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Nova itinera percorsi del diritto nel XXI secolo N° 1 - Aprile 2011 L’EDITORIALE 150 ANNI DI MAGISTRATURA ITALIANA ACCADE OGGI TRA LA VITA E LA NECESSITÀ: LA PENA O “LE PENE” DI MORTE? DOVE PENDE LA BILANCIA ORGANIZZARE LA GIUSTIZIA

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Novaitinera

percorsi del dirittonel XXI secolo

N° 1 - Aprile 2011

L’EDITORIALE

150�ANNI�DI

MAGISTRATURA

ITALIANA

ACCADE OGGI

TRA�LA�VITA�E�LA

NECESSITÀ:�LA�PENA

O�“LE�PENE”�DI

MORTE?

DOVE PENDE LA BILANCIA

ORGANIZZARE

LA�GIUSTIZIA

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sommarioLE RAGIONI DI UNA RIVISTA 5di STEFANO AMORE E CYNTHIA ORLANDI

L’EDITORIALE

“FATTA L'ITALIA, bISOGNA FARE GLI ITALIANI”:150 ANNI DI mAGISTRATURA ITALIANA 9di STEFANO AMORE

ACCADE OGGI

TRA LA VITA E LA NEcESSITà: LA pENA O“LE” pENE DI mORTE? 13di MARIO ASCHERI

PER NON DIMENTICARE

LA mONTAGNA INcANTATA:cRONAcA DI UN VIAGGIO INcOmpIUTO 18di STEFANO AMORE

AMbIENTE E sICuREzzA

L’AccORDO DI pROGRAmmA E LA TUTELADELL’AmbIENTE 20di MARIO DE IORIS

PROfEssIONI E REsPONsAbILITÀ

IL NUOVO ORDINAmENTO DIScIpLINARE NOTARILE 27di IGNAZIO LEOTTA

uNIvERsITÀ TRA INNOvAzIONE E TRADIzIONE

pROSpETTIVE DELL’UNIVERSITà TELEmATIcA IN EUROpA E IN ITALIA 33di PAOLO LIBERATI

ACTA NOTARILIA

IL REATO DI LOTTIzzAzIONE AbUSIVA E IL NOTAIO 37di LAURETTA CASADEI

ATTI DI DESTINAzIONE:UNA chIAVE DI LETTURA ALTERNATIVA 45di STEFANIA LANZILLOTTI e Giuseppe Morano

Quadrimestrale di legislazione,giurisprudenza, dottrinae attualità giuridicaN° 1 - Gennaio 2011Autorizzazione del Tribunaledi Roma nr. 445del 23 novembre 2010

DIRETTORE RESPONSABILE:Stefano Amore

VICE DIRETTORI:Paolo LiberatiLuigi Viola

DIRETTORE EDITORIALE:Cynthia Orlandi

COMITATO DI REDAZIONE:Alessandra AlessandroGiuseppe BiancoCarlo CarboneCristian CarusoLauretta CasadeiUmberto CerasoliPietro ChiofaloMaria Antonietta CrocittoFrancesco De ClementiMario De IorisVito Antonio De PalmaAndrea GiordanoMassimiliano LucchesiGiuseppe MoranoLaura MorselliSandra MoselliEmanuela PorruGianluigi PratolaDaria ProiettiEnzo ProiettiMarco ProiettiLorenzo QuiliciLucia SpiritoFederico Tomassini

SEGRETERIA DI REDAZIONE:Elisabetta ArrabitoBarbara del SerroneGiacomo PompeoAntonio Torroni

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AssIsTENzA sANITARIA IN ITALIA: QuALE fuTuRO?

RITORNO AL FUTURO. INTERVISTA A STEFANO cUzzILLA,pRESIDENTE DEL FASI 51

CRONAChE DELLA MAGIsTRATuRA

pROSpETTIVE pER LA mAGISTRATURA ASSOcIATA 53di COSIMO MARIA FERRI

UN’ETIcA pER I mAGISTRATI 56di ALDO MORGIGNI

AvvOCATuRA PER L’AvvENIRE

UN’AVVOcATURA AL pASSO cON I TEmpI 59di ANTONIO CONTE

REGIONI ED AuTONOMIE LOCALI

LA pROVINcIA DEL FUTURO 63di FRANCESCO SCHITTULLI

FEDERALISmO, ENTI LOcALI E GIUSTIzIA 65di ALBERTO SARRA

IL cORAGGIO DI INNOVARE 68di NICOLA ZINGARETTI

INfORMAzIONE, TECNOLOGIA E sOCIETÀ

L’INFORmAzIONE NELL’ERA DELLA pOSTmODERNITà 70di PASQUALE D’INNELLA CAPANO

OssERvATORIO suL LAvORO

UNA NUOVA cULTURA DEL LAVORO 73di ROSARIO DE LUCA

sALuTE E GIusTIzIA: PILLOLE DI DIRITTO

DAI pRINcIpI ORIGINARI ALL’EVOLUzIONEGIURISpRUDENzIALE: LA pROFESSIONE mEDIcA OGGI 77di GIUSEPPE J. SCIARRONE

ORDINAMENTO ED ETICA DELLO sPORT

L’ARbITRATO NEL DIRITTO DELLO SpORT 80di ENZO PROIETTI

L’ETIcA DELLO SpORT 87di STEFANO FARINA

COMITATO SCIENTIFICO:

Mario AscheriProfessore Ordinario di Storia

del Diritto Medievale e Moderno

Paola BalducciAvvocato, Professore Associato di DirittoProcessuale Penale

Giovanni BiancoProfessore di Dottrina dello Stato e Diritto Pubblico

Guido CalviDocente di Filosofia del Diritto, Componente del C.S.M.

Giuseppe CelesteNotaio, Componente Consiglio Nazionale Notariato

Bona Ciaccia Professore Ordinario di Diritto Processuale Civile

Fiorella D’AngeliProfessore Ordinario di Diritto Civile

Rosario De LucaPresidente della Fondazione Studidei Consulenti del Lavoro

Giuseppe de RosaConsigliere della Corte dei Conti

Angela Del VecchioProfessore Ordinariodi Diritto dell’Unione Europea

Pasquale d’Innella CapanoAmministratore di Telpress Italia S.p.A.

Fabio Massimo GalloPresidente Sez. Lav. Corte di Appello di Roma

Antonio LaudatiProcuratore della Repubblica del Tribunale di Bari

Giuseppina LeoGiudice del Tribunale del Lavoro di Roma

Filiberto PalumboAvvocato, Componente del C.S.M.

Piero SandulliProfessore di Diritto Processuale civile

Giuseppe ValentinoAvvocato

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sommario

TEORIA E PRATICA DEL PROCEssO

IL DIRITTO ALLA DIFESA NEL pROcEDImENTOSOmmARIO DI cOGNIzIONE 88di PIERO SANDULLI

LA cASSAzIONE RIScRIVE L’OppOSIzIONEA DEcRETO INGIUNTIVO 95di ANDREA GIORDANO

sCENARI E PROsPETTIvE DELLA GIusTIzIA MINORILE

bILANcIO DELLA IV cONFERENzA INTERNAzIONALESULLA GIUSTIzIA mINORILE 107di ALESSANDRO PADOVANI

L’ANGOLO DELLE RIfORME

LE SOcIETà DI LAVORO pROFESSIONALEIN ITALIA E IN EUROpA 109di ANDREA BONECHI

UN pERcORSO pER LE RIFORmE DELLA GIUSTIzIA 113di ENRICO FOLGORI

DIRITTO ED ECONOMIA

LEGALITà E DINTORNI 116di FRANCESCO PULITINI

GIuRIsPRuDENzA COMMENTATA

a cura di: MARIANTONIETTA CROCITTO, DARIA PROIETTI e FEDERICO TOMASSINI 122

ELOGIO DELL’INERzIA : IDEE E PROPOsITI NON ANCORA ATTuATI

LE pROFESSIONI E LA SFIDA DELLA RIFORmA 126di MARINA CALDERONE

LETTuRE E RECENsIONI 130

DOvE PENDE LA bILANCIA: PRObLEMI DELLA GIusTIzIA

ORGANIzzARE LA GIUSTIzIA 131di ANTONIO LAUDATI

cOmITATO D’ONORE:

marina calderonepresidente del comitato Unitariodelle professioni

Giuseppe chiaravallotiVice presidente dell’Autorità Garanteper la protezione dei Dati personali

Antonio contepresidente del consiglio dell’Ordine

degli Avvocati di Roma

Adolfo de Rienzipresidente dell’Accademia

del Notariato

Ignazio Leottapresidente di Federnotai

Alberto SarraSottosegretario alle Riforme

della Regione calabria

Francesco Schittullipresidente della provincia di bari

Giuseppe Scopellitipresidente della Regione calabria

Nova ItineraQuadrimestraleSpedizione in abbonamento postale

Casa editrice Nuova Scienza S.R.L.,Via S.Tommaso d’Aquino, 4700136 RomaCod. Fisc. / P.I. 11072071001

Stampa: Stamperia Lampo - RomaFinito di stampare nel mese di aprile 2011

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E mily Dickinson ha scritto che “non c’è nessun vascello che possa portarci incontrade lontane come può un libro”. E appunto questo vuole essere lo scopo di“Nova Itinera”. Avviare un percorso nelle contrade lontane di un diritto ancora in

formazione, il diritto di una società che si annuncia profondamente diversa da quelle delpassato. D’altronde, una rivista di cultura giuridica con una qualche ambizione non po-trebbe proporsi, in questo accidentato inizio di percorso del nuovo millennio, che di “in-segnare quel che debba farsi”, piuttosto che continuare, secondo il modo antico e forsesterile, ad “annunziare quel che si fa”. Nova Itinera non sarà, quindi, e ce ne scusiamo anticipatamente con chi si fosse aspettatoqualcosa di diverso, un contenitore di news giuridiche o uno spazio dove raccogliere imolti commenti che, invariabilmente, ogni nuova norma suscita. Sarà invece un luogo di proposte e di provocazioni, aperto agli insegnamenti del passato,in cui permettere il confronto tra le diverse istanze che animano e costituiscono il diritto,magari in modo più composto e costruttivo rispetto a quanto accade in altre sedi.Mario Ascheri ci rammenta nel suo articolo sulla pena e “le pene” di morte, pubblicato inquesto numero, che oggi esistono solo confini politico-giuridici-militari. E che altro tipo dimuri, anche se fortemente agognati, sono ormai, quasi sempre, di impossibile realizzazione. Proprio da questa difficoltà di costruire un limes preciso e stabile tra categorie, tra nazionie, in definitiva, tra le stesse esigenze fondamentali del vivere quotidiano, nasce il dirittodel terzo millennio: un diritto privo di stabilità e di uno scopo unitario, destinato ad unrapido consumo, incapace di essere conosciuto se non nei suoi aspetti più superficiali. Cosa rimane da fare, dunque, al giurista contemporaneo? Certamente, continuare a lottare contro tutte le forme di omologazione culturale e diignoranza, per la sopravvivenza di una specifica cultura giuridica ed umana. Un grande storico francese, Marc Bloch, sosteneva che il compito principale dello storicoè distinguere il vero dal falso. Ai giuristi di oggi tocca, a ben vedere, un compito ancorapiù arduo: quello di impedire che nella coscienza degli uomini la distinzione tra vero efalso, tra giusto e ingiusto, venga definitivamente cancellata.

Stefano AmoreDirettore di “Nova Itinera”

Le ragioni di una rivista

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Per tutta la vita, si può dire, mi sono occupata di marketing e comunicazione. Più di un lavoropotrei definirla una passione, che ha guidato i miei studi, ha determinato la mia carriera einfluito, anche al di fuori del lavoro, su gran parte dei miei interessi sociali e culturali.

Quando mi è stata proposta la direzione editoriale di questa rivista, mi sono chiesta quale potesseessere il mio contributo ad un progetto di carattere scientifico e di contenuto giuridico. Di frontea temi come il diritto e la giustizia, ho pensato, a lungo, se la mia esperienza nella comunicazionebastasse come “titolo”, per poter ricoprire, degnamente, tale ruolo. E, come quando nel mio lavoromi trovo davanti ad un nuovo progetto, ho cominciato a riflettere su obiettivi e contenuti di questapubblicazione, ponendomi una domanda tra tutte.Cos’è per noi (donne e uomini) il Diritto? E poi ho ricordato. Ho ricordato che questo è il medesimo quesito che Platone, nel “Minosse”, fa porre a Socrate.Socrate è il primo filosofo che ha indagato l’uomo e che ha posto il problema dei rapporti tra ilmale e il bene: la definizione socratica del male come semplice ignoranza del bene mi sembra,anzi, particolarmente stimolante come punto di riferimento di una rivista che intende occuparsi didiritto.Se il diritto segna i confini tra il bene e il male, una rivista che si voglia interessare di diritto devequantomeno tentare di far riconoscere ai suoi lettori questi confini, realizzando così il nucleoessenziale del messaggio di Socrate che, nell’indagare e definire questi temi, ha affermato che nonc’è uomo senza legge e, quindi, senza diritto. L’uomo Socratico è figlio delle leggi e del diritto.Anzi, in quella prospettiva, l’uomo comincia ad essere veramente tale solo in presenza della legge,che costituisce, è questo forse il messaggio socratico più profondo, parte integrante di ciascuno dinoi, del nostro quotidiano.Il diritto e le leggi sono fondamentali, lo sappiamo, per la vita sociale e per i rapporti tra gli esseriumani, ma nella prospettiva dell’uomo la legge rappresenta, se possibile, qualcosa di ancora piùimportante: è essa stessa esistenza, modo specifico della sopravvivenza dell’uomo in quel nuovo,e non meno insidioso, habitat sociale che nei secoli ha progressivamente sostituito gli spazi originaridella natura. L’approccio “elementare” ai grandi temi del diritto, quello dell’uomo comune, in questo caso ancheil mio, può quindi costituire uno stimolo utile per i giuristi, per la dottrina, se non altro perché possano confrontarsi positivamente con la vita e con i bisogni di una comune quotidianità che,realizzandosi come complesso di relazioni tra esseri umani, deve essere regolata dal diritto.Anche in questo caso sono stata soccorsa da Socrate, dal Socrate rappresentato da Platone nelCritone, e, proprio perché forte del mio “dubbio” e della mia socratica “ignoranza”, mi dichiarodisposta ad affrontare questo nuovo progetto, che vorrebbe contribuire (scusate la forte ambizione)a restituire anche il diritto all’uomo.

Cynthia OrlandiDirettore editoriale di “Nova Itinera”

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“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”

Stefano AmoreMagistrato

150 anni di Magistratura italiana

“Una regola rigorosa – scriveva G.K. che-sterton in “Ortodossia”- non è soltanto neces-saria per governare; è necessaria anche perribellarsi. Un ideale fisso e familiare è indispen-sabile per qualunque specie di rivoluzione.”

chesterton aveva ragione. Lo dimostra il se-colare corso della nostra storia, in cui gli idealidi giustizia sono stati alla base di profondi som-movimenti politici e sociali.

E lo dimostra lo stesso ruolo dei giuristinell’evoluzione delle società occidentali.

Il processo di unificazione dell’Italia, l’av-vento al potere della borghesia, il fascismo,l’esordio della repubblica, il sessantotto e glianni di piombo, rappresentano capitoli dellanostra storia alla cui migliore comprensionegioverebbe certamente l’esame delle vicende edelle dinamiche della giurisdizione, che ha

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spesso giocato un ruolo di rilievo nei mo-menti di maggiore crisi del nostro paese, ri-manendone, peraltro, quasi sempre coinvoltae trasformata.

Va però subito detto che in Italia la ri-forma più profonda ed evidente del ruolodella giurisdizione e dei magistrati non èstata opera del legislatore o della volontà po-polare. È stata, piuttosto, conseguenza del-l’azione dei media, una delle grandi forzepropulsive della storia contemporanea, cheamplificando, trasformando e, talvolta, stra-volgendo il ruolo e l’immagine della magi-stratura l’ha resa, alla fine del XX secolo, unapparente competitore della classe politica.

peraltro, nonostante la diversità dei con-testi ordinamentali e politici, non mancano,in questo secolo e mezzo di storia della ma-gistratura italiana, analogie, talora sorpren-denti, tra situazioni del presente e delpassato, che testimoniano di una inelimina-bile e permanente tensione di fondo tra po-tere giurisdizionale ed esecutivo.

Emblematico il caso di Diego Tajani che,nominato nel 1871 procuratore generale dipalermo, avrebbe poco tempo dopo rasse-gnato le dimissioni dalla magistratura per igravi contrasti intervenuti con il governodopo l'incriminazione del questore GiuseppeAlbanese, accusato di essere connivente conla mafia e mandante di alcuni omicidi.

Sebbene l’episodio non possa essere gene-ralizzato ed abbia un significato che devecertamente tenere adeguato conto delle dina-miche politiche dell’epoca (Tajani diverràministro Guardasigilli con l’avvento al go-verno della Sinistra), è indubbio che, già inquegli anni, il senso di indipendenza e laconsapevolezza del rilievo della funzioneesercitata fosse molto vivo in una parte nontrascurabile della magistratura italiana.

A impedire che le periodiche “frizioni” tramagistratura e potere esecutivo potessero

scadere in veri e propri conflitti istituzionalivi era, però, non solo una cornice normativaprofondamente diversa da quella attuale - loStatuto Albertino negava ogni fondamentocome autonomo potere alla giurisdizione fa-cendone, in sostanza, un settore specializzatodella pubblica amministrazione – ma ancheuna situazione di sostanziale omogeneità so-ciale e culturale tra la magistratura e la classedirigente del paese. Ne è dimostrazione evi-dente la circostanza che gran parte dei mini-stri della giustizia nominati fra il 1861 e il1900 provenissero, per l’appunto, dai ranghidella magistratura e che nel 1866 ben 27 su43 alti magistrati in servizio sedessero purein parlamento.

Il che però non evitava, anzi forse talvoltaalimentava, episodi di evidente dissonanza,in cui il ruolo della magistratura assumevaun rilievo ulteriore rispetto a quello stretta-mente giurisdizionale e, quindi, una speci-fica valenza politica.

A conferma di ciò basterebbe ricordare ladecisione con cui, il 20 febbraio 1900, la cortedi cassazione di Roma giudicò nullo il cd.decreto pelloux, che aveva introdotto signi-ficative limitazioni delle libertà di associa-zione, di riunione e di stampa.

Aldilà dell’atteggiamento prudente te-nuto dalla Suprema corte nella motivazionedella sentenza, in cui ci si limitava a rilevarel’incostituzionalità del decreto legge sotto unprofilo meramente formale, è innegabile ilruolo assunto con ciò dal potere giudiziarionella soluzione della complessa crisi politico-istituzionale di fine secolo.

Questi episodi consentono anche di chia-rire come, per tratteggiare efficacemente lasituazione della magistratura italiana allafine del XIX secolo, non ci si possa limitarealla considerazione del dato normativo, dacui emergerebbe solo il disegno di una cate-goria fortemente gerarchizzata, in cui l’avan-

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zamento in carriera, il trasferimento nellesedi desiderate e le iniziative disciplinari di-pendono esclusivamente dalle decisioni delministro della Giustizia.

In realtà non mancano, già in quegli anni,voci critiche che si preoccupano di denun-ciare la burocratizzazione dell’apparato giu-diziario come un disvalore ed un concretorischio per il paese.

In un famoso articolo del 1894, Lodovicomortara, celebrato docente universitario de-stinato a divenire presidente della corte dicassazione e, successivamente, ministrodella Giustizia, tratteggia con sarcasmo ecommiserazione la regressione a mero buro-crate del magistrato, facendola percepire allettore, al di là dei limiti della normativa edella temperie culturale dell’epoca, come ilvero peccato mortale della giurisdizione.

“ Vedeteli”, scrive mortara, “i nostri ma-gistrati, nelle preture, nei tribunali, nelle cortid'appello. Li sorprenderete più di una voltachini e cogitabondi su di un libro. pensateche meditino il codice, o un qualche famosis-simo commentario? Vi ingannate. Quel libro,l'unico libro che non manca mai alla biblio-teca del magistrato italiano, è la Graduatoria,stupenda trovata della ignoranza ufficialeche regna sovrana nell'italica amministra-

zione. E il magistrato che studia quel libro, siassorbe in calcoli e combinazioni che a noiprofani, quando udiamo esporli, ricordanoesattamente la cabala del lotto.”.

In realtà, il rischio di burocratizzazione,evocato così brillantemente da mortara, nonè mai venuto meno e continua a rappresen-tare una delle “tentazioni” a cui i magistratiitaliani sono più esposti. Tuttavia, l’espe-rienza degli ultimi decenni ha fatto conoscerea tutti un male ancora più insidioso e forierodi danni per la magistratura: quello dellaspettacolarizzazione delle iniziative giudi-ziarie.

ci si potrebbe chiedere, anzi, se lo stessoruolo tradizionale della giurisdizione non siadivenuto oggetto di una sostanziale e pro-fonda trasformazione, tuttora in corso,indotta proprio dalle esigenze della comuni-cazione.

Quale che sia la risposta a questo inter-rogativo, non può non condividersi quantoosservato, qualche tempo fa, da GiulianoFerrara: “quando un giornalista si traveste dagiudice, e un giudice da giornalista, allora labase delle nostre libertà è non già incrinata omessa in mora, ma letteralmente distrutta”. ■

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La pena di morte oggi

La campagna per la moratoria della penadi morte meritoriamente promossa dal nostropaese ha visto organizzazioni come NessunoTocchi caino e il Lions International attive inprima fila per sensibilizzare grandi e piccini,per rendere recettivi alla questione nei quar-tieri alti e meno alti.

E si è vinto, se così si vuol dire, anche se sisa che il voto positivo ottenuto all’ONU ha unsignificato essenzialmente morale, trattandosidi un problema di legislazione interna ai sin-goli paesi.

più concretamente, la pena suprema è di-venuta nel dopoguerra solo un ricordo per ilnostro continente, mentre in tanti paesi delnostro mondo ‘globale’ essa è ancora previstae applicata con frequenza e con rigore, a volteanche per reati considerati gravi, ma certa-mente così usuali da non colpirci più di tanto(in cina ad esempio per corruzione e concus-sione, per evasione fiscale, frode e specula-zione).

Sul tema le cronache fanno frequente rife-rimento al paese per il quale ci sono più anti-patie e simpatie al tempo stesso, cioè gli StatiUniti d’America, e a quello di più antica civiltàin cui, però, se ne fa, attualmente, l’uso più fre-quente: la cina.

In cina, appunto, nel 2007 sono state effet-tuate quasi l’80% delle esecuzioni mondiali re-

pertoriate. con fucilazione o iniezione letalecirca cinquemila persone sono state privatedella vita in quel paese e tutto fa pensare cheil trend degli anni successivi non sia stato dameno e che la crisi economica attuale, moltosentita anche in quel paese, possa addiritturacondurre ad un ulteriore giro di vite.

Il numero delle esecuzioni cinesi è, senzadubbio, impressionante. Eppure i nostri mediasi soffermano soprattutto su quelle americane,anche se nel 2007 ne sono state eseguite 42,meno dell’1% di quelle cinesi.

Strane contraddizioni

La domanda che ci interessa in questa sedeè perché nel nostro paese – come del resto neglistessi USA e negli altri paesi della vecchia Eu-ropa occidentale – l’opinione pubblica siatanto sensibile a questi tragici eventi.

perché, ad esempio, non si parla con lastessa drammaticità dei bambini che quotidia-namente muoiono di fame in qualche angolodel nostro mondo? O del milione di personemassacrate a colpi di machete nel Ruanda insoli tre mesi o di quanto è avvenuto e continuaad avvenire nel caucaso, nel Darfur o nellozimbawe?

perché questi eccidi non fanno notizia e ilcondannato a morte sì? perché la disugua-glianza ci perseguita anche nella morte?

Tra la vita e la necessità:

la pena o “le” pene di morte?

Mario AscheriProfessore Ordinario di Storia del Diritto Medievale e Moderno

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Qualche tempo fa, a chi si opponeva alleOlimpiadi in cina per la violazione sistematicadei diritti umani che vi ha luogo, il presidentedell’Associazione Italia -cina, un noto managerdell’industria, ha replicato che “se si guardassebene neppure gli Usa potrebbero ospitare i gio-chi olimpici”!

Le violazioni dei diritti umani di Guanta-namo e la previsione e applicazione della penadi morte in alcuni dei suoi Stati, possono far pa-ragonare gli Stati Uniti a paesi in cui ben di-verso è il numero e la gravità delle violazionidei diritti umani?

In realtà, dichiarazioni e confronti del generesfuggono alla riprovazione generale solo per ildiffuso sentimento di avversione nei confrontidegli Stati Uniti.

Un’avversione che sembra toccare anche chinon è poi così contrario alla politica estera diquesto paese. perché la pena di morte, che as-sume così il rilievo di una scriminante fonda-mentale, divide il mondo in due.

Da un lato, i paesi che, con tutti i loro difetti(tipo il nostro), si sentono buoni, virtuosi, mi-gliori solo per non avere più tra le pene previstequella di morte (pur avendo pene ‘non nomi-nate’, come ad esempio il carcere preventivo) e,dall’altro, i paesi che conservano la pena capi-tale. Tutto noto, notissimo. ma ora bisognaspingersi oltre nel ragionamento e non sarà deltutto piacevole.

“Non ucciderai”

Non sono un filosofo e non saprei entrare inpolemiche dottissime (ma anche con diffuseconseguenze nelle coscienze) come quelle tra ilgrande papa in carica, benedetto XVI, e filosoficome Emanuele Severino e il suo Essere parme-nideo, che lo ha portato addirittura a chiarireperché non può sentirsi cristiano, contro famoseammissioni di laici impenitenti come benedetto

croce o, più recentemente, di un politico dottocome marcello pera.

ma mi piace esercitarmi a collegare spezzonidi fonti antiche, tuttora autorevolissime (e perme essenzialmente storiche), con le consapevo-lezze di massa circolanti, per poi leggere il tutto,invitando a riflettere, alla luce dei principi chereggono il lavoro intellettuale: ad esempio,quello di non contraddizione.

partirei dalla banale osservazione che il ca-tegorico “Non ucciderai”, in realtà, non è poicosì categorico. Non ucciderò certo, ma con unlimite: a meno che non sussista un “buon mo-tivo”.

La guerra (a volte richiesta come “giusta”) ela “legittima difesa” sono, da tempi antichis-simi, considerate eccezioni motivate all’ordinefondamentale ricordato.

Il “Non ucciderai” non è così assoluto comeviene dichiarato o come ci potrebbe suggerireun’interpretazione letterale.

La vita altrui può nella nostra tradizione cul-turale e religiosa essere soppressa nei casi limiteche storicamente sono stati riconosciuti come“giusti”. Alla guerra e alla legittima difesa neaggiungerò uno cui si fa poca attenzione e cheè invece oggi della massima attualità – unadrammatica attualità, come si vedrà.

mi riferisco allo “stato di necessità”, che nelnostro codice penale autorizza, in un classicoesempio di scuola, a sopprimere il naufrago ag-grappato come noi all’unico pezzo di legno o alsalvagente in grado di tenere a galla una solapersona. La situazione eccezionale, in quel mo-mento drammatico, autorizza il più forte ad uc-cidere; a lui sarà lecito salvarsi con il sacrificiodella controparte, anche se più debole e moral-mente più bisognosa di aiuto.

Anche più significativi, per chiarire l’ampiaarea di applicazione del principio, i casi di can-nibalismo cui sono stati costretti, in tempi nonlontani, i sopravvissuti a un incidente aereonelle Ande.Ac

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“La necessità non ha legge”, dicevano giàgli antichi. Già. ma gli antichi, ossia i nostripredecessori fino a pochi decenni or sono, vi-vevano in un mondo limitato, con dei “con-fini” a un passo più o meno lontano, oltre ilquale si poteva dire “hic sunt leones”, per ac-cennare all’Altro lontano: irrimediabilmente,per lui e per noi.

I rapporti tra i due mondi, il Qui e il Là,erano pochi e scarsamente significativi. Occa-sionali, quasi, non modificavano la nostra per-cezione dei confini – salvo casi di invasionibelliche, naturalmente. Oggi invece esistonosolo confini politico-giuridici-militari.

Nel mondo globale bisogna erigere deimuri, e solidi, se si vogliono evitare presenzescomode o non desiderate. ma sono muri avolte troppo costosi, anche solo da un puntodi vista politico, o tecnicamente impossibili.

Le grandi migrazioni sono cominciate, ehanno già sconvolto le comunità omogenee diun passato immobile da secoli. E sono migra-zioni ‘qualificate’ per lo più dal bisogno, dal-l’aggravarsi del divario tra mondo“sviluppato” del benessere (per quanto?) emondo sempre più perseguitato dalla fame edalla sete.

per questo mondo l’accesso a siti dov’è pos-sibile sopravvivere si configura come movi-mento pienamente legittimo in base al grandeprincipio della necessità.

La resistenza ad esso a sua volta sarà legit-tima solo in quanto risposta all’aggressione (see quando ci fosse e proporzionata ad essa) ocome estremo rimedio per sopravvivere.

Non solo. Un tempo quei confini riconoscibili indica-

vano anche l’orizzonte dell’obbligo di assistenza.Ognuno si sentiva in dovere di intervenire entroil proprio orizzonte quotidiano, e riservava achi aveva disponibilità eccezionali, agli enti, ildovere di intervenire oltre i confini. Gli squili-bri globali e le possibilità tecnologiche di oggi

hanno stravolto questo quadro. Oggi sarebbe tecnicamente possibile fare ponti

aerei per raggiungere con cibi e quant’altro fosse ne-cessario i quattro angoli del mondo del bisogno. Neiconfronti dei malati delle zone sconvolte da epide-mie (e ora l’Aids stesso si configura come tale inmolte aree dell’Africa, come si sa) e nei confronti deibimbi destinati a morte sicura per inedia noiavremmo, quindi, un preciso obbligo di soccorso.

Tra la morte di tanti malati e bambini, cheha luogo nel momento in cui ho scritto comein quello in cui vengo letto, e il nostro benes-sere esiste un rapporto di causalità morale, senon giuridico. Se fossimo più diligenti nel soc-corso, i decessi che hanno luogo mentre ci pre-occupiamo per il nostro futuro non avrebberoluogo. Dal rapporto tra quel bisogno e il nostrobenessere discende una conseguenza gravis-sima.

Di quei decessi siamo in qualche modo respon-sabili. Il (nostro bisogno di) Benessere uccide quelBisogno (di vita).

per colpa, non certo per dolo, ma la colpac’è. Noi applichiamo nei confronti di quelmondo una sentenza di condanna; con unapena precisa di morte. Implicita, non volutaesplicitamente, messa tra parentesi per quantosi può, ma pur sempre proclamata e attuata.

Non c’è esercizio della ‘grazia’ che in pochicasi marginali. pochi casi che hanno la fun-zione di rassicurarci, farci sentire sereni perchénon responsabili.

Abbiamo fatto il possibile: questa la men-zogna che è stata credibile però solo sino aquando c’è stata l’irraggiungibilità materiale, finoa 50 anni fa.

Il Paese dei valori assoluti?

Il nostro mondo è più complicato di quantocrediamo e di quanto vorremmo.

ci sono dei casi in cui applichiamo anche Acca

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noi la pena di morte, eccome. Giusta quindi la battaglia contraria, giusti

tutti gli interventi possibili, giuste le campagnesacrosante che tendono a porre limiti semprepiù larghi alla morte e ad ampliare la sferadella vita.

ma senza ingannarci sulla possibilità del-l’Assoluto. Gli sforzi sono relativi e la vita cheriusciamo a salvare non è (e non sarà mai?) laVita, tutta la Vita...

Non è soltanto, ad esempio, consentendol’aborto (sia pure come male minore rispettoall’aborto clandestino) che facciamo eccezioneal principio del rispetto della Vita, l’abbiamovisto. La nostra storia attuale è costellata dimoltissime violazioni quotidiane al principiodella Vita.

Le nostre colpe per omissione sono infinite. La nostra giusta condanna della pena di

morte giudiziaria deve esserne consapevole. perciò, non è dividendo il mondo in modo

manicheo e culturalmente superficiale che sal-viamo la nostra Innocenza. La debolezza, lamiseria umana, la sua finitezza nella città ter-rena, la mancanza dell’Assoluto, ci sono ehanno conseguenze importanti tra le quali in-dicherei almeno queste:

a) non ci si può nascondere dietro i giochidi parole che consentono di tagliare con l’ac-cetta i paesi del nostro mondo, in modo sem-plicistico, in due schieramenti, perché si deveammettere che c’è una varietà di sentenze e dipene di morte quotidianamente emesse ed in-ferte, più o meno nominali e consapevoli;

b) la par condicio nella consapevolezza del‘peccato’ se, da un lato, dovrebbe aumentarela solidarietà entro la comunità umana, dall’al-tro deve rafforzare gli sforzi per attivare ogni“circuito virtuoso” riconosciuto come efficacein favore del principio della Vita, fatto salvoche astrattamente sia l’aborto che la pena di

morte fanno ‘legittimamente’ parte del mondoterreno: il Mondo malauguratamente senza Asso-luto;

c) la limitatezza delle risorse e la crescitadell’area del bisogno di sopravvivenza co-stringe a riflettere sui limiti della nostra orga-nizzazione sociale, basata sui consumi e sulconnesso problema delle priorità: di fronte adattentati concorrenti e tanto diversi alla Vita,dove bisogna orientare prioritariamente glisforzi?

d) a monte dobbiamo, quindi, discuteredell’orizzonte delle priorità negli interventi trasituazioni concorrenti, che possono risultareapparentemente diversissime, ma che richie-derebbero, tutte, una profonda e difficile rifles-sione. ma allora perché le opinioni correnti, cisi potrà chiedere per concludere questo ragio-namento?

Sullo sfondo della Grande Semplificazione cuiabbiamo accennato in tema di pena di morte,c’è una tendenza culturale profonda, “no-strana”, a ragionare in termini astratti e faziosi,propagandistici, oppure scarsamente ancoratiai rapporti reali, materiali dell’esistenza, ap-pesi ai sogni dell’utopia, che confondono il ter-reno con l’ultraterreno, il Relativo conl’Assoluto – distinzione già di per sé facile soloa livello linguistico...

E c’è qualcosa di più. Nelle società opu-lente, poche e relativamente da poco tempo (lanostra lo è ancora da minor tempo: pratica-mente solo da meno di un mezzo secolo), c’èun bisogno collettivo di compensare la man-canza di soccorso segnalata; c’è bisogno di“salvarsi” la coscienza presentandoci comevirtuosi, come rispettosi della Vita. E gli slo-gans servono egregiamente allo scopo.

ma questo non è un argomento così forteda convincere a farcene travolgere tutti. ■

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La montagna incantata viene pubblicatanel 1924 e costituisce un importante docu-mento della capacità di Thomas mann di rap-presentare quelle dinamiche spirituali eculturali che condurranno la Germania a con-segnarsi, a distanza di pochi anni, agli orroridel nazionalsocialismo.

“Tatenlos und gedankenreich - votata alpensiero e negata all’azione” aveva dettodella Germania hölderlin e proprio in questasua dimensione ideale viene descritta la na-zione tedesca nel grande romanzo di mann.

protagonista dell’opera è il giovane hanscastorp che, recatosi a far visita al cuginoGioacchino ziemssen, ricoverato a Davos inun sanatorio per tubercolotici, vi rimarrà, deltutto inopinatamente, per ben sette anni, ra-pito alla vita attiva dalla malattia che ha sco-perto di condividere con gli altri pazienti.

Riuscirà a strapparlo dalla montagna In-cantata e dalla sua ambigua fascinazione sololo scoppio, improvviso, della prima guerramondiale.

così lo saluta nella chiusa del romanzo lavoce narrante dell’autore:

“Addio, Giovanni Castorp, onesto Benia-

mino della vita! La tua storia è giunta al ter-

mine. L’abbiamo narrata fino in fondo: essa

non fu né lunga né breve, fu una storia erme-

tica. L’abbiamo narrata per se stessa, non per

te, poiché tu eri una creatura semplice. Ma da

ultimo essa fu la tua storia; siccome accadde

a te, vuol dire che, in qualche modo, tu non

sei il sempliciotto che sembravi. E non ne-

ghiamo la vena pedagogica che nel corso

della tua storia si è sviluppata in noi, nei tuoi

riguardi, vena che potrebbe spingerci a pas-

sare dolcemente la punta di un dito all’an-

golo dell’occhio pensando che in avveniré non

ti vedremo né ti udremo più.

Addio! Che tu viva o che tu cada, addio!

Le probabilità non ti sono favorevoli. La

ridda in cui sei trascinato durerà ancora

qualche annetto, e noi non scommettiamo che

tu riesca ad uscirne incolume. Sinceramente

parlando, lasciamo la questione insoluta

quasi senza preoccuparcene. Avventure del

corpo e dello spirito, avventure che affina-

rono la tua semplicità, ti fecero vivere nello

spirito ciò che probabilmente non vivrai nella

carne. Da questa festa mondiale della morte,

da questo malo delirio che incendia intorno

a noi la notte piovosa, sorgerà un giorno

l’amore?”

prima di perdersi nel delirio della grandeguerra, Giovanni castorp ha però avutomodo, durante il lungo soggiorno a Davos, diconoscere e vagliare tutti i moti del suo

La montagna incantata:cronaca di un viaggioincompiuto

Stefano AmoreMagistrato

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animo. ha potuto ascoltare le affet-tuose postulazioni dell’italiano Set-tembrini, erede ed interprete dellatradizione illuministica più alta, equelle del gesuita Naphta, straordina-rio portatore del pensiero nichilista difine secolo e della tradizione medioe-vale. ha potuto affacciarsi ai tremoridel sentimento e dell’amore attraversoil complesso rapporto con una delleospiti del sanatorio, claudia chau-chat, e presentire, nonostante la malat-tia, la forza di un’esistenza nonsopraffatta dal pensiero e dominatainvece dai sensi. Un modello di vitaconsegnato in un’altra, indimentica-bile, figura del romanzo: l’olandesemynheer peeperkorn.

Leggere la montagna Incantata nonè facile, per la profondità e la vastitàdei richiami culturali e per la difficoltàdi riconoscere immediatamente lesimbologie e i significati celati nellatrama di questo grande affresco dellaciviltà europea di inizio secolo.

mann non descrive, infatti, solo laGermania e le sue opposte tradizionie tentazioni, ma cerca di rappresen-tare, soprattutto, il senso dellaprofonda crisi politica e morale del-l’Europa di quegli anni.

Eppure, nonostante ciò, la monta-gna Incantata ha un sapore quasiepico, è la cronaca di un viaggio in-compiuto, di un percorso interrotto.Nel XX° secolo, sembra suggerircimann, non vi sono approdi possibiliper gli uomini.

La storia ci ha tragicamente mo-strato quanto il grande scrittore avesse

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L’accordo di programma e la tutela dell’ambiente

Mario De IorisMagistrato, Consigliere Giuridico del Ministro dell’Ambiente

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costituisce un dato di agevole constata-zione quello relativo all’ampia diffusioneavuta, soprattutto in tempi recenti, dal-l’istituto degli accordi di programma. Allabase del sempre più ampio ricorso a taleistituto vi sono, innanzitutto, ragioni disemplificazione dell’attività amministra-tiva, attuate attraverso l’utilizzo di mezziidonei a snellire le procedure di adozionedi provvedimenti amministrativi, ed acce-lerare così sia la fase istruttoria che quelladecisoria dell’azione della p.a..

La semplificazione realizzata, in parti-colare, con l’introduzione dell’Accordo diprogramma consente l’acquisizione, in ununico contesto procedurale, delle manife-stazioni di volontà, di conoscenza e di giu-dizio dei soggetti (comuni, province,Regioni, Amministrazioni statali o altrisoggetti pubblici) il cui intervento coordi-nato sia richiesto dalla legge in vista delfine da raggiungere, senza tuttavia alterarela sfera delle competenze attribuite a cia-scuno di essi.

