NUMA, SERVIO, TARQUINIO - leonardomagini.it · Pitagora e il mondo fondato sui numeri 137 Capitolo...

74

Transcript of NUMA, SERVIO, TARQUINIO - leonardomagini.it · Pitagora e il mondo fondato sui numeri 137 Capitolo...

NUMA, SERVIO, TARQUINIO TRE ASPETTI DELLA VITA IN ROMA ARCAICA

LEONARDO MAGINI

5

Sommario

11 Introduzione PARTE I - NUMA o CALENDARI E GRAVIDANZE: DUE TESI A CONFRONTO 17 Presentazione

Gioachino Chiarini 19 Premessa

21 Capitolo I

La tradizione sui calendari di Roma arcaica: qualche informazione preliminare

25 Capitolo II La tesi dell’astronomo sul calendario romuleo

2.1. Due fenomeni astronomici, 25 – 2.2. I 60 giorni tra i due fenomeni astronomici, 26 – 2.3. Anno romuleo e anno solare, 28

31 Capitolo III La tesi dell’astronomo sul calendario numano

3.1. La testimonianza di Macrobio e il ‘ciclo numano’, 31 – 3.2. L’inizio del ‘ciclo numano’ e dei conteggi, 34 – 3.3. I cicli relativi a sole e luna e le festività romane, 35 – 3.4. La festa di Anna Perenna, 36 – 3.5. Le feste dell’October equus, dei Fordicidia e dei Parilia, 38 – 3.6. Il ‘ciclo numano’, il ciclo di Saros e i moti dei pianeti superiori, 39 – 3.7. Le acque sopra il firmamento mesopotamico e le acque di Giano a Roma, 41 – 3.8. Babilonia e il rito del ‘re di sostituzione’, Roma e le feste del Regifugium e dei Vestalia, 43 – 3.9. Qualche considerazione dell’astronomo, 44

6 NUMA, SERVIO, TARQUINIO

47 Capitolo IV La tesi dell’astronomo sul rapporto tra calendario numano e gravidanza

4.1. I Veneralia del primo di aprile, 47 – 4.2. I Matralia dell’11 di giugno, 48 – 4.3. L’intervallo di 71 giorni tra i Veneralia del primo di aprile e i Matralia dell’11 giugno, 50 – 4.4. I Carmentalia dell’11 e del 15 di gennaio, 53 – 4.5. I Matronalia del primo di marzo, 54 – 4.6. La nascita al 9 di marzo e il capodanno solare, 55 – 4.7. I Liberalia del 17 di marzo, 57 – 4.8. Qualche nuova considerazione dell’astronomo, 60

63 Capitolo V La tesi dell’archeologo sulla storia del calendario di Roma arcaica

5.1. La tesi dell’archeologo sul “calendario proto-urbano”, 64 – 5.2. Il numero 27, le settimane di 9 giorni e il mese di 27, 66 – 5.3. La tesi dell’archeologo sul “calendario della prima età regia (di Romolo e di Numa)”, 68 – 5.4. La “ricostruzione del calendario della prima età regia”, 69

75 Capitolo VI La tesi dell’archeologo sul rapporto tra calendario e gravidanza

79 Capitolo VII La tesi dell’archeologo sul “calendario pre-giuliano o della seconda età regia (di Tarquinio)”

81 Breve interludio 83 Capitolo VIII

Chiarimenti tecnici dell’astronomo e sue obiezioni all’archeologo

8.1. Primo chiarimento tecnico: come gli antichi contavano gli intervalli di tempo, 83 – 8.2. Prima obiezione dell’astronomo all’archeologo: non è così che si prova l’esistenza di un mese di 3x9=27 giorni, 85 – 8.3. Secondo chiarimento tecnico: definizione di mese siderale e di mese sinodico, 86 – 8.4. Seconda obiezione dell’astronomo all’archeologo: il mese sinodico non si compone del “mese siderale più i tre giorni in cui la luna sembra riposarsi”, 90 – 8.5. Terza obiezione dell’astronomo all’archeologo: la gravidanza non si calcola con i mesi siderali ma con quelli sinodici, 93 –

Sommario

7

8.6. Quarta obiezione dell’astronomo all’archeologo: la “ricostruzione arbitraria” non è quella degli antichi, 95 – 8.7. Quinta obiezione dell’astronomo all’archeologo: il primo di marzo non è il “giorno della donna sterile”, 96 – 8.8. Sesta e ultima obiezione dell’astronomo all’archeologo: perché la gravidanza inizia tanto in fretta e termina con le feste dei morti?, 97

99 Bibliografia

99 Indice delle tabelle e delle figure

PARTE II - SERVIO o L’ARMONIA DELLE SFERE SOCIALI

103 Capitolo I

La prima parte della riforma serviana

107 Capitolo II La seconda parte della riforma serviana

109 Capitolo III Una centuria non conta 100 uomini

113 Capitolo IV Dalla teoria alla pratica: un’ipotesi di applicazione della riforma serviana

119 Capitolo V La riforma col trucco

121 Capitolo VI Prima vagliare con cura, poi estrarre a sorte

125 Capitolo VII Il primo censore

127 Capitolo VIII Servio e la riforma fondata sui numeri

8 NUMA, SERVIO, TARQUINIO

133 Capitolo IX Pitagora e il mondo fondato sui numeri

137 Capitolo X Pitagora e l’armonia delle note musicali e delle sfere celesti

143 Capitolo XI Pitagora, Teeteto, Platone e il mondo fondato sui solidi regolari

151 Capitolo XII La costituzione serviana, o dell’armonia delle sfere sociali

159 Bibliografia

PARTE III - TARQUINIO o GABII E IL REGIFUGIUM A ROMA, IL QERSU E IL “SOSTITUTO REALE” A BABILONIA 163 Capitolo I

Rito babilonese e mito romano 165 Capitolo II

Il rituale a Babilonia

169 Capitolo III Il mito a Roma

175 Capitolo IV Ancora sul rito babilonese

179 Capitolo V Ancora sul rito romano

Sommario

9

181 Capitolo VI Ancora su Gabii

185 Capitolo VII Un primo riepilogo

187 Capitolo VIII Altri dati su Gabii

191 Capitolo IX Ancora sul rito di scongiuro, sul namburbu

195 Capitolo X Considerazioni finali

199 Bibliografia

11

Introduzione

Questo volume raccoglie tre saggi, scritti in tempi diversi ma

uniti dall’argomento – la Roma dei re – e dall’ottica con cui lo osserva l’autore.

Il primo saggio – NUMA, o CALENDARI E GRAVIDAN-

ZE DI ROMA ARCAICA: DUE TESI A CONFRONTO – ha ormai una decina di anni di vita. Doveva apparire già nel 2005-6 nel n. 4 dei Quaderni Warburg Italia ma, in questo caso come in tanti altri, la disattenzione generale e programmatica verso quella “cultura che non dà da mangiare” (Giulio Tremonti) ha fatto chiudere prematuramente un’esperienza nata con grandi speranze e ancora più grandi possibilità di sviluppo. Ciò nonostante, il saggio conserva appieno la sua validità di attenta e esauriente comparazione tra due tesi assai diverse tra loro, e in qualche mo-do contrapposte, sul tema del rapporto tra il calendario, con le sue feste, le sue cadenze, i suoi riti e i suoi miti, e le tappe della fertilità femminile, dall’iniziazione al matrimonio al concepi-mento e al parto.

Più antico nel tempo, il secondo saggio – SERVIO, o

L’ARMONIA DELLE SFERE SOCIALI – ha avuto la fortuna e l’onore di essere pubblicato nel n. 2-3, 2004-2005, degli stessi Quaderni Warburg Italia. Nato da una costola dello studio che ha portato alla pubblicazione di La dea bendata - lo sciamanesimo nell’antica Roma, esso si è sviluppato a partire dalla figura di Servio Tullio e da una domanda quasi, ma non del tutto, casuale: che cosa rappresenta il numero 193 delle centurie che la tradizio-ne compatta lega alla riforma serviana della costituzione romana? La risposta, automatica, che 193 è la somma di due quadrati – 12 al quadrato più 7 al quadrato – e che quindi, come insegna Pita-gora, 193 è l’ipotenusa del triangolo rettangolo che ha il cateto maggiore 12 e il cateto minore 7, ha portato del tutto naturalmen-te allo svolgimento, all’ampliamento e alle considerazioni con-clusive, che il lettore potrà leggere e valutare più avanti.

12 NUMA, SERVIO, TARQUINIO

Il terzo saggio – TARQUINIO, o GABII E IL REGIFUGIUM A ROMA, IL QERSU E IL “SOSTITUTO REALE” A BABI-LONIA – è il più recente, e si è sviluppato in due tempi. Una pri-ma parte relativa al confronto tra il Regifugium romano e il “sosti-tuto reale” babilonese venne presentata al Terzo Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia, Osservatorio di Capodimon-te, Napoli, 26-7 settembre 2003, mentre la seconda parte – nata a seguito delle notizie sulle eccezionali scoperte archeologiche degli ultimi anni sul sito di Gabii – è di questo scorcio del 2013-4. Il ri-sultato complessivo è quello di fissare – per la prima volta anche in termini “archeologici” – lo stretto collegamento tra mito romano e rito mesopotamico.

Il primo saggio studia la relazione tra movimenti celesti dei

pianeti “femminili” – Luna e Venere – e cadenze terrene della fer-tilità femminile. Coglie dunque un aspetto particolare del rapporto tra macrocosmo e microcosmo, così come si esprime nella vita privata.

Il secondo studia l’armonia “pitagorica” nascosta, ma non trop-po, nell’assetto costituzionale di Roma creato da Servio Tullio e restato in vigore per più di 500 anni fino a Augusto; e mostra come la struttura della massima assemblea romana – i Comitia Curiata – sia modellata sulla divinità del numero. Altro aspetto particolare del rapporto tra macro e microcosmo, così come si realizza nella vita pubblica.

Il terzo studia il rapporto tra fenomeni celesti – eclissi – e so-vranità, vale a dire tra divinità astrali e rappresentanti in terra di quelle stesse divinità. Terzo, e per ora ultimo, aspetto particolare del rapporto tra macro e microcosmo, così come si manifesta anco-ra nella vita pubblica.

L’ottica dei saggi qui presentati muove lungo due direttrici, che

si integrano e si controllano a vicenda. La prima è di non considera-re Roma come una fiammella che si accende improvvisamente nel buio della preistoria il 21 aprile del 753 a.C. per svanire subito dopo, sopraffatta dallo sfolgorante splendore della civiltà greca. La secon-da è di interrogarsi, con curiosità, sul senso di certi “dettagli” della tradizione – perché le feste si chiamano Veneralia, Matralia, Ma-tronalia e Liberalia, e perché le separa quel determinato numero di giorni; perché le centurie sono proprio 193, e non un altro qualsiasi numero; perché la sperduta località di Gabii ha così tanta importan-za nel delicato e decisivo passaggio dalla monarchia alla repubblica.

Introduzione

13

Infine, vi è la terza direttrice, la più importante, che riguarda non il tempo né lo spazio, ma la mente: e che significa dare per certo che l’alba della tradizione non coincide con l’alba della elaborazione delle idee e delle credenze, dei riti e dei miti – in altre parole del pensiero, fantastico e razionale, nella vita dell’uomo. Significa dare per certo, in-somma, che la preistoria dell’umanità, e nello specifico di quel minu-scolo frammento rappresentato dall’uomo romano, è stata assai più lunga, ricca, viva – e produttiva – di quanto non si pensi comunemente.

L’ottica delle tre direttrici dà vita a una visione a tre dimensio-

ni. Roma non è più schiacciata sullo sfondo oscuro della preistoria e non è più illuminata esclusivamente dalla luce della Grecia, ma diventa il luogo in cui, fino dalla protostoria, agiscono e si mesco-lano, spesso senza amalgamarsi, influssi culturali endogeni di ori-gine italica e influssi culturali esogeni di origine orientale, con gli ultimi provenienti senza dubbio da una ancora trasparente media-zione etrusca. La componente greca, pure presente, nei primi seco-li è più di facciata che di sostanza, più di “moda” che non interio-rizzata fino in fondo all’interno della cultura locale: del resto, la famosa espressione “Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio, la Grecia, conquistata, conquistò il barbaro vincitore e introdusse le arti nel Lazio contadino” (Orazio Episto-lae 2.1.156-7) non avrebbe avuto alcun senso se la “conquista” greca di Roma fosse avvenuta sette secoli prima e avesse portato, già all’epoca dei re, le “arti” greche nel Lazio.

Quel che è certo, in ogni caso, è che né la componente italica né la greca possono aver motivato questa attrazione e attenzione, quasi maniacali, per i rapporti tra il divino e l’umano, tra l’alto dei cieli e il basso mondo, tra il microcosmo e il macrocosmo, quel macrocosmo in cui la divinità si esprime, spesso e volentieri, con la fredda determinazione della geometria, dell’algebra, del nume-ro. Né i popoli italici né il greco, e nessun altro popolo indoeuro-peo, ha mai mostrato questi caratteri, che sono invece più che pre-senti nel mondo semitico, in Oriente, in Mesopotamia, a Babilonia.

Ecco perché i tre saggi mostrano come proprio Roma divenga, con enorme scorno dei moderni “autoctonisti” nostrani, la prova vivente della verità tramandata da Erodoto e della provenienza dall’Oriente, dalla Lidia in particolare, del popolo che “conquistò trecento centri agli umbri” e si insediò in Etruria, segnando di una fondamentale im-pronta orientale quella che oggi chiamiamo “civiltà etrusca”.

Torrimpietra, ottobre 2014

PARTE I

NUMA o

CALENDARI E GRAVIDANZE: DUE TESI A CONFRONTO

Que sais-je?

