNDARI-G.CUNDARI) C. MIUR (Avvocatura generale dello Stato).

Pubblico impiego – Scuola – Provvedimento amministrativo – Controversie – Impugna-zione – Termine – Decorrenza – Piena conoscenza dell’atto e degli effetti lesivi – Corret-tezza – Sopravvenuto annullamento giurisdizionale di atto amministrativo – Differimento dies a quo decorrenza del termine decadenziale – Esclusione. Pubblico impiego – Scuola – Personale docente – Art. 1, comma 605 lett. c) legge n. 296/2006 – Graduatorie ad esaurimento – Requisiti – Diploma magistrale – Sufficienza – Non sussiste. Il termine per impugnare il provvedimento amministrativo decorre dalla piena conoscenza dell’atto e dei suoi effetti lesivi e non assume alcun rilievo, al fine di differire il dies a quo di decorrenza del termine decadenziale, l’erroneo convincimento soggettivo dell’infonda-tezza della propria pretesa. Deve, pertanto, escludersi, fatta eccezione per l’ipotesi degli atti plurimi con effetti inscindibili, che il sopravvenuto annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo possa giovare ai cointeressati che non abbiano tempestivamente pro-posto il gravame e, per i quali, pertanto, si è già verificata una situazione di inoppugnabi-lità, con conseguente “esaurimento” del relativo rapporto giuridico. Il possesso del solo diploma magistrale, sebbene conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, non costituisce titolo sufficiente per l’inserimento nelle graduatorie ad esau-rimento del personale docente ed educativo istituite dall’articolo 1, comma 605, lett. c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

(Omissis).

D) Il giudizio dinnanzi all’Adunanza plenaria

7. Nella fase del giudizio dinnanzi all’Adunanza plenaria le parti hanno deposita-to memorie difensive a sostegno della rispettive posizioni.

8. Sono stati spiegati, inoltre, diversi atti di intervento, sia ad adiuvandum, sia ad opponendum, da parte dei soggetti nominati in epigrafe.

9. Con ordinanza istruttoria 19 maggio 2016, n. 8, questa Adunanza plenaria ha ravvisato l’esigenza di acquisire dal M.I.U.R. ulteriori elementi istruttori, al fine di delineare un quadro più completo della intera vicenda fattuale, con particolare rife-rimento alle seguenti circostanze: a) alla incidenza, sul piano straordinario di assun-

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zione dei docenti precari in corso di svolgimento, dell’eventuale assorbimento nelle graduatorie ad esaurimento dei titolari di diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002, sulla base di una stima realistica che tenga conto del numero dei sog-getti muniti di quel titolo abilitante potenzialmente interessati ad entrare in graduato-ria; b) al numero dei soggetti, muniti del solo titolo abilitativo del diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, eventualmente già inseriti nelle gra-duatorie ad esaurimento dopo l’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, se del caso anche per effetto di provvedimenti giurisdizionali favorevoli: detto accerta-mento dovrà riguardare il periodo compreso tra il primo aggiornamento delle gradua-torie disposto con DDG 16 marzo 2007 (per il biennio 2007/2008 e 2008/2009) e le successive tornate di aggiornamento, fino a ricomprendere la sessione di cui al d.m. 235 del 2014, oggetto della impugnazione di primo grado, nonché quella successiva regolata dal d.m. 325 del 2015;

c) al numero dei titolari di diploma magistrale conseguito entro l’anno 2001/2002 che hanno seguito i corsi annuali abilitanti istituiti presso le Università ai sensi dell’art. 2, comma c bis, del d.l. 7 aprile 2004 n. 97 (convertito nella legge 4 giu-gno 2004 n. 143) e che sono entrati eventualmente nelle graduatorie ad esaurimen-to, nel suddetto periodo, in ragione di detto titolo abilitante aggiuntivo. Tale indica-zione dovrà essere completata con la specifica indicazione delle Università italiane che hanno in concreto attivato detti corsi abilitanti. Il M.I.U.R. ha adempiuto all’a-dempimento istruttoria depositando la nota prot. n. 22567 dell11 agosto 2016.

10. Alla pubblica udienza del 15 novembre 2017 a causa è stata trattenuta in decisione. 11. Gli appelli non meritano accoglimento.

12. L’infondatezza dei ricorsi consente anche di prescindere dall’esame delle ec-cezioni di inammissibilità degli interventi ad adiuvandum sollevate dal M.I.U.R. nelle proprie difese.

13. Come si è già evidenziato, la questione rimessa all’esame dell’Adunanza plenaria riguarda l’eventuale riapertura delle graduatorie ad esaurimento per i pos-sessori di diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002.

Gli attuali appellanti e originari ricorrenti, tutti in possesso del diploma di istituto magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, hanno impugnato davan-ti al Tribunale amministrativo del Lazio, il decreto ministeriale n. 235 del 2014 con il quale il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha disposto l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il personale docente ed edu-cativo della scuola, per il triennio 2014-2017, senza prevedere la possibilità di inse-rimento in tali graduatorie dei docenti muniti del diploma di maturità magistrale.

E) La questione della tempestività della domanda di inserimento nelle graduatorie ad esaurimento e del successivo ricorso avverso il mancato inserimento.

14. La prima questione che viene in rilievo attiene alla tempestività della doman-da rivolta all’Amministrazione per l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento e,

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 189

di riflesso, alla tempestività dello stesso ricorso giurisdizionale che viene oggi in deci-sione. La questione non è stata esaminata espressamente dal Tribunale amministra-tivo regionale (che ha respinto il ricorso nel merito) e l’Amministrazione l’ha ripropo-sta nelle sue difese, anche innanzi all’Adunanza Plenaria.

15. L’Amministrazione sostiene in sintesi che i ricorrenti, essendo in possesso, se-condo la loro stessa prospettazione, sin dal 2001/2002 di un titolo che consentiva l’inserimento nelle graduatorie (permanenti prima e ad esaurimento poi), avrebbero dovuto far valere questo titolo partecipando ad almeno una delle varie procedure bandite dal Ministero per l’inserimento nelle graduatorie, ed eventualmente, a fronte del mancato accoglimento della domanda presentata, avrebbero poi dovuto far va-lere le loro ragioni impugnando tempestivamente il provvedimento con cui si negava detto inserimento. La natura decadenziale del termine per la presentazione della do-manda di inserimento nelle graduatorie ad esaurimento deriverebbe, secondo il Mi-nistero, dall’articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 143/2004 secondo il quale “dal-l’anno scolastico 2005/2006 la permanenza dei docenti nelle graduatorie perma-nenti di cui all’articolo 401 del testo unico avviene su domanda dell’interessato da presentarsi entro il termine fissato per l’aggiornamento delle graduatorie con appo-sito decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

La mancata presentazione della domanda comporta la cancellazione dalla gra-duatoria per gli anni scolastici successivi”. Non avendo mai presentato la domanda di inserimento nelle graduatorie prima del 2014, allora, secondo il Ministero, gli appellanti sarebbero irrimediabilmente decaduti. Secondo il Ministero, inoltre, poiché i ricorrenti non hanno presentato una tempestiva domanda di inserimento in graduato-ria, mancherebbe anche l’attualità dell’interesse (ad impugnare il d.m. 235/14 che detta i criteri di aggiornamento per chi è già inserito) e mancherebbe, ancor più ra-dicalmente, lo stesso provvedimento lesivo (nel senso che senza una tempestiva do-manda di inserimento non ci sarebbe neanche un provvedimento di diniego di detto inserimento). I ricorrenti, infatti, hanno direttamente impugnato il d.m. 235/2014, che, tuttavia, si limita ad individuare esclusivamente i criteri per l’aggiornamento (e la permanenza) delle posizioni dei soggetti già inclusi nelle graduatorie ad esauri-mento, senza produrre, quindi, alcuna attuale lesione all’interesse dei ricorrenti.

Al più, evidenzia ancora il Ministero, il provvedimento lesivo potrebbe individuar-si nel d.m. 16 marzo 2007, che rappresenterebbe l’ultimo dei decreti ministeriali di inserimento nelle GAE prima della definitiva chiusura delle stesse, ad opera dell’art. 1, comma 605, legge n. 296/2006. Ma anche rispetto a tale provvedimento, l’impu-gnazione (che comunque non è avvenuta) sarebbe tardiva e inammissibile per difetto di legittimazione al ricorso (in assenza della domanda di inserimento).

16. Sulle questioni pregiudiziali sollevate dal M.I.U.R. il Consiglio di Stato si è già pronunciato, come evidenzia anche l’ordinanza di rimessione, in senso favorevo-le ai ricorrenti (cfr., in particolare, Cons. St., sez. VI, 16 aprile 2015, 1973; cui han-no fatto seguito, richiamandone la motivazione, Cons. St., sez. VI, 21 luglio 2015, n. 3628; 27 luglio 2015, nn. 3673 e 3675; 3 agosto 2015, n. 3788). In particola-re, la sentenza della Sesta Sezione n. 1973/2015, in una fattispecie analoga a quel-

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la in esame, ha ritenuto sussistente l’attualità dell’interesse ritenendo che il diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, sarebbe stato considerato titolo abilitante solo a partire dal parere del Consiglio di Stato, sez. II, n. 3813 (in data 11 settembre 2013), recepito con d.P.R. del 25 marzo 2014 n. 325. Tale pare-re ha riconosciuto, infatti, l’illegittimità del decreto ministeriale n. 62 del 2001 “nella parte in cui non parifica ai docenti abilitati coloro che abbiano conseguito entro l’an-no 2001/2002 il diploma magistrale, inserendoli nella III fascia delle graduatorie di istituto e non nella seconda fascia”.

Secondo la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 1973/2015, solo il parere del 2013 (recepito dal già citato d.P.R. del 2014), riconoscendo il diploma magi-strale come titolo abilitante, ha consentito così ai diplomati magistrali di presentare la predetta domanda di inserimento in graduatoria. Pertanto, solo a partire da tale riconoscimento essi sarebbero divenuti titolari di un interesse attuale all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, atteso che in precedenza il Ministero non aveva mai riconosciuto il diploma magistrale come titolo utile ai fini delle graduatorie ad esaurimento. E proprio tale circostanza consentirebbe di “giustificare” la mancata presentazione, prima di tale data, sia della domanda di inserimento sia del ricorso giurisdizionale contro il decreti ministeriali di mancato inserimento nella graduatoria.

17. La tesi accolta dalla sentenza del Consiglio Stato, Sezione Sesta, n. 1973/2015 (e seguita dalla successiva giurisprudenza amministrativa che ad essa si è uniforma-ta) non merita condivisione. Essa, infatti, si fonda su un presupposto erroneo, ovvero che il termine per proporre ricorso giurisdizionale (e, ancora prima, per presentare la domanda di inserimento nelle graduatorie) decorra non dalla piena conoscenza del provvedimento e dei suoi effetti lesivi (o, con riferimento alla presentazione della domanda di inserimento, dal possesso effettivo del titolo abilitante), ma dal momen-to in cui, in sede giurisdizionale, viene accertata l’illegittimità dell’atto lesivo (che nel caso di specie sarebbe, secondo la tesi dei ricorrenti, il decreto ministeriale n. 235 del 2014). L’annullamento dell’atto lesivo avrebbe così l’effetto di rimettere in termi-ni tutti coloro che non hanno impugnato nei termini di decadenza i provvedimenti di esclusione o, addirittura, non hanno presentato neanche una tempestiva domanda di inserimento. Verrebbe in tal modo riaperta una serie indefinita di rapporti ammini-strativi, sebbene già “esauriti” in conseguenza sia della mancata presentazione di una tempestiva domanda sia della tardività con cui, comunque, è stata fatta valere l’il-legittimità dell’asserito provvedimento lesivo.

La citata sentenza n. 1973/2015 afferma sul punto che “risulta valida la stessa presentazione delle citate domande di inserimento presentate nei termini che decor-rono dalla effettiva conoscenza, da parte dei ricorrenti originari, della lesività dell’at-to impugnato”. In realtà, individuando il dies a quo nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.P.R. del 2014 (di recepimento del parere del Consiglio di Stato del 2013), la sentenza in esame “pretende”, ai fini della decorrenza del termine, non solo la piena conoscenza della lesività dell’atto impugnato, ma anche la piena co-noscenza della sua illegittimità, quale risultante nel caso di specie dalla pubblicazio-ne del d.P.R. del 2014, di recepimento del parere del Consiglio di Stato che in sede

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 191

di ricorso straordinario ha riconosciuto il diploma magistrale come titolo abilitante. Si tratta di una tesi non condivisibile.

Essa, infatti, porterebbe all’inaccettabile conclusione che il termine per impugna-re un provvedimento decorra solo dal momento in cui in sede giurisdizionale (o di ricorso straordinario) viene accertata la sua illegittimità, con la conseguenza che l’accoglimento di un ricorso (anche avvenuta a distanza di anni dall’adozione del provvedimento lesivo) rimetterebbe tutti i cointeressati che non hanno tempestiva-mente impugnato in termini per proporre a loro volta il gravame. Una posizione così radicale è del tutto estranea al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sull’individua-zione del dies a quo del termine per proporre ricorso giurisdizionale.

Nell’ambito di tale dibattito, anche le posizioni più sensibili ad assicurare l’ef-fettività del diritti di azione e di difesa del privato, non si spingono sino al punto di pretendere il riconoscimento in sede giurisdizionale della fondatezza della pretesa vantata da soggetti in posizione analoga per far decorrere il termine per impugnare l’atto amministrativo, limitandosi semmai a sostenere la necessità che il privato ab-bia (almeno) la possibilità di percepire l’illegittimità dell’effetto lesivo.

Ma tale possibilità di conoscenza certamente prescinde dall’esistenza di prece-denti giurisprudenziali specifici che abbiano già dichiarato l’illegittimità di quell’atto nell’ambito di diversi giudizi instaurati da altri cointeressati. Diversamente opinando, del resto, si riconoscerebbe irragionevolmente all’annullamento di una norma rego-lamentare (o di un atto amministrativo generale o, comunque, di un atto ammini-strativo plurimo) un’efficacia retroattiva persino più dirompente di quella che caratte-rizza le sentenze di illegittimità costituzionale della legge (e degli atti equiparati), la cui retroattività pacificamente incontra il limite dei “rapporti giuridici esauriti”, fra i quali certamente rientra l’inoppugnabilità del provvedimento amministrativo derivan-te dallo spirare del termine di decadenza.

Si finirebbe, inoltre, per rimettere l’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine decadenziale ad un elemento di natura oggettiva e giuridicamente irrile-vante, quale l’error juris, nel senso che l’erroneo convincimento soggettivo dell’in-fondatezza della propria pretesa precluderebbe la decorrenza di detto termine, an-che quando ci sia piena conoscenza del contenuto del provvedimento e dei suoi ef-fetti lesivi. Pertanto, fatta eccezione per l’ipotesi degli atti plurimi con effetti inscindi-bili (che qui non vengono in considerazione), deve escludersi l’annullamento giuri-sdizionale di un atto amministrativo possa giovare ai cointeressati che non abbiano tempestivamente proposto il gravame e, per i quali, pertanto, si è già verificata una situazione di inoppugnabilità, con conseguente “esaurimento” del relativo rapporto giuridico.

18. Alla luce delle considerazioni svolte, deve, pertanto, ritenersi che l’efficacia abilitante (ai fini dell’inserimento nelle graduatorie permanenti prima e ad esauri-mento poi) del diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2011/2002 avrebbe do-vuto essere fatta valere dagli interessati mediante, in primo luogo, la presentazione di una tempestiva domanda di inserimento e, in secondo luogo, a fronte del manca-to inserimento, la proposizione nei termini di decadenza del ricorso giurisdizionale.

La eventuale qualificazione del diploma magistrale come “titolo abilitante”, del

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resto, non può ritenersi il frutto di una “creazione” giurisprudenziale, ma al contra-rio, secondo la stessa tesi dei ricorrenti, si evince dalla legge, quanto meno dal 1988, in base al già citato art. 15, comma 7, del d.P.R. 23 luglio 1988, n. 323 (Re-golamento recante disciplina degli esami di Stato conclusivi di corsi di studio di istru-zione secondaria superiore).

Il parere del 2013 non ha, quindi, (né può avere) effetti costitutivi o innovativi (del resto estranei alla natura e allo scopo della funzione giurisdizionale), ma si limi-ta ad interpretare la legge e, dunque, a “dichiarare” (si vedrà nel prosieguo se fon-datamente o meno) un valore abilitante che, se c’è, non può che trovare nell’or-dinamento il suo fondamento normativo. In altri termini, anche a seguire la tesi so-stenuta dai ricorrenti del valore abilitante permanente e incondizionato dei diplomi magistrali conseguiti entro l’a.s. 2001/2002, ciò non toglie, tuttavia, che la concreta possibilità di percepire l’illegittimità del mancato inserimento sussisteva ben prima del parere reso nel 2013 (e recepito con d.P.R. nel 2014).

Non vi è dubbio, quindi, che, a fronte di titoli posseduti sin dall’a.s. 2001/2002, il parere reso dal Consiglio di Stato nel 2013 (e recepito con d.P.R. nel 2014) non può aver determinato una riapertura generalizzata dei termini per presentare le do-mande e per impugnare il mancato inserimento.

Né vale in senso contrario richiamare la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che ha, invece, ritenuto, per i soggetti già inseriti in graduatoria, che la man-cata espressa manifestazione della volontà di permanere in essa (attraverso la for-male presentazione di una domanda di conferma), non può determinarne l’automa-tica e definitiva cancellazione (cfr., in questi termini, Cons. St., sez. VI, 14 luglio 2014, n. 3616). È evidente, infatti, la differenza esistenza tra la posizione di chi, già inserito nella graduatoria (e per effetto di tale inserimento titolare di un affidamento meritevole di tutela), viene cancellato perché omette di presentare domanda di con-ferma e la posizione di chi non ha mai presentato una domanda di inserimento in graduatoria. Ai primi è la stessa legge a consentire la presentazione di una doman-da di reinserimento, con espressa previsione della possibilità di recuperare il punteg-gio maturato all’atto della cancellazione (articolo 1, comma 1-bis del decreto legge n. 97/2004). Nessuna disposizione legislativa può invece legittimare la presentazio-ne di una domanda di inserimento tardiva, non potendosi, del resto, in questo caso configurare alcun affidamento meritevole di tutela in capo a chi non ha mai nem-meno chiesto di essere inserito.

19. Le considerazioni che precedono consentono di superare anche l’argomento secondo cui la sentenza del Consiglio di Stato n. 1973/2015, che ha annullato il d.m. n. 235 del 2014 nella parte in cui non ha consentito ai docenti in possesso del titolo abilitante di diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, l’iscrizione nelle graduatorie permanenti, ora ad esaurimento, avrebbe efficacia erga omnes (coerentemente con l’asserita efficacia erga omnes dello stesso decreto an-nullato). Secondo gli odierni appellanti, in particolare, il d.m. n. 234 del 2014 (og-getto del presente giudizio) sarebbe già stato annullato con effetti erga omnes dal Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1973/2015, sicché nel presente giudizio non potrebbe

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 193

che prendersi atto di tale annullamento e, conseguentemente, disporsi l’inserimento dei ricorrenti nelle graduatorie ad esaurimento.

La tesi non merita condivisione, in quanto, anche a voler riconoscere natura re-golamentare al d.m. n. 234 del 2014 (e, di conseguenza, alla sentenza “additiva” di annullamento n. 1973/2015), rimane il fatto, comunque, che la retroattività degli effetti derivanti dall’annullamento del regolamento incontra, per le ragioni già espo-ste, il limite dei rapporti giuridici esauriti. E nella fattispecie, come si è detto, l’omes-sa tempestiva contestazione del mancato inserimento nelle graduatorie (e, ancor pri-ma, l’omessa presentazione di una tempestiva domanda di inserimento), ha deter-minato l’esaurimento del relativo rapporto giuridico.

F) La questione dell’efficacia erga omnes del d.m. n. 234 del 2014 e, conseguente-mente, della sentenza di annullamento del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 1973/2015. 20.

L’efficacia erga omnes della sentenza n. 1973/2015, peraltro, anche a prescin-dere dalle dirimenti considerazioni appena svolte, non può essere sostenuta anche per altre ragioni.

21. In primo luogo, non è condivisibile la tesi che riconosce natura normativa (con conseguente efficacia erga omnes) al d.m. n. 234/2014, atteso che tale decre-to si rivolge esclusivamente a coloro che risultano già inseriti nelle graduatorie ad esaurimento (a pieno titolo o con riserva), disciplinando la permanenza, l’aggiorna-mento e la conferma dell’inclusione in seguito allo scioglimento della riserva per gli iscritti con riserva nella graduatoria e il relativo aggiornamento. Il decreto si rivolge, quindi, a soggetti determinati o, comunque, facilmente determinabili e già sotto questo profilo manca un aspetto essenziale proprio dell’atto normativo, ovvero l’in-determinabilità dei destinatari, che è un naturale corollario della generalità e dell’astrattezza della previsione normativa, di cui invece è privo il decreto in esame (cfr. Ad. Plen. 4 maggio 2012, n. 9). Il che non toglie che si tratti, comunque, di un atto amministrativo di macroorganizzazione, come tale idoneo a radicare la giurisdi-zione amministrativa, come riconosciuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazio-ne che hanno confermato tale giurisdizione (cfr. Sez. Un., ordinanza14 dicembre 2016, n. 25840).

22. A tal proposito, va ulteriormente evidenziato che l’annullamento del d.m. n. 234/2014 “nella parte in cui non ha consentito ai diplomati magistrali (con titolo conseguito entro l’a.a. 2001/2002) l’iscrizione delle graduatorie ad esaurimento”, si fonda su argomenti che non possono essere condivisi, perché presuppongono, di-versamente da ciò che oggettivamente emerge analizzando il contenuto del d.m., che esso sia l’atto attraverso il quale sono stati disciplinati i criteri ed individuati i re-quisiti per l’inserimento in graduatoria. Al contrario, come si è evidenziato, tale d.m. di rivolge solo a coloro che sono già inseriti in graduatoria, non occupandosi in al-cun modo della posizione di coloro che aspirano all’inserimento. Non era (e non è),

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quindi, il d.m. n. 234/2014 che preclude l’inserimento dei diplomati magistrali nelle graduatorie ad esaurimento.

Il dies a quo per proporre impugnazione andrebbe, semmai, individuato (anche a voler prescindere dalla preclusione comunque derivante dalla mancata tempestiva presentazione della domanda di inserimento) nella pubblicazione del d.m. 16 marzo 2007, con il quale, in attuazione dell’art. 1, comma 605, legge 296/2006 (legge finanziaria per il 2007), veniva disposto il primo aggiornamento delle graduatorie permanenti, che la stessa legge finanziaria per il 2007 aveva “chiuso” con il dichia-rato fine di portarle ad esaurimento. Il suddetto d.m. individuava, effettuando una ricognizione delle disposizioni legislative in materia, i requisiti di accesso alle gra-duatorie, senza contemplare il diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002. È questo, pertanto, il momento nel quale la lesione della posizione dei ricorrenti è (in ipotesi) maturata, poiché il d.m. 16 marzo 2007 è l’ultimo provvedi-mento di integrazione ed aggiornamento delle GAE prima che esse fossero definiti-vamente chiuse, per espressa disposizione di legge, a nuovi accessi. Pertanto, non avendo i ricorrenti impugnato tale d.m. (né tantomeno presentato domanda di inse-rimento nei termini da esso previsti), devono ormai ritenersi decaduti.

23. Inoltre, anche a volere individuare il provvedimento lesivo nel d.m. n. 234/2014, assume, comunque, rilievo, in senso ostativo al riconoscimento della pretesa dei ricor-renti, la circostanza che la sentenza della Sesta Sezione n. 1973/2015, pur annullan-do tale d.m. nella parte in cui non consente l’iscrizione ai possessori del diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002, circoscrive espressamente l’effetto di tale di annullamento a coloro che avevano presentato il ricorso che quella sentenza ha accolto. Tale esplicita e testuale delimitazione dell’ambito soggettivo di efficacia (chiaramente risultante dal dispositivo della sentenza) ne esclude la portata erga omnes. G) La questione di merito: la portata e gli effetti del valore abilitante ricono-sciuto al diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002.

24. Il ricorso, comunque, risulta infondato anche nel merito, atteso che, diversa-mente da quanto sostenuto dagli appellanti, manca una norma che riconosca il di-ploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002 come titolo legitti-mante l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento. Non può richiamarsi, a tal fine, il d.P.R. 25 marzo 2014 (che ha recepito il parere del Consiglio di Stato n. 3818/13) in quanto in esso si riconosce esclusivamente il valore abilitante del titolo ai fini dell’inserimento nella II fascia delle graduatorie d’istituto e non anche ai fini dell’inserimento nelle GAE. In particolare, nel detto parere non è stata riconosciuta la possibilità di accesso dei docenti in questione nelle graduatorie ad esaurimento per la preclusione normativa sussistente al riguardo, ovvero per non essere stata rappresentata in tempo utile la possibilità di inserimento degli stessi nelle graduato-rie permanenti, con conseguente tardività dell’impugnativa sotto tale profilo. Ugual-mente, l’invocato valore abilitante (inteso, secondo la tesi dei ricorrenti, come requi-sito di per sé sufficiente a consentire l’inserimento nelle graduatorie permanenti) non può ricavarsi nemmeno dalla previsione contenuta nell’articolo 15, comma 7, del d.P.R. 23 luglio 1998, n. 323.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 195

La corretta interpretazione della disposizione appena citata richiede alcune con-siderazioni di carattere sistematico, volte ad illustrare le fasi di attuazione della rifor-ma di cui all’art. 3 della legge 341 del 1990, la quale non solo ha previsto livelli di qualificazione differenziata per l’abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria e nella scuola secondaria, ma, con riferimento specifico alla formazione culturale e professionale degli insegnanti della scuola materna ed elementare, ha ritenuto di non poter prescindere da una formazione universitaria.

Nell’ambito di tale riforma si istituirono due corsi di laurea per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e primaria, con efficacia abilitante (che contestualmente fu esclusa con riguardo ai diplomi magistrali rilasciati successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina).

I predetti corsi di laurea, istituiti con d.P.R. 31 luglio 1996, n. 471 e con d.m. 26 maggio 1998, sono stati attivati solo a partire dall’a.a. 1999/2000.

Con decreto interministeriale 10 marzo 1997, recante “Norme transitorie per il passaggio al sistema di formazione universitaria degli insegnanti della scuola materna ed elementare, previste dall’articolo 3, comma 8 della legge 19 novembre 1990, n. 341” è stato previsto un apposito regime transitorio per il passaggio al sistema di for-mazione universitaria degli insegnanti della scuola materna ed elementare. Ai sensi del-l’art. 1 del citato decreto interministeriale 10 marzo del 1997, in particolare:

“1. Dall’anno scolastico 1998-99 sono soppressi i corsi di studio ordinari trien-nali e quadriennali, rispettivamente della scuola magistrale e dell’istituto magistrale.

2. Dall’anno scolastico 2002-2003 sono soppressi i corsi annuali integrativi del-l’istituto magistrale, previsti dall’art. 191, commi 4 e 6, del decreto legislativo n. 297 del 1994.

3. Sino all’introduzione del nuovo corso di studi in via ordinamentale, di cui al successivo art. 3 e secondo la procedura prevista dall’art. 205 del medesimo decre-to n. 297, potranno continuare a funzionare ad esaurimento i corsi sperimentali quinquennali della scuola magistrale e dell’istituto magistrale, istituiti a norma del-l’art. 278 del citato decreto legislativo n. 297 del 1994.”. Il regime transitorio pre-vedeva, tuttavia, la salvaguardia dei titoli di studio acquisiti, stabilendo che “i titoli di studio conseguiti al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimentali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell’istituto magistra-le, iniziati entro l’anno scolastico 1997-1998, o comunque conseguiti entro l’a.s. 2001-2002, conservano in via permanente l’attuale valore legale e consentono di partecipare alle sessioni di abilitazione all’insegnamento nella scuola materna, pre-viste dall’art. 9, comma 2, della citata legge n. 444 del 1968, nonché ai concorsi ordinari per titoli e per esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare, secondo quanto previsto dagli articoli 399 e seguenti del citato decreto legislativo n. 297 del 1994” (articolo 2 del citato decreto interministeriale).

La norma appena trascritta esprime con chiarezza qual è il valore legale del tito-lo di diploma magistrale conservato in via permanente: pure in un contesto ordina-mentale che, con la concreta attivazione dei corsi di laurea in scienza della forma-zione, ormai prevede come requisito necessario il possesso della laurea, il diploma

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196 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

magistrale, se conseguito entro l’a.s. 2001/2002, rimane titolo di studio idoneo a consentire la partecipazione alle sessioni di abilitazione all’insegnamento o ai con-corsi per titoli ed esame a posti di insegnamento, ma di per sé non consente l’immediato accesso ai ruoli. Il valore legale conservato in via permanente, quindi, si esaurisce nella possibilità di partecipare alle sessioni di abilitazioni o ai concorsi, dovendo leggersi la l’espressione “conservano in via permanente l’attuale valore le-gale e consentono di partecipare […]” in senso necessariamente complementare e coordinato, nel senso, appunto, che si tratti di un’endiadi. Tale previsione è stara sostanzialmente riprodotta, con un rango superiore nella gerarchia delle fonti, dal-l’art. 15, comma 7 del d.P.R. 23 luglio 1998, n. 323, stante il quale: “I titoli conse-guiti nell’esame di Stato a conclusione dei corsi di studio dell’istituto magistrale ini-ziati entro l’anno scolastico 1997/1998 conservano in via permanente l’attuale va-lore legale e abilitante all’insegnamento nella scuola elementare. Essi consentono di partecipare ai concorsi per titoli ed esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare”.