Al sempre maggiore successo dell’isti-tuto concorrono però, ed in misura semprepiù rilevante, anche ragioni connesse allanecessità di dare attuazione a quel princi-pio di “leale collaborazione” tra i diversilivelli di governo (centrale, regionale e subregionale) a cui risulta ispirata la riformadel Titolo V della costituzione, attuata conla legge costituzionale n. 3 del 2001.

In particolare, nell’ambito del semprepiù frequente ricorso allo strumento con-sensuale per l’esercizio dell’azione ammi-nistrativa, l’accordo di programma si èimposto come strumento di elezione per laprogettazione e la realizzazione delle po-litiche e degli interventi nel settore am-bientale.

E ciò si è verificato, innanzitutto, nellaforma, più complessa ed articolata, del-

l’Accordo di programma quadro (ApQ),modalità attuativa tipica dell’ Intesa Isti-tuzionale di programma di cui all’art. 2,comma 203 della legge n. 662 del 1996,volta a realizzare una collaborazione fraistituzioni, centrali e locali, finalizzata allarealizzazione di un piano pluriennale diinterventi di interesse comune e funzional-mente collegati, da realizzarsi nel territo-rio della singola Regione o provinciaautonoma, in coerenza con il quadro dellaprogrammazione comunitaria, statale e re-gionale.

In secondo luogo, lo strumento consen-suale ha trovato progressiva, e crescente,applicazione nella forma più semplice, manon per questo meno importante, dell’Ac-cordo di programma introdotto dall’art. 27della legge n. 142 del 1990 (ora art. 34 delD. Lgs. 8 agosto 2000, n. 267), quale istitutoche consente la definizione e l'attuazionedi opere, di interventi o di programmi diintervento che richiedono, per la loro com-pleta realizzazione, l'azione integrata e co-ordinata di comuni, di province e Regioni,di Amministrazioni statali e di altri sog-getti pubblici, per assicurare il coordina-mento delle azioni e per determinarne itempi, le modalità, il finanziamento edogni altro connesso adempimento.

Si tratta di una tipologia di Accordoche, rispetto a quella precedentemente il-lustrata, presenta una prospettiva di re-spiro meno ampio e che, avendo di miraobiettivi puntuali e delimitati come l’inter-vento, o il programma di interventi, darealizzare, può costituire un segmento delpiù vasto orizzonte di ricerca di finalità disviluppo e crescita economica e sociale diun determinato territorio proprio del-l’ApQ, al punto che può essere visto, a suavolta, come suo strumento di attuazioneoperativa, come previsto dall’articolo 2, Am

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comma 203, lettera c) della legge n.662/1996, che nel disciplinare i diversi con-tenuti dell’Apq, include fra questi gli even-tuali Accordi di programma ai sensidell’articolo 34 del Decreto Legislativo n.267/2000.

Entrambe le tipologie di accordi hanno,come è possibile desumere dalla defini-zione che ne danno le rispettive normativedi riferimento, valenza generale, suscetti-bile di trovare applicazione in qualunquesettore e di coprire così l’intero orizzontedegli investimenti pubblici che rilevano perlo sviluppo del singolo territorio interes-sato.

Tuttavia, tutte e due le tipologie anzi-dette, è proprio nel campo ambientale chehanno trovato, ormai da tempo, una vastaapplicazione, e – alla luce di quanto si diràpiù innanzi – in maniera del tutto peculiare.Tale vasta applicazione si è avuta senz’altroper l’Accordo di programma quadro, delquale si sono avuti nei primi anni del de-cennio in corso esempi molto significativi,fra i quali: gli ApQ in materia di tutela delleacque e gestione delle risorse idriche pro-mossi dal ministero dell’Ambiente convarie Regioni per consentire alle stesse diprogrammare la realizzazione di adeguatereti di adduzione, di collettamento e depu-razione delle acque, in modo da porre rime-dio ad una atavica carenza strutturale, inverità ancora oggi non del tutto sanata, delnostro paese; gli ApQ in materia di energia,finalizzati tra l’altro al raggiungimentodegli obiettivi di riduzione delle emissioniin atmosfera derivanti dalla produzioneenergetica, specialmente attraverso la pro-mozione dell’utilizzo delle fonti rinnova-bili, della mobilità sostenibile e dell’usorazionale dell’energia; gli ApQ per il risa-namento ambientale, con i quali si sono pia-nificati con diverse Regioni interventi per

la rimozione di rifiuti abbandonati, per labonifica di discariche dismesse o non anorma e di siti contaminati.

ma una vasta applicazione si è avuta an-cora di più per l’Accordo di programma dicui all’articolo 34 del Decreto Legislativo n.267/2000, la cui diffusione nel settore degliinterventi ambientali è stata tale che lostesso legislatore lo ha assunto più voltecome strumento cui far ricorso per la ge-stione di iniziative ed interventi in tale set-tore.

E ciò a partire dalle disposizioni, già con-tenute nel c.d. Decreto Ronchi (art. 25 delD.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), che prevede-vano espressamente gli accordi e i contrattidi programma come mezzo per raggiungeregli obiettivi stabiliti dal decreto stesso inmateria di gestione dei rifiuti, e che sonopoi state diversamente riproposte anchenell’attuale decreto legislativo n. 152 del2006 recante norme in materia ambientale(c.d. codice dell’ambiente).

Si pensi, ad esempio, al principio per ilquale lo Stato, le regioni, le province auto-nome e gli enti locali sono abilitati ad eser-citare i poteri e le funzioni di rispettivacompetenza in materia di gestione dei ri-fiuti avvalendosi, ove opportuno, medianteaccordi, contratti di programma o protocollid'intesa anche sperimentali, di soggettipubblici o privati (art. 178, comma 4), op-pure alla previsione secondo cui è possibilericorrere ai medesimi strumenti al fine diperseguire, con effetti migliorativi, la pre-venzione e la riduzione della quantità edella pericolosità dei rifiuti (art. 180).

Oppure, a quelle altre disposizioni delmedesimo decreto legislativo che consen-tono che, sulla base di appositi accordi diprogramma stipulati con il ministro del-l'ambiente e della tutela del territorio, diconcerto con il ministro delle attività pro-Am

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duttive, d'intesa con la regione interes-sata,si possa a certe condizioni addiritturaautorizzare la costruzione e l'esercizio, al-l'interno di insediamenti industriali esi-stenti, di impianti per il recupero di rifiutiurbani non previsti dal piano regionale(art. 199, comma 12).

Di fondamentale importanza appare,ancora, la previsione contenuta nell’art.206 del predetto decreto legislativo, laquale, al dichiarato fine di perseguire larazionalizzazione e la semplificazionedelle procedure, con particolare riferi-mento alle piccole imprese, stabilisce cheil ministro dell'ambiente e le altre autoritàcompetenti possono stipulare appositi ac-cordi e contratti di programma con entipubblici, con imprese di settore, soggettipubblici o privati ed associazioni di cate-goria, aventi ad oggetto importantissimeiniziative per la gestione del ciclo inte-grato dei rifiuti.

Iniziative queste di natura alquanto va-riegata, che vanno dall’attuazione di spe-cifici piani di settore di riduzione,recupero e ottimizzazione dei flussi di ri-fiuti, alla sperimentazione, promozione,attuazione e sviluppo di processi produt-tivi e distributivi e di tecnologie pulite ido-nei a prevenire o ridurre la produzione deirifiuti e la loro pericolosità e ad ottimiz-zarne il recupero; dallo sviluppo di inno-vazioni per favorire metodi di produzionedi beni con impiego di materiali meno in-quinanti e comunque riciclabili a vere eproprie modifiche del ciclo produttivo e ri-progettazione di componenti, macchine estrumenti di controllo, o dalla sperimenta-zione, promozione e produzione di beniprogettati, confezionati e messi in com-mercio in modo da ridurre la quantità e lapericolosità dei rifiuti e i rischi di inquina-mento all'impiego da parte dei soggetti

economici e dei soggetti pubblici dei ma-teriali recuperati; dalla raccolta differen-ziata dei rifiuti urbani e dall’impiego disistemi di controllo del recupero e della ri-duzione di rifiuti all’attuazione di pro-grammi di ritiro dei beni di consumo altermine del loro ciclo di utilità ai fini delriutilizzo, del riciclaggio e del recupero.

La disposizione in parola si è rivelataparticolarmente importante perché hadato la possibilità di sviluppare e metterea punto - attraverso la collaborazione,nella stessa formulazione delle regole, tral'autorità amministrativa e le imprese e leloro organizzazioni di categoria - percorsicerti per la gestione di materie delicate e,spesso, governate da norme di non prontainterpretazione, consentendo quindi unpiù agevole svolgimento delle attività dismaltimento o recupero di particolari tipo-logie di rifiuti ad elevato impatto ambien-tale (come, ad es., rifiuti farmaceutici,pezzi di veicoli fuori uso, pile ed accumu-latori, etc.).

Sulla base di tali disposizioni numerosisono stati gli accordi di programma stipu-lati, a livello nazionale, regionale e provin-ciale, con le imprese interessate o con leloro associazioni di categoria, al pari diquanto avvenuto in base alle previsioni dialtra disposizione, l’art. 224, comma 3, lett.D), del decreto legislativo 152 del 2006, checonsente al consorzio nazionale imbal-laggi di promuovere accordi di pro-gramma con gli operatori economici perfavorire il riciclaggio e il recupero dei ri-fiuti di imballaggio, garantendone l’attua-zione.

ma nell’ambito delle disposizioni con-tenute nel menzionato decreto legislativo,la possibilità di ricorrere all’accordo diprogramma è prevista anche con riferi-mento a settori diversi da quelli relativi Am

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alla gestione dei rifiuti; si pensi alla materiadei trasferimenti d’acqua tra regioni perpianificare l’utilizzo delle risorse idriche(art. 198), o più in generale a quella della tu-tela quantitativa e qualitativa delle mede-sime risorse (v. l’art. 101, comma 10),oppure ancora a quella della bonifica deisiti contaminati (articoli 246 e 252 bis).

Anche in interventi normativi successiviil legislatore ha riproposto la possibilità perla pubblica amministrazione di far largouso in materia ambientale dell’accordo diprogramma.

ciò è avvenuto, ad esempio, con il de-creto legge sull’emergenza rifiuti in campa-nia (d. l. n. 90 del 2008, convertito nella l. n.123 del 2008), che ha attribuito (art. 11,comma 12) al ministero dell'ambiente lefunzioni relative all'individuazione me-diante accordi di programma di idonee ini-ziative di compensazione ambientale ebonifica a favore di alcuni comuni campani,individuati in ragione della loro strettaprossimità ai siti di localizzazione degli im-pianti realizzandi di gestione dei rifuti o inragione degli impianti dimessi.

Oppure, con il successivo decreto leggen. 208 del 2008, convertito dalla legge n. 13del 2009, con il quale è stata introdotta unaspecifica disposizione (l’articolo 7-sexies)volta ad incentivare, con finalità ecologiche,il mercato dell'usato, la quale ha stabilitoche al fine di regolamentare la rinascita e losviluppo, in sede locale, dei mercati del-l'usato, il ministero dell'ambiente concludecon le regioni, le province ed i comuni, insede di conferenza unificata, un accordo diprogramma, con la partecipazione delle as-sociazioni dei consumatori maggiormenterappresentative a livello regionale, apertoanche alle associazioni professionali ed im-prenditoriali interessate.

Lo stesso dicasi per talune disposizioni

contenute nella legge finanziaria del 2010(art. 2, comma 240), la quale ha previsto larealizzazione di piani straordinari volti al-l’individuazione, per ogni regione e perogni bacino idrografico, delle situazioni apiù elevato rischio idrogeologico, che ri-chiedano cioè un intervento prioritario perla prevenzione e mitigazione dello stesso,da finanziarsi sulla base anche di appositiaccordi di programma sottoscritti su baseregionale.

Da ultimo, il decreto legge n. 195 del2009, convertito dalla legge n. 26 del 2010,ha invece previsto che, per promuovere lariduzione della produzione dei rifiuti dellaplastica e delle emissioni di biossido di car-bonio, il ministro dell’ambiente può pro-muovere un accordo di programma, ai sensidell’art. 206 del d. lgs. n. 152 del 2006, consoggetti pubblici, aziende acquedottistichee associazioni di settore, finalizzato ad au-mentare, anche con impianti distributivi inaree pubbliche, il consumo di acqua pota-bile di rete senza nuovi o maggiori oneri acarico della finanza pubblica.

Alla luce di quanto sin qui evidenziato,si può pertanto ritenere che vi sia una ten-denza in atto da parte del legislatore, a pri-vilegiare l’uso dell’accordo di programmain materia ambientale, almeno ogni voltache ciò sia possibile e che, soprattutto, siafunzionale alla risoluzione di problemati-che per le quali la miglior garanzia diefficacia e celerità appare essere il coinvol-gimento di altri soggetti - pubblici maanche (e forse soprattutto) privati – non sol-tanto nella fase attuativa degli interventi,ma anche in quella pianificatoria.

Il settore delle politiche ambientali èquello che si presta, in misura maggiore dialtri, al ricorso ad un tale modulo procedi-mentale, in considerazione del rilievo e delsostegno datogli dalle autorità comunitarieAm

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che, attraverso il Sesto programmad’azione in materia ambientale e la comu-nicazione 2002/412/UE della commis-sione europea, hanno sottolineatol’importanza di integrare gli strumenti ne-goziali con le tradizionali politichelegislative ed economiche, nell’intentodi armonizzare interessi individuali ecollettivi, allargare gli spazi del consensosociale, sensibilizzare le imprese, miglio-rando al contempo i sistemi di eco-gestione aziendale, sviluppare lo scambiodelle informazioni ambientali.

Tali principi, peraltro, sono stati recepitia livello normativo dal legislatore italianoil quale, con il già richiamato art. 206 deld. lgs. 152 del 2006, ha stabilito, al quintocomma, che “ai sensi della comunicazione2002/412 del 17 luglio 2002 della commis-sione delle comunità europee è inoltrepossibile concludere accordi che la com-missione può utilizzare nell'ambito dellaautoregolamentazione, intesa come inco-raggiamento o riconoscimento dei mede-simi accordi, oppure della coregola-mentazione, intesa come proposizione allegislatore di utilizzare gli accordi, quandoopportuno”.

Si spiegherebbe anche così l’atteggia-mento, a volte tenuto dal legislatore, disalvaguardare per quanto possibile le di-sposizioni contenute in accordi di pro-gramma già stipulati, anche quando egli siaccinge a cambiare, in tutto o in parte, ilquadro normativo di riferimento nell’am-bito del quale essi sono stati perfezionati.

Si pensi ad esempio, alla disposizionecontenuta all’ articolo 9-bis del D.L. n. 172del 2008, recante “misure straordinarie perfronteggiare l’emergenza nel settore dellosmaltimento dei rifiuti nella Regione cam-pania, nonché misure urgenti di tutela am-bientale” convertito in legge 30 dicembre

2008, n. 210, la quale fino alla data di en-trata in vigore di un futuro Dm di sempli-ficazione (previsto dall'articolo 195,comma 2, lettera s-bis), Dlgs 152/2006), ri-conosce efficacia ad accordi e contratti diprogramma in materia di rifiuti stipulatitra le amministrazioni pubbliche e i sog-getti economici interessati (o associazionidi categoria rappresentative dei settori in-teressati) prima del 13 febbraio 2008 e conle semplificazioni ivi previste, anche in de-roga alle disposizioni del "codice ambien-tale", "purché nel rispetto delle normecomunitarie", autorizzandone così la pro-secuzione dell’efficacia.

Oppure, si pensi alla previsione di cuiall’art. 2 del già citato decreto legge n. 208del 2008 che, nell’introdurre il nuovo isti-tuto della transazione globale per il risar-cimento del danno ambientale nei siti dibonifica di interesse nazionale, e nel disci-plinarne gli effetti estintivi del contenziosoin essere, fa comunque salvi (comma 5) gliaccordi transattivi attuativi di accordi diprogramma già conclusi all’entrata in vi-gore della nuova normativa.

Entrambe le norme in questione appa-iono ispirate dalla volontà di non disper-dere gli effetti prodotti con gli accordi diprogramma presi in considerazione, pre-servando quindi anche i risultati raggiuntisulla loro base in termini di semplifica-zione amministrativa e di assetto di inte-ressi raggiunto tra i soggetti agli stessipartecipanti, in primis quelli privati.

Altra caratteristica saliente degli ac-cordi di programma previsti dalla legge incampo ambientale è infatti l’ampio ruolodato alla partecipazione dei soggetti pri-vati (imprese e loro associazioni di catego-ria, associazioni di consumatori e diprofessionisti), che non sempre si ritrovain egual misura in altri settori per i quali Am

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la legislazione nazionale – a differenza diquella regionale (v. ad esempio la leggedella regione calabria n. 19 del 2001 o dellaregione Sardegna n. 45 del 1988) - pur pre-vede il ricorso allo strumento in questione.

particolarmente significativo, in talsenso, appare essere quanto previsto dal-l’art. 246 del d. lgs. 152 del 2006 in materiadi procedure di bonifica dei siti contami-nati, laddove la partecipazione del soggettoprivato – obbligato alla realizzazione degliinterventi di bonifica o altrimenti ad essi in-teressato - ad accordi di programma per ladefinizione di tempi e modalità di attua-zione degli stessi è addirittura configuratain termine di “diritto” a tale definizione.

La ragione di una siffatta esaltazionedella partecipazione del privato agli accordidi programma previsti dalla norma anzi-detta è stata rinvenuta dalla giurisprudenza(v. Tar Friuli Venezia Giulia 28 gennaio 2008n. 90) nel fatto che un più penetrante coin-volgimento dello stesso negli interventi dirisanamento ambientale nelle forme dell’ac-

cordo di programma riduce i rischi di uneventuale contenzioso, e consente di defi-nire, approvare ed attuare opere o interentiche richiedono l’azione integrata e coordi-nata di più soggetti, pubblici e privati.

Tale considerazione non sembra disco-starsi molto da quanto in precedenza evi-denziato, e cioè che lo strumentodell’accordo di programma è da ritenersicome il mezzo ideale per approcciarsi a pro-blematiche per le quali la miglior garanziadi efficacia e celerità appare essere il coin-volgimento, fin dalle fasi programmatichedegli interventi da realizzare, di altri sog-getti interessati, fra i quali anche i privati, iquali possono anzi essere per ciò stesso in-centivati anche ad investire proprie risorsefinanziare per l’attuazione di tali interventi.

Situazione questa dalla quale la pubblicaamministrazione, in definitiva, ha molto daguadagnare, soprattutto in contesti di scar-sità di risorse pubbliche da destinare adopere o interventi che richiedono unapronta realizzazione. ■

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Il nuovo ordinamentodisciplinare notarile

Ignazio LeottaNotaio, Presidente di Federnotai

La figura del notaio, per le sue peculia-rità, ha pochi elementi in comune con lealtre professioni, anzi essa se ne distaccaper rappresentare un vero e proprio“unicum” del nostro ordinamento.

Il suo tratto caratteristico sta, infatti,nell’essere una particolare fusione, inun'unica realtà, di due elementi apparen-

temente opposti: la pubblica funzione e lalibera professione. Il notaio è, infatti, un li-bero professionista che svolge una pub-blica funzione. Il carattere primario dellapubblica funzione da lui esercitata fa assu-mere, peraltro, al carattere di libero profes-sionista un ruolo strumentale, volto aconsentire di organizzare i mezzi e le strut-

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ture per lo svolgimento della propria atti-vità in modo efficiente, al fine di offrireall’utenza prestazioni altamente qualificate.

Nello specifico, la funzione del notaio,come noto, consiste nell’attribuire pubblicafede agli atti da lui ricevuti e nello svolgere,nel contempo, un controllo di legalità suglistessi e sulle contrattazioni che essi racchiu-dono, in una posizione di assoluta terzietàrispetto agli interessi delle parti. Il notaionon è, infatti, chiamato a tutelare gli inte-ressi di una parte in contrapposizione aquelli dell’altra, ma è chiamato a svolgereuna funzione di equilibrato con-tempera-mento degli interessi, nel rispetto assolutodella legalità. Sotto questo aspetto, quindi,la funzione del notaio è più simile a quellasvolta dal giudice che non a quella di altriprofessionisti. Se ne differenzia perché,mentre il giudice interviene in un momentodi patologia dei rapporti tra le parti,quando un contrasto si è ormai manifestatocome inconciliabile, il notaio invece inter-viene nel momento in cui si forma l’equili-brio degli interessi, allo scopo di assicurareche il loro assetto sia conforme alla volontàmanifestatagli e rispettoso della legalità.Questa attività di controllo non è svoltasolo a tutela degli interessi delle singoleparti, ma è anche preordinata a tutela degliinteressi diffusi dell’intera collettività. perdare concretezza a questa affermazionebasta rammentare che i pubblici registri, siaquelli relativi alla pubblicità immobiliareche quelli relativi alla pubblicità delle im-prese, possono essere aggiornati solo sullabase di atti notarili e di provvedimentidell’autorità giudiziaria, considerati i soliidonei a dare contezza e certezza delle vi-cende che devono rendersi pubbliche.

La rilevanza della funzione pubblica delnotaio spiega anche perché la sua attivitàsia soggetta a numerosi controlli e verifiche

da parte di diverse autorità. Il notaio infatti,oltre ai normali controlli domestici, affidaticioè al consiglio Notarile, è soggetto ancheai controlli dell’Archivio Notarile (autoritàinserita nell’organizzazione del ministerodella Giustizia) e dell’Agenzia dell’Entrateed è soggetto alla vigilanza del procuratoredella Repubblica competente per territorio.

Appunto allo scopo di rendere possibilied agevoli tali controlli, il notaio deve te-nere una serie di registri per dare conto,puntualmente, della propria attività.

In particolare, deve tenere un registro(tecnicamente chiamato repertorio) ove an-notare giornalmente tutti gli atti ricevuti,indicandovi le persone che vi sono interve-nute, il tipo di convenzione oggetto del-l’atto, il valore delle prestazioni, gli onoraripercepiti, gli importi delle tasse pagate perconto dei clienti e i riferimenti del paga-mento effettuato.

mensilmente, il notaio consegna unacopia di questo repertorio all’Archivio No-tarile che ne controlla la regolare tenuta;ogni quadrimestre l’originale del repertoriodeve essere presentato all’Agenzia dell’En-trate perché ne controlli la corrispondenzatra gli atti ricevuti e quelli registrati; ognibiennio tutti i registri e gli originali degliatti ricevuti dal notaio devono essere con-segnati all’Archivio Notarile che effettuaun’ispezione sugli atti, controllando chesiano state osservate tutte le norme previstein ordine alla loro legittimità, alla loro rice-vibilità, al rispetto delle regole per la lorostesura, e per la loro conservazione.

Il notaio è poi sottoposto alla vigilanzadel consiglio Notarile, che ne verifica icomportamenti dal punto di vista della cor-rettezza e lealtà, e del rispetto delle regoledi deontologia. Il notaio è, infine, soggettoall’attività di controllo e vigilanza delprocuratore della Repubblica competentePr

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per territorio.In considerazione della delicatezza e

della rilevanza sociale dell’attività nota-rile, il Decreto Legislativo n. 249 del 1°agosto 2006 ha introdotto un nuovo proce-dimento disciplinare, in grado di assicu-rare la tempestiva irrogazione dellesanzioni previste per le infrazioni com-messe dai notai. Il precedente sistema, fon-dato sulla competenza domestica delconsiglio Notarile, mostrava, infatti, isegni del tempo e il notariato stesso recla-mava un procedimento disciplinare mo-derno ed efficiente. Un sistema capace diinterventi non solo immediati ed efficaci,ma anche di reazioni concrete alle infra-zioni in grado di incidere negativamentesul tessuto sociale della collettività e,quindi, adeguato alla importanza e va-lenza pubblicistica della funzione notarile.

In precedenza il sistema disciplinare eraarticolato, come già notato, su base“domestica”, nel senso che la fase di istrut-toria e di decisione era rimessa al consi-glio Notarile, il quale poteva autonoma-mente irrogare le sanzioni più lievi (avver-timento e censura), dovendo invece inve-stire il Tribunale per l’irrogazione di quellepiù gravi (ammenda, sospensione e desti-tuzione).

Di tutta evidenza i limiti di questo si-stema che lasciava nelle mani dello stessoorgano la fase dell’iniziativa, la fase dellaistruttoria e, anche se solo per alcune san-zioni, la fase della decisione. Le decisioni,a seconda del tipo di sanzione irrogata, as-sumevano poi le caratteristiche del prov-vedimento amministrativo, se promanantidal consiglio Notarile, o del provvedi-mento giurisdizionale, laddove emesse dalTribunale.

con la ricordata riforma il procedi-mento disciplinare è stato profondamente

modificato, non solo sotto il profilo deisoggetti a cui spetta l’iniziativa, la gestionee la decisione finale, ma anche per quantoriguarda la sua natura e le modalità in cuiesso si articola. La novità più significativaè, comunque, certamente rappresentatadalla scelta di individuare l’organo giudi-cante in un nuovo soggetto, la commis-sione Amministrativa Regionale diDisciplina (cO.RE.DI.), che costituisce l’in-sieme dei collegi disciplinari giudicantioperanti nell’ambito di un’intera zona, perlo più corrispondente al territorio di unaregione. collegi che sono costituiti da duenotai e che sono tutti presieduti dal presi-dente della commissione, individuato inun magistrato nominato dal presidentedella corte di Appello competente.

La riforma ha anche provveduto al rior-dino delle sanzioni adeguando il valore diquelle economiche; ha disciplinato, com-piutamente, la fase dell’iniziativa, indivi-duando i soggetti che ne sono titolari; hadisciplinato la fase della decisione assicu-rando nella maniera più ampia il diritto didifesa dell’incolpato. L’innovazione mag-giore è, però, certamente rappresentata dalnuovo organismo giudicante, a cui è stataattribuita una competenza più vasta, ri-spetto al passato, dal punto di vista terri-toriale e in cui le funzioni di presidentesono state affidate a un soggetto esternoalla categoria, un magistrato, in modo daaccentuarne l’imparzialità. Della commis-sione di disciplina fanno parte un numerovariabile di notai, individuati dalla norma-tiva in funzione del numero di notai pre-senti sul territorio di riferimento (6 se ilnumero dei notai della zona di compe-tenza non supera i 250; 8 se il numero deinotai assegnati risulta superiore a 250 mainferiore a 400; 12 se il numero è superiorea 400), che vengono eletti dai colleghi di Pr

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ciascuna zona e che rimangono in carica perla durata di un triennio.

Il presidente della commissione è nomi-nato invece, sempre per un triennio, dalpresidente della corte D’Appello del capo-luogo di Regione, che lo individua tra i ma-gistrati con qualifica di magistrato diAppello in servizio da almeno due annipresso gli uffici giudicanti. Della commis-sione fanno poi parte, con funzioni non giu-dicanti, il segretario e il tesoriere, entrambinominati dal presidente del consiglio No-tarile del capoluogo di regione.

con provvedimento del presidente, as-sunto immediatamente dopo il suo inse-diamento, vengono formati i collegi chehanno competenza in relazione ai singoliprocedimenti. Ogni collegio è composto dadue notai e dal presidente che, proprio perla sua funzione di garanzia, presiede tutti icollegi. La cO.RE.DI. ha natura di organoamministrativo, dato questo che si desumesia dalla lettera della norma istitutiva, cheparla infatti di “commissione Amministra-tiva Regionale di Disciplina”, sia da consi-derazioni di sistema. Essa infatti non è, népotrebbe essere, una struttura giurisdizio-nale, stante la disposizione costituzionaleche vieta la creazione di giudici speciali.

peraltro, pur essendo emanazione delnotariato (che ne sostiene anche le spese at-traverso i consigli Notarili), la commis-sione non ha alcun vincolo con le altreorganizzazioni notarili, costituendo un or-ganismo autonomo sia dal punto di vistaorganizzativo, che, ovviamente, da quellodecisionale.

La commissione è competente a cono-scere delle infrazioni contestate ai notai ap-partenenti ai distretti nella cui zona essa ècostituita. Tale competenza va individuatain funzione del tempo in cui è stato com-messo il fatto per il quale si procede, nel

senso che la competenza è di quella com-missione nella quale è compreso il distrettonotarile presso cui era iscritto il notaio almomento in cui ha commesso il fatto. perovvie ragioni di opportunità la commis-sione non è competente per i fatti contestatiai notai componenti della commissionestessa.

Nel caso in cui venga aperto un procedi-mento disciplinare nei loro confronti, lacompetenza spetterà alla commissione con-finante, alla quale è assegnato il maggiornumero di posti di notaio.

Anche la composizione della commis-sione, in cui sono prevalenti i notai rispettoai magistrati, depone per la natura ammini-strativa dell’organo. Va, peraltro, notato chela previsione da parte della legge di unafase, eventuale, di impugnazione del prov-vedimento discipli-nare innanzi alla corted’Appello, di indubbia natura giurisdizio-nale, non sembra poter incidere sulla dettanatura amministrativa del procedimento.

Nel sistema attuale il potere di iniziativadell’azione disciplinare, (cioè il potere dichiedere alla cO.RE.DI. di avviare il proce-dimento) spetta, disgiuntamente, a tre or-gani: il procuratore della Repubblica; ilpresidente del consiglio Notarile; il capodell’Archivio Notarile.

Va chiarito che mentre i primi due or-gani, procuratore della Repubblica e presi-dente del consiglio Notarile, hannocompetenza generale, nel senso che essipossono chiedere l’avvio del procedimentodisciplinare per tutte le infrazioni e i fattidisciplinarmente rilevanti commessi da unnotaio, il capo dell’Archivio Notarile è le-gittimato all’iniziativa limitatamente alleinfrazioni rilevate nel corso delle ispezionisugli atti e i registri notarili.

L’atto di iniziativa del procedimento di-sciplinare, che può essere preceduto da unaPr

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attività istruttoria più o meno articolata,deve indicare il fatto contestato, le normeche si presume siano state violate e conte-nere delle conclusioni precise in ordinealla sanzione che si richiede.

Una volta ricevuta la richiesta di avviodel procedimento, la cO.RE.DI dà formal-mente inizio al procedimento vero e pro-prio, con l’assegnazione da parte delpresidente del fascicolo ad un collegio econ l’avviso al notaio incolpato. Il collegio,investito della questione, può dichiarare“non luogo a procedere” qualora ritengamanifestamente infondato l’addebito.

Diversamente, il presidente fissa la datadella discussione, che si svolge con ampialibertà per le parti, di presentare memorie,esibire documenti, e richiedere l’esperi-mento di mezzi di prova o indagini cono-scitive. Va sottolineato come la cO.RE.DI.abbia ampia facoltà di procedere anched’ufficio per istruire il procedimento, po-tendo assumere ogni mezzo di prova cheritenga utile ai fini della decisione.

Esaurite le attività preliminari, esple-tate le comunicazioni e le notifiche richie-ste, dato corso allo scambio di memorie eall’indicazione dei mezzi di prova, si aprela fase centrale e più articolata dell’interoprocedimento che è quella, appunto, delladiscussione. La discussione si svolge incamera di consiglio con l’intervento delsegretario della commissione che nestende il verbale, e vi partecipano le parti,eventualmente assistite da un avvocato.

Il notaio incolpato può farsi assistere daun altro notaio, anche se in pensione, il cheevidenzia la particolare competenza attri-buita dalla legge ai notai in ordine alla va-lutazione dell’attività e dei comportamentidei loro colleghi.

La discussione prende avvio con la re-lazione orale del notaio componente il col-

legio secondo la designazione del presi-dente, seguono poi gli interventi delleparti ed, eventualmente, la fase istruttoria,qualora il collegio ritenesse di dovervi farricorso. Una volta acquisiti tutti gli ele-menti, le parti espongono le loro conclu-sioni, per ultimo il notaio incolpato, edopo di ciò il collegio esamina la questionee delibera in camera di consiglio. Unavolta assunta la decisione il presidente nelegge il dispositivo, stabilendo la legge iltermine di trenta giorni per il depositodella motivazione.

Le sanzioni che possono essere irrogatesono quelle espressamente previste dallalegge:- l’avvertimento, comminato per le san-

zioni più lievi e consistente in un rim-provero che viene espresso dalpresidente del consiglio Notarile ver-balmente o per iscritto, con l’esorta-zione a non reiterare il comportamento;

- la censura, che è una dichiarazione for-male di biasimo per l’infrazione com-messa, espressa dal presidente delconsiglio Notarile nel corso di una adu-nanza del consiglio stesso;

- la sanzione pecuniaria, che consistenella condanna del notaio al pagamentodi una somma di denaro entro i limitiprevisti dalla legge per ogni singola in-frazione;

- la sospensione, che comporta l’inibi-zione a svolgere la professione per undeterminato periodo di tempo;

- la destituzione, che rappresenta l’inibi-zione definitiva e permanente allo svol-gimento della professione.contro la decisione della cO.RE.DI.,

come si è già ricordato, è ammessa l’impu-gnazione con reclamo alla corte d’Ap-pello; qui il procedimento si svolge con leregole proprie dei procedimenti giudiziari, Pr

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e ciò anche a conferma dell’attenzioneposta per le garanzie di difesa dell’incol-pato.

contro la sentenza della corte d’Ap-pello è poi ammesso ricorso per cassa-zione. La natura giudiziaria delle ulteriorifasi di reclamo nulla toglie, però, alla na-tura amministrativa del procedimento chesi svolge presso la cO.RE.DI.

pur non potendosi ancora esprimereun giudizio definitivo sulla rispondenzadel procedimento disciplinare agli obiet-tivi propostisi dal legislatore e dal nota-riato italiano, va comunque rilevatoche le cO.RE.DI. hanno sinora agito concelerità, efficienza e senza eccessi, maanche con la dovuta severità quando ilcaso lo ha richiesto. ■

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chiunque oggi si occupi di formazione,sotto qualsivoglia angolazione speculativa,non può fare a meno di confrontarsi con lenuove tecnologie. parallelamente, l’interessead aggiornare ed aumentare il proprio baga-glio di conoscenza non può, ormai, prescin-

dere dai progressi delle applicazioni tecnolo-giche.

La tecnologia è divenuta il motore di unasocietà in continua e velocissima evoluzionee lo strumento indispensabile per consentireai soggetti promotori dello sviluppo di dialo-

Prospettive dell’universitàtelematica in Europae in Italia

Paolo LiberatiAvvocato

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gare tra loro. con la locuzione “e-learning” siidentifica, in particolare, quel processo diformazione fondato sull’utilizzo delle tecno-logie di rete per progettare, distribuire,scegliere, gestire e ampliare l’apprendimento.Gli elementi principali nella progettazione dicontenuti erogabili via rete, che rendono laformazione a distanza (c.d. FAD) non più assi-milabile ai monolitici corsi tradizionali dadistribuire indistintamente a tutti gli studenti,possono essere individuati soprattutto nell’in-terattività, nella dinamicità e, infine, nellamodularità. per interattività è da intendersi lanecessità di coinvolgere nel processo di forma-zione il discente, generalmente avvalendosidel learning by doing; per dinamicità, invece, ilbisogno da parte dello studente di acquisirenuove competenze mirate just in time; permodularità, la possibilità di organizzare icontenuti di un corso secondo gli obiettiviformativi e le necessità dell’utenza.

proprio nell’ultimo elemento, la modula-rità, sta, evidentemente, l’utilità dell’e-lear-ning. Infatti, ogni blocco formativo, nellinguaggio tecnico learning object, si presta adessere utilizzato una prima volta e poi, succes-sivamente, per innumerevoli volte, anche inluoghi differenti.

Facile immaginare che il fenomeno dell’e-learning abbia avuto sinora migliore fortunaoltre oceano, grazie alla tipologia organizza-tiva di molte aziende statunitensi (multinazio-nali e grandi aziende decentrate su un vastoterritorio) e a una più forte vocazione cultu-rale nei confronti dell’educazione aperta.

All’origine del gap del mercato europeodell’e-learning rispetto a quello degli StatiUniti vi sono, peraltro, anche le variegatedifferenze linguistiche e culturali esistenti trai diversi Stati dell’Unione Europea.

Nel nostro paese, in particolare, la tradi-zione culturale della formazione in aularisulta molto più radicata che altrove e, nono-

stante gli incentivi per la sua diffusione, perlungo tempo le resistenze nei confronti deiprogrammi di e-learning sono state fortissime.

E’ solo a partire dal 2000 che si è assistito,grazie al forte impulso dato dal ministero perl’Innovazione Tecnologica, all’istituzione deiprimi corsi di laurea on-line e alla nascita diUniversità telematiche anche in Italia.

per questa ragione, l’Italia è arrivata, perbuona ultima, ad istituire quegli atenei tele-matici che, in altri paesi europei, come l’In-ghilterra e la Spagna, hanno invece avuto unaveloce gestazione, assumendo ben presto iconnotatati e le caratteristiche giuridiche diuniversità pubbliche, in quanto ritenuti porta-tori di una valenza sociale, intrinseca alla loropeculiarità di fornire formazione a distanza.

Grazie alle metodiche del e-learning, glistudenti sono in grado, infatti, di distribuirenel tempo le sessioni formative in funzionedelle loro esigenze, senza soffrire la rigiditàdegli orari della formazione frontale in aula,riuscendo così a conciliare lo studio con gliimpegni di lavoro e la vita familiare.

Nonostante questi indubbi vantaggi, inItalia continua però a mancare una precisastrategia di implementazione di questa formadi insegnamento, a differenza di quantoaccade in altri paesi europei, dove è ormaiconsiderato il percorso strategico per diffon-dere e favorire la formazione nei luoghi dilavoro.In Italia,invece, le università telema-tiche sono state soprattutto oggetto di sterilipolemiche e sembra che, nonostante tutto, nonse ne sia colta ancora la grande potenzialità.

