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Diritto tributario svizzeroAveri clienti e cash pooling ................................................................................................

Diritto tributario italianoRegime “Pex” retroattivo anche per le ritenute sui dividendi in uscita ...........Quali sono gli effetti dell’interpello disapplicativo della disciplina CFC? .........

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroL’imposta cantonale sulla sostanzae la valutazione di titoli non quotati ...........................................................................

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UEIl regime fiscale italiano sui dividendi “in uscita”è discriminatorio in ambito UE ma non in ambito SEE? .................................

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Novità fiscaliL’attualità del diritto tributariosvizzero e internazionale

n° 12 - Dicembre 2011

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Riassunto

Proprio mentre il dibattito europeo sull’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Financial Transaction Tax, di seguito FTT) si fa sempre più acceso, la Confederazione svizzera muove un passo dietro l’altro in vista dell’abolizione delle tasse di bollo. Le con-tingenze storiche di medio e lungo periodo rendono molto credibili entrambe queste due parallele dinamiche, che potrebbero doppiamente avvantaggiare la piazza finanziaria svizzera. È proprio del 1. dicembre 2011 la notizia che il Consiglio federale intende abolire la tassa di emissione sia sul capitale di terzi sia sul capitale proprio. Questo articolo presenta brevemente il progetto di FTT europea, riassume la situazione attuale in materia di tasse sulle transazioni finanziarie nei Paesi europei, scorre la letteratura sugli effetti delle tasse di bollo finanziarie, contestualizza la tassa svizzera di negoziazione e rias-sume i ragionamenti che mirano ad una sua abolizione.

1. Introduzione

La crisi finanziaria internazionale manifestatasi con i primi crolli dei mutui subprime americani nel 2007 ed i successivi fallimenti bancari, primi fra tutti l’acquisto nel 2008 di The Bear Stearns Companies Inc. da parte di JPMorgan Chase & Co ed il fallimento nel mese di settembre 2008 di Lehman Brothers Holdings Inc., hanno in questi ultimi anni accelerato il peggioramento delle finanze pubbliche dei Paesi occidentali. Per evitare

fallimenti bancari a catena, i maggiori Stati occidentali si sono impegnati in questi ultimi quattro anni in ingenti misure di sostegno finanziario aumentando parecchio il proprio indebitamento. Inoltre, il sistema Euro ha permesso una marcata espansione del debito pubblico di molti Stati europei, grazie all’emissione di nuovi titoli di Stato utilizzabili dalle banche commerciali come garanzia per crediti lombard presso la Banca Centrale Europea. Come spiega Bagus (2010), senza questo meccanismo, unito alla convergenza verso il basso dei tassi d’interesse, non sarebbe possibile comprendere il finanziamento dell’ulteriore indebitamento greco, italiano, portoghese, spagnolo o irlandese negli ultimi dieci anni.

Anche se integrazioni monetarie più solide sono già avvenute nel passato, come nel periodo d’oro dell’Europa della seconda metà dell’800 (Einaudi 2001), la storia stessa ben mostra che non esiste costante più chiara dei fallimenti sovrani o perlomeno delle ristrut-turazioni del debito pubblico. Waibel (2011) parla della prossima ondata di fallimenti sovrani internazionali e spiega le pratiche degli ultimi 150 anni, mentre Reinhart e Rogoff (2009) forniscono un’incredibile quantità di dati e un’ottima visione d’insieme su 800 anni di fallimenti sovrani.L’esperienza storica insegna che al momento di un external default (ovvero un fallimento nei confronti degli investitori esteri) il rapporto tra debito pubblico di uno Stato e le sue entrate fiscali complessive si aggira tra il 3.5 ed il 4.5 (Reinhart e Rogoff 2009, pagina 121). Oggi in Occidente ci sono già casi oltre questa soglia. Rueff (1971), al momento del crollo di Bretton Woods, spiegò l’intrinseca instabilità di un sistema monetario con floating currencies e la naturale tendenza a generare un sistematico indebitamento non coperto da risparmi privati. Poiché i disequilibri di un eccessivo indebitamento vanno necessariamente in qualche modo corretti, in queste situazioni ci si può aspettare inflazione (Schuettinger e Butler 1979) o anni futuri di generale deleveraging deflazionistico (McKinsey Global Institute 2010), anche chiamata balance-sheet recession (Koo 2009) come avvenuto nelle imprese giapponesi in questi ultimi 20 anni.

La terza possibilità rimane ovviamente l’aumento del prelievo fiscale e l’introduzione di nuove tasse. Alla luce di questo contesto macroeconomico, l’introduzione di una FTT europea non dovrebbe stupire affatto. Per lo stesso motivo, viste le ben più solide finanze pubbliche elvetiche, un’abolizione delle tasse di bollo non pare per nulla azzardata.

L’abolizione della tassa di negoziazione svizzera e l’introduzionedi una Financial Transaction Tax europea

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Politica fiscale

La Svizzera prenderà due piccioni con una fava?

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2. La Financial Transaction Tax europea

Una tassa europea sulle transazioni finanziarie è da ormai un anno più di una semplice ipotesi. Le ragioni addotte a sostegno della FTT sono essenzialmente due. Innanzitutto la tassa vuole assicurare che il settore finanziario, che ha svolto un ruolo chiave nella crisi finanziaria, contribuisca adeguatamente al risanamento delle finanze degli Stati membri. In secondo luogo, la Commissione europea ritiene che la nuova tassa europea avrà quale effetto un’armonizzazione e quindi un rafforzamento del mercato unico dell’UE. Attualmente infatti già una decina di Stati membri hanno adottato, secondo modelli più o meno simili, una tassazione delle transazioni finanziarie, generando (nella mentalità della Commissione europea) possibili distorsioni della concorrenza.

Il 7 ottobre 2010 la Commissione europea (2010) pubblicò nella comunicazione COM/2010/549 possibili idee per una tassazione del settore finanziario. A questa comunicazione seguì il 22 febbraio 2011 il lancio della consultazione pubblica (Commissione europea 2011a). Dopo alcuni mesi di lavoro, il 29 giugno 2011 la Commissione europea (2011b) annunciò in occasione del multiannual financial framework l’intenzione di istituire la FTT quale fonte propria di risorse per il budget dell’UE. Per maggiori dettagli si veda la Commissione europea (2011c). Nel contempo la Commissione europea intende continuare a fare pressione per l’introduzione di una FTT a livello globale, come già menzionò ai suoi partner internazionali nel 2009 in occasione del G-20 a Pittsburgh e Toronto (Commissione europea 2011a).

Tutto ciò è sfociato il 28 settembre 2011 nella presen-tazione di una proposta concreta per una tassa sulle transazioni finanziarie nei 27 Stati membri (Commissione europea 2011g). Secondo la proposta della Commissio-ne europea, la nuova tassa dovrebbe essere implemen-tata dal 2014 e sarebbe prelevata su tutte le transazio-

ni tra istituti finanziari portanti su strumenti finanziari, quando almeno una delle parti è situata nell’UE. L’aliquota d’imposta sarebbe fissata da ogni singolo Stato membro dell’UE, ritenuto che gli scambi di azioni e obbligazioni sarebbero imposti ad un’aliquota minima dello 0.1%, mentre ai contratti derivati si applicherebbe un’aliquota minima dello 0.01%. Per maggiori informa-zioni si vedano il Citizens’ Summary della Commissione europea (2011e) e la presentazione della Commissione europea (2011f). Il gettito generato dalla tassa sulle transazioni finanziarie verrebbe diviso tra l’UE e gli Stati membri; un documento della Commissione europea (2011d) riassume la stima dell’impatto della FTT.La nuova tassa potrà interessare anche gli istituti finanziari svizzeri nella misura in cui questi effettuassero delle transazioni con controparti europee. Poiché il cantiere della FTT è tuttora aperto, per la nostra piazza finanziaria sarà importante monitorare l’evoluzione di questa nuova regolamentazione europea.

3. Le Security Transfer Taxes in Europa

Si è visto sopra che la Commissione europea critica l’attuale poliedricità delle tasse sulle transazioni finanziarie nei Paesi europei. Senza bisogno di espri-mersi in questa sede sulla presunta dannosità di una competizione dei sistemi fiscali, è utile avere sott’occhio la visione d’insieme della situazione europea e di quanto accaduto negli ultimi anni.

Secondo una nostra ricerca interna, nel 2011 i seguenti Paesi europei tassano in forme varie il trasferimento oneroso di titoli finanziari: Belgio, Cipro, Finlandia, Irlanda, Malta, Polonia, Portogallo, Regno Unito e Spagna. Ancor più interessanti sono le dinamiche degli ultimi anni, con l’Austria che ha abolito una tassa sulle transazioni finanziarie nel 2010, l’Italia che ne ha abolita una nel 2008, la Germania e la Svezia nel 1991 (per il caso svedese si veda in particolare la sezione seguente) ed i Paesi Bassi nel 1990.Tali tasse finanziarie variano in larga misura per quanto attiene modalità ed aliquote, basti pensare che in Portogallo si può arrivare al 4%, a Malta al 2% ed in Finlandia all’1.6%.In merito all’introduzione di una FTT europea, non tutti i governi nazionali sono d’accordo. Tra questi, si sono dichiarati contrari per esempio la Cechia, l’Irlanda, il Portogallo e parzialmente il Regno Unito. La proposta viene invece sostenuta o perlomeno attivamente discussa in Danimarca e Germania.

4. L’esperienza storica delle Financial Transaction Taxes

Un termine oggi molto comune per indicare una tassa sulle transazioni finanziarie è la cosiddetta Tobin Tax, che regolarmente riemerge come panacea per molti mali

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(Rocca 2011). Nel corso degli anni molti argomenti sono stati addotti in suo sostegno, e come esplicitamente affermato dalla Commissione europea (2011g) nel contesto attuale gli argomenti per la FTT sono rallentare la speculazione (mettere sabbia negli ingranaggi) e finanziare gli Stati membri.La Tobin Tax prende il nome dall’economista Premio Nobel James Tobin (1918-2002), che originariamente propose nei primi anni ’70 una tassa sulle transa-zioni valutarie per stabilizzare i mercati dei cambi (Wikipedia 2011). Dopo la fine, nel 1971, del gold exchange standard lanciato a Bretton Woods subito dopo la seconda guerra mondiale, il rischio di maggiore instabilità dovuto a monete liberamente fluttuanti era infatti cosa riconosciuta da molti economisti (Rueff 1971) e in questi ultimi 40 anni effettivamente manifestatasi. In realtà James Tobin si lasciò ispirare da Keynes (1936), che nel capitolo XII della sua General Theory propose l’introduzione di una sostanziale tassa sui trasferimenti in tutte le transazioni finanziarie che avrebbe contribuito a mitigare la predominanza della speculazione sopra l’impresa negli Stati Uniti d’America; in altre parole, la sabbia buttata negli ingranaggi della speculazione finanziaria. Negli ultimi 40 anni, il termine di Tobin Tax è stato esteso anche al di là della tassazione delle transazioni valutarie.