Montaigne

17

Presentazione Se è valido l’assunto che scopo della conoscenza scientifica,

intesa come un instancabile work in progress, sia, tra gli altri e tra i primi, quello di moltiplicare i punti di vista, di affrontare il proprio oggetto dal maggior numero di angolazioni possibili, questo singolare contributo di Leonardo Magini ha tutti i crismi della scientificità, offrendosi agli specialisti di archeologia e storia romana come ragionato repertorio di soluzioni alternative su numerosi problemi-chiave concernenti un argomento topico come quello dei calendari delle origini e la specifica definizione al loro interno dei momenti che celebravano le tappe cruciali della fecondità femminile, in particolare della gravidanza.

Il lavoro è concepito come un confronto serrato tra l’autore

stesso (“l’Astronomo”) e il maggior specialista, tra molto altro, della Roma delle origini, Andrea Carandini (“l’Archeologo”).

I materiali del contendere sono ricavati, per la parte di Ca-randini, dai noti volumi einaudiani, densi, originali, ricchi di spunti e suggestioni La nascita di Roma – Dèi, lari, eroi e uo-mini all’alba di una civiltà, 1997, e Remo e Romolo. Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani, 2006; per la parte di Magini dai più o meno coevi e a loro volta cospicuamente innovativi Le feste di Venere – Fertilità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma antica, 1996, e Astronomia etrusco-romana, 2003.

Magini orchestra i termini dell’immaginaria disputatio senza

alcun timore reverenziale, dando fondo alla sua invidiabile competenza in ambito astronomico col tono di chi sa bene di cosa sta parlando. Ne segue che i punti di convergenza sembre-rebbero quasi assenti, molti e inconciliabili quelli di contrasto. Si tratta comunque di argomenti assai complicati, che l’autore mette a disposizione all’evidente scopo di provocare un appro-fondimento e, c’è da crederlo, un allargamento del dibattito.

PRESENTAZIONE

18

Anche la sola diversità di pensiero intorno alla (possibile)

storia e natura del cosiddetto ‘Calendario Numano’ prospettata dai due studiosi nei loro scritti – su un tema, cioè, di importanza decisiva in tale ambito di studi – basterebbe a nobilitare la co-raggiosa discesa in campo aperto dell’Astronomo, che in tal modo impone una necessaria ulteriore verifica del suo argo-mentare e dei risultati che ne derivano: a cominciare dalla repli-ca, che non potrà mancare, da parte del celebre Archeologo, che del resto non si è mai sottratto allo scontro di saperi, dispiegan-do ogni volta brillantezza di idee e di scrittura.

In margine, va segnalato un particolare che tanto marginale

non è: nel testo ricorrono spesso citazioni dei Fasti di Ovidio, accompagnati dalla traduzione personale dell’autore. Si tratta della migliore e più fedele traduzione di quest’opera, fonda-mentale e per il suo preziosissimo valore documentario e per la brillantezza con cui Ovidio riesce a farne poesia: garbata, spes-so gustosa nella resa dello stile, precisa come nessun’altra nella restituzione dei contenuti, essa ci si offre ora in veste completa in una edizione a stampa e/o on line.

Gioachino Chiarini

Università di Siena

19

Premessa Negli ultimi dieci anni due diversi studiosi hanno dedicato

attenzione allo stesso tema: i calendari di Roma arcaica e il loro rapporto con la fertilità femminile, in particolare con la gravi-danza. E sono giunti a risultati opposti.

Del resto – si sa – il tema è delicato, spinoso e controverso co-me pochi, e questo è uno dei motivi per cui si è atteso a lungo pri-ma di affrontarlo in tutta la sua complessità; ma adesso, vista la sua importanza, ci è parso opportuno mettere a confronto le ricer-che.

Intanto, l’astronomo e l’archeologo muovono da punti di vista diversi. L’astronomo è andato sulle tracce dei rapporti tra i ca-lendari e i moti degli astri, partendo dal presupposto che, in un qualche momento della sua storia, il calendario ‘numano’ descrit-to dalla tradizione sia comunque esistito nella propria interezza, con un anno lunare intercalato in un certo modo e con le festività previste dal Feriale antiquissimum fissate in certi giorni, e dun-que separate da determinate, e ben precise, cadenze.

L’archeologo ha preferito puntare la sua attenzione sulla possibilità di recuperare una ‘stratigrafia’ dei calendari, rintrac-ciando e identificando i diversi strati di una evoluzione secola-re, per collegarli a loro volta alle diverse fasi della preistoria, della nascita e della prima storia della città.

Ma la vera questione è che – come si diceva – i due studiosi giungono a risultati opposti, tanto opposti da essere irriducibili e irriconciliabili. E qui i casi sono due: o uno dei due ha ragione e l’altro ha torto, o sbagliano tutti e due. Tertium non datur.

Già questo è un guaio. Un altro guaio deriva dal fatto che chi scrive ora è proprio uno dei due studiosi, l’astronomo. Il quale, però, prova a avere una sola e ben definita pretesa: quella di mettere l’una di fronte all’altra le due tesi contrapposte e consentire ai lettori di formarsi un’opinione sulla giusta solu-zione da dare all’antico problema.

103

Capitolo I

La prima parte della riforma serviana

Appena eletto re, Servio Tullio si affretta a promulgare cin-

quanta leggi a favore dei cittadini più deboli, poi aggiunge due colli alla città e divide la terra inclusa nella nuova e più ampia cerchia di mura (Fig. 1) tra quanti sono privi di casa, infine promuove le sue radicali riforme.

Fig. 1. Per gli storici di Roma le mura cosiddette 'serviane' dovrebbero risalire al VI secolo, per gli archeologi esse sono della metà del V secolo.

PARTE II – SERVIO

104

Fig. 2. Roma e le quattro regioni urbane istituite da Servio Tullio. (da Quilici)

Prima riforma: la città è divisa in quattro regioni (Fig. 2); i citta-

dini sono obbligati a mantenere la residenza in una delle regioni e a non registrarsi altrove; la leva dell’esercito e l’esazione delle tasse per finanziare la guerra – i due doveri che ogni cittadino ha nei con-fronti della collettività – sono riformati in base alle quattro nuove tribù territoriali, e non più sulle tre vecchie tribù divise per etnie.

I. La prima parte della riforma serviana 105

Per ogni regione è nominato un responsabile incaricato di ac-certare in quale casa risieda ciascun cittadino. Sono eretti degli altari a ogni incrocio e istituite delle feste – i Compitalia1 – i cui sacrifici sono compiuti da schiavi che, per la durata dei festeg-giamenti, non devono portare alcun segno che li individui come tali. Allo stesso modo, la campagna è divisa in 26 – o 31? – di-stretti (Fig. 3), con dei responsabili incaricati di accertare nome e proprietà di ciascun residente. E anche qui sono eretti altari e isti-tuite feste – i Paganalia – alla cui spesa contribuiscono gli uomi-ni con un certo tipo di moneta, le donne con un altro e i bambini con un terzo: per ogni distretto, la conta delle monete dei tre tipi equivale alla conta di uomini, donne e bambini.

Fig. 3. L'agro romano e le tribù rustiche. (da Alfoeldi)

1 Sui Compitalia come festa della luna all’apogeo, vedi Magini 2003, pp. 103-8.

PARTE II – SERVIO

106

Analogamente, è prescritto il versamento di una moneta a

Giunone Lucina per ogni nuovo nato, a Venere Libitina per ogni morto, a Gioventù per ogni giovane maschio che raggiunge la maggiore età: in tal modo, anno dopo anno, è agevole rilevare le variazioni del numero complessivo dei cittadini e dei nuovi mili-tari di leva. Infine, tutti i cittadini romani sono obbligati a regi-strare i propri nomi e a dare una valutazione giurata delle proprie-tà di ciascuno, a indicare il nome del padre, la propria età, il no-me della moglie e dei figli, e a dichiarare in quale tribù urbana, o distretto dell’agro, hanno la residenza; pena l’esproprio, la frusta e l’esser venduti come schiavi, a conferma di quanto la riforma stia a cuore a colui che la promuove.

Ma tutto questo – nel racconto di Dionisio di Alicarnasso – è solo la premessa all’altra e più profonda modifica della struttura dello stato romano; perché ora Servio prende i registri, calcola il numero dei cittadini e il valore delle loro proprietà, e “introduce la più saggia di tutte le sue misure e quella che è stata l’origine dei massimi benefici per i romani, come mostrano i risultati.”2

2 Dionisio Storia di Roma arcaica (= a.r.) 4.16.1.

107

Capitolo II

La seconda parte della riforma serviana

Seconda riforma – che, per il momento, non è necessario

esaminare nei dettagli. Per ora è sufficiente sapere che il re: prima divide la cittadinanza in sei diverse classi in base alla ric-chezza, con diritti e doveri differenziati; poi suddivide le sei classi in 193 centurie; infine, con i più ricchi, che sono i meglio armati, costituisce la prima classe, e via via a scalare.

Il numero di 193 centurie è dato da: 80 centurie della prima classe, più 18 centurie di cavalieri che sono conteggiate con la prima classe, 22 centurie della seconda classe, 20 della terza, 22 della quarta, 30 della quinta, e infine 1 della sesta e ultima clas-se, singola e unica centuria, formata da tutti i cittadini più pove-ri, che sono i soli a essere esentati dal servizio militare e da ogni forma di tassazione.

In totale, 80 + 18 + 22 + 20 + 22 + 30 + 1 = 193 centurie. E su questo numero dall’aspetto insignificante – 193 – si do-

vrà tornare, perché è il grimaldello che apre la porta a una inso-spettata e immensa stanza del tesoro.

109

Capitolo III

Una centuria non conta 100 uomini

Prima, però, occorre chiarire un punto importante: quando si

parla di questioni amministrative e fiscali e di leggi elettorali – come si sta facendo ora, seguendo le indicazioni del nostro anti-co referente – la parola “centuria” non indica un’unità di “cento uomini”.

Questo dovrebbe essere già chiaro dalle cifre che si sono appe-na viste: in quale città reale si potrebbero avere esattamente 80 x 100 = 8.000 uomini con una proprietà superiore a un valore prefis-sato, chiamati a formare le 80 centurie della prima classe, e 22 x 100 = 2.200 uomini con una proprietà appena inferiore e comun-que prefissata anche questa, chiamati a formare le 22 centurie della seconda classe, e così via? E questo non soltanto in un dato mo-mento, ma nel corso del tempo; perché una buona costituzione de-ve pur prevedere l’evolversi della città nel corso del tempo...

Ancora, in quale città i cittadini più poveri – con una pro-prietà così misera da essere esentati dal servizio militare, perché impossibilitati a comprarsi un’arma, e dalle tasse, perché im-possibilitati a pagarle – potrebbero costituire solo una “centuria di 100 uomini”, e contare dunque solo 100 rappresentanti? E, per finire, in quale città, che non sia del paese di Bengodi, si po-trebbe avere una sola centuria di poveri e 192 di ricchi, 100 po-veri e 19.200 ricchi?3 La risposta è ovvia: in nessuna. Dunque, è chiaro che, quando si tratta di amministrazione e di fisco, centu-ria non indica un’unità di 100 uomini.

3 All’epoca della rivoluzione francese, il terzo stato conta il 98% della popolazione;

la rivoluzione riconosce “l’uguaglianza civile, ma non quella civica. Le donne restano escluse dal voto, come pure i cittadini troppo poveri per pagare l’imposta minima, vale a dire quasi la metà dei maschi adulti.”; dall’intervista a M. Vovelle di F. Gambaro, “la Repubblica”, 7 gen. 2004, pp. 32-3.

PARTE II – SERVIO

110

Puntualmente, Dionisio lo conferma. Perché al termine della esposizione della riforma serviana – un’esposizione nella quale l’aspetto amministrativo e fiscale è strettamente connesso, ma non confuso, con l’aspetto militare – scrive:

Tutti gli altri cittadini, che avevano una proprietà inferiore alle dodici mine e mezzo, ma che erano più numerosi dei precedenti, (Servio) li inserì in una sola centuria, esentandoli dal servizio militare e da ogni sorta di tasse.4 Ecco: i componenti dell’unica centuria della sesta classe, la

193esima, da soli sono “più numerosi dei precedenti”; ossia, dei componenti delle altre 192 centurie che formano le prime cin-que classi.

Più avanti, poi, lo storico torna ancora indirettamente sulla questione, quando spiega il modo di procedere previsto dalla ri-forma per raccordare gli aspetti militari e tributari alla riparti-zione del popolo in centurie:

Per completare la riforma, (Servio) reclutò le truppe ripartendole in base ai ruoli delle centurie e impose i tributi in proporzione al valore delle loro proprietà. Per esempio, ogni qual volta aveva un motivo di richiamare die-cimila o, come anche poteva capitare, ventimila uomini, egli avrebbe divi-so quel numero tra le 193 centurie e ordinato a ogni centuria di fornire il numero di uomini che corrispondeva alla sua quota. Per le spese necessarie al mantenimento dei soldati alle armi e per le di-verse esigenze militari, egli prima avrebbe calcolato quanto denaro servi-va, poi lo avrebbe diviso per le 193 centurie e avrebbe ordinato a ogni cit-tadino di pagare la sua quota sulla base di questa ripartizione. Così avveniva che coloro che avevano le più grandi ricchezze, essendo di meno di numero ma distribuiti in più centurie, erano obbligati al servizio militare più di frequente e senza sosta, e a pagare più tasse degli altri; e che coloro che avevano le piccole e modeste proprietà, essendo di più di numero ma distribuiti in meno centurie, erano obbligati al servizio militare più di rado e a rotazione, e a pagare poche tasse; e quelli le cui proprietà non bastavano al loro stesso mantenimento erano esenti da ogni carico.5 Queste parole spiegano in maniera chiara e esauriente il rap-

porto tra “centurie” amministrative e “centurie” militari: solo queste ultime sono unità di 100 uomini, e sono costituite da indi-

4 Dionisio a.r. 4.18.2; l’espressione chiave è: ... πλειους τον αριθµον οντας των προτερων.

Anche Cicerone (de re publica 2.22.), che si riferisce a una costituzione serviana riforma-ta, parla dell’unica centuria dei proletari e afferma: “In una sola di quelle novantasei centu-rie (di tutte le classi, esclusa la prima coi cavalieri e i carpentieri; n.d.a.) erano censiti più cittadini che in tutta la prima classe., Illarum autem sex et nonaginta centuriarum in una centuria tum quidem plures censebatur quam paene in prima classe tota.”