A ben vedere, d’altra parte, i problemi ele critiche sollevate con riferimento a questatipologia di atenei (dalla qualità delledocenze ai programmi e alle modalità degliesami), non presentano alcuna peculiarità,essendo quelli che contraddistinguono,ormai da molti anni purtroppo, l’Universitàitaliana. ■

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La prima previsione del reato di lottizza-zione abusiva viene inserita nella Legge urba-nistica 17 agosto 1942 n.1150 e precisamenteall’art.28, che sanziona la violazione del di-vieto di lottizzare terreni senza la preventivaapprovazione del comune con una ammendadi lire diecimila. Successivamente, con la c.d.“Legge ponte”, viene statuito che prima del-l’approvazione del piano regolatore generaleo del programma di fabbricazione è vietatoprocedere alla lottizzazione dei terreni a scopoedilizio e che nei comuni forniti di pro-gramma di fabbricazione ed in quelli dotati dipiano regolatore generale fino a quando nonsia stato approvato il piano particolareggiatodi esecuzione, la lottizzazione di terreno ascopo edilizio possa essere autorizzata dal co-mune previo nulla osta del provveditore re-gionale alle opere pubbliche, sentita la Sezioneurbanistica regionale, nonchè la competenteSoprintendenza. Le sanzioni previste sonol’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino adue milioni di lire. Inoltre viene per la primavolta prevista la nullita’ degli atti notarili dicompravendita dei terreni oggetto di lottizza-zione abusiva “se dagli stessi non risulti la

conoscenza da parte dell’acquirente della

mancanza di una lottizzazione autorizzata”.

con la c.d. Legge bucalossi vi è una pro-fonda innovazione del concetto stesso dello“ius edificandi” del proprietario del terreno,

affermandosi che ogni attività comportantetrasformazione urbanistica ed edilizia del ter-ritorio comunale è subordinata a concessioneda parte del sindaco, ai sensi della legge stessae facendo sorgere nei primi commentatori fi-nanche il dubbio che tale diritto di edificarenon fosse più compreso nel diritto di proprietàdel terreno ma venisse attribuito con la con-cessione edilizia

A fronte di tale legislazione, che non indi-viduava la nozione di lottizzazione abusiva,la giurisprudenza, al comprensibile fine di ar-ginare il fenomeno di abusivismo generaliz-zato, tipico degli anni 70/80, ha cominciato adindividuare i contorni del reato di lottizza-zione, ampliando spesso sia l’ambito delle at-tività punibili che i soggetti coinvolti (1). Taleatteggiamento ha evidentemente determinatoalcune incertezze applicative in un ambito incui la determinatezza della fattispecie delreato rappresenta un principio costituzional-mente protetto. E appunto nell’ambito di taliorientamenti giurisprudenziali si è in alcunicasi annoverato tra i soggetti responsabilianche il Notaio, per il solo fatto di aver stipu-lato un atto avente ad oggetto terreni “abusi-vamente lottizzati” o di aver contribuito,attraverso la stipula dell’atto, alla c.d. “lottiz-zazione negoziale”.(2)

Avverso tali interpretazioni veniva osser-vato che la stessa legge prevedeva il divieto (e

Il reato di lottizzazioneabusiva e il notaio

Lauretta CasadeiNotaio

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la nullità) di atti di compravendita di terrenilottizzati solo nel caso in cui l’acquirente non

fosse a conoscenza della mancanza di una lot-

tizzazione autorizzata e che, quindi, ben po-teva essere stipulato l’atto di trasferimento,qualora fossero stati informati i contraenti ditale mancanza.

peraltro, se era consentito stipulare l’atto ditrasferimento di un terreno oggetto di lottiz-zazione già materialmente realizzata, a mag-gior ragione non poteva considerarsi reato lastipula di un atto in cui tale lottizzazione an-cora non esisteva. Tuttavia, come già illustratosopra, una rilevante parte della giurispru-denza riteneva responsabile del reato anche ilnotaio.

Non mancano, tuttavia, anche in quel pe-riodo sentenze contrarie a questo indirizzo:“Non è responsabile di concorso nel reato di

lottizzazione abusiva di terreni a scopo resi-

denziale il notaio che roghi gli atti di

compravendita di detti terreni o che,

nell’espletamento di una attività meramente

marginale, autentichi le firme dei contraenti,

se tali atti siano validi risultando da essi lo

stato di conoscenza da parte dell’acquirente

della mancanza di autorizzazione alla lottiz-

zazione. Infatti, per il combinato degli artt.

27 e 28 legge 16 febbraio 1913 n. 89 (ordina-

mento del notariato e degli archivi notarili) e

10 legge 6 agosto 1967 n. 765, il notaio richie-

sto non può esimersi dal ricevere atti non

espressamente proibiti dalla legge e, quindi,

gli atti di compravendita di terreni abusiva-

mente lottizzati a scopo residenziale i quali

non sono nulli quando risulti da essi che l’ac-

quirente era a conoscenza della mancanza di

una lottizzazione autorizzata.”(3)con la legge 47 del 28 febbraio 1985 il legi-

slatore, anche spinto dall’incertezza creatasi eaccogliendo alcune istanze della giurispru-denza introduce una normativa più compiutadella lottizzazione prevedendo, contempora-

neamente, comportamenti esimenti per il no-taio o altro p.U. rogante. In primo luogo all’art.18 fornisce la nozione di lottizzazione abusiva:“Si ha lottizzazione abusiva di terreni a

scopo edificatorio quando vengono iniziate

opere che comportino trasformazione urbani-

stica od edilizia dei terreni stessi in viola-

zione delle prescrizioni degli strumenti

urbanistici, vigenti o adottati, o comunque

stabilite dalle leggi statali o regionali o senza

la prescritta autorizzazione; nonché quandotale trasformazione venga predisposta attra-

verso il frazionamento e la vendita, o atti

equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro

caratteristiche quali la dimensione in rela-

zione alla natura del terreno e alla sua desti-

nazione secondo gli strumenti urbanistici, il

numero, l’ubicazione o la eventuale previ-

sione di opere di urbanizzazione ed in rap-

porto ad elementi riferiti agli acquirenti,

denuncino in modo non equivoco la destina-

zione a scopo edificatorio.” come può ben os-servarsi si prevede una condotta ben precisaeffettuata “a scopo edificatorio” ossia con co-scienza e volontà dello scopo suddetto; si af-ferma con una chiarezza comprensibile achiunque che si ha lottizzazione quando conopere (lottizzazione materiale) o con qualsiasialtra attività (lottizzazione negoziale) si ot-tiene una “trasformazione urbanistica od edi-

lizia dei terreni stessi in violazione delle

prescrizioni degli strumenti urbanistici”

In particolare,poi, al fine di prevenire laforma più consueta di lottizzazione negozialeattuata attraverso atti pubblici o scritture pri-vate autenticate, si afferma che “Gli atti tra

vivi, sia in forma pubblica, sia in forma pri-

vata, aventi ad oggetto trasferimento o costi-

tuzione o scioglimento della comunione di

diritti reali relativi a terreni sono nulli e non

possono essere stipulati né trascritti nei pub-

blici registri immobiliari ove agli atti stessi

non sia allegato il certificato di destinazione

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urbanistica contenente le prescrizioni urba-

nistiche riguardanti l’area interessata. Le di-

sposizioni di cui al presente comma non si

applicano quando i terreni costituiscano

pertinenze di edifici censiti nel nuovo cata-

sto edilizio urbano, purché la superficie com-

plessiva dell’area di pertinenza medesima

sia inferiore a 5.000 metri quadrati ”.

Quindi, il legislatore individua espressa-mente la c.d. “lottizzazione negoziale” nel-l’attività riguardante la vendita dei terreni,ne prevede un controllo attraverso la nullitàdegli atti in cui non sia allegato il c.d.u. e mo-stra di ritenere non più interessante la lottiz-zazione di terreni il caso di compravenditadi fabbricati censiti al catasto urbano alpunto di escludere la stessa allegazione delc.d.u.

completa la normativa di prevenzionealla lottizzazione abusiva la previsione se-condo la quale “I frazionamenti catastali dei

terreni non possono essere approvati dall’uf-

ficio tecnico erariale se non è allegata copia

del tipo dal quale risulti, per attestazione

degli Uffici comunali, che il tipo medesimo è

stato depositato presso il comune “. per ga-rantire tale conoscenza la norma obbliga ipubblici Ufficiali che ricevono o autenticanoatti aventi per oggetto il trasferimento, anchesenza frazionamento catastale, di appezza-menti di terreno di superficie inferiore a die-cimila metri quadrati ad inviare una copia ditali atti al comune entro 30 giorni. che lanormativa individui nel Sindaco il soggettoresponsabile della tutela, prevenzione e re-pressione del fenomeno discende anche dalsuccessivo articolo 21, in forza del quale ilSindaco (venutone a conoscenza anche attra-verso le comunicazioni stesse) deve sanzio-nare l’eventuale lottizzazione abusivadisponendone la sospensione con ordinanzada notificare ai proprietari delle aree ed aglialtri soggetti indicati nella legge. Il provve-

dimento comporta l’immediata interruzionedelle opere in corso ed il divieto di disporredei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi,e deve essere trascritto a tal fine nei registriimmobiliari. Trascorsi novanta giorni, ovenon intervenga la revoca del provvedimentodi sospensione le aree lottizzate sono acqui-site di diritto al patrimonio disponibile delcomune ed il sindaco deve provvedere allademolizione delle opere.

come già evidenziato, il divieto di di-sporre dei suoli opera dalla data della so-spensione ordinata dal Sindaco, ma l’art.18prevede la nullità degli atti di trasferimentosolo dopo la trascrizione del provvedimento.Anche questa previsione si inserisce nella di-stinzione che il legislatore ha voluto realiz-zare tra il reato di lottizzazione con ilconseguente obbligo dell’autore di sospen-dere ogni attività e l’intervento del notaio (oaltro pubblico ufficiale), i cui atti sono rite-nuti validi e legittimi fino alla trascrizionedell’ordinanza di sospensione, che rende op-ponibile ai terzi (e al notaio) l’esistenza diuna lottizzazione abusiva. L’ultimo commadella disposizione prevede, peraltro, l’inap-plicabilità dell’intera disciplina alle divisioniereditarie, alle donazioni fra coniugi e fra pa-renti in linea retta ed ai testamenti nonchéagli atti costitutivi, modificativi od estintividi diritti reali di garanzia e di servitù, confer-mando la ratio della disciplina, volta a col-pire speculazioni non sono ravvisabili neicasi sopradetti.

A conferma di quanto fin ora affermato,l’art. 21 rubricato “Sanzioni a carico deinotai” espressamente disponeva che:”Il rice-vimento e l’autenticazione da parte dei notaidi atti nulli previsti dagli artt. 17 e 18 e nonconvalidabili costituisce violazione dell’art.28 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, e suc-cessive modificazioni, e comporta l’applica-zione delle sanzioni previste dalla legge

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medesima. Tutti i pubblici ufficiali, ottempe-rando a quanto disposto dall’art. 18, sono eso-nerati da ogni responsabilità inerente altrasferimento o alla divisione dei terreni; l’os-servanza della formalità prevista dal sestocomma dello stesso art. 18 tiene anche luogodel rapporto di cui all’art. 2 del codice di pro-cedura penale.”

La chiarezza del dettato normativo, con laprecisa indicazione non solo di cosa si inten-desse per lottizzazione (e conseguentementeper abusiva lottizzazione), ma anche dei limitidella responsabilità del notaio (o altro pub-blico ufficiale) avrebbe dovuto metter fine alledispute sul punto.

Al contrario, anche in vigenza di tale nor-mativa, si rileva un orientamento giurispru-

denziale favorevole a mantenere la precedenteinterpretazione (4).

A confermare l’esatto ambito di applica-zione della norma e il ruolo del notaio inter-viene, quindi, l’ordinanza della cortecostituzionale del 29-12-1989 n. 595 nellaquale si afferma, a chiare lettere, che “una

volta che il notaio - trasmettendo al Sindaco

copia dell’atto rogato - abbia adempiuto i

compiti che la legge reputa idonei ad impedire

il reato di lottizzazione abusiva, ogni ulte-

riore intromissione nel suo atteggiamento in-

teriore equivarrebbe a punire le intenzioni del

pubblico ufficiale anche quando queste non si

manifestano in atti esteriori idonei a conse-

guire l’evento vietato.”

Sempre la corte costituzionale, con la sen-

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tenza n. 38 del 26-01-2004, pur dichiarandol’infondatezza della questione sollevata (re-lativa all’art. 18 della legge 28 febbraio 1985,n. 47 per mancata previsione di convalidadell’atto in caso di mancata allegazione, sol-levata, in riferimento all’art. 3 della costitu-zione, dal Tribunale di potenza) ribadirà che:“allo scopo di superare le incertezze della

giurisprudenza penale in materia di lottiz-

zazioni negoziali, tale norma (l’art.18 dellal.47/1985 n.d.a.), contiene una disciplina po-

sitiva, orientata alla definizione dei compiti

del notaio in sede di stipulazione di atti di

trasferimento di immobili. Per limitare il fe-

nomeno della lottizzazione abusiva infatti

tale giurisprudenza ha ricompreso nei desti-

natari della norma penale sia i tecnici che i

notai. La legge n. 47 del 1985, rinnovando

quindi il disegno giurisprudenziale, ha defi-

nito i compiti del pubblico ufficiale e tipiz-

zato le ipotesi di violazione, predisponendo

misure che, sul piano civilistico si estrinse-

cano nella sanzione di nullità degli atti, di

tipo formale e di tipo sostanziale”.

L’art.30 del D.p.R.380 del 2001 riproducein tutto l’art.18 anche se, successivamente, hasubito due variazioni, rispettivamente conl’art. 12, comma 4, L. 28 novembre 2005, n.246 con la quale èstata prevista la possibilitàdi sanare la nullità derivante dalla mancataallegazione del cdu e con l’art. 1, comma c.1, D.p.R. 9 novembre 2005 n.304 con la qualeè stato abrogato il 6 comma dell’articolo 18che prevedeva l’invio di copia dell’atto al co-mune. L’art.47 del D.p.R. 380/2001 (sanzionia carico dei notai) che ha sostituito l’art. 21della legge 47/1985, continua a prevedereche “Tutti i pubblici ufficiali, ottemperandoa quanto disposto dall’articolo 30, sono eso-nerati da responsabilità inerente al trasferi-mento o alla divisione dei terreni”

Le nuove disposizioni, quindi non hannomodificato, aggravandola, la responsabilità

del notaio per un eventuale concorso nellalottizzazione abusiva, anche se, abrogando ilcomma 6 dell’art.30 e la parte finale del II codell’art. 47 (per necessaria corrispondenza)èstata di nuovo resa necessaria la denunciadi cui all’articolo 331 del codice di procedurapenale in caso di sospetta lottizzazione abu-siva di cui il notaio dovesse venire a cono-scenza, in ragione del suo ufficio. Lamancanza della denuncia, tuttavia, ha la pro-pria sanzione nell’articolo 361 c.p. In altri ter-mini, la responsabilità del notaio anche nellanuova formulazione è limitata all’eventualeomissione della denuncia prevista dall’art.331 c.p.p. e non anche al concorso in lottiz-zazione abusiva in quanto espressamenteesonerato da qualsiasi responsabilità, adem-piendo a quanto previsto dall’art. 30.

Di fronte ad una normativa così chiara inordine alla eventuale responsabilità delpubblico Ufficiale che si trova a rogare unatto, interpretato in un momento successivocome elemento di una lottizzazione abusiva,risultano incomprensibili quelle sentenze chehanno ipotizzato un coinvolgimento diversodel pubblico ufficiale, posto che anche la con-sapevolezza eventuale di una lottizzazioneabusiva materiale o negoziale, non rende-rebbe il notaio responsabile secondo quantostabilito dalla corte costituzionale nella ci-tata sentenza del 29-12-1989 n. 595.

Alla luce di quanto sinora evidenziato, vaappunto esaminata la questione della “pre-sunta” lottizzazione abusiva in presenza divariazione di destinazione d’uso di edificicostruiti in base ad una regolare concessioneedilizia/permesso di costruire. Anche inquesto caso, la giurisprudenza, ampliandonotevolmente quanto previsto legislativa-mente, ha individuato il reato di lottizza-zione abusiva in alcuni casi di edificazione dicomplessi edilizi (soprattutto in tema di Re-sidenze Turistiche Alberghiere) aventi una

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particolare destinazione, realizzati con prov-vedimenti abilitativi regolarmente rilasciatima utilizzati, poi, di fatto,e senza ulterioriopere, quali abitazioni.

L’inquadramento giuridico più correttodella vendita frazionata di R.T.A. è sicura-mente quello di una variazione di destina-zione d’uso, peraltro senza opere e senzamodifica e aggravamento della pianificazioneterritoriale. per la disciplina di tale fattispeciel’art. 10 del t.u. rinvia alla normativa regionalee pertanto sul punto esiste una normativa fra-zionata e, talvolta, lacunosa, non avendo al-cune Regioni provveduto a legiferare inmateria. Anche per tale motivo la giurispru-denza penale ha cercato di arginare il feno-meno, attraendo la casistica nell’ambito dellalottizzazione abusiva e sostenendo, in diversesentenze, che: “non è condivisibile l’afferma-

zione secondo la quale nella specie non può

parlarsi di lottizzazione abusiva in quanto

questa per l’art. 30 del DPR 380 del 2001 ri-

guarda solo i terreni mentre nella specie si

tratta di un complesso immobiliare già edifi-

cato, peraltro ubicato in zona già compiuta-

mente urbanizzata.” e ravvisando, pertanto, apartire dalla decisione n. 20661 del 4 maggio2004 (c.c. 2 marzo 2004) : “ il reato di lottiz-

zazione abusiva nel caso della modificazione

d’uso subita da un complesso alberghiero re-

sidenziale in relazione al quale si era proce-

duto alla vendita parcellizzata di alcune delle

unità immobiliari che di esso facevano parte”

(5)A fondamento di tali decisioni sembra es-

servi una ricostruzione della lottizzazioneabusiva dai contorni non certi: quasi unaforma di unione tra le due forme di lottizza-zione, cartolare e materiale che prende lemosse dall’art.30 T.U. ma se ne discosta am-pliando in misura estensiva (forse troppo vistala rilevanza penale) il concetto stesso di lottiz-zazione. La Suprema corte afferma che, anche

se la fattispecie si riferisce ad edifici, si deveavere riguardo al terreno sottostante agli stessiche, attraverso la vendita, viene frazionatorealizzando una lottizzazione abusiva nego-ziale. Una tale interpretazione non può non la-sciare perplessi. Infatti, l’art.30, sopraesaminato, prevede con sufficiente chiarezzacosa debba intendersi per lottizzazione abu-siva e pur rinviando agli “strumenti urbani-

stici, vigenti o adottati”, sembra nonconsentire le interpretazioni avanzate dallaSuprema corte.

L’acquisto di un appartamento per il qualeè stata rilasciata una regolare concessione edi-lizia (o permesso di costruire) non può inte-grare il reato di lottizzazione abusiva e cioè,letteralmente, “una divisione di un terreno inlotti senza la necessaria autorizzazione comu-nale”. La lottizzazione è abusiva se è contrariaalle norme urbanistiche ma, come già rilevato,di questa regolarità è fatto carico al comune.per questo motivo la legge si preoccupa di farconoscere il frazionamento dei terreni al co-mune e appunto per questo motivo per edifi-care fabbricati è necessario un titoloabilitativo. Il comune è il responsabile dellaregolarità del territorio: a lui è dato di repri-mere eventuali abusi edilizi e ripristinare lostato dei luoghi. La notifica al comune dellanotizia di tutte le attività che possono darluogo ad utilizzazione del territorio non con-formi alla legge è ritenuta sufficiente stru-mento di tutela. Appare quindi bizzarro emolto al di là della ratio e del dettato dellenorme incriminatrici ipotizzare una lottizza-zione abusiva, pur in presenza di concessioniedilizie/permessi di costruire legittimamenterilasciati.

Il T.U. dell’edilizia e le varie leggi urbani-stiche che lo hanno preceduto hanno sempreprevisto in articoli diversi i reati dell’abusoedilizio e della lottizzazione abusiva, inquanto fattispecie concettualmente diverse

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che, come tali, possono talvolta coesistere(nel caso di lottizzazione e successiva costru-zione sul lotto abusivamente formato di unedificio senza alcun provvedimento abilita-tivo) ma che rappresentano, comunque, di-versi momenti della tutela.

Il notaio chiamato a stipulare gli atti divendita di singoli appartamenti nei qualivenga poi ravvisata una lottizzazione abu-siva deve confrontarsi, da un lato, con la di-sposizione contenuta nell’art. 27 della leggenotarile, che stabilisce il divieto di rifiutaredi stipulare un atto che gli viene richiesto,dall’altra con l’art. 28 della medesima norma-tiva che stabilisce il divieto di stipulare unatto che sia contrario alla legge o all’ordinepubblico (6).

certamente, però, non può ravvisarsialcun dolo o colpa nell’attività del notaio che,a fronte di questi due divieti, scelga di rogareun atto che si presenta logicamente e fisica-mente diverso da quello espressamente vie-tato. per concludere, va ribadito che il notaionon può rifiutarsi di stipulare solo perché lenorme di riferimento sono di non agevole in-terpretazione e, al di là di ogni altra conside-razione, non sarebbe utile alla società che lofacesse, considerato che dal suo rifiuto di sti-pulare atti, che poi si rivelino legittimi, puòderivare un danno all’economia (7). ■

Note

(1) In materia di lottizzazione abusiva e notaio: baralis- Lottizzazione abusiva negoziale e responsabilita’ no-tarile dopo la legge 47/1985, in Riv. Not., 1995, 1-2, p.71. pallottino - Il notaio e la lottizzazione abusiva ne-goziale, in Riv. Not., 1997, 5, p. 999. bottaro - Notariatoe lottizzazioni di terreni (ricostruzione storica di una

discussa figura giuridica), in Riv. Not., 1996, 3, p. 441.bottaro - L’ipotesi di concorso del notaio nel reato dilottizzazione abusiva alla luce della legge 47/1985, inVita Not. 1985, 1-3, p. 125. Traina - Uso a fini residen-ziali delle strutture turistico-ricettive: non sempre è lot-tizzazione abusiva in Notariato 2010,3,p. 305. Fiale - Ilmutamento delle destinazioni d’uso delle strutture al-berghiere ed il reato di lottizzazione abusiva in Nota-riato 2010,3, p.319.(2) In questo senso cass. pen., sez. III 10-11-1983 (15-06-1983), n. 9403”: “Il reato di lottizzazione abusiva siconsuma anche allorché si realizzino attività mera-mente negoziali rivolte alla vendita in serie di un ter-reno frazionato a scopo edificatorio. pertanto l’operadel notaio, che roghi tutti o quasi gli atti di vendita ditale terreno, si inserisce nella dinamica causale delreato e il notaio concorre nel reato stesso. Infatti, la suaopera appare indispensabile ai fini della realizzazionedell’opera lottizzatoria, per cui è necessaria l’aliena-zione dei diversi lotti di terreno, e il suo concorso nelreato si manifesta almeno sotto il profilo dell’ultimocomma dell’art. 40 cod. pen., cioè quello di non impe-dire un evento che si avrebbe l’obbligo giuridico di im-pedire.Analogamente cass. pen., sez. III 01-04-1982 (12-01-1982) n.3575 e cass. pen., sez. III 10-11-1983 (15-06-1983), n. 9403 ”massima 5 (Nella specie è statoaffermato il concorso del notaio in considerazione delnumero dei lotti risultanti dai tipi di frazionamento,della limitata estensione dei lotti stessi, della venditaindifferenziata ad una pluralità di acquirenti, delle pro-fessioni non agricole degli acquirenti e soprattutto delrogito di tutti o quasi gli atti di vendita dei lotti e, inparticolare, della vendita contemporanea di tredici lottiad acquirenti diversi con il medesimo atto nel quale ve-nivano minutamente descritte le varie servitù di pas-saggio). (3) cass. pen., sez. III 18-05-1982 (06-04-1982), n. 5095(4) In questo senso cass. pen., sez. III 27-02-1989 (25-01-1989), n. 3188(5) cass. pen., sez. III,4-5-2004 (2-3-2004), n. 20661;cass.pen., sez. III, 21-1-2005, n. 10889; cass. pen., sez.III, 24-2-2006, n. 6990; cass. pen., sez. III, 17-11-2008, n. 42741;cass. pen., sez. III, 03-11-2009, n.42178(6) Spesso i due articoli sono posti a fondamento delleopposte sentenze della Suprema corte v. note 3,5,6 ecass. pen., sez. Unite 28-02-1990 (03-02-1990), n. 2720(7) cfr. bottaro Notariato e Lottizzazioni di terreni, cit.

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Il primo marzo del 2006, data di entrata invigore della Legge N.51/2006, è stato intro-dotto nel nostro codice civile l’art. 2645 ter, checonsente al soggetto di costituire vincoli didestinazione aventi il fine della realizzazionedi interessi meritevoli di tutela.

La portata innovativa della disposizione,da subito, ha innescato un vivace e articolatodibattito dottrinario, che ha fatto emergereposizioni tra loro non allineate in ordine allacorretta qualificazione della sua natura giuri-dica, nonché dei suoi possibili effetti applica-tivi. La norma, infatti, prevede espressamentela possibilità di trascrizione di atti in forza deiquali il “conferente” appone, su beni immobilio mobili iscritti in pubblici registri, un vincolodi destinazione, per un periodo non superiore

a novanta anni o riferito alla durata della vitadella persona beneficiaria, con il solo limiterappresentato dal fatto che il vincolo deveessere finalizzato a realizzare interessi merite-voli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., riferi-bili ai soggetti indicati come “beneficiari”.

Il richiamo all’art. 1322 c.c. evidenzia latendenza normativa a dotare di una estremaduttilità questo nuovo strumento negoziale,non necessariamente riconducibile a istitutigià disciplinati nel nostro ordinamento e, percosì dire, di “libera e autonoma costruzione”,pur nel rispetto dell’essenziale requisito delperseguimento di interessi rispondenti acriteri di meritevolezza.

L’istituto previsto dall’art. 2645 ter c.c., purpresentando alcune analogie con altri già

Atti di destinazione:una chiave di letturaalternativa

Stefania Lanzillotti, NotaioGiuseppe Morano, Avvocato

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esistenti, quali il fondo patrimoniale in ambitofamiliare o i patrimoni destinati ad uno speci-fico affare in ambito societario, è apparsoinfatti, fin dalle prime analisi, caratterizzatoda una connotazione atipica e peculiare.

ciò, soprattutto in ragione del fatto che lanorma, consentendo la trascrivibilità dell’attose redatto in forma pubblica, si fa apertamentecarico dell’esigenza di una trasposizione effet-tuale dalla limitata sfera inter partes versol’esterno, assurgendo, attraverso la qualifica-zione di opponibilità ai terzi, a significativaespressione di rimedio normativo di granderespiro e sostanziale efficacia.

L’opponibilità non risulta, infatti, subordi-nata alla ricorrenza di specifiche finalità delvincolo, preventivamente tipizzate dal legisla-tore, né, tanto meno, di specifiche regolepreordinate all’amministrazione o allagestione dei beni che ne sono oggetto.

La fattispecie, infatti, con finalità astratta,pur se contestualizzata nell’impianto di uninteresse qualificato, rende attuabile l’estrapo-lazione di una massa patrimoniale talora, manon necessariamente, nella titolarità giuridicadel “conferente”. La massa separata, una voltacostituita, permane tale per la durata stabilita,e rappresenta un insieme di rilevanza giuri-dico-economica, distinto dal residuo patri-monio che ne ha costituito la fonte,improntato alla meritevolezza del vincoloimpresso che la permea nella sua stessaessenza.

La forma stabilita a questo fine dalla normaè quella pubblica: ciò, appunto, ne consente latrascrizione e l’atto, in tal guisa redatto, èproduttivo di effetti opponibili ai terzi cosìfortemente individualizzati da far sì che i beniche ne sono oggetto non siano più utilizzabiliper attività estranee allo scopo previstonell’atto vincolativo.

I beni conferiti e i loro frutti potrannoessere impiegati, quindi, solo per la realizza-

zione del fine preordinato e non potrannoessere oggetto di esecuzione, salvo che, sullabase di quanto previsto dall’art. 2915, per idebiti contratti, appunto, per tale scopo.

Stante gli effetti della norma sull’interoimpianto codicistico, l’analisi della suafunzione normativa non può prescinderedalla risposta all’interrogativo che, piùfrequentemente, si è posto tra gli operatori deldiritto, relativo alle analogie tra il nuovo isti-tuto e il trust, caratteristico degli ordinamentidi common Law.

In particolare, la verifica se il combinatodisposto tra gli articoli 2645 ter e 1322 c.c.rappresenti, di fatto, il sistema normativo direcepimento e regolamentazione del trust nelnostro ordinamento e l’interrogativo poi, incaso di positiva risposta, volto ad individuarea quali disposizioni l’operatore debba fareriferimento per costituire e regolamentare iltrust “c.d. domestico”, induce a ritenere indif-feribile una scelta tra la obbligatorietà o menodi fare sempre riferimento alla legge stranieraimposta dal costituente (“settlor”) giacché, secosì non fosse, la funzione del nuovo articolo2645-ter c. c. sarebbe normativamente inam-missibile.

Nel merito della questione, si è orientati aritenere che la norma, nonostante la sua collo-cazione e la voluta scarna regolamentazione,non sia stata pensata dal legislatore con unafinalità prettamente pubblicistica, bensì comenorma di carattere generale, destinata all’am-pliamento dell’ambito del potere di autorego-lamentazione dei privati nel settore dellaproprietà.

Da istituto moderno, quale indubbiamenteè, il vincolo di destinazione assurge a “respon-sabile ideatore” di una ipotetica rivoluzionedel sistema del libro terzo del codice civile,esigenza questa, a dire il vero, già avvertitadalla migliore dottrina.

V’è chi, infatti, in modo lungimirante,

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sostiene da tempo l’indifferibilità di undiritto patrimoniale moderno in quantocomune, unitario e funzionale allo statuto delmercato, un diritto che armonizzi i sistemigiuridici dei paesi Europei, per i quali non èpiù tollerabile un difetto di coordinamentoconcettuale relativo ai beni, al rapportoproprietario, ai diritti reali ed al possessocome esercizio delle situazioni giuridiche.

Lo sguardo di un giurista attento deveessere perciò orientato ad una valutazionefunzionale del bene. La valenza del bene,qualunque essa sia, in tanto sussiste inquanto risulti collegata alla funzione che ilsoggetto, parte attiva, conferisce all’oggettostesso.

La probabile conseguenza di tutto ciò èche gli inquadramenti attuali, fondati sulleanguste distinzioni tra beni immobili, mobiliregistrati e non, sono destinati, probabil-mente, ad assumere contorni sempre piùsfumati, sino a scomparire del tutto, se consi-derati sulla base di una concezione sogget-tiva di tipo eziologico. E istituti come quelloin esame rappresentano, indubbiamente, ivettori delle istanze di innovazione di unasocietà che cambia sempre più velocementee che richiede un diritto capace di esprimerepienamente gli interessi (sia pure con il limitedel controllo di meritevolezza) dei privati.

In questa prospettiva, la duttilità delnuovo istituto appare limitata solo dallapreoccupazione del legislatore di sancire latrascrivibilità del vincolo e di assicurare latutela dei creditori.

per cogliere la reale natura degli atti didestinazione, il confronto del nuovo istitutocon il Trust, entrato a far parte del nostroordinamento in seguito alla ratifica italianadella convenzione de L’Aja del primo luglio1985, appare particolarmente istruttivo.

Va, innanzitutto, notato che la rapida rati-fica della convenzione da parte dell’Italia,

primo paese di civil law ad effettuarla, haimpedito che il riconoscimento del trust fossepreceduto da una disciplina interna capacedi assicurarne l’ adeguata attuazione, il cheha determinato, conseguentemente, nonpochi problemi di natura interpretativa, fontidi incertezze sul suo effettivo inquadramentoe sulla questione relativa ai rapporti travincolo di destinazione e trust, da qualcunoconsiderati aspetti diversi di un unico isti-tuto.

Le incertezze della dottrina sono statealimentate soprattutto dal fatto che i tresoggetti contemplati dal suo schema -ilsettlor, il trustee e il beneficiary- hanno ruoliche paiono speculari a quelli che si riscon-trano nel nostro negozio fiduciario: il settlor(costituente del trust), infatti, trasferisce unoo più beni al trustee, con obbligo di ammini-strarli nell’interesse dello stesso costituenteo di un terzo.

Ampio dibattito si è poi sviluppatosull’ammissibilità nel nostro ordinamentodel c.d. “trust interno”, un trust cioè che–secondo la comune definizione- abbia tuttigli elementi, quelli soggettivi e oggettivi,connessi ad un ordinamento che non quali-fica lo specifico rapporto come trust, mentrelo stesso è regolato da una legge straniera chegli attribuisce la suddetta qualificazione.

Il riferimento specifico è ad un trust isti-tuito in Italia da soggetti ivi residenti su beniesistenti in Italia ed a favore di beneficiaripure residenti, in cui anche il trustee sia perl’appunto residente in Italia, dove svolgal’amministrazione dei beni dati in trust :punto di indagine fondamentale è la possibi-lità di intendere la disposizione di cui all’art.2645ter c.c., proprio quale norma fondante iltrust all’ interno nostro ordinamento.

partendo dal sostenibile assunto che l’art.2645 ter c.c. possa non avere alcuna inci-denza specifica sul trust, si è perciò sostenuto

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che la nuova norma non abbia ampliato, nellasostanza, i confini del potere di autonomianegoziale, ma abbia piuttosto innovato alprincipio generale racchiuso nell’art. 1379 c.c.in tema di limiti al divieto convenzionale dialienazione. La norma stabilisce, infatti, perun verso, che tali limiti siano validi solo secontenuti “entro convenienti limiti di tempo”e solo in quanto rispondenti “a un apprezza-bile interesse di una delle parti”, stabilendo,per altro verso, che il divieto ha comunque“effetto solo tra le parti”.

pur non ignorando che parte della dottrinaè favorevole a ritenere l’art. 2645 ter c.c “ unarisposta italiana” al trust, che altra partesostiene, in ogni caso, che l’atto di destina-zione vada considerato come “un frammentodi trust” e pur senza sottacere l’orientamentodi chi considera l’art. 2645 ter c.c. il fonda-mento di un trust c.d. “di diritto italiano”, in

quanto disposizione che impone norme dicarattere sostanziale riguardanti le caratteri-stiche essenziali dell’atto, dei suoi effetti e deiprofili concernenti la trascrizione, sembra chela disamina attenta dei dati normativiconsenta di concludere diversamente.

Infatti, pur riconoscendo che il vincolo didestinazione rappresenta un’indiretta rispostaa quanti auspicavano fortemente il riconosci-mento ufficiale del trust nel nostro ordina-mento, si è comunque dell’avviso che trust eatto di destinazione non abbiano unicità diidentità . Troppi sono i gli aspetti divergentitra i due istituti, a partire dalle caratteristicheproprie dei soggetti coinvolti e dalle forme ditutela attribuite.

A parte le ragioni storiche che denotano unambito divergente di formazione delle ideeposte a base della norma, idee risalenti alladottrina civilistica tedesca di fine Ottocento,va considerato che una volta esportato ilconcetto del trust anche in Italia, questo nonha avuto il successo auspicato, stante ilpermanere di un radicato limite interno dellatipicità dei diritti reali, che portava ad esclu-dere che l’effetto di destinazione potesseessere fondato su un negozio. Si è, quindi,dovuto attendere oltre un secolo perché iltrust, istituto introdotto nel nostro ordina-mento con una norma di recepimento, potesseessere trascritto restando, tuttavia,disciplinatodalla norma straniera che espressamente locontempla.

ciò posto, l’interprete non può spingersifino al punto di qualificare il trust come isti-tuto di diritto interno per il solo fatto dellacomune assonanza dell’effetto segregativoraggiungibile con l’art. 2645 ter c.c.. Va, invece,evidenziato che il trust è istituto dotato di piùampio respiro, con un maggiore ambito dioperatività, non riducibile ad un negozio didiritto interno. In particolare, esso risultaincentrato sull’affidamento gestorio, dal

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settlor al trustee, fondato sul rapporto fidu-ciario intercorrente tra gli stessi e dal qualederiva l’effettivo trasferimento al trustee deibeni costituiti in trust.

La sua validità non è interconnessafunzionalmente allo scopo meritevole ditutela, né il settlor può agire contro il trusteeper l’attuazione delle finalità del trust,essendo questa un’azione riservata al bene-ficiario; differenti sono i criteri di separa-zione patrimoniale, i requisiti formali e ilimiti di durata rispetto al vincolo di destina-zione previsto dall’art. 2645 ter c.c., essendoin ipotesi possibile, ad esempio, configurareun trust perpetuo.

Il vero punto di discrimine tra i due isti-tuti, peraltro, appare la necessità -previstasolo nei casi di cui all’art. 2645 ter c.c.- di unoscopo coincidente con la “realizzazione diinteressi meritevoli di tutela riferibili apersone con disabilità, a pubbliche ammini-strazioni, o ad altri enti o persone fisiche aisensi dell’art. 1322, secondo comma c.c.”, deltutto assente nel trust. con riferimento aquest’ultimo sarebbe, d’altronde, obiettiva-mente contraddittorio (soprattutto per chiammette la validità del trust interno) conti-nuare a sottoporre l’istituto ad un controllodi meritevolezza dopo che, a seguito dellaratifica della convenzione de L’Aja, si è defi-nitivamente riconosciuta la legittimità dicostituzione del trust in assenza di qualsiasilimite posto agli interessi ad esso sottesi.

Ancora, il trust si fonda sul rapporto difiducia intercorrente tra il settlor e il trustee,fiducia che si concretizza nell’affidamentogestorio al trustee dei beni del primo, diver-samente da quanto avviene nell’atto di desti-nazione ove, normalmente, il “conferente”resta proprietario dei beni e ne cura l’ammi-nistrazione in vista del raggiungimento degliinteressi perseguiti (anche se, con riguardo aquesto punto, forte è l’accostamento con il

trust auto-dichiarato, nel quale non vieneprevisto alcun trasferimento).

Quanto alla tutela, mentre non è espressa-mente prevista per il disponente la possibi-lità di agire nei confronti del trustee al fine ditutelare il raggiungimento degli scopi perse-guiti mediante trust, tale facoltà è invecepeculiare della disciplina di cui all’art. 2645ter c.c. Infine, con riferimento al procedi-mento di costituzione dei due negozi,bisogna rilevare che nel trust questo si arti-cola in due atti: quello istitutivo e quellodispositivo.

Nel primo atto il disponente fissa le regolesecondo le quali si deve svolgere il rapportodi trust, individuando i beni e le relativemodalità di attribuzione; nel secondo ildisponente trasferisce i beni al trustee, per larealizzazione dello scopo.

Anche nel vincolo previsto dall’art. 2645ter c.c. si ritrovano due momenti analoghi aquelli sopra esposti, ma in mancanza diprevisione espressa di trasferimento a terzi,è ammesso che per la realizzazione degliinteressi perseguiti, possa agire direttamenteil conferente. Sul piano gestorio, poi , mentrenel trust, i rimedi e i privilegi hanno una rile-vanza esterna, tale rilevanza può del tuttomancare nell’atto di destinazione, nel qualenon è necessaria la nomina di un gestore,poiché il conferente può riservare a sé lagestione dei beni o alternativamente dele-garla al beneficiario. Quanto alla forma, ènoto che l’art. 3 della convenzione de l’Ajastabilisce il principio secondo cui è riconosci-bile un trust avente il contenuto minimodella forma scritta, laddove l’art. 2645 ter c.c.richiede espressamente la forma pubblica,anche se ai soli fini della trascrizione dell’attoe non per la sua validità.

Ulteriore differenza è che i beni oggettodi trust vengono amministrati dal trusteequale fiduciario, senza mai entrare a far

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parte del suo patrimonio, mentre nel nostroordinamento sembrerebbero non esserepreviste disposizioni in grado di garantire ilmedesimo livello di tutela, potendosisemmai prevedere elementi negoziali esterniquali una condizione risolutiva collegata allamorte del soggetto gestore o una clausola cheobblighi quest’ultimo a ritrasferire i beni infavore di soggetti predeterminati o,comunque, determinabili. Infine, sul pianodegli effetti prodotti, la revocabilità da partedel settlor nel trust non viene affatto prevista,laddove, nel caso di vincolo unilaterale, èammessa pacificamente fino al momento incui il beneficiario non dichiari di volerneprofittare.

Esplicitate le diversità, oggettivamentepreminenti rispetto alle analogie, si può giun-gere alla conclusione che i due istituti, seppurein astratto affini, siano caratterizzati da pecu-liarità tali da escludere che il vincolo possaessere considerato species del trust, genus piùampio.

Avviandoci alla conclusione, ci piace riflet-tere - ricollegandoci all’attualità dell’istanza direvisione del libro terzo - sull’ammissibilitàche oggetto del vincolo di destinazione possaessere qualsiasi bene, se considerato infunzione di una valutazione soggettiva di tipogiuridico-economica. Se è vero, come è vero,che dove il legislatore ha inteso inseriredivieti o tassatività, ne ha sempre dato espli-cita indicazione, riteniamo che, se sorretto daadeguato sistema di catalogazione e pubbli-cità, indispensabile strumento di conoscibilitàper i terzi, il vincolo possa riguardarequalunque entità valutabile nell’interesse deldisponente. con approccio “alternativo” enell’attuale realtà storico-economica caratte-rizzata da una progressiva, incessante, valo-rizzazione della ricchezza mobiliare, si puòsostenere che beni mobili, di rilevante valore,possano incorporare validamente interessimeritevoli , ove contenuti nei corretti limiti ditutela del ceto creditorio?

