Nuda vita

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IN LIBRERIA A GIUGNO 2011

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Il corpo è quello di una ragazza qualunque, Delfina, che in seguito ad un incidente stradale entra in quel sonno profondo di cui non è dato sapere nulla. Chi rimane sveglio invece sono tutte le persone che dall’altre parte, in una stanza di ospedale, le ruotano intorno con un solo imperativo categorico: farla svegliare. E se fosse proprio lei a non volersi svegliare? Da una parte, i pensieri e le visioni di una giovane donna in coma. Dall’altra, la girandola di amici, parenti e familiari che si affollano sul guscio apparentemente vuoto della protagonista. Un'opera struggente di Daniela Frascati, che esplora su un duplice binario la vita e ciò che di essa rimane.

Transcript of Nuda vita

IN LIBRERIA A GIUGNO 2011

«Lei vive, in modo diverso da noi ma vive. Che ne sappiamo quanta intensità,quanta verità, c’è in una vita che si nasconde alla nostra comprensione ma è così forte dal resistere al dolore e all’isolamento di un corpo prigione».Il corpo è quello di una ragazza, Delfina, che in seguito a un incidente stradale entra in quel sonno profondo di cui non è dato sapere nulla.Chi rimane sveglio invece sono tutte le persone che dall’altra parte, in una stanza di ospedale, le ruotano intorno con un solo imperativo: farla svegliare.

Ma se fosse proprio lei a non volersi svegliare?

Da una parte, i pensieri e le visioni di una giovane donna in coma.Dall’altra, la girandola di amici, parenti e familiari che si affollano sul guscio apparentemente vuoto della protagonista.

Un’opera struggente di Daniela Frascati, che esplora su un duplice binario la vita e ciò che di essa rimane.

L’autrice:Daniela Frascati

Sono nata in Toscana, ho un figlio e una figlia,

il mio sole e la mia luna, e cinque gatti.

Impegnata da anni nelle politiche della

differenza di genere, ho ideato e condotto

per Radio Città Futura (1996) una trasmissione

dal titolo “Il Pane e le Rose” sulla cultura e il

pensiero femminista. Ho collaborato con

vari giornali territoriali. Vivo a Roma dove ho

lavorato come assistente parlamentare.

Daniela Frascati

Nuda Vita

I libri editi da Absolutely Free sono distribuitida NDA di Editoria&Ambiente srl

Via Pascoli, 32 - 47853 - Cerasolo Ausa di Coriano (RN)

Io sono il mio sonno e il mio sonno è me. A volte mi sento chiamare attraverso fessure di luce, ma sono voci arruffate, come di morti che cercassero un sortilegio per riprendersi la vita.Eppure sono quasi felice in questa quiete buia.Molto più felice di prima. La mia memoria è sempre stata scadente, e allora l’ho cancellata. Farei confusione con nomi, volti, oggetti. Ho lasciato andare tutto. I ricordi di prima si porterebbero dietro la natura imperfetta di quella che ero.Ora vivo in un incondizionato stato di grazia e non permetto che niente graffi la mia perfezione. Entrarvi è stata un’esperienza dolorosa. Ma più nessuno potrà indurmi a uscire. All’inizio è stato faticoso. Mi chiamavano in continuazione. Avevo la fastidiosa sensazione che si indaffarassero attorno a me. Percepivo carezze e impressioni di caldo e freddo; musiche e rumori violenti, ripetuti a scansioni talmente precise che non potevano essere casuali. Stavano mettendo in atto una strategia per attirarmi fuori. In quei momenti soffrivo molto, era una tortura alla quale non potevo ribellarmi. L’unica possibilità di resistere era continuare ostinatamente a dormire e utilizzare per me queste interferenze. Loro cercavano un codice con cui violarmi, io dovevo utilizzare quei segni per dare forma a un pensiero con