25. L’interpretazione da dare all’espressione (contenuta nel citato articolo 15, comma 7, d.P.R. n. 323 del 1998) “i titoli conseguiti nell’esame di Stato a conclu-sione dei corsi di studio dell’istituto magistrale iniziati nell’a.s. 1997/1998 conserva-no in via permanente l’attuale valore legale e abilitante all’insegnamento nella scuo-la elementare” deve avvenire, anche in questo caso, tenendo conto della specifica-zione contenuta nel periodo immediatamente successivo (contenuto nello stesso com-ma 7 dell’art. 15), nel senso che i diplomi magistrali conseguiti entro l’anno scola-stico 2001/2002, conservano il proprio valore legale di titolo di studio e consento-no (senza necessità di conseguire anche il diploma di laurea) di partecipare all’a-bilitazione all’insegnamento ex art. 9, comma 2, della legge n. 444/1968, nonché ai concorsi ordinari per titoli ed esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare.

Ciò implica che il valore legale del diploma magistrale può essere riconosciuto solo nei limiti previsti dalla disciplina transitoria in esame, ossia in via “strumentale”, nel senso, come si è chiarito, di consentire a coloro che lo hanno conseguito entro l’a.s. 2001/2002 di partecipare alle sessioni di abilitazioni o ai concorsi pur se privi del diploma di laurea nel frattempo istituito dal legislatore. In tal modo, la richiama-ta disciplina transitoria ha mostrato di tenere in debito conto la posizione di chi avesse conseguito il titolo del diploma magistrale precedentemente alla riforma ope-rata con la legge 19 novembre 1990, n. 341 e non fosse già immesso in ruolo alla data di entrata in vigore del d.m. 10 marzo 1997, consentendogli la partecipazione a procedure selettive riservate ai fini del conseguimento di un titolo idoneo a con-sentire l’iscrizione nelle graduatorie.

Tali procedure selettive sono state indette almeno due volte: 1) con l’O.M. n. 153/99 adottata in attuazione dell’art. 2, c. 3 legge 124/99 (in occasione della isti-tuzione delle graduatorie permanenti); 2) nel 2004, con i corsi universitari riservati previsti dall’art. 2, c. 1, lett. c-bis d.l. 97/2004).

Com’è stato ben evidenziato dall’Amministrazione nella relazione depositata in ottemperanza all’ordinanza istruttoria, ben 34.173 docenti si trovano nelle GAE per

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 197

aver conseguito un titolo aggiuntivo rispetto al diploma magistrale, di cui 20.448 costituiscono gli idonei a precedenti concorsi per esami e titoli, 2.946 quelli abilitati-si attraverso i corsi riservati previsti dall’art. 2, comma 1, lett. c-bis d.l. 97/2004 (ai quali devono aggiungersi i 7.996 che si sono abilitati attraverso le suddette sessioni, ma non si trovano più attualmente nelle GAE perché assunti nelle more, o depennati per mancato aggiornamento), mentre i restanti hanno ottenuto il titolo d’accesso prescritto dalla legge attraverso le sessioni riservate del 1999 o mediante il possesso di altri titoli, quali ad esempio la Laurea in Scienza della Formazione Primaria.

Ne deriva che per coloro che hanno ritenuto di non conformare il titolo di studio posseduto alle finalità formative richieste dalla normativa statale sopravvenuta in materia di abilitazione all’insegnamento nella scuola elementare, il possesso del so-lo diploma magistrale non consente l’inserimento nelle graduatorie dei concorsi per soli titoli (attuali graduatorie ad esaurimento).

In definitiva, quindi, l’abilitazione all’insegnamento nella scuola materna ed ele-mentare ex artt. 194 e 197 del D.lgs. 297/1994, e d.P.R. 323/1998, non ha mai costituito titolo sufficiente per l’inserimento nelle graduatorie permanenti istituite dal-l’art. 401 D.lgs. 297/1994, essendo, invece, previsto a tale fine il superamento di procedure di natura concorsuale (concorsi regionali per titoli ed esami) rispetto alle quali il diploma magistrale costituiva requisito di partecipazione (ai sensi dell’art. 402 D.lgs. 297/1994).

Ciò vale anche per le procedure riservate al personale in possesso del diploma magistrale e di determinati requisiti di servizio, istituite ai sensi dell’art. 2, comma 4, L. 124/1999, (O.M. 153/99) ed ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. c-bis d.l. 97/2004 (O.M. 25 e 80 del 2005) che richiedevano, ai fini del rilascio del titolo, il supera-mento di una procedura selettiva di tipo concorsuale.

Tale assetto è pienamente conforme alla disciplina transitoria dettata in occasio-ne dell’istituzione del corso di laurea in Scienza della Formazione.

26. La conclusione che emerge dal dato normativo (nel senso dell’insufficienza del mero possesso del diploma magistrale per l’inserimento nelle GAE) risulta, del resto, confortata da argomenti di carattere sistematico e teleologico.

27. Sotto il profilo sistematico, deve, infatti, evidenziarsi che sin dalla loro origi-naria configurazione le graduatorie permanenti (poi trasformate in graduatorie ad esaurimento) sono state riservate a docenti che vantassero un titolo abilitante ulterio-re rispetto al titolo di studio: il superamento di un concorso per titoli ed esami oppu-re il superamento di una sessione riservata d’esami per coloro che avessero prestato servizio per almeno 360 giorni a decorrere dall’a.s. 1994-1995.

Gli interventi normativi succedutesi nel tempo, pur ampliando la platea dei sog-getti legittimati ad iscriversi, hanno, comunque, sempre fatto riferimento a categorie di docenti muniti di un titolo abilitante ulteriore rispetto al titolo di studio. Per quello che maggiormente rileva in questa sede, occorre ricordare che il decreto legge 7 aprile 2004, n. 97, convertito nella legge 4 giugno 2004, n, 143, ha previsto, al-l’art. 2, comma 1, l’istituzione di corsi universitari di durata annuale riservati al per-sonale non in possesso dei titoli utili per l’inserimento nelle graduatorie, il cui supe-ramento costituiva titolo per l’accesso alle stesse. In particolare, il comma c-bis pre-

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vedeva un corso riservato “agli insegnanti in possesso del titolo conclusivo del corso di studi dell’istituto magistrale conseguito in uno degli anni 1999, 2000, 2001 e 2002, che siano privi di abilitazione o idoneità e che abbiano prestato servizio per almeno 360 giorni nella scuola materna e nella scuola elementare dal 1° settembre 1999 alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Fu, pertanto, prevista una seconda possibilità per il personale diplomato, non in possesso del titolo per l’iscri-zione delle graduatorie, di procurarselo attraverso un percorso più agevole di quello ordinario.

La legge finanziaria per il 2007 (l. 296/2006) è poi intervenuta a chiudere le graduatorie permanenti e con il dichiarato proposito di portarle all’esaurimento. Il legislatore ha previsto, una disciplina transitoria con la quale si consentiva, per il biennio 2007/2008 e 2008/2009, l’inserimento dei docenti “già in possesso di abi-litazione”, e di quelli che erano in procinto di conseguire taluni specifici titoli abili-tanti, purché entro i termini previsti dal d.m. 27 del 15 marzo 2007 (provvedimento che, per l’ultima volta, ha disciplinato le modalità di integrazione delle graduatorie permanenti) presentassero la relativa domanda. Poiché, come si è già osservato, il diploma magistrale non ha mai costituito titolo per l’accesso alle graduatorie, deve escludersi che gli odierni ricorrenti possano beneficiare di tale disposizione. Sarebbe del resto contraddittorio ritenere che il legislatore, nel momento stesso in cui dispo-neva la chiusura delle graduatorie (in vista del loro esaurimento per favorire il siste-ma concorsuale di reclutamento) abbia contraddittoriamente consentito a nuove ca-tegorie di docenti di inserirsi.

La clausola di riserva contenuta nell’art. 1, comma 605 legge 296/2006, deve, quindi, intendersi riferita, come si è già evidenziato, solo a quei titoli abilitanti che, secondo la normativa vigente costituivano requisiti d’accesso alle graduatorie, es-sendo volta a preservare le aspettative di coloro i quali avessero, confidando nel mantenimento del sistema pregresso, già affrontato un percorso di studi per munirsi del titolo necessario all’inserimento nelle GAE.

Non a caso, infatti, la clausola di riserva si riferiva anche a coloro che, alla data di entrata in vigore della legge, frequentavano i corsi abilitanti che secondo la nor-mativa previgente consentivano l’accesso alle graduatorie.

28. Sotto il profilo teleologico, la necessità di un titolo abilitante ulteriore rispetto al mero possesso del titolo di studio trova giustificazione nella considerazione che l’inserimento in graduatoria è destinato a consentire per mero scorrimento lo stabile ingresso nel ruolo docente e tale ingresso non può prescindere, come sottolinea an-che l’ordinanza di rimessione, da una seria ricognizione dell’esperienza maturata o del percorso formativo seguito dopo il diploma (a volte conseguito in anni molto ri-salenti nel tempo). H) L’infondatezza dei dubbi di illegittimità costituzionale e di in-compatibilità con l’ordinamento dell’Unione Europea.

29. La normativa in esame, cosi come interpretata e ricostruita, non solleva (co-me già evidenziato dall’ordinanza di rimessione) i dubbi di illegittimità costituzionale o di contrarietà con l’ordinamento dell’Unione Europea prospettati dagli appellanti, Va, infatti, evidenziato che nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclu-

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 199

tamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguar-dia delle sole più antiche posizioni di “precariato storico”, per evidenti ragioni socia-li. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l’attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 del-l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e al-legato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclu-de ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei se-condi (considerando – in caso di trasformazione del rapporto di lavoro – le vicende del precedente rapporto a termine come intervenute in un unico contratto a tempo indeterminato sin dall’origine: Corte di Giustizia, 13.9.2007, C-307/05, Del Cerro Alonso).

Come chiarito dalla giurisprudenza, tuttavia, spetta al giudice nazionale una de-licata valutazione – da condurre caso per caso – al fine di verificare la sussistenza, o meno, di “ragioni oggettive”, che a norma della medesima direttiva possono giustifi-care un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato (Corte di Giu-stizia, Valenza e a. – da C-302/11 a C-305/11).

Per l’individuazione di tali ragioni, in effetti, non si rinvengono parametri di ri-scontro nella direttiva 1999/70/CE, ma la Corte di Giustizia (Grande sezione, sen-tenza del 4 luglio 2006, causa C-212/04 –Adeneler) ha precisato che il significato e la portata della relativa nozione debbono essere determinati in funzione dell’obiet-tivo perseguito dall’accordo-quadro e, in particolare, del contesto in cui si inserisce la clausola 5, n. 1, lettera a) dello stesso (clausola, quella appena indicata, che mira a prevenire gli abusi, derivanti dall’utilizzo di più contratti di lavoro successivi a tem-po determinato, dovendo, invece, la forma generale dei rapporti di lavoro essere a tempo indeterminato, in quanto la stabilità del posto costituisce elemento importante per la tutela dei lavoratori).

Il margine di discrezionalità, lasciato al riguardo agli Stati membri dell’Unione, resta, dunque, contenuto dalla necessità di garantire il risultato imposto dal diritto comunitario, alla luce sia dell’art. 249, comma 3, del Trattato che del punto 1 dell’art. 2 della direttiva 1999/70: la nozione di “ragioni oggettive”, pertanto, deve essere “riferita a circostanze precise e concrete che caratterizzano una determinata attività”, in modo tale da giustificare, in un particolare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi (sentenza Adeneler cit., punto 88). Dette circostanze possono essere il risultato della particolare natura dei compiti, per il compimento dei quali i contratti sono stati conclusi, o del perseguimento di obiettivi legittimi di politica sociale di uno Stato membro (sentenza Adeneler cit. punto 70).

Per quanto riguarda la reiterazione di contratti di lavoro a termine, ad esempio, può agevolmente sostenersi che tale reiterazione deve essere giustificata da esigenze temporanee, straordinarie ed urgenti del datore di lavoro e non essere finalizzata a soddisfare fabbisogni permanenti. È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tu-tela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con

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200 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazio-ne culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato. Ove le tesi difensive in esame fossero accolte, viceversa, non potrebbe che formarsi un nuovo consistente precariato, che allungherebbe i tempi del perse-guimento del sistema previsto a regime, o lo renderebbe addirittura non perseguibi-le. Nella presente sede di giudizio di legittimità, pertanto, è sufficiente rilevare che non può essere ammessa la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per ragioni non puntualmente previste a livello legislativo, senza che ciò determini dubbi di legit-timità costituzionale o comunitaria.

30. Alla luce delle considerazioni che precedono gli appelli devono essere re-spinti.

I) I principi di diritto.

31. In conclusione, l’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:

1. Il termine per impugnare il provvedimento amministrativo decorre dalla piena conoscenza dell’atto e dei suoi effetti lesivi e non assume alcun rilievo, al fine di dif-ferire il dies a quo di decorrenza del termine decadenziale, l’erroneo convincimento soggettivo dell’infondatezza della propria pretesa. Deve, pertanto, escludersi, fatta eccezione per l’ipotesi degli atti plurimi con effetti inscindibili, che il sopravvenuto annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo possa giovare ai cointeressati che non abbiano tempestivamente proposto il gravame e, per i quali, pertanto, si è già verificata una situazione di inoppugnabilità, con conseguente “esaurimento” del relativo rapporto giuridico.

2. Il possesso del solo diploma magistrale, sebbene conseguito entro l’anno sco-lastico 2001/2002, non costituisce titolo sufficiente per l’inserimento nelle graduato-rie ad esaurimento del personale docente ed educativo istituite dall’articolo 1, com-ma 605, lett. c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

32. La controvertibilità delle questioni esaminate e l’esistenza di precedenti giuri-sprudenziali contrastanti giustificano l’integrale compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 201

GRADUATORIE AD ESAURIMENTO, DIPLOMA MAGISTRALE E ACCLARATA IN-SUFFICIENZA DEL TITOLO: I MAESTRI DIVENTERANNO DI RUOLO?

MONICA NAVILLI

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le graduatorie ad esaurimento: una via di accesso per l’immissione nel ruolo docente della scuola. – 3. Dall’inserimento in graduatoria alla tempestività della domanda. – 4. L’efficacia erga omnes delle sentenze del Consiglio di Stato. – 5. Il diploma magistrale, un titolo effet-tivamente legittimante l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento? – 6. Il difficile riparto di compe-tenza. – 7. Conclusioni.

1. Premessa

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a pochi giorni dal suono dell’ultima campanella prima della sospensione per le vacanze natalizie, sembra aver chiuso un capitolo sulle controversie relative alle graduatorie ad esaurimento. Ancora una vol-ta, davanti all’autorità giurisdizionale amministrativa, venivano azionate pretese concernenti l’iscrizione e/o l’aggiornamento delle graduatorie dapprima permanen-ti, poi divenute ad esaurimento, da parte di “insegnanti” in possesso di titoli ritenuti idonei 1 per le scuole dell’infanzia e primaria 2. In particolare si contestava il d.m. n. 235 del 2014, volto al periodico aggiornamento delle graduatorie 3, inibendo la pos-sibilità di dar corso a nuovi inserimenti con particolare riguardo a chi, come i ricor-renti, fosse in possesso di titoli di studio reputati abilitanti (a.s. 2001/2002) o di abi-litazione conseguita con apposito corso-concorso 4. La preclusione all’iscrizione

1 A tal proposito si considerano titoli idonei il diploma magistrale, la laurea con valore abilitante, il superamento di corsi di formazione ad hoc e l’idoneità concorsuale conseguita a seguito della parteci-pazione al concorso del 2012.

2 TAR Lazio-Roma, sez. III bis, 23 marzo 2015 m. 4460; Cons. Stato, sez. IV, ord coll. 29 gennaio 2016, n. 364 (disp. Deferimento all’Ad. Plenaria del Consiglio di Stato ex art. 99 comma 1, c.p.a.); Per il passato TAR Lazio, sez. III bis, 18 febbraio 2015 n. 2749; TAR Lazio, sez. III bis, 16 luglio 2014 n. 7626; TAR Lazio, sez. III bis, 8 settembre 2014 n. 9503; TAR Lazio sez. III bis 18 febbraio n. 2748.

3 Ai sensi dell’art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 le graduatorie degli insegnanti da per-manenti divenivano ad esaurimento, con conseguente impossibilità di ulteriori inserimenti. L’immissio-ne nelle graduatorie, consentendo di fatto attraverso il mero scorrimento uno stabile inserimento nel ruolo docente, non poteva prescindere da una seria ricognizione dell’esperienza maturata dagli idonei, sì da essere pertanto oggetto di periodici aggiornamenti (con cadenza triennale). Il d.m. n. 235/2014, conformemente a quanto stabilito nella legge del 2006, dava avvio all’aggiornamento delle predette graduatorie per gli anni scolastici dal 2014/2015 al 2016/2017 compresi.

4 Nella specie l’abilitazione sarebbe stata la conseguenza della partecipazione e superamento di cor-si formativi istituti con atti normativi primari, nonché per l’acquisizione dell’idoneità al concorso a cat- 

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202 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

nelle graduatorie, di fatto strada per un accesso “riservato” al ruolo, non solo avreb-be leso il «principio di affidamento», ma sarebbe altresì risultata «illogica e con-traddittoria» e in contrasto con la direttiva 1999/70/CE sul contratto a tempo deter-minato 5.

Sul punto la sesta sessione del Consesso ammnistrativo 6, disposta la riunione degli appelli e dichiarata la competenza dell’a.g.a. in materia di annullamento del d.m. n. 235/2014, respingeva le domande di immissione nelle GAE dei possessori di titolo di laurea 7, di abilitazione PAS 8 o TFA 9 e del concorso del 2012 10. Il riget-to per i ricorrenti, presentanti domanda di inserimento per la prima volta nel 2014, era la logica conseguenza della contestazione di un provvedimento diretto unica-mente a prevedere il periodico aggiornamento delle graduatorie 11 ad esaurimento. Contestualmente, l’autorità giudicante disponeva il deferimento all’Adunanza ple-naria della questione relativa all’iscrizione nelle medesime graduatorie dei titolari di diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002.

La pronuncia, resa al termine del procedimento d’appello, offre l’occasione per affrontare nel merito non solo il tema sottoposto all’attenzione del Supremo conses-so, ma anche alcuni argomenti trattati solo indirettamente nel giudizio, dalla disci-plina scolastica in materia di reclutamento agli orientamenti giurisprudenziali sul riparto di competenza giurisdizionale.

tedre del 2012. Nel caso specifico la contestazione ha avuto ad oggetto il d.m. del 2014, ma si ritiene doveroso evidenziare che la stessa sorte è stata riservata a tutti i provvedimenti emanati per l’aggior-namento delle graduatorie ad esaurimento dopo il 2007, da quello del 2011 a quello del 2015, n. 325.

5 I nuovi inserimenti, come rilevato dagli appellanti, «avrebbero dovuto essere disposti al fine di non perpetuare una situazione di precariato teoricamente senza limiti, in aperto contrasto con le finalità essenziali della direttiva europea, a meno di non consentire assunzioni a termine in successione … rite-nute dal legislatore comunitario una potenziale forma di abuso a danno dei lavoratori».

6 Cons. Stato, sez IV, ord. coll. 29 gennaio 2016, n. 364. 7 Venivano in particolare rigettate le domande presentate dai laureati in scienza della formazione o

altre lauree. 8 Percorsi abilitanti speciali, ovvero percorsi di formazione per conseguire l’abilitazione all’inse-

gnamento, rivolti ai docenti della scuola con contratto a tempo determinato che hanno prestato servizio per almeno tre anni nelle istituzioni scolastiche statali e paritarie. V. d.m. 10 settembre 2010 n. 249 e d.m. 25 marzo 2013, n. 8. I PAS, di cui trattasi nel ricorso rigettato, dovevano essere conclusi entro il mese di luglio 2014.

9 Per ottenere l’abilitazione all’insegnamento con d.m. 10 settembre 2010, n. 249 si prevede l’atti-vazione presso le università di uno specifico corso universitario di formazione e abilitazione alla pro-fessione di docente, il TFA – Tirocinio Formativo Attivo.

10 Concorso a cattedre indetto con d.d.g. n. 82/2012. 11 In tal senso già TAR, sez. III bis, 23 marzo 2015, n. 4460.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 203

2. Le graduatorie ad esaurimento: una via di accesso per l’immissione nel ruolo docente della scuola

Il cospicuo contenzioso registratosi negli ultimi anni ha trovato, sovente, origine nella richiesta di inserimento di insegnanti o aspiranti tali nelle graduatorie ad esau-rimento (ex permanenti), vere protagoniste del piano straordinario di assunzioni av-viato con la legge sulla buona scuola 12. Il legislatore, con l’obiettivo di superare le “criticità” interne in materia di successione dei contratti a termine  13, nonché di ri-vedere il piano organizzativo del personale scolastico 14, introduce sia modifiche al sistema di reclutamento dei docenti, sia misure transitorie idonee ad attribuite serie chances di immissione in ruolo a tutto il personale precario interessato. In particola-re, fermo il principio dell’accesso attraverso pubblico concorso, sono stati previsti due momenti distinti per le caratteristiche e per i tempi di applicazione. Il primo temporaneo, conseguenza quasi obbligata della sentenza Mascolo 15, volto a stabi-lizzare l’intera massa dei docenti precari grazie a selezioni blande (concorsi riserva-ti) a meri automatismi  (le graduatorie). Il secondo a regime, caratterizzato da pro-cedure selettive pubbliche nazionali, a cadenza triennale 16  o biennale 17, da com-piersi su base regionale  18 o interregionale 19  e in relazione al fabbisogno espresso

12 Legge n. 107/2015. 13 Vengono, nella specie, previste una serie di prescrizioni volte a superare il ricorso alle supplenze,

quali modalità di reclutamento in ambito scolastico, ed il conseguente abuso nella stipulazione dei con-tratti a termine. In particolare, ex art. 1, comma 131, legge n. 107 del 2015, «a decorrere dal 1º settem-bre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, ammi-nistrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi. A tal proposito rilevano le parole della Consulta nel riscontrare la sussistenza nell’inter-vento normativo del 2015, sia nelle previsioni a regime che transitorie, dei requisiti richiesti dalla Corte di giustizia Ue in materia di contratto a termine (cfr. Corte cost. 2016, n. pt. 16-17).

14 A tal proposito sia consentito un rinvio a NAVILLI, “La buona scuola”: dal precariato all’attua-zione e potenziamento dell’autonomia scolastica, in questa Rivista, 2016, 5-6, 613; COCCONI, Gli in-gredienti necessari per la ricetta di una “buona” autonomia scolastica, in IFe 2015, 3, 647 ss.; POGGI, Il d.d.l. sulla Buona scuola: discussione sulle politiche scolastiche o scontro sull’idee di “concertazio-ne” sindacale?, in Federalismi.it, 2015, 9, editoriale.

15 Corte di giust. UE, 26 novembre 2014. 16 Elemento temporale che caratterizza nei medesimi termini anche la vigenza delle graduatorie (art.

1, comma 113, legge n. 107/2015). 17 Si rammenta che il percorso “agevolato” è stato a sua volta suddiviso al proprio interno in tre di-

stinte fasi. 18 L’indizione della procedura è strettamente collegata al fabbisogno espresso dalle istituzioni sco-

lastiche nel piano dell’offerta formativa, unita alla previsione di una durata altrettanto triennale delle graduatorie stilate all’esito dell’espletamento dei concorsi (art. 1, comma 113, legge n. 107/2015).

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204 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

dalle istituzioni scolastiche nei piani triennali dell’offerta formativa 20 . Si è dato così avvio, nel primo caso, ad un piano straordinario di assunzioni 21

del solo personale docente destinato ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della legge, risultassero iscritti a pieno titolo nelle graduatorie del concorso pubbli-co bandito con d.m. n. 82 del 2012, e agli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente ex art. 1, comma 605, lett. c), legge n.296/ 2006 22. Il piano, proprio per la sua riserva a favore degli iscritti alle GAE, ha risvegliato l’interesse di chi, pur in possesso di titoli “abilitanti”, non aveva presentato domanda di iscri-zione nei termini stabiliti dalle normative vigenti.

Le graduatorie per concorsi per soli titoli, prima, quelle permanenti e ad esauri-mento, in seguito, da oltre un trentennio hanno rappresentato lo strumento “straor-dinario” per assicurare al mondo della scuola l’organico “temporaneo” necessario ad ogni inizio d’anno e nel corso dello stesso 23, e, al contempo, una delle vie di ac-

19 V. D.Lgs. 59/2017, artt. 3-7. 20 Art. 1, comma 109 lett. a). 21 Art. 1, commi 95 e 96, legge n. 107/2015. 22 In tale ultima ipotesi saranno considerati il punteggio, i titoli di preferenza e precedenza posseduti

alla data dell’ultimo aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, avvenuto per il triennio 2014-2017. Il legislatore prevede, pertanto, l’istituzione di un piano di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente (per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado) per l’a.s 2015/2016, diret-to alla «copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto, vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno ex art. 399 D.Lgs. n. 297/1994. La procedura citata fa seguito così a una prima fase di reclutamento (o stabilizzazione) effet-tuata attingendo dalle graduatorie permanenti, fino a totale scorrimento delle stesse (art. 399 D.Lgs. 297/1994), e porterà con la sua conclusione alla soppressione delle graduatorie dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012». In chiave critica CASSESE, (intervista a), La mala educazione, in Il Foglio, 17 gennaio 2017.

23 In primo luogo si rinvia a legge n. 270/1982 n. 270 “Revisione della disciplina del reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica”. Il personale veniva classificato in due categorie, di ruolo (a tempo indeterminato) e non di ruolo (a tempo determinato). In particolare, ex art. 15 era possibile disporre il conferimento delle supplenze sia per la copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento vacanti entro il 31 dicembre per l’intera durata dell’anno scolasti-co, sia per il fabbisogno di personale non docente per i medesimi periodi, nonché, da ultimo, per quelli rimasti disponibili successivamente. La supplenza (quale rapporto non di ruolo a tempo determinato) veniva identificata come l’unica tipologia alternativa possibile con l’amministrazione, rispetto a quella tipica (in ruolo e a tempo indeterminato). Sul punto già NAVILLI, “La buona scuola”: dal precariato all’attuazione e potenziamento dell’autonomia scolastica, in questa Rivista, 2016, 5-6, 613 ss; ASSO-

CIAZIONE TREELLE, Oltre il precariato. Valorizzare la professione degli insegnanti per una scuola di qualità, 2006, Quad. 6, 56; in senso critico SALTARI, La formazione e il reclutamento degli insegnanti in Italia, in RTDP, 2015, 452. In dottrina v., altresì, MISCIONE M., La fine del precariato pubblico ma non solo per la scuola, in LG, 2016, 8-9, 745 ss.; SIMEOLI, Lavoro nelle pubbliche amministrazioni: la scuola (voce), in Digesto, 2012; DE GERONIMO, Diritto del lavoro dei docenti della scuola statale: Re-clutamento, diritti, doveri, responsabilità, Milano, 2012; COCCONI, Diventare insegnanti: e nuove rego-le, in GDA, 2011, 3, 243 ss.; PALLIGGIANO G., Precari scuola: illegittima la norma di legge che ha inse- 

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 205

cesso al ruolo docente per la scuola italiana. Così è stato a partire dalle l. nn. 270/1982, 326/1984, 246/1988, ed ancor più con la leggen. 417/1989 istitutiva del c.d. modello a doppio canale. Il legislatore, alla fine degli anni ‘80, giungeva ad af-fiancare all’accesso tramite selezione concorsuale una riserva di posti (pari al 50% dell’organico necessario) destinata a coloro i quali avessero maturato una certa esperienza come supplenti 24. Il concorso cedeva progressivamente il passo a sistemi alternativi, dai corsi abilitanti alle selezioni per soli titoli, fino al principio dei 360 giorni di servizio per la maturazione di un vero e proprio diritto alla immissione in ruolo e alla graduatoria utile a stabilizzare gli idonei secondo il criterio dell’anzia-nità d’iscrizione 25.

Il quadro si consolidò negli anni ’90, con il D.Lgs. n. 297/1994 e Legge n. 124/1999 26. Venne, così, a stabilizzarsi il sistema bipartito in cui al concorso per

rito il sistema del “doppio binario”. i mutamenti di graduatoria devono avvenire secondo il merito e non l’anzianità d’iscrizione, Nota a Corte cost. 9 febbraio 2011, n. 41, in GDir, 2011, 9, 81; MORZENTI-PELLEGRINI, Istruzione e formazione nella nuova amministrazione decentrata della Repubblica. Analisi ricostruttiva e prospettive, Milano, 2004; GIGANTE, L’istruzione, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di Cassese, I, Milano, 2003, 805; NICOLA D., E nuove norme sul reclutamento del personale della scuola e sull’organizzazione scolastica, in CS, 1990, 3, 565; DANIELE N., La l. 16 luglio 1984 n. 326 sul precariato della scuola e sulle misure per la sua eliminazione, in CStato, 1984, 6-7, 991.

24 Cfr. ASSOCIAZIONE TREELLE, Oltre il precariato. Valorizzare la professione degli insegnanti per una scuola di qualità, 2006, Quad. 6, 56; in senso critico SALTARI, La formazione e il reclutamento degli insegnanti in Italia, in RTDP, 2015, 452. In dottrina v., altresì, MISCIONE M., La fine del precariato pubblico ma non solo per la scuola, in LG, 2016, 8-9, 745 ss.; SIMEOLI, Lavoro nelle pubbliche amministrazioni: la scuola (voce), in Digesto, 2012; DE GERONIMO, Diritto del lavoro dei docenti della scuola statale: Reclutamento, diritti, doveri, responsabilità, Milano, 2012; COCCONI, Di-ventare insegnanti: e nuove regole, in GDA, 2011, 3, 243 ss.; PALLIGGIANO G., Precari scuola: ille-gittima la norma di legge che ha inserito il sistema del “doppio binario”. i mutamenti di graduatoria devono avvenire secondo il merito e non l’anzianità d’iscrizione, Nota a Corte cost. 9 febbraio 2011, n. 41, in GDir, 2011, 9, 81; MORZENTI-PELLEGRINI, Istruzione e formazione nella nuova amministrazione decentrata della Repubblica. Analisi ricostruttiva e prospettive, Milano, 2004; GIGANTE, L’istruzione, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di Cassese, I, Milano, 2003, 805; NICOLA D., E nuove norme sul reclutamento del personale della scuola e sull’organizzazione scolastica, in CS, 1990, 3, 565; DANIELE N., La l. 16 luglio 1984 n. 326 sul precariato della scuola e sulle misure per la sua eliminazione, in CStato, 1984, 6-7, 991.