A noi pare di sì. ■

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Ritorno al futuro.Intervista a Stefano Cuzzilla,Presidente del Fasi

Il FASI rappresenta ormai una realtà

consolidata del nostro paese. Ma che

ruolo svolge attualmente e che obiettivi

si propone?

Il FASI è nato come Fondo di AssistenzaSanitaria Integrativa rivolto ai dirigenti ein oltre trent’anni di attività è diventato,con più di 300.000 assistiti, uno dei piùgrandi Fondi del settore in Europa. Neltempo, la struttura ha dato prova di averela capacità di operare con risultati e pro-fessionalità su fronti diversi e di sapersiconfrontare con le difficoltà di una realtàin continua evoluzione. Infatti, il Fondo haampliato il suo raggio d’azione, sia allar-gando la tutela offerta ai dirigenti, sia ri-volgendosi anche agli altri lavoratorid’azienda. Nei confronti dei dirigenti,quando il ciclo economico ha dato luogo alicenziamenti di manager troppo numerosiper essere agevolmente riassorbiti dalmercato, ci si è posti il problema di comesupportare persone altamente qualificateche improvvisamente perdevano la loroprincipale fonte di reddito. così è nata nel2006 la GSR, la Gestione Separata di Soste-gno al Reddito per i dirigenti disoccupati.In questo modo, “la sicurezza” del diri-gente viene ad essere potenziata, avendotutelato il manager non solo dal rischio fi-nanziario connesso ai costi delle cure me-diche, attraverso il Fasi, ma anche dai

rischi di una interruzione dei flussi reddi-tuali provenienti dal suo lavoro con ap-punto la GSR. Un manager più tranquilloper il suo futuro è più efficiente e può con-centrarsi meglio sugli obiettivi aziendali:questo è il messaggio che abbiamo volutocomunicare alle imprese, nel promuoverel’iniziativa. Analogamente, con il mede-simo intento di rendere più serena la vitadi chi lavora in azienda, dal 2008 abbiamovoluto proporre assistenza sanitaria inte-grativa anche ai lavoratori non dirigenti,creando per loro FasiOpen, a cui possonoaderire le aziende volontariamente.

Quali sono i vantaggi dell’iscrizione al

FASI?

È necessario fare una breve premessa. IlFASI, è nato il 26 novembre 1977 come ini-ziativa sindacale di categoria. È oggiun’associazione non riconosciuta di se-condo grado, costituita a seguito del pro-tocollo del 13 aprile 1981 e dell’accordo del9 dicembre 1981 e successive modifiche in-tercorse tra confindustria e Federmana-ger. È un ente non a scopo di lucro, a cui ildirigente aderisce volontariamente.

Il FASI, infatti, assiste i dirigenti diaziende industriali, in servizio ed in pen-sione, ed eventuali coniugi, figli mino-renni nonché, se a carico, figli maggiorennie genitori. Opera, esclusivamente ai finiassistenziali, nell’ambito di un sistema di

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mutualità in base allo Statuto, al Regola-mento, ai Tariffari e ai propri piani sanitari.A garanzia degli iscritti l’entità dei contri-buti previsti a carico degli iscritti, nonchéquelli a carico delle aziende, viene fissatada specifici accordi sindacali tra Federma-nager e confindustria. Un ulteriore vantag-gio è rappresentato dal fatto che l’iscrizionead un ente che ha esclusivamente una fina-lità assistenziale a seguito di ccNL, comeil FASI, permette di ottenere sgravi fiscaliall’iscritto, in termini di deducibilità deicontributi versati. Infatti, il Testo Unicodelle Imposte sui Redditi all’art.51 disponeche non concorrono alla formazione delreddito da lavoro dipendente, fino ad untetto massimo di 3.615,20 euro, i contributidi assistenza sanitaria integrativa versatidal datore di lavoro o dal lavoratore.L’azienda iscritta anche ha dei vantaggi: glieventuali contributi a carico del datore dilavoro sono sottoposti ad un’aliquota ri-dotta dal punto di vista previdenziale. Sonoinfatti soggetti solo al contributo di solida-rietà INpS del 10%. Inoltre, non è previstaalcuna possibilità di recesso da parte delFondo; l’assistenza è garantita senza limitidi età e il FASI non opera selezione del ri-schio. Infine, è importante ricordare cheanche lo Statuto, i Tariffari e il Regolamentosono legati ad accordi bilaterali.

Ma come sono regolamentati attual-

mente, in Italia, i Fondi di assistenza sani-

taria integrativa?

L’assistenza sanitaria integrativa è stataormai riconosciuta come il secondo pilastrodel nostro sistema sanitario. Dal lontano1978, anno di istituzione del Servizio Sani-tario Nazionale, sono trascorsi oltre tren-t’anni; molti dei fondi più importantioperano nel settore già da allora. Dall’isti-tuzione del SSN al 2008 l’iter legislativo in

materia, che avrebbe dovuto regolamentarel’operatività dei fondi integrativi, ha subitotravagliate vicissitudini. Finalmente, nel-l’ambito della sanità integrativa, dal 2008 inpoi, sono intervenute importanti novità. Ilministro della Salute Sacconi, infatti, dopol’azione di regolamentazione del settore av-viata con il decreto “Turco” del marzo 2008,ha approvato nell’ottobre 2009 un nuovodecreto contenente le modalità attuativedella disciplina, portando finalmente mag-giore chiarezza alla materia. con il decreto“Sacconi” vengono definiti gli ambiti d’in-tervento entro cui si devono muovere iFondi e le casse di natura negoziale e vieneistituita presso il ministero della Salute,l’Anagrafe dei Fondi.

Che futuro immagina per il FASI?

Negli ultimi anni si è modificato sensi-bilmente il bacino dei nostri assistiti, con ladiminuzione dei dirigenti attivi e l’aumentodi quelli in pensione; ciò a fronte di unaspesa sanitaria che tende a crescere con unritmo annuo di circa il 5%. è uno degli ef-fetti tangibili del periodo di crisi economicache stiamo attraversando. ma al di là delleprospettive contingenti, è evidente che inItalia è richiesto ai Fondi di giocare unruolo che sarà sempre di maggiore rilievo.Questo perché mancano le risorse per l’au-tosufficienza e non bastano le politiche dirazionalizzazione della spesa, del conteni-mento dei costi e riduzione degli sprechi at-tuate dalla Regioni. In questa prospettiva ilruolo svolto dal FASI sarà, evidentemente,di sempre maggiore rilievo, soprattutto pergarantire ai cittadini il diritto e la responsa-bilità di scelta delle prestazioni, nonchéun’efficace ed efficiente gestione delle lororisorse. ■

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Un bilancio non positivo

Nell’autunno 2011 si rinnoveranno i ver-tici dell’ANm: è dunque tempo di bilanci.La prima considerazione da fare è chel’azione dei vertici dell’Associazione Nazio-nale magistrati è stata sinora poco incisiva,preferendo procedere per slogans, anzichéaffrontare i reali problemi della categoria.

magistratura Democratica, Unicost e mo-vimenti hanno, di volta in volta, discusso diautoriforma della magistratura, di rinnova-mento dell’organizzazione, di professionalitàdei magistrati, di ufficio del giudice e di de-generazione correntizia, senza mai avanzarealcuna concreta proposta.

c’è poi il grande tema del rapporto con lapolitica.

certamente non può addebitarsi soloall’attuale giunta l’improduttività del con-fronto con il mondo politico e il governo.ma non può essere nemmeno taciuto chesi è quasi sempre preferita la tattica delmuro contro muro, rinunciando, talvoltapregiudizialmente, al confronto con leforze politiche e con i loro esponenti piùmoderati, presenti in entrambi gli schiera-menti.

Tra i temi che attendono riforme non piùprocrastinabili rammento il sistema discipli-nare, la legge elettorale del cSm (ribadendoil fermo no di magistratura Indipendente

alla istituzione di due cSm), la regolazionevirtuosa del rapporto tra ministro della Giu-stizia e cSm, la ragionevole durata dei pro-cessi, l’effettività della pena, un progetto persmaltire l’arretrato del contenzioso civile, lequestioni non secondarie relative alle tecni-che di motivazione, al grado di appello, al-l’accesso alla giustizia, ai tre gradi digiudizio.

Salvaguardare l’associazionismo, combat-

tere il correntismo.

Dobbiamo ricordarci chi siamo. magistra-tura Indipendente intende rinnovare il suoimpegno contro le degenerazioni correntizieallo scopo di difendere il valore e la praticadell’associazionismo, la cui frustrazionee distorsione ha prodotto nel tempo unprogressivo allontanamento della base nonideologizzata dei magistrati.

Il presidente dell’ANm, in più occasioni,ha fatto cenno a una riforma della giustiziache possa far si che «le scelte della dirigenzasiano svincolate dalle logiche d’apparte-nenza».

Da parte nostra, in questa direzione nonpotrà che trovare totale sostegno. Novità intal senso favorirebbero infatti l’avvicina-mento dei giovani, altrimenti restii ad assu-mere ruoli ed incarichi associativi e

Prospettive per laMagistratura associata

Cosimo Maria FerriMagistrato

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consentirebbero la valorizzazione di quei con-tributi eterodossi, altrimenti non consideratiadeguatamente perché fuori dal coro.

Il ruolo dell’ANM

Al Secondo Salone della Giustizia di Ri-mini, l’ANm ha diffuso le statistiche presentinel rapporto cepej 2010, documenti che –come è stato fatto notare da magistratura In-dipendente – smentiscono l’opinione correntesull’impegno dei magistrati nell’eserciziodelle funzioni giurisdizionali. Nel rapportoeuropeo i magistrati italiani sono indicaticome estremamente laboriosi, meno numerosidi altri e supportati da un personale ammini-

strativo numericamente molto inferiore aquello impiegato in altri paesi. I giudici ita-liani lavorano tanto e smaltiscono una granmole di lavoro, nonostante le carenze di orga-nico. In Italia le sopravvenienze civili annueper ogni giudice ammontano, nel primo gradodi giudizio, a 438,06 contro le 224,15 dellaFrancia e le 54,86 della Germania.

Nel settore penale le distanze diminui-scono, ma la sostanza non cambia. Se poi sipassa ad esaminare i procedimenti penali e ci-vili di primo grado definiti da ogni giudice,emerge lo sforzo della magistratura italianaper portare a termine i processi.

Il rapporto tra casi risolti e casi pendenti“litigiosi” e “non litigiosi”, vede la magistra-tura italiana superata solo da quella svedese e

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francese. Inoltre, il numero di sentenze pro-nunciate ogni cento magistrati nel 2008 è paria 0,7 in Italia, contro lo 0,6 in Spagna (chepuò contare, peraltro, su un maggior numerodi magistrati e di personale amministrativo).

Silenzio sul Cepej

cifre e valutazioni queste che – se diffuseadeguatamente – avrebbero potuto contri-buire a modificare l’opinione distorta chemolti hanno della magistratura italiana. Orache cosa ha fatto l’Anm per diffondere questeinformazioni? poco, troppo poco. Se ne parla,infatti, nella migliore ipotesi, tra i colleghipiù informati ed attenti.

Condizioni di lavoro

credo che non sia possibile parlare di or-ganizzazione interna degli uffici giudiziarisenza considerare gli standards medi di ren-dimento. Il tema dei carichi di lavoro esigibilidai magistrati deve costituire un punto dipartenza e rappresenta un momento di affer-mazione della dignità professionale della ca-tegoria.

Indipendenza esterna e interna

L’indipendenza interna della magistra-tura presuppone, va detto a chiare lettere, lagaranzia di una piena e adeguata autonomiaorganizzativa, indispensabile per poter for-nire ai cittadini un servizio giustizia final-mente efficiente.

E, a questo fine, occorre, innanzitutto, mi-gliorare le condizioni di lavoro dei magi-strati, specie di quelli più giovani. Un paeseche, come l’Italia, intende dare impulso allapropria ripresa economica e sociale non puòprescindere da un sistema di giustizia celereed efficiente.

Il Tavolo per la Giustizia

Unanimemente è avvertita la necessità diuna riforma giudiziaria. È nostro dovere,come magistrati, affermare la necessità diun tavolo di confronto al quale tutti – par-lamento, governo, magistrati, avvocati –partecipino senza pregiudizi, né precon-cetti.

A questo tavolo l’Anm deve presentarsicon una voce univoca per rappresentare conpiù forza e credibilità la nostra categoria,ma anche per avanzare proposte che pos-sano costituire una reale sintesi tra le di-verse sensibilità presenti all’internodell’Associazione. ■

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Trovo triste che si debba parlare di etica adun convegno di magistrati. Sono entrato inmagistratura un anno prima della stagionedelle stragi, anzi pochi mesi prima: il clima eraun altro. Oggi discutiamo delle modifiche daparte dell’Associazione Nazionale magistratiad una normativa deontologica che già ave-vamo e che trova il suo fondamento nellalegge, ma che non ha avuto alcuna concretaapplicazione.

Forse l’Associazione Nazionale magistratidovrebbe riflettere sull’opportunità di costi-tuirsi in “commissione etica permanente” perprevenire alcuni comportamenti, sotto gliocchi di tutti, che non ci aiutano certamente aguadagnare la fiducia e la stima dei cittadini.

Alla “commissione etica della magis-tratura” potrebbe essere assegnato il compitodi rispondere alle domande e alle questioniposte dai cittadini sui temi di natura deonto-logica che ci riguardano, secondo un modelloche ricalca quanto già fatto dal consiglio Su-periore della magistratura con le delibere dirisposta ai quesiti posti dai singoli magistrati.

Evidentemente, la valutazione dell’operatodi un magistrato non può essere limitata al-l’astratta legalità dei comportamenti, che èovvia ed è un presupposto dell’operato quo-tidiano. La soglia di apprezzamento della con-dotta del magistrato deve, invece, essereanticipata alla semplice opportunità di tenereo non tenere un dato comportamento. È diquesto che si parla: eθος vuol dire comporta-mento; l’Etica è la scienza e lo studio del com-portamento umano.

Il codice etico dei magistrati si può sinte-tizzare in una sola frase, che è riportata nellacostituzione, secondo la quale. “I cittadini cuisono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere diadempierle con disciplina e onore” (art. 54 c. 2°cost.). Non ci sono altre regole. L’unica regolaè che la condotta del magistrato deve essereirreprensibile. Non si può accettare un’altraregola se non come complemento di questaunica linea guida, che ciascun magistrato,anzi ciascun soggetto al quale sono affidatefunzioni pubbliche, deve sempre rispettare.

Il rilassamento dei costumi è nei fatti: nonci si indigna più per niente. Il parametro cheviene offerto all’opinione pubblica dalla polit-ica è (credo di non svelare un mistero) bassis-simo.

probabilmente anche l’opinione pubblicanon brilla in alcuni comportamenti e, soprat-tutto, in alcuni atti di tolleranza verso compor-tamenti non apprezzabili sotto il profilomorale.

I magistrati, tuttavia, non possono limitarsia ripetere i valori etici che provengono dallamorale sociale del singolo momento storico:gli è richiesto uno standard ben più elevato.

È un sacrificio, ma è un sacrificio doverosoper chi sceglie liberamente di intraprenderequesta attività.

con riferimento alle modifiche del codiceetico, credo che sarebbe stato facile prevederenorme ancora più rigorose. per esempio, ipo-tizzando una forma chiara e diretta di con-trollo dei comportamenti dei magistraticontrari all’Etica. Il problema del codice etico

Un’etica per i magistrati

Aldo MorgigniMagistrato

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è proprio questo: come si fa ad ottenerneun’applicazione effettiva? È giusto rimetterel’applicazione di queste regole alla semplicesensibilità e attenzione dei singoli magistrati,senza neppure ipotizzare forme di controllo?

ho individuato alcuni strumenti norma-tivi per l’applicazione del codice etico, chediscendono direttamente dalla legge, perchéil D. Lgs. n. 165/2001 obbliga l’AssociazioneNazionale magistrati a predisporre le normeetiche ed impone ai magistrati di conoscerle.La stessa legge impone ai capi degli ufficigiudiziari il dovere di vigilare sull’osser-vanza dei comportamenti previsti nel codiceetico.

Nell’incipit del codice etico troviamo unafrase un pò critica nei confronti della legge.

Diciassette anni fa, infatti, quando entròin vigore il D. Lgs. n. 29/1993 che aveva pre-visto per la prima volta la possibilità diquesto strumento, si dubitava della possibil-ità di prevedere norme etiche conformi acostituzione che non fossero anche discipli-nari. L’Etica, però, si pone sulla sogliarispetto alla disciplina. Fa parte di quel con-cetto che, secondo la costituzione, integral’onore e che non si contrappone, ma è com-plementare alla disciplina. L’onore è unanozione basilare e indispensabile che dovreb-be essere scritta nel D.N.A. di ogni magis-trato.

Naturalmente, se vogliamo rendere con-creta la discussione, dovremmo innanzituttochiarire la portata delle regole etiche nel rap-porto che i magistrati italiani hanno con ilconsiglio superiore della magistratura.

Questo è un tema che andrebbe affrontatocon grande chiarezza e prima di molti altri.

proviamo a fare alcuni esempi.Riteniamo che il lobbing, che pratichiamo

con le telefonate e le richieste di informazionirivolte ai componenti del consiglio Superioresia corretto?

Se rispondiamo affermativamente dobbia-mo necessariamente chiederci: in quali ter-

mini e con quali limiti? La risposta potrebbe essere che è neces-

saria una puntuale disciplina che stabiliscauna trasparenza assoluta in questo tipo di re-lazioni, che dovrebbero essere formalizzate esvolgersi in modo da non aggirare le regoleposte dal consiglio Superiore della magi-stratura.

pensiamo che l’intromissione di terzi es-tranei alla magistratura nelle decisioni delconsiglio Superiore della magistratura siauna pratica corretta? Se crediamo che unacosa del genere sia possibile e lecitadovremmo chiederci: perché, a quale scopoed in quale misura?

Non credo, tuttavia, che possa essere for-nita una risposta positiva ad una domandadel genere. Gli estranei alla magistratura, conl’ovvia eccezione dei componenti eletti dalparlamento, non dovrebbero, evidente-mente, avere alcun ruolo nelle decisioni delconsiglio Superiore della magistratura.

Quale deve essere il rapporto dei magis-trati con la politica? Io credo che debba es-sere un rapporto di libertà. Se il magistratosi vuole impegnare in politica lo faccia. maè una strada a senso unico. Non credo chesia possibile, ragionevolmente, rientrare afare il magistrato dopo anni di politica eavere la stessa immagine di imparzialitàche si aveva prima. Lo stesso vale per gli in-carichi di alta amministrazione, espressionedi uno stretto rapporto fiduciario con la po-litica.

con una sentenza emessa nel 1998 (1) laHouse of Lords ha stabilito, nel caso relativoall’appello contro l’estradizione in Spagnaper crimini contro l’umanità dell’ex capo diStato del chile, Augusto pinochet, chepoteva essere accolta la ricusazione di Lordhoffman – quale componente della corte –perché la moglie aveva lavorato come assis-tente amministrativo nell’O.N.G. AmnestyInternational, ossia un’associazione inter-nazionale impegnata nella difesa dei diritti C

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umani. Si riteneva, infatti, che ciò potessepregiudicare l’immagine di imparzialità diuno dei componenti del collegio che dovevagiudicare sull’estradizione.

Questo è un livello di standard etico moltoalto, peraltro accettato di buon grado dall’in-teressato, che io mi auguro che si possa appli-care in magistratura.

parafrasando un noto pensiero di Ezrapound, secondo cui “non puoi avere unabuona economia con una cattiva etica”, credo

che si possa fare solo una pessima giustizia,senza etica. ■

Note(1) hOUSE OF LORDS (Lord browne-Wilkinson, LordGoff of chieveley, Lord Nolan, Lord hope of craighead,Lord hutton) - Judgment - In Re pinochet: OpINIONSOF ThE LORDS OF AppEAL FOR JUDGmENT IN ThEcAUSE IN RE pINOchET - Oral Judgment: 17 Decem-ber 1998 - Reasons: 15 January 1999 - Lord browne-Wilkinson.

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L’Avvocatura si è trovata a Genova allafine di novembre del 2010 per un congressovibrante e che ha scaturito strascichi polemicie di dibattito.

L’Avvocatura, nel suo consesso elettivo, siè data un obiettivo forte: tornare libera, unita,non condizionabile e proporsi come soggettopolitico, legittimato ad ottenere -finalmente-una netta e nitida interlocuzione con i poterie le Istituzioni dello Stato e ad essere prota-gonista della vita politica e sociale.

Il patrimonio di valori e di cultura propriodell’Avvocatura rappresenta il presuppostofondamentale perché la stessa possa acqui-sire una effettiva soggettività politica e con-frontarsi con il Governo sui problemi e gliatavici limiti strutturali del sistema Giustiziache rallentano, drammaticamente, lo svi-luppo produttivo del paese.

È, quindi, veramente primario interessedell’Avvocatura assumere una posizione ten-denzialmente unitaria e pretendere che la ritrovata credibilità sia direttamente pro-porzionale al ruolo svolto nell’amministra-zione della Giustizia.

costi sociali incalcolabili, sperpero di ri-sorse, dati sulle disfunzioni del sistema Giu-stizia in crescita esponenziale, vengonoperiodicamente sbandierati dai media.

L‘effetto dura però pochi giorni, poi ri-

torna il silenzio, rotto soltanto dai titoli deiprocessi da prima pagina di noti personaggi.Eppure il presidente della corte di cassa-zione e il procuratore Generale della Repub-blica forniscono, ogni anno, dati allarmantisui processi pendenti.

Al 30 giugno 2009 l’Italia vantava un ar-retrato composto da 5.625.057 processi civili,da 3.270.979 processi penali e da 630.000 pro-cessi amministrativi, per un totale di oltre9 milioni e cinquecentomila processi pen-denti!

Secondo il rapporto annuale della bancamondiale Doing business 2010 la cronica len-tezza dei processi è causa di contrazionedegli scambi e genera un automatico rallen-tamento dello sviluppo produttivo dell’Ita-lia, allontanando gli investitori dal nostromercato. Il nostro paese si posiziona al 70°posto della classifica mondiale della produt-tività, ma si trova al 150° posto per quanto ri-guarda lo specifico parametro relativoall’efficienza della Giustizia.

Se si considera che per ogni causa civile cisono almeno due parti e che il processo pe-nale ne coinvolge, quasi sempre, molte dipiù, giungiamo alla conclusione che circa 25milioni di italiani attendono “Giustizia”.

Se poi alle parti dei processi in corso ag-giungiamo i milioni di cittadini che hanno

Un’Avvocaturaal passo con i tempi

Antonio ContePresidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma

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subìto delle ingiustizie che non hanno avutouno sbocco processuale o che hanno ottenutoun provvedimento giudiziario, sostanzial-mente inutile, solo dopo molti anni dall’iniziodella causa, possiamo ben comprendere comeil tema della giustizia rappresenti una veraemergenza nazionale.

Dal 1990 ad oggi si sono susseguiti 13 mi-nistri della Giustizia: Vassalli, martelli, conso,biondi, mancuso, Dini, caianiello, Flick, Dili-berto, Fassino, castelli, mastella, ora Alfano.

ma i disservizi della “Giustizia”, pur-troppo, non sono cessati, anzi la situazione èsempre più andata peggiorando.

Non si tratta, quindi, di una specifica re-sponsabilità della “Destra” o della “Sinistra”.Tutti – e sottolineo tutti – sono stati incapacidi dare una soluzione al problema. È un datooggettivo.

Ad ogni inaugurazione di Anno Giudizia-rio vengono ripetuti stancamente numeri eproblemi che evidenziano la grave crisi dellagiustizia. centinaia di parlamentari si sonoavvicendati nelle commissioni Giustizia dellacamera dei Deputati e del Senato della Re-pubblica, tra i quali molti Avvocati e magi-strati, ma i provvedimenti legislativi volti arisolvere i problemi o sono rimasti nel cassettoo se approvati hanno, sovente, sortito un ef-fetto contrario a quello sperato.

Il degrado allarmante del servizio Giustiziaoscura anche lo sforzo dei molti che svolgonocon professionalità e rigore il proprio lavoro,mortificando ogni risultato per l’eccessivo ri-tardo della risposta giudiziaria.

Quando si analizza il tema della politicagiudiziaria si deve, evidentemente, conside-rare la capacità di pressione che hanno le sin-gole componenti del sistema Giustizia.Tuttavia, mentre la magistratura, le IstituzioniGiudiziarie, il parlamento con le commissioniGiustizia e Affari costituzionali, gli Organi-smi Amministrativi, il ministro della Giusti-

zia, appaiono in grado di esercitare un fortepotere, gli Avvocati, che pure in Italia raggiun-gono il numero di 220.000, di cui solo a Romaoltre 22.500, hanno difficoltà a dare voce alleloro proposte, a far considerare le loro inizia-tive.

E’ noto che nelle società democratiche, plu-raliste, non sono sufficienti le buone idee e laprospettazione di soluzioni intelligenti perraggiungere un obiettivo politico: è indispen-sabile, invece, disporre della forza dei numeri.

paradossalmente, per gli Avvocati, il nu-mero non è forza.

Quando le iniziative dei nostri organismiIstituzionali saranno finalmente accompa-gnate da una azione veramente unitaria del-l’Avvocatura, allora forse si porrà fineall’inarrestabile crisi della Giustizia.

Una semplice analisi basata sulla metodicacosti-benefici non può non evidenziare il di-vario profondo tra gli altissimi costi affrontatisinora per riformare e migliorare la giustiziae i minimi benefici conseguiti. Ovviamente,nei ‘costi’ dobbiamo considerare anche quellidi tipo sociale, quali il tempo impegnato, leenergie spese dai singoli, gli adempimenti am-ministrativi svolti a vuoto, la delusione per imancati risultati, la sfiducia sempre maggiorenei confronti dello Stato che il fallimento, davent’anni, delle politiche per il rilancio dellagiustizia, hanno ingenerato.

Gli Avvocati non sono assenti, vengonoesclusi.

Le vicende relative all’indennizzo diretto,all’abolizione dei minimi tariffari e del divietodel patto di quota lite, la mancata considera-zione del ruolo dell’Avvocatura nella mediaconciliazione, il ridicolo tentativo di escluderel’incompatibilità tra l’iscrizione all’Albo Fo-rense ed il rapporto di lavoro subordinato dinatura privatistica, rappresentano la confermache la categoria non viene in alcun modopresa in considerazione dalla politica.Av

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Il nuovo appuntamento è la riforma delleprofessioni, annunciata come occasione sto-rica per la modernizzazione del paese.

Sembra di capire che i privilegi degli Or-dini professionali ostacolano la concorrenzanei servizi, impedendo che l’economia e iconsumatori, possano beneficiare dei van-taggi della concorrenza. E la nuova parolad’ordine sembra essere quella di rimuoverele barriere corporative che tutelano le renditedi posizione a scapito dell’economia.

Tuttavia, agli avvocati italiani non risultadi godere di particolari privilegi o, tantomeno, di rappresentare un ostacolo alla li-bera esplicazione delle regole del mercato.

È un privilegio non avere una legge pro-fessionale da oltre 77 anni? mi sembra deltutto superfluo aggiungere altro.

cresce il numero dei processi, aumentanogli adempimenti amministrativi, le nuove in-combenze per il rispetto della privacy, ma ilnumero dei cancellieri e degli Ufficiali Giu-diziari rimane lo stesso (anzi, i prossimiesodi di massa, per ragioni pensionistiche, lofaranno drammaticamente ridurre). costoro,giunti ai limiti della sopportazione, prote-stano con il metodo del cosiddetto scioperobianco (applicano i regolamenti alla lettera),la farraginosa macchina procedurale rallentaancora di più e gli Avvocati sono i primi a su-birne i disagi.

Sono una delle categoria della pubblicaAmministrazione con maggiore professiona-lità, svolgono un lavoro delicato di rilevanzaparacostituzionale, eppure sono anni che at-tendono invano una riforma e un aumentodegli organici.

Noi chiediamo di raddoppiare l’organicodelle cancellerie nell’arco di sei mesi, anchein modo di offrire un posto di lavoro ai mol-tissimi disoccupati prodotti, ormai, sistema-ticamente, dall’università.

L’obiettivo di una efficace politica giudi-

ziaria deve essere uno solo: riorganizzare, ot-timizzare ma, soprattutto, trovare risorseeconomiche da impiegare nel sistema Giusti-zia.

per questo, insistiamo, occorre conferiredignità al ruolo dell’Avvocatura, consen-tendo alle rappresentanze istituzionali dellastessa -soprattutto agli Ordini locali- di assu-mere un ruolo da protagonisti nel rilancio,non più procrastinabile, della Giustizia ita-liana.

Dopo tanti fallimenti , è giunto il tempoin cui sia l’Avvocatura italiana a farsi caricodel cambiamento, con il suo patrimonio dicompetenza ed esperienza, presentandosi, fi-nalmente, unita in un progetto di rilanciodella Giustizia e del paese.

In questa prospettiva è divenuto indi-spensabile anche portare, finalmente, a com-pimento la riforma dell’Ordinamentoprofessionale Forense.

E’ giunto il momento degli Ordini distret-tuali, tanto dei “grandi” quanto dei “piccoli”:perché alla base di queste rappresentanza c’èil volto solare del consenso, perché sono que-sti consessi ad essere a stretto contatto con labase e a conoscere la drammatica quotidia-nità della professione forense.

per questa ragione gli Ordini – pur man-tenendo ferme le proprie funzioni istituzio-nali (Disciplina, Iscrizioni, pareri, Deonto-logia) – si debbono unire in una poderosaforza “anche sindacale” (non per omologare –come già sopra affermato – ma per esaltare l’au-tonomia del singolo professionista e le individua-lità che ognuno legittimamente rappresenta) peraccrescere il peso e la forza di quei valori chespetta all’Avvocatura Italiana far risorgerecon inflessibile determinazione.

In conclusione, due note liete per l’Ordinedi Roma: la prima – dopo una lunga e fati-cosa battaglia e dopo aver gridato forte la no-stra protesta – il Senato ha approvato l’art. 24 Av

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bis del DDL di Riforma dell’Ordinamento pro-fessionale concernente la nostra Sede in cas-sazione. È stata, finalmente, prevista unanorma ad hoc che stabilisce che l’Ordine degliavvocati di Roma ha diritto ad avere la suasede all’interno dell’edificio della Supremacorte di cassazione. Questa non è solo un’af-fermazione di principio per l’Ordine di Roma,ma è una vittoria per tutti i colleghi italiani  -che hanno mostrato nella fattispecie una com-movente solidarietà con l’Avvocaturaromana-  che potranno così continuare adavere un punto di riferimento ogni qualvoltasaranno a Roma per discutere un ricorso in-nanzi alla Suprema corte. La seconda, ri-guarda una bella iniziativa benefica chel’Ordine romano ha deciso di realizzare in-sieme all’Ospedale pediatrico policlinico Um-berto I di Roma, a favore dei piccoli pazienti

che hanno bisogno di cure urgenti. L’Ordinedi Roma ha infatti donato all’ospedale unaserie di sofisticate strumentazioni valvolariche grazie a un sistema modulare modernis-simo, consentono di sincronizzare i ventilatorimeccanici legati alle incubatrici dei neonati alfine di migliorare la respirazione polmonare edi far funzionare organi vitali nella terapia in-tensiva pediatrica dell’Ospedale.

L’iniziativa è stata accolta con sincero ecommosso apprezzamento da parte del-l’Ospedale pediatrico che ha risposto comuni-cando che con questi particolari macchinari distrumentazione valvolare si potrà salvare lavita a molti bimbi in condizioni critiche.

L’Avvocatura romana vive, con vibranteorgoglio, l’essere stata protagonista anche diquesta iniziativa. ■

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Nel 1974 pier paolo pasolini scriveva: “Ilcoraggio intellettuale della verità e la praticapolitica sono due cose inconciliabili in Italia”.

Oggi, come allora, il paese sembra privodi progettualità e di certezze sul suo futuro.Eppure, può esistere - deve anzi esistere -una politica che abbia il coraggio di dire laverità, che non si trinceri dietro i personali-smi e gli interessi particolari e che lavori soloed esclusivamente per il bene comune delpaese. È necessario costruire una politica chedia all’Italia - ed in particolare al mezzo-giorno ed ai suoi giovani - una prospettiva dicrescita e di sviluppo. In questa direzione,solo che lo si colga in maniera compiuta, cen-trale può essere il ruolo delle province.perché l’economia che traina il turismo ètutta provinciale e le imprese che contribui-scono ad elevare il pil operano nel territorioprovinciale. Le province non sono solo unpresidio culturale ed identitario importantis-simo, così come voluto dai padri costituenti,ma anche un antidoto al dilagante centrali-smo regionale.

La provincia, però, deve riappropriarsidel proprio territorio ed occuparsi seria-mente di quel che per legge le compete.Attraversiamo una stagione di riforme moltocomplessa e sono dieci anni che attendiamola riforma degli enti locali: la carta delle au-tonomie, strumento significativo, è oggi ametà del guado, così come il federalismo fi-scale. Queste riforme di carattere strutturale,ci consentiranno, io credo, di lavorare con

maggiore motivazione e senso di responsa-bilità. Il lavoro compiuto dal Governo haposto le aree meridionali al centro di grandiprogettualità, in una cornice di riferimentodi forti spinte innovative, che devono inci-dere sulle responsabilità delle classi dirigentidel Sud.

Sono convinto, peraltro, che il contributoche le Amministrazioni delle province meri-dionali daranno, possa essere essenzialenelle nuove geografie del potere che si an-dranno a disegnare.

Affermo questo con sicurezza, proprio nelmomento in cui l’Istituzione provincia è di-venuta un comodo bersaglio, mentre – con-temporaneamente – si accelerano processi di“enteficazione”, creando sempre nuovi Entigestionali: Authorities, Agenzie, consorzi,Aziende, Società, ecc. Un pulviscolo dispersodi competenze, che sfilaccia ed indebolisce lacapacità di confronto, al quale il “locale” èchiamato nel tempo della globalizzazione.

Le province, nel tempo della inter-territo-rialità e della interregionalità, devono, in-vece, essere un modello di organizzazionedel territorio. per questa ragione, si ha neces-sità di una loro forte ricollocazione nei pro-cessi d’integrazione territoriale.

Si riveda, quindi, l’assetto delle province,per meglio articolare le politiche sistematichesu aree ristrette, specie di confine e quindianche a carattere interregionale, proprio per-ché l’attuazione del federalismo non crei bar-riere fitte, burocratiche, rapportate ad

La provincia del futuro

Francesco SchittulliPresidente della Provincia di Bari

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egoismi campanilistici. Le province hanno un ruolo decisivo sui

“servizi infrastrutturali allo sviluppo” e,quindi, devono creare un nuovo rapporto conle Regioni, che non siano più Stato estraneo,potere, ma Istituzioni di progetto e di rac-cordo.

Scendendo nel particolare, la provincia dibari attende ancora dalla Regione puglial’attuazione definitiva del decentramento am-ministrativo di deleghe: mi riferisco al trasfe-rimento completo di competenze quali laformazione professionale, l’ambiente, il turi-

smo, l’agricoltura. E non solo, in un’ottica diarmonica crescita.

Quel che più conta – in questo momento –è guardare alle esigenze dei cittadini e dei ter-ritori che devono essere amministrati e, so-prattutto, alla mancanza di lavoro di tantepersone che vivono in questa Terra di bari.

È questa la priorità: restituire dignità e se-renità a coloro che hanno perso il lavoro e acoloro – specie i giovani – che sono in cerca diuna prima e stabile occupazione.

Questa è la sfida politica da percorrere, conurgenza e determinazione. ■

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Lavori complessi che investono gli assettiistituzionali, del sistema fiscale e delle auto-nomie locali. Da diversi anni sentiamo par-lare, in ogni sede, di federalismo. Si sonoavviate discussioni e polemiche, spesso ideo-

logiche o quanto meno di ispirazione poli-tica. Il paese si è diviso tra gli “entusiasti”, i“favorevoli con qualche riserva” ed i “con-trari”. In realtà del federalismo si dice tuttoed il contrario di tutto e molti lo sostengono

Federalismo, enti localie Giustizia

Alberto SarraSottosegretario alle Riforme della Regione Calabria

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senza specificare cosa intendano.per noi la costituzione non è un mito in-

tangibile. È un grande accordo politico e,come tale, datato ed emendabile. ci è stata af-fidata in un momento storico particolare emolto difficile per il nostro paese dai padri co-stituenti, che hanno lasciato alle future gene-razioni il compito di scrivere tre capitoli cheLoro non erano riusciti a definire. basta rileg-gere il “testamento” di meuccio Ruini, coluiche più di ogni altro ha contribuito al compro-messo della seconda parte: forma di Stato,forma di Governo e bicameralismo vengonoconsiderati capitoli incompiuti.

Il nostro “federalismo” si differenzia daquello di altri paesi europei (Germania, Spa-gna) in quanto fondato sul pluralismo deglienti del governo territoriale: Regioni, provincee comuni. Questi enti, esponenziali delle ri-spettive collettività, sono (e resteranno) titolaridi poteri, funzioni e compiti, stabiliti dalla co-stituzione che ne garantisce, al contempo, laposizione istituzionale reciproca e definisce irapporti che tra essi intercorrono al fine del-l’esercizio delle rispettive funzioni di governo.

L’architettura costituzionale rende sicura-mente più complessa in Italia l’attuazione del“federalismo” rispetto ad altri paesi, essendopiù difficile organizzare un sistema di rap-porti istituzionali stabiliti tra una pluralitàassai frammentata e differenziata di attori. mal’occasione non può sfuggire e può essere de-finita, senza retorica e senza timore di esage-rare, storica, pur senza voler attribuire “virtùtaumaturgiche” ad una riforma dirompentecome quella in corso.

Il senso effettivo di questa riforma non è,e non può essere e non riesce ad essere, unnuovo ordine costituzionale, bensì la legitti-mazione, nel testo costituzionale, dellelegittime e crescenti rivendicazioni di autogo-verno delle Regioni, spesso costrette in unaposizione di mere esecutrici delle scelte del le-

gislatore statale, naturalmente fino al mas-simo possibile all’interno del quadro costituitodall’Unione europea.

Non si tratta di una novità assoluta, ma diun processo in certo senso obbligato doven-dosi applicare l’articolo 119 della costitu-zione, così come sostituito dall’articolo 5 dellalegge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3. Sitratta di un prezioso momento di ripensa-mento globale, di razionalizzazione, di rior-dino di un coacervo normativo stratificato,formatosi nel tempo, in parte addiritturaprima della costituzione, spesso sulla spintadi emergenze finanziarie interne o indottedalla partecipazione alle istituzioni europee.Il risultato, che ben conosciamo, è quello di un“sistema” confuso, privo di certezze, spessocaratterizzato da diffidenze e mancanza dicollaborazione tra i diversi livelli di governo.E questo in un momento in cui la competi-zione economica si fa durissima in campo in-ternazionale, prima che europeo, e lacompattezza interna è fondamentale per svol-gere un ruolo adeguato nel contesto comuni-tario.