5 Dionisio a.r. 4.19.1-2. In questo passo, per due volte D. fa riferimento a tutte e 193 le centurie, ma da quanto scrive prima e dopo è chiaro che la 193esima centuria dei proletari è esentata dalla leva e dalle tasse; dunque, dove qui è scritto 193, si deve intendere 192.

III. Una centuria non conta 100 uomini

111

vidui “estratti” – per così dire – dalle unità più numerose che prendono il medesimo nome di “centurie” in ambito amministra-tivo. E ricevono questo nome di “centurie” proprio perché cia-scuna di loro è tenuta a fornire 100 uomini alle “forze armate”.

D’altra parte, la testimonianza di Dionisio si raccorda perfet-tamente con le altre, di Varrone:

la ‘centuria’ è formata da quanti sono al comando di un centurione, e il lo-ro numero regolare è di 100; e di Festo: in ambito militare ‘centuria’ indica cento uomini.6 Se tanto Varrone quanto Festo sentono il bisogno di confer-

mare che “in ambito militare” e “al comando di un centurione” “il numero regolare della centuria è di 100 uomini”, è perché sanno che in ambiti e contesti diversi, di regola, essa non conta 100 uomini. E Dionisio – come s’è visto – inizia a illustrare la riforma serviana proprio dall’ordinamento civile, legislativo e amministrativo, dello stato; solo più avanti spiega come da tale ordinamento si passi agli aspetti militari e tributari. Altrimenti, sarebbe folle la sua ipotesi di una chiamata alle armi, “come an-che poteva capitare”, di 20.000 uomini da un contingente di 193 – anzi 192! – centurie di 100 individui ciascuna.

D’altra parte, al momento del riepilogo Dionisio precisa che come risulta dai registri dei censori, il numero di tutti i romani che allora dettero una valutazione delle loro proprietà fu di 84.700;7 e questo dimostra che all’entrata in vigore della riforma sono

gli stessi “registri dei censori” a fornire una cifra che, divisa per le 193 centurie, dà una media di quasi 4408 cittadini per ciascu-na “centuria” amministrativa.

Dunque, qui si continuerà a parlare di “centurie” tenendo pre-sente che, in ogni ambito che non sia militare, al termine non corri-spondono unità di 100 individui. La testimonianza di Dionisio, come le altre, dovrà esser letta tenendo presente tale avvertenza.9

6 Varrone d.l.l. 5.88.: centuria qui sub uno centurione sunt, quorum centenarius iu-

stus numerus; Festo p. 46L.: centuria significat... in re militari centum homines. 7 Dionisio a.r. 4.22.2.; Livio e Eutropio danno cifre diverse, ma non distanti: 80.000

e 83.000. 8 84.700 ÷ 193 = 438,860... 9 Il lettore meno informato non può neanche immaginare quanti fiumi di parole siano

stati sprecati su una questione semplice da acclarare in base alle testimonianze disponibili.

1

113

Capitolo IV

Dalla teoria alla pratica: un’ipotesi di applicazione della riforma serviana Le parole di Dionisio sono chiare, ma con i numeri diventa-

no più chiare; perciò, vediamo di applicare nella pratica a un esempio concreto, numerico, le regole teoriche appena viste.

L’esempio è riassunto in tre tabelle. La Tabella 1 propone un’ipotesi di ripartizione dei cittadini nelle diverse classi e indi-ca quanti cittadini conta ogni centuria amministrativa. È solo un’ipotesi, dal momento che Dionisio non fornisce le cifre dei cittadini suddivise per classi e per centurie: non le può fornire per il semplice motivo che queste cifre variano naturalmente con il tempo, le nascite, le morti, le iscrizioni alle liste di leva, i mutamenti delle condizioni economiche – in altre parole con tutti quegli eventi, naturali, culturali, sociali, che fanno della popolazione di una città un organismo vivente, cangiante, mu-tevole, e soggetto ai capricci dell’altrettanto mutevole sorte. Dunque, quello che ci dà Dionisio è uno schema base – fisso e immutabile nel tempo – entro cui vanno inseriti di volta in volta i dati aggiornati e variabili rilevati via via – con lo scorrere del tempo! – dai successivi censimenti.

La Tabella 1 riporta le cifre di un censimento ipotetico. Esse rispettano la regola universale che vuole che il numero dei “contribuenti” aumenti col diminuire del patrimonio. Rispondo-no anche alle indicazioni di massima fornite da Dionisio: la prima, che per ciascuna classe i cittadini siano in numero supe-riore ai componenti dell’esercito, ossia al numero delle centurie moltiplicato per cento; la seconda, che da sola la sesta classe abbia più cittadini delle prime cinque classi insieme.10

10 L’ipotesi di Tabella 1. non è l’unica che soddisfi la regola universale e le indica-

zioni di Dionisio, ma qualsiasi altra ipotesi non avrà cifre molto diverse, perché dovrà rispettare quelle rigide condizioni. Alle quali si aggiunge il numero totale dei cittadini, che nel nostro caso è quello dato da Dionisio, di cui qui non è necessario valutare la ve-

PARTE II – SERVIO

114

Tab. 1. Ipotesi di ripartizione dei cittadini romani nelle centurie delle diverse classi

A B ÷ C = D

classi cittadini per classe

centurie per classe

cittadini per centuria

I 10.290 ÷ 98 = 105 II 2.640 ÷ 22 = 120 III 3.500 ÷ 20 = 175 IV 6.380 ÷ 22 = 290 V 19.200 ÷ 30 = 640 VI 42.690 ÷ 1 = 42.690

totali 84.700 ÷ 193 = media circa 439 N.B. I numeri della colonna B – e quindi anche quelli della colonna D – sono ipotetici. Sono di Dionisio i numeri della colonna C; e così pure il numero totale dei cittadini, di cui qui non è necessario valutare la verosimiglianza. Nell’ultima riga, la media è calco-lata in base ai numeri di Dionisio. Anche la prevalenza numerica dei cittadini della VI classe sulla somma dei cittadini delle prime 5 classi – 42.690 contro 42.030 – è ipotetica nella grandezza, ma segue l’indicazione non quantificata di Dionisio.

La Tabella 2 propone un’ipotesi di chiamata alle armi di

20.000 uomini. Essi sono divisi in richiamati fissi e straordinari: i fissi sono tutti i componenti delle 192 centurie delle prime cinque classi, intese come unità di “cento uomini” – adesso si è in ambito militare! – e dunque 19.200; gli straordinari saranno perciò 800, quanti ne mancano per raggiungere l’ipotetico totale di 20.000 uomini.

Seguendo le indicazioni di Dionisio: dividendo i 20.000 ri-chiamati per le 192 centurie, si ha 104,166... richiamati per cen-turia; si moltiplica 104,166... per le 98 centurie della prima clas-se, e si ha i richiamati della prima classe, in cifra tonda 10.208.11 Di questi, 9.80012 sono i richiamati fissi e 40813 gli straordinari. Dato che, in ipotesi, i componenti della classe sono

rosimiglianza. Naturalmente, anche questo numero non è fisso e varia col passare del tempo, così come può variare il rapporto tra il numero dei cittadini della sesta classe e quello complessivo delle prime cinque.

11 104,166 x 98 = 10.208,333... 12 100 per ciascuna delle 98 centurie: 100 x 98 = 9.800. 13 10.208 – 9.800 = 408.

IV. Dalla teoria alla pratica: un’ipotesi di applicazione …

115

10.290, restano di riserva 8214 uomini; e la prima classe dispone di 8 uomini di riserva per ogni 1.000 richiamati.15

Analoghi calcoli sono ripetuti per le diverse classi. La co-lonna F della Tabella 2. mostra come, passando via via dalla prima alla quinta classe, aumenti il rapporto tra riservisti e ri-chiamati: per la quinta vi sono 5,1 uomini di riserva per ogni ri-chiamato. La riserva della quinta classe è, in percentuale, quasi 600 volte maggiore di quella della prima classe.

Tab. 2. Ipotesi di ripartizione dei richiamati nel caso di chiamata alle armi di 20.000 uomini

A B + C = D E F = E ÷ D

classi richiamati fissi + straordinari = totali riservisti riservisti

rispetto a richiamati I 9.800 + 408 = 10.208 82 0,008 II 2.200 + 92 = 2.292 348 0,15 III 2.000 + 83 = 2.083 1.417 0,68 IV 2.200 + 92 = 2.292 4.088 1,8 V 3.000 + 134 = 3.334 16.075 5,1 VI - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

totali 19.200 + 800 = 20.000 22.030 media 1,1 N.B. I richiamati fissi sono i componenti delle 192 centurie, intese in senso militare, di ciascuna delle cinque classi; cioè, in totale, 100 x 192 = 19.200. I richiamati straordinari sono 20.000 – 19.200 = 800. I richiamati straordinari sono calcolati in modo da mantenere costante la quota di ogni classe nella composizione dell’esercito: per la prima classe, che conta 98 centurie su 192, i richiamati straordinari sono 408 su 800, e così via. Per ciascuna classe, la riserva (colonna E della Tabella 2.) è calcolata sottraendo al nu-mero dei cittadini (colonna B della Tabella 1.) quello del totale dei richiamati (colonna D della Tabella 2.). Le prime tre classi hanno meno riservisti della media, la quarta e la quinta più. La sesta classe è esentata dal servizio militare.

14 10.290 – 10.208 = 82. 15 82 ÷ 10.208 = 0,008. Si noti che nel caso di chiamata di un contingente superiore

ai 20.000 uomini non sarebbe possibile mantenere costante la quota di ogni classe nella composizione dell’esercito con le cifre ipotizzate in Tabella 1. D’altra parte, non si pos-sono aumentare più di tanto i componenti della prima classe se si vogliono rispettare i normali rapporti tra le diverse classi e, in particolare, l’indicazione di Dionisio sulla se-sta classe che da sola deve avere più cittadini delle prime cinque classi insieme. Ma Dionisio non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi di una chiamata alle armi di più di 20.000 uomini...

PARTE II – SERVIO

116

Tab. 3. Ipotesi di ripartizione di un’imposta complessiva di 9.600 mine, pari a 50 mine per centuria

A B x C = D D ÷ F = G

classi imposta x n. centurie = imposta totale per classe

imposta totale per classe ÷ n. cittadini =

imposta per cittadino I 50 x 98 = 4.900 4.900 ÷ 10.290 = 0,48 II 50 x 22 = 1.100 1.100 ÷ 2.640 = 0,42 III 50 x 20 = 1.000 1.000 ÷ 3.500 = 0,28 IV 50 x 22 = 1.100 1.100 ÷ 6.380 = 0,17 V 50 x 30 = 1.500 1.500 ÷ 19.200 = 0,08 VI - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

media 9.600 mine ÷ 42.030 cittadini tassati = 0,23 mine a testa N.B. I numeri dei cittadini per ciascuna classe sono ipotetici; qui sono dati nella colonna F, che ripete la colonna B della Tabella 1. La colonna G dà, in mine, l’imposta che gra-va su ciascun cittadino delle prime 5 classi. Le prime tre classi pagano imposte superiori alla media, la quarta e la quinta inferiori. La sesta classe è esentata dal pagamento delle imposte.

La Tabella 3 propone un’ipotesi di ripartizione di un’im-

posta complessiva di 9.600 mine; poiché le centurie sono 192, l’imposta è pari a 50 mine per centuria.

Seguendo ancora le indicazioni di Dionisio: si moltiplica le 50 mine per centuria per il numero delle centurie di ogni classe, poi si divide l’ammontare tra gli ipotetici componenti di ciascu-na classe. Ad esempio, per la prima classe le 50 mine che ogni centuria deve pagare, moltiplicate per le 98 centurie della clas-se, danno in totale 4.900 mine; queste, divise per i 10.290 ipote-tici componenti della classe, danno 0,48 mine per ciascuno.

Anche in questo caso, la colonna G della Tabella 3. dà come risultato finale l’importo dell’imposta che grava su ogni cittadi-no delle singole classi: e si va dalle 0,48 mine a testa della pri-ma classe alle 0,08 mine a testa della quinta. L’imposta pagata dalla prima classe è 6 volte maggiore di quella pagata dalla se-sta classe.

In conclusione, l’esempio proposto permette di osservare come si realizza nel concreto, nei numeri, l’affermazione di Dionisio:

Così avveniva che coloro che avevano le più grandi ricchezze, essendo di meno di numero ma distribuiti in più centurie, erano obbligati al servizio militare più di frequente e senza sosta, e a pagare più tasse degli altri; e che coloro che avevano le piccole e modeste proprietà, essendo di più di

IV. Dalla teoria alla pratica: un’ipotesi di applicazione …

117

numero ma distribuiti in meno centurie, erano obbligati al servizio militare più di rado e a rotazione, e a pagare poche tasse...16 A questo punto, però, colpisce l’esistenza, nella Roma del

VI secolo, di un primitivo, ma efficace, principio d’imposizione progressiva sul capitale; in più, si comincia a intravedere la pre-senza di un altrettanto primitivo, ma altrettanto efficace, princi-pio di assunzione di responsabilità da parte delle classi più ric-che; e si può iniziare a misurare il salto in avanti compiuto dalla riforma serviana rispetto alla primitiva – quella sì, davvero – costituzione romulea.