25 V. amplius SALTARI, La formazione e il reclutamento degli insegnanti in Italia, in RTDP, 2015, 453; GISSI, Il nuovo precariato nella scuola pubblica, in Cerreta-Riommi (a cura di), Le recenti riforme dei rapporti di lavoro delle pubbliche amministrazioni e della scuola pubblica, Torino, 2016, 105 ss.; NAVILLI, “La buona scuola”: dal precariato all’attuazione e potenziamento dell’autonomia scolastica, in questa Rivista, 2016, 5-6, 613 ss.

26 L’intervento normativo reca disposizioni urgenti in materia di personale scolastico (modificata dal D.L. 25 settembre 2009 n. 134, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2009 n. 167). Con tale legge, consolidante il sistema del doppio canale, si cercherà di superare le difficoltà ri-scontrate negli anni precedenti per la convivenza tra il modello formativo d’ispirazione europea (la formazione specialistica universitaria necessaria per l’abilitazione all’insegnamento – Sis), il sistema del concorso e soprattutto il meccanismo dello scorrimento delle graduatorie. Difficile convivenza che,  

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206 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

titoli ed esami si affiancava un percorso formativo-selettivo per l’immissione in ruolo e, pertanto, alla tipologia del personale in ruolo e a tempo indeterminato si accostava una categoria di lavoratori a tempo determinato e non di ruolo, i supplenti 27.

Si concretizzava la trasformazione dalla flessibilità atipica all’attività lavorativa stabile 28: le graduatorie dei concorsi per soli titoli di fatto divenivano graduatorie permanenti, con una periodica integrazione delle stesse attraverso l’inserimento de-gli idonei abilitati dal superamento di procedure concorsuali ordinarie o riservate, o al termine di specifici percorsi universitari o accademici 29. A partire dal 2006 la via straordinaria, utile per il conferimento degli incarichi a termine e per l’immissione in ruolo a tempo indeterminato, venne gradualmente “abbandonata”. Con la legge n. 296/2006, gli elenchi sono stati trasformati da permanenti ad esaurimento 30. La tra-

tuttavia, permarrà fino all’emanazione del d.lg 227 del 2005. La normativa citata, secondo l’orienta-mento dominante in giurisprudenza, troverebbe applicazione per le scuole statali e non per quelle co-munali soggette, rispettivamente, alle disposizioni contenute nei decreti legislativi n. 165/2001 e n. 368/2001. Sul punto Corte cost., ord. 18 luglio 2013, n. 207, Cass., sez. lav., 3 ottobre 2006, n. 21298; Trib. Napoli, ord. del 2, 15 e 29 gennaio 2013. DEL PRETE, I precari della scuola, Key ed., 2017.

27 Il conferimento dell’incarico di supplenza, specie quello annuale, come ricorda la Suprema Corte, « è il veicolo attraverso il quale l’incaricato si assicura l’assunzione a tempo indeterminato ». La pro-gressiva assegnazione di incarichi temporanei incide direttamente sulla collocazione in graduatoria del docente, il quale avanza man a mano incrementando quel punteggio cui è correlata l’immissione in ruo-lo ex art. 399 del T.U. (d.lgs n. 297 del 1994). Tale possibilità non ha mancato di sollevare dubbi in rapporto al citato principio di accesso al pubblico impiego tramite concorso. I dubbi avanzati sono stati, però, presto accantonati dai medesimi togati: si è, da una parte, sottolineato che alla legge stessa è data la possibilità, ex art 97 cost., di prevedere le eccezioni e, dall’altra, evidenziata la funzionalizzazione del meccanismo « non solo alla garanzia della migliore formazione scolastica, ma anche al rispetto della posizione acquisita in graduatoria la quale, progredendo con le supplenze, garantisce l’immissione in ruolo (V. in particolare d.m. n. 201/2000). Sul punto: Cass. 20 giugno 2012, n. 10127, in GC, 2012, I, 1877; Corte App. Genova, 22 maggio 2012 e Trib. Trani 15 marzo 2012 entrambe in banca dati FI. Per il pregresso si richiamano il D.L. n. 357/1989, convertito in legge n. 417/1989, nonché le ll. nn. 1074/1971, 477/1973, 463/1978, 270/1982, 326/1984, e 246/1988. In dottrina, NAVILLI, “La buona scuola”: dal precariato all’attuazione e potenziamento dell’autonomia scolastica, in questa Rivista, 2016, 5-6, 613 ss.; SALTARI, La formazione e il reclutamento degli insegnanti in Italia, in RTDP, 2015, 453; DE GERONIMO, Diritto del lavoro dei docenti della scuola statale: Reclutamento, diritti, doveri e responsabilità, Milano, 2012.

28 Cfr. Cass. 20 giugno 2012, n. 10127, in GC, 2012, I, 1877 e in FI, 2012, I, 2027, con nota di Per-rino; si v. inoltre POZZAGLIA, La stabilizzazione dei lavoratori precari nell’impiego pubblico privatizza-to, in MGL, 2009, 694. Il “sistema parallelo” avrebbe così fornito una risposta «all’esigenza di parame-trare nella scuola una flessibilità in entrata che comporta una situazione di precarietà, bilanciata, però, ampiamente da una sostanziale e garantita (anche se in futuro) immissione in ruolo che, per altri dipen-denti del pubblico impiego è ottenibile solo attraverso il concorso e per quelli privati può risultare di fatto un approdo irraggiungibile.

29 V. art. 401 T.u. disp. leg. in materia di istruzione – D.Lgs. 297/1994. Sul punto, fedelmente, Cass. sez. lav., 18 ottobre 2016, n. 22552 (dattiloscritto); Cass. 20 giugno 2012, n. 10127.

30 D.m. 13 giugno 2007, n. 131 (adeguamento delle norme regolamentari alla trasformazione) ex le- 

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 207

sformazione, chiaramente votata ad offrire una soluzione al fenomeno del precariato storico e di evitarne la ricostruzione, comportava, da un lato, una preclusione a nuovi inserimenti, dall’altra, un periodico 31 aggiornamento delle graduatorie con-nesso alle diverse esperienze maturate.

La chiusura verso l’esterno delle GAE, tuttavia, subiva un’attenuazione in rife-rimento a particolari casi individuabili ex lege e nel periodo transitorio (biennio 2007/2008) 32.

3. Dall’inserimento in graduatoria alla tempestività della domanda

Il Consiglio di Stato disponeva il deferimento ex art. 99, comma 1, c.p.a, all’A-dunanza plenaria della questione relativa all’iscrizione nelle GAE dei titolari di di-ploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002, richiamando l’attenzione su due provvedimenti emessi dalla medesima autorità adita nel 2013 e nel 2015. Nel primo caso, il Consesso, con il parere reso dalle seconda sezione nel 2013 33, aveva affermato l’illegittimità del d.m. n. 62/2011 34, laddove non parificava ai docenti abilitati coloro che avessero conseguito entro l’anno 2001/2002 il diploma magi-strale, inserendoli nella III fascia della graduatoria di Istituto e non nella II. Conte-stualmente, però, il giudicante non riconosceva la possibilità di accesso nelle gra-

ge 286/2006 art. 1 comma 6, con cui si procedette a deliberare un piano triennale per l’assunzione di personale docente e ATA (2007-2009) e si previde la citata trasformazione delle graduatorie da perma-nenti ad esaurimento, salvando gli inserimenti per il biennio 2007-2008. Nella specie si prevedeva l’integrazione periodica delle GAE per i docenti che avessero superato le prove dell’ultimo concorso regionale per titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti che avessero chiesto il trasferimento ad altra provincia all’interno del sistema GAE.

31 Gli aggiornamenti dal 2006 al 201 sono avvenuto con cadenza biennale, per poi essere trasforma-ti in triennali con il D.L. 70/2011.

32 Venivano, così, fatti salvi ulteriori inserimenti per il biennio 2007/2008 per gli /aspiranti docenti abilitati e, con riserva del conseguimento del titolo, per i docenti che frequentavano, alla data di entrata in vigore della legge, i diversi corsi abilitanti ex lege. In particolare l’art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 tutelava il legittimo affidamento dei docenti-abilitandi dei corsi speciali ex D.L. n 97/2004, dei corsi presso le scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (siss), i corsi biennali acca-demici di secondo livello ad indirizzo didattico (cobaslid), i corsi di didattica della musica presso i con-servatori e il corso di laurea in scienza della formazione primaria. Sul punto SALTARI, La formazione e il reclutamento degli insegnanti in Italia, in RTDP, 2015, 453; DI GERONIMO, Diritto del lavoro dei do-centi della scuola statale: Reclutamento, diritti, doveri e responsabilità, Milano, 2012, 3 ss. e spec, 27 ss.

33 Cons. Stato sez. II 11 settembre 2013 n. 3813, recepito con d.P.R. 25 marzo 2014 e, in via gene-rale, con d.m. 22 maggio 2014 n. 353.

34 D.m. relativo alle disposizioni in merito alla costituzione delle graduatorie relative al personale docente ed educativo per il triennio 2011/2014.

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208 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

duatorie ad esaurimento, per la preclusione normativa sussistente al riguardo, ovve-ro per non essere stata rappresentata in tempo utile la possibilità di inserimento de-gli stessi nelle graduatorie permanenti 35. Nel secondo caso, prendendo le mosse del citato parere e andando oltre, la sesta sezione 36 aveva riconosciuto il carattere abili-tante del titolo di studio in esame se conseguito prima dell’istituzione della laurea in scienze della formazione 37, e ritenuto sussistente l’attualità dell’interesse ad agire dei ricorrenti a far data dal parere reso dal medesimo consesso nel 2013 38.

La conclusione a cui era giunta all’inizio la sesta sezione, poi seguita dalla suc-cessiva giurisprudenza amministrativa 39, inevitabilmente aveva riacceso le speranze di molti aspiranti insegnanti. Tuttavia, come già lo stesso Collegio remittente evi-denziava, non mancava di sollevare più di una perplessità.

L’orientamento cennato si presenta quanto mai forzato e fondato su presupposti erronei sia in relazione alla tempestività della domanda e all’attualità dell’interesse ad agire, sia al provvedimento amministrativo contestato, nonché al titolo “abilitan-te”. In riferimento al primo punto non pare condivisibile un lettura che, individuan-do nel riconoscimento, in sede giurisdizionale, dell’illegittimità di un atto ammini-strativo 40 il dies a quo per proporre ricorso, giustifichi la mancata presentazione «prima di tale data, sia della domanda di inserimento sia del ricorso giurisdizionale» contro i provvedimenti ritenuti lesivi.

Il termine per proporre ricorso giurisdizionale e, ancor prima, quello per la pre-

35 Cons. Stato, sez II, parere 5 giugno 2013, n. 4929/2012, in www.giustiziamministrativa.it. Nello stesso senso anche Trib. Matera, 1° settembre 2015, in Ilgiuslavorista.it; Trib. Cremona, 7 agosto 2015, in JiurisData.

36 Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1973. 37 Nonostante l’abrogazione l’art. 197, comma 1, D.Lgs. 297/1994 (ex art 8, comma 2, legge n.

425/1997) il valore abilitante del diploma magistrale veniva fatto salvo, secondo l’autorità giudicante, dall’art. 15, comma 7, d.P.R. n. 323/1998 disciplinante gli esami di stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore: regolamento, cui la stessa legge n. 425, art. 1 delegava tale discipli-na. In particolare, l’art. 15 conservava, in via permanente, il valore legale e abilitante all’insegnamento nella scuola elementare per i diplomi magistrali conseguiti al compimento dei corsi di studio iniziati entro l’a.s. 1997/1998, sì da assicurare una ricostruzione ex post.

38 V. Cons. Stato sez II 11 settembre 2013, n. 3813 (recepito con d.P.R. del 25 marzo 2014 n. 325) il quale avrebbe riconosciuto il diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002 come abilitante a tutti gli effetti di legge, e consentito gli aspiranti insegnanti (appellanti nel ricorso) di presentare la pre-detta domanda di inserimento in graduatoria. In tal senso anche Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1973; Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2015, n. 3628, Cons. Stato, sez. VI 27 luglio 2015, nn. 3673 e 3675, Cons. Stato, sez. VI 3 agosto 2015, n. 3788 tutte in www.giustiziamministrativa.it

39 Cons. Stato, 16 aprile 2015, n. 1973; Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2015, n. 3628, Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2015, nn. 3673 e 3675, Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2015, n. 3788, cit.

40 Nel caso di specie il dies a quo verrebbe ad essere individuato nella pubblicazione in gazzetta uf-ficiale del d.P.R. di recepimento del parere del Consiglio di Stato con cui si era proceduto all’annul-lamento dell’atto lesivo.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 209

sentazione della domanda di inserimento nelle graduatorie, decorrono dalla piena conoscenza del provvedimento e dei suoi effetti lesivi, come pure dal possesso ef-fettivo del titolo 41. Come ricorda l’Adunanza plenaria, opinando altrimenti, ossia, allorquando si considerasse come rilevante l’effettiva, non la piena, conoscenza del-la lesività dell’atto impugnato, si aprirebbero (o riaprirebbero) una serie indefinita di rapporti amministrativi a vario titolo già “esauriti”. Verrebbero, in tal modo, ri-messi nei termini non solo tutti i controinteressati che non avessero impugnato tem-pestivamente i provvedimenti di esclusione, anche a notevoli anni di distanza dal-l’adozione del provvedimento lesivo, ma altresì coloro i quali non avessero neppure presentato domanda di inserimento nelle graduatorie prima di tale data.

Una posizione «così radicale», che si spinge fino al punto di pretendere il rico-noscimento in sede giurisdizionale della fondatezza della pretesa vantata da soggetti in posizione analoga, per far decorrere il termine di impugnazione dell’atto ammini-strativo, non poteva che essere giustamente respinta dal Supremo Consesso 42. Per-correndo una simile via si giungerebbe a riconoscere all’annullamento di una norma regolamentare «una efficacia retroattiva persino più dirompente di quella che carat-terizza le sentenze di legittimità costituzionale della legge …, la cui retroattività pa-cificamente incontra il limite dei “rapporti giuridici esauriti”, fra i quali … rientra l’inoppugnabilità del provvedimento amministrativo derivante dallo spirare del ter-mine di decadenza». Non solo. L’individuazione del dies a quo, in tale ipotesi, ver-rebbe legata ad un elemento di natura soggettiva e giuridicamente irrilevante: l’erro-neo «convincimento soggettivo dell’infondatezza della propria pretesa» preclude-rebbe la decorrenza dei termini di decadenza anche a fronte di una conoscenza pie-na del contenuto del provvedimento e degli effetti lesivi relativi».

È quanto mai opportuno ricordare che la concreta possibilità di eccepire l’illegit-timità del mancato inserimento in graduatoria sussisteva già prima del parere del 2013: la qualificazione quale titolo abilitante o meno «non è il frutto di una creazio-ne giurisprudenziale», ma era ed è ancorata a specifiche discipline normative (es. art. 15, comma 7, d.P.R. 323/1988) 43 e verso queste si sarebbe dovuto rivolgere l’attenzione.

41 Per quanto concerne il caso specifico si richiama il d.m. n. 235 del 2014 mediante il quale si dava avvio alla fase di aggiornamento periodica delle graduatorie ad esaurimento, sì da consentire l’adegua-mento dei punteggi alle esperienze maturate nel triennio.

42 Cons. Stato, Ad. Pl. 20 dicembre 2017, n. 11, pt. 17. Fatta eccezione «per l’ipotesi degli atti plu-rimi con effetti inscindibili (che qui non vengono in considerazione), deve escludersi l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo possa giovare ai cointeressati che non abbiano tempestivamen-te proposto il gravame e, per i quali, pertanto, si è già verificata una situazione di inoppugnabilità, con conseguente “esaurimento” del relativo rapporto giuridico».

43 Come evidenzia l’autorità giudicante, un parere reso dal Consiglio di Stato non può avere «effetti costitutivi o innovativi (del resto estranei alla natura e allo scopo della funzione giurisdizionale)», limi-tandosi ad interpretare la legge (Cons. Stato, Ad. Pl. 20 dicembre 2017, n. 11, pt. 18).

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210 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Anche per quanto concerne l’individuazione concreta del provvedimento ammi-nistrativo ritenuto lesivo dell’interesse degli aspiranti docenti emergono forti critici-tà. Non ci si può esimere dall’evidenziare come il decreto ministeriale del 2014 si sia limitato a regolare il periodico aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, nulla disponendo in ordine ad eventuali nuovi inserimenti. Una eventuale lesione degli interessi di coloro i quali, esterni, aspiravano all’inclusione all’interno delle citate graduatorie era da ascrivere al più risalente d.m. 16 marzo 2007, attuativo del-l’art. 1, comma 605, legge 296/2006. Con tale decreto veniva disposto il primo ag-giornamento delle ex graduatorie permanenti e si procedeva all’individuazione (do-po una ricognizione delle disposizioni legislative vigenti) dei requisiti utili all’ac-cesso nelle neonate GAE, senza menzionare il diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002.

5. L’efficacia erga omnes delle sentenze del Consiglio di Stato

A supporto della tesi secondo la quale si sarebbe dovuto riconoscere l’inseri-mento dei diplomati magistrali all’interno delle graduatorie ad esaurimento si è af-fermata l’efficacia erga omnes della sentenza 44 con cui il Consiglio di Stato aveva annullato il d.m. n. 235 del 2014, laddove non consentiva l’iscrizione ai docenti in possesso del diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002. L’estensione, quale conseguenza dell’efficacia generalizzata del decreto annullato, avrebbe con-sentito una semplice presa d’atto da parte dell’autorità giudicante e disposto l’inse-rimento dei ricorrenti nelle “ambite GAE”. La scelta di richiamare la pronuncia del-la sesta sezione, ponendola a fondamento delle pretese degli aspiranti insegnanti, non è stata un quid novi, ma ha costituito il minimo comune denominatore di molti ricorsi proposti in sede ordinaria e amministrativa negli ultimi anni.

In primo luogo e in coerenza con quanto si è già affermato, appare difficile con-dividere una simile lettura, ovvero riconoscere un effetto espansivo alla sentenza dei giudici di Palazzo Spada. La retroattività degli effetti giuridici «incontra il limite dei rapporti giuridici esauriti», esaurimento verificatosi nel caso di specie allorché non solo è stata omessa la tempestiva contestazione del mancato inserimento nelle graduatorie, ma soprattutto non è stata affatto presentata una domanda di inserimen-to entro i termini.

L’efficacia generalizzata potrebbe derivare dalla natura normativa del decreto ministeriale citato, ma anche questa tesi non pare condivisibile. Il decreto, in quanto destinato esclusivamente a coloro che risultino già iscritti nelle graduatorie (a pieno

44 Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1973.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 211

titolo o con riserva) e volto a disciplinare il periodico aggiornamento delle stesse 45, risulta carente, come evidenzia il giudicante, di un aspetto essenziale «naturale co-rollario della generalità e dell’astrattezza della previsione normativa», l’indeter-minabilità dei destinatari 46.

Quand’anche si volesse avvallare la tesi di una rimozione del decreto ministeria-le dall’ordinamento per mezzo del provvedimento del Consiglio di Stato, trasfuso nel d.P.R. 25 marzo 2014, la situazione non muterebbe affatto. All’annullamento seguirebbe l’applicazione della disciplina più risalente, ovvero la già citata legge n. 296/2006 (art. 1 comma 605), il d.m. 16 marzo 2007 e il d.d.g. 16 marzo 2007 47.

In ogni caso, l’efficacia erga omnes deve escludersi per esplicita indicazione in tal senso della stessa autorità giurisdizionale. Nell’annullare il d.m. del 2014 nella parte in cui non consente l’iscrizione nelle GAE dei diplomati magistrali entro l’a.s. 2001/2002, la sesta sezione ha circoscritto chiaramente l’effetto del provvedimento a coloro i quali avevano presentato il ricorso 48.

5. Il diploma magistrale, un titolo effettivamente legittimante l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento?

Nell’affrontare nel merito la questione direttamente sollevata dalla sesta sezione, ovvero della portata e degli effetti del valore abilitante riconosciuto al diploma ma-gistrale, l’Adunanza giunge ugualmente a respingere il ricorso. Mancherebbe a sup-porto delle richieste avanzate, infatti, una norma utile a riconoscere il titolo più vol-te richiamato come idoneo a legittimare l’inserimento nelle GAE.

45 In particolare con il d.m. 234/2014 si disponeva la permanenze, l’aggiornamento e la conferma dell’inclusione nelle citate graduatorie in seguito allo scioglimento della riserva per gli iscritti.

46 Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 20 dicembre 2017, n. 11, per la quale trattasi comunque di un atto ammi-nistrativo di macro-organizzazione, idoneo ad attribuire la competenza giurisdizionale in capo all’a.g.a.; Cons. Stato Ad. Plen 4 maggio 2012, n. 9. Si veda altresì Cass., S.U., ord. 14 dicembre 2016, n. 25840.

47 Provvedimento con cui si procedette all’individuazione dei criteri per l’integrazione e aggiorna-mento delle graduatorie esistenti. In particolare, ai sensi dell’art.1, comma 607 della citata legge n. 296/2006, si dispose, per gli anni scolastici 2007/2008 e 2008/2009, il trasferimento, l’integrazione e l’aggiornamento di tutte le fasce delle graduatorie permanenti, trasformate in graduatorie ad esaurimen-to e che dall’a.s 2009/10 è consentito solo l’aggiornamento della propria posizione e il trasferimento ad altra Provincia, in posizione subordinata a tutte le fasce.

48 In particolare è possibile desumere la delimitazione dell’ambito soggettivo della pronuncia diret-tamente dal dispositivo «definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo accoglie nei sensi sue-sposti e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il decreto ministeriale n. 235/2014 nella parte in cui non ha consentito agli originari ricorrenti, docenti in possesso del titolo abilitante di diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, l’iscrizione nelle graduatorie perma-nenti, ora ad esaurimento».

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212 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

A sostegno di una immissione nelle graduatorie non potrebbe essere invocato il d.P.R. 25 marzo 2014, con cui si recepì il parere della seconda sezione del 2013 49, considerato che si limitava a riconoscere il valore abilitante del diploma magistrale ai fini dell’inserimento in una specifica fascia 50 delle graduatorie di istituto 51, e nem-meno, il d.P.R. 23 luglio 1998, n. 323. Con l’art. 15, comma 7, d.P.R. 323/1998 52 si assicurava, infatti, il valore legale e l’idoneità del diploma magistrale ai fini della partecipazione alle procedure selettive per titoli ed esami, non diversamente da quanto, come si avrà modo di vedere, già previsto dalle fonti primarie prima della istituzione delle graduatorie ad esaurimento.

Ai fini dell’abilitazione all’insegnamento, il legislatore aveva previsto livelli di qualificazione differenziata per la scuola primaria e per quella secondaria ma, sul piano della formazione culturale e professionale dei docenti per l’infanzia e per la primaria, aveva ritenuto imprescindibile una formazione universitaria. Furono così istituiti con d.P.R. n. 471/1996 e d.m. 26 maggio 1998 due corsi di laurea con effi-cacia abilitante 53 e conservata la medesima idoneità per i titoli di studio conseguiti prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina precludendola, ovviamente, per i diplomi magistrali rilasciati in seguito.

Il futuro degli insegnanti nelle fasi di passaggio dalla vecchia disciplina, fondata sul diploma magistrale, al sistema di formazione universitaria venne affidata ad un apposito regime transitorio, votato a salvaguardare i titoli di studio acquisiti 54. Sop-pressi i corsi ordinari (triennali e quadriennali) della scuola e istituto magistrale dall’a.s. 1998/1999, e i corsi annuali integrativi (ex art. 191, comma 4 e 6, D.Lgs. n. 297/1994) dall’a.s. 2002/2003, assicurato il funzionamento, fino ad esaurimento, dei corsi sperimentali quinquennali fino all’avvio del nuovo iter, si conservava «in via permanente» il valore legale dei titoli di studio di entrambi i percorsi «iniziati entro l’a.s. 1997/1998, o comunque conseguiti entro l’a.s. 2001/2002» 55. Al mante-

49 Cons. Stato sez.II 11 settembre 2013 n. 3818. 50 Si riconosceva l’illegittimità del d.m. n. 62/2001 nella parte in cui non parificava i docenti abilita-

ti con diploma magistrale conseguito entro l’a.s. 2001/2002, inserendoli nella III fascia delle graduato-rie di istituto e non nella II fascia.

51 Anche in questo caso l’impossibilità di un inserimento nelle GAE trovava la propria origine in una preclusione normativa, ovvero nella tardività con cui i ricorrenti avevano proposto ricorso contro il mancato inserimento.

52 “I titoli conseguiti nell’esame di Stato a conclusione dei corsi di studio dell’istituto magistrale iniziati entro l’anno scolastico 1997/1998 conservano in via permanente l’attuale valore legale e abili-tante all’insegnamento nella scuola elementare. Essi consentono di partecipare ai concorsi per titoli ed esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare”.

53 L’attivazione dei corsi prendeva avvio con l’a.s. 1999/2000. 54 D.m. 10 marzo 1997, art. 2., confermato anche dall’art. 15, comma 7 d.P.R. 23 luglio 1998, n. 323. 55 D.m. 10 marzo 1997, art. 2.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 213

nimento del valore legale accedeva il riconoscimento dell’idoneità per il medesimo titolo ai fini della partecipazione alle sessioni di abilitazione all’insegnamento e ai concorsi ordinari per titoli ed esami 56.

A ben vedere, la “salvaguardia” permanente, così prevista, non si è tradotta in una corrispondenza fra possesso del titolo e accesso ai ruoli, bensì si è esaurita nel conservare tale titolo fra i requisiti idonei alla partecipazione alle sessioni di abilita-zione o alle procedure selettive ex art. 399 ss., D.Lgs. n. 297/1994. Una lettura, quest’ultima, convalidata dalla pronuncia dell’Adunanza plenaria.

Il valore legale del diploma magistrale trova riconoscimento «solo nei limiti previsti dalla disciplina transitoria …, ossia in via strumentale», consentendo ai di-plomati entro l’anno scolastico più volte richiamato di accedere alle sessioni di abi-litazione o ai concorsi, pur in assenza del titolo di laurea nel frattempo istituito e di-venuto requisito fondamentale per il ruolo docente. Il legislatore, così operando, avrebbe mostrato «di tenere in debito conto la posizione di chi avesse conseguito il titolo del diploma magistrale precedentemente alla riforma operata con la legge 19 novembre 1990, n. 341 e non fosse già immesso in ruolo alla data di entrata in vigo-re del d.m. 10 marzo 1997» 57.

Da tal momento a quello più recente del varo della c.d. buona scuola, l’apertura del legislatore si è tradotta in almeno due occasioni concrete di partecipazione a procedure selettive: una nel 1999, in occasione dell’istituzione delle graduatorie permanenti 58, e l’altra nel 2004 59 con l’istituzione di percorsi formativi e/o corsi universitari riservati per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento e l’in-gresso nelle medesime graduatorie. Furono tracciate strade alternative e, decisamen-te, più agevoli rispetto al percorso ordinario che, di fatto, hanno consentito a moltis-

56 In particolare “i titoli di studio conseguiti al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimen-tali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale, iniziati entro l’anno scolastico 1997-1998, o comunque conseguiti entro l’a.s. 2001-2002, consentono di partecipare alle sessioni di abilitazione all’insegnamento nella scuola materna, previste dall’art. 9, comma 2, della citata legge n. 444 del 1968, nonché ai concorsi ordinari per titoli e per esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare, secondo quanto previsto dagli articoli 399 e seguenti del citato decreto legislativo n. 297 del 1994”.

57 Cons. Stato, Ad. Plen, 20 dicembre 2017, n. 11, pt. 25. 58 Nel biennio 1999-2000, grazie al concorso citato del 1999 e alla procedura riservata ad esso pa-

rallela ex art. 2, comma 4, legge n. 124/1999 (per i docenti con almeno 360 giorni di servizio) vennero immessi nelle graduatorie permanenti quasi 200.000 soggetti. V. sul punto già CRISCUOLO, Brevi note in tema di diplomati magistrali ed idoneità all’insegnamento, in FN, 216, spec. 799.

59 Art. 2, comma 1, D.L. 97/2004 convertito nella legge 4 giugno 2004, n, 143. In particolare preve-deva un corso riservato «agli insegnanti in possesso del titolo conclusivo del corso di studi dell’istituto magistrale conseguito in uno degli anni 1999, 2000, 2001 e 2002, che siano privi di abilitazione o ido-neità e che abbiano prestato servizio per almeno 360 giorni nella scuola materna e nella scuola elemen-tare dal 1° settembre 1999 alla data di entrata in vigore del presente decreto».

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214 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

simi diplomati magistrali di inserirsi nelle GAE, dopo aver conseguito un titolo ag-giuntivo rispetto a quello della scuola superiore.

A margine di quanto detto, emerge chiaramente, come prima della istituzione delle graduatorie permanenti e anche dopo la loro trasformazione in graduatorie ad esaurimento, il diploma conseguito al termine della scuola magistrale non abbia mai rappresentato titolo sufficiente all’ingresso nello “straordinario” canale di recluta-mento, e/o all’accesso ai ruoli a tempo indeterminato. Le fonti di rango primario 60 succedutesi nel tempo, pur ampliando la platea dei soggetti legittimati ad iscriversi, hanno sempre previsto che il citato diploma dovesse essere supportato o da un re-quisito concorsuale abilitante o da percorsi formativi 61, fatta eccezione per lo speci-fico canale di reclutamento a tempo determinato. Valutate le finalità dell’inserimento nelle graduatorie e i tempi intercorrenti tra l’immissione e la “stabilizzazione” nel ruo-lo, a rigor di logica, non si poteva prescindere da un titolo abilitante ulteriore. Da una parte, infatti, all’ingresso nelle graduatorie corrispondeva, nel tempo e per scorrimen-to, una stabile assunzione nei ruoli della docenza, dall’altra, i tempi intercorsi tra l’acquisizione del diploma magistrale e l’inserimento nelle graduatorie potevano es-sere così lunghi da rendere necessario un aggiornamento e/o «una ricognizione del-l’esperienza maturata o del percorso formativo seguito dopo il diploma».