La letteratura scientifica si è preoccupata di studiare gli effetti empirici dell’introduzione di tasse sulle transazioni di titoli finanziari. Statisticamente non è dimostrato che delle tasse di bollo davvero diminuiscano la volatilità dei corsi finanziari, mentre è vero che per esempio l’aumento nel 1974 della stamp duty inglese dell’1% causò un crollo del volume di transazioni ed una riduzione del 3.3% del rendimento del FTSE All Share Index (Baldwin 2011). L’esempio più eclatante e ampiamente documentato rimane tuttavia la Svezia dei primissimi anni ‘90, che decise di introdurre una vera e propria Tobin Tax. Campbell e Froot (1994) spiegano nei dettagli l’evoluzione delle transazioni finanziarie in Svezia tra il 1. gennaio 1989 e il 1. dicembre 1991, il breve periodo di durata dell’imposta di bollo che nel 1990 aveva fatto migrare a Londra il 60% del volume delle 11 aziende più trattate ed il 50% del volume azionario svedese complessivo (Baldwin 2011). Campbell e Froot (1994) mostrano che gli investitori tipicamente reagiscono all’introduzione di una tassa di bollo migrando il luogo di transazione fuori dal mercato regolato o all’estero, sostituendo i titoli tassati con titoli dai profili reddituali simili non tassati, oppure semplicemente decidendo di commerciare meno ed accettare una riduzione dei rendimenti pur di ridurre la propria esposi-zione alla tassa di bollo, il che è coerente con la generale osservazione di un calo del volume di mercato (ma non della volatilità nei prezzi).Schwert e Sequin (1993), che pure tirano un bilancio delle esperienze empiriche sulle Security Transfer Taxes in vari Stati nel mondo, giungono alla conclusione che

non si possa dire se i vantaggi delle imposte di bollo siano maggiori dei danni creati. Va notato che in nessuna proposta storica di Security Transfer Tax negli Stati Uniti d’America si volle applicarla al mercato primario e secondario dei buoni del tesoro, a dimostrazione che lo Stato americano stesso ben era cosciente degli effetti negativi sulla liquidità causati da una tale tassa e del conseguente aumento dei costi di finanziamento per l’emittente, soprattutto nel caso di titoli a corto termine. Sempre secondo Schwert e Sequin (1993), la liquidità dei mercati primari è essenziale per permettere una liquidità nel mercato dei derivati, che necessitano di un continuo hedging attraverso i primi.In conclusione, l’esperienza in materia di tasse sulle transazioni finanziarie mostra che i mercati finanziari si spostano verso altri Paesi o spariscono del tutto e che il volume borsistico, gli spread tra bid e ask e la volatilità vengono toccati in modo considerevole (Schwert e Sequin 1993).

5. La tassa svizzera di negoziazione

La Svizzera possiede una Security Transfer Tax, la tassa di negoziazione, che accanto alla tassa di emissione e alla tassa sui premi di assicurazione è una delle tasse di bollo regolate dalla Legge federale sulle tasse di bollo del 27 giugno 1973 (di seguito LTB). Secondo l’articolo 13 capoverso 1 LTB, la tassa di negoziazione è dovuta quando avviene il trasferimento a titolo oneroso (secondo il capoverso 2 lettera a) di diritti di parte-cipazione svizzeri (azioni, quote sociali, eccetera), di obbligazioni, o di quote di investimenti collettivi di capitale ai sensi della Legge federale del 23 giugno 2006 sugli investimenti collettivi di capitale. Sono parimenti imponibili (secondo il capoverso 2 lettera b) i titoli emessi da una persona domiciliata all’estero equiparabili nella loro funzione economica a quelli di cui sopra. L’articolo 13 capoversi 3, 4 e 5 identifica, tra i tanti gene-ri di negoziatori tenuti a pagare la tassa di negoziazio-

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ne, in particolar modo le banche e le società finanziarie affini, i negoziatori o i mediatori del commercio o della compravendita di documenti imponibili, nonché ulteriori negoziatori finora non menzionati (per esempio istituzioni pubbliche, istituti svizzeri di previdenza professionale, società di capitale, eccetera), i cui attivi sono composti per oltre 10 milioni di franchi dai suddetti documenti imponibili.La base di calcolo è il controvalore e la tassa di negoziazione corrisponde a 15 punti base (0.15%) per i titoli emessi da persone domiciliate in Svizzera e a 30 punti base (0.3%) per i titoli esteri. La tassa incombe al negoziatore di titoli, che se in qualità di mediatore deve metà tassa per ogni contraente non registrato come negoziatore o non esentato dalla tassa, così come se in qualità di contraente deve metà tassa per sé stesso e la controparte non registrata o non esentata dalla tassa.

Per quanto la tassa di bollo possa sembrare onnicom-prensiva, questa conosce già oggi molte eccezioni riportate nell’articolo 14 LTB. Ci sono per esempio molte transazioni esenti, come l’emissione di diritti di parteci-pazione, di obbligazioni, di titoli del mercato monetario o di quote di investimenti collettivi di capitale svizzeri. È pure esente l’emissione di diritti di partecipazione stranieri e di obbligazioni straniere, ma non l’emissione di quote di investimenti collettivi di capitale straniere (una misura atta a privilegiare il mercato svizzero dei fondi d’investimento). Transazioni parimenti esenti dalla tassa di negoziazione sono la mediazione o l’acquisto e la vendita di obbligazioni straniere fintanto che il compra-tore o il venditore è un contraente straniero; si tratta di un’importante eccezione volta ad aumentare l’attrattività del mercato svizzero per investitori stranieri, origina-riamente introdotta nel 1999 come misura urgente nel campo della tassa di bollo, estesa come misura urgente fino al 31 dicembre 2005 e da lì in poi ripresa come diritto ordinario. Con l’introduzione della Legge federale sulle fusioni, dal 1. luglio 2004 anche le ristruttu-razioni (fusione, scissione, trasformazione) rientrano tra

le importanti transazioni esenti dalla tassa di bollo. Come ultimo esempio di transazioni esentate dalla tassa di bollo si pensi alle transazioni legate allo stock commer-ciale (posizioni per trading) di negoziatori professionali quali banche o negoziatori di titoli.L’attuale esenzione dalla tassa di bollo riguarda pure alcuni generi di prodotto, sempre elencati all’articolo 14 LTB, come il commercio di titoli del mercato monetario svizzeri ed esteri (purché abbiano una durata sotto i 12 mesi) o il commercio di diritti d’opzione (Bezugsrechte). Da ultimo non si dimentichi che pure determinati generi di investitori sono esentati dalla tassa di bollo. Fondamentalmente se ne trova una lista all’articolo 17a LTB e nella fattispecie pensiamo a Stati e a banche centrali straniere, a banche ed agenti di borsa stranieri (articolo 19 LTB), agli investimenti collettivi di capitale svizzeri ed esteri, agli istituti esteri delle assicurazioni sociali e di previdenza professionale, alle società d’assicurazione sulla vita estere soggette a un disciplina-mento equivalente a quello svizzero, alle società estere le cui azioni sono quotate a una borsa riconosciuta, nonché alle loro società estere consolidate.Oltre alle esenzioni fondamentali previste dalla Legge federale sulle tasse di bollo e qui brevemente ricordate, non si dimentichi che in sede di ruling fiscale con le autorità federali è possibile negoziare l’esenzione dalla tassa di negoziazione per una serie di casistiche molto particolari, la cui presentazione oltrepassa lo scopo del presente articolo.

6. La proposta di abolizione delle tasse di bollo in Svizzera

Nel 2011 i lavori in vista di un’abolizione delle tasse di bollo in Svizzera sono notevolmente avanzati ed intendiamo riassumerne in questa sezione la situazione attuale. Va innanzitutto ricordato che già nel passato le molte esenzioni di cui sopra sono state incluse nella Legge federale sulle tasse di bollo allo scopo di migliorare l’attrattività della piazza finanziaria svizzera. In effetti, il trend di lungo corso della Svizzera è esattamente opposto a quello osservabile nell’UE presentato all’inizio del presente articolo che sta portando all’introduzione della FTT europea.

Dal 1990 sono in atto a livello federale varie riforme e tentativi di riforma della tassazione aziendale; Rohner, Schönenberger e Flückiger (2005) ne danno un’ottima visione d’insieme. Per quel che ci riguarda in questa sede, nell’aprile 1993 vi fu un’importante riforma delle tasse di bollo che aveva lo scopo di rendere nuovamente attrattiva la piazza finanziaria svizzera. In quell’occasione venne abolita la tassa di negoziazione su molte attività finanziarie e parimenti la tassa di emissione sulle quote di fondi d’investimento svizzeri, nei casi di ristrutturazione di aziende svizzere e qualora società estere venissero ridomiciliate in Svizzera. Come misura compensatoria

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venne reintrodotta la tassa di emissione sulle obbligazioni svizzere e sui titoli svizzeri del mercato monetario, nonché venne estesa la definizione di negoziatore a tutti gli investitori istituzionali. Malgrado tali misure compensatorie, la riforma di aprile 1993 comportò una minore pressione fiscale nell’ordine di 420-425 milioni di franchi annui.

Nel 1999 entrarono in vigore ulteriori misure contro la tassa di negoziazione. Il decreto urgente del 1999 (già menzionato nella sezione precedente) intendeva mantenere la competitività del settore finanziario e riconquistare le attività legate agli eurobond. Come ricordato da Rohner, Schönenberger e Flückiger (2005), i negoziatori svizzeri ed esteri vennero equiparati e l’esenzione della tassa di negoziazione si estese ai clienti esteri nonché ai commerci effettuati sulla borsa dei derivati Eurex. Secondo alcune stime le minori entrate dovrebbero esser state compensate dall’aumento dei volumi.

La tendenza al progressivo contenimento dell’impatto delle tasse di bollo svizzere è diventata chiara con un rapporto del 5 aprile 2011 di un gruppo di lavoro dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC [AFC 2011]) sulla soppressione graduale delle tasse di bollo. In effetti, nel passato molti atti parlamentari hanno cercato di promuovere un radicale cambiamento in tal senso; l’ultimo, a titolo di esempio, fu la mozione n. 09.4108 “Soppressione graduale della tassa di bollo e creazione di posti di lavoro” del 9 dicembre 2009 da parte del Consigliere agli Stati Rolf Schweiger, che chiedeva entro il 2011 la soppressione delle tasse di emissione su titoli di capitale proprio e di terzi, e della tassa di bollo sui premi di assicurazione, e poi la soppressione della tassa di negoziazione entro il 2016.Le 157 pagine del rapporto dell’AFC (2011), disponibile solo in tedesco con un riassunto anche in francese, descrivono in modo estremamente dettagliato motivazioni, tempi ed impatti finanziari di un’abolizione delle tasse di bollo. L’AFC (2011) si orienta essenzial-mente ai due criteri di giudizio legati all’efficienza e all’attrattività internazionale. Con efficienza si intende che il sistema di tassazione non crei particolari distorsioni negli incentivi degli attori economici e, a tale proposito, il rapporto è molto esaustivo. Secondo l’AFC (2011) stessa, la tassa di negoziazione distorce da un punto di vista nazionale l’offerta di titoli finanziari in due modi: (i) au-mentando i costi di finanziamento degli emittenti (poiché, essendo poi le transazioni tassate, gli investitori richiedono una maggiore rendita compensatoria) e (ii) distorcendo la scelta delle modalità di finanziamento, dato che sono tassati titoli di capitale proprio ed obbligazioni ma non i crediti bancari o i titoli di mercato monetario. Per quanto riguarda la domanda di titoli finanziari, l’AFC (2011) nota tre generi di distorsione: (i) la tassa di negozia-zione aumenta il carico fiscale sui guadagni da risparmi,

(ii) distorce la scelta tra gli strumenti di investimento, ed (iii) induce un effetto lock-in secondo cui gli investitori ribilanciano i propri portafogli meno spesso di quanto sarebbe per loro corretto fare. Anche sul piano dell’attrattività internazionale non mancano secondo l’AFC (2011) distorsioni, che colpiscono soprattutto i mediatori finanziari (un effetto tuttavia contenuto alla luce di quanti investitori stranieri generano volume attraverso banche svizzere). Il vero problema è che la tassa di negoziazione riduce il volume di transazione e così la liquidità del mercato finanziario svizzero.