Il titolo di secondo “fondatore”,17 morale, della repubblica assegnato a Servio ha una sua profonda ragion d’essere.

16 Mi sfugge cosa intende Nicolet 1999, p. 71 quando scrive che in Dionisio 4.19.1-

2 “si riscontrano alcune ambiguità. In particolare, lo storico greco non dice se la ‘ripar-tizione’ della cifra della leva necessaria tra le centurie avviene in modo egualitario o non, cioè se ciascuna centuria deve, o non, fornire lo stesso numero di soldati (o lo stes-so ammontare di imposte). Si può propendere per questa seconda ipotesi. Ma anche se le cose non stessero così...”.

A me sembra evidente che tutte le centurie contribuiscono con lo stesso numero di uomini alla leva e con la stessa somma al pagamento delle imposte, ma – dato che le centurie amministrative e fiscali delle diverse classi hanno un diverso numero di com-ponenti – ciascuno dei loro componenti, man mano che si scende di classe, “è obbligato al servizio militare più di rado e a rotazione, e a pagare poche tasse.”

17 conditor, lo chiama Livio a.u.c. 1.42.4.

1

119

Capitolo V

La riforma col trucco Una volta chiarito il valore “truccato” del termine “centuria”

si deve rivolgere l’attenzione a un altro trucco nascosto nella ri-forma serviana; un trucco assai sottile, della cui esistenza già gli antichi sono consapevoli, se è vero che Dionisio, a un certo punto della sua relazione, scrive che Servio lo realizzò “senza che la plebe se ne accorgesse”.

Ma conviene procedere sempre seguendo l’antico referente: Dato che in questo modo aveva addossato ai ricchi l’intero onere di rischi e di spese, e poiché ne constatava lo scontento, Servio Tullio si sforzò di alleggerirne per altra via il disagio e di mitigarne il risentimento, garan-tendo loro un vantaggio che li avrebbe resi in tutto padroni dello stato, mentre escludeva i poveri da ogni ruolo nel governo. E lo mise in atto senza che la plebe se n’accorgesse.18 Ebbene, in cosa consiste l’ingannevole ma determinante

vantaggio? Consiste nella modifica del sistema elettorale delle assemblee. Là dove si decidono le nomine dei magistrati civili e militari, si promulgano e si abrogano le leggi, si dichiara la guerra e si sigla la pace, la vecchia regola romulea voleva che si votasse per curie, e che tutti i cittadini, i più poveri come i più

18 Dionisio a.r. 4.20.1: και τουτο διαπραξαµενος ελαθε τους δηµοτικους. Dionisio torna sull’argomento più avanti (a.r. 4.21.1) per ripetere con altre parole

quanto già detto in precedenza: “Nell’istituire questo sistema politico che diede un così gran vantaggio ai ricchi, Tullio – come dissi – ingannò la plebe senza che essa lo notas-se, escludendo i proletari da un qualsiasi ruolo nei pubblici affari. Dal momento che a ciascuno era richiesta la sua opinione, ognuno nella centuria cui apparteneva, tutti loro pensarono di avere un’eguale quota di governo. Ma essi furono ingannati in questo: che l’intera centuria, sia che consistesse di un piccolo o di un grandissimo numero di citta-dini, aveva un solo voto; che le centurie che votavano per prime, formate da uomini del massimo rango, sebbene fossero in numero superiore a tutte le rimanenti, contavano un minor numero di cittadini; e soprattutto che i proletari, che erano molto numerosi, ave-vano soltanto un voto e erano gli ultimi a essere chiamati.”

PARTE II – SERVIO

120

ricchi, avessero lo stesso voto; e siccome anche a Roma – come dovrebbe essere ovvio! – i più ricchi erano meno numerosi e i più poveri erano più numerosi, questi ultimi prevalevano con la maggioranza dei loro voti.

Servio riforma il sistema, divide il popolo per “centurie”, e non più per curie, e fa votare le 193 centurie in ordine di classe: prima, i cosiddetti classici, cioè i cavalieri e la prima classe; poi, gli infra classem, cioè la seconda, terza, quarta e quinta classe; infine, gli extra classem,19 cioè la sesta e ultima classe.

Questo, in linea teorica. Nella pratica, i soli cavalieri con la prima classe contano 18 + 80 = 98 centurie, mentre le restanti cinque classi ne contano 95; perciò, se cavalieri e prima classe votano di comune accordo, già raggiungono la maggioranza e la votazione è chiusa. Se, invece, i cavalieri e la prima classe non votano di comune accordo e i loro 98 voti si dividono tra favo-revoli e contrari, allora è chiamata a votare la seconda classe, e poi la terza e la quarta e la quinta, e infine l’ultima; ma questo caso estremo si può verificare soltanto se e quando le 192 cen-turie delle prime cinque classi si siano divise esattamente a me-tà, 96 a favore di un provvedimento e 96 contro.

Così, solo in questo particolarissimo caso, il voto dell’unica centuria della sesta e ultima classe può diventare decisivo: ma com’è facile intuire e come precisa lo stesso Dionisio,

ciò accadeva di rado e era quasi impossibile.20 Un trucco perfetto, raffinato, diabolico... Un trucco, certo, ma ba-

sato su un’attenta lettura della realtà sociale e prodotto da un’acuta razionalità; tanto che, quasi cinquecento anni più tardi, ancora Cice-rone lo descrive e lo loda con poche ma esplicite parole:

(Servio) distinse tra loro (le classi) in modo che i suffragi fossero nelle mani dei ricchi e non della massa, e fissò un principio da mantenere sempre nella costituzione di uno stato, che i più di numero non contino più di tutti.21

19 Come si vedrà meglio descrivendo la formazione dell’esercito, i nomi vanno inte-

si tecnicamente: i classici e gli infra classem sono “(quelli) chiamati per appello” e “gli inferiori ai chiamati per appello”; gli extra classem sono “(quelli) fuori dalla chiamata per appello”.

20 a.r. 4.20.5: τουτο δ ην σπανιον και ου µακραν απεχον ταδυνατου. 21 de re publica 2.22: ...easque ita disparavit, ut suffragia non in multitudinis, sed in

locupletium potestate essent, curavitque, quod semper in re publica tenendum est, ne plurimum valeant plurimi.

121

Capitolo VI

Prima vagliare con cura, poi estrarre a sorte Sulle riforme serviane – si sa – sono stati scritti i proverbiali

fiumi d’inchiostro,22 e già in antico ci si è posti il problema se Servio sia stato davvero l’amico dei poveri o piuttosto l’inventore di un sistema che favorisce sfacciatamente i ricchi. Ma non sono mai state lette nella chiave in cui si proverà a ri-leggerle ora, sempre passo passo.

Il primo passo è semplice: Servio abolisce le vecchie tribù basate sulle etnie e crea, tanto all’interno della cinta urbana, quanto all’esterno, nell’agro, le nuove tribù basate sul territorio. Così facendo egli realizza un sistema oggettivo, e non più sog-gettivo, di ripartizione del popolo: i Ramni possono essere di-versi e superiori o inferiori ai Tizi e ai Luceri, o viceversa – so-no questi i nomi delle tre etnie di Roma arcaica – ma chi risiede sul Palatino non è diverso e superiore o inferiore a chi risiede nella Suburra o sul Quirinale o sull’Esquilino – e questi sono i nomi delle quattro regioni serviane.

Con la riforma, semplicemente, ogni cittadino romano “ri-siede” in una determinata regione dell’urbe o in un determinato distretto dell’agro, e “possiede” una determinata ricchezza; due criteri oggettivi – residenza e proprietà – che escludono prefe-renze o parzialità, e rendono tutti i cittadini uguali tra loro, a prescindere dalle reali e ben presenti differenze. Da questo pun-to di vista, dunque, il compito del censore è simile a quello del giudice: al pari della legge, “la censura è uguale per tutti”.

Il secondo passo è più complesso e si articola in tre momen-ti. Prima Servio divide il popolo in due parti: i classici e gli in-fra classem vanno a comporre l’esercito, mentre gli esclusi, gli

22 Thomsen 1980 conta 20 pagine di bibliografia, Vernole 2002 ne conta 14; i testi

citati dai due autori coincidono solo in parte.

PARTE II – SERVIO

122

extra classem, vengono separati e inseriti indistintamente nella sesta classe; poi suddivide ulteriormente classici e infra classem in cinque classi, in base al censo; infine ripartisce le classi in “centurie” di diversa consistenza numerica.

Se si prova a leggere questo secondo passo in chiave simbo-lica, balza agli occhi che è come se il re stesse mettendo in pra-tica, sull’intera cittadinanza, un’operazione tecnica tipica della lavorazione dei cereali. In qualsiasi cultura, primitiva o moder-na, e qualsiasi sia il genere di cereale utilizzato – farro, avena, riso, grano, ecc. – una volta effettuata la raccolta si procede a un’operazione che si svolge in due fasi ravvicinate e con diffe-renti modalità, secondo genere e quantità da lavorare. Ma essa inizia sempre con la battitura – o trebbiatura – e/o la macinazio-ne, che frantuma i chicchi provocando la loro separazione dalla crusca; e si conclude con la vagliatura – o setacciamento – che elimina la crusca e seleziona i chicchi secondo le diverse di-mensioni.

Servio esegue proprio queste due operazioni: prima separa i classici e gli infra classem dagli extra classem, e così separa la crusca dai chicchi, confinando la “crusca” – gli extra classem – nella sesta classe. Poi seleziona i “chicchi” delle prime cinque classi – i classici e gli infra classem – come se stesse utilizzan-do un enorme setaccio, al quale aumenta progressivamente la sezione dei fori. A ogni successivo aumento corrisponde la se-parazione di una certa categoria di cittadini dal resto della popo-lazione: inizialmente dai fori più stretti passano solo i pochi cit-tadini più ricchi che formano le 80 centurie della prima classe e le 18 dei cavalieri; poi i fori vengono allargati via via e lasciano passare i cittadini che costituiranno, in successione, le tre classi seguenti; da ultimo i fori vengono allargati ancora e lasciano passare i cittadini che costituiranno la quinta classe.

E non si deve credere che la metafora del “setaccio” sia un’immagine letteraria di chi scrive. Lo strumento è già presen-te in Livio che fa di Servio il fondatore “di tutte le divisioni in classi dei cittadini”: 23 il suo termine discrimen deriva dalla stes-sa radice della forma verbale cernere, il cui primo significato è “setacciare, vagliare”.

Così, anche quello adottato nel secondo passo della riforma è un criterio oggettivo di inquadramento e di ripartizione dei membri di una collettività; un criterio che frantuma e separa, se-

23 Livio ab urbe condita (=a.u.c.) 1.42: omnis in civitati discriminis.

VI. Prima vagliare con cura, poi estrarre a sorte

123

taccia e seleziona, ma che esclude sempre preferenze o parziali-tà: tratta tutti i cittadini in uguale maniera, ma non perde mai di vista le reali differenze.

Finalmente, per completare l’opera Servio modifica il siste-ma elettorale nel modo che si è detto. Solo che – se lo si osserva con attenzione – il nuovo sistema è un’estrazione a sorte: si estraggono inizialmente i cavalieri e la prima classe, e se votano d’accordo – è come dire, se escono i due numeri vincenti – la votazione è bella e conclusa; si estrae un ambo e il gioco è fatto. Se, invece, i cavalieri e la prima classe non votano d’accordo – se non esce l’ambo – si va avanti, estraendo la seconda, e poi la terza, e la quarta, e la quinta, e infine la sesta classe. In altre pa-role, non basta un ambo, né un terno, né una quaterna, né una cinquina, ma serve addirittura una sestina, perché i poveri pos-sano uscire vincitori a quest’antica lotteria e chiudere a loro fa-vore il gioco, influendo e addirittura determinando, con il loro unico voto, il risultato della votazione.

Ma – come sanno gli infiniti, settimanali giocatori del mo-derno e nostrano Superenalotto, che devono indovinare proprio sei numeri per imbroccare una vincita plurimiliardaria – questo non capita quasi mai. È quel che nota Livio, quando scrive co-me “di rado, raro” accada che i cavalieri e la prima classe voti-no in disaccordo e che “quasi mai, fere unquam” si arrivi a far votare la sesta classe;24 ripetendo, con altre parole, quanto si è già sentito constatare da Dionisio:

ciò accade di rado e è quasi impossibile.

24 a.u.c. 1.43.11.

1

125

Capitolo VII

Il primo censore Guardando le riforme serviane da questa prospettiva diviene

inutile porsi la classica domanda: che regime vuole creare Ser-vio, un regime democratico o aristocratico, popolare o oligar-chico? Perché Servio non è un Robin Hood ante litteram, non toglie ai ricchi per dare ai poveri, e non fa nemmeno il contra-rio, non toglie ai poveri per dare ai ricchi. L’ottica in cui si muove Servio è un’altra: lui sa bene che i suoi concittadini sono ricchi e poveri, o anche ricchissimi e poverissimi, ma non è su quest’aspetto della vita sociale che vuole e deve intervenire; il suo compito non è di modificare in un verso o nell’altro lo stato delle cose in questo settore; non è qui che la sua riforma deve incidere, e non è qui che incide.

In realtà, Servio ha un primo obiettivo, attuare una condizio-ne di partenza uguale per tutti i cittadini indipendentemente dal-la loro ricchezza; e un secondo obiettivo, far entrare in gioco la sorte, manifestazione terrena della sua personale protettrice ce-leste, la sua àyami, la dea Fortuna.25

I ricchi – coloro che hanno avuto in sorte una maggiore do-tazione di beni – li sfavorisce accollando loro l’onere delle tasse e del servizio militare, ma li compensa con tante centurie con diritto di voto per pochi cittadini; e questo compenso ha una doppia faccia, perché i pochi cittadini delle tante centurie sono “obbligati al servizio militare più di frequente e senza sosta e a pagare più tasse degli altri”.