Alla luce di quanto detto, sarebbe arduo riconoscere un’eccezione a tale princi-pio (peraltro non esplicitata dal legislatore) sì da consentire ai soggetti muniti di so-lo diploma magistrale il diritto all’immissione nelle graduatorie ad esaurimento. Una difficoltà ancor più evidente se si considera la ratio sottesa alla trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento, ovvero la progressiva riduzione dei soggetti in esse inseriti al fine di giungere alla loro chiusura definitiva. D’altronde, come potrebbe altrimenti il legislatore disporre la progressiva estinzione del secon-do canale di accesso al ruolo nella scuola, consentendo, contemporaneamente, l’in-serimento nelle stesse di nuovi soggetti, peraltro privi dei requisiti abilitanti gene-ralmente previsti?

A nulla varrebbe invocare la clausola di riserva contenuta nell’art. 1, comma 605, legge 296/2006, riferibile, come ricorda il sommo Consesso, «solo a quei titoli abili-tanti che, secondo la normativa vigente, costituivano requisiti d’accesso alle graduato-rie, essendo volta a preservare le aspettative» di coloro i quali, confidando nel mante-nimento del sistema pregresso, avessero già affrontato o comunque intrapreso un per-corso di studi per munirsi del titolo necessario all’inserimento nelle GAE 62.

60 D.lgs. n. 297/1994, artt. 194, 197, 401, 402; d.P.R. n. 323/1998; ancora legge n. 124/1999, art. 2; d.l n. 97/2004, art. 2.

61 V. Cons. Stato, Ad. Plen, 20 dicembre 2017, n. 11, ma così già Trib. Milano 15 febbraio 2016, n. 253, in Pluris On line; Trib. Napoli ord. 19 ottobre 2015; TAR Lazio-Roma 3 ottobre 2013, n. 8599, in FA, 2013, 3097.

62 La riserva di riserva mirava a tutelare la legittima aspettativa di coloro che, alla data di entrata in  

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 215

6. Il difficile riparto di competenza

Le controversie promosse, nel caso a quo, dagli aspiranti docenti per l’immis-sione nelle graduatorie ad esaurimento sono state riconosciute di competenza dell’autorità amministrativa in linea con l’orientamento cha va a consolidandosi nei più recenti esiti dei ricorsi per regolamento di giurisdizione 63. Si giunge, condivisi-bilmente o meno, a porre un punto fermo nella querelle che per diversi anni ha visto le autorità giurisdizionali, amministrativa e ordinaria, abbracciare orientamenti tut-t’altro che univoci, spesso avocando a sé la competenza in materia 64.

Come dimostra la copiosa produzione giurisprudenziale, dopo quasi vent’anni dall’intervento con cui si abbandonava per la giurisdizione il tradizionale criterio di riparto delle situazioni soggettive fatte valere, sostituendolo con quello ratione ma-teriae, si sono palesate “resistenze” – oggi prevalenti – tradottesi, in materia di con-corsi, nel mantenimento in vita del riparto collegato alla distinzione diritto soggetti-vo/interesse legittimo.

A dire il vero, la stessa formulazione dell’art. 63 D.Lgs. 165/2001 ha contribuito a rendere poco agevole l’esatta individuazione dell’autorità competente, quantome-no guardando al primo e quarto comma 65. Da una parte si è affermata la competen-za del giudice ordinario per “tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle p.a”, ricomprendendovi anche quelle concernenti l’assunzione, dall’altra è stata mantenuta, in via residuale, quella del giudice amministrativo in ordine alle procedure concorsuali, facendo così emergere una evidente ambiguità intrinseca 66. Nel contrapporre due momenti diversi di un unico fenomeno, si è reso

vigore della legge, frequentavano i corsi abilitanti che secondo la normativa previgente consentivano l’accesso alle graduatorie», non i soggetti muniti di solo diploma magistrale.

63 Cass., S.U., reg. giur. 4 luglio 2017, n. 21198 e Cass., S.U., ord. 15 dicembre 2016, n. 25840. 64 Sul punto v. CRISCUOLO, Brevi note in tema di diplomati magistrali ed idoneità all’insegnamento,

in FNap., 2016, 3, 791 ss.; SCAFURI, Il diritto all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento degli aspiranti docenti con vecchio diploma magistrale, in GF, 2015, luglio –agosto, 50 ss.; PENDOLINO, An-cora dubbi sulla giurisdizione nel pubblico impiego: il caso paradigmatico delle graduatorie del per-sonale della scuola, in LG, 2010, 5, 447.

65 TRISORIO LIUZZI, Controversie relative ai rapporti di lavoro, in F. CARINCI-D’ANTONA (a cura di) Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Commentario, Milano, 2000, 1816; ZAPPA-

LÀ, Le trasformazioni del lavoro pubblico nel prisma delle politiche di reclutamento. Il caso del "diritto all’assunzione", in questa Rivista, 2000, 279; M.G. GAROFALO, Il trasferimento di giurisdizione nel la-voro pubblico, in questa Rivista, 1999, 499; TENORE, Devoluzione al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego, in NOVIELLO-SORDI-APICELLA-TENORE, Le nuove controversie sul pubblico im-piego privatizzato e gli uffici del contenzioso, Milano, 2002, 33.

66 In tali termini e, concordemente, critico per le scelte operate nel 1998 allorquando si è mantenuta una competenza (seppur residuale) in materia dell.a.g.a si ricorda in modo particolare BORGHESI, La giurisdizione del giudice ordinario, in F. CARINCI-D’ANTONA (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche am-ministrazioni. Commentario, Milano, 2004, 1220.

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216 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

necessario individuare la linea di confine 67 fra le procedure selettive finalizzate al-l’assunzione e l’assunzione, fra ciò che è prodromico all’instaurazione del rapporto e il rapporto stesso 68. La scelta operata dal legislatore se si è tradotta e consolidata nell’attribuzione al giudice amministrativo delle controversie che attengono alla fa-se del concorso fino alla formazione della graduatoria e proclamazione dei vincitori, e al giudice del lavoro di quelle relative alle fasi successive, lo stesso non è avvenu-to per le graduatorie permanenti e/o ad esaurimento della scuola.

Le particolarità che contraddistinguono le graduatorie permanenti, prima, ed a esaurimento, poi, hanno portato sia ad affermare 69 sia ad escludere 70 la loro ricondu-cibilità nell’alveo delle procedure selettive o concorsuali in senso stretto, con conse-guente devoluzione delle relative controversie, rispettivamente, all’a.g.a. o all’a.g.o. 71

67 In relazione alla formazione della graduatoria concorsuale e proclamazione dei vincitori quale di-scrimine fra le diverse autorità giurisdizionali v. Vedi da ultimo TAR Campobasso Molise, 21 ottobre 2009, n. 677, in Red. Amm. TAR, 2009, 10; TAR Roma Lazio, sez. III, 28 aprile 2009, n. 4306, in FA – TAR, 2009, 4, 1137; TAR Salerno Campania, sez. I, 24 marzo 2009, n. 1055, ibidem, 3, 859; Cass., S.U., 14 gennaio 2009, n. 561, in questa Rivista, 2009, 1, 146. PENDOLINO, Ancora dubbi sulla giurisdizione nel pubblico impiego: il caso paradigmatico delle graduatorie del personale della scuola, in LG, 2010, 5, 447; Cass. sez.un. 26 giugno 2002, n. 9332; Cass. 23 settembre 2002, n. 4829. BORGHESI, La giurisdizione del giudice ordinario, in F. CARINCI-L. ZOPPOLI (a cura di) Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Com-mentario, Milano, 2004, 1215; TRISORIO LIUZZI, Controversie relative ai rapporti di lavoro, in F. CARINCI-D’ANTONA (a cura di) Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Commentario, Milano, 2000, 1816; ZAPPALÀ, Le trasformazioni del lavoro pubblico nel prisma delle politiche di reclutamento. Il caso del "diritto all’assunzione", in questa Rivista, 2000, 279; M.G. GAROFALO, Il trasferimento di giuri-sdizione nel lavoro pubblico, in questa Rivista, 1999, 499; TENORE, Devoluzione al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego, in NOVIELLO-SORDI-APICELLA-TENORE, Le nuove controversie sul pub-blico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, Milano, 2002, 33.

68 In materia di giurisdizione si veda F. CARINCI, Privatizzazione del pubblico impiego e ripartizio-ne della giurisdizione per materia (breve storia di una scommessa perduta), in questa Rivista, 2006, 6, 1049; F. CARINCI, Giurisprudenza costituzionale e c.d. privatizzazione del pubblico impiego, in questa Rivista, 2006, 3-4, 499; BORGHESI, La giurisdizione del giudice ordinario,, in F. CARINCI-L.ZOPPOLI (a cura di) Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Commentario, Milano, 2004, 1215; A.N. FILARDO, Alcune riflessioni su aspetti problematici del passaggio di giurisdizione al giudice del lavoro in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in GC, 1999, II, 329.

69 Cons. Stato sez. VI, 4 dicembre 2009, n. 7617: deve ritenersi consolidato «l’indirizzo secondo cui le vicende, inerenti la formazione della graduatoria degli insegnanti, sono identificabili come fasi di una procedura selettiva, finalizzata all’instaurarsi del rapporto di lavoro, con conseguente applicabilità dell’art. 63, comma 4, D.Lgs. 165/2001. […] Tale indirizzo è condiviso dal Collegio, essendo l’ingresso nei ruoli degli insegnanti affidato talvolta a procedure concorsuali per esami vere e proprie, ma con am-pia frequenza anche a scorrimento di graduatorie …». V., altresì, Cass., S.U., 23 novembre 2000, n. 1203 e Cass. S.U. 22 luglio 2003, n. 11404.

70 Cass. S.U. 28 luglio 2009, n. 17466; Cass., S.U., 23 novembre 2000, n. 1203. 71 Escludono la riconducibilità delle selezioni pro Gae nell’alveo delle procedure concorsuali in

senso stretto: Trib. Pordenone, sez. lav., 13 marzo 2017, in banca dati FI; Trib. Milano, sez. lav., 1 marzo 2017; Trib. Milano, sez. lav., 27 febbraio 2017; TAR Lazio Roma, sez. II bis, 10 gennaio 2017, n. 395; T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento, sez. unica, 28 giugno 2016, n. 292; Cons. Stato, sez. VI,  

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 217

A confermare le difficoltà nell’individuazione dell’autorità competente, nonché l’assenza di uniformità negli orientamenti, si possono richiamare diverse pronunce che hanno giustificato l’affermazione o il difetto di giurisdizione in capo alle autori-tà adite sulla base della diversa natura della posizione giuridica vantata (interesse legittimo/diritto soggettivo). Si è, così, affermata la competenza del g.o. per le pre-tese aventi oggetto la conformità a legge degli atti di gestione della graduatoria utile per l’eventuale assunzione, venendo «in questione atti riconducibili alle determina-zioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato» 72 e di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi 73. A opposte conclusioni, ovvero al riconoscimento della competenza del g.a., si è giunti per le censure dirette esclusi-vamente nei confronti dei decreti ministeriali 74 e delle disposizioni regolamentari di aggiornamento delle GAE 75, venendo in rilievo interessi legittimi.

Ad oggi, come dimostrano le stesse Sezioni unite in occasione di ricorsi preven-tivi di giurisdizione, quest’ultimo appare l’orientamento in via di consolidamento 76. Si è così individuata una linea di demarcazione, distinguendo a seconda che la que-stione involga un atto di gestione delle graduatorie, nelle quali viene in rilievo in via diretta la posizione soggettiva dell’interessato e il suo diritto al collocamento nella giusta posizione 77, ovvero la validità dell’atto amministrativo di carattere generale (o regolamentare), che disciplina l’accesso alle graduatorie e, quale conseguenza dell’annullamento di tale atto, la tutela della posizione individuale dell’aspirante al-l’inserimento in una determinata graduatoria 78.

Nel caso concreto, avuto riguardo al petitum sostanziale dedotto in giudizio,

6 maggio 2016, n. 1833; Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2016, n. 953; Cons. Stato, sez. VI, 17 dicembre 2015, n. 5710 tutte in banca dati Ipsoa. In senso contrario, con devoluzione della competenza all’a.g.a. Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1973; Cass. 24 dicembre 2013, n. 27991.

72 Art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001. 73 Trib. Milano sez. lav., 11 maggio 2017, in FI; Trib. Milano sez. lav., 10 maggio 2017, in FI;

Cons stato Ad. Plen. 12 luglio 2011, n. 11. 74 D.M. n. 44 del 2011. 75 Trib. Pordenone Sez. lavoro, 13 marzo 2017, in banca dati FI. 76 Cass. S.U., reg. giur. 4 luglio 2017, n. 21198; Cass. civ. sez.un., ord. 15 dicembre 2016, n. 25840. 77 Cass. civ. sez.un., ord. 15 dicembre 2016, n. 25840; Cass., sez.un. 5 giugno 2006 n. 13169; Cass.

sez.un. 16 febbraio 2009 n. 3677; Cass. sez.un. 8 giugno 2016 n. 11712. 78 V. Cass. ord. 16 dicembre 2013 nn. 27991 e n. 27992: diversamente da quanto osservato in passa-

to dalla suprema Corte, dovrà riconoscersi la competenza del a.g.a. allorché l’oggetto del giudizio sia l’accertamento della legittimità della regolamentazione stessa delle graduatorie ad esaurimento quale adottata con atto ministeriale. A tale conclusione si deve giungere «contestandosi la legittimità della regolamentazione, con disposizioni generali ed astratte, delle graduatorie ad esaurimento al fine di otte-nere l’annullamento di tale regolamentazione in parte qua, e non già la singola collocazione del docente in una determinata graduatoria, eventualmente previa disapplicazione degli atti amministrativi presup-posti, anche eventualmente di natura normativa sub primaria». Sul punto v. anche in tal senso, vedi Corte cost. n. 41 del 2011.

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218 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

qualora «oggetto della domanda sia la richiesta di annullamento dell’atto ammini-strativo generale o normativo, e solo quale effetto della rimozione di tale atto – di per sé preclusivo del soddisfacimento della pretesa del docente all’inserimento in una determinata graduatoria – l’accertamento del diritto del ricorrente all’inseri-mento […], la giurisdizione sarà devoluta al giudice amministrativo» 79. Spetta, in-fatti, alla giurisdizione generale di legittimità del g.a. la controversia nella quale la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi, attra-verso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di or-ganizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi 80.

Allorquando, viceversa, la domanda sia specificamente volta all’accertamento del diritto del singolo docente all’inserimento nella graduatoria, ritenendo che tale diritto scaturisca direttamente dalla normazione primaria, la giurisdizione dovrà es-sere attribuita al giudice ordinario 81, eventualmente previa disapplicazione dell’atto amministrativo che detto inserimento potrebbe precludere 82.

7. Conclusioni

Al di là delle prime reazioni registrate a ridosso della pronuncia del 20 dicembre 2017 83, la preclusione all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento e, even-

79 Cass. S.U., reg. giur. 4 luglio 2017, n. 21198; Cass. civ. sez.un., ord. 15 dicembre 2016, n. 25840; Cass., sez.un. 9 febbraio 2009 n. 3052; Cass., sez.un. 3 novembre 2011, n. 22733; Cass., sez.un., 15 dicembre 2015 n. 25210; Cass., S.U., 8 novembre 2005, n. 2159; Cass., S.U., 1 dicembre 2009 n. 25254; Cass., S.U., 8 giugno 2016 n. 11712; Trib. Pordenone, sez. lav., 13 marzo 2017, in banca dati FI; Cass. 24 dicembre 2013, n. 27991; Trib. Torino 24 luglio 2015 n.. 16220.Trib. Mantova 16 luglio 2015 (rg 2672/2015); Trib. Belluno 22 luglio 2015 (rg. 167-1/2015).

80 Cass. civ. S.U., ord. 15 dicembre 2016, n. 25840; Cass., sez.un. 9 febbraio 2009 n. 3052; Cass., S.U., 3 novembre 2011, n. 22733; Cass., S.U., 15 dicembre 2015 n. 25210; Cass., S.U., 8 novembre 2005 n. 21592; Cass., S.U., 1 dicembre 2009 n. 25254; Cass., S.U., 8 giugno 2016 n. 11712.

81 Cass. civ. sez.un., ord. 15 dicembre 2016, n. 25840; Cass., sez.un. 5 giugno 2006 n. 13169; Cass. S.U. n. 3677 del 2009; Cass., S.U., 8 giugno 2016 n. 11712; Trib. Milano, sez. lav., 6 giugno 2017, in Banca dati Ipsoa; Trib. Milano, sez. lav., 11 maggio 2017, in Banca dati Ipsoa. Riconoscono la compe-tenza del g.o., i quanto i ricorrenti non contestano i criteri di formazione della graduatoria, ma assumo-no di avere diritto all’inserimento in ragione del proprio titolo magistrale, in assenza di fasi concorsuali: Trib. Firenze ord. 7 agosto 2015; Cass., S.U. 2014, n. 16756; Cass. sez.un. 2013, n. 27991; Cass. S.U. 28 luglio 2009, n. 17466.

82 Sul punto già Cass., S.U., 5 giugno 2006 n. 13169; Cass., S.U., 16 febbraio 2009 n. 3677; Cass S.U., 8 giugno 2016 n. 11712.

83 Fra i tanti, si veda ZUNINO, Diplomati alle magistrali, niente cattedre di ruolo: potranno fare solo supplenze, in La Repubblica, 20 dicembre 2017; CORLAZZOLI, Diplomati magistrali, titolo non valido  

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 219

tualmente, al piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato, non può ascriversi, unicamente, al possesso del diploma magistrale.

Il titolo raggiunto al termine dell’istituto superiore entro l’a.s. 2001/2002 è stato annoverato fra i requisiti utili al fine dell’inserimento nelle graduatorie permanenti, prima, e ad esaurimento, dopo. Depongono in tal senso non solo la disciplina nel tem-po introdotta, dalla legge n. 297/1994 alla legge finanziaria per il 2007 e il d.m. 15 marzo 2007, nonché l’art. 2, comma 416, legge n. 244/2007 e il d.m. 10 settembre 2010, n. 249, ma anche i dati concreti degli iscritti alle graduatorie e forniti dal Mini-stero nel corso del procedimento. All’interno dei citati elenchi è possibile rinvenire sia possessori di titolo di laurea, soggetti che hanno effettuato specifici percorsi abilitativi sulla base della normativa esistente al momento dell’inserimento nelle stesse, sia di-versi diplomati magistrali 84. A distinguere la situazione di questi ultimi da quella de-gli aspiranti docenti o di coloro i quali sono stati inseriti con riserva è il possesso, ac-canto al diploma magistrale, di titoli aggiuntivi e imprescindibili: dall’idoneità o abili-tazione conseguita con il superamento di concorsi a cattedre e posti per titoli ed esa-mi, o selezioni per soli titoli ed esami; abilitazione/idoneità conseguita con la parteci-pazione a sessioni riservate o a corsi speciali ex dd.mm. nn. 21/2005 e 100/2004; ido-neità conseguite negli Stati membri dell’UE e opportunamente riconosciute.

Il valore legale del citato diploma viene, pertanto ed esplicitamente, conservato in via permanente e in un contesto ordinamentale in cui lo stesso è stato via via so-stituito dalla laurea in scienza della formazione, ma da solo, come nel passato, non consente l’accesso ai ruoli. Perdura il suo carattere di “requisito” strumentale per l’insegnamento che esaurisce la sua funzione nel consentire ai diplomati entro l’a.s. 2001/2002 di partecipare alle sessioni di abilitazione o ai concorsi, spesso riservati ed appositamente predisposti per l’iscrizione nelle graduatorie. Non pare così ecces-sivo, quindi, sostenere che sia stata, in buona parte, la scelta dei singoli di non con-formare il titolo di studio posseduto alle finalità richieste dalla normativa sopravve-nuta in materia di insegnamento, anche davanti alle diverse occasioni approntate dal legislatore, ad inficiare l’inserimento nelle graduatorie.

A prescindere dalla questione di merito, ossia dall’idoneità o meno del diploma magistrale a consentire l’accesso all’insegnamento e alle graduatorie più volte cita-

per le graduatorie. Sindacati: “Scenari inquietanti”, in Il fatto quotidiano, 22 dicembre 2017; SANTARPIA, Diplomati magistrali, il titolo non basta per entrare nelle graduatorie, in Il corriere, 20 dicembre 2017; TUCCI, Il consiglio di Stato: niente «Gae» per i diplomati magistrali ante 2001, in Il Sole 24Ore, 21 di-cembre 2017; ID, La cattedra arrivi con il merito, non con i ricorsi, in Il Sole 24Ore, 8 gennaio 2018.

84 Secondo i dati forniti dall’amministrazione, ben 34.173 docenti si trovano nelle GAE per aver conseguito un titolo aggiuntivo rispetto al diploma magistrale, di cui 20.448 costituiscono gli idonei a precedenti concorsi per esami e titoli, 2.946 si sono abilitati attraverso i corsi riservati previsti dall’art. 2, comma 1, lett. c-bis D.L. 97/2004 (ai quali devono aggiungersi i 7.996 abilitati attraverso le suddette sessioni, non più presenti nelle GAE perché assunti o depennati per mancato aggiornamento), mentre i restanti hanno ottenuto il titolo d’accesso prescritto dalla legge attraverso le sessioni riservate del 1999 o mediante il possesso di altri titoli, quali ad esempio la Laurea in Scienza della Formazione Primaria.

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220 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

te, rilevano altri elementi: la tempestività della domanda di inserimento nelle GAE e il successivo ricorso avverso il diniego dell’immissione, il provvedimento ammini-strativo impugnato e il relativo contenuto.

Occorre ricordare che, nel caso di specie, la manifestazione di volontà all’inse-rimento nelle graduatorie ad esaurimento è avvenuta per la prima volta impugnando il d.m. n. 235/2014 con cui, peraltro, si dava corso al solo aggiornamento “interno” del-le GAE. Mai in precedenza, a fronte delle diverse occasioni “create” con fonti prima-rie, erano state presentate dai ricorrenti tempestive domande di partecipazione per l’ammissione alle graduatorie permanenti e poi ad esaurimento. Mancherebbe, perciò, l’attualità dell’interesse ad agire e, addirittura, il provvedimento lesivo, ossia il dinie-go all’inserimento, come pure una possibile lesione degli interessi degli aspiranti do-centi da parte dell’ultimo decreto ministeriale con cui, in coerenza con la ratio sottesa alla trasformazione delle graduatorie, nulla si dispone in merito ai nuovi inserimenti.

Eppure, secondo parte della giurisprudenza, una rimessione nei termini sarebbe avvenuta ad opera del parere n. 3813/2013 del Consiglio di Stato (recepito dal d.P.R. n 235/2014), ovvero dal momento in cui in sede giurisdizionale è stata accer-tata l’illegittimità dell’atto lesivo. Una simile lettura, tuttavia, non pare condivisibi-le. Il sopravvenuto annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, come peraltro ha ricordato l’Adunanza plenaria, può giovare ai cointeressati che non ab-biano tempestivamente proposto il gravame nell’ipotesi di atti plurimi con effetti inscindibili. Ma, nel caso di specie, non vengono in considerazione tali atti. Sicché, il termine per impugnare il provvedimento amministrativo decorrerà dalla piena co-noscenza dell’atto e dei suoi effetti lesivi, non dall’erroneo convincimento soggetti-vo dell’infondatezza della propria pretesa, con conseguente “esaurimento” del rela-tivo rapporto giuridico.

Le speranze, legittimamente o meno, accese dai provvedimenti precedentemente prodotti dai diversi giudici aditi eche, in molti casi, hanno anche portato all’immis-sione con riserva nelle graduatorie ad esaurimento o al ruolo, sono state spente dai principi di diritto enunciati dal supremo Consesso 85. Le conseguenze sono già state tratte nelle prime tre sentenze del Tribunale amministrativo del Lazio 86 con il riget-to delle richieste di annullamento dei decreti emanati per l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento e, di conseguenza, dell’inserimento nelle GAE degli aspiranti docenti in possesso del solo diploma magistrale.

85 Pare giusto ricordare che gli effetti dell’orientamento esplicitato dall’Adunanza plenaria interes-seranno i circa duemila insegnanti ricorrenti e gli iscritti con riseva.

86 TAR Lazio, sez. III bis, nn. 274, 277, 285 del 2018 ed altresì Cons. Stato sez. VI, 3 aprile 2018, n. 2055. In contrapposizione Cons. Stato 16 gennaio 2018, n. 217 con cui si assumono posizioni oppo-ste a quelle esplicitate dall’Adunanza plenaria, consentendo l’iscrizione nelle GAE dei diplomati magi-strali. La decisione della sesta sezione, tuttavia non contraddice, almeno direttamente, i principi di dirit-to del supremo Consesso, trattandosi di una decisione assunta nel luglio del 2017, e solo pubblicata successivamente.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 221

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAV., 26 GENNAIO 2017, N. 2011

Pres. L. MACIOCE, Rel. A. DI PAOLANTONIO

Impiegato dello Stato e pubblico in genere – «Ius variandi» – Adibizione a mansioni equi-valenti – Legittimità – Condizioni

In materia di pubblico impiego contrattualizzato non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dall’art. 52, d.lgs. n. 165/2001, che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della p.a., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codi-cistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 638/10, ha confermato il ri-getto della domanda proposta da Ca. Ad. nei confronti del Comune di (OMISSIS), avente ad oggetto il risarcimento dei danni che il ricorrente, dipendente pubblico con inquadramento in posizione D3, assumeva essergli derivati dal mutamento or-ganizzativo disposto dal Comune nel 2002 in forza del quale era stato spostato dal settore Manutenzione e Ambiente, di cui era responsabile, al settore Protezione civi-le, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, sempre in funzione di preposto.

2. La Corte distrettuale, premesso che nel 2002 il Comune di (OMISSIS) aveva proceduto ad una riorganizzazione interna delle aree, creando un autonomo settore alla cui direzione aveva posto il geom. Ca., ha osservato che non vi era stata né ri-duzione dello stipendio ne’ variazione del carattere apicale della posizione ricoperta dal funzionario, mentre nessun rilievo potevano avere le circostanze addotte dall’ap-pellante a sostegno del prospettato demansionamento, ossia la riduzione del budget di spesa (in precedenza di cospicua entità) e il ridotto organico dell’ufficio (da 5-6 operai ad un solo addetto, ma con attribuzione del coordinamento di un gruppo di 25 volontari per la protezione civile). Ha aggiunto che doveva piuttosto evidenziarsi l’importanza del neo-istituto Settore della Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, creato per la gestione degli interventi in caso di calamità na-turali e in situazioni di pronto intervento, incidenti sulla salute e l’incolumità pubbli-ca, “a maggior ragione poi in un territorio come quello veneto, assai soggetto ad

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222 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

esondazione dei corsi d’acqua e a fenomeni alluvionali, anche gravi”. 3. Per la cassazione di tale sentenza il Ca. ha proposto ricorso affidato ad un

motivo. Resiste il Comune di (OMISSIS) con controricorso. 4. Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo si denuncia violazione dell’articolo 2103 c.c., e vizio di mo-tivazione (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) per avere la Corte di appello omesso di in-dividuare il contenuto delle mansioni svolte dal ricorrente in qualità di responsabile dell’Ufficio Manutenzione e Assetto del territorio e di porle a confronto con quelle successivamente attribuite, implicanti la gestione di un limitato portafoglio di spesa, la comprovata riduzione di orario e di impegno lavorativo, il coordinamento di una sola impiegata. Ove il raffronto richiesto dall’articolo 2103 c.c., fosse stato effettua-to, il demansionamento sarebbe emerso con certezza.

2. Il ricorso è palesemente infondato. 3.1. La riconduzione della disciplina del lavoro pubblico alle regole privatistiche

del contratto e dell’autonomia privata individuale e collettiva, con conseguente devo-luzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario, non ha eli-minato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico che, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato, per ciò che riguarda l’or-ganizzazione del lavoro resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di confor-mazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale. In questa ottica il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ha disciplinato interamente la materia delle man-sioni all’articolo 52, e, al comma 1, ha sancito il diritto del dipendente ad essere adi-bito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi (testo ante-riore alla sostituzione operata dal Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, artico-lo 62, comma 1). La lettera del citato articolo 52, comma 1, specifica un concetto di equivalenza "formale", ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collet-tivi, e non sindacabile da parte del giudice. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinché’ le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera pre-visione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.

3.2. A partire dalla sentenza resa dalle Sezioni Unite n. 8740/08, è principio co-stante nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di pubblico impiego con-trattualizzato, non si applica l’articolo 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52 (come già det-to, nel testo anteriore alla novella recata dal Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 62, comma 1, inapplicabile ratione temporis al caso in esame) – che asse-gna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 223

acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. n. 17396/11; Cass. n. 18283/10; Cass. S.U. n. 8740/08; v. più recentemente, Cass. n. 7106 del 2014 e n. 12109 e n. 17214 del 2016). Dunque, non è ravvisabile alcuna violazio-ne del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52, qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l’operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l’operazione di verifica dell’equivalenza sostan-ziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria.

3.3. Condizione necessaria e sufficiente affinché’ le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazio-ne collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente rite-nendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora conno-ta e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (cfr. Cass. n. 11835 del 2009).

3.4. Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a cia-scuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l’assegna-zione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro.

3.5. Resta comunque salva l’ipotesi che la destinazione ad altre mansioni com-porti il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa. Trattasi di questione che, tut-tavia – giova rimarcare – esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza del-le mansioni, configurandosi nella diversa ipotesi della sottrazione pressoché’ integra-le delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego (Cass. n. 11835 del 2009, n. 11405 del 2010, nonché’ Cass. n. 687 del 2014).