I summenzionati criteri, unitamente a considerazioni legate alla liquidità dei singoli mercati finanziari (obbli-gazioni, azioni sul mercato secondario, eccetera) portano l’AFC (2011) a proporre una precisa sequenza di categorie finanziarie progressivamente esentate dalla tassa di negoziazione (una prioritizzazione simile, qui non riportata, riguarda la tassa di emissione).Un approccio graduale presenta l’abolizione della tassa di negoziazione nel 2016 sulle obbligazioni svizzere, nel 2017 sui titoli svizzeri per investitori svizzeri e stranieri, e nel 2018 sui titoli stranieri per investitori svizzeri e stranieri. Un secondo approccio più radicale prevede invece l’abolizione della tassa di negoziazione sulle obbligazioni svizzere già nel 2014 e sulle rimanenti categorie di titoli nel 2015.

Il rapporto di lavoro dell’AFC (2011) si preoccupa parimenti delle misure accompagnatorie atte a compensare le minori entrate fiscali causate dall’a-bolizione delle tasse di bollo. Nel caso dell’approccio graduale si propone di prolungare anche dopo il 2017 la maggiorazione dell’IVA attualmente introdotta a vantaggio del risanamento dell’assicurazione invalidità, nonché di rendere soggette ad IVA dal 2017 anche le commissioni per i servizi finanziari. Qualora si intendesse premere l’acceleratore con l’approccio radicale di un’abolizione delle tasse di bollo entro il 2015, l’AFC (2011) propone di introdurre dal 2014 una tassa sul

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CO2 sui carburanti, di 30 centesimi al litro di carburante, oppure un innalzamento generalizzato dello 0.4% dei tassi IVA dal 2014, oppure l’introduzione di un’imposta federale di successione e di donazione, oppure l’introdu-zione di un’imposta federale sulla sostanza, o ancora di aumentare del 20% l’attuale carico dell’imposta federale diretta.

Tutte queste informazioni mostrano che, oltre alle favorevoli contingenze storiche delle finanze pubbliche svizzere (al contrario di quelle dei Paesi europei), le intenzioni di muoversi verso un’abolizione della “Tobin Tax svizzera” sono più che serie e le alternative possibili riflettute nei minimi dettagli.

In merito al rapporto dell’AFC (2011), il Consiglio federale (2011) si è espresso il 1. dicembre 2011 confermando la volontà di abolire la tassa di emissione anche sul capitale proprio (in seno alla riforma della tassazione delle imprese III già si prevede l’abolizione della tassa di emissione sul capitale di terzi), pur tuttavia intendendo mantenere la tassa sui premi di assicurazione e la tassa di negoziazione mancando, secondo il Consiglio federale (2011), proposte di controfinanziamento che siano sostenibili da un punto di vista delle finanze pubbliche. Per quanto a prima vista possa sembrare chiaro, il comunicato del Consiglio federale (2011) è con tutta probabilità volutamente ambivalente, considerando l’attuale contesto politico. Da una parte, alla luce delle pressioni che la Commissione europea sta da qualche mese esercitando sulla Svizzera in materia di fiscalità del risparmio, il Consiglio federale non ha nessun interesse a profilarsi in modo aggressivo. D’altra parte non va dimenticato che tale comunicato stampa è uscito solo due settimane prima delle elezioni del nuovo Consiglio federale (che si sono tenute il 14 dicembre 2011) nelle quali

gli equilibri politici era appunto in discussione. In realtà, benché il Consiglio federale (2011) abbia affermato di non voler (ancora) abolire la tassa di negoziazione, la sua mossa è perfettamente coerente con la proposta formulata dall’AFC (2011), che prevedeva dapprima l’abolizione della tassa di emissione.

7. Conclusioni

In un loro recente libro, Breiding e Schwarz (2011) hanno enucleato gli elementi fondamentali del successo economico svizzero, tra i quali è risaputo il ruolo giocato dal settore finanziario. Non è cosa nuova che le autorità politiche e fiscali svizzere abbiano un occhio di riguardo per questo importante, ma pure molto sensibile, settore economico. Da più di 20 anni le imposte di bollo sono state progressivamente smussate per non danneggiare troppo l’attrattività della piazza finanziaria elvetica, e chiari segnali lasciano presagire che ancora entro questo decennio la Svizzera potrebbe abolire completamente le tasse di bollo (tassa di emissione, tassa di negoziazione e tassa sui premi di assicurazione).Tale dinamica si innesta sulle contingenze storiche europee che vanno esattamente nella direzione oppo-sta e che lasciano presagire l’introduzione di una FTT continentale, attivamente promossa dalla Commissione europea con l’argomento di far pagare il conto delle spese pubbliche della crisi finanziaria al settore finan-ziario, di finirla con la concorrenza (“armonizzazione”) in materia di tasse di bollo nei Paesi europei, di gettare sabbia negli ingranaggi della speculazione finanziaria (l’idea alla base della Tobin Tax) e, forse la motivazione principale, introdurre finalmente un finanziamento diretto per il budget della Commissione europea.Le tensioni all’interno dell’UE sicuramente non mancano e non si sa se e quando la FTT verrà introdotta. Se tuttavia la Svizzera procederà imperterrita sulla strada finora tracciata, tra qualche anno la piazza finanziaria svizzera potrebbe godere di un’attrattività internazionale molto interessante. In modo non diverso da quanto generalmente accaduto nei suoi 700 anni di storia (Steinberg 1996), anche questa volta la Svizzera si sarebbe adeguata al contesto circostante pur mante-nendo saldamente nelle proprie mani quel Swiss finishing che le permette di meglio calibrare le proprie strut-ture. In un comunicato stampa del 1. dicembre 2011, il Consiglio federale (2011) ha già mosso il primo passo ufficiale annunciando la volontà di abolire integralmen-te la tassa di emissione. Rimane ora aperta la domanda se e quando anche la tassa di negoziazione verrà in futuro soppressa. Determinanti saranno gli sviluppi europei e la linea politica che il Consiglio federale eletto dall’Assemblea federale lo scorso 14 dicembre 2011 deciderà di intraprendere. Al di là di queste contingenze, il quadro complessivo descritto in questo articolo sembra dare interessanti spunti di riflessione.

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Per maggiori informazioni:

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http://www.estv.admin.ch/dokumentation/00075/ 00803/index.html[21.12.2011]

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Commissione europea – 2011e; Citizens’ summary, proposal for a Financial Transaction Taxation (FTT), 2011, in:

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Commissione europea – 2011f; The Commission proposal for a Council Directive on a common system of FTT, 2011, in:

http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/ taxation/other_taxes/financial_sector/ftt_proposal_en.pdf [21.12.2011]

Commissione europea – 2011g; Proposal for a Council Directive on a common system of Financial Transaction Tax and amending Directive 2008/7/EC, COM/2011/594, 2011, in:

http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/taxation/other_taxes/financial_sector/com(2011)594_en.pdf[21.12.2011]

Consiglio federale; Il Consiglio federale vuole sopprimere la tassa di emissione e mantenere le altre tasse di bollo, 2011, in:

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Einaudi Luca; Money and politics, European monetary unification and the international gold standard (1865-1873), Oxford University Press, 2001

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Dr. Paolo PaminiDocente in Law & Finance, ETH ZurigoAssistant Consultant, Taxand Legal Services, PwC Lugano

[email protected]@ethz.ch

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http://www.aargauerzeitung.ch/schweiz/schweiz-waere- ohne-stempelsteuer-attraktiverer-standort-110208033/asset/0/@@teaserImage/detail[21.12.2011]

http://www.nzz.ch/images/paradeplatz_fullSize_ 1.2613447.1243149950.jpg[21.12.2011]

http://www.20min.ch/dyim/6b89d4/B.M600,1000/images/ content/1/9/7/19724146/3/topelement.jpg [21.12.2011]

http://debatare.de/wp-content/uploads/2010/10/schweizparlament.jpg[21.12.2011]

Luca PoggioliEsperto fiscale diplomatoDirettore, Tax and LegalServices, PwC Lugano

[email protected]

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1. Introduzione

Lo scorso 26 luglio 2011, l’AFC ha pubblicato la nuova Circolare n. 34 in materia di imposta preventiva, che ha lo scopo di definire le regole applicabili ai cosiddetti “averi di clienti”.Eccezion fatta per due aspetti, che saranno approfonditi in seguito, questa Circolare è assolutamente identica al “Promemoria averi clienti (aprile 1999) S-02.122.2” che viene appunto sostituito, con effetto immediato, dalla nuova Circolare n. 34.

L’articolo 4 capoverso 1 lettera d della Legge federale sull’imposta preventiva (di seguito LIP) stabilisce che i redditi da averi di clienti sono soggetti all’imposta preventiva. Ai sensi della LIP, vengono considerati averi di clienti i crediti generati da depositi presso banche o casse di risparmio svizzere, come averi da risparmi, depositi, conti correnti, conti vincolati, conti a chiamata, conti stipendi, prestiti di azionisti, eccetera.Le condizioni d’inizio dell’assoggettamento sono però, in questo contesto, subordinate alla qualifica di banca e cassa di risparmio ai sensi della LIP, ed è proprio in questo ambito che la nuova Circolare n. 34 ha portato dei cambiamenti significativi.

Innanzitutto, il diritto dell’imposta preventiva conosce un proprio concetto di banca, che viene definito all’articolo 9 capoverso 2 LIP, secondo cui “si considera banca o cassa di risparmio chiunque si offre pubblicamente di accettare denari fruttiferi o accetta in modo continuo denari dietro interesse”.

Nello specifico, l’inizio dell’assoggettamento è dato in due casistiche:

a. per le banche e casse di risparmio che, secondo la legislazione bancaria, offrono pubblicamente di accettare denari dietro interesse, l’obbligazione fiscale inizia con l’assunzione dell’attività; in questo contesto nulla è cambiato rispetto al “Promemoria averi clienti (aprile 1999) S-02.122.2”;

b. per le banche e casse di risparmio ai sensi dell’articolo 9 capoverso 2 LIP, che accettano in modo continuo denari dietro interesse, l’obbligo fiscale inizia invece non appena la consistenza dei creditori supera il numero di 100 e, cumulativamente, l’ammontare del debito è di almeno 5 milioni di franchi svizzeri.

Nel numero di creditori non vanno considerate le banche svizzere ed estere ai sensi della legislazione in materia di banche vigente alla loro sede.

Le modifiche introdotte dalla nuova Circolare si riconducono proprio all’estensione delle condizioni formali relative all’inizio dell’assoggettamento di una banca o cassa di risparmio ai sensi della LIP (punto 4 della Circolare).Queste condizioni formali si sono nel tempo viepiù allargate, infatti, secondo il vecchio “Promemoria averi clienti (aprile 1999) S-02.122.2”, che poneva condizioni più restrittive rispetto a quelle attuali, la qualifica di banca e cassa di risparmio era data al superamento del numero di 20 creditori ed un ammontare del debito pari ad almeno mezzo milione di franchi.

2. Il cash pooling

2.1. Introduzione

Dal punto di vista della pianificazione finanziaria una delle importanti possibilità concesse dall’introduzione della nuova Circolare è legata all’impiego in Svizzera, da parte di grossi gruppi di società anche multinazionali, del cash pooling per gestire la tesoreria di Gruppo; opportu-nità che in precedenza era purtroppo penalizzata da un elevato carico fiscale.