cui rappresentare a me stessa il sonno e ciò che stava al di là di esso.Qualche volta, riuscivano a farmi aprire gli occhi. In quello scarto in cui il sonno si separava da me possedevo una straordinaria attitudine alla sofferenza. La luce leggera della stanza dava forma al caos, e bastava il contorno impreciso di una fisionomia per ferirmi e insinuare, nel dormiveglia dove galleggio senza desiderio alcuno, un subbuglio di infelicità. Così, ho imparato che la luce è dissoluzione e il buio compattezza. Una monade refrattaria e difesa dalle pareti spesse di un’oscurità che non finisce mai. Questa sorta di schizofrenica consapevolezza mi ha dato la certezza che al di là di me e del mio sonno, qualcosa di ingovernabile c’è davvero e, allora, mi aggrappo alla pienezza che mi appartiene, qui, dove il sonno l’ha cresciuta. Prima, c’era un prima e un dopo. Niente era mai uguale a se stesso. Ogni cosa sfuggiva al suo senso e aveva bisogno di essere costantemente ridefinita. Nel mio sonno, invece, tutto è in marcia e nello stesso tempo in sospensione. Dove sono ora a nessuno è permesso di entrare. Sono serrata in una fortezza notturna e inespugnabile e il corpo, quel luogo faticoso e ingabbiato che tratteneva le mie paure, ha ceduto al buio e all’assenza. Io vivo centrata in questo

nascondiglio morbido e nero come il velluto. Perché volete portarmi via da qui? Il mio sonno è il tempo dentro il tempo. E, dunque, è un tempo immenso, quanto può essere immenso il buio, che non sai dove comincia e dove finisce. C’è, e basta. Anch’io ci sono e mi basto.

«Ieri sera ha aperto di nuovo gli occhi». «Dio sia ringraziato», esclamò Fiore.«Abbiamo fatto di nuovo gli accertamenti. Tra un po’ arriveranno le risposte. Ci sono evidenze a conferma che sta in una fase di passaggio. È entrata in quello che chiamiamo stato vegetativo persistente. Da qui il percorso si biforca di nuovo, potrebbe migliorare ancora», e fece una pausa come a scusarsi per quello che avrebbe aggiunto, «oppure, purtroppo, stabilizzarsi in questa condizione, e la persistenza diventare permanenza. Allora, il risveglio, sarà sempre più difficile. È proprio in questa fase che dobbiamo intensificare gli stimoli. Di qualsiasi genere. Terapeutici, sensoriali, affettivi».«Dottore, non so come ringraziarla per quanto state facendo e per il sostegno che mi date».«Non deve ringraziarmi, signora Rinaldi. Stiamo combattendo una sfida, ognuno con le proprie armi. Lei

continui a starle vicino, a parlarle, a carezzarla. Ogni minimo spiraglio può diventare la porta attraverso la quale restituirla alla coscienza. Non vorrei darle inutili speranze ma, forse, sta accadendo il miracolo che abbiamo aspettato per due mesi e, più che mai, tener duro. Ora finisco il mio giro, ritornerò appena avrò i risultati».«Sì, sì, vada. Resto io con lei».Poggiò il cappotto sul ripiano del tavolino in fondo alla parete e, in punta di piedi, s’avvicino al letto della figlia. Contemplò il volto pallido di Delfina. La pelle sottile, quasi trasparente, tirata sugli zigomi, la faceva sembrare più adulta. «Povera piccola», bisbigliò, carezzandole la fronte, «sono la tua mamma. Riesci a sentirmi?». Avvicinò piano la sedia al letto. Anche se i rumori e i suoni, in un certo senso, facevano parte della terapia, non riusciva a non fare attenzione. Da quando le avevano tolto il respiratore sembrava proprio che dormisse. «Sai, piccolina, sta arrivando la primavera e l’albero di mimosa sotto la tua finestra è gia fiorito? Stamattina la tua camera era invasa dal profumo, proprio come quando ti svegliavo per andare a scuola. Ti piace il profumo della mimosa, vero? Te ne ho portato un mazzo, lo metto qui, sul comodino, così potrai sentirne l’odore».