4. Alla stregua della sentenza impugnata, risulta positivamente accertato che la direzione dell’unità denominata Settore 07 Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del Patrimonio del Comune di (OMISSIS) corrispondesse ad una posizione organizzativa di categoria D. Pertanto, escluso il diritto del dipendente pubblico a permanere in una determinata posizione alla stregua di una verifica in senso sostan-ziale della equivalenza, la preposizione a tale unità organizzativa non costituisce vio-lazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pa-gamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in di-spositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del Decreto Ministeria-le 10 marzo 2014, n. 55, articolo 2.

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224 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 novembre 2016. De-positato in Cancelleria il 26 gennaio 2017

L’EQUIVALENZA DELLE MANSIONI NEL PUBBLICO IMPIEGO PRIMA E DOPO LA “RIFORMA BRUNETTA”

GIOVANNI ZAMPINI

Sommario: 1. Lo jus variandi prima della riforma Brunetta. – 2. Lo jus variandi dopo la riforma Brunet-ta. Le questioni aperte.

1. Lo jus variandi prima della riforma Brunetta

Il demansionamento Il principio di diritto enunciato nella pronuncia in commen-to si inserisce in un orientamento giurisprudenziale che sembra ormai consolidato.

La Cassazione osserva come il c.d. processo di privatizzazione che ha interessa-to il pubblico impiego (inteso come riconduzione alle regole privatistiche del con-tratto e dell’autonomia privata individuale e collettiva, con conseguente devoluzio-ne delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario) non ha elimi-nato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico. Quest’ultimo, in parti-colare, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro, resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanzia-ria generale che possono ben giustificare deroghe anche rilevanti alle regole di ge-stione del rapporto dettate, in generale, dal codice civile 1.

In quest’ottica è letto l’art. 52, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001, che ha disciplinato

1 Cfr. sul punto SGARBI, Mansioni e inquadramento dei dipendenti pubblici, Padova, 2004, 27 ss.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 225

interamente la materia delle mansioni, sancendo il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equi-valenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti colletti-vi. Secondo i giudici di legittimità, in particolare, la norma citata “specifica un con-cetto di equivalenza formale, ancorato … ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e non sindacabile da parte del giudice”. Ne consegue che, “condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipenden-temente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a.”.

Quanto affermato trova puntuale riscontro nella costante giurisprudenza di legit-timità, per la quale in materia di pubblico impiego contrattualizzato, non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dall’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001, che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della p.a., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla ci-tata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e sen-za che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione 2. Il potere direttivo del datore di lavoro pubblico si considera esercitato correttamen-te, qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l’opera-zione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professio-nali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l’o-perazione di verifica dell’equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria.

Così stando le cose, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte del-la contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evi-dentemente ritenendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo

2 Cass., 19 agosto 2011, n. 7396; Cass., 5 agosto 2010, n. 18283, in RFI 2010, voce Impiegato dello Stato e pubblico [3440], n. 500; Cass., S.U., 4 aprile 2008, n. 8740, in questa Rivista, 2008, 351, con nota di MURRONE, in MGL, 2008, 952, con nota di PISANI, in RIDL, 2008, II, 801, con nota di DIAMANTI; v. più recentemente, Cass., 25 marzo 2014, n. 7106; Cass., 13 giugno 2016, n. 12109; Cass., 19 agosto 2016, n. 17214, in RFI, 2016, voce Sentenza civile [6100], n. 80).

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che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico 3. Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equiva-lenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro.

Questa tesi ha il conforto dell’interpretazione letterale e non identifica alcun li-mite, né nei confronti del negoziato sindacale, né dei provvedimenti dell’ammini-strazione, la quale si deve attenere alle indicazioni degli accordi. Il punto è espresso con chiarezza da questa sentenza, la quale sottolinea non solo la coerenza con i pre-cedenti di legittimità, ma come tali conclusioni siano sorrette dal testo, in modo esatto. Nel declinare l’idea di equivalenza, i contratti del lavoro pubblico non incon-trerebbero alcun vincolo, ma sarebbero il libero frutto delle incondizionate scelte degli stipulanti, con una fiducia estrema nei loro confronti dell’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001, in nome della pretesa (e, a dire il vero, discutibile) migliore conoscenza da parte delle intese della struttura delle istituzioni e delle esigenze contrapposte 4.

Alla luce di quanto sopra, quindi, il punto di partenza essenziale per esaminare la materia nel pubblico impiego e per comprendere quando si è di fronte ad un de-mansionamento, è dato dalla verifica dell’area professionale e della fascia di appar-tenenza. In soldoni, il pubblico dipendente, qualora venga adibito a mansioni infe-riori ma che rientrino nella stessa area professionale di appartenenza, anche se co-stretto ad effettuare attività lavorative di minor pregio rispetto, appunto, a quelle precedentemente assegnate, non potrà essere considerato demansionato. Quindi, quando effettivamente il dipendente pubblico potrà dirsi demansionato? Si verifi-cherà un’ipotesi di demansionamento qualora il lavoratore venga adibito a mansioni che rientrino in aree professionali inferiori e che non gli permettano di utilizzare quel corredo di nozioni, esperienza e il bagaglio professionale acquisito sino a quel momento. Resta, inoltre, sempre vietata l’ipotesi di svuotamento totale delle man-sioni se si protrae per un lungo lasso temporale.

Dunque, in base a quanto sopra esposto, il pubblico dipendente, per verificare se sia stato demansionato, dovrà confrontare le mansioni relative all’area professionale di appartenenza con le mansioni che effettivamente svolge. Ove ritenga che le atti-vità svolte siano relative ad aree professionali inferiori, oppure si sia operato nei suoi confronti lo svuotamento della mansione costringendolo all’assoluta inattività, allora il dipendente potrà intraprendere un’azione giudiziale affinché possa essere riconosciuto il danno da perdita di chance. La risarcibilità del danno è parametrata

3 Cfr. Cass., 21 maggio 2009, n. 11835, in FI, 2010, I, 78, in ADL, 2010, 232, con nota di VILLA, in MGL, 2010, 222, con nota di PISANI.

4 RICCIARDI, I nuovi sistemi di classificazione del personale nei rinnovi contrattuali 1998 – 2001, in in questa Rivista, 1999, 2, 263 ss.

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alla retribuzione di riferimento e quantificata in misura percentuale rispetto al tipo e all’entità del demansionamento, cosicché la richiesta risarcitoria si concretizzerà con l’applicazione di una percentuale sulla retribuzione mensile.

La Cassazione, tuttavia, non esclude del tutto un possibile ruolo ai poteri di ac-certamento e valutazione del giudice, poiché fa comunque salva l’ipotesi – vietata anche nell’ambito del pubblico impiego – che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa. Si tratta certo di una questione diversa, dove il tema dell’equivalenza mansionaria è, in realtà, un prete-sto per nascondere operazioni di emarginazione del dipendente (quando non di vero e proprio mobbing), tesi a svuotarne la professionalità mediante la sottrazione pres-soché integrale delle funzioni da svolgere 5.

È stato anche precisato che, nell’ambito del giudizio di responsabilità per risar-cimento del danno da demansionamento arrecato dall’amministrazione ad un pro-prio lavoratore, il giudice contabile è chiamato a valutare la portata del decisum giusvaloristico relativo a tale danno, da cui scaturisce il conseguente danno erariale azionato dalla Procura contabile, laddove per demansionamento (o dequalificazio-ne) si intende la sottrazione, da parte del datore di lavoro, di alcune delle mansioni originariamente assegnate al lavoratore (c.d. demansionamento quantitativo), la di-minuzione della rilevanza e della qualità professionale di tali mansioni, ovvero l’attribuzione di mansioni inferiori rispetto a quelle svolte inizialmente (per queste ultime due ipotesi si parla di c.d. demansionamento qualitativo); tale danno da de-mansionamento va considerato in una cornice unitaria, al cui interno vanno presi in considerazione diversi pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, tutti accomunati dal fatto di derivare da un’illegittima condotta datoriale che, andando a ledere il combinato disposto degli artt. 2103 e 2087 c.c., fa sorgere una responsabilità con-trattuale in capo al datore di lavoro pubblico per inadempimento di un’obbligazione di non fare (non adibire, appunto, il lavoratore a mansioni inferiori) 6.

2. Lo jus variandi dopo la riforma Brunetta. Le questioni aperte

Va segnalato, però, che la sentenza in commento si riferisce ad una controversia instaurata nel 2002; dunque ben prima dell’entrata in vigore della c.d. riforma Bru-netta. È ragionevole sostenere che l’attuale formulazione dell’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001, novellato da tale riforma (art. 62, comma 1, D.Lgs. n. 150/2009), possa

5 Cass., 21 maggio 2009, n. 11835, cit., Cass., 11 maggio 2010, n. 11405, in RIDL, 2011, II, 149, con nota di TAMPIERI; Cass., 15 gennaio 2014, n. 687, in RFI, 2014, voce Impiegato dello Stato e pub-blico [3440], n. 175.

6 Corte dei Conti, Sez. Giur. Lombardia, 29 dicembre 2008, n. 991.

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rimettere in discussione le conclusioni a cui sono giunti i giudici di legittimità. La novella in questione si inserisce nell’ambito di una riforma caratterizzata dal

ridimensionamento del ruolo della contrattazione collettiva e dalla rilegificazione di una parte notevole della disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici 7. Per modellare il lavoro nelle p.a. all’insegna dell’efficienza dell’azione amministra-tiva e della professionalità dei suoi dipendenti, il legislatore del 2009 dichiara, sin dalla legge delega 4 marzo 2009, n. 15, di voler riprodurre fedelmente le logiche manageriali e di competitività che animano l’agire imprenditoriale, iniettando al-l’interno dell’apparato amministrativo una più avanzata cultura aziendalistica ed ulteriori margini di flessibilità gestionale (cfr. l’art. 2, comma 1, lett. a), legge n. 15/2009, che indica tra gli obiettivi del legislatore delegato la convergenza degli as-setti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare ri-ferimento al sistema delle relazioni sindacali). In questo rinnovato contesto, l’attua-le formulazione dell’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001 prevede che «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento». Le modifiche apportate dalla riforma Brunetta sono dunque due, e consistono nella soppressione del termine «considerate», sinora richiamato per desumere l’integrale devoluzione del giudizio di equivalenza alle determinazioni di fonte collettiva, e nella sostituzione dell’am-bito di riferimento entro cui effettuare la comparazione tra le mansioni, dapprima individuato più genericamente nel sistema di classificazione professionale previsto dai contratti collettivi, adesso circoscritto all’area di inquadramento.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 52 (anch’esso introdotto dall’art. 62, D.Lgs. n. 150/2009) stabilisce, poi, che “i dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali”. Si tratta di una previsione che non presenta particolari profili di novità, in quanto nei principali contratti di comparto l’articolazione del personale è già articolata su un minimo di tre aree, ma che tuttavia sembra cristallizzare i sistemi di inquadramento su un modello predefi-nito, riducendo in tal modo l’ambito di intervento dell’autonomia collettiva alla de-limitazione dei confini interni delle aree e al raggruppamento delle prestazioni pro-fessionali ivi catalogate 8. Dal combinato disposto delle due norme alcuni hanno de-

7 Cfr. BELLAVISTA-GARILLI, Riregolazione legale e decontrattualizzazione: la neoibridazione nor-mativa del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in questa Rivista, 2010, I, 1 ss.; SORDI, Il sistema delle fonti della disciplina del lavoro pubblico (dopo il d.lgs. n. 150 del 2009), ivi, 2010, 805; D’ORTA, L’organizzazione delle p.a. dal diritto pubblico al diritto privato: il fallimento di una riforma, ivi, 2011, 391; TALAMO, Pubblico e privato nella legge delega per la riforma del lavoro pubblico, in GDA, 2009, 468; D’AURIA, Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, ivi, 2010, 5; MELIS, La pubblica amministrazione: una riforma mancata, ivi, 2012, 101; CASSESE, Dal-l’impiego pubblico al lavoro con le pubbliche amministrazioni: la grande illusione?, ivi, 2013, 313).

8 GARGIULO, Merito e premialità nella recente riforma del lavoro pubblico, in IF, 2009, 5/6, 929.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 229

dotto che nulla sarebbe cambiato rispetto al passato: il restyling normativo della mobilità orizzontale non avrebbe prodotto conseguenze pratiche di rilievo, mante-nendo l’attualità delle conclusioni sinora raggiunte dalla giurisprudenza maggiorita-ria circa la insindacabilità dei rapporti di equivalenza fra tutte le mansioni rientranti nelle singole aree di inquadramento contrattuale. L’unica differenza consisterebbe nel fatto che adesso il referente del giudizio di comparazione sarebbe divenuto più ristretto, in quanto non più esteso all’intero sistema di classificazione professionale, ma confinato all’interno della singola area 9.

A questa tesi, tuttavia, se ne può opporre una diversa, ritenendo che col venir meno dell’espresso rinvio legislativo alle valutazioni operate dalle parti sociali l’equivalenza sia tornata ad essere, anche nel lavoro pubblico contrattualizzato, una caratteristica suscettibile di valutazione giudiziale come nell’impiego privato 10. La riforma Brunetta ha rilegificato la materia della mobilità orizzontale, “in modo che la funzione ora attribuita alla contrattazione collettiva è tornata ad essere quella di delimitare il perimetro invalicabile (l’area) entro cui l’interprete è chiamato ad ac-certare la sussistenza in concreto dei rapporti di equivalenza professionale. Ne con-segue che è venuto meno ogni automatismo derivante dalla mera collocazione delle mansioni nel medesimo «contenitore» endocategoriale, a vantaggio di un parziale recupero del principio di effettività anche nel lavoro nelle p.a.” 11. È dunque condi-visibile l’interpretazione secondo cui “il dato letterale della (nuova) disposizione fa propendere per una lettura limitativa, nel senso che sono esigibili, tra le mansioni previste nella stessa area, solo ed esclusivamente quelle ritenute, dal giudice e non più dal contratto collettivo, equivalenti” 12. Per lo stesso motivo, ragionando a con-

9 Cfr. FERRANTE, Nuove norme in tema di inquadramento e di progressione di carriera dei dipendenti pubblici, in GARILLI-NAPOLI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico tra aziendalismo e autoritari-smo, Padova, 2013, 463, secondo cui “l’assenza del riferimento alle mansioni effettivamente svolte, confer-mata ancora oggi dal permanere della clausola di chiusura del comma 1, non può che confermare che l’equivalenza si valuta sul piano degli inquadramenti e dei giudizi formulati dalla contrattazione collettiva ai fini della attribuzione della retribuzione, di modo che al giudice non è dato sovrapporre la propria, alla valu-tazione formulata in sede collettiva”; PECORARO, La mobilità orizzontale nel lavoro pubblico: tra equivalen-za formale e sostanziale, in questa Rivista, 2012, I, 219; A. MISCIONE, Mansioni, progressioni professionali e altri strumenti premiali, in F. CARINCI, MAINARDI (a cura di), La terza riforma del lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Commentario al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, Milano, 2011, 123 ss. Dubita-tivamente ESPOSITO, Ordinamento professionale e disciplina delle mansioni nel lavoro pubblico, cit., 171; VENDRAMIN, La equivalenza delle mansioni nel lavoro pubblico privatizzato all’indomani della riforma Brunetta tra modelli negoziali e interpretazioni giudiziali, in questa Rivista, , 2009, I, 997).

10 Cfr. VISCOMI, Il pubblico impiego: evoluzione normativa e orientamenti giurisprudenziali, in DLRI, 2013, 64.

11 RICCOBONO, Ancora sull’equivalenza delle mansioni nel lavoro pubblico e privato: interferenze reciproche e circolazione dei modelli regolativi nella più recente evoluzione normativa, in ADL, 2014, 6, 1348.

12 PISANI, La rilegificazione della equivalenza delle mansioni nel lavoro pubblico contrattualizzato, in MGL, 2012, 828 ss.

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trario, si può escludere la possibilità di stabilire un rapporto di equivalenza fra gruppi di mansioni classificate in aree funzionali differenti.

Impostata in questi termini – come è stato sottolineato – “la questione dell’equi-valenza nel pubblico impiego segna dunque un ulteriore passo in avvicinamento ri-spetto al settore privato. In entrambi gli ordinamenti, la contrattazione collettiva è chiamata ad interpretare il ruolo di interlocutore privilegiato della giurisprudenza, ma le sue determinazioni sui rapporti di equivalenza dovranno comunque sottostare ad una valutazione di coerenza rispetto ai valori costituzionali protetti dalla disci-plina legale, mediata dai criteri di ragionevolezza e buona fede” 13. Inoltre, ritenen-do che il principio di equivalenza non debba più essere veicolato dalla mediazione dell’autonomia collettiva, si guadagnano spazi di flessibilità prima ritenuti (para-dossalmente) inesistenti: anche nell’eventuale silenzio delle parti sociali, infatti, sa-rà possibile modificare in orizzontale le mansioni del lavoratore, superando l’effetto paradossale (già sostenuto in dottrina) di ritenere precluso l’esercizio dello jus va-riandi in mancanza di una sua regolazione anche minima in sede sindacale 14. Ma la conclusione – come è stato notato – “finiva per riportare l’assetto regolativo indie-tro nel tempo, allorquando la mancata previsione di una specifica disciplina sulla mobilità orizzontale all’interno del T.U. n. 3/1957 veniva intesa come sinonimo del-l’impossibilità di attuare spostamenti al di fuori delle mansioni ricomprese nella qua-lifica inizialmente assegnata al lavoratore” 15. Questa soluzione appariva dunque tecnicamente imposta dalla lettera del vecchio art. 52, D.Lgs. n. 165/2001, ma con-duceva ad esiti non sempre coerenti con le finalità della privatizzazione, segnata-mente quelle di una più efficace organizzazione del lavoro).

Dall’altro lato, non tutte le decisioni hanno accettato l’idea di una completa devo-luzione al contratto collettivo della definizione delle mansioni equivalenti, sebbene tale tesi sia stata maggioritaria. Le resistenze si sono concentrate in ordine alla prote-zione della vocazione professionale del prestatore di opere e del relativo impatto ne-goziale, con l’identificazione del fare nell’intesa individuale. A prescindere dalle for-mule, si è ritenuto impossibile che il potere della P.A. determinasse una innovazione sul senso complessivo del lavoro concordato, anche nella sua lettura sociale.

Ed infatti, ancor prima che l’art. 62, D.Lgs. n. 150/2009 modificasse l’art. 52 cit., esisteva già una corrente interpretativa che riteneva necessaria una lettura della norma orientata a consentire la salvaguardia della professionalità effettiva anche dei lavoratori pubblici. Si era così sostenuto, che “l’area delineata dalla contrattazione è l’ambito entro il quale si svolge il giudizio, ma l’appartenenza alla medesima area

13 RICCOBONO, op. cit., 1355. 14 In precedenza si riteneva che l’eventuale silenzio delle parti sociali avrebbe precluso qualsiasi ti-

po di mobilità interna all’area: cfr. PISANI, La regola dell’“equivalenza” delle mansioni nel lavoro pub-blico, in ADL, 2009, 67.

15 RICCOBONO, op. cit., 1355.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 231

non sostituisce il giudizio. Essa costituisce un confine, un perimetro non valicabile, oltre il quale sicuramente non può esservi equivalenza, ma all’interno di una mede-sima area non è detto che tutte le mansioni siano equivalenti e che quindi un lavora-tore possa essere spostato indistintamente da una mansione all’altra”. La legittimità del mutamento di mansioni dovrà costituire oggetto di un accertamento concreto condotto case by case e tarato sulla professionalità concretamente spendibile dal la-voratore nella posizione di destinazione 16.

16 CURZIO, Pubblico impiego: sospensioni, congedi, aspettative, mutamenti di mansioni, promozio-ni, in RCDL, 2002, 247 ss.; PERRINO, Il rapporto di lavoro pubblico, Padova, 2004, 219 ss.; CLARICH-IARIA, La riforma del pubblico impiego, Rimini, 1999, 482 ss.

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TRIBUNALE DI CIVITAVECCHIA, SENTENZA 11 GENNAIO 2018

G.G. (Avv. Mele, Abati, Annunziata.) c. A.C. SPA (Avv. Arcadi, Clementi, Navarra, Di Peio)

Impiego privato – Personale di volo – Art. 917 cod. nav. – Espletamento dell’attività su più velivoli – Inapplicabilità.

Impiego privato –Personale di volo – Amministrazione straordinaria di una grande im-presa in stato di insolvenza – Natura liquidatoria ‐ Trasferimento di azienda a terzi – Trasfe-rimento di azienda – Inconfigurabilità – Compatibilità con l’ordinamento comunitario.

Impiego privato – Personale di volo – Accordo sindacale – Obbligo di assunzione non trasferibile a un singolo lavoratore – Irrilevanza.

L’applicazione dell’art. 917 cod. nav., per cui, in caso di cambiamento dell’esercente dell’ae-romobile, il nuovo succede al precedente in tutti i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti dei com-ponenti dell’equipaggio, presuppone che il pilota sia addetto a uno specifico aeromobile e non as-sume rilevanza nel trasferimento di beni e, quindi, di velivoli di una nota impresa italiana. È conforme al diritto comunitario il decreto – legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nella parte in cui ha previsto che cessioni di beni e, in particolare, di ae-romobili di una nota impresa italiana in crisi non sono trasferimenti di azienda, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., poiché la previsione è conforme al paragrafo 5 della direttiva 2001 / 23 / Ce. Un contratto collettivo che preveda l’obbligo per un datore di lavoro di assumere dipendenti, in mi-sura prefissata e sulla base delle sue esigenze tecniche, ma senza la specificazione del numero dei dipendenti da assumere per ciascuna posizione professionale, non fa sorgere alcun diritto in capo al singolo pilota.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 7.07.2014 G.G., assumendo di aver lavorato per A.L.

s.p.a. con qualifica di pilota dal gennaio 1998 (dal 2003 con grado di primo uffi-ciale) fino al 13 gennaio 2009 (data del collocamento in CIGS), chiedeva al Tribu-nale di:

– accertare e dichiarare il diritto ad essere assunto da A.C. s.p.a. a decorrere dal 13 gennaio 2009 anche in conseguenza e per effetto degli artt. 917, 938 cod. nav. e 2212 c.c. e, comunque, il diritto del ricorrente ad essere assunto da A.C. s.p.a. per violazione degli Accordi collettivi e responsabilità contrattuale dalla medesima data, 13 gennaio 2009, ovvero, in subordine, alla data di diffida inviata dal ricor-rente in data 9 dicembre 2011 e ricevuta da A.C. s.p.a. il 14 dicembre 2011, ovve-ro dalla diversa data che il Giudice vorrà stabilire;

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 233

– per l’effetto ordinare alla convenuta di assumerlo sulla base del contratto a-ziendale applicato dalla convenuta nella qualifica pregressa di primo ufficiale adibi-to agli aeromobili della famiglia A330 o comunque agli aeromobili di categoria equivalente con sede base Roma-Fiumicino ed alla corresponsione della retribuzione lorda mensile pari a quella percepita dal collega Congia, maggiorata della rivaluta-zione ed interessi;

– condannare la convenuta al risarcimento del danno da quantificarsi nella misu-ra corrispondente a tutte le retribuzioni non percepite dal 13 gennaio 2009 sino alla sentenza nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;

– in subordine, condannare la convenuta al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata assunzione ed al pagamento delle relative retribuzioni, nella misura da quantificarsi quantomeno nell’importo corrispondente agli anni di retribuzione utili al raggiungimento della pensione di anzianità;

– con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio. La A.C. S.p.a. si costituiva contestando in toto le avverse pretese e chiedendone

il rigetto. La causa, istruit a documentalmente, previa concessione di un termine per il de-

posito di note difensive, veniva discussa e decisa come da dispositivo all’udienza odierna.

Parte attrice ha chiesto al Tribunale di accertare, innanzitutto, il diritto alla prose-cuzione con la società resistente del rapporto di lavoro intercorso con A.L. s.p.a. sul-la base del disposto dell’art. 917 cod. nav.

Ebbene, l’art. 917 cod. nav. dispone, al comma 1, che “In caso di cambiamento dell’esercente, il nuovo esercente succede al precedente in tutti i diritti ed obblighi derivanti dai contratti di lavoro, ma il lavoratore può chiedere la risoluzione del con-tratto” e al comma 2 che “Se l’aeromobile è in viaggio, la risoluzione può essere chiesta solo all’arrivo in un aeroporto nazionale”.

Una corretta interpretazione di tale previsione di legge non può prescindere da quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione che, pur se in un caso concer-nente una società di navigazione marittima, dopo avere significativamente evidenzia-to che la fattispecie del cambiamento dell’armatore della nave di cui all’art. 347 cod. nav. o dell’esercente di cui all’art. 917 cod. nav. è diversa da quella di cui all’art. 2112 c.c. perché concernente soltanto un elemento dell’azienda, ha anche chiarito che l’art. 347 cod. nav. – il quale analogamente all’art. 917 cod. nav. pre-vede che, in caso di cambiamento dell’armatore della nave, il nuovo armatore suc-cede al precedente in tutti i diritti ed obblighi derivanti dai contratti di arruolamento dei componenti dell’equipaggio, ma questi possono chiedere la risoluzione del con-tratto all’arrivo in un porto nazionale – “concerne unicamente i contratti di arruola-mento su nave determinata e non si riferisce direttamente al mutamento dell’arma-tore con riguardo ai contratti di arruolamento su navi non determinate, ipotesi que-sta riconducibile al trasferimento dell’azienda, nella fattispecie non configurabile” (Cassazione civile, sez. lav., 25/05/1995, n. 5754).

Applicando tali principi al caso di specie, deve allora dirsi che l’art. 917 cod. nav. – a differenza dell’art. 2112 c.c.che ha riguardo al fenomeno del trasferimento

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del complesso aziendale – concerne l’ipotesi in cui muta colui che assume l’esercizio di un determinato aeromobile e determina la successione del nuovo armatore nei contratti di lavoro di coloro che fanno parte dell’equipaggio stabilmente destinato al singolo e specifico aereo oggetto di cessione.

Ne discende che parte ricorrente, invocando l’applicazione della norma in esame aveva l’onere di allegare – e poi di dimostrare – di essere stata addetta ad uno spe-cifico aeromobile e che proprio questo aeromobile è stato oggetto di cessione da A.L. s.p.a. ad A.C. s.p.a.

Stando così le cose, non può non essere evidenziato che il ricorrente non ha adeguatamente allegato, nel corpo dell’atto introduttivo, di far parte di un equipag-gio specificamente dedicato alla conduzione di un singolo e specifico aeromobile; egli ha, piuttosto, dedotto di aver ricevuto il grado di primo ufficiale nel 2003 e di essere abilitato, a far data dal 25 novembre 2006, al pilotaggio degli aeromobili della tipologia A320 e non, dunque, di appartenere ad un equipaggio legato ad un determinato aeromobile, ovvero destinato alla conduzione di un preciso e specifico aereo. Neppure è stato dedotto nel ricorso al vaglio che, in generale, vi fosse uno specifico legame tra il personale ed il singolo aeromobile e, cioè, che vi fosse uno specifico equipaggio per ogni singolo aeromobile.

La mancata allegazione – e conseguente dimostrazione – in ordine all’appar-tenenza del ricorrente all’equipaggio di un determinato aeromobile impedisce, poi, di passare a verificare la sussistenza del secondo presupposto per l’applicabilità del-l’art. 917 cod. nav. (costituito, come si è visto, dalla circostanza che proprio quel-l’aeromobile sia stato oggetto della cessione di beni intercorsa tra A.L. s.p.a. e la società odierna resistente).

Le considerazioni che precedono conducono, pertanto, ad escludere la fondatez-za della domanda attorea basata sul disposto dell’art. 917 cod. nav.

Il ricorrente ha sostenuto, poi, di aver diritto alla prosecuzione con la società resi-stente del rapporto di lavoro intercorso con A.L. s.p.a. anche sulla base dell’art. 2112 c.c., ritenendo che la cessione di beni intercorsa tra le due società configuri un trasferimento d’azienda.

Orbene, va, innanzitutto, rilevato che l’operazione di cessione che viene qui in ri-lievo si fonda sul disposto dell’art. 5, D.L. n. 347 del 2003 (c.d. decreto Marzano), convertito, con modificazioni, nella L. 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dall’art. 1, comma 13, del D.L. n. 134 del 2008, dettato in materia di amministra-zione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, secondo cui “il Com-missario e il cessionario possono concordare il trasferimento solo parziale di com-plessi aziendali o attività produttive in precedenza unitarie e definire i contenuti di uno o più rami d’azienda, anche non preesistenti, con individuazione di quei lavora-tori che passano alle dipendenze del cessionario. I passaggi anche solo parziali di lavoratori alle dipendenze del cessionario possono essere effettuati anche previa col-locazione in cassa integrazione guadagni straordinaria o cessazione del rapporto di lavoro in essere e assunzione da parte del cessionario”.

Successivamente il D.L. n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009, inserendo il comma 3-bis all’art. 56 del D.L. n. 270 del 1999, ha pre-

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 235

cisato che “le operazioni di cui ai commi 1 e 2 effettuate in attuazione dell’articolo 27, comma 2, lettere a) e b-bis), in vista della liquidazione dei beni del cedente, non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile”.

Tale disposizione, più che operare una deroga alla fattispecie regolata dall’art. 2112 c.c. (deroga che presupporrebbe la sussumibilità delle operazioni in esame in quest’ultima norma), sembra piuttosto escludere – per quanto qui più direttamente interessa – che la cessione dei singoli beni aziendali, in vista della liquidazione dei beni del cedente, consenta ad un’attività economica organizzata di conservare la propria identità e, dunque, configuri la fattispecie del trasferimento d’azienda, rile-vante ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c.

Nel caso in esame, risulta che il commissario straordinario ha optato per un pro-gramma di liquidazione a norma dell’art. 27, comma 2, lettera b-bis), in un’ottica, dunque, di dismissione del patrimonio e non della ristrutturazione dell’impresa.