In generale, la coordinazione della tesoreria di un gruppo aziendale risulta essere parecchio onerosa. In effetti da una parte le eccedenze passive che possono interessare alcune entità di un gruppo sono colpite da alti interessi debitori, mentre eventuali eccedenze di liquidità sono remunerate da esigui interessi attivi.

Recente evoluzione in materia di imposta preventiva

Diritto tributario svizzero

Averi clienti e cash pooling

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A livello internazionale spesso sorgono problemi nell’ambito della gestione della tesoreria legati a sistemi bancari diversi, costi di trasferimento elevati e, non da ultimo, rischi sul cambio della valuta; a maggior ragione in questi periodi d’incertezza.Il cash pooling rappresenta una valida risposta nell’am-bito della gestione della tesoreria, permette infatti di “condensare” i saldi di conto corrente attivi e passivi di ogni singola società facente parte di un gruppo economico in unico soggetto giuridico, con una conseguente gestione centralizzata e meno dispendiosa della liquidità.Questa pratica permette di evitare possibili squilibri finanziari riconducibili ad ogni singola entità facente parte del gruppo. Infatti, la compensazione consente di conseguire un considerevole risparmio di interessi passivi e di finanziare indirettamente le realtà che presentano una posizione passiva nei confronti delle banche, evitando di ricorrere a capitali estranei al gruppo. In aggiunta, la gestione di tutta la liquidità mediante un’unica entità giuridica ed un unico istituto finanziario permette, tra le altre cose, un considerevole risparmio di costi di trasferimento dei capitali e permette altresì di poter negoziare con eventuali istituti finanziari terzi delle condizioni più favorevoli, dettate dall’entità totale della liquidità (economia di scala).

Il contratto di cash pooling è strutturato come segue:

• la società che si occupa della gestione della tesoreria di tutto il gruppo stipula, su mandato delle altre società del gruppo, un accordo con un istituto finanziario per aprire un conto corrente dove saranno trasferiti, virtualmente o fisicamente, i saldi, positivi e negativi, dei conti di ogni società;

• da notare che, comunque, ogni società mantiene la sua posizione debitoria o creditoria personale. Tutti questi passaggi sono regolati contrattualmente.

Nella pratica il cash pooling viene attuato principalmente con tre diversi sistemi:

a. Notional Cash Pooling,

b. Zero Balance System e

c. Account Sweeping.

In ogni caso, qualunque sistema venga scelto, il cash pooling permette di realizzare risparmi non indifferenti nella gestione della liquidità, ed è quindi un metodo particolarmente conveniente quando si tratta di coordi-nare rapporti di conto corrente all’interno di un gruppo.

2.2. L’evoluzione delle normative fiscali e le relative conseguenze

Prima dell’introduzione della nuova Circolare questa pratica non era particolarmente interessante in Svizzera. Infatti il cash pool leader elvetico, superata la (esigua) cifra di 20 creditori, era qualificato quale banca e cassa di risparmio ai sensi della LIP e, di conseguenza, gli interessi legati a questa attività erano assoggettati all’imposta preventiva, con tutte le conseguenze tributarie del caso. I gruppi svizzeri, a causa di questa prassi fiscale, erano quindi costretti a concentrare le funzioni di cash pool leader all’estero per non dover sopportare i costi derivanti dall’assoggettamento degli interessi all’imposta preventiva. L’articolo 15 dell’Accordo del 26 ottobre 2004 tra la Confederazione Svizzera e la Comunità europea che stabilisce misure equivalenti a quelle definite nella Direttiva del Consiglio n. 2003/48/CE, del 3 giugno 2003, in materia di tassazione dei redditi da risparmio (Accordo sulla fiscalità del risparmio, di seguito AfisR), ha portato modifiche rilevanti in relazione al pagamento di dividendi, interessi e canoni tra società, introducendo uno “sgravio fiscale” interessante anche nell’ottica del cash pooling.In particolare l’articolo 15 capoverso 2 AfisR prevede che i pagamenti di interessi e di canoni effettuati tra società consociate o le loro stabili organizzazioni non siano sog-getti a imposizione fiscale nello Stato d’origine quando:

a. tali società sono collegate da una partecipazione diretta minima pari al 25% per almeno due anni o sono entrambe detenute da una terza società che detiene direttamente almeno il 25% del capitale, tanto della prima, quanto della seconda società, per un periodo minimo di due anni; e

b. una delle società ha la residenza fiscale, o una stabile organizzazione è situata, in uno Stato membro e l’altra società ha la residenza fiscale, o l’altra stabile organizzazione è situata, in Svizzera; e

c. nessuna delle due società ha la residenza fiscale, o nessuna delle stabili organizzazioni è situata, in uno Stato terzo sulla base di un accordo in materia di doppia imposizione con tale Stato terzo; e

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d. tutte le società sono assoggettate all’imposta diretta sugli utili delle società senza beneficiare di esenzioni, in particolare con riguardo ai pagamenti di interessi e di canoni, e adottando la forma di una società di capitali senza beneficiare di esenzioni.

Nel caso di un gruppo strutturato in maniera che vi sia una sola holding che detenga più società consociate quin-di, alle condizioni dettate dall’articolo 15 AfisR, gli inte-ressi pagati all’interno del gruppo non sono assoggettati all’imposta preventiva.Questa norma è valida unicamente nel contesto di una detenzione diretta o in caso di società consociate dete-nute dalla medesima società madre.In determinate realtà multinazionali, con organizzazioni particolarmente complesse, è però possibile che questa norma non risulti applicabile al cash pool leader svizzero, dato che i pagamenti di interessi fra società dello stesso gruppo detenute da due sub-holding diverse non sono contemplati dall’articolo 15 AfisR. È quindi possibile che l’imposta preventiva rappresenti un forte ostacolo per l’implementazione di uno strumento di gestione della liquidità di questo genere in Svizzera.Il 18 giugno 2010 il Consiglio federale ha introdotto delle modifiche all’Ordinanza sull’imposta preventiva (di seguito OIPrev) con l’adozione dell’articolo 14a OIPrev.Va altresì notato come tale disposizione preveda che gli averi all’interno di una società di un gruppo non siano considerati come averi di clienti e che quindi gli interessi ad essi collegati non siano assoggettati all’imposta pre-ventiva (articolo 14a capoverso 1 OIPrev), introducendo così un ulteriore passo per rendere appetibile l’utilizzo del cash pooling e l’insediamento di cash pool leader anche sul territorio elvetico.L’articolo 14a capoverso 2 OIPrev specifica che sono considerate società di un gruppo, ai sensi del capoverso 1, le società i cui conti annuali sono integralmente consoli-dati; quindi gruppi di società che non consolidano i conti o eventuali società che fanno parte di un gruppo ma che non appaiono nel conto annuale consolidato dello stesso, non rientrano nella casistica descritta all’articolo 14a capoverso 1 OIPrev.L’articolo 14a capoverso 3 OIPrev stabilisce che qualora una società svizzera di un gruppo garantisca un’obbligazione di una società estera dello stesso gruppo, la norma di cui all’articolo 14a capoverso 1 OIPrev non risulta applicabile.

Anche questa disposizione pone quindi dei limiti, infatti se una società estera, la cui liquidità è gestita (e garantita) da un cash pool leader svizzero, emette un’obbligazione, la stessa è considerata svizzera ai sensi dell’articolo 14a capoverso 3 OIPrev, con tutti gli oneri derivanti da tale assoggettamento.

3. Conclusioni

Con l’introduzione della nuova Circolare ed il relativo “alleggerimento” delle condizioni formali per determinare la qualifica quale banca o cassa di risparmio ai sensi dell’imposta preventiva, l’utilizzo del cash pooling e l’insedia-mento di società cash pool leader di gruppi svizzeri o esteri in Svizzera diventa un’ipotesi molto più praticabile rispetto al passato, almeno nel contesto degli averi di clienti.Infatti la Circolare n. 34, nonostante le possibilità previste agli articoli 15 capoverso 2 AfisR e 14a OIPrev, estende le condizioni formali per divenire banca ai sensi della LIP, nel contesto degli averi clienti, a un numero di creditori che difficilmente può essere considerato un limite se si opera una pianificazione strategica adeguata.I cambiamenti di prassi introdotti risultano quindi final-mente importanti e rinforzano di fatto la Svizzera nel contesto della concorrenza fiscale internazionale offren-do una buona opportunità di razionalizzazione dei costi legati alla gestione della tesoreria in seno ai gruppi.

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Costante GhielmettiEsperto fiscale diplomatoVicedirettore INTERFIDA SA, Chiasso

Roberto PizzinoConsulente fiscaleINTERFIDA SA, Chiasso

Per maggiori informazioni:

AFC; Circolare n. 34, Averi di clienti, del 26 luglio 2011, in:

http://www.estv.admin.ch/bundessteuer/dokumentation/ 00242/00380/index.html?lang=it[21.12.2011]

Elenco delle fonti fotografiche:

http://www.finanz-duell.de/bilder/fotolia/schweiz_fahne_schnee_berge.jpg[21.12.2011]

http://www.schweizer-bankenportal.com/Aktienkurs_.jpg [21.12.2011]

http://www.swissinfo.ch/media/cms/images/reuters/ 2011/02/geldwaesche-29422378.jpg[21.12.2011]

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1. L’adeguamento alla giurisprudenza comunitaria La Corte di giustizia delle Comunità europee (di seguito Corte) nella sentenza C-540/07 del 19 novembre 2009[1] ha condannato la disciplina fiscale italiana in materia di tassazione dei dividendi domestici corrisposti a società ed enti non residenti in Italia (cosiddetta “ritenuta in uscita”) poiché considerata discriminatoria nei confronti della disciplina fiscale applicata ai dividendi corrisposti a società ed enti residenti.Lo scorso 8 luglio, tramite l’emanazione della Circolare n. 32/E, l’Agenzia delle Entrate si è adeguata alla citata sentenza, concedendo il rimborso del differenziale in eccesso, ritenuto discriminatorio, tra la ritenuta in uscita, pari al 27% e quella ridotta applicata al percettore residente in Italia, pari all’1.65%.

2. La normativa

Il regime italiano della cosiddetta partecipation exemption (di seguito Pex) relativo all’esenzione fiscale dei dividendi domestici versati a società ed enti commerciali residenti e assoggettati all’imposta sul reddito delle società (di seguito IRES) è entrato in vigore il 1. gennaio 2004. A seguito della riforma, tali dividendi sono imponibili soltanto nella misura del 5% del loro ammontare[2]. Siccome la relativa aliquota IRES era pari al 33%[3], il tasso di imposizione effettivo ammontava all’1.65% (33% del 5%).Per i dividendi in uscita invece si applica generalmente una ritenuta alla fonte del 27%[4].A partire dal 1. gennaio 2008 (con la Legge del 24 dicembre 2007, n. 244, cosiddetta “finanziaria 2008”), è stata introdotta la Pex anche per i dividendi in uscita verso Stati membri dell’UE e aderenti l’Accordo sullo Spazio economico europeo (di seguito SEE) del 2 maggio 1992[5],

riforma necessaria per rendere la norma compatibile con i principi comunitari relativi al principio di non discrimi-nazione e alle libertà di circolazione e di stabilimento. Tuttavia la nuova disciplina è applicabile solamente ai dividendi in uscita corrisposti a decorrere dal 1. gennaio 2008 mentre la Pex “domestica” era applicabile già a partire dal 1. gennaio 2004.