Le prese la mano e l’avvicinò alle labbra. Era appena tiepida. Una mano tanto fragile, eppure pesante e inerte, come non appartenesse a un corpo vivo.«Promettimi che ti sveglierai presto. Ti porterò a fare un lungo viaggio. Andremo in Irlanda. Quanto volevi andare in Irlanda, prima che succedesse! E poi, chiameremo tutti gli amici per festeggiare il tuo risveglio. Vengono spesso, sai. Portano regali, i cd con le canzoni che ti piacciono… È venuto anche Alberto, non ce la fa ancora a camminare bene, ma ha così insistito. Si è messo a piangere, è difficile sopportare di vederti così. Non poteva credere che non lo sentissi. Ma, a me, mi senti vero? Io sono la tua mamma, devi tornare, tornare da noi. Perché hai così sonno? Ti ricordi quando eri piccola, che non volevi addormentarti mai, e mi costringevi a cantarti la ninna nanna per ore? Non volevi dormire perché mi dicevi che nel sonno c’era l’Omone. Ti aspettava per portarti nel paese delle tartarughe giganti e, loro, ti risucchiavano dentro il guscio e ti tenevano prigioniera finché non tornava il giorno. È lì che ti tengono? È da lì che non puoi tornare? Ti prego Delfina, cerca di sentirmi. Se mi ascolti ritroverai la strada».Per un attimo, le sembrò che le ciglia vibrassero, come se volesse risponderle.«Ci sei? Mi hai sentito!? Dai, apri gli occhi. Guardami,

sono qui vicino a te. Stringimi la mano se puoi sentire».Trattenne il respiro e attese.

C’è una specie di profumo, come se in qualche parte di questa incavatura buia fosse fiorito un fiore. Qualcosa comincia a cambiare. Procedo lungo un confine estremo e pericoloso, dentro questa distanza eternamente vuota eppure colma di me. Io sono in quella misura sovrumana in cui si è per sé, al di là del bene e del male. Esisto in questa felicità che è assenza ma, a tratti, rimanda echi di un altrove dove non voglio più tornare. Ciò che mi confonde, in questo stato di grazia assoluta, è che, sempre più spesso, dal buio prende forma qualcosa di molesto e di confuso; pensieri e cose e luoghi che non mi appartengono. Come un disordine di nostalgia e leggerezza assieme.Allora mi accovaccio nel fondo di me e cerco il vuoto perfetto, conosciuto in quella dimensione che non ha parole per essere detta. Le prime volte, lì c’era il niente dal quale sono venuta. Ora, un dubbio atroce mi assale. E se fosse questo nulla assoluto a favorire l’invasione? Da dove arriverebbero i pensieri in questo buio che contiene solo se stesso se, dall’altra parte,

non avessero trovato un accesso per raggiungermi? Da dove vengono le immagini di luce che bucano la notte profonda che sto attraversando? Devo trovare un modo per non farmi prendere. Se il vuoto e l’assenza sono un richiamo, renderò questo luogo il luogo della pienezza. Raccoglierò la mia memoria, granello per granello, fino a farne materia tanto ingombrante e spessa da otturare la grandezza vuota di questa oscurità. Qui, nel mio sonno non posso ammettere interferenze. Voglio esistere concentrata in me, distillando il territorio oscuro e crudele dei ricordi dalla sofferenza che li contamina. Ma qui, in questa terra del vuoto. Qui, poiché di una cosa ho certezza. Fuori dal sonno, che mi vive ed è la mia vita, c’è dolore e dispersione. Per questo, prima, ero sempre e ovunque inconclusa e affamata d’amore. L’amore era una cosa calda e consolatoria. Ma durava il tempo di un bacio, di una carezza, di un toccamento. Dopo, lasciava una forma vuota che si riempiva di paure. Forse, per impedire che mi afferrino, devo afferrare i sogni; fare della loro inconsistenza la realtà del mio sonno. Se mi lascio sprofondare i sogni salgono dalla palude della memoria. Vengono su, alla superficie, e io li posso vivere come una doppia esistenza. Prima erano frammenti, impressioni che all’improvviso aprivano spiragli nel mondo profondo dell’anima.