I meno ricchi – coloro che hanno avuto in sorte una via via sempre minore dotazione di beni – li sfavorisce, anche loro, con l’onere delle tasse e del servizio militare, ma li compensa con

25 I rapporti tra Servio Tullio e Fortuna sono noti e studiati; vedi, per tutti, Dumézil

1981. Sulla figura di Fortuna, vedi Magini 2008.

PARTE II – SERVIO

126

un discreto numero di centurie con diritto di voto in proporzione al numero dei cittadini; e pure questo compenso ha una doppia faccia, perché il minor numero delle centurie dà diritto a un mi-nor numero di voti, ma il maggior numero di componenti di cia-scuna centuria fa sì che questi “sono obbligati al servizio milita-re più di rado e a rotazione e a pagare poche tasse”.

I poveri – coloro che hanno avuto in sorte una minima dota-zione di beni – li favorisce togliendo loro l’onere delle tasse e del servizio militare, ma li danneggia con una sola centuria per tanti cittadini, per la maggioranza di loro, addirittura!

Tirate le somme, quello di Servio è un sottile gioco d’equilibrio: pesa, misura, valuta, e poi corregge, cercando sempre di fare in modo che, nella misura delle umane possibili-tà, le due facce della medaglia siano equivalenti.

Alla fine sarà la sorte, una sorte individuale, decisa non dall’atto sovrano del re ma dall’arbitrio capriccioso di una mi-steriosa, insondabile, mutevole potenza superiore – la dea For-tuna – a stabilire quale faccia debba mostrare la medaglia a cia-scuno dei componenti della comunità cittadina.

127

Capitolo VIII

Servio e la riforma fondata sui numeri

Torniamo alla riforma serviana per completarne l’esame. E

vediamo – riepilogata nella Tabella 4 – la struttura della “più saggia di tutte le misure e quella che è stata l’origine dei massimi benefici per i romani”; la struttura, cioè, del nuovo stato romano e del suo esercito, voluto e creato dal “secondo fondatore”.

Come si è già accennato, l’intera popolazione è divisa in sei classi in base alle proprietà del pater familias, ossia a quello che oggi è chiamato il capitale; col quale capitale allora ogni citta-dino di leva si paga il proprio armamento. Così, nella Roma di Servio chi possiede più di 100 mine fa parte della prima classe, chi possiede meno di 100 mine ma più di 75 fa parte della se-conda, e via seguitando: chi possiede più di 50 mine fa parte della terza classe, chi ne ha più di 25 della quarta, chi ne ha più di 12,5 della quinta, mentre quanti possiedono meno di 12,5 mine compongono la sesta e ultima classe.

La prima classe ha l’armamento migliore – scudo circolare, lancia, elmo di bronzo, corazza, schinieri e spada – e occupa le prime linee dello schieramento; conta 80 centurie, 40 di giovani dai 16 anni compiuti ai 45,26 destinati a andare in guerra, e 40 di anziani sopra i 45 anni compiuti, impegnati a difendere la città.

26 Aulo Gellio Notti attiche 10.28: “Tuberone nel I libro delle Storie scrisse che

Servio Tullio... considerò come ragazzi i minori di diciassette anni; dal diciassettesimo anno in poi, ritenendoli ormai atti a servire lo stato, li arruolò come soldati, chiamandoli fino all’età di quarantasei anni giovani e al di là di quell’anno anziani., Tubero in histo-riarum primo scripsit Servium Tullium regem... pueros esse existimasse, qui minores essent annis septem decem, atque inde ab anno septimo decimo, quo idoneos iam esse reipublicae arbitraretur, milites scripsisse, eosque ad annum quadragesimum sextum ‘iuniores’ supraque eum annum ‘seniores’ appellasse.”

L’uso romano di contare inclusivamente aumenta di un’unità i valori rispetto al no-stro modo di contare. Perciò si deve intendere che si è ‘giovani’ dai 16 anni compiuti ai 45, ‘anziani’ dai 45 compiuti in avanti.

PARTE II – SERVIO

128

A queste 80 centurie di fanti vanno aggiunte 18 centurie di ca-valieri, selezionati tra i componenti della stessa prima classe.27

La seconda classe ha un armamento appena inferiore – scudo oblungo e niente corazza – e si dispone dietro le prime linee dello schieramento; conta 20 centurie, 10 di giovani e 10 di an-ziani, con gli stessi compiti dei precedenti.

La terza classe ha un armamento ancora inferiore – niente schinieri – e si dispone dietro la seconda classe; conta anch’essa 20 centurie, 10 di giovani e 10 di anziani.

La quarta classe è armata di scudi, spade e lance, e occupa l’ultima linea dello schieramento; conta 20 centurie, 10 di gio-vani e 10 di anziani.

La quinta classe è armata di giavellotti e di fionde, e in bat-taglia si dispone fuori dello schieramento; conta 30 centurie, 15 di giovani e 15 di anziani.

Infine, 2 centurie di fabbri e carpentieri e 2 di trombettieri e suonatori, sempre suddivise in giovani e anziani, sono unite le prime alla seconda classe e le ultime alla quarta.28

Tutti questi – come si è visto – costituiscono i classici e gli infra classem.29 A loro – anche questo si è visto – vanno ag-giunti gli extra classem, che costituiscono la sesta e ultima clas-se, formata dalla sola 193esima centuria, nella quale rientrano “tutti gli altri cittadini, che avevano una proprietà inferiore alle dodici mine e mezzo ma che erano più numerosi dei preceden-ti”; questa sesta classe è esente dal servizio militare e da ogni sorta di tassazione.

27 Dionisio e Livio non parlano di una divisione delle 18 centurie di cavalieri in

centurie di anziani e di giovani. Evidentemente, i cavalieri non sono destinati a difende-re la città, ma a andare in guerra, e la gioventù è per loro un requisito essenziale; supera-ta una certa età, scendono da cavallo e vanno in fanteria.

28 La suddivisione in due parti uguali – “giovani” e “anziani” – del numero delle centurie delle diverse classi obbliga a riformulare la domanda già posta prima: in quale città reale si potrebbero avere – non solo in un determinato momento, ma nel corso del tempo – esattamente 8.000 uomini chiamati a formare le 80 centurie della prima classe, divisi in 4.000 giovani al di sotto dei 45 anni e altri 4.000 anziani di età superiore? e co-sì via per le altre quattro classi? La risposta è già stata data: in nessuna.

29 Lo schieramento dell’esercito in battaglia comprende 18 centurie di cavalieri, più 40 di fanti della prima classe, 10 della seconda, 10 della terza e 10 della quarta, più 1 centuria di fabbri e carpentieri e 1 di trombettieri e suonatori, per un totale di 90 centu-rie e 9.000 uomini, con un rapporto di 4 a 1 tra fanti e cavalieri. Questi 9.000 uomini vanno divisi in 3 legioni di 3.000 uomini?

Livio 2003, pp. 54-5, parlando del numero 3 nella visione di Pitagora, nota come “3 fosse la base per la costituzione di unità militari” anche nella Bibbia, e cita 2 Samuele 23, Giudici 7, 2 Samuele 6.

VIII. Servio e la riforma fondata sui numeri

129

Tabella 4. La costituzione serviana (secondo Dionisio)

classi capitale = c. (in mine)

centurie iuniores seniores totale

I + cavalieri c. > 100 40 + 18 40 80 + 18 = 98

II 100 > c. > 75 10 + 1 10 + 1 20 + 2 = 22

III 75 > c. > 50 10 10 20

IV 50 > c. > 25 10 + 1 10 + 1 20 + 2 = 22

V 25 > c. > 12,5 15 15 30

VI 12,5 > c. 1 1

totale delle centurie 193

totale dei cittadini censiti 84.700

N.B. Secondo Dionisio, le due centurie di fabbri e carpentieri vanno aggiunte alla se-conda classe, e le due centurie di trombettieri e suonatori alla quarta. Livio (a.u.c. 1.43.) le aggrega, rispettivamente, alla prima classe e alla quinta. Questo non modifica la so-stanza dei conti fatti in precedenza e non incide sulle considerazioni che seguono. Livio (a.u.c. 1.43.) indica non in 12 e mezzo, ma in 11 mine – più esattamente in 11.000 assi – il limite superiore del censo della sesta classe, ma anche questo non incide sulle nostre considerazioni. Le centurie dei cavalieri sono solo di iuniores; mentre la sesta classe, non contribuendo a costituire l’esercito, non è divisa tra iuniores e seniores.

Dunque – riepiloga lo stesso Dionisio, vi erano 6 divisioni che i romani chiamano ‘classi’... e le centurie incluse in queste divisioni ammontavano a 193. La prima classe contava 98 centurie, compresa la cavalleria; la seconda, 22, con gli artigiani; la terza, 20; la quarta, ancora 22, con i trombettieri; la quinta, 30; e l’ultima, 1 centuria, composta dai cittadini poveri.30 Si nota subito – e del resto già risulta dalla Tabella 4 – che la

descrizione della costituzione serviana è ricca di dati e di nume-ri. Purtroppo, ne mancano alcuni che la tradizione non riporta e che non si possono ricavare da quelli noti, e sono – come si è detto – i numeri che risponderebbero a queste domande: come sono ripartiti gli 84.700 cittadini censiti nelle 6 classi e nelle 193 centurie? e le centurie, pur non contando 100 uomini cia-scuna, hanno tutte lo stesso numero di componenti? o seguono invece, ad esempio, una successione inversa a quella che si ri-

30 Dionisio a.r. 4.18.2-3.

PARTE II – SERVIO

130

scontra nei valori dei capitali che costituiscono i limiti di cia-scuna classe?

Perché, se si prendono i limiti inferiori di questi valori cen-suari, ci si accorge che essi seguono una specie di successione: se si fanno uguale a 1 le 12,5 mine che costituiscono il limite inferiore della quinta classe, e si risale via via le classi,31 si ha un limite inferiore 2 per la quarta classe, 4 per la terza, 6 per la seconda, 8 per la prima; e la successione 1, 2, 4, 6, 8.

È come dire che i componenti della prima classe hanno un capitale di almeno 8 volte quelli della sesta, i componenti della seconda un capitale di almeno 6 volte quelli della sesta, e così via. Allora la domanda è: è possibile che, all’inverso, i compo-nenti della sesta classe siano 8 volte più numerosi di quelli della prima, 6 volte quelli della seconda, e così via? Certo, è possibi-le; ma si è sicuri che calcoli di questo tipo non allontanino da una città reale e non riportino a una città puramente ideale? All’opposto, la testimonianza di Dionisio32 lascia intravedere una ripartizione del tutto casuale dei componenti delle centurie delle diverse classi e sembra orientata non su una rigida e astrat-ta architettura di numeri, progettata a tavolino e immodificabile per l’eternità, ma su dei numeri reali e dunque – come si è nota-to – variabili col tempo e con gli eventi naturali, culturali e so-ciali che fanno della popolazione di una città un organismo vivo e mutevole.

D’altra parte, se la costituzione serviana fosse stata costruita sulla base di quella o di un’altra ipotetica architettura, come mai se ne sarebbe perso il ricordo? Se una semplice regola matema-tica avesse stabilito per ogni classe il numero dei componenti delle centurie, è probabile – ma non certo – che se ne sarebbe conservata la memoria, come si è conservata la memoria della successione dei valori del censo.

Comunque si vogliano considerare le cose, è più prudente stare ai fatti, e i fatti sono i numeri di cui si dispone: il 6 delle classi, il 193 delle centurie, l’84.700 dei cittadini, e soprattutto gli altri numeri dei livelli delle classi di reddito e delle centurie

31 Se 12,5 = 1, allora: 25 = 2, 50 = 4, 75 = 6, 100 = 8. 32 a.r. 4.19.2.: “Così avveniva che coloro che avevano le più grandi ricchezze, es-

sendo di meno di numero ma distribuiti in più centurie, erano obbligati al servizio mili-tare più di frequente e senza sosta, e a pagare più tasse degli altri; e che coloro che ave-vano le piccole e modeste proprietà, essendo di più di numero ma distribuiti in meno centurie, erano obbligati al servizio militare più di rado e a rotazione, e a pagare poche tasse, e quelli le cui proprietà non bastavano al loro stesso mantenimento erano esenti da ogni carico.”

VIII. Servio e la riforma fondata sui numeri

131

nelle diverse classi. Una dotazione sufficiente per definire la ri-forma serviana come una riforma fondata sui numeri.

In particolare quando si nota qualcosa che è sfuggito finora all’attenzione degli studiosi, e cioè che il più significativo di que-sti numeri – il 193 delle centurie – ha la proprietà di essere la somma di due quadrati:

193 è la somma del quadrato di 12 più il quadrato di 7.33 Questa proprietà del numero 193 – che la simbologia mate-

matica indica così: 193 = 122 + 72 – rimanda al cosiddetto “teo-rema di Pitagora”. Un teorema che noi continuiamo a chiamare così, anche se oggi sappiamo con certezza che esso era cono-sciuto già nel secondo millennio in Mesopotamia e in Egitto:

In un triangolo rettangolo, l’area del quadrato costruito sul lato più lungo – l’ipotenusa – è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui due lati più corti – i cateti. Nella simbologia matematica, se l’ipotenusa è C e i cateti

sono A e B, il teorema si esprime con l’equazione: C2 = A2 + B2. Confrontata con la precedente – 193 = 122 + 72 – l’ultima equa-zione ci dice che, nel triangolo rettangolo costruito con questi numeri, i valori dei cateti A e B sono, rispettivamente, 12 e 7, mentre il valore dell’ipotenusa C è dato dalla radice quadrata di 193 (Fig. 4).