Dunque l’impegno del mondo delle auto-nomie in questa delicata fase deve essere mas-simo e noi Amministratori dobbiamo avere ilcoraggio di compiere scelte forti, talvolta au-daci e non sempre di facile comprensione. Sitratta di una chance irripetibile, destinata a se-gnare nel bene o nel male tutto il funziona-mento del nostro paese nei prossimi decenni.

punti fondamentali della riforma federali-sta, come è noto, sono la realizzazione dell’au-tonomia della entrata e della spesa, nonché ilsuperamento del sistema della finanza deri-vata e dei bilanci fondati sulla spesa storica.Allorché saremo giunti a regime, si compirà,possiamo dirlo senza enfasi, una vera rivolu-zione nel senso di rivolgimento di prassi con-solidate, anche normativamente.

con il “federalismo” gli Enti locali, cosìReg

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come le Regioni, saranno responsabili deifondi che riceveranno dai cittadini: se au-menteranno i costi dovranno chiedere nuovetasse ai propri cittadini (che sono poi i loroelettori); cesserà il tradizionale ping-pong traEnti locali e Governo con un rimpallo delleresponsabilità sia dal lato della spesa che daquello della entrata. Se, al contrario, l’Ente lo-cale sarà capace di contenere i costi delle fun-zioni svolte, le tasse potrà ridurle e potràvirtuosamente individuare nuove forme difiscalità “di sviluppo”, con particolare ri-guardo alla creazione di nuove attività di im-presa soprattutto nelle aree sottoutilizzate,tipiche del nostro meridione. E questo èancor più doveroso in tempi di vacche magree coi cordoni della borsa da tenere ben ser-rati, come la crisi internazionale impone. co-munque gli Amministratori verrannogiudicati nelle urne, e non dai giornali, comeassai di frequente ed in maniera del tutto pa-tologica accade oggi in Italia.

E se l’obiettivo è modernizzare il paese erenderlo finalmente una democrazia “nor-male”, il capitolo giustizia non potrà esseretrascurato. La “riforma giustizia” non solo èuna riforma di sistema, ma è la prima e la piùimportante delle riforme di sistema. Serve aicittadini, che hanno diritto a una giustiziapiù equa ed efficiente. E serve al paese, cheda quindici anni è sottoposto a fibrillazionicontinue a causa del conflitto fra giustizia epolitica e dell’uso politico della giustizia.

L’affermazione della legalità presupponeuna decisa azione repressiva di tutte le formedi illegalità diffusa: una decisa azione cultu-rale preventiva, che coinvolga i cittadini, sen-sibilizzandoli al tema e mostrando loro ibenefici quotidiani della promozione dellalegalità.

c’è una continua sollecitazione da partedel Governo agli Enti locali, ad un costanteimpegno e responsabilità sui fronti della le-galità. bene, a questa istanza noi Ammini-stratori siamo chiamati a risponderedispiegando il massimo delle energie che ab-biamo a disposizione. Non sempre, però, cor-risponde un uguale ed adeguatostanziamento di mezzi e risorse da partedello Stato. E questo non può che indebolirenel suo complesso anche la più capillare edattenta azione di contrasto alla criminalità.

per far funzionare la giustizia servono,certo, le riforme, ma servono anche Tribu-nali e procure organizzati ed efficienti. Ed icosti della giustizia non possono e non de-vono gravare sui cittadini. è un problemadi risorse, ma anche di organizzazione diun sistema troppo lento, obsoleto e caotico:in quest’ottica diventa fondamentale l’espe-rienza del territorio in cui la giustizia è am-ministrata. Il primo elemento essenziale peril corretto funzionamento della giustizia éproprio l’idonea dotazione strutturale dimezzi e personale giudiziario e ammini-strativo, proporzionata alla domanda digiustizia sul territorio: non c’è riforma effi-ciente che possa prescindere da questodato.

E sarebbe utile, in tale contesto, immagi-nare una competenza delle Regioni in mate-ria di organizzazione giudiziaria (dotazionestrutturale di mezzi e personale giudiziarioe amministrativo) in conformità alle istanzeche emergono dal territorio.

Il ruolo degli Enti locali è esattamentequello di gestire insieme queste risorse.Quello di lavorare in maniera sinergica percercare di non gravare sui cittadini, ma tro-vando all’interno delle proprie risorse, tuttele migliori soluzioni possibili. ■

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Lavorare uniti per una giustizia chefunziona dovrebbe essere l’obiettivo comunenon solo dei giudici, dei pubblici ministeri,degli avvocati, ma di tutte le Istituzioni e leforze politiche, sociali e produttive del paese.Non basta più difendere le conquiste delpassato, l’esistente ma, come ha mostrato nelsuo bel congresso l’Associazione Nazionalemagistrati, bisogna guardare al futuro. Inno-vare. E lo dico sapendo che per innovare civuole grande coraggio. Se la magistraturaitaliana avrà il coraggio di assumersi questocompito, avrà reso al paese un grande servigio.Naturalmente, per raggiungere questo obiettivoè importante rafforzare la collaborazione fra leIstituzioni e lavorare insieme affinché lo Statofunzioni. Lo Stato deve funzionare.

Deve essere efficiente e mostrare al cittadinoutente il volto di uno Stato amico, perché rego-latore, garante reale della salvaguardia deidiritti, controllore imparziale della sfera deidoveri e della legge, capace di offrire servizinuovi e adeguati. per la modesta porzione checi riguarda, sono, in questo senso, particolar-mente felice dell’esperienza di collaborazioneche abbiamo avviato tra la provincia di Roma ei tribunali della nostra area metropolitana. miriferisco al progetto che ha consentito di impie-gare in un tirocinio annuale, per lavoro diufficio o di segreteria, 270 lavoratori in cassaintegrazione presso i tribunali e le procure diRoma e provincia. con questo progettoabbiamo voluto dare un segnale.

Lo abbiamo fatto per rispondere al grido didolore sulle carenze di organico dei nostri ufficigiudiziari (carenza che non si limita, purtroppo,

solo alla nostra provincia) e per offrire, alcontempo, ai lavoratori un’opportunità persuperare questo difficile momento di crisi. Nonstando a casa in attesa, ma formandosi e arric-chendo il proprio curriculum.

Valuteremo insieme i risultati di questoprogetto, su cui abbiamo investito un milionedi euro nel 2010. Siamo, però, già pronti a inve-stirne altrettanti per consentire ad altri 270 lavo-ratori di farne parte anche nell’anno a venire.

Voglio citare questo nostro impegno perindicare un esempio di come, anche nel piccolo,si possano fare cose utili per affrontare i grandiproblemi. per dimostrare come diverse Istitu-zioni possano trovare nuovi campi di collabo-razione e sperimentare strumenti innovativi diinterazione nell’interesse di tutti. comeprovincia di Roma, nel rapporto con l’ammini-strazione giudiziaria, lo abbiamo fatto con ilavoratori in cassa integrazione. Lo stiamofacendo e lo faremo nel campo dell’innovazionetecnologica, attivando il WiFi pubblico gratuitodella rete provincia WiFi nei tribunali di Roma.Uno strumento che reputiamo utile per chilavora e che inaugureremo nei prossimi mesi.

Sono piccoli esempi, lo so. ma il nostroassillo deve essere questo. Soprattutto oggi, allavigilia delle celebrazioni per il 150mo anniver-sario dell’unità d’Italia. con orgoglio ricordare,celebrare e difendere le radici di una storia. ma,insieme, ciascuno nella sua sfera di competenze,essere disponibili a incontrarsi e cooperare, alavorare per migliorare, a innovare, a renderepiù credibile e forte il rapporto tra cittadini eStato a partire dalle grandi, ma anche dallepiccole cose. ■

Il coraggio di innovare

Nicola ZingarettiPresidente della provincia di Roma

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“Idolatry is committed, not merely by setting up false gods, but also by set-ting up false devils; by making men afraid of war or alcohol, or economiclaw, when they should be afraid of spiritual corruption and cowardice.”

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Volendo cercare un angolo di postmoder-nità ai nostri giorni, possiamo trovarlo nelmondo della informazione, divenuta commo-dity nel senso più moderno della parola. In-formazione come bene di prima necessità suibanchi della grande distribuzione affaristica,politica, industriale e sportiva.

L'informazione come prodotto da trasfor-mare, consumare, utilizzare e godere. Questoci resta del secolo scorso che, fra i tanti lasciti,ha prediletto quello della informazione sem-pre, comunque, dovunque e per tutti. Il secoloprecedente, l'ottocento, ci ha dato la tecnolo-gia meccanica, termodinamica ed elettrica alculmine di una evoluzione sociale basata suilumi e sul pensiero scientifico, sui viaggi, sullescoperte geografiche e sulla costruzione di lin-gue e letterature possibili nella definizionedelle nazioni e degli imperi.

Ogni secolo, dall'alto medioevo ai nostritempi, nella sua modernità, é stato di postmo-dernità per il suo precedente.

Dalla tecnologia dell'ottocento alla infor-mazione del novecento il passo é stato brevee velocissimo.

La radio, nel secolo della informazione,grazie al matematico e fisico americanoclaude Shannon, e al suo teorema ciberneticodel 1948, divenne digitale. A fini bellici e dicrittografia prima, a fine di riprodurre segnalifisici nei calcolatori informatici dopo.

Il teorema della campionabilità di Shan-non, iniziatore delle discipline cibernetiche,

segnò il punto di passaggio dal fisico al digi-tale, dal materiale al virtuale.

Tutto ciò che i nostri sensi percepisconopuò essere trasferito, accumulato, conservatoe riprodotto localmente e a distanza, arric-chendo l'informazione e riproponendola a di-smisura dovunque un'onda elettromagneticasia in grado di giungere.

Ecco la globalizzazione, figlia dell'elettro-magnetismo e della digitalizzazione dei mes-saggi, che si affaccia al mondo alla fine delnovecento quando l’informazione diviene pla-netaria, onnipresente e onnicomprensiva.

Oggi, secolo postmoderno del Novecento,il problema si trasforma da tecnico e tecnolo-gico a filologico, linguistico e contenutistico.In una parola il problema della comunica-zione e dell’informazione é divenuto un pro-blema di marketing.

Si tratta di una questione filologica perchénon si può prescindere da costruzioni sintat-ticamente e grammaticalmente perfette, ancherispetto a ciascun linguaggio associato. Laquestione é anche linguistica, perché non sipuò prescindere dall'essere compresi in linguediverse e l'inglese non copre l'universo mondodove giunge la radio.

La questione é, infine, contenutistica per-ché il prodotto trasferito nella informazionedeve interessare, attrarre, affascinare, e soddi-sfare il pubblico pagante come qualsiasi altroprodotto commerciale.

per soddisfare queste condizioni l'informa-

L’informazione nell’eradella postmodernità

Pasquale D’Innella CapanoAmministratore Unico di Telepress

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zione é stata resa bidirezionale e presente sucanali mediatici differenti. Dalla radio, daigiornali, dalle TV, dai blog su internet, agliscaffali dei supermercati e alle cabine eletto-rali. così si crea ritorno e, quindi, misura digradimento e di sicurezza nelle scelte futuredella comunicazione. Questo é marketingnella informazione, é comunicazione globaleche analizza e forza la generazione dei con-tenuti fino alla soddisfazione del propriomercato di interesse.

L'altra informazione, quella che “pre-scinde” dal gradimento, anzi che lo forza, éla “propaganda” di vecchia memoria.

Roba fuori moda, di gusto oramai inaccet-tabile nel nostro tempo.

La differenza fra informazione e propa-ganda la fa il giornalista, l'autore del rac-conto educato socialmente a dirsi (più cheall'essere) libero ed indipendente.

È nella libertà del giornalista che risiede ilvalore dell’informazione e del suo prodotto.Un articolo di piero Ottone sul Venerdi di Re-pubblica del 12 novembre 2010 spiega beneil concetto. Libertà nei confronti dell'editoree libertà nei confronti dell'inserzionista.È il lettore che fa il mercato della informa-zione. Il lettore non ama la propaganda equesta non può più essere imbonita come li-bertà di espressione culturale o commercialeo politica.

In questi tempi postmoderni per l’infor-mazione, la scelta é frutto del confronto e delconvincimento che il giornalismo debba ri-manere, sempre e comunque, libero di ri-spondere alla propria coscienza e non adaltri. come per i giudici nei tribunali.

Non c'è giustizia senza libertà di co-scienza, non c'e informazione senza libertà diconvincimento. ■

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Gli ultimi dati ISTAT sull’occupazione inItalia evidenziano una criticità ormai co-stante: il tasso di disoccupazione giovanileassume percentuali sempre più preoccu-panti.

Nel mese di luglio del 2010 il tasso di di-soccupazione generale si è attestato all’8,4%,in diminuzione rispetto al mese precedente,ma ancora troppo elevato rispetto alle medieregistrate negli altri paesi europei. La situa-zione è invece molto più critica se si analiz-zano le percentuali occupazionali dei giovanidi età compresa tra i 15 e i 24 anni: il dato deidisoccupati raggiunge, infatti, il 27,5%.

cosa significa questa percentuale? che ungiovane su quattro è disoccupato, con unamedia ancora più alta nel mezzogiorno, doverisulta disoccupato un giovane su tre.

E questi dati non prendono in considera-zione gli inoccupati, cioè coloro che per mo-tivi di studio o per altre ragioni non siattivano per la ricerca di un lavoro.

bisogna concludere, quindi, che l’Italianon è un paese per i giovani?

cosa dovrebbero fare il governo e le forzepolitiche per garantire maggiore occupa-zione agli under 35? cosa debbono fare i gio-vani per cambiare questa situazione?

certamente, il particolare periodo storicoche stiamo vivendo rende la situazione spi-nosa, ma l’alto tasso di disoccupazione gio-vanile non è dovuto solo alla congiunturaeconomica negativa.

mancano e sono mancate, sinora, delle

serie politiche strutturali a favore dei giovaninel settore dell’occupazione, dell’università,delle misure di sostegno.

Nei mesi scorsi in parlamento si è di-scusso di riforma dell’università, un ‘univer-sità che in Italia sembra ignorare, da decenni,le esigenze dei giovani e del mercato del la-voro. Infatti, da un sistema di formazione cheforniva agli studenti una preparazione suffi-ciente, ma che richiedeva, sovente, tempilunghi prima del conseguimento della lau-rea, si è passati ad un assetto in cui il titolo,in teoria conseguibile più velocemente, pre-suppone conoscenze non approfondite e, co-munque, quasi sempre inadeguate per poterintraprendere subito e con successo un per-corso professionale.

Inoltre, la globalizzazione e specializza-zione del mercato, in mancanza di adeguatiinvestimenti sulle intelligenze e sui talenti,ha determinato la fuga dei nostri giovani piùbrillanti, attratti da quei paesi in cui la ricercae l’eccellenza sono gratificate socialmente edeconomicamente.

Se non si porrà rimedio a questa situa-zione nel 2020 il 20% dei laureati italiani po-trebbe cercare lavoro all’estero (Regno Unito,Germania e Stati Uniti sono le mete più am-bite).

certo, la fuga dei cervelli potrebbe risul-tare un falso problema in un mondo globa-lizzato, in cui la circolazione delle idee e deitalenti è auspicabile, se non necessaria. maanche posto da questo diverso angolo vi-

Una nuova cultura del lavoro

Rosario De LucaPresidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

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suale, il problema non muta. Il nostro paese,se ambisce allo sviluppo economico e sociale,deve cercare di far rientrare chi esce ed at-trarre i giovani più brillanti, soprattutto neisettori di alta specializzazione, provenientidagli altri paesi.

Oggi, dopo le tormentate vicende chehanno vista protagonista la FIAT, si ricominciaa parlare di riforma del lavoro. Le forme con-trattuali introdotte dalla Riforma biagi sonostate, infatti, utilizzate da aziende, enti e pub-blica amministrazione in modo non ottimale,fornendo la dimostrazione di come un mer-cato rigido non sia in grado di divenireflessibile attraverso riforme normative e l’in-troduzione di nuove tipologie di contratto.

La flexsecurity danese, spesso consideratamodello esemplare da molti dei giuslavoristiitaliani, appare irrealizzabile nel nostro paesein assenza di adeguate politiche di welfare edi investimento.

È, però, certamente indispensabile usciredalla logica di una flessibilità che si riduce, si-stematicamente, a semplice ed umiliante pre-cariato. per un mercato del lavoro moderno laflessibilità delle forme contrattuali risulta in-dispensabile, soprattutto per favorire l’in-gresso dei giovani nel mercato.

ma altrettanto fondamentali appaionoquelle misure capaci quanto meno di favorirela conversione di questi contratti in rapporti atempo indeterminato. per rendere possibilequesto “miracolo” sarebbe, forse, sufficientela previsione di un abbassamento del costo dellavoro. Oggi per garantire 24mila euro l'annoin busta paga a un dipendente, le aziende ita-liane devono pagare il 211% in più. Agire sullaleva fiscale, prevedendo agevolazioni per leimprese che convertono i contratti atipici deilavoratori più giovani in contratti a tempo in-determinato, determinerebbe un sensibile ab-bassamento del tasso di disoccupazionegiovanile.

Naturalmente, in questa prospettiva sa-rebbe necessario anche varare politiche diwelfare per i giovani, a prescindere dalla tipo-logia di lavoro (autonomo o dipendente) e delcontratto posseduto. Da una recente ricercadell’Ufficio Studi della banca d’Italia risultache in Italia il welfare dei giovani è rappresen-tato dalla famiglia.

Infatti, soprattutto nei periodi di crisi eco-nomica ed occupazionale, la famiglia costitui-sce per i giovani l’unico ammortizzatoresociale in grado, almeno in parte, di far frontealla mancanza di lavoro. Le famiglie assu-mono, quindi, un ruolo vicario rispetto alle po-litiche pubbliche, sinora assenti o poco efficaci.

La maggior dipendenza dal nucleo fami-liare di origine limita, peraltro, la capacità deigiovani di perseguire progetti di vita auto-nomi e, quindi, anche la loro partecipazionealla vita economica e sociale del paese. Tra il2008 ed il 2009 il tasso di occupazione della po-polazione attiva (15-64 anni) è calato dell’1,2%e questa significativa flessione è imputabile aigiovani per lo 0,9% e ai capifamiglia per lo 0,3%.Questi dati evidenziano come i giovani, i figli,che rappresentano circa un quinto del totaledegli occupati, abbiano contribuito per quasi il70% alla flessione del complessivo tasso di oc-cupazione.

Data la situazione, i governi di oggi e quellidi domani dovranno prendere decisioni im-portanti per agevolare l’occupazione dei gio-vani. Ed appunto in questa prospettiva è statopresentato dal ministro della Gioventù, Ono-revole Giorgia meloni, il progetto “Diritto alfuturo” che tenta di affrontare alcuni deigrandi problemi dei giovani italiani : il lavoro,la casa, la formazione.

Investire significative risorse su misure ri-servate ai giovani potrebbe essere, quindi, lostrumento per dare un futuro non solo ai gio-vani, ma anche al nostro paese.

In questa stessa ottica, è divenuto altret-

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tanto indispensabile forgiare e diffondereuna nuova cultura del lavoro, inteso nellasua accezione più ampia: dipendente ed au-tonomo. I giovani devono saper avvalersianche di “vecchi” mestieri e confrontarsi, al-trettanto positivamente, con le nuove formedi occupazione, avendo il coraggio di inve-stire nel lavoro, vecchio e nuovo, le propriecapacità ed attitudini.

collegare il lavoro al mondo delle univer-

sità; avviare politiche di rilancio delle piccolee medie imprese, del lavoro autonomo e pro-fessionale; intervenire sulla previdenza, fon-dandola su una nuova alleanza tragenerazioni; offrire prospettive alle donne ingrado di permettere una reale conciliazionedelle loro incombenze di lavoro con le esi-genze della maternità e della famiglia.

A questi obiettivi deve essere improntatauna cultura del lavoro che intenda essere ve-ramente nuova: moderna e per i giovani. ■

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La crisi di una professione storicamenteintesa come missione di solidarietà viene de-nunciata, inconfutabilmente, dai dati allar-manti sul contenzioso giudiziario in materiadi responsabilità medica, suggerendo una ri-considerazione etica e giuridica della posi-zione del medico.

Secondo i dati forniti dall’ANIA (Associa-zione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici)il numero di casi di responsabilità civile dellestrutture sanitarie e dei medici professionistiha subito, infatti, un notevole incremento nelperiodo compreso tra il 1994 e il 2008, pas-sando da circa 9.500 a quasi 30.000.

Negli ultimi anni, poi, tale incrementosembra aver riguardato soprattutto le de-nunce nei confronti delle strutture sanitarie,che hanno avuto un incremento di quasi il10% rispetto al passato.

Dalla XIII edizione del Rapporto pIT (pro-getto Integrato di Tutela) Salute emerge, inparticolare, che nel periodo compreso tra il1996 e il 2009 sono state raccolte circa 228.000segnalazioni in tema di sanità, con unamedia di quasi 16.000 l’anno. Le doglianze siriferiscono non solo a presunti errori di dia-gnosi e terapia, ma anche alla difficoltà diavere informazioni tempestive e sufficientisulle prestazioni sanitarie, alle criticità ri-scontrate nell’accedere ai servizi sanitari (le

lunghe liste di attesa ad esempio), alla man-canza di attenzione alla persona del malatoda parte degli operatori sanitari. Il tentativodi limitare l’estensione del contenzioso giu-diziario per responsabilità medica si imponein un’ottica di tutela del paziente, interessato,soprattutto, ad avere un trattamento terapeu-

Dai principi originariall’evoluzione giurisprudenziale:la professione medica oggi

Giuseppe J. SciarroneDirigente Medico

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tico adeguato, prima ancora che del medico,sottoposto altrimenti a una pressione che nongarantisce serenità nella sua attività, e dellacollettività, chiamata a sostenere il notevoleincremento dei costi della sanità che la diffu-sione delle malpractices determina.

peraltro, la necessità di arginare il feno-meno e le sue negative ricadute sociali ed eco-nomiche, garantendo un’efficace protezioneassicurativa sia alle strutture che agli operatorisanitari e ai pazienti, è stata avvertita anche alivello legislativo, come testimoniano recentiiniziative di legge regionale.

Già dai tempi di Ippocrate la medicina si ècaratterizzata come materia scientifica, assu-mendo una rigorosa metodologia di gestionedelle problematiche fondata sulle risultanzesperimentali. Da qui lo sviluppo sempre piùstringente di una medicina basata sulle evi-denze (evidence based medicine), ovvero suprove derivate da una valida ricerca epidemio-logico-clinica, su cui fondare le azioni cliniche,sia in termini di diagnosi, che di prognosi, chedi terapia, nel tentativo di superare la sogget-tività delle prestazioni mediche.

ciò che è realmente mutato negli ultimianni, però, è soprattutto il rapporto medico-paziente, inizialmente di tipo paternalistico, ocomunque fondato sulla incondizionata fidu-cia del malato nell’operato del medico, oggiinvece di natura essenzialmente contrattuali-stica, incentrato non solo sul fine ultimo dellatutela della salute del paziente, ma anche sullasua libertà di scelta e autonomia decisionale.

Indubbiamente, lo sviluppo di una dialet-tica sempre più complessa e, talvolta, conflit-tuale, tra i protagonisti del processo curativo,che non si articola più esclusivamente se-condo i principi dell’alleanza terapeutica, mache trova il suo fondamento anche nella liberadeterminazione del paziente in ordine al trat-tamento sanitario cui sottoporsi, ha contri-buito all’estensione del contenzioso

giudiziario. Alla base di questo nuovo atteggiamento e

rapporto vi sono molteplici fattori, che tro-vano la propria comune radice in un ampiomutamento storico, culturale e sociale che re-clama l’esigenza di una più ampia tutela delsoggetto malato – nella sua dimensione onni-comprensiva – alla luce dei progressi scienti-fici e tecnologici e che, però, sembra nonconsiderare adeguatamente i limiti propridella scienza medica.

La trionfalistica rappresentazione media-tica dei progressi della medicina ha, infatti,mutato radicalmente l’atteggiamento dell’opi-nione pubblica (e forse anche quello della ma-gistratura) e generato, da un lato, unaingiustificata pretesa assoluta di guarigione oalmeno di netto miglioramento della salute,dall’altro una caduta vertiginosa della tolle-ranza al verificarsi di un evento avverso.

È pur vero che i rischi intrinseci all’attivitàmedica, sia essa di natura diagnostica o tera-peutica, debbono essere adeguatamente rap-presentati al paziente e dallo stessoconsapevolmente accettati, ma analogamenteandrebbe definita chiaramente anche l’areadella malpractice, escludendo da essa gli epi-sodi di complicanze non prevenibili con unadeguato comportamento medico.

Nel corso degli anni si è assistito, invece,ad una progressiva estensione degli addebitidi responsabilità in capo al medico, nell’otticadi offrire, giustamente, sempre maggiore pro-tezione al paziente, ma anche in assenza diqualsiasi serio tentativo di trovare un puntodi equilibrio che consenta al medico di svol-gere la sua attività con serenità.

Questo orientamento giurisprudenziale digrande ed eccessivo rigore nei confronti deimedici ha, inoltre, determinato la diffusione eil successo della cosiddetta medicina “difen-siva”, caratterizzata dall’adozione di scelte eprovvedimenti terapeutici dettati più dall’in-sa

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tenzione del medico di proteggersi dal ri-schio di un addebito di responsabilità che daquello di tutelare la salute del paziente, conconseguente moltiplicazione di trattamentidiagnostici e terapeutici, rinunce a tratta-menti utili e attenta selezione dei casi da af-frontare.

L’assenza di una specifica normativa cheregoli in modo analitico e chiaro, sotto il pro-filo della responsabilità, l’attività medicacontribuisce, evidentemente, alla diffusionedi questi atteggiamenti, generando incer-tezza negli operatori e un clima di diffidenzanei confronti dei medici e delle strutture sa-nitarie da parte del cittadino.

In mancanza di questa disciplina legisla-tiva specifica si è, peraltro, assistito nel corsodegli anni alla enunciazione giurispruden-ziale di una serie di principi di diritto chehanno fatto sorgere quella che il Fiori ha de-finito “Medicina dell’Obbedienza Giurispruden-ziale”, ossia una medicina praticata sulla basedi precetti di condotta di matrice giurispru-denziale, talvolta privi di reale fondamentoscientifico e sovente forieri di ulteriori incer-tezze ed ambiguità.

Naturalmente, se l’attività medica nonpuò essere ridotta negli angusti spazi delleprescrizioni giurisprudenziali, è pur vero chela valutazione dell’operato del medico nonpotrà essere effettuata prescindendo dallaconsiderazione delle Linee guida e dei pro-tocolli esistenti in materia che, tuttavia, nonpossono assumere sempre un valore impera-tivo ed essere adoperati quali esclusivocriterio di valutazione della condotta profes-sionale.

Le ampie variabili costituite dall’età, dalsesso del paziente, dalla sussistenza di statimorbosi preesistenti che abbiano concorso adeterminare il quadro patologico finale non

possono non essere tenute in debita conside-razione nel processo di ricostruzione storicaa posteriori richiesto in sede giudiziaria,posto che il tentativo di standardizzare lacondotta medica esigibile evidenziando leleges artis si scontra, inevitabilmente, conl’estrema complessità del processo di curadel paziente.

Senza contare, poi, che l’esercizio dell’at-tività medica risente anche delle condizionidi operatività garantite dalle strutture sani-tarie in cui il singolo medico si trova ad ope-rare, spesso inadeguate e carenti.

I limiti di natura strutturale, gestionale edeconomica sono, peraltro, chiaramente per-cepiti dal malato, che si accosta, quindi, aiservizi erogati dal sistema sanitario con no-tevole diffidenza. per ovviare a questa situa-zione si è dato impulso allo sviluppo di ungoverno del rischio clinico inteso come stru-mento di gestione del contenzioso, ma anchee soprattutto come procedura finalizzata adun miglioramento della qualità delle presta-zioni assistenziali fornite.

Sviluppare politiche di gestione del ri-schio clinico nelle aziende sanitarie, garan-tire un’adeguata formazione all’operatoresanitario completata da un continuo aggior-namento professionale, diffondere una cor-retta cultura medica presso l’opinionepubblica e tra gli operatori del diritto, inmodo da far percepire le grandi potenzialitàdella medicina del XXI secolo, ma anche isuoi limiti, sono le vie da percorrere per ar-monizzare le esigenze della medicina conquelle del diritto e per far si che la tuteladella salute torni ad essere assicurata, primache dalla magistratura, dalla professionalitàe dalla competenza del medico. ■

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L’arbitrato, istituto giuridico previstodall’art. 806 e ss. del codice di procedura civilecon riguardo a diritti c.d. disponibili, è ilrimedio che l’ordinamento riconosce comealternativo alla giustizia statale e che si attuamediante il deferimento delle controversie ad

uno o più soggetti privati (arbitri), terzi esuper partes, la cui deliberazione (lodo) è rico-nosciuta alla stessa stregua di una decisioneproveniente da un organo giurisdizionale.Superati oramai gli accesi ed interessantidibattiti del passato sulla sua natura di forma

L’arbitrato nel diritto dello sport

Enzo ProiettiAvvocato

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di giurisdizione speciale, idonea a sottrarre lasovranità agli organi di giustizia statale, ciò cheoggi rileva è che il lodo arbitrale assume forzadi giudicato tra le parti in conflitto, ricono-sciuto come tale anche dall’ordinamentostatale. Questo istituto giuridico è adottatoanche nel mondo dello sport per la risoluzionedelle controversie che insorgano tra soggettiappartenenti a questo specifico ambito: tesse-rati o società sportive affiliate a FederazioniSportive del coni o tra i medesimi e le stesseFederazioni.

Il coni, in particolare, espressione del comi-tato Olimpico Internazionale (cIO), è autoritàdi disciplina, regolazione e gestione delle atti-vità sportive nazionali cui è demandata l’orga-nizzazione e il potenziamento dello sportnazionale, promuovendo la massima diffu-sione della pratica sportiva. caratteristicadell’arbitrato sportivo è anche quella di essere“amministrato”, nel senso che lo stesso sisvolge secondo l’organizzazione e le regolepreviste dall’ Istituzione di riferimento chesovraintende, sul piano amministrativo, alprocedimento arbitrale; l’istituzione arbitrale,in sostanza, adotta un vero regolamento concui pianifica e controlla la procedura, con laformazione di elenchi di arbitri imparziali edindipendenti. Il frequente utilizzo dell’arbi-trato nel settore sportivo rientra, peraltro, nellatendenza del sistema, sempre più accentuata,ad individuare ed impiegare strumenti conci-liativi per ovviare alla grave patologia deitempi dei procedimenti ordinari. La speditezzavoluta dal legislatore per il procedimento arbi-trale, consente infatti una definizione dellecontroversie decisamente più rapida rispetto aquella altrimenti assicurata dalla giustiziastatale. Il che rappresenta una esigenza fonda-mentale del mondo dello sport, la cui dinami-cità richiede che gli eventuali contrasti, con iloro possibili riverberi sulle competizioninonché sugli assetti economici, tecnici e orga-

nizzativi delle parti interessate, non rimanganoin sospeso e trovino la loro definizione entrobrevissimo tempo, ovvero, laddove possibile,entro la stessa stagione sportiva in cui hannoavuto origine. Altro e non meno rilevantemotivo per sottrarsi alla giustizia statale,almeno in primo grado, deriva dalla opportu-nità di assicurare al settore sportivo la realiz-zazione di una sorta di giustizia interna odomestica, centralizzata e specializzata sullenorme federali, che garantisca più coerenza euniformità delle deliberazioni rispetto a quellaesterna la quale, già solo in base ai diversicriteri per determinare la competenza, porte-rebbe a dislocare i contenziosi dinanzi ai variGiudici del territorio nazionale, con ogniconseguente difficoltà anche in termini didiversità di giudicati resi sulla medesimamateria. per quanto le Federazioni abbianoprevisto l’intangibilità e l’obbligatorietà delledecisioni arbitrali, in virtù della “clausolacompromissoria” ovvero del vincolo di“giustizia sportiva”, al fine di blindare talegiustizia di settore, è oramai assunto pacificoche la conoscibilità del Giudice statale rientrain giuoco in caso di impugnativa del lodo, siaesso di tipo rituale che irrituale, ai sensi dellanormativa ordinaria.

più precisamente, il lodo rituale, caratteriz-zato da un procedimento formale e equipara-bile in ordine agli effetti alla sentenzadell’autorità giudiziaria (“giurisdizionalizza-zione” dell’arbitrato), è impugnabile dinanzialla corte di Appello competente territorial-mente per i motivi di nullità previsti dagli artt.828 e 829 del codice di procedura civile. Il lodoirrituale, avente natura negoziale, con arbitriche assumono il ruolo di bonari compositori intermini anche di equità, può essere impugnatoex art. 808 c.p.c. dinanzi al Giudice di 1° gradocon azione di annullamento, secondo le regoleordinarie per vizi ivi indicati e che inerisconoal mandato arbitrale. Sotto tali profili, in

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ambito sportivo, come anche in altri ambiti, ilprocedimento rituale appare più garantistarispetto a quello irrituale per l’obbligatorietàdel rispetto delle forme procedurali e dellenorme di diritto; sul piano della statuizione,invece, il lodo irrituale risulta più stabile inconseguenza della sua minor impugnabilitàlimitata ai vizi della formazione della volontàcontrattuale.

Le interpretazioni sulla natura del lodoarbitrale hanno aperto la via anche a untertium genus per il quale, in alcune ipotesi, ladecisione del giudice sportivo, soprattutto ditipo disciplinare, non sarebbe un vero eproprio lodo arbitrale, ma piuttosto un attoamministrativo, o meglio una attività ammi-nistrativa in forma arbitrale che, come tale,andrebbe soggetta per vizi di legittimità allavalutazione del Giudice amministrativo(consiglio di Stato n° 5025 del 9.7.2004). Nonè questa la sede per affrontare la questioneche riguarda scelte ermeneutiche opinabiliche andrebbero adeguatamente approfondite,è solo il caso di osservare, al di là del fatto chedi volta in volta è necessario valutare il conte-nuto della clausola compromissoria inseritanei vari regolamenti o statuti, che l’art. 12 ter,comma 3 dello Nuovo Statuto del cONI del2008 qualifica il lodo arbitrale sportivo comerituale: “Avverso il lodo, ove la controversia siarilevante per l’ordinamento giuridico dello Stato,è sempre ammesso, anche in deroga alle clausole digiustizia eventualmente contenute negli statutifederale, il ricorso per nullità ai sensi dell’art. 828del codice di procedura civile”.

Fulcro di tale sistema settoriale è la “clau-sola compromissoria” che, contrariamente aquanto si potrebbe ritenere in relazioneall’istituto arbitrale ed al pensiero di qualcheautore in dottrina, in ambito sportivo viene difatto imposta in via autoritaria e non rappre-senta propriamente l’espressione di liberà e diautodeterminazione della parti di negoziare

lo strumento alternativo di risoluzione dellacontroversia. In effetti, attraverso la prescri-zione di un arbitrato amministrato, le Federa-zioni mirano a realizzare quella giustiziainterna-domestica peculiare e controllata, alfine di evitare l’intervento della giustizia ordi-naria. prendendo come riferimento l’artico-lata normativa del giuoco calcio, emblemadello sport nazionale, significativo è l’art. 30,punti 1-3, dello Statuto della FederazioneItaliana Giuoco calcio che intitolato “Efficaciadei provvedimenti federali e clausolacompromissoria” così recita: 1. I tesserati, lesocietà affiliate e tutti i soggetti, organismi e lorocomponenti, che svolgono attività di carattereagonistico, tecnico, organizzativo, decisionale ocomunque rilevanti per l’ordinamento federale,hanno l’obbligo di osservare il presente Statuto eogni altra norma federale. 2. I soggetti di cui alcomma precedente, in ragione della loro apparte-nenza all’ordinamento settoriale sportivo o deivincoli assunti con la costituzione del rapportoassociativo, accettano la piena e definitiva efficaciadi qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC,dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materiecomunque riconducibili allo svolgimento dell’atti-vità federale nonché nelle relative vertenze dicarattere tecnico, disciplinare ed economico. 3. Lecontroversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tragli stessi e la FIGC, per le quali non siano previstio siano esauriti i gradi interni di giustizia federale,sono devolute, su istanza della parte interessata,unicamente alla cognizione arbitrale della Cameradi conciliazione e arbitrato per lo sport presso ilCONI (oggi sostituita dal Tribunale Nazionaledi Arbitrato per lo Sport - TNAS), secondoquanto disposto dai relativi regolamenti e dallenorme federali, e sono risolte in via definitiva daun lodo arbitrale pronunciato secondo diritto daun organo arbitrale nominato ai sensi dei regola-menti della Camera (...).

La giurisprudenza, anche molto recente, ègiunta a qualificare la clausola compromis-

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soria sportiva come vessatoria perché, oltre alfatto che la relativa sottoscrizione vieneimposta come condizione per entrare a farparte di un determinato organismo, contrav-viene alla regola generale, confermata anche intermini costituzionali, secondo la quale la defi-nizione delle controversie su diritti soggettivinon può esser imposta, ma deve essere conse-guente ad una libera e concorde scelta delleparti interessate alle quali spetta di definirel’oggetto del contendere e designare gli arbitricui affidare la decisione (TAR Lazio, sez. III ter,ord. n° 241 del 2010). è chiaro, dunque, che laclausola compromissoria, collocando l’arbi-trato come primo strumento di definizionedelle liti in ambito sportivo, richiami partico-lare attenzione da parte anche dei suoi desti-natari.

Indicativa ed interessante per le problema-tiche che investe è l’impugnativa, svoltadinanzi al Giudice amministrativo da partedell’Associazione Italiana Agenti calciatori eSocietà (A.I.A.c.S.), dell’art. 24 (“clausolacompromissoria”) dell’ultimo RegolamentoAgenti di calciatori F.I.G.c. del 2010 (c.U. n°100/A), che al punto 1 prevede che “ognicontroversia nascente dall’incarico di cui all’art. 16(mandato all’Agente) è decisa dal Tribunalenazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI(il “Tribunale”) ai sensi del nuovo regolamentopubblicato a cura del CONI.