3. Il rimborso

A seguito della sentenza della Corte del 2009, sono state proposte numerose istanze di rimborso delle ritenute in eccesso sui dividendi in uscita ante 2008, per i quali è stata applicata un’aliquota del 27% contro un’aliquota dell’1.65% applicata ai dividendi percepiti da società residenti in Italia, nel medesimo periodo.Con la Circolare n. 32/E, l’Agenzia delle Entrate ha quindi invitato gli uffici locali ad ammettere il rimborso delle ritenute in eccesso effettuate sui dividendi maturati prima del 2008 e ad abbandonare gli eventuali conten-ziosi pendenti.Sempre secondo la Circolare, l’abbandono tout court del contenzioso scaturito a seguito dell’istanza di rimborso può però avvenire solamente al ricorrere di determinate condizioni soggettive e oggettive da verificare, secondo la normativa interna ordinaria.Le condizioni oggetto di verifica da parte del fisco sono sostanzialmente sette; la prima condizione è che il campo di applicazione del nuovo regime fiscale non si estende alle partecipazioni cosiddette “qualificate” per le quali si applica la Direttiva europea del Consiglio del 23 luglio 1990, n. 90/435/CEE (cosiddetta “Direttiva madre-figlia”). In tal caso l’esame sul diritto al rimborso va effettuato esclusivamente alla stregua delle disposi-zioni di tale Direttiva. La seconda e la terza condizione escludono la presa in considerazione delle istanze di

Diritto tributario italiano

Regime “Pex” retroattivoanche per le ritenute sui dividendi in uscitaLa nuova Circolare n. 32/E dell’Agenzia delle Entrate disciplinale istanze di rimborso sulla ritenuta in uscita

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rimborso presentate da soggetti residenti in Stati aderenti all’Accordo SEE, poiché esclusi dalla sentenza, nonché le istanze presentate per le ritenute sui dividendi corrisposti prima del 1. gennaio 2004, ovvero prima dell’entrata in vigore del regime fiscale Pex, disciplina fiscale che ha scaturito l’effetto discriminatorio e reso legittima la richiesta di rimborso.La Circolare n. 32/E precisa altresì che l’istanza di rimborso deve essere stata presentata entro quarantotto mesi dall’effettuazione della ritenuta[6]. Inoltre il percettore estero che chiede il rimborso deve essere assoggettato a imposte societarie nello Stato di residenza. Tale requi-sito deriva dal fatto che, secondo la sentenza della Corte, la maggior tassazione dei dividendi in uscita rispetto a quella dei dividendi versati a contribuenti residenti in Italia costituisce un disincentivo per le società comunitarie ad investire nel territorio italiano. Pertanto, se la società residente in uno Stato membro dell’UE e percettrice del dividendo italiano non dovesse essere assoggettata ad imposta nel suo Stato di residenza, la ritenuta applicata dall’Italia sul dividendo non costituirebbe un disincentivo ad effettuare investimenti in Italia, anzi porterebbe questa società ad una situazione di vantaggio rispetto alla società italiana, in quanto la società estera fruirebbe del rimborso della ritenuta italiana pur non pagando imposte nel Paese di residenza. Si produrrebbe una discriminazione in senso inverso, altrettanto vietata dal diritto comunitario.Si precisa inoltre che l’onere di provare il diritto al rimborso è a carico di chi lo richiede. In particolare dovrà quindi essere la società richiedente a dimostrare, tramite un certificato emesso dallo Stato di residenza (Stato con il quale è attuabile uno scambio di informazioni ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con l’Italia o con il quale è possibile avvalersi delle regole di collaborazione fiscale transfrontaliera previste dalla Direttiva n. 77/799/CEE[7]), di essere assoggettata ad imposta in questo Stato, nonché di dimostrare che tale Stato non dà diritto ad un credito di imposta pieno sulla trattenuta subìta in Italia (infatti in tal caso non vi sarebbe discriminazione contraria al diritto comunitario, considerato che grazie alla piena imputazione la ritenuta ha un effetto neutro per il contribuente).L’ultima condizione dettata dalla Circolare, avente come obiettivo il contrasto alle frodi fiscali, è che la società richiedente non sia una società conduit o che l’istanza non sia l’esito di operazioni conduit. In altre parole la società richiedente, residente in uno Stato membro dell’UE, non deve consistere in una mera “costruzione di puro artificio”, senza un’effettiva attività economica e senza una reale struttura. Tipicamente la società conduit funge unicamente da interposizione tra la società distri-butrice del dividendo e il percettore finale, quest’ultimo residente in uno Stato extra UE e che non avrebbe quindi diritto al rimborso.Un’operazione conduit è caratterizzata dall’assenza di ragioni commerciali che la determinano. Si pensi ad esempio quando un soggetto non avente diritto al

rimborso, trasferisce temporaneamente la partecipa-zione italiana ad un soggetto avente tale diritto, che poi successivamente retrocede la partecipazione, compreso, direttamente o indirettamente, il dividendo che ha beneficiato illecitamente del regime fiscale in esame.In questo caso l’onere della prova dell’abuso fiscale è però a carico dell’Agenzia delle Entrate, che potrà comunque avvalersi della collaborazione del fisco straniero, per il tramite della relativa convenzione contro la doppia imposizione o della Direttiva n. 77/799/CEE.

La Circolare elenca poi una serie di criteri, stabiliti a livello comunitario, volti a determinare sia l’artificiosità della società, sia delle operazioni:

• la prevalenza o meno della sostanza sulla forma;

• il solo obiettivo del risparmio fiscale non costituisce di per sé un insediamento o un’operazione artificiosa, qualora la società dimostri di non essere una struttura “vuota” (carente cioè di un’adeguata struttura patri-moniale) e presenti un’attività economica effettiva;

• la società holding non va considerata come abusiva a prescindere, poiché questo tipo di società, la cui attività consiste nel detenere partecipazioni, non necessita di una particolare struttura patrimoniale. In generale occorre distinguere tra la società che semplicemente possiede le partecipazioni, con-siderata abusiva, e la società che invece esercita effettivamente un controllo attivo sulle sue parteci-pazioni, attraverso una gestione diretta o indiretta della società partecipata, considerata non abusiva, avente un’effettiva attività economica e quindi legittimata a richiedere il rimborso;

• le presunzioni e le norme antielusive sulle quali si basa l’autorità fiscale per considerare artificiosa la società o l’operazione, non devono avere carattere assoluto, il contribuente deve quindi avere in ogni caso la possibilità di provare il contrario e gli oneri

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probatori messi a suo carico devono essere a lui proporzionati;

• con riferimento alle operazioni, l’amministrazione fiscale potrà richiedere al contribuente dati e notizie necessari al fine di accertarne la conformità.

La Circolare osserva infine che, con riguardo alle società residenti in Stati inclusi nella black-list, vale la presunzione di carattere elusivo dell’insediamento o dell’operazione, purché tale presunzione sia ragionevole, vale a dire fondata su un rischio reale di comportamento elusivo. Tale presunzione resta comunque a carattere relativo, in altre parole il contribuente ha sempre la possibilità di provare il contrario, senza oneri probatori eccessivamente dispendiosi oppure troppo difficili da dimostrare.

4. Considerazioni conclusive

Il divario temporale tra l’entrata in vigore del regime Pex per i contribuenti residenti in Italia, avvenuta il 1. gennaio 2004, e per i contribuenti residenti in altri Stati membri dell’UE, avvenuta il 1. gennaio 2008, ha determinato una disparità di trattamento non conforme al diritto comu-nitario. L’8 luglio 2011, l’Italia ha deciso – adeguandosi in questo modo alla giurisprudenza comunitaria – di concedere il rimborso della ritenuta in uscita (pari al 27%) applicata in eccesso rispetto alla ritenuta prevista per i percettori residenti in Italia (pari all’1.65%).Attraverso la Circolare n. 32/E, l’Agenzia delle Entrate ha altresì precisato che tale diritto spetta solamente alle società residenti in uno Stato membro dell’UE e che si sono viste rifiutare il rimborso unicamente perché hanno percepito il dividendo prima del 1. gennaio 2008. Tutti gli altri requisiti legittimanti il rimborso presenti

nella normativa fiscale in esame (non toccati dalla citata sentenza) rimangono validi, in particolare l’essere assoggettati ad imposta nello Stato di residenza, nonché dimostrare la non artificiosità del proprio insediamento e/o dell’operazione.

Per maggiori informazioni:

Agenzia delle Entrate; Circolare n. 32/E, 8 luglio 2011, in:

http://def.finanze.it/DocTribFrontend/getPrassiDetail.do?id=242FB8F8-0ED8-485A-877F-6C21518297F8[21.12.2011]

Committeri Gian Marco; Nessun rimborso Pex alle socie-tà “interposte” Ue, in: Il Sole24ore, 14 luglio 2011,

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/ 2011-07-14/nessun-rimborso-societa-interposte- 064305.shtml?uuid=AacC5wnD[21.12.2011]

Fisco Oggi; Ritenute su dividendi in uscita. Griglia di controllo per i rimborsi, 8 luglio 2011, in:

http://www.fiscooggi.it/normativa-e-prassi/articolo /ritenute-su-dividenti-uscita-griglia-di-controllo-i- rimborsi[21.12.2011]

Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità euro-pee, Seconda sezione; causa C-540/07, del 19 novembre 2009, in:

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007J0540:IT:HTML[21.12.2011]

Elenco delle fonti fotografiche:

http://rivista.ssef.it/file/public/immagini/2007/10-12/pex600.jpg[21.12.2011]

http://www.nuovofiscooggi.it/files/imagecache/img_major_story/immagini_articoli/u27/plusvalenze.jpg[21.12.2011]

http://cdn2.digitaltrends.com/wp-content/uploads/ 2011/11/eu-court-of-justice.jpg[21.12.2011]

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Note: 1) Per un esame della sentenza si veda, in questo stesso numero, la Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE. 2) Cfr. articolo 89 comma 2 del Testo unico delle imposte sui redditi del 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR). 3) Dal 1.

gennaio 2008, l’aliquota IRES è scesa al 27.5%. 4) Cfr. articolo 27 comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600 (di seguito DPR n. 600/1973). 5) Cfr. articolo 27 comma 3-ter DPR n. 600/1973. 6) Cfr. articolo 38

DPR n. 600/1973. 7) Direttiva del Consiglio del 19 dicembre 1977, n. 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette.

Sabina RigozziAssistente SUPSI

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Ai sensi dell’articolo 167, comma 5, lettera b, del TUIR, il contribuente italiano che voglia sottrarsi all’applicazione della disciplina in materia di Controlled Foreign Companies (di seguito CFC) deve preventivamente presentare un interpello disapplicativo ai sensi dell’articolo 11 della Legge del 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto “Statuto del Contribuente”). Questo richiamo fa sì che, sebbene obbligatorio dal punto di vista procedimentale, lo stesso interpello non sia cogente per il contribuente nel suo risultato, vincolando solo la pubblica amministrazione, in caso di risposta affermativa alla disapplicazione, e sempre che, in sede di accertamento, non emerga una situazione diversa da quella descritta dal contribuente medesimo.

Recentemente, sul tema della presentazione dell’inter-pello disapplicativo della disciplina CFC era intervenuta l’Agenzia delle Entrate nella Circolare del 14 giugno 2010, n. 32, con cui, pur ribadendosi l’obbligatorietà della presentazione in discorso, in applicazione dei principi costituzionali e comunitari essa puntualizzava che la mancata presentazione dell’interpello avrebbe tuttavia inciso sulla graduazione della sanzione applicabile per l’omissione delle comunicazioni previste per legge (sul punto si veda anche la Circolare del 6 ottobre 2010, n. 51), qualora in fase di accertamento e sulla base della documentazione in possesso del contribuente fosse stata rilevata l’insussistenza delle condizioni che avrebbero legittimato la disapplicazione della disciplina antielusiva in sede di interpello obbligatorio.