12 e 7, però, non sono due numeri qualsiasi, ma numeri dalle precise implicazioni cosmologiche: 12 sono i segni zodiacali e 7 i corpi celesti “erranti”. La scelta non ha l’aria di esser stata ca-suale.

33 Lo stesso vale per 84.701: 84.701 = 2502 + 1492. La trascrizione di LXXXIVDCC al posto di LXXXIVDCCI, con la perdita del-

l’unità finale, è un errore facile per chi non conosce più l’origine di quello specifico numero.

Attorno al valore di 84.700 solo un numero ogni 250 è pari alla somma di due qua-drati, mentre attorno al 193 questo è vero per un numero ogni 12.

PARTE III

TARQUINIO o

GABII E IL REGIFUGIUM A ROMA, IL QERSU E IL “SOSTITUTO REALE” A BABILONIA

“Rex erit qui recte faciet, qui non faciet, non erit.

Sarà re chi si comporterà bene, chi non lo farà non sarà re.”

Filastrocca infantile di Roma arcaica

163

Capitolo I

Rito babilonese e mito romano La tradizione romana sul passaggio dalla monarchia, che è

durata 244 anni (date tradizionali 753-509 a.C.), alla repubblica, che ne durerà 482 (509-27 a.C.), è ricca e articolata. E la svolta epocale è collocata con precisione nel tempo, nello spazio e nei protagonisti: – il tempo è il 24 di febbraio,1 festa del Regifugium; – lo spazio è diviso tra due luoghi, Roma e Gabii, con la se-

conda che finisce, singolarmente, per svolgere un ruolo fon-damentale;

– i protagonisti sono Tarquinio il Superbo (date tradizionali di regno 534-509 a.C.), suo figlio Sesto Tarquinio e i loro fami-liari, tra i quali vanno compresi anche i diretti avversari: Tarquinio Collatino, figlio o nipote del fratello di Tarquinio Prisco e marito dell’oltraggiata Lucrezia, e Giunio detto Bru-tus, figlio di Tarquinia figlia a sua volta dello stesso Tarqui-nio Prisco (Fig. 1).2

Il fatto è che questa vicenda, così specificamente e dettagliata-mente romana, trova uno spettacolare precedente a Babilonia, in una situazione in tutto paragonabile con quella romana. E il confronto3 mostra una straordinaria consonanza di concezioni tra due mondi che – se si sta alla storia per come la si conosce ora – non si sono mai incontrati.

1 Ovidio Fasti 2.685-852. L’anno è il 509 a.C. per Varrone, il 507 per Dionisio. 2 Sulla fine della monarchia e la nascita della repubblica a Roma, su Gabii e i Tar-

quinii, i due testimoni fondamentali sono Livio a.u.c. 1.53-60 e Dionisio di Alicarnasso a.r. 4.53 e seg.

Sulla parentela tra Tarquinii, vedi in particolare Dionisio a.r. 4.64 e 4.68. 3 Il confronto lo avevamo già accennato al § 3.8. della prima parte; qui lo ripren-

diamo e ampliamo.

PARTE III – TARQUINIO

164

Fig. 1. Albero genealogico dei Tarquinii (da T.J. Cornell, The Beginnings of Rome, 1995) Tarquinio Prisco ha due figli – o nipoti? – uno buono e l’altro cattivo. Il successore, Servio Tullio, ha due figlie, una buona e l’altra cattiva. Il buono sposa la cattiva e il cattivo la buona; i due cattivi ammazzano i due buoni e si sposano. A Servio Tullio succede il genero cattivo, Tarquinio il Superbo, figlio – o nipote? – di Tarquinio Prisco. Tarquinio il Superbo e i suoi avversari e fondatori della repubblica, Tarquinio Collatino e Giunio Bruto, sono tutti discendenti di Demarato, un greco esule da Corinto, e di una etrusca della città di Tarquinia, che darà il nome all’intera dinastia.

In precedenti lavori ho già proposto più volte questa compa-razione tra rito babilonese dello shar puhi, “re di sostituzione” e mito romano del Regifugium. Ma adesso due recenti studio – uno sul rituale mesopotamico e l’altro sui presagi orientali pre-senti nel de divinatione di Cicerone – assieme ai primi, eccezio-nali, risultati degli scavi ancora in corso a Gabii, vengono a cor-redarla e arricchirla di nuovo materiale sul quale è opportuno fare qualche considerazione.4

4 I lavori sul “re di sostituzione” e il Regifugium sono in Magini 2003, pp. 91-5, da

cui riprendo il testo che segue; vedi anche Magini 2001, pp. 93-101; Magini 2005, pp. 1-5; Magini 2006, p. 14.

Lo studio sul rituale mesopotamico è in Ambos 2013 e quello sui presagi orientali presenti nel de divinatione di Cicerone in Jacobs 2010.

I risultati degli scavi a Gabii in Fabbri-Osanna 2012.

165

Capitolo II

Il rituale a Babilonia Il rituale mesopotamico del “re di sostituzione”5 è inteso a

scongiurare preventivamente le malefiche conseguenze di un’eclissi, solare o lunare che sia.6

Attestato fin dalla Cronaca degli antichi re, dove è legato alla vicenda del nono sovrano della prima dinastia di Isin, Erra-imitti (1868-1861 a.C.), e menzionato in un atto dell’ultimo anno di Adad-nirari III (810-783), il rito risulta ancora praticato, e ben documentato, sotto i regni di Asarhaddon (680-669) e di Assur-banipal (668-627).

Qualche secolo più tardi, il rituale torna a essere attestato, or-mai in forma assai sbiadita, in Persia per un episodio della vita di Serse I (485-465), in Grecia attorno alla figura di Alessandro Magno (356-323), a Roma con Claudio imperatore (41-54 d.C.).7

Ma – come vedremo – il rituale mesopotamico del “re di so-stituzione” è testimoniato molto meglio e perfettamente ricono-scibile, sempre a Roma ma sei secoli prima, alla data tradiziona-le della cacciata dei re (509 a.C.).

In origine il rituale nasce come un esorcismo – namburbu è il nome tecnico – basato su un’idea semplice, ma precisa: non è possibile annullare le conseguenze nefaste dell’evento celeste,

5 Si veda Bottéro 1991, pp. 145-65; da cui traggo la documentazione e le citazioni

che seguono, con i corsivi originali (ma con tempi verbali mutati per conformarli al re-sto del presente studio).

6 Per un determinato luogo della terra, le eclissi, parziali o totali, di Luna costitui-scono un evento enormemente più frequente delle eclissi, parziali o totali, di Sole: le prime avvengono all’incirca ogni 6 mesi, le seconde – per ciascun luogo – una ogni 400 anni. Questo è il motivo più forte per spiegare come mai i casi documentati a Babilonia si riferiscano principalmente a eclissi di Luna.

7 L’episodio legato a Serse è in Erodoto 7.15. L’episodio legato a Alessandro Ma-gno in Plutarco Vita di Alessandro 73 e sg.; Arriano Anabasi 7.24; Diodoro Siculo Bi-blioteca storica 17.116. L’episodio legato all’imperatore Claudio in Svetonio Vita di Claudio 29.3.

Su tutto questo, vedi Bottéro 1991, p. 146.

PARTE III – TARQUINIO

166

ma si può almeno cercare di indirizzarle su un diverso obiettivo, su un “sostituto” di chi è sotto minaccia.

A questo scopo, perfino il re va sostituito: La sostituzione è uno dei postulati principali dell’esorcismo: si pensa, infatti, che il male, effettivo, promesso o predetto, possa trasferirsi da un individuo all’altro, e, in qualche modo, cambiare supporto, come un fardello… Una sostituzione non è un sotterfugio, un modo per ingannare gli dei; si vuo-le soltanto permettere loro di realizzare la loro volontà, di portare a termine le loro decisioni nelle stesse condizioni in cui le hanno prese, ma con un al-tro supporto, il più vicino possibile al primo da loro previsto, il più possibile identico a lui, anche se materialmente diverso; allo stesso modo, in campo giudiziario, si ammette che un membro della famiglia del debitore saldi il debito al suo posto, sostituendosi a lui al servizio del creditore. Questi sono il ruolo e l’idea che ci si fa della sostituzione. E il rituale vuole che, nell’imminenza di un’eclissi annuncia-

ta da oscuri presagi e prevista dai sacerdoti-astronomi come fa-tale per il re, si agisca immediatamente:

È necessario provvedere a un sostituto del re, sia a Assur, sia a Babilonia, a seconda dei casi. Soltanto questo personaggio, infatti, e i testi lo ripetono molto chiaramen-te, può allontanare dal re il male temuto e salvargli la vita, caricandosi dei cattivi presagi: insomma prendendo il posto del re. È proprio questo il fine della procedura. Dunque, il re va sostituito, e va sostituito con qualcuno che

sia “il più vicino possibile, il più possibile identico a lui, anche se materialmente diverso”, qualcuno che sia “anche un membro della famiglia”. In più, per ovvia prudenza, sarà anche bene che il sostituto sia un saklu,

termine che significa, in generale, un uomo semplice, ingenuo, persino un po’ sciocco… senza importanza sul piano sociale e la cui sorte non può in-teressare nessuno. D’altra parte, almeno nel caso di Asarhaddon, i documenti

mostrano che per essere degno di colui che sostituisce, il sostituto deve, anche se solo fittiziamente, godere di uno statuto elevato, e che l’intervento [sulla scelta del sostituto] di una profetessa, di una vaticina-trice… può avervi svolto un ruolo determinante.

II. Il rituale a Babilonia 167

Così, il saklu, lo “sciocco”, cui è profetizzato il potere regale, indossa le vesti e assume le insegne reali, fa il suo ingresso nel palazzo e siede sul trono, occupa il letto reale con una vergine sposata per l’occasione e regna “per tre mesi e dieci giorni”.

Intanto, in attesa che il pericolo rappresentato dall’eclissi si allontani, il re continua nei fatti a regnare. Ma vive in un qersu, alla lettera “isolato”, cioè in “uno di quei recinti di canna così spesso usati nei rituali d’esorcismo per tenere alla larga i cattivi influssi…”, e compie “un certo numero di cerimonie e pratiche purificatorie, sia ‘al fiume’, sia nel qersu…”.

Ma – come osserva ancora Bottéro – in realtà, il compito del ‘sostituto reale’, dello sar puhi, non è quello di governare al posto del re, ma di interpretare apparentemente il personag-gio di quest’ultimo e di fargli così, in qualche modo, da parafulmine, per prendere e attirare su di sé la cattiva sorte che minaccia il suo padrone: co-sa che fa proprio portando a termine il suo effimero regno e subendone il destino. Perché, passati i cento giorni, il saklu e la sua sfortunata

compagna sono messi a morte, gli abiti e le insegne bruciati. Dopo di che,

ci si sottomette a una purificazione generale del paese e del re… Per finire, bisogna procedere a una ‘pulizia’ approfondita del palazzo, ap-parentemente ‘contaminato’ dalla presenza del defunto sostituto. Questa operazione viene compiuta in sei tempi (e forse in altrettanti gior-ni…), consacrati ognuno a uno dei punti nevralgici dell’edificio: quattro per i suoi accessi principali, uno per la ‘Corte’ in cui forse si trova il trono, e un altro per il Divano, in cui il re durante il giorno accorda udienze, ri-ceve i sudditi, detta e rende pubbliche le sue decisioni… Il re può allora riguadagnare il suo palazzo, riassumere il suo ruolo, ri-prendere la vita pubblica. Grazie alla morte del suo sostituto, ogni pericolo è allontanato, ormai, dalla sua persona e, in questo modo, dal suo popolo e dal suo paese… Questo, molto per sommi capi, è il rituale babilonese – il

namburbu – del “re di sostituzione”, dello shar puhi.

169

Capitolo III

Il mito a Roma A sua volta, la tradizione romana ricorda:

- il Regifugium del 24 febbraio, quando il re compie un sacrifi-cio nel Comizio e poi fugge8 sostituito dall’interrex, l’“interrè”, che ne prende il posto negli ultimi cinque giorni di febbraio; - l’eclissi di Sole del 27 febbraio del primo anno del ciclo nu-mano,9 che segue a distanza di dodici lunazioni quella del primo di marzo; - i presagi funesti per l’ultimo re etrusco di Roma, Tarquinio il Superbo, con il

serpente che, ecco, orribile a vedersi sbuca di tra gli altari e ruba le viscere della vittima dalle fiamme spente,10 e con il sogno in cui il re vede un ariete che gli si avventa

contro e lo abbatte. Ecco come Cicerone ci presenta compiutamente l’episodio

riportando un passo, altrimenti sconosciuto, del Bruto di Ac-cio,11 in cui re Tarquinio racconta:

8 Plutarco Questioni romane 63. 9 Per la cadenza delle eclissi di Sole e di Luna all’interno del calendario numano,

vedi Magini 2001, pp. 73-93, e in particolare pp. 81-5; Magini 2003, pp. 79-90, e in par-ticolare pp. 82-5.

L’eclissi di Sole del 27 febbraio del primo anno del Ciclo Numano – su cui vedi anco-ra Magini 2003, pp. 28-31 – viene a cadere nel penultimo dei cinque giorni intercalari.

Come è noto, nella visione delle astrologie più tarde e meglio conosciute, i giorni intercalari godono inesorabilmente di una fama negativa, di giorni sfortunati e portatori di sfortuna.

10 Il Regifugium è narrato da Ovidio Fasti 2.685-852. Qui citati i versi 711-2: Ecce, nefas visu, mediis altaribus anguis / exit et extinctis ignibus exta rapit.