La norma così posta è stata oggetto di variecritiche che l’Associazione ha inteso rivolgereanche all’organizzazione ed al procedimentodell’arbitrato cONI in quanto: - trasferivaall’esterno le controversie su diritti patrimo-niali disponibili tra agenti, calciatori e società,dalla Federcalcio al cONI, in contrasto anchecon il Regolamento Agenti della F.I.F.A.; -rimetteva “sic e simpliciter” l’intera materiaalle regole d’arbitrato dettate dal cONI cheimpediva che i contendenti potessero sceglierel’arbitro di parte, col venir meno delle garanzie

tipiche dell’istituto, mediante il vincolo di unalista chiusa e precompilata di arbitri che, aseconda dei casi, potevano rivestire sia il ruolodi presidente che di arbitro dell’una o dell’altraparte (categoria). È utile solo precisare, riman-dando ad altra sede l’analisi delle moltepliciquestioni che dovrebbero indurre a rivederel’assetto giuridico dell’arbitrato cONI, che larecente modifica dello Statuto cONI ha intro-dotto due nuovi organi di giustizia: l’Altacorte di Giustizia Sportiva (art. 12 bis) che haoperato le scelte e ha definito la lista chiusa erinnovabile di arbitri e che decide anche sulleistanze di ricusazione (invece di un Giudiceesterno); il Tribunale Nazionale di Arbitratodello Sport (TNAS) (art. 12 ter) che provvede acostituire il collegio Arbitrale e nominareanche il presidente. è recentissima la sentenzadel TAR Lazio (Sez. III, n° 33427dell’11.11.2010) che ha annullato, tra gli altri, lacitata clausola compromissoria di cui all’ art.24 del Regolamento Agenti di calciatoriF.I.G.c. richiamando i principi informatoridell’arbitrato (tra cui il diritto della parte dipoter designare il componente di sua fiducia)e definendo vessatorio l’obbligo di accettare leregole fissate da un organo (cONI) cui le partisono estranee: “Fondata invece è l’ultima censuradedotta nei confronti dell’art. 24 del regolamentonella parte in cui affida ad un organo del C.O.N.I.(il Tribunale di arbitrato per lo sport), dallo stessoC.O.N.I. istituito per la risoluzione in via arbitraledelle “controversie sportive”, il compito di definirecon un arbitrato le controversie “di carattere patri-moniale” fra l’agente e il suo cliente. Impone cioè dirinunciare alla giustizia ordinaria e di percorrere lavia dell’arbitrato secondo le regole fissate dalC.O.N.I. ad un soggetto (l’agente) del tutto estraneoad esso, non legato da alcun legame associativo allaF.I.G.C. di cui non è né affiliato né tesserato, senzaneppure consentirgli di designare fra i tre compo-nenti del collegio un arbitro di sua fiducia, ma impo-nendogli di accettare cha detti componenti siano

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attinti da un elenco di esperti scelti dallo stessoc.O.N.I., con ciò contravvenendo alla regola gene-rale, confermata anche dal giudice delle leggi,secondo la quale il ricorso all’arbitrato (…) nonpuò essere imposto in via autoritaria, ma deveessere conseguente ad una libera e concorde sceltadelle parti interessate, alle quali spetta anche defi-nire (…) l’oggetto del contendere, designareciascuna il componente di sua fiducia, proceder dicomune accordo alla scelta del terzo componenteal quale affidare il compito di presidente del collegio(…)”. collegata direttamente alla clausolacompromissoria, che in qualche misuracontiene, è il cosiddetto “vincolo di giustizia”,caposaldo dell’ordinamento sportivo, finaliz-zato ontologicamente a garantirne l’auto-nomia e, dunque, a proteggere l’arbitratosportivo. Esso si attua attraverso la prescri-zione ai soggetti appartenenti alle federazionidi avvalersi esclusivamente della giurisdi-zione interna, pena in difetto l’applicazione disanzioni disciplinari; tuttavia, proprio inquanto ci si rende conto della illegittimità diun vincolo assoluto, è prevista eccezional-mente, in casi limitati e specifici, la possibilitàdel rilascio di una preventiva autorizzazionea rivolgersi al Giudice statale. Interessante sulpunto è sempre il citato art. 30, punto 4, delloStatuto F.I.G.c.: “ Fatto salvo il diritto ad agireinnanzi ai competenti organi giurisdizionali delloStato per la nullità dei lodi arbitrali di cui alcomma precedente, il Consiglio Federale, per graviragioni di opportunità, può autorizzare il ricorsoalla giurisdizione statale in deroga al vincolo digiustizia. Ogni comportamento contrastante congli obblighi di cui al presente articolo, ovverocomunque volto a eludere il vincolo di giustiziacomporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinaristabilite dalle norme federali”. Evidente la“ratio” del “vincolo di giustizia” il quale, purmitigato dalla impugnabilità dei lodi e da unapossibile preventiva autorizzazione, non èl’enunciazione di un mero principio, ma la

disposizione chiara di proibire di ricorreredirettamente alla giustizia ordinaria, ondeevitare l’intervento sistematico di unagiustizia esterna e garantire l’autonomia delsistema interno. L’argomento, come si puòcomprendere, è particolarmente importanteperché si pone come spartiacque dei rapportitra ordinamento sportivo e quello statale, i cuiconfini non sono ben definiti e permangonoancora come “vexata quaestio”.

È interessante, dunque, esaminare schema-ticamente come la materia sia trattata dal legi-slatore e dalla giurisprudenza, evidenziandoche il principio di legalità di tale vincolo èstato più volte messo in discussione. Innanzi-tutto, cardini assoluti sono stabiliti dagli artt.24, 25 e 102 della costituzione: “Tutti possonoagire in giudizio per la tutela dei propri diritti edinteressi legittimi”... “Nessuno può essere distoltodal giudice naturale precostituito per legge”…”Lafunzione giurisdizionale è esercitata da magistratiordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordi-namento giudiziario”. Inoltre, già la Legge n°533 dell’11.8.1973, artt. 4 e 5 (“Disciplina dellecontroversie individuali di lavoro e dellecontroversie in materia di previdenza e diassistenza obbligatorie”) con riguardo allaclausola compromissoria ammette il ricorsoall’arbitrato per le controversie di lavoro solose previsto nei contratti collettivi di lavoro“purchè ciò avvenga, a pena di nullità, senzapregiudizio della facoltà delle parti di adire l’ auto-rità giudiziaria….è altresì nulla ove autorizzi gliarbitri a pronunciare secondo equità ovverodichiari il lodo non impugnabile. Significativa inordine a tale normativa è la sentenza n° 16044del 14.11.2002 della Suprema corte a SezioneUnite: “Sia l’arbitrato rituale che quello irrituale- i quali, nelle controversie di cui all’art. 409 cod.proc. civ., sono ammessi solo se previsti dacontratti collettivi o da norme di legge - costitui-scono strumento alternativo, e non esclusivo, perla risoluzione delle controversie di lavoro (artt. 4 e

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5 della legge 11 agosto 1973, n. 533)…; Di conte-nuto più ampio è la Legge n° 280 del 17.10.2003(di conversione del D.L 19.8.2003 n° 220),recante disposizioni urgenti in materia digiustizia sportiva la quale, nel riconoscereautonomia all’ordinamento sportivo suquestioni di carattere interno e collegate alleattività sportive, impone tuttavia dei limiti alpredetto ordinamento settoriale, allorquando irapporti all’interno dell’ordinamento sportivoassumano rilevanza per l’ordinamento gene-rale, quali situazioni giuridiche soggettive,attribuendo in tali casi prevalenza ed indero-gabilità alle norme dello Stato. La legge inparola opera un chiaro riparto di giurisdizione,differenziando specificatamente gli ambiti dicompetenza dell’ordinamento sportivo dallematerie, invece, rimesse alle leggi dello Statoche, quali norme di rango superiore, pongononel nulla eventuali regolamentazioni sportivenon conformi. In particolare, dopo aver indi-cato all’art. 2 (“autonomia dell’ordinamentosportivo”) le questioni “regolamentari, organiz-zative e statutarie” nonché “i comportamenti rile-vanti sul piano disciplinare” di tipo settoriali -all’art. 3 (norme sulla giurisdizione e disciplinatransitoria) espressamente dispone “…fermarestando la giurisdizione del giudice ordinario suirapporti patrimoniali tra società, associazioni eatleti, ogni altra controversia …è devoluta allagiurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.chiarificatrice e complementare a detta norma-tiva è, poi, la sentenza della corte di cassa-zione a Sezioni Unite n° 5775 del 23.3.2004 (cfr.anche cass. civ. n° 18919/2005) la quale, dopoaver svolto un’attenta ricognizione dellanormativa succedutasi sul tema, così recita: “Èsopravvenuto il decreto legge 19 agosto 2003 n. 220…. convertito nella legge 17 ottobre 2003, n. 280.Il decreto, prendendo implicitamente atto dellacomplessità organizzativa e strutturale dell’ordina-mento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo el’ordinamento dello Stato sono regolati in base al

principio di autonomia, “salvi i casi di rilevanza perl’ordinamento giuridico della Repubblica di situa-zioni giuridiche soggettive connesse con l’ordina-mento sportivo” (art. 1 primo comma). La “giustiziasportiva” si riferisce, così, alle ipotesi in cui sidiscute dell’applicazione delle regole sportive, quellastatale è chiamata, invece, a risolvere le controversieche presentano una rilevanza per l’ordinamentogenerale, concernendo la violazione di diritti sogget-tivi o interessi legittimi. Per individuare i casi incui si applicano le sole regole tecnico-sportive, conconseguente riserva agli organi della giustizia spor-tiva della risoluzione delle corrispondenti contro-versie, è stabilito che all’ordinamento sportivonazionale è riservata la disciplina delle questioniaventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazionedelle norme regolamentari, organizzative e statu-tarie di quell’ordinamento e delle sue articolazioni,al fine di garantire il corretto svolgimento delle atti-vità sportive; b) i comportamenti rilevanti sul pianodisciplinare e l’irrogazione ed applicazione dellesanzioni disciplinari sportive (art. 2, primo comma).(...) I casi di rilevanza per l’ordinamento dello Statodelle situazioni giuridiche soggettive, connesse conl’ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giuri-sdizione del giudice ordinario ed a quella esclusivadel giudice amministrativo. Il primo commadell’art. 3 del decreto legge, in particolare, devolveal giudice ordinario le controversie aventi ad oggettoi rapporti patrimoniali tra società, associazioni edatleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudiceamministrativo, invece, è devoluta “ogni altracontroversia avente ad oggetto atti del Comitatoolimpico nazionale italiano o dalle Federazioni spor-tive non riservata agli organi di giustizia dell’ordi-namento sportivo al sensi dell’art. 2” (...) Valeanche ricordare in argomento le “indicazioni”elaborate dalla Autorità Garante della concor-renza e del mercato nella propria deliberazionedel 24.5.2006 nell’ambito di “un’indagine cono-scitiva di natura generale nel settore calcisticoprofessionistico” ed, in particolare (punto n°124): (…) la legge 17 ottobre 2003 n° 280 ha trac-

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ciato i confini tra l’ordinamento sportivo e quellostatuale, codificando i principi elaborati negli annida costante giurisprudenza, precisando, in partico-lare, che il principio dell’autonomia dell’ordina-mento sportivo nei confronti di quello stataleimplica la riserva in via esclusiva al settore sportivodell’amministrazione delle sole questioni tecnichevolta a “garantire il corretto svolgimento delle atti-vità sportive” e riconoscendo, pertanto, la legitti-mità del ricorso alla giurisdizione ordinaria odamministrativa in tutte le ipotesi che coinvolganoanche diritti di natura patrimoniale ed interessi rile-vanti per l’ordinamento statale (…). con riferi-mento a tale specifica tematica, è giustoricordare il lodo della camera di conciliazionee Arbitrato per lo Sport del c.O.N.I. (oggiTNAS) del 5 marzo 2009 (Ettore Setten eTreviso F.b.c. 1993 Srl contro F.I.G.c.) che,chiamato a decidere quale giudice di gradosuperiore sulla impugnativa della sanzioneinflitta dalla corte di Giustizia Federale(F.I.G.c.), affronta la questione dei limiti del“vincolo di giustizia” di cui all’art. 30 delloStatuto F.I.G.c.. In particolare, per quanto quiinteressa, la decisione si occupa di verificare sel’obbligo del “vincolo di giustizia” debbacomunque valere anche in presenza di unreato, sia pure commesso nell’ambito di unaattività sportiva (il caso, relativo a soggettiappartenenti all’ambito federale, riguarda unadenuncia-querela per appropriazione indebitapresentata direttamente al Giudice dello Stato,senza chiedere la preventiva autorizzazionealla Federazione). coniugando i principi delleleggi e della giurisprudenza sopra riportati inordine al rapporto tra ordinamento sportivo eordinamento giuridico statale, partendo dallaconsiderazione che la materia penale è sottrattaalla cognizione degli organi federali, la deci-sione in esame conclude per la non operativitàdel “vincolo di giustizia” in presenza di fatti-specie penali perché, oltre a rappresentare nel

caso detrimento delle garanzie costituzionali(artt. 24 e 25 costituzione), deve cedere il passoalla competenza esclusiva e superiore delGiudice ordinario.

Il lodo, inoltre, riconoscendo con buonadisamina la non assoggettabilità dell’eserciziodell’azione penale all’autorizzazione delconsiglio Federale, viene definitivamente aporre nel nulla anche la capziosa ed inutiledistinzione tra reato perseguibile a querela diparte e d’ufficio, sostenuta avanti agli organidisciplinari della F.I.G.c. per far rientrare ilvincolo in questione almeno nei casi di quereladi parte, intesa come causa discrezionaledell’avvio dell’azione giudiziaria e, quindi,legata alla volontà del denunciante (commis-sione Disciplinare Nazionale 2008: massimocellino - cagliari calcio S.p.a. contro procuraFederale): (…) La materia penale, infatti, è da rite-nersi certamente sottratta alla giurisdizione dome-stica del diritto sportivo, che è priva di “potestasiudicandi”; e pertanto non ha nessun strumentocoercitivo per offrire e garantire una tutela (…)L’art. 30 comma 2°, dello Statuto Figc, che disci-plina il “vincolo di giustizia”, mantiene intattatutta la sua portata e validità nell’ambito dell’auto-nomia dell’ordinamento sportivo, riconosciuto efavorito dalla Repubblica, ma si infrange laddoveimpatta con la materia penale, e quindi, con reatiche, a prescindere dalla loro azionabilità per quereladi parte o di ufficio, impongono l’intervento esclu-sivo del giudice ordinario”.

Non potendosi in questa sede approfondireulteriormente le problematiche esposte e leinnumerevoli questioni ad esse collegate, chemeriterebbero altre e più articolate considera-zioni, può notarsi, conclusivamente, comel’istituto arbitrale in ambito sportivo sia modi-ficato in modo diverso e, certamente, menorapido, da quelle trasformazioni che pure lostanno interessando sempre di più in altriambiti. ■

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È giusto ritenere che chi pratica lo sport, aqualsiasi livello, debba perseguire anche esoprattutto l’obiettivo di una crescita per-sonale completa. Se l’interesse principalevenisse, infatti, individuato solo nel risul-tato finale dell’attività agonistica, non sipotrebbe parlare in senso proprio di sport,né, tantomeno, di etica.Al contrario, occorre aver riguardo allapersona umana, riservando alla stessa lacentralità che merita. Deve essere la per-sona il minimo comune denominatore del-l’agire quotidiano e, quindi, anche dellosport.Solo così, realizzando questo salto di qua-lità, è possibile approcciare alla problema-tica nei giusti termini. Va da sé che laconsapevolezza di non essere in grado direalizzare un risultato agonistico dovrebbeessere lo stimolo per una maggiore curadella preparazione e non per la ricerca diun modo per raggiungere la vittoria a tuttii costi.certo, sono ormai lontani i tempi del ba-rone De coubertin, quando l’unico obiet-tivo dell’atleta era quello di partecipare.Oggi tutto è business, affare, mercato e,quindi, denaro. Tanto denaro. Sicuramentetroppo. Da arbitro internazionale di serieA non avrei mai potuto prendere, in pochisecondi, decisioni che mutavano il destinodi uomini, società sportive ed eventi senon fossi stato sorretto da una forte conce-zione etica.

Forse, bisognerebbe anche chiedersi se esi-sta una sola etica sportiva. Indubbiamente,sono molti coloro che tentano di elabo-rarne una personale, finalizzata solamentealle proprie e contingenti convenienze.proprio per questa ragione è ancora piùimportante fare riferimento alla persona eai suoi valori.Si discute spesso di diritti fondamentalidella persona e fra, questi, non può non es-serci anche il diritto allo sport, ad unosport che sia reale fondamento della nostraumanità e dei nostri valori. per questo motivo, sono sicuro che daqualche parte, nel mondo, in un campettodi periferia, esiste ancora un modo piena-mente etico di vivere lo sport. ■

L’etica dello sport

Stefano FarinaPresidente della Commissione Arbitri Nazionali di Lega Pro

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1. Ricognizione storica.

Le modifiche operate sull’impianto origi-nario dell’attuale codificazione del processocivile, risalente al 1940, hanno sempre oscil-lato tra due estremi, senza mai trovare il giu-sto equilibrio.

I due estremi sono, da una parte, quellodell’inasprimento delle preclusioni, al fine diimporre al processo tempi più rapidi e con-centrati; dall’altra, quello di ampliare le ga-ranzie di tutela lasciando un tempo maggiorealle parti per esercitare il loro diritto di difesa(1).

Questa perenne oscillazione del pendolodella riforma ha prodotto nel giudizio modi-fiche in una direzione o nell’altra ora, ina-sprendo i termini processuali al fine di unacelere giustizia ovvero, in altri momenti,estendendo la facoltà di difesa delle parti allaricerca di una verità processuale più giusta.

Tutte le novellazioni apportate alla norma-tiva processuale, dal 1950 ad oggi, appaionoinfluenzate dall’una o dall’altra esigenza ed,assai raramente, è stato possibile operare lasintesi tra queste due opposte tendenze.

Tale stato di cose ha prodotto un tessuto diriforme non sempre coerente e funzionale de-terminando, in più di una occasione, “fughe”dal processo alla ricerca di soluzioni fanta-

siose (la settecentizzazione), alternative (con-ciliazione o arbitrato) o, indulgendo versoscelte di scarsa (o inesistente) funzionalità,quali quelle della cameral-sommarizzazionedei procedimenti.

Le oscillazioni delle riforme hanno, divolta in volta, dilatato i tempi del giudizio infavore di un maggiore approfondimento diun substrato probatorio, come è avvenuto nel1950 (2) e nel 1995 (3), oppure, al contrario,hanno inasprito le preclusioni, in capo alleparti, contraendo i tempi del giudizio, comeè avvenuto nel 1973 (4), nel 1990 (6) e nel 2005(6).

Le due linee di pensiero, apparentementeinconciliabili, hanno dato vita, nella primaipotesi, ad un processo i cui strumenti sonostati lasciati ad una più ampia disponibilitàdelle parti, con la conseguenza di un allun-gamento dei tempi entro i quali la decisionedeve essere resa, poiché il più ampio termineall’interno del processo, nel quale possonoessere addotti mezzi di prova, determinauna più lunga gestazione della causa.mentre, seguendo l’altra via, quella dell’in-troduzione di preclusioni più rigide, se dauna parte si comprimono i tempi del giudi-zio, dall’altra si rischia di giungere ad unadecisione approssimativa, a causa della limi-tazione del diritto alla difesa.

Il diritto alla difesa nel procedimento sommariodi cognizione

Piero SandulliProfessore di Procedura Civile

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Invero, il legislatore nell’approcciare le ri-forme al processo civile, tutte inserite su diun ordito ormai divenuto un “mosaico di so-pravvivenze” (7), come è stato autorevol-mente ricordato, e quindi non più idoneo adaccogliere inserimenti parziali, non ha maitentato la sintesi tra le due esigenze dellagiustizia (quella della celerità e quella dellacertezza del risultato processuale) giun-gendo, quindi, a soluzioni legate al “presto”a scapito del bene, oppure tendenti al “bene”in danno del tempo del processo.

2. La riforma del 2009. Il procedimento

sommario.

Dopo aver tentato, senza un effettivo suc-cesso pratico, la via delle ordinanze condan-natorie (1990-1995) e quella di conferireautonomia a talune misure cautelari (2003-2005), allentando il rapporto di strumenta-bilità sussistente tra esse ed il processo dicognizione nel merito, il legislatore del 2009,sulla scorta di un esperimento già realizzatonel processo societario (art. 19 del decretolegislativo n. 5 del 2003, ampiamente rive-duto ed integrato dal successivo decretolegislativo n. 37 del 6 febbraio 2004) (8), haritenuto di dover codificare il ricorso allasommarizzazione dei giudizi, dando vita alprocedimento sommario di cognizione,inserito negli articoli 702 bis, 702 ter e 702quater del codice di procedura civile (9).

poiché detta procedura può trovare ap-plicazione, per espressa previsione del legi-slatore, in tutti i giudizi di prime cure che sisvolgano innanzi ad un giudice unico, conla sola esclusione, non palese, ma desumi-bile dal contenuto della normativa, del ritodel lavoro (10), ed è finalizzata al giudicato,appare discutibile la stessa collocazione didetto procedimento nel quarto libro del

codice di rito; in detto libro infatti, hannostoricamente trovato posto tutte le normenon riconducibili al processo di cognizioneo al procedimento esecutivo, che, sin dallaentrata in vigore del codice di rito, nel 1942,è stato definito, da un autorevole maestro(11), come un grande magazzino nel qualerinvenire gli istituti processuali residuali in-seriti alla rinfusa.

Invero, poiché il procedimento sommariodi cognizione dà vita ad un rito alternativoa quello ordinario (applicabile a molte ipo-tesi di tutela dei diritti soggettivi), finaliz-zato, come l’altro, a ricevere la stabilità delgiudicato, sarebbe stata più logica una suacollocazione al termine del secondo librorelativo al giudizio di cognizione, dopo ilrito del lavoro (anche esso di natura sempli-ficata), al quale per molti versi si richiama.

3. Il procedimento previsto dall’art. 19 del

D. Lg. N. 5/2003.

Si è già ricordato, in precedenza, chel’antecedente del procedimento sommario dicognizione è quello regolato nel terzo capodel secondo titolo del rito societario, dettatocon il decreto legislativo del 17 gennaio2003, n. 5 ed abrogato, dopo pochi mesi dieffettivo funzionamento, dalla legge n. 69del 18 giugno 2009.

Non è questa la sede per indugiare sullecause del fallimento del processo societario(rectius: commerciale), salutato al momentodel suo avvento, da una parte delladottrina (12), come il processo del futuro; è,invece, necessario esaminare i meccanismidi funzionamento del procedimento previ-sto dall’articolo 19 del decreto legislativon. 5 del 2003 (13).

Nelle intenzioni del legislatore delegatodel 2003 esso si pone, come è facile leggere Te

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nel primo comma dell’articolo 19, in alterna-tiva al rito societario, devoluto alla cogni-zione del tribunale in composizionecollegiale, per “le controversie di cui all’articolo1 (del decreto legislativo n. 5 del 2003, comemodificato dal decreto legislativo n. 37 del 6febbraio 2004) che abbiano ad oggetto il paga-mento di una somma di denaro ovvero la consegnadi una cosa mobile determinata, (le quali) possonoessere proposte in alternativa alla forma di cui agliarticoli 2 e seguenti, con ricorso da depositarsinella cancelleria del tribunale competente, concomposizione monocratica”.

L’alternativa è, dunque, possibile per con-troversie di facile soluzione, per le quali nonappare particolarmente complessa l’istru-zione, che possono essere decise in virtù diordinanze, “impugnabili” innanzi alla corted’Appello.

Le ordinanze con cui si decideva il giudi-zio, però, non erano suscettibili, in alcunmodo, di passare in cosa giudicata, in quanto,espressamente, il quinto comma dell’articolo19 chiariva che “all’ordinanza non impugnatanon conseguono gli effetti di cui all’articolo 2909del codice civile”.

Questi provvedimenti, di natura somma-ria, erano stati dettati per particolari materie(di apparente facile soluzione), che potesseroessere decise sulla base di una cognizionesommaria (altrimenti era previsto il rinvio algiudice collegiale che applicando il rito ordi-nario, comma 3 dell’art. 19, decideva aseguito di un accertamento pieno); a tali ordi-nanze veniva assegnata esclusivamente fun-zione esecutiva ed esse costituivano, inoltre,“titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale” (art.19, comma 2 bis) (14).

In conclusione, le pronunce rese a seguitodi un procedimento di cognizione sommarionel rito societario, pur operando in via alter-nativa rispetto alle decisioni del tribunalecollegiale in materia commerciale, avevano

ad oggetto specifiche e ben determinate ma-terie e non erano, in alcun modo, idonee aformare giudicato.

4. Il procedimento sommario di cognizione

dettato dalla legge n. 69/2009.

Il legislatore del 2009 nel teorizzare ilnuovo procedimento sommario di cognizionesi è, certamente, ispirato al dettato dell’ormaiabrogato articolo 19 del rito societario, ma haapportato ad esso rilevanti modifiche. Invero,il terzo capo bis del primo titolo “procedi-menti sommari”, del quarto libro del codicedi rito civile, plasma gli articoli 702 bis, 702ter, 702 quater, relativi al nuovo procedimentosommario di cognizione, regolando (nell’ar-ticolo 702 bis) la forma della domanda e la co-stituzione delle parti, il procedimento (art.702 ter) e l’appello (art. 702 quater) (15).

Già dall’analisi della materia, che puòessere oggetto di tutela in base al procedi-mento sommario di cognizione, sono rileva-bili notevoli differenze rispetto all’omonimoprocedimento previsto per il rito commer-ciale; nell’ipotesi della legge n. 69 del 2009tutte le “cause in cui il tribunale giudica in com-posizione monocratica” possono essere oggetto,in via alternativa rispetto al processo dicognizione ordinario, di ricorso al procedi-mento sommario di cognizione con sceltadelegata, dal legislatore, alla sola parte attriceche, in luogo di proporre un atto di citazione,può introdurre la causa con un ricorso “sotto-scritto a norma dell’art. 125” che deve nel suoseno “contenere le indicazioni di cui ai numeri 1,2, 3, 4, 5 e 6 e l’avvertimento di cui al numero 7del terzo comma dell’art. 163”.

Quindi, possono essere trattate con il pro-cedimento sommario tutte le cause di primogrado in materia civile, affidate alla cogni-zione del giudice monocratico, ad esclusioneTe

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di quelle di lavoro subordinato, alle quali siè già, in precedenza, fatto cenno (16).

Inoltre, come già ricordato la scelta delrito, per tale ampia casistica, è affidata, dal-l’art. 702 bis c.p.c., al solo soggetto attore,mentre al convenuto non è dato alcun poteredi contestazione di tale opzione.

L’unico potere di restituzione del pro-cesso al rito ordinario di cognizione è asse-gnato, dal terzo comma dell’articolo 702 terc.p.c., al giudice adito se lo stesso “ritiene chele difese svolte delle parti richiedono un’istru-zione non sommaria”; dunque, un potereampiamente discrezionale non suscettibiledi alcun controllo ad opera del conve-nuto, neppure nel giudizio di appello, nonessendo previsto, dall’art. 702 quater, alcunpotere di remissione al primo giudice adopera del collegio di appello, ed, inoltre, nonessendo stato ipotizzato, neppure implicita-mente, un procedimento analogo a quelloprevisto, per il rito del lavoro, dall’art. 439c.p.c. (17).

pertanto, in assenza di una valutazionedel giudice adito il giudizio rimane vinco-lato al rito sommario il quale viene decisocon ordinanza (emessa senza alcuna forma-lità, se non quelle essenziali al contradditto-rio) che “produce gli effetti di cui all’articolo2909 del codice civile se non è appellata entrotrenta giorni dalla sua comunicazione o notifica-zione” (art. 702 quater, comma 1, c.p.c).

Un’ordinanza, dunque, suscettibile dipassaggio in cosa giudicata sostanziale. Intal modo si marca un’altra rilevante diffe-renza rispetto al procedimento sommarioprevisto per il rito societario (18).

Sempre in tema di diritto alla difesa delconvenuto, appare discutibile la possibilitàconcessa, dal secondo e dal quarto commadell’art. 702 ter, al giudice di dichiarareinammissibile ai fini del rito sommario, ladomanda riconvenzionale (comma 2) o di

separarla dalla principale inviando, essasola, ad un giudizio retto del rito ordinariodi cognizione con tempi e modalità diverse;tali circostanze, infatti non possono nonsuscitare notevoli perplessità, anche dinatura costituzionale, limitando notevol-mente il diritto di difesa del convenuto.

5. L’appello nel procedimento sommario.

Il tentativo di restituzione di un giustoequilibrio processuale, tra le parti, nel ritosommario, passa attraverso la formulazionedell’articolo 702 quater c.p.c. che teorizza ungiudizio di appello con caratteristichediverse, sul piano probatorio, da quello dellaclassica revisio prioris istantiae. Infatti, la pos-sibilità per i giudici del gravame di ammet-tere nuovi mezzi di prova, se ritenuti“rilevanti ai fini della decisione”, introduce unsistema diverso da quello previsto nel giu-dizio ordinario dall’art. 345 c.p.c. (19), inquanto nel procedimento in esame si parladi rilevanza delle prove da ammettersi nelgiudizio di appello, mentre nel rito ordinariosono ammissibili esclusivamente i mezzi diprova ritenuti dal collegio “indispensabili”(20).

La costruzione del legislatore del 2009tende, dunque, a spostare la pienezza delcontraddittorio nel giudizio d’appello (21),lasciando ad una cognizione sommaria,anche sul piano delle prove addotte, il giu-dizio di primo grado.

Detta costruzione, però, ha il suo puntodebole nella volontà di assegnare l’efficaciadi giudicato al provvedimento reso, secondoil rito sommario, dal giudice di prime cure,tutte le volte in cui detta pronuncia (rectius:ordinanza) non venga impugnata.

Tale ipotesi, anche se può avere dellesimilitudini con il procedimento monitorio, Te

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non è affatto assimilabile ad esso.Invero, anche il procedimento di ingiun-

zione, previsto dell’art. 633 c.p.c., determinail passaggio in giudicato del decreto (emessoinaudita altera parte) non opposto, ma le con-dizioni per l’emanazione del provvedimentomonitorio sono certamente diverse, poiché ildecreto ingiuntivo può essere emesso esclu-sivamente per l’esecuzione di un facere speci-fico o se il credito vantato è basato su di unaprova scritta, se esso riguarda onorari di av-vocati, cancellieri o ufficiali giudiziari o se,infine, detto credito è relativo ad onorari pro-fessionali per professioni diverse da quelledi avvocato; si tratta, dunque, di ipotesi cir-coscritte ed ampiamente comprovate tali darendere, in talune circostanze, addiritturainutile l’opposizione prevista dall’art. 645c.p.c. (22).

Del resto l’opposizione, quando (e se) pro-posta, restituisce al debitore la pienezza dellatutela anche alla luce della inversione del-l’onere della prova che chiama, comunque,il creditore a provare le ragioni della suapretesa (23).

ben diversa è la situazione che si realizza aseguito dell’emanazione di un’ordinanzaemessa al termine di un procedimento somma-rio di cognizione, in un rito che comprimenotevolmente il diritto alla difesa al quale nonsarà di certo il gravame, previsto dall’art. 702quater c.p.c., a restituire la pienezza della tutela,che appare, comunque, limitata dal potere discrezionale del collegio di ammettere, o no,nuove prove in quanto ritenute, a suo insinda-cabile giudizio, rilevanti (24).

6. Il concetto di sommarietà

Fatta questa necessaria premessa, relativaalla struttura del procedimento sommario dicognizione, appare ora necessario fermare

l’attenzione sul concetto di sommarietà e sucome lo stesso sia stato utilizzato dal legisla-tore del 2009.

Nel testo dell’art. 702 ter c.p.c. viene chia-rito che “il giudice, sentite le parti, omessa ogniformalità non essenziale al contraddittorio, pro-cede nel modo più opportuno agli atti di istruzionerilevanti in relazione all’oggetto del provvedi-mento richiesto e provvede con ordinanza all’ac-coglimento o al rigetto delle domande”; viene, intal modo, replicata la formula già utilizzatanel 1990, dal testo dell’art. 669 sexies, nelcontesto del procedimento cautelare uni-forme, previsto dal legislatore per regolamen-tare, in un unico modo, il procedimentorelativo alla concessione delle misure caute-lari ed evitare, il rischio di una eccessiva“creatività” dei giudici nell’ambito del proce-dimento relativo alla concessione dellemisure cautelari.

Il procedimento cautelare regolato dagliarticoli 669 bis / 669 quaterdecies del codice dirito civile non è, però, finalizzato al giudicato,anche se esso è, talvolta in condizione dideterminare l’insorgere di un effetto assaisimile al giudicato stesso, a causa del“fenomeno” definito dalla “strumentalitàallentata” (25); tuttavia tale effetto è, comun-que, lasciato alla piena disponibilità di en-trambe le parti, che possono (art. 669-octies,sesto comma, c.p.c.), proponendo il giudiziodi merito, trasformare il provvedimentoemesso, in virtù di un accertamento somma-rio, in un giudizio con un accertamento pieno.

Dunque, il procedimento cautelare, antecausam, pur potendo ricevere stabilità, in as-senza di un’attività delle parti, può esseretrasformato, comunque, in un giudizio conaccertamento pieno e non sommario, pertantola stabilità derivante dalla emanazione di unamisura cautelare integra soltanto un effettoche deriva dalla convergente volontà delleparti, che si adeguano alle risultanze delTe

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provvedimento cautelare, ma che ad essenon sono costrette (come, invece, accade nelgiudizio realizzato a seguito di un procedi-mento sommario di cognizione) potendo ledue parti promuovere un giudizio a cogni-zione piena.

In definitiva, la sommarietà è il prodottodi un giudizio attento esclusivamente allenorme essenziali “ai fini del contraddittorio”.

A questo punto, prima di proseguireulteriormente l’indagine, è necessario com-prendere, appieno, cosa la sommarietà com-porti in merito all’accertamento, rispetto aciò che accade in un giudizio a cognizionepiena.

Invero, se la sommarietà implica un giu-dizio approssimativo e privo di garanzie ditotale veridicità non si comprende come daun giudizio improntato a tale criterio possaderivare un giudicato che comporta stabilitàe definitività dell’accertamento, il quale puòessere rimosso esclusivamente da una impu-gnazione straordinaria; se, invece, la som-marietà è semplicemente la attività dibonifica del processo dalle sovrastruttureformali, che in relazione ad esso si sono, neltempo, formate (ma che non corrispondonoa garanzie costituzionali del giudizio) ènecessario chiedersi perché un simile sforzodi bonifica non sia stato compiuto dal legi-slatore, in riferimento al processo di cogni-zione, attraverso una riforma organica delprocesso civile, che deve divenire giudizioeffettivamente attento alle sole garanziecostituzionali della lite ed alla funzionalitàdell’ordinamento giudiziario.

Al riguardo va ricordato che tra le garan-zie che la costituzione offre alle parti delgiudizio vi è, senza alcun dubbio, quella deldiritto alla difesa (art. 24, comma 2), che sirealizza anche attraverso la opportunità diproporre, in giudizio, una domanda ricon-venzionale.

Nel procedimento sommario di cogni-zione detta garanzia non è, però, data al con-venuto il quale non solo patisce la scelta delrito, senza alcun potere di opporsi ad essa,ma in tale rito “sommario” non ha neppureil potere di operare la stessa opzione difen-siva che potrebbe far valere nel processoordinario, con evidente nocumento del suodiritto alla difesa al quale consegue anche laformazione di un giudicato realizzato nonnel rispetto del principio di eguaglianza trale parti (art. 3 cost.).

Analogamente, in riferimento alla garan-zia costituzionale della imparzialità (art. 111cost.), l’aver sottratto alle parti, in partico-lare al convenuto, la garanzia dell’assun-zione della prova, nel rispetto del dettatodell’art. 183 c.p.c., appare lesivo della equi-distanza delle parti e della comune fruizionedelle prove.

Tali profili non possono certamente con-siderarsi in linea con le garanzie che la co-stituzione italiana offre alle parti nelprocesso civile (26).

7. Conclusioni

Non è, dunque, in base a fantasiose ediscutibili operazioni processuali, di incertacostituzionalità, che può trovare soluzionel’annoso problema della eccessiva durata deigiudizi civili. è giunto il tempo di una nuovaed organica scrittura del codice di ritocivile (27), attenta alle esigenze della difesae celere nel formare i suoi giudizi, nonché diuna rivisitazione delle norme sull’ordina-mento giudiziario, che operino una nuova epiù funzionale distribuzione degli ufficigiudiziari sul territorio (28).

Sarà anche necessario interrogarsi (nel-l’espletamento della delega contenuta nel-l’art. 56 della legge 69 del 2009) sulla Te

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omogeneizzazione dei riti, da tempo inutil-mente moltiplicati e sulla semplificazionedegli Istituti che regolano la competenza.

Infine, unitamente a un potenziamentodel ruolo dei giudici è necessario recuperarela funzione ormai scomparsa dei cancellierie degli altri ausiliari del giudice che debbonoessere presenti in udienza per adiuvare ilgiudice e per restituire al giudizio quellanecessaria “sacralità” delle forme, che nelprocesso, è anche sostanza.

Infine, in tema di impugnazioni, occorre va-lutare la conservazione del giudizio di appelloe verificare la funzionalità del “filtro” al giudi-zio di cassazione nella sua attuale formula-zione, quella dell’art. 360 bis c.p.c. ■

Note

(1) Vedi in proposito la ricostruzione operata da S.menchini (Il rito semplificato a cognizione sommariaper le controversie semplici introdotto con la riformadel 2009, in Il giusto processo civile, 2009, p. 1101).(2) L. 14 luglio 1990, n. 581.(3) D.L. 21 giugno 1995, n. 238; poi L. 20 dicembre1995, n. 534.(4) L. 11 agosto 1973, n. 533.(5) L. 26 novembre 1990, n. 353.(6) L. 14 maggio 2005, n. 80.(7) La definizione è stata data da N. picardi, nella in-troduzione alla V edizione del Commentario al codice diprocedura civile (milano 2010) da lui curato.(8) Vedi, sul tema, A. Ronco, Commento all’art. 19 del D.Lg. 5 del 2003, in Il nuovo processo societario, diretto daS. chiarloni, bologna 2004, p. 525.(9) Deve essere ricordato che una sorta di processosommario era già presente nel codice di rito civile del1865 ed esso era regolato dagli articoli 389 e seguenti,ma tale rito, come rilevato da G. basilico (Il procedi-mento sommario di cognizione, in Il giusto processo ci-vile, 2010, p. 737) “non appariva genericamentealternativo al processo ordinario, essendo riservatoalle cause indicate nei numeri 1-3 dell’art. 389”.(10) Vedi, sul punto, la mia analisi, in Il processo del la-voro, milano 2010, p. 462.(11) Vedi, al riguardo, V. Andrioli, Lezioni di diritto pro-

cessuale civile, vol. I, Napoli 1973, p. 6.(12) cfr. G. Arieta-F. De Santis, Diritto processuale socie-tario, padova 2004, p. 3.(13) cfr., al riguardo, A. Ronco, in Il nuovo procedimentosocietario, diretto da S. chiarloni, bologna 2004, p. 532.(14) Vedi, A. Ronco, in Il nuovo processo societario, cit.,p. 557.(15) cfr. G. basilico, Il procedimento sommario di cogni-zione, in Il giusto processo civile, 2010, p. 751.(16) Il procedimento sommario di cognizione, per lasua natura non cautelare, non può essere, però, sot-tratto al filtro alla azione, costituito dalla condizionedi proseguibilità del processo, rappresentata dal pro-cedimento di conciliazione pre-processuale, che, perle materie indicate nell’art. 5 del D. Lg del 4 marzo2010, n. 28, a partire dal 20 marzo 2011 diventerà ob-bligatorio.(17) Vedi, al riguardo, A.m. Socci, in Il processo del la-voro, di p. Sandulli-A.m. Socci, milano 2010, p. 411.(18) cfr. A. Saletti, Il procedimento sommario nelle con-troversie societarie, in Riv. dir. proc. 2009, p. 482.(19) Vedi, al riguardo, l’ampia analisi di G. basilico, Ilprocedimento sommario di cognizione, in Il giusto processocivile, 2010, p. 765.(20) Sul punto cfr. R. Giordano, Il procedimento somma-rio di cognizione, in Il processo civile competitivo, a curadi A. Didone, Torino 2010, p. 747.(21) Vedi, al riguardo, A. carratta, in c. mandrioli-A.carratta, Come cambia il processo civile, Torino 2009, p.140.(22) Vedi in dottrina V. Andrioli Commento al Codice diprocedura civile, vol. IV, Napoli 1964, p. 1; A. proto pi-sani Il procedimento di ingiunzione, in Riv. trim. dir. proc.civ., 1987, p. 2893.(23) Vedi, al riguardo, conte, La prova nel procedimentoper decreto ingiuntivo e la istanza di ingiunzione ex art.186 ter, in Riv. dir. proc., 1999, p. 468.(24) cfr. G. basilico, Il procedimento sommario di cogni-zione,in Il giusto processo civile, 2010, p. 766.(25) La definizione è di A. proto pisani, La nuova disci-plina del processo societario, in Foro It., 2003, V, c. 14.(26) Vedi, al riguardo, R. Giordano, Procedimento som-mario di cognizione, in Il processo civile competitivo, a curadi A. Didone, Torino 2010, p. 748.(27) può essere un utile base di partenza la elabora-zione di proto pisani e dei suoi allievi pubblicato sulForo It. 2009, V, c. 1, successivamente presentato a Fi-renze nel giugno del 2009.(28) Il circondario di Tribunale può coincidere con ilterritorio della provincia, salvo rare eccezioni per learee metropolitane; il distretto della corte d’Appellocon il territorio regionale.Te

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L’articolo 645 c. 2 c.p.c. nel diritto scritto e in

quello vivente.

c’era una volta la certezza del diritto.così potrebbe iniziare la breve analisi dellostato dell’arte, in tema di costituzione dell’at-tore nei giudizi di opposizione a decretoingiuntivo, ai lumi delle Sezioni Unite del 9settembre scorso (1).