Ciò con particolare riferimento all’obiettivo di assicurare la prosecuzione del pubblico servizio di trasporto aereo, attraverso modalità (cessione dei beni) che sen-za soluzione di continuità consentissero all’acquirente la gestione del trasporto ae-reo, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa della durata non superiore ad un anno “nel cui ambito svolgere un’attività prevalentemen-te liquidatoria a seguito della cessione del complesso di beni e contratti relativi all’attività di trasporto aereo”.

Sono, dunque, presenti entrambi gli elementi, quali la cessione dei beni (effettua-ta ex art. 27 comma 2, lettera b-bis) e la funzionalizzazione di essa ad un’attività li-quidatoria del cedente – in un’ottica di dismissione del patrimonio aziendale e non, viceversa, della ristrutturazione dell’impresa – enucleati dall’art. 56, comma 3-bis, del D.L. n. 270 del 1999 al fine di escludere il trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda, agli effetti previsti dall’art. 2112 cod. civ.

Né può ritenersi, che la funzione liquidatoria dell’operazione in esame sia smen-tita dalla chiara finalità di mantenimento della continuità del servizio pubblico di tra-sposto aereo. Si tratta, a ben vedere, di due distinti piani: la liquidazione dei beni della cedente in vista della dismissione del suo patrimonio non osta a che il cessio-nario dei beni, inserendoli nella propria struttura aziendale, si impegni a garantire la continuità del servizio pubblico in precedenza erogato dalla cedente; viceversa l’av-venuto mantenimento della continuità del servizio nulla prova in ordine alla continui-tà aziendale tra cedente e cessionario.

Neppure può ritenersi provato, con sufficiente certezza e univocità, che, nel caso di specie, sia rimasta immutata l’organizzazione aziendale e che sia stato mantenuto il correlato nesso funzionale tra i differenti fattori di produzione trasferiti (si consideri anche che con Decisione in data 12 novembre 2008 resa con riferimento alla pro-cedura di cessione dei beni di cui si tratta, la Commissione europea ha espressa-mente negato che vi sia continuità economica tra A. e C.; tale decisione è stata poi confermata dal Tribunale di primo grado dell’Unione con la sentenza del 8 marzo 2012, nella causa T-123/09, a sua volta confermata dalla CGE con sentenza del 13 giugno 2013).

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Sulla base delle considerazioni che precedono va pure escluso che le norme di legge invocate debbano venir disapplicate in quanto in contrasto con la Direttiva Comunitaria 23/2001. Anche a voler qualificare la cessione di beni aziendali in esame come “trasferimento di azienda”, infatti, opererebbe – stante quanto detto sopra in ordine alla finalità liquidatoria della operazione – la clausola di esclusione contenuta nell’art. 5 della citata Direttiva. Tale articolo prevede, infatti, che i prece-denti articoli 3 e 4 “non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una pro-cedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un’autorità pubblica competente)”.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo di ricorso in esame non merita accoglimento.

Sotto altro profilo, il ricorrente si duole di un inadempimento, imputabile alla so-cietà resistente, rispetto ad un accordo – di natura gestionale/obbligatoria e non normativa ex art. 39 Cost. – da questa stipulato con le organizzazioni sindacali e professionali rappresentative dei lavoratori (Acc. del 31 ottobre 2008, in atti).

Rammentato che pacificamente gli accordi sindacali hanno natura negoziale in-terprivata, deve allora dirsi che i lavoratori di A.L. s.p.a. –qual era il ricorrente– non possono in alcun modo ritenersi parti del contratto in questione.

Com’è noto, infatti, l’ordinamento conferisce in linea generale alle organizzazio-ni sindacali mera rappresentatività e non pure potere di rappresentanza dei singoli iscritti; nondimeno, in coerenza con le previsioni positive in tema, ben è possibile che il singolo lavoratore attribuisca alla organizzazione sindacale, quale indubbio soggetto di diritto avente capacità di agire, speciali poteri di rappresentanza in ordi-ne a specifici diritti disponibili nascenti dal rapporto di lavoro.

Tali speciali poteri non risultano, però, essere stati conferiti ai sindacati stipulanti nel caso di specie, come risulta in modo evidente dal testo dell’accordo in esame, avendo le associazioni sindacali stipulato l’atto in questione in nome proprio e non in nome e per conto dei loro associati.

Ne è prova la circostanza che il suddetto accordo ha ad oggetto non l’assunzione dei soli lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, bensì di 12.500 lavora-tori (1.550 piloti, 3.300 assistenti di volo, 7.650 operai, impiegati, quadri, dirigenti) da selezionare tra gli ex dipendenti di A. in amministrazione straordinaria e AirOne.

Ma allora, per poter vantare un diritto all’assunzione derivante da un contratto inter alios, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che quell’accordo era idoneo ad attribuirgli un diritto soggettivo: alla luce del principio generale, per il quale la forza di legge che l’art. 1372, comma 2, c.c. attribuisce al contratto non incide sulla sfera giuridica di soggetti estranei né per accrescerla né per diminuirla, tale risultato pote-va,dunque, discendere soltanto dalla dimostrazione che egli era chiaramente indivi-duato o individuabile nel testo contrattuale come terzo beneficiario dell’accordo (sul-l’onere, in capo al lavoratore, di dimostrare il proprio “diritto all’assunzione” v., in fattispecie analoga, Corte d’Appello di Roma, sentenza 17 aprile 2013 n. 3707,che

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dà applicazione al principio espresso da Cass., sentenza n. 19008 del 2010 nonché Corte d’Appello di Roma, sentenza 15 giugno 2015 n. 5068; sentenza 8 giugno 2016 n. 2084; sentenza 5 ottobre 2016 n. 4546 e successive conformi).

Del resto la Suprema Corte, proprio in relazione ad un contratto collettivo conte-nente impegni all’assunzione di lavoratori, ha precisato che “la configurazione del contratto a favore di terzi, nel caso concreto, postula che beneficiari di “diritti” –e non già soltanto di vantaggi di mero fatto– derivanti dal contratto siano soggetti rimasti estranei alla stipulazione (dei “terzi, cioè), che risultino, contestualmente, determinati o, quantomeno, determinabili” (Cass civ., Sez. Lav, sentenza n. 10560 del 1991). Sulla base di tali principi, il diritto alla assunzione dei lavoratori in forza di contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali con i datori di lavoro è stato, infatti, riconosciuto da Cass. Civ.,sez. Lav, Sentenza n. 15073 del 2009 e da Cass. Civ. sez. Lav., Sentenza n. 27841 del 2009 soltanto in ipotesi nelle quali i beneficiari dell’accordo erano chia-ramente individuati, in un caso nominalmente e, nell’altro caso, attraverso il riferimen-to a tutto il personale addetto ad una determinata unità produttiva. Nello stesso senso v. anche Cass. Civ., sez. lav., sentenza n. 530 del 2003 che, a fronte di un accordo collettivo contenente una indicazione solo numerica dei lavoratori cui riferire l’assunzione, ha concluso che “deve ritenersi predisposta in sede collettiva in favore di tutti i lavoratori soltanto una tutela indiretta e non immediata, e per essi prevista quindi una aspettativa non concretatasi in una posizione individuale tecnicamente qualificabi-le come diritto soggettivo azionabile in giudizio singolarmente da ciascuno”.

Fissato questo punto fermo nell’economia della decisione, con riguardo al caso di specie si osserva allora che il ricorrente fonda la sussistenza del diritto soggettivo all’assunzione, azionato nel presente giudizio, sulla affermazione che egli possiede tutti i requisiti indicati nell’accordo sindacale per poter essere assunto (non maturava i requisiti di accesso alle prestazioni previdenziali nei termini indicati dall’accordo, era adibito alla conduzione di aeromobili della famiglia A320, la sua sede di lavoro era Roma, Aeroporto di Fiumicino, era domiciliato a Roma, era posizionato in gra-duatoria della lista di anzianità del 2008 al n 527 su 1162 piloti complessivi, è co-niugato con due figli a carico).

Sennonché, dal testo dell’accordo si evince, chiaramente, che il possesso di re-quisiti di tal fatta non è sufficiente a qualificare il ricorrente come beneficiario della stipulazione.

Infatti, ferma restando la possibilità, ivi prevista, di non assumere chi avrebbe maturato i requisiti pensionistici nel periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali, le parti hanno stabilito due gruppi di criteri, il primo dei quali sovraordinato al se-condo.

Il primo gruppo (“esigenze organizzative in coerenza con il nuovo piano indu-striale”) lascia, a ben vedere, ad A.C. un ampio margine di discrezionalità, essendo previsto nella lett. al) che “il fabbisogno occupazionale di C. così come stabilito nell’Accordo Quadro del 14 settembre 2008 con riferimento alle famiglie professio-nali Personale di Terra, PCN, PNT, verrà suddiviso per aree organizzative (aeromobi-li per il PNT e PNC: dipartimento settore per la Terra) come da tabella allegata”; al-la lett. a2) che, in relazione al profilo professionale, in attuazione del piano indu-

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striale, “verranno considerati i profili professionali che le risorse dovranno possedere (categoria qualifica), in base ai perimetri organizzativi sopra individuati”; infine, alla lett. a3) viene in rilievo la località, intesa come “sede/base d’impegno” con riferi-mento alla struttura multibase prevista dal piano industriale.

Solo subordinatamente a tali criteri è stato pattuito il secondo gruppo (“criteri di selezione professionali in coerenza con i nuovi assetti organizzativi”), all’interno del quale si dà rilievo al possesso di abilitazioni/certificazioni, alla localizzazione, intesa come domicilio/dimora/residenza del personale rispetto alla sede/base di destina-zione, all’anzianità aziendale, ai carichi familiari.

In conclusione, può quindi dirsi che, al fine dell’assunzione, le parti stipulanti l’accordo hanno considerato le esigenze organizzative della società come assoluta-mente prevalenti rispetto ai requisiti soggettivi posseduti dai lavoratori (sul punto v. Trib. Milano sentenza n. 465 del 2013 e, da ultimo, Corte di Appello Torino senten-za n. 510 del 2015).

Tali considerazioni portano a concludere che il ricorrente, sulla base del testo con-trattuale e del possesso dei requisiti dallo stesso allegati, non poteva venir individuato in modo automatico come beneficiario dell’obbligo assunto da A.C. nei confronti delle organizzazioni sindacali, risultando tutt’al più titolare di una mera aspettativa di fatto all’assunzione (per le medesime conclusioni v. Trib. Milano, sentenza n. 465 del 2013; sul punto v. anche Corte di Appello Torino, sentenza n. 510 del 2015, che ha qualifi-cato le disposizioni contenute nell’accordo di cui si tratta come “disposizioni program-matiche” precisando che solo le organizzazioni sindacali firmatarie avrebbero potuto lamentare il mancato adempimento o la violazione degli accordi stessi).

E ciò è tanto più vero se si considera che la tabella volta a suddividere il fabbisogno occupazionale della società resistente per aree organizzative non risulta essere stata re-datta, rendendo impossibile determinare a priori, sulla base della volontà negoziale espressa dalle parti contraenti, i lavoratori concretamente beneficiari dell’accordo.

La bontà della conclusione alla quale si è giunti risulta confermata anche dalla considerazione che lo stesso ricorrente, al fine di evidenziare la sussistenza del pre-sunto diritto all’assunzione, non ha potuto far riferimento al solo testo contrattuale (che si palesa del tutto insufficiente a radicare il diritto soggettivo) ma ha dovuto guardare alle altre assunzioni in concreto effettuate dalla Compagnia (per inferirne che egli doveva essere assunto al posto di altri lavoratori). Ciò rende evidente che il caso di specie esula dall’ipotesi del contratto a favore di terzi: il requisito della de-terminabilità del terzo beneficiario, invero, deve sussistere al momento della stipula; altrimenti – se il terzo può essere determinato soltanto ex post alla luce della concre-ta attuazione dell’accordo – egli non diviene titolare di alcun diritto soggettivo (au-tonomamente azionabile).

Per tali motivi non può darsi rilievo alla circostanza che la società abbia ammes-so di aver formulato al ricorrente una proposta di assunzione (pagina 3 della memo-ria): il fatto che, nella fase di esecuzione degli accordi, un lavoratore sia stato con-tattato per l’assunzione non vale, infatti, a dimostrare che quel lavoratore fosse tito-lare di un diritto soggettivo all’assunzione stessa (con la precisazione che il lavorato-re non ha dimostrato di aver accettato la proposta con ciò determinando la conclu-

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 239

sione del contratto ma, al contrario, ha sostenuto di non aver mai ricevuto la propo-sta in questione).

Conseguentemente, il ricorrente non ha alcun diritto ad agire nei confronti di A.C. per sentir dichiarare l’inadempimento della stessa rispetto ai criteri di selezione del personale contenuti in un contratto di cui egli non è parte ed ottenere il conse-guente risarcimento del danno.

Le conclusioni alle quali si è giunti consentono anche di respingere le censure di parte ricorrente volte a stigmatizzare il carattere discriminatorio della mancata assunzio-ne: in mancanza di un diritto soggettivo all’assunzione, infatti, la semplice partecipazio-ne del G. all’attività sindacale non consente, di per sé, di desumere che la sua mancata assunzione da parte di A.C. costituisca comportamento discriminatorio e ritorsivo.

Alla luce delle svolte considerazioni, il ricorso va, pertanto, integralmente respinto. Le complessità delle questioni trattate e la loro novità, valutata con riferimento al-

la data di deposito del ricorso, unitamente alla presenza di difformi orientamenti nel-la giurisprudenza di merito, costituiscono gravi motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Respinge il ricorso. Spese compensate. TRASFERIMENTO DELL’AEROMOBILE E TRASFERIMENTO DI AZIENDA

IN UNA COMPLESSA DECISIONE SULLA SORTE DEL PERSONALE DI VOLO

CHIARA TINCANI

Sommario: 1. L’inapplicabilità dell’art. 917 cod. nav. nella moderna organizzazione del trasporto aereo. – 2. L’applicazione della disciplina di diritto comune sul trasferimento di azienda, in particolare con riguardo alla procedura di liquidazione delle grandi imprese in stato di insolvenza. – 3. L’accordo sin-dacale sull’assunzione di un numero programmato di dipendenti.

1. L’inapplicabilità dell’art. 917 cod. nav. nella moderna organizzazione del trasporto aereo

La sentenza riguarda la complessa vicenda di un pilota che lamenta il suo man-cato passaggio alle dipendenze di una neocostituita impresa aerea. Il caso è ricono-

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scibile con facilità, nonostante il testo rechi le sole iniziali delle parti, e non è certo singolare che se ne occupi il Tribunale di Civitavecchia, nel cui circondario si trova Fiumicino. Oltre a comportare importanti affermazioni di principio su questioni de-licate del diritto dei trasporti, la decisione richiama la sostanziale centralità dell’or-dinamento comune nella regolazione del rapporto del personale di volo e ribadisce la marginale rilevanza della disciplina speciale 1, tema al quale ho fatto cenno in al-tre occasioni 2, cercando di spiegare come, a differenza dell’attività marittima, in quella aeronautica le disposizioni del Codice della navigazione siano diventate di rilievo sempre minore nella soluzione dei conflitti giudiziali.

Questa constatazione trova diretto riscontro a proposito del primo dei tre pro-blemi sollevati dalla sentenza, la quale si sofferma sull’interpretazione di una norma del Codice, vale a dire l’art. 917 cod. nav., invocato dal pilota per sostenere che, a fronte del mutamento dell’esercente di vari aeromobili, i rapporti di lavoro sarebbe-ro dovuti proseguire con il nuovo. A ragione, la decisione ha rigettato la domanda, rilevando come l’art. 917 cod. nav. presupponga l’identificazione del singolo veli-volo. Perciò, il prestatore di opere deve allegare e dimostrare di essere stato adibito a uno specifico aeromobile, poi acquisito da altro esercente, mentre, nel caso di specie, nulla del genere era stato sostenuto, non certo per imperizia del difensore del dipendente, ma perché tali circostanze non erano vere. Infatti, in una moderna im-presa, dotata di molti velivoli, è impossibile sul piano statistico e organizzativo che il pilota presti la sua attività sempre sullo stesso.

Analogo principio era stato sostenuto da una sentenza di legittimità, seppure ine-rente alla corrispondente disposizione sulla navigazione marittima 3. La conclusione della Suprema Corte e quella dell’ultima decisione sono coerenti con una piana in-terpretazione letterale e l’art. 917 cod. nav. non avrebbe consentito una diversa ese-gesi. Però, ciò porta alla sostanziale perdita di qualunque significato applicativo del-la norma, la quale, al limite, può riguardare le imprese con un solo aeromobile, si-tuazione marginale e di scarsa importanza già sul piano statistico. Questa conclu-sione non deve sorprendere, perché l’art. 917 cod. nav. risale al 1942 4 e, cioè, a un

1 Cfr. E. SPASIANO, Oggetto e autonomia del diritto della navigazione: progresso della dottrina o involuzione?, in RDC, 1978, I, 3 ss.; D. GAETA, Riflessioni sulla disciplina del contratto di trasporto, ibid., 1978, I, 3 ss., e dello stesso A., Le fonti del diritto della navigazione, Milano, 1965, 149 ss.; G. ROMANELLI, Riflessioni sulla disciplina del contratto di trasporto, in DT, 1993, 295 ss.; A. SCIALOJA, Sistema del diritto della navigazione, Roma, 1933, ed. III, 9 ss.

2 Cfr. TINCANI, La disciplina del rapporto di lavoro del personale di volo e il principio di specialità, in VTDL, 2017, 755 ss.

3 Cfr. Cass. 25 maggio 1995, n. 5754, in GI, 1995. 4 Cfr. F. DOMINEDÒ, Principi del diritto della navigazione, Padova, 1957, I, 48 ss.; A. SCIALOJA, Si-

stema del diritto della navigazione, Roma, 1933, vol. III, 9 ss.; E. SPASIANO, Oggetto, limiti e integra-zione del diritto della navigazione, in RDN, 1961, I, 43 ss.

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momento nel quale l’attività aeronautica era del tutto differente, non solo per la fre-quenza dei voli, ma per la stessa struttura di chi si dedicava a essi. Come è naturale, nella moderna società economica, l’art. 917 cod. nav. è poco più di un relitto del passato, e di ciò si è resa conto la decisione, la quale ha messo in luce il difetto di allegazione e di prova in cui è incorso il pilota, ma, al tempo stesso, almeno in mo-do implicito, ha sottolineato che il modello dell’art. 917 cod. nav. è incoerente con le attuali condizioni di mercato.

Come ho cercato di dimostrare in un altro contributo 5, questa caratteristica è propria della gran parte delle prescrizioni del Codice della navigazione 6, sempre più marginali, non tanto per un loro difetto di origine o per l’impostazione prescelta nel 1942 7, quanto perché sono rimaste immodificate di fronte alle enormi trasfor-mazioni del diritto del lavoro, il quale ha regolato persino la settoriale posizione del personale di volo 8. La vera ragione della crisi del Codice non è la sua specialità, ma la stasi dei suoi criteri, soprattutto di fronte all’evoluzione della società italiana e dei canoni di regolazione dei rapporti di lavoro. Ciò ha determinato l’obsolescenza delle disposizioni dello stesso Codice e ha giustificato il riferimento obbligato al diritto comune, per esempio in tema di licenziamenti 9 e di assunzioni a tempo de-terminato 10. Persino in modo più chiaro, lo stesso si può dire, a proposito dell’art. 917 cod. nav., di rado invocato, vi è da ritenere, sempre senza successo, se non in casi marginali nei quali il personale di volo sia adibito in modo stabile al medesimo aeromobile. La sentenza può sembrare scontata e l’esegesi dell’art. 917 cod. nav. è inevitabile, ma rinvia a una questione più complessa e, cioè, al venire meno di una

5 Cfr. TINCANI, La disciplina del rapporto di lavoro del personale di volo e il principio di specialità, loc. cit., 755 ss.

6 Cfr. A. SCIALOJA, Sistema del diritto della navigazione, cit., 9 ss. 7 Cfr. E. SPASIANO, Oggetto, limiti e integrazione del diritto della navigazione, loc. cit., 43 ss. 8 Cfr. G. BRANCA, Lavoro del personale di volo, in ED, XXIII, 459 ss.; D. GAETA, Equipaggio della

nave e dell’aeromobile, in ED, XV, 50 ss.; E. SPASIANO, Contratto di lavoro del personale di volo e contratto di arruolamento marittimo, in RDN, 1942, I, 271 ss.

9 Cfr. L. MENGHINI, I contratti di lavoro nel diritto della navigazione, in TDCC, , Milano, 1996, XX, p. 37 ss.; SPASIANO, Contratto di lavoro del personale di volo e contratto di arruolamento maritti-mo, loc. cit., 271 ss.; A. TORRENTE, I contratti di lavoro della navigazione. Arruolamento e contratto di lavoro del personale di volo, Milano, 1948, 109 ss.; G. PIRANI, “Specialità” del rapporto di lavoro del-la gente dell’aria e art. 35 dello Statuto dei lavoratori, in RDN, 1971, I, 203 ss.; G. BRANCA, Lavoro del personale di volo, in ED, XXIII, 459 ss.

10 Cfr. R. COSIO, Regole speciali per il settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali, in AA. VV., La nuova disciplina del lavoro a termine: decreto legislativo n. 368 del 2002, a cura di L. Men-ghini, Milano, 2002, 80 ss.; V. NOBILE, Il lavoro a termine nel trasporto aereo e nei servizi aeroportua-li, in D&L, 1987, 894 ss.; DELLA ROCCA, Discipline specifiche di lavoro a termine, in AA.VV., Il con-tratto di lavoro a tempo determinato nel decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, a cura di G. PE-

RONE, Torino, 2002, 185 ss.

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effettiva specialità della disciplina del Codice 11, perché le norme relative non sono più coerenti con le sensibilità e con le questioni applicative dell’impresa di oggi. È necessario il riferimento al diritto comune e non al Codice stesso.

2. L’applicazione della disciplina di diritto comune sul trasferimento di azienda, in particolare con riguardo alla procedura di liquidazione delle grandi imprese in stato di insolvenza.

Una conferma della fondatezza del ragionamento appena svolto deriva in modo indiretto dalla sentenza, la quale, subito dopo, si è chiesta se potesse trovare appli-cazione l’art. 2112 c.c., così superando in via implicita un dubbio che sarebbe potu-to sorgere ai sensi dell’art. 1 cod. nav. 12. Ci si sarebbe potuti domandare se l’art. 917 cod. nav., seppure inapplicabile al caso di specie, escludesse per la sua sola presenza e in virtù del principio di specialità il possibile riferimento al diritto comu-ne e, dunque, all’art. 2112 c.c. Sebbene in modo tacito, la risposta della pronuncia è stata negativa, poiché ha indagato sull’eventuale risalto dell’art. 2112 c.c., appunto sulla scorta di un ragionamento tutto interno al diritto comune e senza alcun riferi-mento al Codice. A volere essere fedeli alla lettera dell’art. 1 cod. nav., questo ap-proccio potrebbe destare delle perplessità, poiché l’art. 917 c.c. potrebbe porre osta-coli all’operare dell’art. 2112 c.c., ma una simile soluzione sarebbe irrazionale e contraria allo spirito dei tempi, per tutte le ragioni esposte, in particolare per la complessiva inattualità dell’art. 917 cod. nav., pensato per un diverso contesto or-ganizzativo. Perciò, è inevitabile l’approccio della pronuncia e ci si deve domandare se, sulla base del diritto comune, ci si trovasse di fronte a un trasferimento dell’a-zienda o di un solo ramo.

Esistono disposizioni di segno opposto proprio con riguardo al caso delle grandi imprese in insolvenza e, a ragione la decisione menziona l’art. 5, D.L. n. 347/2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 39 del 2004, con le innovazioni addotte dall’art. 1, comma 13, D.L. n. 134/2008, per cui il commissario di una procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza può effet-tuare trasferimenti di complessi aziendali “con individuazione di quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario”. Il principio è stato reso più chiaro dal D.L. n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2/2009, che ha inserito il comma ter-zo bis nell’art. 56 del decreto – legge n. 270/1999, precisando che, sempre in tema

11 Cfr. CUSMAI, Verso una ulteriore attenuazione dell’autonomia normativa e della specialità del diritto della navigazione in materia di lavoro nautico, in DT, 2006, 231 ss.

12 Cfr. E. SPASIANO, Il diritto della navigazione come sistema unitario e autonomo, in RDN, 1963, I, 293 ss.; D. GAETA, Aspetti pubblicistici del diritto della navigazione, in Trasp., 1982, 35 ss.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 243

di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza, le ces-sioni a finalità liquidatorie “non costituiscono, comunque, trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda”, agli effetti dell’art. 2112 c.c.

Nella sua parte più originale, la decisione esclude il carattere derogatorio di que-ste disposizioni rispetto all’art. 2112 c.c. e, se mai, sottolinea la natura liquidatoria dell’intera procedura 13. Ci si può domandare se le risultanze documentali confer-massero tale osservazione, poiché non è stata svolta una istruttoria orale. Però, la tesi trovava il conforto indiretto di due decisioni comunitarie e, comunque, di fronte al chiaro tenore letterale delle disposizioni, corroborate da queste pronunce, l’inda-gine compiuta dal giudice serve soprattutto a giustificare il significato delle norme, la loro legittimità costituzionale e la loro coerenza con il diritto europeo. Questi risul-tati sono stati raggiunti sulla scorta di una riflessione sulla funzione dell’intera proce-dura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza, ap-punto considerata votata alla liquidazione degli assetti patrimoniali del vecchio vetto-re aereo, a beneficio dei creditori. Su questa base, le disposizioni sull’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. sono state viste non come una deroga, ma in relazione alla pretesa inesistenza di un trasferimento di azienda, proprio per il passaggio a favore del compratore di singoli beni, e non di una entità economica organizzata 14.

Questa conclusione è molto benevola rispetto all’impostazione della procedura e giustifica le apposite indicazioni italiane, dando un certo spazio alla ragione di Sta-to 15. Non a caso, per la decisione, l’obbiettivo di conservare la funzionalità dei ser-vizi di trasporto aereo si può accompagnare alla liquidazione e non solo alla cessio-ne dell’azienda, sebbene restino molti dubbi. L’affermazione è corretta in linea di principio 16, ma se, da viaggiatore, si guarda all’evoluzione nell’offerta delle presta-

13 Cfr. la sentenza in esame, secondo cui “tale disposizione, più che operare una deroga alla fatti-specie regolata dall’art. 2112 cod. civ. (deroga che presupporrebbe la sussumibilità delle operazioni in esame in quest’ultima norma), sembra, piuttosto, escludere (…) che la cessione dei singoli beni azien-dali, in vista della liquidazione dei beni del cedente, consenta a una attività economica organizzata di conservare la propria identità e, dunque, configuri la fattispecie del trasferimento di azienda, rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 cod. civ.”.

14 Cfr. NUZZO, L’oggetto del trasferimento: entità materiale, organizzazione o mera attività?, in De Luca Tamajo-Rusciano-L. Zoppoli (a cura di ), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2004, 593 ss.; SANTAGATA, Trasferimento del ramo d’azienda tra disciplina comunitaria e diritto inter-no, ibid., 607 ss.; CESTER, Il trasferimento del ramo di azienda ancora alla prova della Corte di giusti-zia fra uso capovolto della normativa di tutela e disciplina di maggiore favore, nota a Corte di giustizia 6 marzo 2014, C. – 458 del 2012, Sig. Amatori c. Spa Telecom Italia, in RIDL, 2014, II, 470 ss.

15 Cfr. PEDRABISSI, Il trasporto aereo, il mercato concorrenziale e gli aiuti di Stato. Riflessioni a margine del caso Alitalia, in VTDL, 2017, p. 729 ss.

16 Sulla necessità che il ramo di azienda debba essere “dotato di una sua vita”, v. ROMEI, Il trasferi-mento d’azienda e gli orientamenti della dottrina, in DDG, 2004, n. 2, Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro, 303 ss.; CESTER, La fattispecie: la nozione di azienda, di ramo di azienda e di tra- 

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zioni, è difficile negare il trasferimento di una entità economica organizzata, alla stregua dell’art. 2112 c.c. e delle direttive comunitarie 17, in particolare di quella del 2001 18, soprattutto se si riflette sull’ultima giurisprudenza europea 19, a ragione at-tenta al destino dei beni strumentali. Vi sono pochi dubbi sul fatto che i velivoli sia-no stati acquisiti dal nuovo vettore, in luogo della vecchia compagnia di bandiera.

Ciò non significa che la sentenza sia giunta a considerazioni errate nel merito, ma la motivazione non è convincente. Le norme citate configurano una effettiva de-roga, come si ricava dal loro tenore letterale. L’art. 2112 c.c. era applicabile in astratto, ma non in concreto, proprio per la scelta prescrittiva di tenore opposto. Il trasferimento di una entità economica organizzata non ha portato alle conseguenze dell’art. 2112 c.c., perché ciò non è stato voluto dal legislatore, nella convinzione per cui tale deroga fosse necessaria a tutela dell’interesse pubblico e, cioè, per la conservazione di un funzionale servizio di trasporto aereo, visto che la disposizione aveva bene in mente il caso della compagnia di bandiera. Per quanto sia discutibile la valutazione discrezionale dell’autorità di governo e della maggioranza parlamen-tare, sarebbe difficile censurare sul piano della razionalità e della legittimità costitu-zionale un orientamento assunto in un contesto di accentuata gravità, nel quale la complessità del problema rende inevitabile la manifestazione dell’indirizzo politico, sebbene provochi una deroga all’art. 2112 c.c.

Soprattutto, come sostiene in modo convincente la pronuncia 20, non vi sono problemi di compatibilità con il diritto comunitario ai sensi della direttiva del 2001, poiché la procedura stessa ha natura liquidatoria e tale attività è svolta sotto il diret-

sferimento fra norme interne e norme comunitarie, in QDLRI, 2004, 28, Il trasferimento di azienda, p. 49 ss. Per una sintesi delle posizioni della giurisprudenza comunitaria, con particolare riguardo ai criteri identificativi del ramo di azienda, v. FOGLIA, La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea sulla nozione di trasferimento d’azienda, in DDG, 2004, 2, 409 ss.