Questa posizione costituiva un superamento di quella precedentemente espressa dalla medesima Agenzia

delle Entrate nella Circolare del 3 marzo 2009, n. 7, con specifico riferimento alle istanze di interpello disapplica-tivo della disciplina delle società non operative, secondo cui, in assenza di presentazione dell’istanza, il ricorso doveva essere ritenuto inammissibile, in quanto il legisla-tore subordinava la disapplicazione della norma antielu-siva a tale condizione, con la conseguenza che l’esistenza di esimenti non poteva essere proposta per la prima volta in sede contenziosa nel ricorso avverso l’avviso di accer-tamento e di irrogazione delle sanzioni amministrative. Sulla base dell’indirizzo recentemente espresso nel 2010 sembrava quindi che, pur in assenza della presentazione dell’interpello preventivo in materia di CFC, il con-tribuente potesse comunque dimostrare in giudizio l’esistenza di una delle esimenti previste dalla legge per la disapplicazione della disciplina in discorso, salva comunque l’irrogazione delle sanzioni per omessa presentazione dell’interpello.Tuttavia, oggi, il tema qui trattato sembra essere nuovamente inciso da ulteriori interventi sia della giurisprudenza che della prassi.

Infatti, nel pronunciarsi sull’interpello disapplicativo ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del DPR n. 600/1973, con sentenza del 15 aprile 2011, n. 8663, la Suprema Corte di Cassazione sottolinea la possibilità di impugnare ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera h, del decreto legislativo del 31 dicembre 1992, n. 546, l’eventuale diniego amministrativo di disapplicazione della norma antielu-siva (contra: Consiglio di Stato, sentenza del 26 gennaio 2009, n. 414), poiché, in difetto di impugnazione, lo stesso contribuente non potrebbe poi invocare la

Quali sono gli effetti dell’interpello disapplicativodella disciplina CFC?L’Amministrazione finanziaria torna sul tema della necessità della presentazionedell’interpello disapplicativo della disciplina CFC, da considerarsi anche quale presuppostodella successiva impugnazione del diniego amministrativo

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natura non elusiva dell’operazione e, conseguentemente, contrastare – anche giudizialmente – gli atti impositivi successivamente emanati dall’Amministrazione finan-ziaria. Infatti, secondo la Corte di Cassazione, il contri-buente sarebbe portatore non già di un mero interesse legittimo ad ottenere una risposta, bensì, trattandosi di misura agevolativa, di un vero e proprio diritto soggettivo alla non applicazione della legge limitativa, che pertanto:

1. da un lato obbliga l’Agenzia delle Entrate a non opporsi all’operazione, una volta appurato che quest’ultima non ha natura elusiva, senza che in tale giudizio l’Amministrazione finanziaria possa calare alcuna valutazione discrezionale;

2. dall’altro, il giudice tributario, investito del ricorso contro il diniego, non deve limitarsi ad appurare la legittimità dell’atto, ma deve altresì entrare nel merito della pretesa ed eventualmente sancire la natura non elusiva dell’operazione.

Sebbene questa sentenza sia intervenuta in riferimento ad una diversa norma di legge, la sua applicazione analogica al caso di specie non sembra essere in discussione, poiché anche in materia di CFC la natura disapplicativa dell’interpello preventivo prevale sulla forma ordinaria della sua struttura formale, dettata dal richiamo all’interpello ordinario di cui all’articolo 11 dello Statuto del Contribuente.Questo implica anche che non si sia di fronte ad un mero atto di indirizzo, come sosteneva il Consiglio di Stato nella sentenza sopra citata, bensì ad un atto provvedimentale, ritenendosi quindi necessaria la sua presentazione all’Amministrazione finanziaria, anche ai fini di una successiva impugnazione in sede contenziosa.

Su questo tema, infine, sembra oggi nuovamente intervenire anche l’Agenzia delle Entrate nella Circo-lare del 26 maggio 2011, n. 23, laddove afferma che, qualora, nel rinunciare alla presentazione dell’interpello

disapplicativo in discorso, il contribuente decida di sottoporre il reddito della CFC alla tassazione per trasparenza, lo stesso contribuente è obbligato a mantenere tale comportamento fino a quando non dimostri, sempre in sede di interpello, la non artificiosità della struttura estera.Proprio quest’obbligo di dovere dimostrare in sede di interpello l’intervenuto cambiamento delle condizioni che hanno indotto il contribuente a non presentare l’istanza di disapplicazione induce ad interpretare la Circolare nel senso che la presentazione dell’interpello disapplicativo sia ritenuta obbligatoria, al fine non solo di non incorrere nelle sanzioni per la sua omessa presen-tazione, ma anche, come già detto, di potere successiva-mente impugnare l’atto di diniego in sede contenziosa. Anche alla luce della recente giurisprudenza, questa interpretazione è certamente prudenziale per il contri-buente e quindi è consigliabile. È certo però che essa non risulta in linea con i principi costituzionali e comunitari, poiché, di fatto, lede il diritto di difesa del singolo: e questo, sicuramente, genererà ulteriore contenzioso davanti al giudice tributario.

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Per maggiori informazioni:

Agenzia delle Entrate; Circolare n. 7 del 3 marzo 2009, in:

ht tp : //www.agenz iaent rate .gov . i t /wps/wcm/connect/3b883d80426e03f6b8fbbbc065cef0e8/circ+n+7E+del+3+marzo+2009.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=3b883d80426e03f6b8fbbbc065cef0e8 [21.12.2011]

Agenzia delle Entrate; Circolare n. 32 del 14 giugno 2010, in:

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/e0a4b40042d8abf3967df7ea6c963f8c/circ32Edel14giugno 2010.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=e0a4b40042d8abf3967df7ea6c963f8c[21.12.2011]

Agenzia delle Entrate; Circolare n. 51 del 6 ottobre 2010, in:

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/9da441004437913ca6d8e6b96f40ac5a/circolare+51e.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=9da441004437913ca6d8e6b96f40ac5a [21.12.2011]

Agenzia delle Entrate; Circolare n. 23 del 26 maggio 2011, in:

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/8526d88046ffaf598a55aeca43cb6f54/Circ23e+del+26.05.11.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=8526d88046ffaf598a55aeca43cb6f54 [21.12.2011]

Bertone Gianmarco; Commentario al TUIR per i soggetti non residenti, Milano, 2011, in:

http://www4.ti.ch/dfe/de/spe/usml/lavorare-in-italia/ fiscalita/tassazione-dei-redditi/generale[21.12.2011]

Elenco delle fonti fotografiche:

http://www.fiscooggi.it/files/immagini_articoli/u12/Mondo20Export.jpg[21.12.2011]

http://innovationconsulting.co.za/wp-content/uploads/ 2010/01/World-puzzle-j0433123.jpg[21.12.2011]

http://www.solof inanza.it/wp-content/uploads/ 2009/09/agenziaentrate.jpg[21.12.2011]

Gianmarco BertoneAvvocato in Milano e LuganoMembro del Pool of Experts dell’OSEC

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

L’imposta cantonale sulla sostanzae la valutazione di titoli non quotati

Sentenza della Camera di diritto tributario, del 6 dicembre 2010, numero d’incarto 80.2008.54, in:

RtiD I-2011 n. 11t, e in:

http://www.sentenze.ti.ch[21.12.2011]

Articoli 40, 41 e 45 capoverso 2 LT – Imposta sulla sostanza: valutazione titoli non quotati, successiva cessione di quote fra terzi indipendenti, valore di mercato

1. Considerazioni introduttive

Tutti i Cantoni, non però la Confederazione, riscuotono un’imposta generale sulla sostanza, che ha per oggetto la totalità degli attivi mobiliari e immobiliari.Tale obbligo è prescritto dall’articolo 2 capoverso 1 lettera a della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID), secondo cui i Cantoni devono preleva-re un’imposta sul reddito e un’imposta sussidiaria sulla sostanza delle persone fisiche.

Il prelievo di un’imposta cantonale sulla sostanza si giustifica dai due seguenti motivi:

1. in primo luogo, con particolare riferimento alla sostanza mobiliare, l’imposta sulla sostanza rappresenta una sorta di “compensazione” nei confronti della scelta politica di esentare gli utili in capitale (i cosiddetti “capital gains”), per contro tassati nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE. Come ammesso dallo stesso Consiglio federale, l’im-posta sulla sostanza costituisce in linea di principio

un onere complementare, destinato a integrare l’imposta sul reddito, che permette ai Cantoni, grazie alla (leggera) progressività dell’aliquota, di prendere in considerazione anche l’aumento della sostanza, che risulta tra l’altro dall’aumento della capitalizza-zione in borsa (cfr. Messaggio sull’iniziativa popolare “per un’imposta sugli utili da capitale” del 25 ottobre 2000, in: FF 2000 pagine 5241-5270, pagina 5263);

2. in secondo luogo, consente alle autorità di tassazione di esercitare un controllo, attraverso il confronto della sua evoluzione con i redditi dichiarati dal contribuente.

Nel Cantone Ticino, l’imposizione della sostanza è regolata dagli articoli 40 e seguenti della Legge tributaria (di seguito LT). Oggetto dell’imposta è la sostanza netta totale (articolo 40 capoverso 1 LT), da valutare gene-ralmente al suo valore venale, riservate le disposizioni che prevedono espressamente altri criteri (articolo 41 capoverso 2 LT).

Fra queste, l’articolo 45 LT dispone che i titoli che sono regolarmente oggetto di transazione vanno valutati in base alla loro quotazione alla fine del periodo fiscale o dell’assoggettamento (capoverso 1), mentre le azioni, partecipazioni a società cooperative ed altri diritti di partecipazione non regolarmente oggetto di transazione, sono valutati tenendo conto del loro valore di reddito e del loro valore intrinseco (capoverso 2).

In una recente sentenza del 6 dicembre 2010, la Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello (di seguito CDT) ha avuto modo di approfondire la valutazione dei titoli non quotati ufficialmente in borsa, distinguendo fondamentalmente due casi: se, di principio, l’imposizione di simili titoli si fonda sul valore intrinseco delle azioni, cioè sulla relativa quota del valore dell’impresa, qualora poco prima o poco dopo il giorno determinante per la valutazione vi sia stata una cessione di quote fra terzi indipendenti, ci si deve tuttavia basare sul relativo valore di acquisto.

2. La fattispecie sotto esame

Il 13 aprile 2006, i soci X e Y vendevano a una società italiana tutte le 6’000 azioni della Z SA, al prezzo di 16 milioni di franchi. Nel contratto di compravendita veniva in particolare precisato che tale prezzo era stato concor-dato in funzione del bilancio preliminare della società al 31 dicembre 2005.

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Nella dichiarazione fiscale 2005, il contribuente X attribuiva alla sua partecipazione (di 5’400 azioni, pari al 90% del pacchetto azionario) un valore di soli 540’000 franchi. Notificandogli la tassazione per l’imposta canto-nale 2005, con decisione del 6 febbraio 2008, l’Ufficio di tassazione commisurava invece il valore delle azioni della società in 16 milioni di franchi, spiegando nella motiva-zione allegata che il loro valore venale era “pari al prezzo di alienazione dell’aprile 2006”. Nella successiva decisione su reclamo, l’autorità sottolineava che era lo stesso contratto di compravendita a fare riferimento al bilancio della società chiuso al 31 dicembre 2005, per cui nulla si opponeva ad una commisurazione delle azioni in funzione del loro prezzo di vendita.