“Esigenze di coerenza sistematica, oltre chepratiche” hanno indotto la corte ad affermareche l’opponente a decreto debba costituirsientro e non oltre cinque giorni dalla notifica-zione dell’atto di citazione. La falcidia deltermine di dieci giorni si avrebbe, “non solo incaso di effettiva assegnazione all’opposto diun termine a comparire inferiore a quellolegale”, ma “in ogni caso di opposizione” adecreto ingiuntivo (2). Sarebbe fatta salva lasola facoltà dell’opposto di chiedere l’anticipa-zione dell’udienza di comparizione ex art. 163-bis c. 3 c.p.c., ove si sia, comunque, costituitonel termine dimidiato, ancorché l’attore gliabbia assegnato un termine pari o superiore aquello legale.

Tutto ciò apparirebbe conforme all’articolo645 capoverso, che, dopo aver dichiaratoapplicabili, alla fase di opposizione, le normedel rito ordinario, prevede testualmente che i“termini di comparizione” debbano essere“ridotti a metà”. In nulla innovando il dirittoscritto, quello vivente si sarebbe limitato allasua applicazione, secondo un processo di mera

ricognizione del dato letterale (3). Neanche sisarebbe scalfito l’affidamento delle parti, chehanno diritto a regole certe, previste o, al più,prevedibili prima dell’ ‘agirè o del ‘difendersì(4): l’intervento della corte si sarebbe confor-mato all’indirizzo di sempre, con la solaaggiunta di una “puntualizzazione”, dagli irri-levanti effetti pratici e sistematici (5).

ci si potrebbe, però, chiedere se “compari-zione” equivalga a “costituzione”, se l’articolo645 c. 2 parli di “riduzione a metà” in modoassoluto e perentorio o se, ancora, il “procedi-mento ordinario” – al quale rinvia il dispostocitato – non limiti l’abbreviazione dei terminia casi puntuali e definiti.

Se, poi, la decisione abbia solo confermatoquanto già era noto, e se lo abbia fatto senzacolpo ferire alle parti, lo si deve vagliare,previa analisi dei precedenti giurisprudenziali,per dare regole certe alle opinioni mutevoli (6).

Orientamenti giurisprudenziali e sorte

dei giudizi pendenti.

bisogna dare ragione alla corte, quandodefinisce “costante” l’orientamento concer-nente i termini di costituzione in giudiziodell’opponente (7).

Sin da cass., n. 3053/1955 (8), si sonoaffermati due principi, strettamente connessi,che la successiva giurisprudenza ha preso per‘datì: la riduzione dei termini di compari-

La Cassazione riscrivel’opposizione a decreto ingiuntivo

Andrea GiordanoDottorando di ricerca in Diritto Processuale Civile

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zione a metà, prevista dall’art. 645 c. 2 c.p.c.,sarebbe da considerarsi facoltativa, dipen-dendo da una libera scelta della parte oppo-nente; una volta esercitata la facoltà, anche itermini di costituzione dell’attore subirebberola stessa falcidia (9).

Ad eccezione di un’assai risalente cass. n.8/1955 (10), detto indirizzo ha assunto il crismadi un assioma, non suscettivo di attenuanti, ma,al più, di aggravanti, di una certa incidenzasulla posizione dell’attore. Emblematico apparel’indirizzo inaugurato da cass. n. 3752/2001(11), che ha previsto che tale abbreviazione deltermine discenda in automatico dalla conces-sione all’opposto di un termine inferiore aquello legale, non rilevando se la scelta dell’at-tore fosse stata o meno consapevole. Ad onta diquanto previsto dall’articolo 164 c. 3 c.p.c. sullasanatoria della nullità da inosservanza deitermini a comparire (12), anche la fissazione diun termine più breve per mero errore di calcolo,avrebbe, senza eccezione alcuna, comportato lastessa gravosa conseguenza.

così, si è anche affermato, muovendo da undenominatore essenzialmente comune, chel’anzidetta riduzione del termine potesse cumu-larsi con quella ottenibile ai sensi e per gli effettidell’articolo 163- bis c. 2 c.p.c. (13).

come si giustificassero i menzionati arrestilo si poteva dire sulla base della ratio del proce-dimento ingiuntivo, di un confronto con lastesura originaria del codice, e della simmetria,imposta dall’articolo 645 c. 2, tra giudizio diopposizione e procedimento a cognizione pienaed esauriente.

Rilevava, in primo luogo, quell’esigenza dispeditezza della fase di opposizione, cheavrebbe consentito all’intimato di vedersitempestivamente riformato il provvedimentomonitorio. Avvenendo la prima fase del ritoinaudita altera parte, sarebbero apparsi conformiall’interesse dell’attore un immediato ripristinodel contraddittorio e un, altrettanto rapido,

accertamento sul diritto controverso.Neanche poteva darsi peso all’argomento

letterale per cui, dato l’impiego del lemma“costituzione” nel codice del 1940 e “compari-zione” nel testo di legge attuale, non si sarebbepotuto applicare l’articolo 645 c. 2 anche aitermini di costituzione dell’opponente.

Stando ai lavori preparatori della legge del1950, il legislatore avrebbe parlato unicamentedella comparizione, solo per effetto dell’intro-duzione, con la citata novella, di un sistema divocatio in jus basato sulla citazione a udienzafissa, e non anche per escludere, dalla portatadel disposto, i termini di costituzione (14).

Si argomentava, infine, sulla necessità dimodulare il giudizio di opposizione sul proce-dimento ordinario. poiché l’articolo 165 preve-deva, come fa tuttora, la riduzione a cinque deigiorni previsti per la costituzione dell’attore incaso di abbreviamento dei termini a comparire,e, d’altra parte, l’art. 645 c. 2 rinviava agli articoli163 ss. (15), si doveva, per ragionare sillogistico,equiparare la comparizione alla costituzione anchenel giudizio di opposizione (16).

Quanto le Sezioni Unite abbiano conservatol’orientamento “costante” e quanto, invece, loabbiano implicitamente sconfessato, lo si puòdire alla luce della “puntualizzazione”, almenopresunta, di cui alla pronuncia del 9 settembre.

La statuizione per cui “non solo i termini dicostituzione dell’opponente e dell’opposto sono auto-maticamente ridotti alla metà in caso di effettiva asse-gnazione all’opposto di un termine a comparireinferiore a quello legale, ma che tale effetto automa-tico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione siastata proposta” consente di fugare ogni dubbio.è evidente che qui si avalli l’omologazione,quanto a disciplina applicabile, della costitu-zione alla comparizione, come è parimentichiaro che si intenda superare l’indirizzofondato sulla dipendenza del dimezzamentodei termini di costituzione dall’esercizio dellafacoltà dell’attore di concedere all’opposto unTe

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termine inferiore a quello legale.Se pur dietro lo schermo di una “puntua-

lizzazione”, si è rotto con la tradizione, scardi-nando l’assioma di sempre. L’attore sconta, inogni caso, la falcidia del termine, quali chesiano le sue scelte. L’assoluta divergenza delnuovo orientamento rispetto al precedentecomporta effetti, tanto rilevanti quanto dirom-penti. Tutte le cause iscritte a ruolo dopo ilquinto giorno dalla notifica dell’opposizionesono destinate all’improcedibilità, con laconseguente dichiarazione di esecutività deldecreto ex articolo 647 c.p.c. (17) e la possibileiscrizione di ipoteca giudiziale (18). Da ungiorno all’altro, insomma, un’opposizioneritualmente proposta può essere, oggi, scartataper ragioni che, forse, neanche la migliorearuspicina avrebbe potuto prevedere.

Rilievi critici tra principio di legalità,

diritto di difesa, (ir)ragionevole durata.

basta il buon senso per comprendere che leregole del gioco si mutano, al più, prima delsuo inizio, ma giammai in corso d’opera.

pare, tuttavia, che, nella sentenza richia-mata, ciò non sia stato considerato. Eppure, èormai pacifico che, quando il giudice rilevad’ufficio una questione della lite, così mutandoil thema decidendum, debba, a pena di nullità,sottoporla alle parti, perché presentinomemorie sul punto (19). così, allorché vengadedotto ex officio un mezzo di prova, debbonoessere ammesse le speculari richieste istrut-torie delle parti (20). Similmente, il mutamentodi una norma processuale dà diritto alla rimes-sione in termini, per riproporre l’azione inmodo rituale (21). Finanche al rigore dellepreclusioni dovrebbe derogarsi, ove inter-venga uno ius superveniens (22).

La matrice comune da cui quanto dettodiscende, lungi dall’essere il portato di questo

o quel disposto, di questa o quella opinioneall’avanguardia, va sotto il nome di certezza deldiritto e dalla stessa dipende la tenuta delsistema (23). è, infatti, certo quel diritto cono-scibile o, almeno, prevedibile prima del compi-mento dell’azione, interpretato in modosufficientemente uniforme, destinato ad unacerta stabilità nel tempo e, per l’effetto,coerente a se stesso e, così, sentito come giusto(24). Il processo, naturalmente strumentalerispetto ai beni della vita, è, prima di tutto,preordinato ad ‘accertarè il diritto, così garan-tendo il ‘diritto alla certezza’ (25): per ciò fare,deve fondarsi su regole certe, pena l’inaccetta-bilità dei suoi risultati. La stessa legittimazionedi una sentenza presuppone, oltre ad una‘giusta’ verifica dei fatti e ad una correttaapplicazione delle norme (26), un insieme diregole del procedere (27), conoscibili primadell’inizio dell’azione o dell’impostazionedella difesa.

Non è un caso che l’articolo 111 costitu-zione, nel disciplinare il processo ‘dovutò,rechi, al primo comma, la previsione per cui è“giusto” il giudizio “regolato dalla legge” (28).

Legalità e certezza sono, infatti, i termini diun unico binomio, essendo la prima necessa-riamente strumentale alla seconda. Sottoporreil processo alla legge significa imporre un’in-terpretazione delle norme conforme al lorosenso letterale o, al più, al sistema in cui sonocontenute. Vuol dire, poi, limitare la discrezio-nalità del giudicante, vietandone gli usidistorti e prevenendone gli sconfinamentiarbitrari (29). Implica, infine, l’osservanza diquelle garanzie che nella legge, costituzionalein primis, trovano il loro fondamento.

Dal rispetto della legalità e, così, dellacertezza in sede processuale, deriva, l’almenopotenziale, osservanza dell’imparzialità, dellaparità delle armi, del diritto di difesa. Si pensisolo che non ci si può efficacemente difenderesenza sapere le regole del gioco, o senza bene- Te

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ficiare dei termini che la legge fissa a tutela dellaparte, o, ancora, in presenza di limiti eccessiviall’esercizio dell’azione (30).

Questi essendo i principi, non ci vuole moltoa dire che la sentenza 9 settembre 2010, n. 91246li abbia violati, e in modo rilevante.

Se la legalità è, anzitutto, il rispetto delleregole, davanti ad un disposto, quale quello exarticolo 645 c. 2, per cui “i termini di compari-zione sono ridotti a metà”, non si può, cosìagevolmente, dire che lo siano anche quelli dicostituzione (31). Se, poi, i limiti al diritto di“agire e difendersi”, oltre ad essere conformi aragionevolezza, devono trovare, nella legge, illoro fondamento, appare arbitraria l’introdu-zione di una causa di improcedibilità, ove,peraltro, si sia già proceduto senza che ci fosseil rischio di incorrervi.

Se, infine, il diritto di difesa dipende, tral’altro, dall’esistenza di termini di costituzioneprevedibili e adeguati, oltreché da un contrad-dittorio effettivo almeno in una fase di ognigrado (32) emerge ancor più la contrarietà acostituzione della riduzione del terminefunzionale all’accesso alla fase di opposizione.Non si può ammettere che, per un fatto nonimputabile alla parte, si formi la cosa giudicata,dopo un rito a contraddittorio inesistente (33).Neanche è vero che le anzidette violazionitrovino un reale bilanciamento in principi dipari rango. L’eguaglianza sostanziale delle partinon appare maggiormente tutelata. che l’op-posto benefici, a danno dell’opponente, dicinque giorni in più per visionare i documentinon cambia certo lo stato delle cose, ove si pensiche il primo, attore in senso sostanziale, giàconosce la causa ed ha, comunque, un terminedi venticinque giorni dall’iscrizione a ruolo (34),per ogni e più ampia disclosure (35).

Il giudizio non muta nell’ottica della ragio-nevole durata (36). Se si guarda all’opposto,deve dirsi che non è ragionevole la durata piùbreve se a pagarne il prezzo è il diritto di azione

di controparte. Quanto all’opponente, chiamare‘ragionevolè un termine che gli fa perdere unafase processuale ha, quantomeno, del sarcastico.

I rimedi possibili. Regole del gioco,

irretroattività e rimessione in termini.

Si pone il problema, allarmante, di salvare igiudizi in corso da un’improcedibilità chefarebbe da mannaia. Allo scopo si presterebbela cosiddetta rimessione in termini, previstadall’articolo 153 capoverso del codice di rito(37). È, del resto, noto che l’istituto funga davalvola di sicurezza (38) del sistema, tale daconsentire alle parti di esercitare i poteri proces-suali da cui siano decadute. La necessità dibilanciare le, pur comprensibili, esigenze dicelerità, con le, altrettanto innegabili, ragioni diequità (39), ha animato la parabola ascendentedel rimedio, dotato di portata applicativa rile-vante. confinato dal codice del 1940 ad ipotesieccezionali e tassative, è divenuto applicabile,con le novelle degli anni 1990 e 1995, a tutti i casiin cui ricorra una “causa non imputabile” (40),previa istanza di parte e richiesta di ammissionedella prova dell’impedimento (41). Il recentetrapianto dell’articolo 184- bis, prima previstoper la sola trattazione del rito ordinario, nelcontesto delle ‘disposizioni generalì del libro Ie l’impiego del termine “giudice”, in luogo di“giudice istruttore”, sottendono la vis espansivadel rimedio, ormai applicabile anche alle situa-zioni esterne al processo(42).

Se si pensa che la giurisprudenza formatasisul nuovo articolo 153 c. 2 c.p.c. non esita aestendere lo strumento ai poteri di impugna-zione (43) e che, oltre all’articolo 37 d.lgs. n.104/2010 sul processo amministrativo, la stessacassazione ha sancito l’applicabilità d’ufficiodella rimessione in termini per errore scusabile(44), tutto deporrebbe a favore dell’estensionedel rimedio alla costituzione intempestivaTe

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dell’opponente.Va, tuttavia, rilevato che, ove le cause ‘non

imputabilì dipendano da una norma soprav-venuta o da una nuova decisione del giudice,non v’è errore né negligenza della parte: lastessa esigenza di un ‘rimediò perde, eviden-temente, ragion d’essere (45). come è automa-tica l’esenzione dall’onere di allegarel’impedimento, è altresì superflua l’istanza diparte (46).

Dalla riconduzione del “diritto allacertezza” ai principi del processo dovuto,discende, di per sé, l’obbligo del giudice diinterpretare le norme in consonanza con ilsenso letterale, oltreché in linea con le garanziecostituzionali. più non serve la rimessione intermini – che, peraltro, presuppone l’eserciziodi poteri discrezionali e, pertanto, incensurabiliin sede di legittimità (47) – se la tenuta stessadel sistema impone l’inapplicabilità dellanorma mutata ai processi avviati prima dellasua esistenza. L’irretroattività della regola delgioco è, insomma, il portato, anzi l’essenza,della legalità (48). Se è pur dubbio che, nelmerito, possa mai estendersi ai termini di costi-tuzione ciò che l’art. 645 c. 2 c.p.c. prevede inrelazione alla sola comparizione (49), certa è laconclusione sul metodo: il taglio a metà non siapplica ai riti incardinati anteriormente allapubblicazione della sentenza delle SezioniUnite, ossia al 9 settembre 2010 (50).

Quanto ai procedimenti successivi (51), ilproblema sembra, comunque, persistere. Sipensi solo alle opposizioni proposte il 10, l’11,o anche il 20 settembre: non apparirebbeegualmente oneroso un termine di costitu-zione dimidiato, a fronte di orientamentipassati specularmente opposti? pur essendoagevole, corrente l’era ‘globalè, reperire leinformazioni e gli orientamenti più recenti,non è detto che l’intimato, a distanza di cosìpochi giorni, sia venuto a conoscenza del revi-rement. persino per le leggi, la cui pubblica-

zione in Gazzetta Ufficiale le rende a tuttiinequivocabilmente note, è previsto un diffe-rimento del termine iniziale di efficacia: logicavorrebbe che così fosse anche per le sentenzeinnovative.

È l’insufficienza della soluzione di prin-cipio, fondata sull’efficacia, solo pro futuro, delnuovo indirizzo giurisprudenziale, a rendere,a questo punto (52), necessario un rimedio.Apparendo semplicistico definire a priori untermine di ‘tolleranza’ o analogicamente rife-rirsi a quello quindicinale di cui all’articolo 10delle preleggi, l’unica strada è la rimessione intermini, per errore scusabile, e su istanza diparte. poca ragion d’essere ha, infatti, la rimes-sione d’ufficio (53): per le opposizioni anteriorial 9 settembre, resta assorbita dal principio percui tempus regit actum; per quelle successive,arretra innanzi al rimedio ordinario ex art. 153c. 2, che consente il vaglio, caso per caso,dell’effettiva esistenza di una causa non impu-tabile. Sarà, per lo più, l’entità del tempotrascorso, oltre alle condizioni peculiari dellasingola situazione, a rendere, più o menoscusabile, l’errore e, per l’effetto, a garantire,con maggiore o minore certezza, alla parte, larestitutio. peraltro, l’istanza di parte, richiestadal tenore letterale dell’art. 153 c. 2, promuoveil contraddittorio preventivo, evitando ilrischio di pronunce ‘a sorpresa’ (54), oggi,almeno in potenza, nulle ex art. 101 c. 2 (55).

Precedente vincolante e diritti delle parti.

Certezza del diritto tra mitologia illusoria e

pratica attuazione.

L’irretroattività del principio per cui “itermini di costituzione sono ridotti a metà”,temperato dalla rimessione in termini per leopposizioni proposte poco dopo il nuovo arrêtdelle Sezioni Unite, risolve solo i problemiimminenti. Restano quelli di lungo periodo, Te

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concernenti i limiti e le possibilità della corte dimutare un orientamento costante, emettendoun principio tanto vincolante quanto undisposto di legge (56).

ciò che è avvenuto nel caso in esame, daeccezione, può tramutarsi in regola. così lasciapensare la recente ‘riscrittura’ dell’articolo 37c.p.c. (57), come la più risalente, anche se ancoraattuale, interpretazione dell’articolo 41 c. 1 (58),i continui spostamenti di ‘materiè dal e algiudice amministrativo o tributario (59), la‘novellata’ litispendenza ex articolo 643 c. 3 (60),la distinzione – a tratti discrezionale – tra‘questionì della lite nel dimensionare l’obbligoex art. 101 cpv (61). E ciò va detto a fortiori, ovesi pensi al potenziamento della funzione nomo-filattica del supremo collegio (62), che si èavuto, soprattutto, con il d.lgs. 40/2006 (63). Lavalorizzazione dell’articolo 65 dell’ordinamentogiudiziario, per cui la corte assicura “l’esattaosservanza e l’uniforme interpretazione dellalegge”, ha condotto al conio di disposti innova-tivi, quali l’art. 363 nuovo testo, che prevede lapossibilità dell’enunciazione di un principio didiritto anche in presenza di un ricorso inammis-sibile o di un provvedimento non impugnabile(64), e l’art. 374 c. 3, per cui le sezioni semplicidevono rimettere la decisione alle sezioni uniteove non condividano il principio dalle stesseenunciato. Anche l’articolo 360- bis, filtrando iricorsi in relazione alla loro maggiore o minoreaderenza ad orientamenti consolidati (65),sembra far proprio quel concetto di “precedentevincolante”, più vicino alla tradizione dicommon law che a quella nostrana (66). Nullaquaestio se la corte, custode delle chiavi delsistema, fornisca una linea interpretativa, ancheal di là di meri sillogismi, e che lo faccia, anchea prescindere da un’istanza di parte, con undictum tendenzialmente vincolante per gli altrigiudici.

Se, però, quell’indirizzo è tale da stravolgereil senso letterale del disposto o se, ponendosi in

contrasto insanabile con gli orientamenti prece-denti, va a ledere il “diritto alla certezza”, nonlo si può ritenere operativo, né vincolante, perlo meno in relazione ai giudizi già in corso almomento della sua enunciazione (67).

Quando si prende a riferimento un modello,lo si deve fare con prudenza, senza trascurare icorrettivi che una sua equa attuazione rendenecessari. Evidentemente si allude al para-digma del sistema anglosassone, ove lafunzione normativa del giudice trova bilancia-mento nel carattere, solo relativamente, vinco-lante del precedente e nella sua, almenotendenziale, irretroattività.

Non si può ridurre la dottrina del bindingprecedent (68) ad una sorta di avallo acritico deipoteri del giudice-legislatore: affatto illimitata èl’operatività del precedente, che trova tempera-menti, sia in senso orizzontale, tra giudici dipari grado, sia verticale, tra corti di gradodiverso. Esemplificando, per il sistema inglese,la House of Lords può mutare i propri orienta-menti, ove questi si discostino dalla giustizia delcaso concreto (69); la stessa Court of Appeal si è,a più riprese, considerata libera di non seguirei propri precedenti (70).

L’interpretazione ha, poi, un limite nellaliteral rule, che impone al giudice di attribuire aogni disposto il senso fatto palese dal tenoretestuale (71).

Se è, infine, vero che, fin dai tempi di black-stone (72), il precedente giudiziario ha naturadichiarativa, ciò non osta all’impiego del cd.prospective overruling (73), che consente chevenga, sì, mutato indirizzo, ma con effetti limi-tati all’avvenire (74).

Non ha senso la nomofilachia, ove non tutelila certezza del diritto. paradossale è dotare unindirizzo del crisma di “principio”, che orientinella stessa direzione tutti i giudici e garantiscainterpretazioni uniformi, se, poi, nella suapratica attuazione, si trattino casi uguali in mododiverso, in spregio all’affidamento legittimo deiTe

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consociati. Quando la parte sa che, da sempre,nella semantica del codice di rito, comparizionenon è sinonimo di costituzione e se, in ogni caso,è certa che, anche costituendosi il settimo o l’ot-tavo giorno, non incorrerà in alcuna sanzione,non può pagare il prezzo di un mutamento incorso delle regole del gioco. La ‘certezza’diventa realtà, da illusione (75) o mitologicautopia (76) che appare, se l’interpretazione,promuovendo il diritto, si pone al servizio delsistema giustizia, senza offuscare la fede di chi,in quest’ultimo, ha, pazientemente, creduto e, atutt’oggi, pazientemente, crede. ■

Note

(1) Si fa riferimento a cass., Sez. Un., 9 settembre 2010, n.91246, che ha mutato l’orientamento adottato dalla cortesin da cass., 12 ottobre 1955, n. 3053 (per le successivepronunce, v. il par. che segue). In argomento, per ladottrina, si confrontino i lavori di F. carnelutti, Decadenzadall’opposizione all’ingiunzione, in Riv. dir. proc., 1950, I, 220;V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli,1957, IV, 71; c. mandrioli, Corso di diritto processuale civile,Torino, 1998, III, 203; Id., Diritto processuale civile, Torino,2009, III, 42 e 43 nt. 62; U. pajardi, Il procedimento monitorio,milano, 1991, 88; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiun-zione, milano, 1991, 170; V. G. Ebner - c. Filadoro, Manualedel procedimento d’ingiunzione, milano, 1993, 126; A. Valitutti- F. De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione,padova, 1994, 160; E. Grasso, Opposizione a decreto ingiun-tivo ed abbreviazione fino al quarto dei termini di comparizione(sulla compatibilità tra l’art. 645, 2° comma, c.p.c. e l’art. 163-bis, 2° comma c.p.c., in Foro it., 1995, I, 2469; A. Ronco, Strut-tura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2002, 403; E.Dalmotto, Costituzionalità della tempistica per la costituzionedell’attore in opposizione a decreto ingiuntivo ed iscrizione aruolo anteriore alla notificazione della citazione, in Giur. it.,2002, 1626; R. caponi, Sul termine di costituzione nel giudiziodi opposizione a decreto ingiuntivo, in Corr. giur., 2006, 727;Id., Overruling in materia processuale e garanzie costituzionali,in www.judicium.it, 2010; F. cipriani, La trappola che non c’è(ma che funziona): la costituzione dell’opponente a decretoingiuntivo, in Giusto processo civile, 2008, 989; N. Andreozzi,Sulle conseguenze della riduzione dei termini di comparizionedell’opposizione a decreto di ingiunzione, in Giur. it., 2008, 955. (2) così si è espressa la corte: “ritengono le sezioni unite che

esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono adaffermare che non solo i termini di costituzione dell’opponente edell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso dieffettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire infe-riore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenzadel solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art.645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini acomparire siano ridotti a metà”(3) Si richiama p. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-bari, 1996, nonché m. Sbriccoli, L’interpretazione dellostatuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’etàcomunale, milano, 1969, 86. Sul tema, rinviamo anche a G.Tarello, L’interpretazione della legge, milano, 1980 e, più direcente, a p. Alvazzi, L’interpretazione autentica nel XVIIIsecolo. Divieto di interpretatio e “riferimento al legislatore”nell’illuminismo giuridico, Torino, 2000. per il concetto didiritto vivente, si veda E. Resta, Diritto vivente, Roma-bari,2008. (4) Sul tema, L. Lanfranchi, voce Giusto processo I) Processocivile [voce nuova – 2001], in Enc. giur. Treccani, X e, direcente, R. caponi, In tema di autonomia e certezza nella disci-plina del processo civile, in Foro it., 2006, I, 136, nonché, sevuoi, A. Giordano, Dignità dell’uomo ed effettività della tutela.Strumenti e garanzie dal diritto sostanziale al processo, in Attidel convegno Università Lateranense, e in Studi senesi, 2010. (5) Si pensi alle seguenti statuizioni delle Sezioni Unite,nella sentenza richiamata: “le ragioni addotte dal ricorrente,in parte recepite e sviluppate nell’ordinanza interlocutoria dellaprima sezione civile, non sono idonee a giustificare un muta-mento del costante orientamento della corte, anche se, come saràin seguito precisato, è opportuno procedere a una puntualizza-zione”. (6) è, sul punto, ancora attuale l’opera di L. A. muratori,Dei difetti della giurisprudenza, 1742, cap. IV. Si richiamaanche Aristotele, Politica, 1286 a, 104. (7) Si vedano cass., 4 settembre 2004, n. 17915, in Foro it.Mass., 2004, 1385; cass., 3 marzo 2004, n. 4294, in Guida aldir., 2004, 16, 52; cass., 15 marzo 2001, n. 3752, in Foro it.,2002, I, 193; cass., 26 gennaio 2000, n. 849, in Giur. it., 2001,1627; cass., 30 marzo 1998, n. 3316, in Giur. it., 1998, 950 ein Foro it., 1998, I, 2161. per alcune pronunce di merito, siconfrontino Trib. Lecce, in Giur. comm., 1999, I, 1514; Id.,Roma, 3 ottobre 1996, ivi, I, 278; Trib. messina, 18 ottobre2007, in Giur. it., 2008, 954; c. d’App. Genova, 4 gennaio1996, in Giur. comm., 1997, I, 2087.(8) cass., 12 ottobre 1955, n. 3053. (9) In argomento, si vedano, U. pajardi, Il procedimentomonitorio, cit., 88; E. Garbagnati, Il procedimento, cit., 170; V.G. Ebner - c. Filadoro, Manuale del procedimento d’ingiun-zione, cit., 126. (10) cass., 10 gennaio 1955, n. 8, in Riv. dir. proc., 1955, 85,con nota di L. bianchi D’Espinosa, Termini di costituzione,Te

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cancellazione dal ruolo, riassunzione del processo. (11) cfr. cass., 15 marzo 2001, n. 3752, in Foro it., 2002, I,193 e in Giur. it., 2002, 1626. (12) Oltreché degli orientamenti, che proprio in quellianni si rafforzavano, sulla rimessione in termini percausa non imputabile alla parte.(13) In questo senso, si veda l’orientamento inauguratoda cass., 28 aprile 1995, n. 4719, in Foro it., 1995, I, 2466,con nota di E. Grasso, per cui le ragioni di particolareurgenza di cui all’articolo 163- bis c. 2 c.p.c. ben potreb-bero sovrapporsi a quelle generali. cfr., per la materiadell’opposizione a decreto avanti al giudice di pace,cass., 7 luglio 1998, n. 6588, in Giur. it., 1999, 1173, connota adesiva di A. carratta, Opposizione a decreto ingiun-tivo davanti al giudice di pace e riduzione dei termini minimidi comparizione. (14) Si veda, in questo senso, la stessa sent. cass., n.19246/2010. In argomento, per la dottrina, p. D’Onofrio,Commento al codice di procedura civile, II, Torino, 1957, 261.Si confrontino altresì i rilievi di F. cipriani, La trappola chec’è (ma non si vede), cit., 920. (15) è, del resto, noto che si è sempre ritenuto che, quantoa natura giuridica, la fase di opposizione, sviluppo ulte-riore ed eventuale della fase monitoria, dovesse equipa-rarsi ad un giudizio a cognizione piena. Si rinvia, inmerito, anche per i riferimenti bibliografici, ad A. Vali-tutti - F. De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposi-zione, cit., 137. (16) Sul legame necessitato tra comparizione e costitu-zione, si vedano i condivisibili rilievi critici di N. Andre-ozzi, Sulle conseguenze della riduzione dei termini, cit., 956,che opportunamente richiama la citata sentenza cass., n.8/1955. (17) Se pur limitatamente al diritto accertato, stando allanota cass., sez. un., 1 marzo 2006, n. 4510, che ha statuitoche il decreto non opposto acquisti autorità di cosa giudi-cata solo in relazione al diritto consacrato e non anchealle domande o capi di domanda non accolti. Va richia-mata la nota querelle tra chi, come E. Garbagnati, I proce-dimenti di ingiunzione e per convalida di sfratto, milano,1979, 10, parla in termini di idoneità al giudicato dellapronuncia positiva in ordine al ricorso per decreto, e chi,invece, sostiene che il decreto non opposto dia luogo aduna mera preclusione pro iudicato (E. Redenti, Dirittoprocessuale civile, milano, 1954, III, 26). (18) V. il combinato disposto degli artt. 655 c.p.c. e 2818c.c.(19) così, come è noto, il nuovo articolo 101 c. 2 c.p.c., sulquale mi sia consentito rinviare, anche per la bibliografiasul tema, ad A. Giordano, Sull’art. 101 c. 2 c.p.c. Undisposto recente su una questione antica, in Giust. civ., 2011. (20) cfr., in merito, I. Andolina e G. Vignera, Il modello

costituzionale del processo civile italiano. Corso di lezioni,Torino, 1990, 105, nonché già E. Grasso, La collaborazionenel processo civile, in Riv. dir. proc. 1966, 608. (21) Si veda la recente cass., 10 giugno 2010, n. 15811, inGuida al dir., Il Sole 24 ore, 4 settembre 2010, n. 35. Inquesto senso, in relazione al mutamento di una normasulla giurisdizione, già c. E. balbi, La decadenza nelprocesso di cognizione, milano, 1983, 317. (22) cfr. G. Tarzia, Lineamenti del nuovo processo civile dicognizione, milano, 1996, 92 e A. Attardi, Le nuove disposi-zioni del processo civile, padova, 1991, 77.(23) Sul tema, F. Lopez de Oñate, La certezza del diritto,milano, 1968; A. pizzorusso, voce Certezza del diritto.Profili applicativi, in Enc. giur., Roma, 1988; L. LombardiVallauri, Saggio sul diritto giurisprudenziale. milano, 1975;L. Gianformaggio, voce Certezza del diritto, in Dig. disc.priv. sez. civile, Torino, 1988; p. calamandrei, Fede neldiritto, Roma-bari, 2008, ove è incluso il significativodiscorso dell’A. reso, sull’argomento, il 21 gennaio 1940.Sulla certezza del diritto, in relazione al particolarismogiuridico medioevale, v. m. Ascheri, Un ordine giuridicomedievale per la realtà odierna?, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,1996, 965 e Id., Introduzione storica al diritto moderno econtemporaneo, Torino, 2007, 53.(24) cfr. L. Lombardi Vallauri, Saggio sul diritto giurispru-denziale, cit., 567. (25) In argomento, A. Aarnio, The rational as reasonable. Atreatise on legal justification, Dordrecht-boston-Lancaster-Tokyo 1987, 3, che include nella “certezza”anche la conformità del diritto a criteri valutativi, tra cuispicca la giustizia.(26) così, m. Taruffo, La semplice verità. Il giudice e lacostruzione dei fatti, Roma-bari, 2009; Id. Poteri probatoridelle parti e del giudice in Europa, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,2006, 476; Id., Il controllo di razionalità della decisione fralogica, retorica e dialettica, in L’attività del giudice, a cura dim. bessone, Torino, 1997, 139; S. chiarloni, Giustoprocesso, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv.trim. dir. e proc. civ., 2008, 144; A. Giordano, La sentenzadella “terza via” e le “vie d’uscita”. Delle sanzioni e dei rimediavverso una terza soluzione del giudice civile, in Giur. it., 2009. (27) Si richiama l’opera di N. Luhmann, Procedimentigiuridici e legittimazione sociale, tr. italiana, milano, 1995,75, oltre a quella di J. Rawls, A theory of justice,cambridge, 1971, 83. (28) Sul tema, L. Lanfranchi, voce Giusto processo, cit., 9. (29) In merito, A. proto pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e ilgiusto processo civile, in Foro it., 2000. In senso analogo, conriferimento alle cd. prove atipiche o innominate, A.carratta, Prova e convincimento del giudice nel processocivile, in Riv. dir. proc., 2003, 52. (30) Sul tema, si veda L. p. comoglio, Commentario alla Te

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Costituzione, sub art. 24, a cura di G. branca, bologna-Roma, 1981, 29, nonché Id., Contraddittorio (principio del),in Enc. giur. Treccani, aggiornamento, Roma, 1997, VIII.(31) Dello stesso avviso, F. cipriani, La trappola che non c’è(ma che funziona), cit., 922. In senso contrario, tuttavia, F.carnelutti, Decadenza dall’opposizione all’ingiunzione, cit.,220.(32) In merito, si rinvia agli studi di V. colesanti, Principiodel contraddittorio e procedimenti speciali, in Riv. dir. proc.,1975, 586 e di N. Trocker, Processo civile e Costituzione.Problemi di diritto tedesco e italiano, milano, 1974, 405. (33) Si vedano, per una esauriente disamina di questoaspetto, i lavori di A. cerino canova, Per la chiarezza delleidee in tema di procedimento camerale e di volontaria giurisdi-zione, in Riv. dir. civ., 1987, 325 e di L. Lanfranchi, La roccianon incrinata. Garanzia costituzionale del processo civile etutela dei diritti, 1999, 477. (34) E di un lasso temporale ancora più ampio dalla noti-fica dell’atto – atto dal quale non può che emergere lalinea difensiva dell’opponente. Vi è, insomma, in ognicaso, un tempo ragionevole per redigere una comparsaben strutturata.(35) Si consideri, poi, l’ipotesi in cui venga disposto undifferimento dell’udienza ex art. 168- bis c. 5 c.p.c.: saràevidente la facoltà dell’opposto di ‘recuperarè gli even-tuali cinque giorni in più che siano stati impiegatidall’opponente. (36) Su cui si rinvia alle riflessioni di p. Sandulli, Il dirittoalla tutela giurisdizionale alla luce della Dichiarazione Univer-sale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, in Riv. dir.proc., 2009. (37) O ex art. 184- bis c.p.c. per i giudizi instaurati dopol’entrata in vigore della l. n. 69/2009. Si sono orientate inquesto senso le recenti pronunce Trib. milano, VI sez., 7ottobre 2010, Trib. Tivoli, 12 ottobre 2010, Trib. pavia, 14ottobre 2010, Trib. macerata, 22 ottobre 2010, nonché Trib.Salerno, sez. II, 25 ottobre 2010. (38) così, G. Trisorio Liuzzi, La difesa del convenuto e deiterzi nella nuova fase introduttiva del processo ordinario dicognizione, in Giur. it., 1996, IV, 92. In merito, cfr., se vuoi,anche A. Giordano, in L. Viola (a cura di), Codice di proce-dura civile, padova, 2011, 219. (39) In questo senso, S. Satta, Commentario al codice diprocedura civile, II, milano, 1960, 382.(40) Sulla clausola generale di “non imputabilità”, benpiù ampia del “caso fortuito e forza maggiore” cui fa rife-rimento l’attuale art. 175 c.p.p., cfr. D. Grossi, voceTermini (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XLIV, milano, 1992, 242;R. caponi, La rimessione in termini nel processo civile,milano, 1996, 195; Id., La causa non imputabile nella disci-plina della rimessione in termini, in Foro it., 1998, I, 2658. (41) per una ricostruzione dell’evoluzione della rimes-

sione in termini, si confrontino E. Grasso, Note sui poteridel giudice nel nuovo processo di cognizione, in Riv. dir. proc.,1992, 723 ed A. proto pisani, La nuova disciplina del processocivile, Napoli, 1991. per un confronto con gli ordinamentifrancese, austriaco e tedesco, si rinvia all’opera di R.caponi, La rimessione in termini, cit., 80.(42) In questo senso, a ragione, A. panzarola, Sulla rimes-sione in termini ex art. 153 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2010, 1636e già R. caponi, Rimessione in termini: estensione ai poteridi impugnazione (art. 153 c. 2 c.p.c.), in Foro it., 2009, 285. (43) Si vedano le recenti cass. civ., sez. lav., 23 febbraio2010, n. 4356, in Dir. e Giust., 2010 e Trib. mondovì, ord.19 febbraio 2010.(44) Si veda cass., 10 giugno 2010, n. 15811, in Guida aldir., Il Sole 24 ore, 4 settembre 2010, n. 35, nonché cass.,17 giugno 2010, n. 14627. (45) In senso analogo, R. caponi, Overruling in materiaprocessuale e garanzie costituzionali, cit., 4. (46) così, la stessa riassunzione del giudizio ex artt. 171e 307 c.p.c., pur astrattamente concepibile - argomentan-dosi a contrario da cass., 26 maggio 2004, n. 10116, inMass. Giust. civ., 2004, che ha previsto che, in caso di costi-tuzione tardiva, debba aversi l’improcedibilità dell’op-posizione - apparirebbe ultronea.(47) Se non per vizio di motivazione.(48) per simili considerazioni, cfr. anche R. caponi,Tempus regit processum – un appunto sull’efficacia dellenorme processuali nel tempo, in Riv. dir. proc., 2006, 449. Insenso conforme, si veda la recente Trib. Sant’Angelo deiLombardi, 3 novembre 2010, n. 625. (49) Si pensi solo a quanto sia rilevante la differenza che,nel diritto processuale, intercorre tra costituzione ecomparizione (cfr. N. Giudiceandrea, voce Costituzione ingiudizio, in Enc. dir., XI, 1962, 236 e S. costa, Comparizionedelle parti in giudizio, in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959,711) e a quanto sia diversa la ratio dell’art. 165 c.p.c.rispetto a quella che connota l’art. 645 c. 2 c.p.c.(50) A meno che non si ritenga del tutto privo di valorevincolante il principio della corte, espresso dalla stessaa modo di obiter dictum, e non di ratio decidendi (in questosenso, Trib. belluno, ord. 30 ottobre 2010). Ad una simileinterpretazione potrebbe obiettarsi che l’articolo 363c.p.c., su cui amplius infra, consente, in ogni caso, algiudice di legittimità di formulare il principio nell’inte-resse della legge, anche nei casi di inammissibilità delricorso. In senso favorevole alla irretroattività del nuovoorientamento, senza neppure la concessione della rimes-sione in termini, v. le recenti pronunce Trib. Varese, sez.I, 8 ottobre 2010, Trib. Torino, sez. I, 11 ottobre 2010, in Ilcivilista, 2010, 11 e Trib. S. Angelo Lombardi, 22 ottobre2010. (51) Fatta eccezione per quelli pendenti nei gradi di Te