Qui, sono stati il primo tramite, il segnale che quello stato di beatitudine originario al quale ero approdata attraversando il dolore fosse un’esperienza già consumata. Cosa mi dovevo aspettare? Alla fine, la sofferenza, l’impurità più terribile della carne, si è cancellata. Ogni sensazione dissolta, allontanata da me. Né dolore, né paura. Una voraginosa luce bianca e calda mi si è schiusa davanti. L’involucro che era stato il mio corpo giaceva abbandonato come un oggetto rotto in attesa di essere buttato via. Ma io era già lontana. Dentro un bagliore che mi dilatava. Ed era pienezza e calore. E scivolavano via i desideri. Poi, non galleggiavo più nel calore. La luce si richiudeva su di me, e implodeva in un grumo nero che mi afferrava il cuore. Finalmente l’assenza, il vuoto, la perfezione dell’essere nel non essere, poiché nessuna emozione poteva più governarmi e alterarmi. E ora, chi e perché assedia la casamatta di cristallo che contiene la mia essenza profonda?Devo resistere.

«Allora, dottore?», chiese Fiore. «Bene, ci sono i segnali che le zone dell’encefalo che prima apparivano velate, si stanno riattivando. Abbiamo

confrontato la risonanza magnetica di questa mattina con quella di martedì scorso. Il miglioramento si vede chiaramente. Dunque, i risultati delle analisi e le nostre osservazioni sembra coincidano».«È fuori? È uscita dal coma?», azzardò la donna, trattenendo il fiato.«No, questo no. Crediamo, però, che abbia percezione dell’esterno: in qualche modo i suoi sensi “sentono”, e la sua mente comincia a reagire agli stimoli».«Allora, perché non vedo nessun cambiamento? Non mi dia false speranze, la prego, non lo faccia. Preferisco una verità crudele piuttosto di rimanere attaccata all’illusione che potrà tornare a essere quella di prima.» «Mi ascolti, so che non è non è facile vivere in questa condizione di incertezza. Ciò che posso dirle è che ci sono stati di coma profondo dal quale non si esce più e, per qualche terribile maledizione, il corpo continua a vivere, anche quando stacchiamo il respiratore; anche se ci limitiamo a sostenerlo soltanto con l’alimentazione forzata. Ma la mente, i sensi, le connessioni tra il dentro e il fuori, sono saltate definitivamente. Nel caso di Delfina, ogni giorno di più, abbiamo le prove che queste connessioni ci sono. C’è una reazione allo stimolo del dolore. Delfina non ha perso il contatto con il mondo esterno. Le sue fibre nervose hanno reazioni che ci

sembrano normali, mandano impulsi alla corteccia cerebrale. E questo ci fa sperare, e vogliamo che lei continui a sperare, signora Fiore». Le prese le mani tra le sue con affetto. «Deve crederci signora... Non so quanto durerà l’attesa, ma Delfina ce la può fare. Certo, nessuno potrà garantirle che ritroverà la stessa figlia di prima. Potrebbe riaverla, ma il rischio che il coma abbia danneggiato parti del cervello c’è tutto. Ora, però, sappiamo che, dentro questo lungo sonno la sua coscienza è viva». «Va bene, voglio credere a quello che mi dice, anche se sono passati già due mesi e in certi momenti, la pena di vederla così mi ha fatto pensare che avrei preferito fosse morta. Saprò aspettare, non mollo, stia certo, non adesso», annuì con determinazione.«La sosterremo in tutti i modi. Da domattina porteremo la riabilitazione fisioterapica a due ore al giorno; tenere in esercizio la muscolatura, rende il corpo più ricettivo agli stimoli. Lei continui a parlarle, a carezzarla; crediamo che sua figlia già adesso è in grado di sentire. Dica anche al padre di venire, è importante che le persone che fanno parte della sua vita affettiva continuino a sollecitarla». «Se necessario, rimarrò anche la notte, non smetterò più di parlarle».«Beh, non esageri. Non vogliamo guarire la figlia

e lasciare che si ammali la madre. Delfina ha certo bisogno di sentire il suo amore ma, lei, non deve avere l’ossessione di essere sempre presente. La percezione del tempo, in quello stato, non è la stessa che abbiamo noi, e vale molto di più la qualità della sollecitazione che la continuità. È quasi ora di pranzo, vada a mangiare qualcosa. Accendiamo il registratore e lasciamo la musica a farle compagnia. La musica ha la misteriosa capacità di entrare in risonanza con le energie sottili del corpo e stimolare sensori neurocellulari che ancora non conosciamo, a volte con esiti sorprendenti».

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