Il contribuente presentava ricorso alla CDT, lamentando nuovamente il valore attribuito dall’autorità fiscale alle azioni vendute nel corso del 2006. Nelle argomentazioni, il ricorrente sosteneva in particolare che non era ammissibile “far dipendere la valutazione da un fatto e dalla volontà delle parti espressi ed avvenuti dopo la data determinante del 31 dicembre 2005”, poiché in chiaro contrasto con i principi dell’irretroattività e della sicurezza del diritto.

3. Le Istruzioni della Conferenza fiscale svizzera delle imposte

Se la valutazione dei titoli quotati non pone particolari problemi (il valore di quotazione risponde al valore di mercato), altro discorso vale invece per i titoli che non sono regolarmente oggetto di transazione. In questi casi, il valore commerciale deve essere di principio stimato sulla base di parametri schematici più o meno affinati, in modo tale da avvicinarsi il più possibile alla realtà economica.

Per rispondere a questa esigenza, l’AFC aveva in passato emanato delle precise “Istruzioni relative alla valutazione dei titoli senza corso ai fini dell’imposta sulla sostanza” (edizione 1982, sostituita dall’edizione 1995), con lo scopo di ottenere una stima del prezzo delle azioni non quotate in borsa uniforme in tutta la Svizzera. Le Istruzioni della Confederazione erano state fatte proprie anche dalla Divisione delle contribuzioni del Canton Ticino, con il

dichiarato intento di armonizzare le valutazioni sull’intero territorio della Confederazione.

In tempi più recenti, la valutazione dei titoli non quotati è stata assegnata direttamente ai singoli Cantoni, che fanno capo ad una banca dati centralizzata e a criteri armonizzati tali da garantire la parità di trattamento con un modello unico a livello svizzero (il cosiddetto progetto CST, “Controllo dello stato dei titoli”). A tale scopo, la Conferenza fiscale svizzera ha elaborato un’apposita circolare (la Circolare n. 28 del 21 agosto 2006, poi sostituita dall’edizione del 28 agosto 2008) e recentemente pubblicato un commentario alle “Istruzioni relative alla valutazione dei titoli senza corso ai fini dell’imposta sulla sostanza”.

4. Valore intrinseco oppure valore venale?

Nella sentenza del 6 dicembre 2010, la CDT ha avuto modo di occuparsi da vicino della valutazione di titoli non quotati, sottolineando in particolare che non solo le vecchie Istruzioni dell’AFC, applicabili alla fattispecie sotto esame, ma anche le nuove Istruzioni della Con-ferenza fiscale svizzera distinguono fondamentalmente due situazioni ben distinte:

• di principio, l’imposizione dei titoli non quotati si fonda sul loro valore intrinseco. La stima delle azioni non viene cioè intrapresa dall’esterno (sul mercato), ma viene fatta corrispondere, tramite parametri schematici più o meno affinati, alla rispettiva quota del valore totale dell’impresa;

• nei rari casi in cui poco prima o poco dopo il giorno determinante vi è stata una cessione tra terzi indipendenti, l’imposizione si fonda invece sul valore venale delle azioni, a condizione tuttavia che il valore della transazione corrisponda effettivamente al valore di mercato e che la libera formazione del prezzo non sia stata influenzata da altre circostanze, segnatamente dai rapporti fra le parti contraenti.

In definitiva, il ricorso al valore intrinseco, stabilito secondo le Istruzioni della Conferenza fiscale svizzera, rappresenta una soluzione sussidiaria rispetto a quella consistente nell’applicare il vero e proprio valore venale. È allora evidente che, non appena si disponga di un prezzo determinato dalle parti nell’ambito di un “trasferimento significativo tra terzi indipendenti”, venga meno la giustificazione del ricorso alla stima del “valore intrinseco”, perlomeno fintantoché la situazione economica della società non muti in maniera rilevante (cfr. Circolare n. 28, edizione 26 agosto 2008, cifra 2.5.).

5. Le conclusioni della CDT

Nel caso in esame, come detto, il contratto di compra-vendita di azioni, concluso dalle parti il 13 aprile 2006,

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prevedeva espressamente, circa la determinazione del relativo prezzo, che lo stesso era stato stabilito in funzione del bilancio preliminare della società Z SA al 31 dicembre 2005.

Una tale clausola contrattuale permetteva quindi di concludere che, per gli stessi contraenti, la situazione economica della società non era “cambiata in modo rilevante” fra il momento determinante per il calcolo dell’imposta sulla sostanza (31 dicembre 2005) e quello della stipulazione del contratto di compravendita. D’altra parte, il ricorrente non aveva neppure tentato di sostenere che il prezzo pagato a metà aprile del 2006 fosse stato condizionato da elementi sopravvenuti dopo il 31 dicembre 2005. Nulla si opponeva allora alla determinazione del valore delle azioni alla fine del 2005 proprio prendendo come riferimento il prezzo pagato dagli acquirenti tre mesi e mezzo dopo il momento determinante.

Come osservato dalla CDT, la semplice circostanza che la legge tributaria, all’articolo 52 capoverso 1 LT, consideri determinante, per il calcolo dell’imposta sulla sostanza, il suo valore “alla fine del periodo fiscale”, non imponeva una diversa conclusione. Infatti, nel caso di titoli che non hanno una quotazione ufficiale, il problema è proprio quello di stabilire nel modo più affidabile possibile il “valore venale” al momento determinante, senza dimen-ticare inoltre che il principio di irretroattività invocato a sproposito dal ricorrente si riferisce ai soli effetti di una legge e non certo ai criteri utilizzati per valutare la sostanza imponibile.

Una diversa conclusione non si imponeva nemmeno con riguardo al principio della sicurezza del diritto. L’argo-mentazione del ricorrente, secondo cui la valutazione sarebbe verosimilmente cambiata se la sostanza fosse

stata tassata prima della sottoscrizione del contratto di compravendita di azioni, si scontra infatti con la stessa procedura di accertamento, che per sua natura, deve necessariamente avvenire dopo la fine del periodo fiscale.

In simili circostanze, la CDT non ha pertanto potuto fare altro che respingere le censure contenute nel gravame e confermare la decisione dell’autorità di tassazione.

Elenco delle fonti fotografiche:

http://us.123rf.com/400wm/400/400/funix/funix1012/funix101200019/8419485-un-portafoglio-con-franchi-svizzeri-in-esso-in-piedi-su-un-pavimento-con-altre-banconote-franchi-svi.jpg[21.12.2011]

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Rocco FilippiniAvvocatoVicecancelliere della Cameradi diritto tributariodel Tribunale d’appello

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Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (Seconda Sezione), procedimento C-540/07, del 19 novembre 2009, in:

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62007J0540:IT:HTML[21.12.2011]

Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei capitali – Articolo 56 CE – Articoli 31 e 40 Accordo SEE – Fiscalità diretta – Ritenuta alla fonte sui dividendi in uscita – Imputazione presso la sede del beneficiario del dividendo, in forza di una convenzione contro la doppia imposizione

1. Contesto normativo e fattispecie

Il regime fiscale italiano dei dividendi domestici versati a società ed enti commerciali soggetti in Italia all’imposta sul reddito delle società è disciplinato dall’articolo 89, intitolato “Dividendi ed

interessi”, comma 2, del TUIR, che così recita: “Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, dalle società ed enti di cui all’articolo 73, comma l, lettere a) e b), non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare”.Il regime fiscale italiano dei dividendi “in uscita”, vale a dire versati a soggetti non residenti in Italia, è invece disciplinato dall’articolo 27, intitolato “Ritenuta sui dividendi”, comma 3, del DPR n. 600/1973, che così dispone: “La ritenuta è operata a titolo d’imposta e con l’aliquota del 27 per cento sugli utili corrisposti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato. L’aliquota della ritenuta è ridotta al 12,50 per cento per gli utili pagati ad azionisti di risparmio. I soggetti non residenti, diversi dagli azionisti di risparmio, hanno diritto al rimborso, fino a concorrenza dei quattro noni della ritenuta, dell’imposta che dimostrino di aver pagato all’estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello Stato estero”. L’articolo 27-bis di tale decreto prevede il rimborso o, a determinate condizioni, la disapplicazione della ritenuta prevista dall’articolo 27 nel caso di società residenti in uno degli Stati membri dell’UE che posseggano i requisiti relativi al livello di partecipazione nel capitale della società distributrice e di durata della partecipazione stessa previsti dalla Direttiva del Consiglio del 23 luglio

1990, n. 90/435/CEE (di seguito Direttiva madre-figlia). La Commissione europea, considerando il regime fiscale dei dividendi di provenienza italiana distribuiti a società stabilite in un altro Stato membro dell’UE o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (di seguito Accordo SEE) incompati-bile con la libera circolazione dei capitali, ha diffidato la Repubblica italiana con lettera del 18 ottobre 2005.Non convinta dagli argomenti esposti dalla Repubblica italiana nella sua lettera del 9 febbraio 2006, la Commissione europea, con lettera datata 4 luglio 2006, ha trasmesso a tale Stato membro un parere motivato, invitandolo ad adottare le misure necessarie per adeguarsi a tale parere entro il termine di due mesi dal ricevimento del medesimo. La Repubblica italiana ha risposto al parere motivato con lettera del 30 gennaio 2007. La Commissione europea, ritenendo che tale Stato membro non avesse posto fine all’infrazione addebitatagli, ha deciso di proporre ricorso dinnanzi alla Corte di giustizia.

2. Il ricorso

2.1. Gli argomenti delle parti

Con il ricorso, la Commissione europea ha chiesto alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo mantenuto in vigore un regime fiscale più oneroso per i dividendi distribuiti a società stabilite negli altri Stati membri dell’UE e negli Stati aderenti all’Accordo SEE rispetto a quello applicato ai dividendi distribuiti alle società residenti, è venuta meno agli obblighi impostile dagli articoli 56 del Trattato sulla Comunità europea (di seguito TCE, ora articolo 63 del Trattato sull’Unione europea) e 40 dell’Accordo SEE per quanto riguarda la libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri e tra gli Stati aderenti all’Accordo in questione.La Repubblica italiana sostiene che l’incompatibilità con il diritto comunitario potrebbe essere dichiarata solo nella situazione concreta in cui, a seguito dell’applicazione delle disposizioni della convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni (di seguito CDI), la società dell’altro Stato membro che percepisce i dividendi non fosse in grado di eliminare nello Stato membro in cui si trova la sua sede la doppia imposizione, per esempio imputando sul proprio reddito imponibile a livello nazionale la ritenuta applicata nello Stato membro della società che ha distribuito i dividendi, nella fattispecie l’Italia. Nell’ipotesi in cui la CDI preveda tale imputazione, la Repubblica italiana ritiene che non possa esservi discriminazione contraria all’articolo 56 TCE.

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE

Il regime fiscale italiano sui dividendi “in uscita”è discriminatorio in ambito UE ma non in ambito SEE?