17 V. GRANDI, Le vicende modificative del rapporto riferibili al datore di lavoro: il trasferimento dell’azienda, in Trasferimento di ramo di azienda e rapporto di lavoro, in DDG, Milano, 2004, 421 ss.

18 Cfr. MAINARDI, Azienda e ramo di azienda: il trasferimento nel decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in Studi in onore di Mario Grandi, Padova, 2005, 449 ss.

19 V. Corte di giustizia, sezione ottava, 20 luglio 2017, C. – 416 del 2016, Sig. Piscarreta c. Porti-mao urbis em Sa in liquidazione e altri, in VTDL, sito, 2017.

20 Cfr. la sentenza in esame, secondo cui “sulla base delle considerazione che precedono, va pure escluso che le norme di legge invocate debbano venire disapplicate in quanto in contrasto con la diretti-va comunitaria 23/2001. Anche a volere qualificare la cessione di beni aziendali in esame come ‘trasfe-rimento di azienda’, infatti, opererebbe – stante quanto detto (…) in ordine alla finalità liquidatoria del-la operazione – la clausola di esclusione contenuta nell’art. 5 della citata direttiva. Tale articolo preve-de, infatti, che i precedenti articoli 3 e 4 ‘non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabili-menti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura falli-mentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di una autorità pubblica competente (che può essere il curato-re fallimentare autorizzato da una autorità pubblica competente)’”.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza 245

to controllo pubblico. Ciò non significa che la liquidazione stessa non possa avere luogo mediante il trasferimento di azienda 21 e, sebbene la decisione sia in parte di tenore opposto, vi è da pensare che lo stesso trasferimento di azienda abbia avuto luogo nel caso di specie, se non altro perché il complesso dei beni strumentali è transitato dalla vecchia compagnia di bandiera al nuovo vettore. Però, per il diritto comunitario, nell’ipotesi di attività liquidatoria di matrice pubblica, la disciplina della direttiva del 2001 può essere derogata, e questo è accaduto, in particolare in ordine alla prosecuzione di tutti i rapporti con il cessionario. La conclusione ultima della pronuncia è lineare e, in fondo, le norme di deroga sono state concepite pro-prio in applicazione di questo principio della direttiva del 2001, con una scelta pre-scrittiva consapevole nei suoi riferimenti all’ordinamento europeo e da considerare coerente con esso.

3. L’accordo sindacale sull’assunzione di un numero programmato di di-pendenti

La parte meno convincente della sentenza è quella in cui procede all’interpre-tazione di un accordo sindacale sulla programmata assunzione di un numero identi-ficato di lavoratori, poiché si leggono affermazioni poco opportune sul fatto che il contratto sarebbe stipulato in virtù del criterio della rappresentatività e che i negozi collettivi non sarebbero conclusi in forza di un potere di rappresentanza, insito nel-l’adesione associativa, in questo caso pacifica, poiché il pilota era un dirigente sin-dacale. Ne deriva una lunga disquisizione sul fatto che l’accordo sarebbe stato con-cluso da terzi, senza che, purtroppo, la sentenza dedichi nemmeno una parola al possibile carattere normativo delle intese sindacali. Non era questo il problema e l’art. 1372 c.c. è estraneo alla questione da decidere. In modo molto più lineare, si sarebbe dovuto procedere all’interpretazione del testo, per stabilire se avesse carat-tere obbligatorio o normativo e, nel secondo caso, il lavoratore iscritto avrebbe po-tuto invocare a suo favore l’intesa, non perché il contratto sarebbe stato a favore di terzi, ma proprio in virtù dei suoi effetti normativi e del suo corrispondente incidere sulla sfera giuridica individuale, a maggiore ragione se si considera l’adesione del prestatore di opere al sindacato stipulante.

21 Cfr. SCARPELLI, Il mantenimento dei diritti del lavoratore nel trasferimento d’azienda: problemi vecchi e nuovi, in QDLRI, 2004, n. 28, Il trasferimento di azienda, 99 ss.; DE LUCA TAMAJO, La disci-plina del trasferimento di ramo d’azienda dal Codice civile al decreto legislativo n. 276 del 10 settem-bre 2003, in De Luca Tamajo-Rusciano-L. Zoppoli (a cura di ) Mercato del lavoro: riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2004, 577 ss.; LAMBERTUCCI, Modifica all’articolo 2112, comma 5, del Codice civile, in GRAGNOLI-PERULLI (a cura di ) La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Pa-dova, 2004, 468 ss.

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Però, la decisione è convincente quando, esaminando le clausole, esclude la loro natura normativa, seppure nell’ambito di un non persuasivo e diverso approccio si-stematico. Non vi erano effetti normativi perché l’obbligazione di assumere un nu-mero programmato di lavoratori non si accompagnava alla loro identificazione né diretta, né indiretta, soprattutto per un elemento fondamentale. Il numero non era suddiviso in modo vincolante con riguardo alle singole posizioni professionali e, quindi, era indeterminabile ciascun beneficiario ultimo 22. La lunga descrizione di parametri da tenere in considerazione non era sufficiente a fare stilare una graduato-ria, sia perché mancavano criteri cogenti, sia in quanto, in modo ancora più diretto, non si ravvisava il punto di partenza per qualsiasi graduatoria e, cioè, il numero dei lavoratori da assumere in ciascuna professione, posta l’ovvia infungibilità delle competenze, in un settore caratterizzato da forti controlli pubblici sui titoli abilitati-vi 23. A volere fare un esempio, poiché non era stato stabilito quanti fossero gli assi-stenti di volo e quanti i piloti, nessun singolo prestatore di opere avrebbe potuto vantare un diritto all’assunzione, proprio per la struttura dell’intesa, la quale si era limitata all’indicazione di una obbligazione generica nella sua stessa struttura, ob-bligazione di cui solo l’associazione sindacale avrebbe potuto chiedere il rispetto, va da sé nei limiti intrinseci all’impegno assunto.

22 Cfr. la sentenza in esame, secondo cui “ciò è tanto più vero se si considera che la tabella volta a suddividere il fabbisogno occupazionale della società resistente per aree organizzative non risulta essere stata redatta, rendendo impossibile determinare a priori, sulla base della volontà negoziale espressa dal-le parti contraenti, i lavoratori concretamente beneficiari dell’accordo”.

23 Cfr. M. ALCIATOR, Licenze del personale aeronautico: dalla normativa nazionale a quella euro-pea, in B. FRANCHI (a cura di ) Cinquant’anni di Codice della navigazione, Atti del convegno giuridico, 2 – 3 dicembre 1992, Roma, 1993, 137 ss.; G. ROMANELLI-M. RIGUZZI, Licenze e altri documenti del personale aeronautico civile, in DDP sez. comm., IX, 52 ss.; BERGAMI, In tema di discrezionalità nell’accertamento dell’idoneità per il rilascio delle licenze aeronautiche, in DT, 1990, 230 ss.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 247

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

LAVORO NELLA P.A. E GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE (gennaio-dicembre 2017)

a cura di DAVIDE CASALE e MARIA GIOVANNA MURRONE

ASSUNZIONE E NOMINA

Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 15 dicembre 2017, n. 30238 

Pres. Napoletano, Est. De Felice

Impiegato dello Stato e pubblico – Vincitore concorso pubblico – «Ius superveniens» – Diritto all’assunzione – Non sussiste.

Il diritto soggettivo del vincitore di pubblico concorso per il reclutamento di personale in regime con-trattualizzato è subordinato alla permanenza, all’atto del provvedimento di nomina, dell’assetto or-ganizzativo degli uffici in forza del quale il bando è stato emesso. Nel caso in cui detto assetto sia mutato a causa dello "jus superveniens", l’Amministrazione ha il potere-dovere di bloccare i provve-dimenti dai quali possano derivare nuove assunzioni che non corrispondano più alle oggettive ne-cessità di incremento del personale, quali valutate prima della modifica del quadro normativo, in base all’art. 97 Cost.

CONTRATTI A TERMINE

Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9402

Pres. Macioce, Est. Blasutto, P. M. Giacalone (conf.).

Istruzione pubblica – Personale scolastico – Supplenze – Reiterazione di contratti a termine – Legit-timità – Limiti.

In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, non essendo applicabile il regime della conversione previsto per il lavoro privato, l’illegittimità dell’apposizione del termine va verificata in relazione a ciascuno dei contratti oggetto di impugnativa giudiziale, anche per gli effetti che da tale accertamento possono derivare in relazione al riconosci-mento ed alla quantificazione del danno risarcibile ex art. 36, 5º comma, D.Lgs. n. 165 del 2001.

CONTRATTI A TERMINE

Corte di Cassazione (ord.), sez. lav., 6 aprile 2017, n. 8935

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248 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Pres. Macioce, Est. Blasutto, P. M. Fresa (conf.). 

Istruzione pubblica – Personale scolastico – Supplenze – Reiterazione di contratti a termine – Legit-timità – Limiti.

In tema di reclutamento del personale a termine nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione dei contratti a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su «organico di fatto» e per le supplenze temporanee non è, in sé, configurabile alcun abuso ai sensi dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/Ce – fermo restando il diritto del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta tipologia di supplenze prospettando non già la sola reiterazione, ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima – né il carattere abusivo della reiterazione può essere affermato quale conseguenza della dichiarazione di illegittimità dell’art. 4, 1º e 11º comma, legge n. 124 del 1999 (Corte cost., sentenza n. 187 del 2016), perché l’abuso sussiste solo a con-dizione che le supplenze abbiano riguardato l’«organico di diritto» e si siano protratte per oltre 36 mesi.

CO.CO.CO.

Corte di Cassazione, sez. lav., 8 febbraio 2017, n. 3384

Pres. Macioce, Est. Blasutto, P. M. Finocchi Ghersi (conf.). 

Impiegato dello Stato e pubblico – Contratto di collaborazione continuativa con ente pubblico – Conversione del rapporto – Esclusione – Tutela risarcitoria

In caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una p.a., al di fuori dei presupposti di legge, il lavoratore non può mai conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma solo una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all’art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro su-bordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale.

ECCEDENZE DI PERSONALE

Corte di Cassazione, sez. lav., 6 marzo 2017, n. 5543

Pres. Napoletano, Est. Torrice, P. M. Fuzio (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Eccedenze di personale – Esuberi inferiori a dieci unità – Obbligo di ricollocamento – Patto di declassamento – Legittimità

Nel pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 33, 7º comma, DD.Lgs. n. 165 del 2001 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportategli dal D.Lgs. n. 150 del 2009) si interpreta nel senso che, anche nell’ipotesi di eccedenze di personale per un numero inferiore a die-ci unità, la p.a. è tenuta a far precedere il collocamento in disponibilità da ogni possibile tentativo di impiegare diversamente il lavoratore (c.d. repechage), sicché, in mancanza di diversa regolamenta-zione introdotta dalla contrattazione collettiva, è legittimo il patto di declassamento stipulato ex art. 4, 11º comma, legge n. 223 del 1991 fra l’amministrazione ed il dipendente, ancorché le mansioni di nuova attribuzione siano diverse ed estranee alla qualifica dirigenziale già attribuita.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 249

ECCEDENZE DI PERSONALE

Corte di Cassazione, sez. lav., 13 febbraio 2017, n. 3738

Pres. Macioce, Est. Blasutto, P. M. Finocchi Ghersi (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Eccedenze di personale – Esuberi inferiori a dieci unità – Consultazione sindacale – Esclusione – Criteri di selezione – Obbli-ghi della pubblica amministrazione.

Nel pubblico impiego contrattualizzato, in caso di eccedenze di personale di cui all’art. 33 D.Lgs. n. 165 del 2001 (nel testo anteriore alle modifiche apportategli dal D.Lgs. n. 150 del 2009), ove la dichiarazione di esubero interessi un numero di lavoratori inferiore a dieci unità trovano applicazio-ne i soli 7º e 8º comma del suddetto articolo, sicché è esclusa la procedura di consultazione sinda-cale regolata dal 3º, 4º, e 5º comma; in mancanza di una diversa regolamentazione introdotta dalla contrattazione collettiva, anche nella predetta ipotesi operano i criteri di selezione di cui all’art. 5, 1º e 2º comma, legge n. 223 del 1991 e la p.a. è tenuta a dimostrare l’impossibilità di una ricolloca-zione alternativa del dipendente all’interno della stessa amministrazione (c.d. repechage), anche alla stregua di eventuali previsioni contrattuali in deroga all’art. 2103, 2º comma, c.c., nonché l’a-dempimento dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 165 del 2001, ai fini del-l’iscrizione del personale in disponibilità negli elenchi finalizzati al recupero delle eccedenze di per-sonale presso altre pubbliche amministrazioni.

FUNZIONI DIRIGENZIALI

Corte di Cassazione, sez. lav., 23 maggio 2017, n. 12898

Pres. Napoletano, Est. De Felice, P. M. Celentano (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Riforma della dirigenza – Valutazioni delle funzioni dirigenziali – Disciplina applicabile.

In seguito alla riforma della dirigenza del lavoro pubblico contrattualizzato, che ha istituito un ruolo unico della dirigenza articolato in due sole fasce (dirigente superiore e dirigente generale), la valu-tazione in ordine alla natura dirigenziale delle mansioni svolte dal dipendente va operata con riferi-mento alle nuove regole, non essendo ammissibile il differimento della loro applicazione, neanche qualora si ritenga che esso trovi giustificazione in una ragione transitoria, come quella concernente il tempo di adeguamento di ciascuna realtà amministrativa ai dettami della riforma.

FUNZIONI DIRIGENZIALI

Corte di Cassazione, sez. lav., 19 aprile 2017, n. 9878

Pres. Napoletano, Est. Torrice, P. M. Celentano (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Funzioni dirigenziali – Inca-rico temporaneo – Retribuzione.

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’attribuzione delle mansioni dirigenziali, con la pie-

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250 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

nezza delle relative funzioni e l’assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obiet-tivi propri delle stesse, non può che comportare, anche in relazione al principio di adeguatezza san-cito dall’art. 36 Cost., la corresponsione dell’intero trattamento economico, in cui vanno ricompresi gli elementi accessori, sicché i funzionari chiamati a svolgere le funzioni dirigenziali, fuori dalle ipo-tesi in cui sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordi-nariamente previsti per tale copertura, hanno diritto di percepire sia la retribuzione di posizione che quella di risultato.

FUNZIONI DIRIGENZIALI

Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 217

Pres. Napoletano, Est. Lucia, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Riorganizzazione aziendale – Svuotamento delle mansioni dirigenziali – Diritto al ripristino.

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svuotamento delle mansioni dirigenziali per effet-to di una riorganizzazione aziendale che, pur lasciando formalmente integri i compiti affidati al diri-gente, li abbia di fatto ridotti, dà diritto al ripristino delle stesse, pur non necessariamente riferite al-l’incarico originario e nei limiti della scadenza originariamente pattuita, detratto il periodo trascorso, in quanto, in assenza di un atto di revoca, l’interruzione ingiustificata del rapporto di ufficio costitui-sce una violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, del giu-sto procedimento, nonché di coordinamento della finanza pubblica.

FUNZIONI VICARIE

Corte di Cassazione, sez. III, 12 maggio 2017, n. 11776

Pres. Chiarini, Est. Dell’Utri, P. M. Cardino (conf.) 

Amministrazione dello Stato – Funzioni vicarie del soggetto preposto all’ente – Poteri del sostituto – Mancata indicazione – Presunzione di legittimo esercizio – Conseguenze.

Nell’ipotesi di impossibilità di esercizio delle funzioni da parte di soggetti preposti ad enti pubblici, allorché specifiche disposizioni di legge oppure i relativi statuti prevedano la figura del vicario, que-st’ultimo, ove si verifichino le condizioni previste, è autorizzato ad esercitare tutte le attribuzioni pro-prie del sostituito, senza necessità di apposita delega, specificando, nell’atto amministrativo posto in essere in tale qualità, il «titolo» (assenza, impedimento temporaneo o altro) che legittima l’esercizio della potestà; quando, tuttavia, tale esplicitazione non emerga in alcun modo dall’atto, deve presu-mersi, con presunzione iuris tantum, che egli abbia esercitato la potestà di sostituzione nel rispetto delle condizioni previste dalla norma o dallo statuto, con la conseguenza che sono i terzi interessati a doverne dedurre e provare l’insussistenza, dovendo tra essi ricomprendersi anche lo stesso ente rappresentato, laddove dimostri di avere un concreto interesse a negare la legittimazione sostanziale del vicario al compimento del negozio impugnato.

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 251

GIURISDIZIONE

Corte di Cassazione, S.U., 16 novembre 2017, n. 27197

Pres. Rordorf, Est. D’Antonio, P. M. Fuzio 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Superamento concorso – Annullamento graduatoria dopo la relativa approvazione – Esercizio potere autotutela – Non sussi-ste – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione ordinaria – Sussiste.

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 63, co. 4 D.lgs. n. 165 del 2001 la giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni riguarda le sole procedure concorsuali in senso stretto (nonché quelle cosiddette interne per l’accesso ad aree o fasce funzionali superiori), dalla pubblicazione del bando alla valutazione dei candidati, sino all’approvazione della graduato-ria finale che individui i vincitori, mentre le controversie relative agli atti successivi rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (sempre che la parte non contesti la legittimità dell’atto di appro-vazione della graduatoria), venendo in questione atti che non possono che restare compresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato, di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi, avendo la pretesa ad oggetto il diritto all’assunzione. Né la giuri-sdizione del giudice del lavoro soffre deroga per il fatto che venga in questione un atto amministrati-vo presupposto, che può essere disapplicato a tutela del diritto azionato (nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza del grado di appello che aveva affermato la giurisdizione ordinaria relati-vamente a fattispecie nella quale si controverteva dell’annullamento di graduatoria concorsuale do-po l’instaurazione del rapporto di lavoro, sul presupposto che tale atto non è espressione del potere pubblicistico di autotutela, ma dei poteri privatistici di gestione del rapporto).

GIURISDIZIONE 

Corte di Cassazione, S.U., 20 ottobre 2017, n. 24878

Pres. Rordorf, Est. Manna, P. M. Finocchi Ghersi 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedure concorsuali – Scorrimento di graduatoria – Riparto di giurisdizione – Giurisdizione ordinaria – Sussiste – Impu-gnazione provvedimento che dispone di non coprire più il posto vacante – Giurisdizione ammini-strativa – Sussiste.

Nell’ambito del pubblico impiego c.d. privatizzato in tema di riparto di giurisdizione nelle controver-sie relative a procedure concorsuali, la cognizione della domanda, avanzata dal candidato utilmente collocato nella graduatoria finale e riguardante la pretesa allo scorrimento della graduatoria del concorso espletato, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, facendosi valere, al di fuori dell’ambito della procedura concorsuale, il diritto all’assunzione. Ove, invece, la pretesa al ricono-scimento del suddetto diritto sia consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento che disponga di non coprire più (o di coprire diversamente) il posto resosi vacante, anziché avvalersi dello scorrimento della graduatoria del concorso anteriormente espletato, si è in presenza d’una contestazione che investe l’esercizio del potere dell’amministrazione, cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, tutelabile innanzi al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001.

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252 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

GIURISDIZIONE

Corte di Cassazione, S.U., 22 marzo 2017, n. 7305

Pres. Rordorf, Est. Tria, P. M. Iacoviello (diff.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Controversie di lavoro – Riparto di giurisdizione – Inadempimento unitario – Discrimine temporale – Rilevanza – Esclusione.

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice ammi-nistrativo, regolata dall’art. 69, 7º comma, D.lgs. n. 165 del 2001, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale, sicché, per evitare il frazionamento della tutela giuri-sdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell’amministrazione, la protra-zione della fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul me-desimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia.

GIURISDIZIONE

Corte di Cassazione, S.U., 17 febbraio 2017, n. 4229

Pres. Rordorf, Est. Tria, P. M. Matera (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Lavoratori socialmente utili – Assunzioni in applicazione di gra-duatoria – Controversie – Giurisdizione – Fattispecie.

Con riguardo ai lavori socialmente utili, e fattispecie assimilate, per tutto ciò che attiene alle even-tuali assunzioni oppure alle stabilizzazioni, in applicazione delle graduatorie delle liste di colloca-mento, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, in quanto la p.a. svolge, in questi ambiti, un’attività vincolata ai criteri predeterminati dalla legge nella scelta dei singoli lavoratori, a differen-za di quanto accade per l’individuazione del progetto e delle professionalità occorrenti, in cui la stessa agisce nell’esercizio della propria discrezionalità e con poteri autoritativi.

INCARICHI DIRIGENZIALI

Corte di Cassazione, sez. lav., 26 aprile 2017, n. 10320

Pres. Napoletano, Est. Torrice, P. M. Celentano (diff.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Ufficio di livello dirigenziale generale – Espressa qualificazione normativa – Fattispecie.

In tema di impiego pubblico privatizzato, un ufficio può essere ritenuto di livello dirigenziale genera-le solo in presenza di un’espressa qualificazione normativa (nella specie, la Suprema Corte ha con-fermato la decisione impugnata, che aveva escluso la collocazione nella prima fascia del ruolo diri-genziale di una dipendente che aveva ricoperto l’incarico di coordinatore generale presso la com-missione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali, in quanto tale ufficio non è qualificato come dirigenziale di livello generale dalla legge n. 146 del 1990, né dal regolamento adottato dalla commissione).

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 253

INCARICHI DIRIGENZIALI

Corte di Cassazione, sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9392

Pres. Napoletano, Est. Tria, P. M. Celentano (diff.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Dirigente – Mancato raggiungimento degli obiettivi – Illegittimità del procedimento di valutazione – Risarcimento – Perdita di chance – Configurabilità – Fattispecie.

Nell’ipotesi di accertata illegittimità del procedimento di valutazione negativa di un dirigente pubbli-co per il mancato raggiungimento degli obiettivi – nella specie, per tardiva indicazione degli stessi rispetto al periodo in cui avrebbero dovuti essere perseguiti – non compete un risarcimento automa-ticamente commisurato all’indennità di risultato non percepita, in quanto il giudice ordinario non può sostituirsi all’organo deputato alla verifica dei risultati che ne condizionano l’erogazione, ma, ove ritualmente richiesto, non può essere escluso il danno da perdita di chance, dimostrabile anche per presunzioni e con liquidazione necessariamente equitativa.

INCARICHI DIRIGENZIALI

Corte di Cassazione, sez. lav., 22 febbraio 2017, n. 4621

Pres. Napoletano, Est. Blasutto, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Impiego pubblico contrattualizzato – Incarico dirigenziale – Conferimento – Soggetto esterno alla pubblica amministrazione – Condizioni – Motivazione del provvedimento.

In tema di conferimento di incarichi dirigenziali, costituisce regola immanente al sistema, corrispon-dente ad una finalità di economicità, efficienza e buona amministrazione, il principio, esplicitato dal terzo periodo del 6º comma dell’art. 19 D.Lgs. n. 165 del 2001, come riformulato dal D.Lgs. n. 150 del 2009, secondo cui la nomina di un soggetto esterno alla p.a. è condizionata alla previa verifica dell’insussistenza, all’interno dei ruoli organici, di una professionalità equivalente, e la motivazione del provvedimento di nomina è funzionale alla verifica esterna del rispetto di tale vincolo, anche ai fini del controllo della Corte dei conti sugli atti di conferimento dei predetti incarichi.

INQUADRAMENTO E CARRIERA 

Corte di Cassazione, sez. lav., 10 gennaio 2017, n. 293

Pres. Napoletano, Est. Torrice, P. M. Finocchi Ghersi (conf.) 

Impiegato degli enti locali – Inquadramento – Contratto collettivo – Interpretazione – Criteri – Fatti-specie.

In materia di inquadramento del personale degli enti locali, l’art. 29, 1º comma, c.c.n.l. comparto re-gioni e autonomie locali 14 settembre 2000, va interpretato nel senso che l’accesso alla categoria D, attraverso la procedura semplificata di cui alle lett. b) e c), è consentito solo nei casi in cui vi sia stato un continuativo ed effettivo esercizio di funzioni di coordinamento e controllo, propri della sesta qualifi-ca funzionale, nell’ambito dei posti esistenti in pianta organica prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 268 del 1987, risultando, viceversa, precluso nell’ipotesi di posti istituiti successivamente a tale data.

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254 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

INQUADRAMENTO E CARRIERA

Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 213

Pres. Napoletano, Est. Lucia, P. M. Finocchi Ghersi (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Classificazione e progres-sione del personale – Contrattazione collettiva integrativa – Limiti – Fattispecie.

In tema di classificazione e progressione del personale nel pubblico impiego privatizzato, la contrat-tazione collettiva integrativa deve rispettare i limiti fissati dal contratto nazionale, stante il principio di prevalenza fissato dall’art. 40 D.Lgs. n. 165 del 2001, già nel testo ratione temporis vigente, ante-riormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009 (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso il diritto alla doppia pro-gressione economica di dipendenti del comune di Trani, originariamente inseriti nella settima qualifi-ca funzionale con livello economico differenziato, interpretando l’art. 19, 7º comma, del contratto collettivo decentrato integrativo in armonia con lo sbarramento di cui all’art. 12, 3º comma, c.c.n.l. 31 marzo 1999 comparto regioni-enti locali).

LAVORO STRAORDINARIO

Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2509

Pres. Napoletano, Est. Di Paolantonio, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Lavoro straordinario – Compensi – Previa autorizzazione dell’amministrazione – Necessità.

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone, di necessità, la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valu-tazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazio-ni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio.

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Corte di Cassazione, sez. lav., 1° marzo 2017, n. 5284

Pres. Macioce, Est. Torrice, P. M. Fresa (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Licenziamento disciplinare – Atti del procedimento penale – Uti-lizzo in sede di impugnativa – Valutazione – Fattispecie.

In tema licenziamento disciplinare del pubblico dipendente, venuta meno la cd. pregiudiziale penale e regolato per legge il possibile conflitto tra gli esiti dei procedimenti giusta l’art. 55 ter D.Lgs. n. 165 del 2001, l’amministrazione è libera di valutare autonomamente gli atti del procedimento pena-le, ai fini della contestazione, senza necessità di una ulteriore ed autonoma istruttoria, e di avvalersi dei medesimi atti, in sede d’impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti (nel-la specie, la Suprema Corte ha cassato la decisione impugnata, la quale aveva omesso ogni valuta-zione degli atti del processo penale, rifiutando l’esame delle prove offerte dal datore di lavoro pub-blico, ritenute non autonome rispetto ad esso, e perché, nella contestazione, il datore stesso aveva richiamato i capi d’imputazione dei reati).

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 255

MANSIONI

Corte di Cassazione, sez. lav., 27 gennaio 2017, n. 2140

Pres. Macioce, Est. Blasutto, P. M. Celentano (diff.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – «Ius variandi» – Adibizione a mansioni equivalenti – Legittimità – Condizioni.

Ai sensi dell’art. 52, 1º comma, D.Lgs. n. 165 del 2001, nonché dell’art. 3, 2º comma, c.c.n.l. comparto regioni e autonomie locali, lo ius variandi del datore di lavoro pubblico è legittimamente esercitato laddove le nuove mansioni assegnate al lavoratore rientrino nella stessa area professiona-le d’inquadramento prevista dal contratto collettivo di comparto (c.d. equivalenza «formale»), senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura sostanzialmente pariordinata delle mansioni successivamente assegnate.

MOBILITÀ

Corte di Cassazione, sez. lav., 18 maggio 2017, n. 12559

Pres. Napoletano, Est. Boghetich, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Copertura di posti vacanti – Mobilità intercompartimentale – Obbligo dell’amministrazione procedente.

Nell’impiego pubblico contrattualizzato, la scelta tra copertura di posti vacanti tramite mobilità del personale ovvero scorrimento di graduatoria ancora efficace poteva ritenersi rimessa, sino all’entra-ta in vigore dell’art. 16, 1º comma, legge n. 246 del 2005, al potere discrezionale della p.a.; suc-cessivamente, la previsione di una espressa nullità della determinazione che decida il reclutamento di nuovo personale (nella cui accezione va inclusa la progressione verticale dei dipendenti in cate-goria superiore), senza provvedere, prioritariamente, ad avviare la mobilità di personale proveniente da altra amministrazione, configura un obbligo per l’amministrazione procedente; non sussisteva, pertanto, né sussiste, un diritto soggettivo dei partecipanti a procedura concorsuale alla copertura di posti vacanti tramite scorrimento in graduatoria in via prioritaria rispetto al trasferimento di personale mediante mobilità intercompartimentale.

MOBILITÀ

Corte di Cassazione, S.U., 12 maggio 2017, n. 11800

Pres. Di Palma, Est. Berrino, P. M. Iacoviello (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Impiego pubblico privatizzato – Avviso di mobilità – Impugna-zione – Giurisdizione amministrativa – Fattispecie.

In tema di impiego pubblico privatizzato, è attribuita alla giurisdizione amministrativa la controversia relativa all’impugnazione di un avviso di mobilità, indetto, ex art. 30 D.Lgs. n. 165 del 2001, per la copertura di posti di cancelliere a tempo pieno ed indeterminato, che preveda una procedura con-corsuale selettiva, attuata mediante il sistema della mobilità esterna, destinata a concludersi con l’approvazione di una graduatoria finale e la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro tra il vinci-tore e la p.a. che ha indetto la selezione.

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256 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

MOBILITÀ

Corte di Cassazione, sez. lav., 2 gennaio 2017, n. 2

Pres. Napoletano, Est. Blasutti, P. M. Finocchi Ghersi (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Mobilità volontaria – Formazione professionale – Pubblica am-ministrazione di destinazione – Onere.