11 Accio, poeta e filologo vissuto tra II e I sec. a.C., ultimo esponente del genere tragico arcaico; Cicerone (Arpino, 106-43) fece in tempo a conoscerlo, cfr. Brutus 107.

PARTE III – TARQUINIO

170

“Dopo che, al cadere della notte, ebbi abbandonato il corpo al sonno, rilasciando nel sopore le membra stanche, mi apparve in sogno un pastore che spingeva verso di me un gregge lanoso di straordinaria bellezza. Mi pareva che da quel gregge venissero scelti due arieti consanguinei e che io immolassi il più imponente dei due; poi il fratello dell’ucciso puntava le corna, si avventava per colpirmi e con quell’urto mi abbatteva. Io allora, prostrato a terra, gravemente ferito, alzavo supino gli occhi al cielo e vedevo un fatto immenso e straordinario: il disco fiammeggiante del Sole, effondendo i suoi raggi, si dilegua verso destra invertendo il suo cammino nel cielo.”

Ed ecco – sempre con le parole di Accio riportate da Cicero-

ne – come il sogno di Tarquinio è interpretato dagli indovini, dai coniectores:

“O re, le cose che nella vita gli uomini sogliono fare, le cose che pensano, [ curano, vedono, e che da svegli compiono e alle quali s’affaccendano, [ non c’è da meravigliarsi se accadono a qualcuno in sogno; ma in una circostanza così straordinaria [ non senza motivo le visioni si presentano. Stai dunque attento, che colui che tu stimi sciocco al pari di una bestia, non abbia una mente munita di ingegno, al di sopra del gregge, e non ti sbalzi dal trono. Ché quello che ti è apparso riguardo al sole, dimostra che avverrà per il popolo un mutamento assai vicino nel tempo. Possa tutto ciò volgersi in bene per il popolo! Il fatto che l’astro più potente abbia intrapreso il suo corso verso destra da sinistra, è un faustissimo augurio che la repubblica romana sarà eccelsa.”12

Ai presagi, reali o sognati, e alla loro interpretazione si ag-

giunge poi la figura dello “sciocco”, che a Roma è impersonato – non ci dovrebbe essere nemmeno bisogno di precisarlo – da

12 Cicerone de divinatione 1.44-5 (trad. di Sebastiano Timpanaro, con qualche modifi-

ca dell’autore): “Quoniam quieti corpus nocturno impetu / dedi, sopore placans artus lan-guidos, / visust in somnis pastor ad me appellere / pecus lanigerum eximia pulchritudine; / duos consanguineos arietes inde eligi / praeclarioremque alterum immolare me; / deinde eius germanum cornibus conitier, / in me arietare, eoque ictu me ad casum dari; / exim prostratum terra, graviter saucium, / resupinum in caelo contueri maxumum ac / mirificum facinus: dextrorsum orbem flammeum / radiatum solis liquier cursu novo.”… “Rex, quae in vita usurpant homines, cogitant curant vident, / quaeque agunt vigilantes agitantque, ea cui in somno accidunt, / minus mirandum est; sed in re tanta haud temere visa se offerunt. / Prolin vide ne, quem tu esse hebetem deputes aeque ac pecus, / is sapientia munitum pe-cus egregium gerat / teque regno expellat; nam id, quod de solem ostentum est tibi, / popu-lo commutationem rerum portendit fore / perpropinquam. Haec bene verruncent populo! Nam quod ad dexteram / cepit cursum ab laeva signum praepotens, pulcherrume / augura-tum est rem Romanam pubblicam summam fore.”

III. Il mito a Roma 171

Bruto, il saggio che si fingeva sciocco per essere al sicuro dalle tue insidie, crudele Superbo.”13 E Bruto, in un primo momento, a seguito del presagio del

serpente si reca in compagnia dei figli di Tarquinio a Delfi, do-ve ascolta la profetessa – la Sibilla Delfica – che predice gene-ricamente che

‘risulterà vincitore chi avrà per primo baciato la madre’. Subito dopo, però, è proprio lui l’unico dei tre a capire che la

“madre” in questione è la terra, e a fingere di inciampare e ca-dere per affrettarsi a baciarla.14

Finalmente, è lo stesso Bruto che vendica l’oltraggio portato a Lucrezia e – come previsto dal sogno – scaccia Tarquinio dal trono “sostituendolo”, una volta per tutte, con la rivoluzionaria sar puhi da cui nasce la repubblica e che è ricordata dalla festi-vità del Regifugium.

Tutto questo, nel primo dei cinque giorni intercalari che se-guono i Terminalia del 23 febbraio, quando il Sole è appena en-trato nel segno dei Pesci e la stella più luminosa dell’emisfero settentrionale, Arturo, ha appena iniziato a sorgere a est la sera mentre il Sole tramonta a ovest.15

Su questi cinque giorni intercalari romani, dal 24 al 28 feb-braio compresi, Varrone ci spiega:

I Terminalia (sono chiamati così) perché questo giorno è fissato come l’ultimo dell’anno: questo perché il dodicesimo mese era febbraio e, quando si esegue l’intercalazione, al dodicesimo mese si sottraggono i cinque ultimi giorni.16

13 Ovidio Fasti 2.717-8: Brutus erat stulti sapiens imitator, ut esset / tutus ab insi-

diis, dire Superbe, tuis. Sul termine latino brutus, “pesante”, e sul passaggio dal valore originario di grauis,

“pesante, greve”, a quello di stupidus, stultus, “sciocco, lento”, vedi Negri 2010, pp. 75-7. 14 Ovidio Fasti, 2.713-4 e 719-20: …‘Matri / qui dederit princeps oscula uictor erit.’;

…Ille iacens pronus matri dedit oscula Terrae, / creditus offenso procubuisse pede. Il poeta non indica chi pronuncia la profezia; Livio ab urbe condita 1.56, precisa

che a parlare è la profetessa di Apollo, la Pizia o Sibilla Delfica. 15 Vedi Magini 2003, p. 135-8. 16 Varrone de lingua latina 6.13: Terminalia, quod is dies anni extremus constitu-

tus: duodecim enim mensis fuit Februarius et cum intercalatur inferiores quinque dies duodecimo demuntur mense.

PARTE III – TARQUINIO

172

Se, allora, “si sottraggono i cinque ultimi giorni” di febbraio, dopo la festa del Regifugium restano 31 giorni di marzo, 29 di aprile, 31 di maggio e 9 di giugno, per completare i cento gior-ni, i “tre mesi e dieci giorni”, in cui il re – a Babilonia – resta segregato nel qersu, fin tanto che aleggia su di lui il pericolo dell’eclissi.

E – a Roma – proprio attorno al 9 di giugno, si ha la cerimo-nia di purificazione della

grande reggia di Numa barbato, la modesta dimora su cui ora sorge l’atrio di Vesta.17 La cerimonia dura un’intera novena: inizia il 7 giugno con

l’apertura della casa della dea, adiacente alla Regia, raggiunge il culmine per la festa dei Vestalia il 918 del mese e si conclude il 15.

L’ultimo giorno – come spiega il poeta – è ovviamente ‘il giorno in cui tu, Tevere, porti al mare, sulle acque etrusche, le immondizie della Casa di Vesta.’19 E ancora Varrone conferma, parlando sempre del 15 giugno: Il giorno che è detto ‘Quando lo sterco è stato portato via, è lecito (trattare affari; n.d.a.)’ è chiamato così perché in quel giorno si spazza lo sterco dalla casa di Vesta e, passando per il Clivo Capitolino, lo si butta in un posto stabilito.20 Il che ci consente di ritrovare un nuovo nesso tra Roma e

Babilonia, nello “spazzare” visto come uno strumento di “puri-ficazione”, a Ovest come già a Est.21

17 Ovidio Fasti 6.263-4: hic locus exiguus, qui sustinet Atria Vestae, / tunc erat in-

tonsi regia magna Numae. 18 Il 9 giugno del quinto anno del Ciclo Numano è la ricorrenza della dodicesima

eclissi totale di Sole; il 27 febbraio del primo anno è la ricorrenza della terza. Le due eclissi sono separate da 1.211 giorni, ossia quasi esattamente da 41 lunazioni; e di 41 lunazioni è uno dei due intervalli di tempo dopo il quale l’eclissi si ripete quasi sempre (l’altro è di 47 lunazioni). Vedi ancora Magini 2001, p. 73-93, e in particolare pp. 81-5; Magini 2003, p. 79-90, e in particolare pp. 82-5.

19 Ovidio Fasti 6.713-4: …haec est illa dies, qua tu purgamina Vestae, / Thybri, per Etruscas in mare mittis aquas.

20 Varrone d.l.l. 6.32: Dies qui uocatur ‘Quando Stercus Delatum Fas’, ab eo ap-pellatus, quod eo die ex aede Vestae stercus euerritur et per Capitolinum Cliuum in lo-cum defertur certum.

21 Per Babilonia e lo “spazzare” come mezzo per procedere alla purificazione, vedi, tra gli altri, Linnsen 2004, p. 149.

III. Il mito a Roma 173

A questo punto, è chiaro che la comparazione tra rito babilo-nese e mito romano è davvero stringente. Salvo un particolare non secondario, almeno stando alle apparenze: a Roma il “sosti-tuto del re” non viene ucciso ma, al contrario, ne prende il po-sto. Nella realtà – la realtà del mito, beninteso – non è così, per-ché a Roma i “sostituti” del re sono due: uno è il Bruto che ab-biamo già incontrato, che lo “sostituisce” davvero e definitiva-mente; l’altro è il figlio stesso di re Tarquinio, Sesto, che torna a Gabii “come in un suo proprio regno… e viene ucciso”.22

Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come e perché sul rito/mito del Regifugium a Roma si è inserita la storia dello stupro di Lu-crezia e del suo suicidio; ma qualche domanda dovrà pure resta-re aperta, perché si possa trovare la risposta più avanti…

Però, se il mito romano non è altro che la replica “occidenta-le” del rito babilonese, nasce subito la domanda chiave: da dove deriva questo rapporto tra sar puhi e Regifugium? e come può essere il secondo indipendente dal primo? E, finalmente, se non è indipendente, come è arrivato da Babilonia a Roma il rito tra-sformato in mito?

22 Livio a.u.c. 1.60: Sextus Tarquinius Gabios tamquam in suum regnum profe-

ctus… est interfectus.

175

Capitolo IV

Ancora sul rito babilonese Ai dati visti ora, già “vecchi”, ne vanno aggiunti degli altri,

sia sul rito babilonese sia, specificamente, su Gabii. Sul rito babilonese i nuovi elementi sono questi:23

- un particolare passaggio del rito di “sostituzione del re” pre-vede un bagno rituale e una bit rimki, “Casa del bagno (rituale)” in cui eseguirlo; - il bagno è preceduto da qualche rito purificatorio del re e della reggia, dopo il quale il re si reca in aperta campagna, dove è sta-ta costruita “una complessa struttura rituale fatta di canne, la cosiddetta ‘Casa del bagno (rituale)’”, - questa ‘Casa del bagno (rituale)’ consiste in “uno spazio che è separato dal mondo esterno da un circolo di steli di canne di pa-lude; all’interno di detto spazio, sono costruite una o più capan-ne di canne di palude, destinate a servire come luoghi sacri provvisori”; - durante la notte, “il sacerdote addetto al rito fa recitare al re un lungo ciclo di preghiere alle maggiori divinità del pantheon, alle stelle e ai pianeti”; - “al levar del Sole, dopo essersi lavato egli stesso, il re passa attraverso sette ‘case’… sette strutture provvisorie… in ognuna delle quali esegue riti di purificazione e recita preghiere”; - “i riti di purificazione prevedono il lavaggio di parti del corpo del re e la manipolazione di figurine di fronte al Sole che sorge. Le figurine rappresentano le persone che con azioni diverse hanno effetti perniciosi sul re… Nelle prime quattro case, il re si lava le mani su cinque figurine: quelle del nemico, dello strego-

23 Vedi Ambos 2013, p. 39-54; dal quale riprendo le informazioni e i passi che se-

guono citati tra virgolette (anche in questo caso con tempi mutati). L’autore rinvia “al II e perfino al III millennio” la tradizione relativa, realmente do-

cumentata tra VIII e VII sec. a.C.

PARTE III – TARQUINIO

176

ne, di colui che funge da sostituto del re e di due figurine siste-mate a croce che rappresentano gli avversari del re. Nella quinta casa, l’esorcista pugnala una figurina del maledetto spirito ma-ligno; il re si lava la bocca con acqua e birra e le sputa sulla fi-gurina, che poi viene seppellita. Nella sesta casa, si legano con una corda le figurine dello stregone e della strega e poi le si seppellisce. Nella settima casa, si seppellisce la figurina dello spirito della morte…”. È evidente che, “lavando le diverse parti del corpo sulle figurine degli avversari, il re non solo si libera delle impurità, ma le rivol-ge, sotto forma di acqua sporca, contro i suoi oppositori…”.24

Il fatto è che “le capanne di canne di palude sono normalmen-te documentate, se non in tutti, in molti rituali del Vicino Oriente antico. Esse costituiscono luoghi di culto provvisori in grado di assicurare un ambiente puro e rivitalizzante dove il re – o l’individuo per il quale è compiuto il rito – incontra le divinità. Le canne di palude sono considerate un materiale da costruzione puro e apotropaico, dal momento che nascono dalle acque sotter-ranee del cosmo, l’apsu. Le canne personificano vita e prosperità, perché l’ambiente in cui crescono, in netto contrasto con la step-pa o il deserto, è un luogo pieno di acqua e brulicante di vita. Nelle capanne di canne di palude il re è reintrodotto nella sua condizione di re. Questo, almeno, è quanto suggeriscono le paro-le di un incantesimo della terza casa: ‘Quando Voi uscite dalla capanna di canne di palude, possa il vestito che portate darVi di-gnità, possa lo scettro che Vi è stato dato sottometterVi il paese, possa la corona che vi è stata data innalzarsi sulla Vostra testa.’… Poi, dopo che il re è passato attraverso le sette ‘case’, seguono al-tri riti di purificazione, ancora – a quanto pare – nella ‘Casa del bagno (rituale)’, e una sequenza di rituali e incantesimi contro il malocchio. E finalmente, il re si presenta alla triade Ea, Samas e Asalluhi,25 gli dei che garantiscono il successo del rituale com-piuto, e indirizza loro delle preghiere, alle quali fanno seguito quelle rivolte alle proprie personali divinità.”