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Inoltre la Commissione europea non fornirebbe la prova del fatto che nessuna delle CDI concluse dalla Repubblica italiana consenta di eliminare l’impatto della ritenuta applicata in tale Stato membro.La Repubblica italiana sostiene inoltre che la distribuzione di un dividendo ad un azionista persona fisica, residente in Italia, è assoggettata ad un’imposta. L’esenzione del 95% dei dividendi percepiti dai contribuenti costituirebbe semplicemente uno stadio preparatorio alla tassazione degli azionisti persone fisiche. Nell’ipotesi in cui l’azio-nista sia una società non residente, che distribuirà di norma i dividendi a persone fisiche non residenti, non vi sarebbe tassazione delle persone fisiche. La società non residente verrebbe quindi maggiormente tassata per tener conto del fatto che il livello di imposizione sui profitti delle società deve essere coerente con quello previsto per le persone fisiche. In tal modo, il livello di tassazione tra l’azionista persona fisica residente e l’azionista non residente sarebbe equivalente.La Repubblica italiana conclude che la disparità di trattamento sarebbe comunque giustificata dalla diffe-renza di situazioni, che consiste nel fatto che le società non residenti non hanno alcun obbligo di comunicare al fisco italiano la presenza, nel capitale di tali società, di persone fisiche residenti in Italia e anche supponendo che le situazioni non siano diverse, la discriminazione sarebbe giustificata dalle esigenze di coerenza del sistema tributario nonché dalla necessità di prevenire la frode o l’evasione fiscale.

2.2. Il giudizio della Corte sulla violazione dell’articolo 56, n. 1, TCE

La Corte ha rammentato preliminarmente che, se è pur vero che la materia delle imposte dirette, rientra nella competenza degli Stati membri dell’UE, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario.Per partecipazioni non rientranti nella Direttiva madre-figlia spetta dunque agli Stati membri determinare se, ed in quale misura, la doppia imposizione economica degli utili distribuiti debba essere evitata e introdurre, a tale scopo, in modo unilaterale o mediante CDI concluse con altri Stati membri, procedure che mirino a prevenire o ad attenuare tale doppia imposizione economica. Tuttavia tale unico fatto non consente loro di applicare misure contrarie alle libertà di circolazione garantite dal TCE.Nella fattispecie, la legislazione italiana esenta dall’imposizione, fino al 95%, i dividendi distribuiti a società residenti, e assoggetta il restante 5% all’aliquota normale dell’imposta sui redditi delle società, pari al 33%. I dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri sono assoggettati ad una ritenuta alla fonte del 27%. Su domanda, peraltro, è possibile ottenere un rimborso fino a un massimo di quattro noni di tale imposta.Secondo la Corte è quindi in definitiva pacifico che la normativa italiana assoggetti i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri ad un tasso

d’imposizione superiore a quello applicato ai dividendi distribuiti alle società residenti. (consid. 33)La Repubblica italiana sostiene tuttavia che tale diffe-renza di trattamento sarebbe solo apparente, poiché si dovrebbe tener conto, da un lato, delle CDI e, dall’altro, del complesso del sistema tributario italiano.In ordine al primo punto, la Repubblica italiana sostiene che i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri non sarebbero in realtà trattati diversamente dai dividendi distribuiti a società residenti, in quanto le CDI permetterebbero di detrarre l’imposta trattenuta alla fonte in Italia da quella dovuta nell’altro Stato membro.

A questo proposito, la Corte ha in effetti dichiarato che non può escludersi che uno Stato membro garantisca il rispetto dei suoi obblighi derivanti dal Trattato stipu-lando una CDI con un altro Stato membro; tuttavia è necessario che l’applicazione della CDI permetta di compensare gli effetti della differenza di trattamento derivante dalla normativa nazionale. Infatti, solo nell’ipotesi in cui l’imposta trattenuta alla fonte possa essere detratta dall’imposta dovuta nell’altro Stato membro, per un ammontare pari alla differenza di trattamento derivante dalla normativa nazionale, tale discriminazione scompare totalmente.Orbene, la scelta di tassare nell’altro Stato membro i redditi provenienti dall’Italia o il livello a cui sono tassati non dipende dalla Repubblica italiana, ma dalle moda-lità di imposizione definite dall’altro Stato membro. La Repubblica italiana non ha quindi alcun fondamento nel sostenere che l’imputazione dell’imposta ritenuta alla fonte in Italia sull’imposta dovuta nell’altro Stato mem-bro, in applicazione della CDI, consenta in ogni caso di compensare la differenza di trattamento derivante dall’applicazione della normativa nazionale.La Corte conclude quindi che la Repubblica italiana non può sostenere che, a causa dell’applicazione delle CDI, i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri non siano, in definitiva, trattati diversamente dai dividendi distribuiti alle società residenti.

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Per quanto riguarda il secondo punto, i giudici comu-nitari concludono che la Repubblica italiana non può neppure sostenere che la differenza di trattamento non esista, in quanto si dovrebbe tener conto del complesso del sistema di tassazione italiano, che avrebbe lo scopo di assicurare in modo diretto o indiretto la tassazione delle persone fisiche beneficiarie finali dei dividendi.Infatti i giudici hanno rilevato che tale ragionamento equivale a paragonare regimi e situazioni non compa-rabili, cioè, da un lato, persone fisiche beneficiarie di dividendi domestici e il loro regime di tassazione dei redditi e, dall’altro, società di capitali beneficiarie di dividendi in uscita e la ritenuta alla fonte prelevata dalla Repubblica italiana. (consid. 43)Tale Stato membro non può, di conseguenza, sostenere che non vi sia una differenza di trattamento tra le modalità di tassazione dei dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri e quelle dei dividendi distri-buiti alle società residenti. Una differenza di trattamento di questo tipo può dissuadere le società stabilite in altri Stati membri dall’effettuare investimenti in Italia. I giudici concludono che essa costituisce, di conseguenza, una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’articolo 56, n. 1, TCE. (consid. 45)

La Corte ha rilevato tuttavia che occorre esaminare se tale restrizione alla libera circolazione dei capitali possa essere giustificata con riferimento alle disposizioni del Trattato e in particolare dalla giurisprudenza, per la quale risulta che, perché la normativa tributaria italiana possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non siano oggettivamente paragonabili o sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale. In altra sede i giudici hanno già dichiarato che, riguardo ai provvedimenti adottati da uno Stato membro al fine di prevenire o attenuare l’imposizione a catena ovvero la doppia imposizione sugli utili distribuiti da una società residente, gli azionisti beneficiari residenti non si trovano necessariamente in una situazione analoga a quella di azionisti beneficiari che risiedono in un altro Stato membro.

Tuttavia, a partire dal momento in cui uno Stato membro, in modo unilaterale o per via di accordi, assoggetta all’imposta sui redditi non soltanto gli azionisti residenti, ma anche gli azionisti non residenti, per i dividendi che essi percepiscono da una società residente, la situazione di tali azionisti non residenti si avvicina a quella degli azionisti residenti.

La Corte ha constatato quindi che il legislatore italiano ha scelto di esercitare la sua competenza fiscale sui dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri. I non residenti beneficiari di tali dividendi si trovano, di conseguenza, in una situazione analoga a quella dei residenti per quanto riguarda il rischio di doppia imposizione economica dei dividendi distribuiti dalle società residenti, per cui i beneficiari non residenti non possono essere trattati diversamente dai beneficiari residenti. (consid. 54)A tale riguardo, la Repubblica italiana afferma che la differenza di trattamento sarebbe giustificata da motivi imperativi di interesse generale inerenti alla coerenza del sistema tributario (i), al mantenimento di una ripartizione equilibrata del potere impositivo (ii) e alla lotta contro la frode fiscale (iii), motivi che la Corte ha effettivamente riconosciuto come idonei a giustificare tali differenze.La Corte ha però respinto i punti (i) e (ii) rilevando che la Repubblica italiana riprende in sostanza gli argomenti esposti per difendere la tesi secondo cui la differenza di trattamento non esisterebbe, in quanto bisognerebbe anche tener conto del fatto che gli azionisti persone fisiche residenti sono assoggettati in Italia all’imposta sui redditi. Per le ragioni esposte sopra (cfr. consid. 43), il suddetto argomento non è quindi stato accolto.

Per quanto riguarda la giustificazione relativa alla lotta contro la frode fiscale, la Corte ha constatato che una restrizione alla libera circolazione dei capitali può essere ammessa a questo titolo solo a condizione che essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo. Una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può essere sufficiente per giustificare una misura fiscale che pregiudichi gli obiettivi del Trattato.I giudici hanno quindi osservato che nella fattispecie, tutti i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri sono assoggettati, in modo generale, ad un regime fiscale meno favorevole. Tale trattamento meno favorevole non può, pertanto, essere giustificato con riferimento alla lotta contro la frode fiscale.Del resto, la Direttiva del Consiglio del 19 dicembre 1977, n. 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette (di seguito Direttiva sulla reciproca assistenza) può essere invocata da uno Stato membro per ottenere, da parte delle competenti autorità di un altro Stato membro, ogni informazione necessaria a consentirgli di determinare correttamente l’ammontare delle imposte rientranti nell’ambito applicativo della citata Direttiva.

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Il trattamento meno favorevole cui la normativa italiana assoggetta i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri costituisce, di conseguenza, una restrizione alla libera circolazione dei capitali incompatibile con l’articolo 56, n. 1, TCE. (consid. 61)

La Corte ha quindi accolto il ricorso della Commissione vertente la violazione dell’articolo 56, n. 1, TCE da parte della Repubblica italiana.

2.3. Il giudizio della Corte sulla violazione dell’articolo 40 Accordo SEE

La Corte ha dapprima stabilito che, anche se restrizioni alla libera circolazione dei capitali tra cittadini di Stati parti dell’Accordo SEE devono essere esaminate con riferi-mento all’articolo 40 e all’allegato XII a detto Accordo, tali disposizioni rivestono la stessa portata giuridica delle disposizioni, sostanzialmente identiche, dell’articolo 56 TCE. Pertanto la Corte ha rilevato che, e per i motivi che ha esposto in sede di esame del ricorso alla luce dell’articolo 56, n. 1, TCE, il trattamento meno favorevole a cui la normativa italiana assoggetta i dividendi distribuiti a società stabilite negli Stati parti dell’Accordo SEE costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 40 dell’Accordo SEE.Tuttavia, la Corte ha ammesso che tale restrizione è giustificata dal motivo imperativo di interesse generale che attiene alla lotta contro la frode fiscale. (consid. 68)

Come già dichiarato dalla Corte, la giurisprudenza vertente su restrizioni all’esercizio delle libertà di circola-zione in seno alla Comunità non può essere integralmente applicata ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i Paesi terzi, in quanto tali movimenti si collocano in un contesto giuridico diverso, per esempio il quadro di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri stabilito dalla Direttiva sulla reciproca assistenza non esiste tra queste ultime e le autorità competenti di uno Stato terzo. (consid. 69)

La Repubblica italiana ha poi affermato, senza essere contraddetta dalla Commissione, che non esiste alcun dispositivo di scambio di informazioni tra essa e il Principato del Liechtenstein e le CDI che aveva firmato con la Repubblica d’Islanda e con il Regno di Norvegia non prevedono l’obbligo di fornire informazioni.

La Corte ha quindi considerato la normativa italiana in esame giustificata con riferimento agli Stati parti dell’Accordo SEE, per il motivo imperativo di interesse generale riguardante la lotta contro la frode fiscale, nonché idonea a garantire la realizzazione di detto obiettivo senza eccedere quanto necessario per conseguirlo. (consid. 72)

La Corte ha quindi respinto il ricorso della Commissione vertente la violazione dell’articolo 40 Accordo SEE da parte della Repubblica italiana.

Elenco delle fonti fotografiche:

http://www.fiscooggi.it/files/imagecache/img_major_story/immagini_articoli/u18/uscita.jpg[21.12.2011]

http://www.fiscooggi.it/files/imagecache/img_major_story/immagini_articoli/u26/corte-giustizia-europea_.jpg [21.12.2011]

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