In caso di mobilità volontaria ex art. 30 D.Lgs. n. 165 del 2001, come specificato dal suo 1º comma bis, aggiunto dall’art. 4, 1º comma, legge n. 114 del 2014, in sede di conversione del D.L. n. 90 del 2014, è la p.a. di destinazione abilitata ad assumere le iniziative occorrenti per dotare il dipen-dente trasferito della formazione professionale necessaria allo svolgimento delle nuove funzioni, in quanto è conforme al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. che la p.a. che sopporta i costi della riqualificazione ne tragga i relativi benefici, senza considerare che lavoratori appartenenti ad amministrazioni diverse, pur con la stessa qualifica, hanno necessità di percorsi professionali dif-ferenziati.

PASSAGGIO DI PERSONALE

Corte di Cassazione, sez. lav., 6 giugno 2017, n. 13994

Pres. Napoletano, Est. Blasutto, P. M. Servello (diff.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Passaggio di personale tra amministrazioni diverse – Disciplina ex art. 2112 c.c. – Applicabilità – Presupposti – Fattispecie.

In tema di pubblico impiego privatizzato, il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diver-se, in mancanza di espresse disposizioni normative sul contenuto e sulle modalità del relativo trasfe-rimento, è disciplinato dal principio, espresso dall’art. 2112 c.c., dell’inerenza del rapporto contrat-tuale al complesso aziendale (o all’attività di competenza di un soggetto pubblico), in tutti i casi in cui questo, pur cambiando la titolarità, resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell’attitudine all’esercizio dell’impresa (o della funzione perseguita), in quanto i due termini utilizzati dall’art. 31 D.Lgs. n. 165 del 2001, ai fini dell’applicazione del suddetto articolo, cioè quelli di tra-sferimento o di conferimento di attività, esprimono la volontà del legislatore di comprendere nello spettro applicativo di tale disposizione ogni vicenda traslativa riguardante l’attività dell’ente cedente (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto che la neo istituita azienda policlinico Umberto I fosse succeduta nei rapporti di lavoro del personale asl, in servizio presso il soppresso policlinico universitario, pur in assenza di norme che ne disciplinassero il passaggio).

PERSONALE ATA

Corte di Cassazione, sez. lav., 31 maggio 2017, n. 13800

Pres. Napoletano, Est. Torrice, P. M. Celeste (conf.) 

Istruzione pubblica – Conferimento di supplenze a personale Ata – Nullità – Atto di revoca – Natura.

In tema di conferimento di supplenze annuali e temporanee al personale ausiliario, tecnico ed am-ministrativo (Ata) nel settore scolastico, l’amministrazione è tenuta ad individuare il destinatario della

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 257

proposta di assunzione nel rispetto delle posizioni in graduatoria, secondo le disposizioni inderoga-bili di cui agli art. 4 legge n. 124 del 1999 e 3 d.m. n. 430 del 2000, sicché la revoca dell’incarico disposta dall’amministrazione per inosservanza della graduatoria equivale alla condotta di chi fa valere l’assenza di vincolo per nullità del contratto, atteso che nell’ambito del lavoro pubblico priva-tizzato gli atti di gestione del rapporto sono adottati come i poteri e le capacità del privato datore senza che possa farsi ricorso al potere di autotutela.

POSIZIONI ORGANIZZATIVE

Corte di Cassazione, sez. lav., 27 gennaio 2017, n. 2141

Pres. Macioce, Est. Blasutto, P. M. Celentano (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Conferimento di posizioni organizzative – Criteri di valutazione.

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, anche ai fini del conferimento delle posizioni organiz-zative, la cui definizione è demandata alla contrattazione collettiva dall’art. 40, 2º comma, D.Lgs. n. 165 del 2001, la p.a. è tenuta al rispetto dei criteri di massima indicati dalle fonti contrattuali ed all’osservanza delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dell’art. 97 cost., senza tuttavia che la predeterminazione dei criteri di valuta-zione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavo-ro nell’ambito di una lista di soggetti idonei.

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25379

Pres. Napoletano, Est. Blasutto, P. M. Finocchi Ghersi (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedimento disciplinare – Norme imperative – Composizione UPD – Discrezionalità P.A. – Sussiste.

Nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 55, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001 le disposizioni contemplate dal medesimo articolo e da quelli seguenti, fino all’art. 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2, per cui – in relazione ai fatti disciplinarmente rilevanti ai quali si applica ratione temporis la rifor-ma – non possono più trovare applicazione le previsioni contrattuali difformi, ossia quelle che detta-no regole diverse da quelle ricavabili in via diretta dalle previsioni legali. Pur tuttavia è rimessa a ciascuna Pubblica Amministrazione, secondo le proprie peculiarità, l’individuazione dell’organo le-gittimato ad esercitare il potere disciplinare di modo che il carattere imperativo riguarda la non de-rogabilità della disciplina legale ad opera dell’autonomia negoziale (nel caso di specie, essendo stato il procedimento istaurato e concluso dall’Ufficio che, secondo la normativa regolamentare in-terna dell’Ente, era l’ufficio "competente", la S.C. ha escluso ogni ipotesi di nullità del procedimento, non prevista né dal Regolamento, né dal D.Lgs. n. 165 del 2001, che certo non attribuisce natura imperativa "riflessa" al complesso delle regole procedimentali interne che regolano la costituzione e il funzionamento dell’U.P.D.: in particolare è stata ritenuta integrare mera irregolarità la circostanza che uno dei tre componenti dell’organo collegiale fosse laureato in economia e commercio e non in giurisprudenza).

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258 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Corte di Cassazione, sez. lav., 21 marzo 2017, n. 7177

Pres. Macioce, Est. Boghetich, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Procedimento disciplinare – Licenziamento – Organo incompe-tente – Illegittimità.

È illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore pubblico da un organo incompetente, non essen-do stato istituito dall’amministrazione l’ufficio per i procedimenti disciplinari competente, ai sensi dell’art. 55 bis, 4º comma, D.Lgs. n. 165 del 2001, per le sanzioni più gravi della sospensione dal servizio e dalla retribuzione da undici giorni a sei mesi.

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Corte di Cassazione, sez. lav., 2 marzo 2017, n. 5313

Pres. Macioce, Est. Torrice, P. M. Fresa (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Sentenza penale di patteggiamento – Procedimento disciplinare – Termine – Decorrenza.

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare, a seguito di giudizio penale definito con sentenza di patteggiamento, occorre avere riguardo al momento in cui l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari è venu-to in possesso della copia della sentenza recante l’attestazione della sua irrevocabilità, restando irri-levante la semplice conoscenza del provvedimento in epoca anteriore alla data di trasmissione.

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Corte di Cassazione, sez. lav., 9 gennaio 2017, n. 209

Pres. Macioce, Est. Tricomi, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Procedimento disciplinare – «Ius superveniens» – Decorrenza – Fattispecie.

In tema di procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, ove la notizia dell’in-frazione sia stata acquisita prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2009, e l’ammi-nistrazione abbia optato per il differimento dell’iniziativa disciplinare all’esito del giudizio penale, la fattispecie resta regolata dalla disciplina previgente, in forza del generale principio per cui i proce-dimenti sono regolati dalla normativa del tempo in cui gli atti sono stati posti in essere, sicché non vi è alcun onere di riattivazione del procedimento in conseguenza della definitiva soppressione della regola della pregiudizialità penale ad opera della novella.

RESPONSABILITÀ DIRIGENZIALE

Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1753

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 259

Pres. Macioce, Est. Di Paolantonio, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Responsabilità dirigenziale – Responsabilità disciplinare – Quali-ficazione dell’addebito.

La responsabilità dirigenziale di cui agli art. 4 e 21 D.Lgs. n. 165 del 2001, ricollegata ad una valu-tazione negativa dei risultati complessivi raggiunti dall’ufficio al quale il dirigente è preposto e fina-lizzata alla sua rimozione per inidoneità rispetto alla funzione, non coincide con la responsabilità disciplinare che presuppone un inadempimento colpevole di obblighi gravanti sul dirigente; ne con-segue che nel caso di inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, ossia di un comportamento astrattamente riconducibile ad entrambe le forme di responsabilità, l’addebito assumerà valenza solo disciplinare ove la p.a. ritenga di sanzionare la violazione in sé dell’ordine e della direttiva, e dovrà, invece, essere ricondotta alla responsabilità dirigenziale qualora la violazione medesima ab-bia inciso negativamente sulle prestazioni richieste al dirigente ed alla struttura dallo stesso diretta.

SOCIETÀ IN HOUSE

Corte di Cassazione, S.U., 27 marzo 2017, n. 7759

Pres. Rordorf, Est. Bronzini, P. M. Fuzio (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Società «in house» – Reclutamento di dipendenti – Controversie – Giurisdizione ordinaria.

In tema di società c.d. in house providing, le procedure seguite per l’assunzione del personale di-pendente sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, e non del giudice amministrativo, in quanto alla scelta del modello privatistico per il perseguimento delle finalità di tali società conse-gue l’esclusione dell’obbligo di adottare il regime del pubblico concorso per il reclutamento dei di-pendenti, trovando, invece, applicazione le regole di cui all’art. 18 D.L. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla legge n. 133 del 2008.

SPOILS SYSTEM

Corte di Cassazione, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2510

Pres. Napoletano, Est. Tricomi, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Regione – Calabria – Pubblico impiego – Dirigente generale di dipartimento – «Spoils system» – Operatività – Fattispecie.

In materia di dirigenti nell’impiego pubblico regionale, il capo dipartimento (nella specie, cultura, istruzione e beni culturali) della regione Calabria, avendo la funzione di organizzare, coordinare e dirigere l’ufficio secondo le direttive generali degli organi di direzione politica che assiste, svolge un incarico rispetto al quale opera il sistema di c.d. spoils system, rientrando esso nei c.d. incarichi diri-genziali apicali che non attengono ad una semplice attività di gestione, ed essendo invece rapporta-bile alla direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali.

STABILIZZAZIONE

Corte di Cassazione, S.U., 2 agosto 2017, n. 19166

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260 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Pres. Amoroso, Est. Manna, P. M. Matera (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Processi di stabilizzazione – Necessario rispetto disponibilità fi-nanziarie – Deroga procedure di reclutamento – È configurabile – Condizioni – Possesso titolo di studio – Svolgimento procedure selettive – Giurisdizione amministrativa.

In materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione – tendenzialmente volti ad eliminare il precariato creatosi per assunzioni in violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 165 del 2001 – so-no effettuati nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dota-zioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno, e sono suscettibili di derogare alle normali procedure di reclutamento limitatamente al carattere – riservato e non aperto – dell’as-sunzione, ma non anche alla necessità del possesso del titolo di studio ove previsto per la specifica qualifica, né al preventivo svolgimento di procedure selettive, che (ad eccezione del personale as-sunto obbligatoriamente o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento) sono neces-sarie nell’ipotesi – come nella specie – in cui la stabilizzazione riguardi dipendenti che non abbiano già sostenuto «procedure selettive di tipo concorsuale», con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di procedure discrezionalmente disposte dall’amministrazione ed implicanti valutazioni di tipo comparativo tra i candidati.

TRATTAMENTO ECONOMICO 

Corte di Cassazione, 30 marzo 2017, n. 8261

Pres. Napoletano, Est. Torrice, P. M. Mastrobernardino (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Pubblico impiego contrattualizzato – Dirigente sanitario – Incarico di componente delle commissioni invalidi civili – Compenso aggiuntivo – Esclusione.

Il principio di omnicomprensività della retribuzione, affermato dagli art. 24, 3º comma, e 27, 1º comma, D.Lgs. n. 165 del 2001, nonché 60, 3º comma, c.c.n.l. comparto dirigenza sanitaria dell’8 giugno 2000, opera inderogabilmente in tutti i casi in cui l’attività svolta sia riconducibile a funzioni e poteri con-nessi all’ufficio ricoperto, ed a mansioni cui il dirigente è obbligato rientrando nei normali compiti di ser-vizio, salvi i soli incarichi retribuiti a titolo professionale dall’amministrazione sulla base di una norma espressa che gliene attribuisca il potere, sempre che ciò non costituisca comunque espletamento di compiti di istituto; ne consegue che l’incarico di componente delle commissioni invalidi civili, in quanto conferito al dirigente in ragione del ruolo rivestito, non comporta alcun diritto a compensi aggiuntivi.

TUTELA REALE

Corte di Cassazione, sez. lav., 25 ottobre 2017, n. 25376

Pres. Macioce, Est. Boghetich, P.M. Servello (conf.). 

Impiegato dello Stato e pubblico – Applicabilità modifiche ex legge n. 92 del 2012 al pubblico im-piego privatizzato – Esclusione – Perdurante vigenza disciplina art. 18, legge n. 300 del 1970 ante riforma.

Le modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 alla legge n. 300 del 1970, art. 18 non si applica-no ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di li-cenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n. 92, resta quella prevista dall’art. 18 St. lav. nel testo antecedente la riforma; rilevano a tal fine il rinvio ad un intervento normativo successivo ad opera della legge n. 92 del 2012, art. 1, comma 8, l’inconcilia-

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Sezione Seconda: Giurisprudenza – Rassegna di giurisprudenza 261

bilità della nuova normativa, modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, neppure richiamate all’art. 18, comma 6 nuova formulazione, la natura fissa e non mobile del rinvio di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51, comma 2, incompatibile con un auto-matico recepimento di ogni modifica successiva che incida sulla natura della tutela del dipendente li-cenziato". In particolare, la inconciliabilità della nuova normativa con le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001 è stata ritenuta evidente in relazione al licenziamento intimato senza il necessa-rio rispetto delle garanzie procedimentali, posto che l’art. 18, comma 6 fa riferimento al solo art. 7, legge n. 300 del 1970, e non agli artt. 55 e 55 bis D.Lgs. citato, con i quali il legislatore, oltre a sottrar-re alla contrattazione collettiva la disciplina del procedimento, del quale ha previsto termini e forme, ha anche affermato il carattere inderogabile delle disposizioni dettate "ai sensi e per gli effetti dell’art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c. e seguenti. Ciò comporta che, sino al successivo intervento normativo di ar-monizzazione del Ministero della Funzione pubblica (allo stato non adottato), non si estendono ai di-pendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, con la conseguenza che la tutela da riconoscere a detti dipendenti in caso di licenziamento illegittimo resta quella assicurata dalla previgente formulazione della norma.

WHISTLEBLOWING

Corte di Cassazione, sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1752

Pres. Macioce, Est. Blasutto, P. M. Sanlorenzo (conf.) 

Impiegato dello Stato e pubblico – Denuncia di comportamenti illeciti della pubblica amministra-zione – Infondatezza – Licenziamento disciplinare.

È legittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore pubblico che invii ad alcuni soggetti istituzionali (Prefettura, Procura della Repubblica e Corte dei conti) una memoria contenente la de-nunzia di condotte illecite da parte dell’amministrazione di appartenenza palesemente priva di fon-damento, configurandosi una condotta illecita, univocamente diretta a gettare discredito sull’ammi-nistrazione medesima, non potendosi peraltro configurare, nella specie, le condizioni per l’applica-bilità della disciplina del c.d. «whistleblowing» ex art. 54 bis D.Lgs. n. 165 del 2001.

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262 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

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Sezione Terza: Rubriche 263

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE E LETTURE

a cura di SUSANNA PALLADINI e ALESSANDRO LIMA

I. – VOLUMI DI RECENTE PUBBLICAZIONE

AA.VV.

La riforma del pubblico impiego: il D.Lgs. n. 75/2017, Milano, Giuffré, 2017, € 19,00.

Indice del volume: Introduzione. – La contrattazione collettiva nazionale ed integrativa (Ebreo A.). – La distribuzione delle risorse umane negli uffici: piano triennale (Patrizi A.). – Il reclutamento del personale (Gulli F.). – I contratti di lavoro flessibile (Patrizi A.). – Superamento del precariato nella pubblica amministrazione (Patrizi A.). – Incom-patibilità, cumulo di impieghi e incarichi (art. 53 t.u.p.i.) (Gulli F.). – Il collocamento mirato dei disabili protetti nel pubblico impiego dopo il d.lgs. n. 75/2017 (Raffaghelli M.). – Il nuovo procedimento disciplinare (Sciannameo F.). – Novità in tema di accer-tamento medico legale (Di Iorio N.). – Il licenziamento nel pubblico impiego (Marziale A.). – La valutazione delle performance (Buonanno A.). – Controllo della spesa pubbli-ca e costo del lavoro (Buonanno A.).

BIANCO A., BOSCATI A., RUFFINI R.

La riforma del pubblico impiego e della valutazione. Cosa cambia con i Decreti attuati-vi D.Lgs. 74/2017 e D.Lgs. 75/2017, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2017, € 40,00.

Indice del volume: Il sistema delle fonti e le novità sulla contrattazione. – Dotazioni orga-niche, mobilità, accessi, collaborazioni, disabilità ed altre disposizioni. – Gli effetti imme-diati: dirigenza, fondo, sanatoria della contrattazione decentrata, concorsi interni e stabi-lizzazioni. – Potere disciplinare. – Il sistema di misurazione e valutazione delle perfor-mance. Le modifiche al d.lgs. n. 150/2009. – Appendice normativa. – Quesiti e risposte.

BOIERO L.

La giustificazione delle assenze negli enti locali, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggio-li, 2017, € 68,00.

Indice del volume: Ferie (congedo ordinario). – Permessi retribuiti. – Permessi brevi. – Riposo compensativo. – Recupero ore straordinario e banca ore. – Assenze per malattia. – Congedi di maternità e di paternità. – Permessi e agevolazioni per l’assistenza ai por-tatori di handicap. – Aspettativa per motivi personali. – Diritto allo studio. – Permessi

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264 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

sindacali. – Area dirigenti enti locali. – Il congedo retribuito per le donne vittime di vio-lenza.

BOIERO L.

Il procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Sant’Arcangelo di Romagna, Mag-gioli, 2017, € 64,00.

Indice del volume: Le responsabilità del pubblico dipendente. – Aspetti generali. – L’applicazione delle sanzioni disciplinari. – La responsabilità dirigenziale e disciplinare del dirigente. – Tipologia delle sanzioni. – L’impugnazione della sanzione. – Appendi-ce. – Modulistica ad uso del responsabile della struttura presso cui presta servizio il di-pendente. – Modulistica ad uso dell’Ufficio procedimenti disciplinari.

GALANTINO L. (continuato da LANOTTE M.)

Diritto del lavoro pubblico, 7 ed., Torino, Giappichelli, 2017, € 28,00.

Indice del volume: Prefazione alla settima edizione. – Sezione I. Le fonti e i diritti sin-dacali. – L’evoluzione normativa del rapporto di lavoro pubblico. – La contrattazione collettiva e i diritti sindacali. – Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. – Sezione II. Il rapporto individuale di lavoro. – Il reclutamento e l’assunzione del personale. – Le forme di lavoro flessibile. – L’inquadramento dei lavoratori, le mansioni, i sistemi di valutazione e il trattamento economico. – La dirigenza pubblica. – L’orario di lavoro e i riposi. – La sospensione del rapporto di lavoro. – L’obbligo di sicurezza. – La tutela contro le discriminazioni. – Incompatibilità, obblighi e potere disciplinare. – La mobili-tà del lavoratore. – L’estinzione del rapporto di lavoro. – La giurisdizione in tema di controversie di lavoro.

LAZZARI A.

Trasparenza e prevenzione della cattiva amministrazione, Milano, Giuffré, 2017, € 39,00.

Indice del volume: Introduzione. – L’affermazione del principio giuridico di trasparenza. – La valenza trasversale della trasparenza. – Le misure della trasparenza come rimedio preventivo alla cattiva amministrazione: la pianificazione, i codici di condotta, la vigilan-za, le inconferibilità e incompatibilità degli incarichi. – La trasparenza e il controllo socia-le: pubblicità e accessibilità. – Le conseguenze per la violazione degli obblighi di traspa-renza: responsabilità e sanzioni come deterrente alla cattiva amministrazione. – La respon-sabilità amministrativa per danno all’immagine nella disciplina anticorruzione e della tra-sparenza. – Attuale modello della trasparenza ed effettività del principio.

MORIGI P.

Il piano della performance e la valutazione delle prestazioni negli Enti Locali, Sant’Ar-cangelo di Romagna, Maggioli, 2017, € 30,00.

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Sezione Terza: Rubriche 265

Indice del volume: Dalla “riforma Brunetta” alla “riforma Madia”. – Le novità introdot-te con il d.lgs. n. 74/2017. – Le nuove competenze della Funzione pubblica sulla per-formance. – Il nuovo ruolo dell’organismo indipendente di valutazione. – La perfor-mance organizzativa. – La performance individuale. – Gli indicatori utilizzati per la per-formance. – Il ciclo di gestione della performance. – Un possibile modello operativo per l’ente locale. – Conclusioni.

RICCOBONO A.

Organizzazione amministrativa e mobilità del personale nel lavoro pubblico privatizza-to, Napoli, ESI, 2017, € 34,00.

Indice del volume: Mobilità del personale ed efficienza organizzativa nei processi di riforma delle amministrazioni pubbliche. – Organizzazione degli uffici e disciplina degli organici. – Mobilità volontaria e passaggi diretti di personale. – Eccedenze di personale e mobilità collettiva nelle pubbliche amministrazioni.

SANTUCCI R.

Libertà di ricerca e rapporto di impiego di ricercatori e docenti, Napoli, ESI, 2017, € 22,00.

Indice del volume: La cultura ossia arte, scienza e insegnamento: la sua centralità, i suoi fondamenti, la sua effettività. – La docenza universitaria: uno stato giuridico nella tem-pesta. – I ricercatori degli enti pubblici di ricerca e i docenti dell’AFAM: gli esclusi dal-lo stato giuridico, nonostante l’appartenenza alla casa comune dell’accademia. – Con-clusione (ovvero un nuovo inizio).

SAVAZZI A., SUSIO B., LEMBO G., BEVILACQUA P., ZANARDO L. (a cura di)

2009–2017 La performance in evoluzione. Oltre la performance. Contributi allo svilup-po e all’innovazione nelle prassi valutative delle Regioni e Province Autonome, Mi-lano, Cedam, 2017, € 22,00.

Indice del volume: Presentazione. – Presentazione della giornata (Zanardo L.). – Come cambia la valutazione nelle pa: le prospettive della riforma tra continuità ed esigenze di innovazione (Rughetti A.). – Il nuovo quadro istituzionale e normativo in materia di performance delle amministrazioni pubbliche (De Giorgi M.). – Presentazione prima sessione “performance organizzativa e performance individuale: correlazione e strumen-ti per il miglioramento continuo delle organizzazioni e delle prestazioni dirigenziali” (Mandurino K.). – Verso il superamento dell’autoreferenzialità burocratica: il cittadino valutatore della performance (Valente L.). – Il percorso di elaborazione del piano e della relazione sulla performance nell’ottica del miglioramento delle organizzazioni e delle prestazioni dirigenziali. L’esperienza della regione Calabria (Zito B.). – La valutazione della dirigenza nel percorso delle riforme: limiti e prospettive (Pioggia A.). – Misurare la performance organizzativa per valorizzare la performance individuale (Sala E.). –

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266 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

Ago e filo. riflessioni sul ruolo di chi misura e valuta le performance negli enti pubblici (Susio B.). – Responsabilità, efficacia, partecipazione. Le leve per una gestione virtuosa e condivisa della performance (Rogate C.). – Gli strumenti di programmazione in regio-ne: un raccordo possibile? (Milocchi F.). – Integrazione tra ciclo della perfomance, pro-grammazione economico–finanziaria, ptpc e disposizioni di legge rilevanti ai fini della valutazione individuale: semplice trasposizione di contenuti o reciproca integrazione? (Savazzi A.M.). – Valutazione della performance: migliorare con un adeguato sistema informatico per la gestione integrata di dati e processi (Abramo A.). – L’integrazione appropriata del principio delle pari opportunità e della non discriminazione nell’ambito del piano della performance della p.a., quale risultato della sinergia tra oiv, cug e consi-gliere di parità (Lembo G.). – Funzioni di garanzia etica del cug – Presidio attivo per la prevenzione e il contrasto del malessere lavorativo nella prospettiva di dialogo strategi-co con gli oiv (Amatruda E.). – Valutazione come strumento manageriale per l’attuazio-ne delle politiche, l’innovazione, lo sviluppo dell’organizzazione regionale (Tagliabue S.). – Valutazione in tempi di riorganizzazione. Il caso della regione Veneto (Zanardo L.). – La valutazione come strumento di sviluppo organizzativo e individuale – il ruolo degli oiv (Barbieri M.). – Per una valutazione situazionale della performance: come im-postare e rendicontare la linea valutativa dell’ente? (Bevilacqua P.). – La valutazione degli aspetti qualitativi della prestazione dirigenziale. L’esperienza della provincia au-tonoma di Trento (Nicoletti P.). – Mercato vs organizzazione: il raggiungimento degli obiettivi è il controllo (Garavaglia M.). – La valutazione quale strumento per l’attuazio-ne delle politiche: il ruolo dell’organo di indirizzo politico–amministrativo nei processi di valutazione del personale (Viscomi A.).

SILVESTRO C.

Il nuovo pubblico impiego dopo la riforma Madia: commento ai D.Lgs. nn. 116 e 171 del 2016 e nn. 74 e 75 del 2017, Roma, Dike Giuridica, 2017, € 28,00.

Indice del volume: Presentazione. – La legge Madia e l’ultima riscrittura della disciplina del pubblico impiego. – La stretta sui furbetti del cartellino: il d.lgs. n. 116/2016. – La riforma della dirigenza sanitaria. – Il d.lgs. n. 75/2017 rivitalizza la contrattazione. – Fabbisogni e reclutamento. – L’aggiornamento dei flussi informativi. – L’ennesima mo-difica della disciplina del lavoro flessibile introduce nuovi interventi sul precariato. – Le misure di sostegno alla disabilità. – Responsabilità disciplinare e visite fiscali. – Tutela reale del pubblico dipendente e annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità. – Disposizioni di coordinamento e transitorie, clausola di invarianza e abrogazioni. – Il d.lgs. n. 74/2017: modifiche in tema di misurazione e valutazione della performance. – Indice della Appendice normativa online.

ZILLI A.

Autonomia e modelli negoziali per il lavoro pubblico locale: dalla Legge quadro alla Riforma Madia, Torino, Giappichelli, 2017, € 34,00.

Indice del volume: Introduzione. – Il lavoro pubblico locale tra Stato e Autonomie. – Qua-

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Sezione Terza: Rubriche 267

le autonomia per le “Funzioni locali”? Spazi e (soprattutto) confini nel Comparto naziona-le. – Le autonomie (anche negoziali) differenziate. – Autonomia senza risorse: le sfide del decentramento negoziale nella Pubblica Amministrazione “4.0”. – Bibliografia.

II. RASSEGNA DI DOTTRINA

Scritti di carattere generale

BALDASSARRE A.

L’“onnicomprensività” della retribuzione dei lavoratori pubblici nella giurisprudenza contabile ed amministrativa, in DLM, 2017, n. 2, 395.

DE MARCO C.

Immigrati e pubblico impiego, in RGL, 2017, n. 4, I, 599.

LUCCA M.

Riforma del pubblico impiego, in CdI, 2017, n. 6-8, 13.

LUCCA M.

Il d.lgs. 25 maggio 2017, n. 74 di modifica al d.lgs. n. 150/2009 in materia di perfor-mance dei dipendenti pubblici, in CdI, 2017, n. 9-10, 9.

MARTONE M.

Rapporto di lavoro e prevenzione della corruzione: concorsi e prove selettive, incompatibili-tà, inconferibilità degli incarichi e codici di comportamento, in ADL, 2017, n. 6, 1423.

NOBILE R.

Il superamento della dotazione organica mediante l’analisi logica di “organizzazione”, in CdI, 2017, n. 6-8, 36.

PETA A.

I controlli interni gestionali nella PA: criticità e correttivi di un sistema in continua evoluzione, in EP, 2017, n. 1, 97.

ACCESSO, INQUADRAMENTO, PROMOZIONE

ALESIO M. Procedure di selezione e reclutamento: inquadramento generale e innovazioni introdot-

te dalla riforma del pubblico impiego (d.lgs. n. 75/2017), in CdI, 2017, n. 9-10, 17.

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268 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017

CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

CAMPALTO D.

La contrattazione collettiva, le risorse per il salario accessorio e la sanatoria dei fondi, in CdI, 2017, n. 6-8., 30.

DIRIGENZA

GARILLI A.

Dirigenza pubblica e poteri datoriali, in DML, 2017, n. 1, 3.

MONDA P.

Il lavoro a tempo determinato del dirigente privato e pubblico, in DRI, 2017, n. 4, 1081.

POTERE DISCIPLINARE ED ESTINZIONE DEL RAPPORTO

BOIERO L.

Il nuovo procedimento disciplinare per i dipendenti pubblici, in CdI, 2017, n. 6-8, 23.

MASSI E.

Dipendenti pubblici: licenziamenti disciplinari e nuove tutele, in DPL, 2017, n. 39, 2363.

ROTONDI F.

Il licenziamento disciplinare nel pubblico impiego, in DPL, 2017, n. 37, 2208.

TENORE V.

Le novità apportate al procedimento disciplinare nel pubblico impiego dalla riforma Madia (d.lgs. n.75 del 2017 e n.118 del 2017), in LDE, 2017, n. 1, 1.

PREVIDENZA

PASSALACQUA P.

La tutela pensionistica nel pubblico impiego tra armonizzazione e spending review, in RDSS, 2017, n. 4, 679.

ROCCO G.

RITA e pubblico impiego, in DPL, 2017, n. 34-35, 2107.

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Sezione Terza: Rubriche 269

REGIONI ED ENTI LOCALI

CANAPARO P.

La questione di legittimità del conferimento dei compiti gestionali al segretario comu-nale, in CdI, 2017, n. 11-12, 60.

NOBILE R.

La nuova disciplina per le stabilizzazioni nei comuni come strumento per il superamen-to del precariato, in CdI, 2017, n. 9-10, 37.

SCUOLA E UNIVERSITÀ

FERLUGA L.

I doveri dei professori e ricercatori universitari e il regime delle sanzioni tra norme di-sciplinari e codici etici, in DML, 2017

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270 Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1-6/2017