Ovviamente, tutta questa complessa sequenza di rituali è messa in atto quando e solo quando l’eclissi va a coprire quello dei quattro quadranti del Sole o della Luna – settentrionale, me-ridionale, orientale e occidentale – che interessa direttamente il re – rispettivamente di Babilonia, Assiria, Elam e Occidente.

24 Ometto qui il rito e la preghiera recitata dal re nella seconda casa; vedi Ambos

2013, p. 42. 25 Tre tra le principali divinità babilonesi. Asalluhi è un altro nome di Marduk.

IV. Ancora sul rito babilonese 177

Se ne conserva una documentazione dettagliata per l’eclissi totale di luna del 27 dicembre 671 a.C. al tempo di Asarhaddon, che porta contemporaneamente i titoli di re di Assiria e di Babi-lonia, viceré di Babilonia e re di Sumer e Accad.26

Ma qui basterà leggere la relazione che, al termine del rito di “re di sostituzione”, l’agente speciale Mar-Istar, incaricato di seguire i movimenti del sostituto reale, invia al sovrano:

[Damqi], il figlio del grande sacerdote di Acca[d], che ha govern[ato] l’Assiria, Babilonia e gli altri paesi, [è mo]rto assieme alla regina nella notte de[l decimo giorno] come sostituto del mio Signore, [e per la sicu-rezza della vi]ta del [figlio del re] Sams-suma-uki[n]. Egli andò al suo destino per la salvezza di costoro. Abbiamo preparato l’ambiente in cui seppellirli: lui e la sua regina furono adornati, sottoposti a trattamento, esposti, seppelliti e lamentati. Fu eseguita l’offerta da consumare nel fuoco, furono annullati tutti i segni premonitori e molti riti apotropaici, furono eseguiti alla perfezione il bit rimki e il rituale bit sala’ me, i riti esorcistici, i salmi penitenziali e le lita-nie per i presagi. Il Re, mio Signore, deve sapere [questo].

Termina così il rituale che “consente a chi governa di tornare

a una precedente condizione, temporaneamente perduta… E si può affermare che, in conclusione, il presagio nefasto dell’eclissi è molto legato allo spazio e non necessariamente a uno specifico individuo.”

26 Vedi ancora Ambos 2013, p. 45-6.

179

Capitolo V

Ancora sul rito romano Adesso occorre tornare alla tradizione su Gabii, per segna-

larne due o tre punti rilevanti:

- Varrone afferma che

i nostri àuguri di stato dividevano i territori in cinque generi: romano, ga-bino, straniero, del nemico e incerto. Il territorio romano è detto così da Romolo da cui prese il nome Roma; il gabino dalla città di Gabii; lo ‘straniero’ è un territorio vinto in guerra e pacificato, che è al di fuori del romano e del gabino, visto che in questi due territori gli auspici si prendono in un unico modo; il ‘peregrino’ è chiamato così da pergere, cioè “progredire”, perché è il primo in cui si en-tra venendo dall’agro romano. Di conseguenza, anche il territorio gabino è ‘peregrino’, ma è distinto da-gli altri, perché gli spettano degli auspici speciali…;27

- Virgilio menziona il cinctus Gabinus, il

portamento della toga all’uso di Gabii, con un lembo fatto passare sotto il braccio destro e tirato su fino a coprire il capo;28

- Dionisio ricorda che Gabii gode della isopoliteia, “uguaglian-za dei diritti civili”, con Roma.29

In sostanza, Varrone ci informa che Gabii, assieme al suo territorio, pur essendo fisicamente “peregrino”, dal punto di vi-sta augurale è assimilato a Roma e al suo territorio; Dionisio ci

27 Varrone d.l.l. 5.33: ut nostri augures publici disserunt, agrorum sunt genera

quinque: Romanus, Gabinus, peregrinus, hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab Romulo; Gabinus ab oppido Gabiis; peregrinus ager pacatus, qui extra Romanum et Gabinum, quod uno modo in his seruantur auspicia; dictus peregrinus a pergendo, id est a progrediendo: eo enim ex agro Romano primum progrediebantur: quocirca Gabi-nus quoque peregrinus, sed quod auspicia habet singularis, ab reliquo discretus...

28 Virgilio Eneide 7.612. Riprendo la spiegazione del cinctus Gabinus da Conte et alii 2004, art. cinctus. 29 Dionisio a.r. 4.58.3

PARTE III – TARQUINIO

180

spiega che i cittadini di Gabii godono della uguaglianza dei di-ritti civili alla pari con i romani. Vediamo così come Gabii di-venta come una seconda Roma, l’alter ego – se si può dire – della Città eterna; e ci si può chiedere se i nostri testimoni non ci stiano dicendo che Roma è eterna in permanenza, Gabii è eterna provvisoriamente.

Quanto al cinctus Gabinus ricordato da Virgilio – ovvero il portare la toga “con un lembo fatto passare sotto il braccio de-stro e tirato su fino a coprire il capo” – esso rappresenta, con ogni probabilità, un atteggiamento a carattere apotropaico: il mantello, coprendo la testa, protegge l’organo e l’intera persona da sempre possibili e difficilmente prevedibili pericoli di prove-nienza celeste.

Del resto, occultando la visione del cielo, il mantello posto sopra la testa imita in qualche modo il gesto di Pericle narrato da Plutarco:

Quando le navi erano già state caricate e Pericle si era ormai imbarcato sulla propria trireme, vi fu un’eclissi di Sole, si fece buio e tutti ne furono spaventati come se si trattasse di un presagio importante. Allora Pericle, vedendo il timoniere sconvolto e incerto, alzò la toga da-vanti ai suoi occhi e, dopo averlo coperto, gli chiese se per caso conside-rava la cosa terribile o presagio di cose terribili. Dal momento che costui gli rispose di no, Pericle disse: ‘In che cosa, quindi, quello è diverso da questo, se non perché quello che ha provocato il buio è qualcosa di più grande di questa toga?’30 Certo è che il cinctus Gabinus deve essere indossato dal fondatore di una città o di una colonia durante il ri-to del sulcus primigenius (come si dice che abbia fatto lo stesso Romolo), dal console per l’apertura dello iugum Iani ogni qualvolta viene dichiarata una nuova guerra, dal comandante in capo per la deuotio sul campo di batta-glia e dai partecipanti alla processione lustrale degli amburbia.31 Sono tutte quante situazioni – è ben chiaro – in cui la sicu-

rezza, per non dire la vita, dei protagonisti deve essere tutelata al massimo, anche dall’ira improvvisa di una qualche ignota, e forse ostile, divinità.

30 Plutarco Vita di Pericle 35. 31 Becker et alii 2009, p. 629-42, con riferimento a A. Dubourdieu, Cinctus Gabi-

nus, in “Latomus” 45, 1986, p. 3-20.

181

Capitolo VI

Ancora su Gabii Per completare questo studio preliminare basterà aggiungere

qualche elemento geografico e geologico su Gabii e qualche da-to sui risultati degli scavi degli ultimi anni, portati avanti dal Gabii Project e dall’Università di Roma Tor Vergata assieme al-la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera.32

Intanto Gabii “sorge a XII miglia a est di Roma, su una stret-ta cengia delimitata a nord e a sud da due crateri vulcanici – ri-spettivamente il lago di Castiglione, già di Burano, e il lago Pantano… Il primo spezzone d’informazione viene da un’iscrizione in alfabeto greco graffita su un vaso estratto da una tomba datata, al più tardi, al primo quarto dell’VIII secolo a.C. (ciò che ne fa la più antica iscrizione rinvenuta nel Medi-terraneo occidentale)… Al di sotto dei livelli della tarda età re-pubblicana, sono stati rinvenuti resti di capanne datati tra tardo VIII e primo VII secolo…”33

Altri, e forse più importanti risultati, vengono dagli scavi sulla collinetta più a nord del cosiddetto santuario occidentale e consi-stono in “un vano di un edificio frequentato in età arcaica e obli-terato intenzionalmente da un consistente accumulo di pietre…

Si tratta di un impianto tripartito, con sala centrale più ampia e ambienti laterali con ingressi decentrati, preceduto da un im-pianto più antico, ancora poco indagato, realizzato, frequentato e abbandonato nell’ambito del VI secolo a.C.

32Sul Gabii Project, diretto da Nicola Terrenato, vedi: sitemaker.umich.edu/gabii-

project/home . Sugli scavi dell’Università di Roma Tor Vergata e della Scuola di Specializzazione in

Beni Archeologici di Matera, diretti da M. Fabbri e M. Osanna, vedi: www.unibas.it/ssa/index.php/gabii .

33 Becker et alii 2009, p. 629-42. I laghi di Castiglione e Pantano furono bonificati alla fine del XIX secolo.

PARTE III – TARQUINIO

182

Un dato straordinario è costituito dal tumulo in pietre che lo ricopre presupponendone una totale defunzionalizzazione…

Altrettanto significativi sono i dati acquisiti relativamente ad una sequenza di azioni rituali connesse verosimilmente alla inaugurazione del complesso. Nel vano 1 erano quattro fosse circolari, scavate nel banco, orientate secondo i punti cardinali e distribuite a distanze regolari: una stretta relazione esiste tra la fossa Sud e quella Ovest come documenta la ricostruzione dei processi deposizionali dei rispettivi riempimenti. All’interno della fossa Sud era una sepoltura neonatale in olla; nella fossa Ovest, erano diversi frammenti di una seconda analoga olla, in-tenzionalmente rotta per utilizzarne frammenti come chiusura della vicina deposizione infantile. Anche le fosse Nord e Est sono associabili, contraddistinte entrambe da tracce di fuoco, che rimandano a rituali che prevedevano la cottura di cibi. An-che gli altri due ambienti hanno restituito evidenti tracce di azioni rituali: nel vano 2 la presenza di due ollette inserite nella muratura non trova altra spiegazione se non in tal senso, mentre nell’angolo sud era una seconda sepoltura neonatale in olla, probabilmente deposta nel momento in cui venne intaccato il pavimento della fase precedente. Infine nel vano 3 sono state individuate tre ulteriori sepolture relative a feti o neonati, im-mediatamente al di sopra del pavimento della fase precedente, al momento della gettata della preparazione pavimentale di II fase.

Dell’arredo interno si conserva poco, ad eccezione di una base lapidea al centro dell’ambiente 3, sulla quale era un grande dolio conservato quasi interamente. Si segnala inoltre il rinve-nimento, all’interno dell’accumulo di pietre che obliterava i tre vani, di manufatti di pregio che rimandano inequivocabilmente ad attività cerimoniali. Della decorazione architettonica si con-servano frustuli di statue acroteriali e soprattutto una lastra at-tribuibile a un fregio della nota serie raffigurante il Minotauro associato a felini che, documentata a Roma nella Regia, nel Comizio e nel Campidoglio, è riconducibile alla celebre saga di Teseo, utilizzata da Servio Tullio per enfatizzare e legittimare il proprio potere.

Come dimostrano planimetria, tipologia e rimandi della de-corazione architettonica e arredo interno, si tratta di un edificio eccezionale, confrontabile con le coeve regiae note da Roma all’Etruria.

VI. Ancora su Gabii 183

In particolare a Gabi suggestiva è l’esistenza di una tradizio-ne letteraria che attesta la presa del potere, attraverso uno stra-tagemma, del figlio di Tarquinio il Superbo, Sesto Tarquinio. Considerata la presenza di figure tiranniche a Gabi nel VI sec. a.C non è escluso che il nostro edificio rappresenti proprio la regia di Sesto, o comunque di un tiranno che utilizza le stesse modalità di autorappresentazione della dinastia dei Tarquini.

Dalla medesima tradizione si deduce inoltre che con la cadu-ta della monarchia a Roma anche a Gabi viene scacciato il ti-ranno. Non sembra casuale che l’edificio venga distrutto inten-zionalmente e seppellito dal tumulo proprio sullo scorcio del VI sec., un evento che, evidentemente, viene a sancire la nascita di un nuovo assetto politico-istituzionale.”34

34 Fabbri-Osanna 2012, pp. 1-2.

185

Capitolo VII

Un primo riepilogo

Proviamo adesso a riepilogare, in una tabella, quanto detto fin qui:

BABILONIA ROMA

previsione di un’eclissi approssimarsi dell’eclissi

presagi negativi per il re presagi negativi per Tarquinio

shar puhi, “re di sostituzione” Regifugium e interrex, “interrè”

il sostituto gode di uno statuto elevato il sostituto è nipote del re Tarquinio Prisco

saklu, lo “sciocco” Brutus, “sciocco”

profetessa profetessa Pizia

profezia favorevole per lo “sciocco” profezia favorevole per Brutus

il re è spostato nel kersu, “l’isolato, il recinto”

la vicenda, col figlio del re, si sposta a Gabii

passano 100 giorni passano tre mesi e nove giorni, pari a 100 giorni

il “sostituto reale” viene ucciso il “sostituto reale” viene ucciso

grande pulizia del palazzo reale grande pulizia della casa di Vesta e della Regia

La tabella rende esplicito l’assoluto parallelismo tra il rituale

mesopotamico e il mito romano. Ma questo non basta a chiudere il discorso, perché occorre

aggiungere ancora qualche altro dato.