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impugnazione, ove, comunque, non potrebbe sollevarsila questione, dato il principio dell’assorbimento dellenullità nei motivi di gravame.(52) E solo a questo punto, per quanto detto supra. (53) In senso contrario, tuttavia, si veda ad es. Trib.marsala, ord. 20 ottobre 2010.(54) Due sarebbero, infatti, le ‘questioni rilevabili d’uf-ficiò: quella relativa all’improcedibilità dell’opposizionee quella inerente al potere di rimettere nei termini. (55) Tuttavia, in senso contrario alla nullità delle decisionidella “terza via” fondate su questioni solo processuali,G. costantino, Questioni processuali tra poteri del giudice efacoltà delle parti, in Riv. dir. proc., 2010, 1015.(56) Sul valore del precedente giurisprudenziale nell’ot-tica del processo dovuto, si veda p. Sandulli, I nuovipercorsi della tutela. Riflessioni in materia di processo civile,Roma, 2006, 262. (57) V. cass, sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Giur. it.(58) cfr. cass., sez. un., 26 marzo 1996, n. 2466, in Foroit., 1996, I, 1635.(59) Sul tema, v., se vuoi, A. Giordano, Giurisdizione tribu-taria e atti impugnabili. La Cassazione ridisegna i confini, inGiur. it., 2009. (60) cass., sez. un., ord. 1 ottobre 2007, n. 20596, in Giust.civ. Mass., 2007. (61) cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935, in Corr.giur., 2010, 355. (62) In merito, si vedano V. Denti, A proposito di Corte diCassazione e di nomofilachia, in Foro it., 1986, V, 417 e, piùdi recente, L. montesano, Aspetti problematici del poteregiudiziario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1989, 118. Sulladialettica tra nomofilachia e ‘terza istanza’, cfr. A. panza-rola, La Cassazione civile giudice del merito, Torino, 2005 eG. monteleone, Il nuovo volto della Cassazione civile, in Riv.dir. proc., 2006, 955.(63) D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. (64) Si vedano, in merito, le riflessioni di N. Jaeger,Nozione, caratteri e autorità della giurisdizione consultiva, inRiv. dir. e proc. civ., 1957, 999, ove l’A. parla di unafunzione della corte in senso integrativo del legislatore.Sul ricorso nell’interesse della legge, con riferimentianche alla materia tributaria, si veda anche p. Sandulli, Ilgiudizio innanzi alla Corte di Cassazione nel processo tribu-tario, in La giurisdizione tributaria nell’ordinamento giuris-dizionale a cura di m. basilavecchia e G. Tabet, bologna,2009, 135. (65) In merito, cfr. G. costantino, Il nuovo processo in cassa-zione, in Foro it., 2009, 310 e G. Scarselli, Il processo in cassa-zione riformato, ivi, 2009, 312. Sul disposto in commento,cfr. la recente cass. civ., sez. un., ord. 6 settembre 2010, n.19051. (66) Sugli aspetti di convergenza con il sistema anglosas-

sone, v. già S. chiarloni, Efficacia del precedente giudiziarioe tipologia dei contrasti di giurisprudenza, in Riv. trim. dir. eproc. civ., 1989, 118, nonché Id., Un mito rivisitato: notecomparative sull’autorità del precedente giurisprudenziale, inRiv. dir. proc., 2001, 614.(67) Si può, al più, ipotizzare, a salvaguardia dellacertezza, la fissazione, da parte della corte, di un terminedal quale inizierebbero a decorrere gli effetti del nuovoorientamento.(68) Altresì definita “stare decisis”. Sul tema, anche perun confronto con il sistema di civil law, rinviamo a m.cappelletti, The doctrine of stare decisis and the civil law: afundamental difference – or no difference at all?, in Festschriftfür K. zweigert zum 70. Geburstag, Tübingen, 1981.(69) Si veda, ad esempio, Miliangos v. George Frank(Textiles) Ltd., [1975] 3 All E.R. 801. (70) In merito, per una trattazione dettagliata sul punto,cfr. Young v. Bristol Aeroplane Co. [ 1944] K. b. 718 (c.A.).Sull’esperienza nordamericana, affine a quella inglese,può utilmente consultarsi A. Gambaro - R. Sacco, Sistemigiuridici comparati, Torino, 2004, 209. (71) cfr. R. cross, Cross on statutory interpretation, London,1995, 49. (72) W. blackstone, Commentaries on the laws of England,1765. (73) Soprattutto da parte delle corti nordamericane. Sulpotere di modifica del precedente senza effetti retroattivi,e sulle ritrosie dei giudici inglesi, p. S. Atiyah - R. S.Summers, Form and substance in anglo-american law,Oxford, 1987, 122. La tecnica della modulazione deglieffetti delle pronunce è stata altresì, opportunamente,adottata dalla nostra corte costituzionale, sul modellodell’esperienza austriaca e tedesca (si vedano, ad es., c.cost., 9 marzo 1988, n. 266 e c. cost., 16 febbraio 1989, n.50). (74) Altrettanto rilevante, oltreché importante ai fini dellanostra indagine, è la tecnica del cd. distinguishing, checonsente di modulare il precedente sulla base dei singoli,e sempre cangianti, casi concreti. Sul suo significato, inuna prospettiva filosofico-giuridica, e con riferimentoalle sue radici, anche medievistiche, O. De bertolis, Nichi-lismo giuridico, in La civiltà cattolica, 2005, 410, nonché, inrelazione ai canoni 17 e 1752 del codex juris canonici, Id.,L’interpretazione nel diritto, ivi, 2010, 151. (75) Questa – come è noto – è la definizione che ne dà h.Kelsen, La dottrina pura del diritto, 1952, 99.(76) Si rinvia, in merito, alle interessanti riflessioni di J.Frank, Mr. Justice Holmes and Non Euclidean Legal Thin-king, in Cornell Law Quarterly, 1932, 568. Dell’A., grandeesponente del realismo nordamericano, Law and ModernMind, New York, 1930 e 1949 e If Men Were Angels, NewYork, 1942. Te

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La conferenza Internazionale “costruiresistemi integrati di giustizia minorile: ap-procci e metodologie riguardanti i disturbimentali e l’abuso di droghe“, realizzatadall’Osservatorio Internazionale sulla Giusti-zia minorile in collaborazione con l’IstitutoDon calabria (9-10 Novembre 2010 - Audito-rium del massimo di Roma), ha rappresen-tato uno dei momenti di più approfonditariflessione, a livello internazionale, sulle pos-sibili linee di evoluzione dei sistemi di giu-stizia minorile.

La conferenza, alla quale hanno presoparte 350 rappresentanti provenienti da piùdi 50 paesi, aveva lo scopo di avviare un di-battito sulle diverse formule utilizzate per iltrattamento dei minorenni, tenendo contodell’esigenza di coniugare i molti aspetti diquesta complessa attività (giuridici, sociali,sanitari, terapeutici, pedagogici) con le ri-sorse disponibili nell’ambito dei diversi si-stemi della giustizia minorile. Avendo,naturalmente, come fondamentale punto diriferimento, l’interesse del minore e le esi-genze di legalità e sicurezza.

L’esigenza di costruire sistemi integrati digiustizia minorile, come evidenziato dai re-latori durante i lavori del meeting, si risolvenel coordinamento e nell’integrazione a li-vello nazionale e internazionale di un in-sieme di servizi, indispensabili nellaprospettiva di un percorso riabilitativo e disostegno in grado di coinvolgere non solo il

minore ma anche, almeno nei casi in cui èpossibile, la sua famiglia.

Le differenti Istituzioni responsabili diquesto complesso di attività sono, infatti, so-litamente gestite da Autorità dotate di auto-nome strutture organizzative e soggette adiversi statuti normativi.

La necessità, più volte emersa nel corsodel dibattito, è appunto quella di intensifi-care i legami tra i vari soggetti che interven-gono nel settore e di coordinare la loroazione.

proprio perché un adolescente chedelinque rappresenta un grave problema so-ciale è fondamentale un’integrazione virtu-osa di forze capaci di interagire nell’ambitodi un linguaggio e di una strategia che è edeve necessariamente essere comune. E nonè affatto un caso che i programmi di inter-vento più efficaci siano appunto quelli mul-timodali (cioè quelli che agiscono su diversicontesti e con diverse strategie).

La prospettiva dell’integrazione dell’ope-rato delle Istituzioni e delle specifiche com-petenze professionali, come sottolineatoanche dal ministro della Giustizia, Onore-vole Angelino Alfano, rappresenta l’ele-mento fondamentale per concorrere almiglioramento dei programmi di recupero eallo sviluppo delle strategie individuate inquesto specifico settore dall’Unione Europea.

Il sistema della giustizia minorile italianoha, infatti, ormai da anni, imboccato un per- sc

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Bilancio della IV° Conferenza

Internazionale sulla Giustizia Minorile

Alessandro PadovaniDirettore dell’Istituto Don Calabria

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corso di collaborazione e interazione con i varisoggetti coinvolti nel percorso di rieducazionedel minore, pur dovendosi confrontare con igravi limiti rappresentati dall’esiguità di ri-sorse a disposizione degli Enti locali e del Ser-vizio Sanitario Nazionale e con l’assenza distandard formativi nazionali e/o europei pergli operatori.

Scopo della conferenza internazionale era,appunto, quello di proporre una riflessionesui vari sistemi di giustizia minorile esistentiin Europa e nel mondo, evidenziando le bestpractises e i modelli utilizzati, alla luce anchedelle diverse cornici normative.

Da questa analisi è emerso, con evidenza,il ruolo di sempre maggiore rilievo svolto, a

livello nazionale e internazionale, dalle Orga-nizzazioni non governative, capaci di coniu-gare efficacemente la prospettiva di azioneindividualizzante con le strategie di caratteregenerale.

Un ruolo che ha rappresentato oggetto dispecifica riflessione e confronto anche durantela conferenza stampa di presentazione dellaconferenza, tenutasi l’8 novembre 2010 pressola Sala polifunzionale della presidenza delconsiglio dei ministri e a cui hanno presoparte i rappresentanti delle istituzioni, di or-ganizzazioni non governative nazionali e in-ternazionali e delle ambasciate in Italia diFrancia, bulgaria, brasile, Repubblica Slo-vacca, polonia, Giappone e Romania. ■sc

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Da anni, ormai, si discute sulla opportu-nità di introdurre nel nostro ordinamentol’istituto della società tra professionisti, inmodo da consentire che l’esercizio dellaprofessione, tradizionalmente ricollegato aduna persona fisica, possa essere effettuatoanche con l’impiego di una specifica strut-tura societaria.

ciò a fronte di orientamenti giurispruden-ziali che hanno, ripetutamente, evidenziatoil principio della personalità della presta-zione quale tratto caratterizzante della disci-plina delle libere professioni, riconducendole cd. associazioni professionali a rapporticon rilevanza meramente interna tra gli asso-ciati e ammettendo l’utilizzo di schemi socie-tari tra professionisti solo limitatamente aquelli non di capitali.

ciò posto, appare indispensabile colmareal più presto questa grave lacuna normativadell’ordinamento italiano (di cui il legislatoresi è interessato sinora solo settorialmente eoccasionalmente tramite il d.lgs. n. 96 del2001 che, ad esempio, ha reso possibile costi-tuire la società tra avvocati), in modo dasostenere adeguatamente l’azione dei profes-sionisti italiani, sempre più richiesti dioperare in forme aggregate, per poter rispon-dere adeguatamente alle sollecitazioni e allaconcorrenza conseguenti alla globalizzazionedei mercati di beni e servizi.

Naturalmente, gli iscritti ai vari ordiniprofessionali debbono poter avere l’opportu-

nità di avvalersi di un modello societario chene colga e ne valorizzi le specifiche peculia-rità. per questa ragione, il consiglio Nazio-nale dei Dottori commercialisti e degliEsperti contabili ha elaborato una bozza diprogetto di legge, inizialmente predispostadall’associazione giovanile della categoria (laprovenienza è significativa), offrendolaall’attenzione e alla considerazione delle

Le società di lavoro professionalein Italia e in Europa

Andrea BonechiDottore Commercialista e Componente C.N.D.C.E.C.

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forze politiche e dell’opinione pubblica. L’importanza dell’iniziativa si può cogliere

nella circostanza che tutti gli ordini professio-nali italiani hanno condiviso i principifondanti del progetto di legge e che un espli-cito riferimento alla necessità di introdurrenell’ordinamento italiano le società di lavoroprofessionale è stato inserito in un appositoparagrafo del documento sulla riforma delleprofessioni inviato dalle professioni ordini-stiche al ministro della Giustizia.

I principi portanti del nuovo modellosocietario sono i seguenti :- la società è fondata sul lavoro intellettuale

dei soci professionisti, che è indispensabileper la costituzione e per l’esercizio dellastessa. La prestazione d’opera intellettualedei soci professionisti rappresenta l’ele-mento organizzativo della società e sullabase dell’art. 33, comma 5, cost. essa è defi-nita prestazione d’opera “professionale” oprestazione di lavoro “professionale”. Intale prospettiva si ribadisce il caratterepersonale della prestazione professionaleresa dal socio nell’ambito dell’incarico rice-vuto dalla società;

- la società non necessita, per la sua costitu-zione, di un capitale minimo. I conferi-menti diversi dal lavoro intellettualecostituiscono oggetto di prestazioni acces-sorie;

- il lavoro intellettuale dei soci e la clientelavengono tutelati con previsioni ad hoc;

- lo studio professionale rileva comecomplesso di beni, anche ai fini della suaeventuale cessione a terzi;

- la società ha personalità giuridica;- si ammette la costituzione di società multi-

professionali, compatibilmente con gliordinamenti professionali ai quali appar-tengono i professionisti coinvolti;

- si prevede, nel rispetto degli ordinamentidelle singole professioni, la partecipazione

di soci non professionisti, limitatamente aisoli conferimenti accessori, ancorché aimedesimi venga riconosciuta una parteci-pazione, minoritaria, agli utili e il diritto divoto;

- l’oggetto sociale principale è individuatonell’esercizio in comune della professione;

- l’amministrazione della società non puòessere affidata a persone diverse dai sociprofessionisti della società medesima;

- nel caso di conferimenti di mezzi e, parti-colarmente, laddove questi siano effettuatida soci non professionisti, la remunera-zione del lavoro intellettuale è chiaramentedistinta da quella del conferimento dimezzi, con prevalenza comunque delprimo e con modalità distinte da definirenello statuto.ciò posto, va ribadito che l’esercizio della

professione tramite lo schema della S.L.p. noncostituisce in alcun caso attività di impresa eche, dunque, la S.L.p. non può essere soggettaa fallimento. Fatte queste considerazioni diordine generale, è doveroso sottolineare unulteriore aspetto, estremamente innovativo,della proposta de jure condendo e cioè la disci-plina dei conferimenti.

I soci professionisti lavorano nella societàper tutta la durata della stessa. così facendoessi eseguono il conferimento di opera profes-sionale a cui si sono obbligati in sede di costi-tuzione.

Ne deriva che l’obbligo di conferimentonon si soddisfa istantaneamente, bensì in viacontinuativa.

poiché, quindi, il lavoro è il conferimento acui i soci professionisti si sono obbligati, gliamministratori (anch’essi soci professionisti)possono determinare le modalità per l’effet-tuazione della prestazione lavorativa deiprimi. La prestazione d’opera professionaledei soci costituisce il conferimento di questiultimi e, al contempo, assume il valore che gliL’

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stessi determinano concordemente, suproposta degli amministratori. A tale valoreè commisurata la partecipazione agli utili.

posto che nell’atto di costitutivo devonoessere indicati sia la tipologia dei conferi-menti a cui ciascun socio è tenuto, sia leregole con cui gli amministratori devonovalutare il conferimento d’opera effettuatodal socio professionista, la determinazionedella partecipazione agli utili di ogni socioavverrà al termine dell’esercizio socialesecondo quelle stesse regole. La difficoltà chepotrebbe sorgere per il primo esercizio èsuperata dalla prescrizione per cui le quotedi partecipazione agli utili di tutti i soci perl’esercizio di avvio vengono definite nell’attocostitutivo.

ma, non è tutto.I soci possono obbligarsi anche

ad effettuare conferimenti di capi-tale in denaro, beni e diritti dicredito, oppure a conferire il nomedel professionista o lo studioprofessionale, come pure adapportare la clientela. Tuttavia, lasocietà può costituirsi anche senzacapitale (di qui l’accennata diffe-renza con lo schema tipico dellesocietà di capitali) che, come giàevidenziato, non rappresenta, népuò rappresentare l’elementoportante della società.

L’importanza della prestazioned’opera professionale, invero, èulteriormente ribadita dalla previ-sione in base alla quale l’assenzadella prestazione medesima,trascorsi sei mesi, comportal’esclusione del socio dalla società.Va ribadito, per l’ennesima volta,che eventuali soci non professio-nisti non potranno amministrare

la società e potranno partecipare agli utilinella misura massima del 25%.

Si tratta , dunque, di una partecipazionestrumentale alla società dei professionisti eche, comunque, deve essere compatibile conle previsioni degli ordinamenti professionalidi riferimento.

Last but not least, va sottolineato che lasocietà di lavoro professionale, così comeipotizzata, appare particolarmente idonea asoddisfare le esigenze dei giovani professio-nisti, che intendano unirsi per avviare l’atti-vità professionale, non avendo capitali daconferire. Una possibilità questa che costitui-rebbe una efficace alternativa alla logica, sinoad oggi imperante, della mera affiliazione delgiovane ad uno studio professionale già

avviato. ■

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Nella classifica di Doing business 2010, ilrapporto a cura della banca mondiale cheanalizza in 181 paesi del mondo il grado dicompetitività e la facilità di avviare un’attivitàimprenditoriale, l’Italia risulta al 78° posto,ma per quanto riguarda i tempi della giustiziaviene classificata al 156°, alle spalle di nazioni

come il Gabon o l’Angola. Questo datodovrebbe far riflettere sull’esigenza di unariforma radicale della giustizia italiana esull’opportunità di una strategia di lungoperiodo, che punti anche sull’innovazionetecnologica e sui giovani. L’organico dellamagistratura è, infatti, composto per quasi la L’

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Enrico FolgoriVice Capo Gruppo del PdL alla Provincia di Roma

Un percorso per le riformedella giustizia

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metà da magistrati che hanno non più diquindici anni di anzianità e che, proprio perla loro giovane età, non hanno vissuto legrandi contrapposizioni ideologiche deglianni sessanta e settanta.

poco più di duemila euro di retribuzionemensile, una famiglia da mantenere, ilcanone di locazione dell’abitazione dapagare anche nella sede di servizio, il costodei viaggi per riabbracciare, periodicamente,i propri cari.

E’ evidente l’insufficienza del trattamentoeconomico riservato ai magistrati ordinari,soprattutto nei loro primi anni di carriera,specie se considerata alla luce della mole dilavoro che sono chiamati ad affrontare e deinotevoli disagi connessi al trasferimento insedi di servizio distanti, solitamente, centi-naia di chilometri dalle città di originariaresidenza.

Questi ragazzi, a cui sono affidate respon-sabilità enormi, stentano a mantenere unlivello di vita dignitosa e si trovano, spesso,a dover smaltire pesanti carichi di lavoroaccumulati da altri.

Se, quindi, non può non condividersil’idea di una profonda e radicale riformadella giustizia, sarebbe opportuno anchemostrare una specifica attenzione neiconfronti dei problemi dei magistrati piùgiovani, elaborando una specifica normativache consenta di controbilanciare i disagi e ledifficoltà che questi debbono affrontare neiprimi anni di attività.

Alle responsabilità e all’impegno profes-sionale richiesto ai magistrati ordinari devecorrispondere, peraltro, un trattamentoeconomico adeguato, che li ponga sullostesso piano dei magistrati amministrativi e

contabili, se non per ragioni di equità, quan-tomeno in considerazione dell’enorme moledei carichi di lavoro che sono chiamati adaffrontare nel contenzioso civile e penale.

Sotto questo diverso profilo, quello deicarichi di lavoro e del pesante arretrato checontinua a caratterizzare gli uffici giudiziariitaliani, appare veramente improcrastinabilevarare una serie di misure di carattere orga-nizzativo, in grado di incrementare significa-tivamente la produttività dei magistrati.

In questa prospettiva, deve essere sottoli-neata l’utilità del cd. ufficio del giudice, la cuiistituzione consentirebbe di mettere a dispo-sizione dei giudici degli assistenti, neolau-reati, in grado di svolgere attività di ricercae di approfondimento delle questioni giuri-diche di maggiore interesse e di predisporrele bozze dei provvedimenti giurisdizionali.

I costi da affrontare per introdurre questanuova figura sarebbero, peraltro, veramentemolto modesti, soprattutto laddove la leggestabilisse per questi collaboratori dei magi-strati non una retribuzione, quanto altriincentivi, come l’equiparazione del servizioreso negli uffici giudiziari al periodo dipratica forense e l’attribuzione di punteggiaggiuntivi per chi, dopo aver svolto lode-volmente l’incarico, superi il concorso inmagistratura.

Il metodo dei “piccoli passi”, delleriforme graduali, ma comprese in una stra-tegia ben congegnata di lungo periodo, èl’unica possibilità che si offre in Italia perrilanciare la giustizia e il paese. politica emagistratura debbono iniziare ad incontrarsisul piano delle soluzioni concrete e deglispecifici problemi, al di là di polemicheastratte, di tristi retaggi dell’ideologia e dipenose strumentalizzazioni. ■

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Il tema della legalità suscita un grande in-teresse da un po’ di tempo a questa parte, sene parla, infatti, molto più del solito.

Se è vero, e a me pare lo sia, che l’atten-zione a questo tema è cresciuta sensibili-mente, dovremmo, forse, interrogarci sullemotivazioni di questo rinato interesse.

c’è ora meno legalità rispetto a quanta,tanta o poca, ce ne sia stata in passatoquando se ne parlava di meno o per nulla?Oppure, magari, è solamente cambiata lapercezione del livello di legalità esistente, aprescindere dal suo maggiore o minore li-vello effettivo?

Non credo sia facile rispondere a questiinterrogativi con argomenti oggettivi, verifi-cabili; può invece, e direi anche preliminar-mente, essere interessante domandarsi cosasi intenda esattamente col termine stesso dilegalità. Evidentemente molto ha a che ve-dere col generico “rispetto delle regole” edelle regole giuridiche in particolare.

ma , ancora più in particolare e rischiandodi essere pedante, sarebbe opportuno anchecapire bene cosa si intenda davvero per “ri-spetto” delle regole.

Al contrario di quello che può sembrare,credo proprio che il rispetto o il non rispettodelle regole non sia una cosa così evidente,scontata e netta come - semplicisticamente -talvolta si crede.

Speculare intorno a due o tre casi concretiofferti dalla cronaca recente, come sto perfare in questi appunti, potrà forse servire a

chiarire qualcosa in merito a tutto ciò .

Primo esempio: eccesso di velocità.

Una madre, avvisata che sua figlia è stataportata in gravissime condizioni – in pericolodi vita - al pronto soccorso si precipita là, vio-lando il limite dei 50 km orari, appena edove le è possibile durante la sua disperatacorsa verso l’ospedale. Si sa, i guai non ven-gono mai uno per volta e, infatti, la poverettaviene fermata da un vigile urbano che le con-testa la contravvenzione nonostante l’imme-diata spiegazione datagli dalla donna.

Secondo esempio: abusivismo edilizio.

In un’isola tra le più belle del mediterra-neo, Ischia, viene ordinato l’abbattimento diuna misera casetta costruita (ed abitata) abu-sivamente da un povero cristo, con lavoroprecario e una famiglia sulle spalle. Nellastessa isola esistono fior di ville e lussuosi al-berghi altrettanto abusivi.

Terzo esempio: sciopero.

Durante una manifestazione sindacale,che nulla ha a che vedere con il trasportoferroviario o aereo, i lavoratori occupano ibinari di una stazione o le piste di un aero-

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Francesco PulitiniProfessore Ordinario di Scienza delle Finanze dell’Università di Siena

Legalità e dintorni

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porto, bloccando il traffico ferroviario oaereo.

Tutti e tre gli esempi sono fatti di cronacarecente. I primi due testimoniano l’applica-zione di regole: il vigile, constatata una infra-zione al codice stradale, deve contestare lacontravvenzione. Se un abuso edilizio c’èstato e se la “regola”, ovvero la legge,prevede in tal caso la sanzione della demoli-zione, ciò che è accaduto ad Ischia è perfet-tamente legale. così come legale è stato,appunto, il comportamento del vigile. perquanto riguarda invece il terzo esempio, l’in-terruzione di pubblico servizio è un reato edesso non ha nulla a che vedere col diritto disciopero.

Allora se di reato si tratta, esiste chi, appli-cando le regole, deve perseguirlo.

Quindi la diversità del terzo esempiorispetto agli altri due consiste nel fatto che inquesto caso sembra piuttosto trattarsi di“non” applicazione di una regola, se chi si èreso responsabile di un reato non viene peresso perseguito.

come ho già detto,credo che speculare unpo’ su questi tre esempi possa essere un eser-cizio molto utile a chiarirci le idee sul sensoe sulla utilità delle regole nonché su cosa siintenda, utilmente, con “rispetto delleregole”.

può anche farci riflettere sul costo delleregole, sul costo del loro rispetto come sulcosto della loro violazione. Non si dà mai,infatti, il caso che a fronte di benefici (leutilità prodotte dalle regole e dal lororispetto) non esistano anche dei costi (daquelli per la loro applicazione a quelli, even-tuali,dei sacrifici imposti dal loro rispetto) .ma la vicenda diviene ancora più complicatanel caso in cui nel gioco “esistenza/nonesistenza” - “rispetto/non rispetto” delleregole si trovino ad essere implicati valori dinatura diversa, che possono venire favoriti o

sacrificati e che possono facilmente config-gere tra loro.

creando così, evidentemente, un proble-ma di scelta tra valori favoriti e valori sacri-ficati, problema niente affatto semplice darisolvere.

cominciamo allora a considerare il primoesempio, ovvero la prima regola: il limite divelocità. La sua ratio, evidentemente, èquella di tutelare la sicurezza, l’incolumitàdei cittadini o, quantomeno, ridurre i dannidegli incidenti.

Ogni evento dannoso, la perdita di unavita, le ferite da curare o le spese di carroz-zeria, non sono altro che costi per la società.più se ne evitano, meglio è per tutti, ovvia-mente. Quindi, in ultima analisi, le regole delcodice della strada (o almeno buona parte diesse) hanno lo scopo di ridurre i costi che lasocietà affronta per l’esistenza del trafficoautomobilistico. Direbbe poi la teoria econo-mica che il livello adeguato di questi costi(ovvero il livello adeguato di incidenti) èquello che li uguaglia ai benefici derivantidal traffico. I costi, infatti, sarebbero comple-tamente annullati se non esistesse il traffico,ma in questo caso non avremmo nemmenoun beneficio, ecco perché si accetta un certolivello di costi (di incidenti): perché nonsiamo disposti a rinunciare a quei benefici.

ma proseguiamo nell’esame del nostroesempio. La sanzione per il non rispetto diuna regola ha lo scopo di disincentivare ilripetersi del comportamento irrispettoso. Oalmeno questo dovrebbe essere lo scopo uffi-ciale, quello “nobile”; sappiamo che nellarealtà, talvolta, possono aggiungerseneanche altri, meno nobili.

prima mi è capitato di accennare al costo“dell’esistenza-non esistenza delle regole”così come al costo del loro “rispetto-nonrispetto”.

Al bilanciamento necessario (e che di fatto

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si fa) tra costi e benefici dell’esistenza-nonesistenza ho accennato un momento fa.Esaminiamo ora i costi-benefici del “rispetto-non rispetto” della regola riguardante illimite di velocità .

Non credo ci siano troppe difficoltà nelconsiderare “costi” anche tutto ciò che , insenso strettamente economico, non lo è;ovvero ciò di cui non si può o non si vuole(almeno esplicitamente - salvo quando simonetizzano i danni morali al fine del lororisarcimento) fornire una misura monetaria.

La sofferenza, il dolore morale rientranosenz’altro tra questi “costi”. Ebbene,proviamo ora ad applicare questo metodo dianalisi al nostro esempio.

Sanzionare l’infrazione del divieto disuperare i 50 km/h serve a ridurre i rischidel traffico e ad indurre il responsabile a nonfarlo ancora. Nel caso della povera madreche tenta di arrivare “in tempo” al prontosoccorso sembra ragionevole ritenere che cisia ben poco da disincentivare (il disincen-tivo al ripetere l’infrazione è uno dei due

benefici derivanti dal rispetto della regola),infatti non correva certo per il gusto dicorrere, né per una generica fretta tutt’affattodegna di essere presa in considerazione.certo, fermandola e contestandogli lacontravvenzione, si è forse diminuito ilrischio di incidenti in generale. E questo è ilsecondo beneficio procurato dal rispettoinflessibile della regola da parte del vigile. Afronte di questi due benefici, praticamentenullo il primo, ragionevolmente piuttostobasso il secondo, quali sono invece i costi delrispetto inflessibile della regola? Quello,assolutamente certo, di avere aggiunto altrasofferenza alla madre più l’altro, eventuale,di avergli impedito di arrivare “in tempo”,così aggiungendo ancora altra e ancora piùgrave sofferenza. In sostanza, sembraproprio di poter concludere che non si è otte-nuto il bilanciamento (utile) tra costi e bene-fici del “rispetto-non rispetto” della regola.

Sono perfettamente consapevole che, cosìargomentando, si suscita scandalo in coloroche ritengono, al di là di qualsiasi ragione-D

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vole dubbio, che le regole si rispettano puntoe basta e guai a cercare di capirne il senso,l’utilità, i vantaggi e gli svantaggi.

ma posso tranquillizzarli immediata-mente: non sto né ritenendo verosimile cheil vigile possa mettersi a fare, seduta stante,una analisi costi-benefici, né -tanto meno- stoistigando chicchessia a delinquere . Sto, piut-tosto, solidarizzando con quel giudice (o chiper lui) che avendo poi annullato quellamulta, come è successo, ha usato ottima-mente il buon senso. buon senso che puòessere descritto e rappresentato (oggettivato)nel percorso (logico) che ho tracciato. buonsenso che, questa è una delle domande chemi pongo, è forse opportuno inserire tra icriteri da seguire per una applicazione utiledelle regole e, di conseguenza, per la valuta-zione del livello di legalità di una società.

proviamo ora ad analizzare il secondoesempio, quello dell’abuso edilizio, prose-guendo con lo stesso atteggiamento, certa-mente eterodosso, ma forse di qualche utilità.Nel caso della sanzione della demolizione dicostruzioni abusive penso che l’utilità dellaregola consista nel ripristino della condi-zione preesistente all’abuso stesso.

Si era ritenuto che il panorama sarebbestato danneggiato da un costruzione che nonera stata autorizzata, costruendola si eraimposto un costo (si era fatto un dannopeggiorando il panorama) e demolendola sievita quel costo, quindi si arreca un bene-ficio. Direbbero gli economisti che questotipo di considerazione attiene alla efficienza;qualsiasi azione che porti più benefici gene-rali (per tutti) che costi generali (per tutti) èuna azione che produce efficienza. A questoproposito occorrerebbe però rendersi contose, effettivamente, sia maggiore il beneficiogenerale ottenuto con la demolizione oppureil costo (danno) individuale per chi lasubisce.

Infatti se quest’ultimo fosse maggiore delbeneficio prodotto dalla demolizione eccoche questa non sarebbe desiderabile dalpunto di vista economico, perché non effi-ciente. ma ci sono poi le considerazioni dicarattere distributivo.

Il nostro povero cristo, ridotto senza casaper sé e per i suoi, dovrà ora affrontare deicosti, per lui particolarmente ingenti, perrimediare alla perdita del suo miseroalloggio. E saranno costi di natura nonsoltanto economica.

per quanto riguarda i benefici prodottidalla demolizione, si tratta evidentemente dibenefici di natura extra economica cheandranno verosimilmente ad un certonumero di persone, tutte quelle che potrannogodere del panorama più bello senza quellacasa abusiva. proseguendo pervicacementein questa logica (economica) perversa, oforse soltanto eterodossa, credo chepotremmo domandarci se la soluzione dellademolizione sia a) l’unica e b) la preferibile.E’ troppo facile constatare che non è affattol’unica, per cui non ne parliamo. mavediamo perché non è nemmeno la preferi-bile. Abbiamo già visto che nel caso in cui ibenefici della demolizione superino i costi,essa è cosa buona dal punto di vista dellaefficienza.

Viceversa, se tutti i vari tipi di costi supe-rano tutti i vari tipi di benefici, la demoli-zione sarà sconsigliabile dal punto di vistadella efficienza.

Dal punto di vista distributivo prima ditutto è opportuno domandarci se vogliamo,o meno, che una scelta (la demolizione)avvantaggi chi, verosimilmente, è già piùfortunato e danneggi chi lo è meno, ovverose siamo disposti ad accettare un peggiora-mento della distribuzione. Se non siamodisposti a ciò, esistono due alternative: una èquella di rinunciare alla demolizione, così

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violando il principio del rispetto delle regole,il principio di legalità ecc.; l’altra consistenella possibile corresponsione di un inden-nizzo (magari un alloggio sostitutivo) daparte degli avvantaggiati dalla demolizioneallo svantaggiato. Se l’entità del vantaggiodei primi è tale da consentire ciò, otterremosia il rispetto delle regole (l’abuso saràsempre sanzionato e la situazione ripristi-nata), che il risultato distributivo comples-sivo nella direzione desiderata.

Non proseguo oltre con i tecnicismi dellesoluzioni possibili, dato che lo scopo diquesti appunti è un altro. Ed è quello dimettere in evidenza che una concezionemanichea del rispetto delle regole, e dellalegalità, può generare risultati che conflig-gono con altri risultati altrettanto desidera-bili, quindi da favorire, quanto quello,appunto, del rispetto delle regole.

Nel caso dell’abuso edilizio ad Ischia mipare si possa sostenere che non sia stato fattoalcun uso del buon senso. Tra quest’ultimo ela logica economica credo proprio che ci siaqualche cosa a che vedere. La logica econo-mica del nostro secondo caso ci ha portato adintravedere soluzioni forse più accettabilidella demolizione.

Questa, infatti, ha permesso sì il rispettodelle regole, ma un rispetto che mi permettodi definire inutile o dannoso; è auspicabileproporsi invece un rispetto non dannoso e,possibilmente, utile delle regole?

Rimane da considerare il terzo esempio,quello dello sciopero. Ebbene, in questo caso,come già detto, ci troviamo di fronte ad una“non” applicazione di una regola. Quella inbase alla quale la commissione di un reato,se conosciuta, deve essere perseguita. cosapuò suggerirci, ai nostri fini, il fatto che nelcaso di interruzione di pubblico serviziodurante uno sciopero ciò non avvenga prati-camente mai?

per inciso vorrei prima di tutto notare chenon mi pare di avere mai (o quasi mai)sentito parlare di mancanza di legalità inquesti (numerosi) casi. comunque sia,cerchiamo di capire, come abbiamo fatto neidue esempi precedenti, vantaggi e svantaggidella applicazione-non applicazione dellaregola.

L’interruzione del trasporto ferroviario odi quello aereo provocano, evidentemente,danni economici a molte persone diretta-mente ed indirettamente coinvolte.

Il vantaggio del blocco, in termini di visi-bilità e risonanza, va ovviamente ai lavora-tori che lo mettono in pratica. L’applicazionedella regola che prevede la punizione di talecomportamento ha, come sempre, lo scopodi creare un disincentivo alla attivitàdannosa, alla interruzione del servizio.Applicandola, quindi, si evita un costo. Siimpedisce anche un beneficio? Quello dellavisibilità e risonanza dello sciopero? proba-bilmente sì. Allora vediamo.

E’ plausibile ritenere che costi meno agliscioperanti trovare forme alternative per lorosufficientemente accettabili rispetto a quantocosta ai danneggiati il danno subito dalblocco, danno, oltre tutto, difficilmente rime-diabile? Sì, a me pare più che plausibile, anzidel tutto verosimile. ma , allora, se le cosestanno così la conclusione è che la non appli-cazione della regola, creando più danni chebenefici, sia cosa non buona e non giusta. Deimotivi naturalmente ci saranno se si decide,come pare si decida quasi sempre, di nonapplicare quella regola. A prescindere daquesti è comunque interessante prendereatto che esistono anche casi nei quali siritiene preferibile il non rispetto di unaregola. ma allora o ci si scandalizza sempreper il non rispetto di una regola o non ci siscandalizza mai. certamente avrebbe poco onessun senso scandalizzarsi sì o no a seconda

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se si gradisca o meno il rispetto di questa oquella regola. Non sarebbe allora il caso diprendere atto che per rispetto delle regole,per legalità, non si dovrebbe mai intenderequalcosa di meccanico, automatico, tipo infi-lare i dati in un computer ed aspettare ilrisultato? Forse nel caso dello sciopero coninterruzione di pubblico servizio vengonofatte implicitamente e tacitamente considera-zioni di carattere distributivo?

Non credo. E comunque, probabilmente,non tornerebbero. Non è infatti ragionevoleritenere che la categoria dei danneggiati siauna categoria omogenea e più ricca di quella(omogenea) dei danneggianti, posto che sivoglia favorire questa, lasciando il costo

sull’altra categoria che è più in grado disopportalo.

Forse è possibile trarre una morale daquesta favola delle tre regole, due rispettatela terza no. Applicando ai nostri tre casi ilragionare economico sono approdato allaconclusione che in tutti e tre sarebbe statopreferibile fare esattamente l’opposto di ciòche è stato fatto. Un risultato imbarazzante.

Risultato che non autorizza nemmenolontanamente a credere che le decisioni sulleregole e sul loro rispetto possano o debbanoessere basate solo ed esclusivamente su queicriteri; però fare riferimento anche ad essipuò essere utile e, talvolta, può far emergerei “veri” criteri usati, al di là di quelli dichia-rati. ■

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Giornalismo d’inchiesta – Limite della verità

oggettiva della notizia.

Cass. Civ. Sez. III, sentenza 9.7.2010 n.16236

– Pres. Morelli – Rel. Spagna Musso.

“In tema di diritto di cronaca e di critica,quando si tratta del cosiddetto «giornalismo diinchiesta» - il quale provvede ad attingere diretta-mente l’informazione – gli obblighi del giornalista,connessi al generale limite della verità oggettivadella notizia pubblicata, si sostanziano nel rispettodei principi etici e deontologici dell’attività profes-sionale, quali risultano dalla relativa legge (art. 2della legge n. 69 del 1963) e dalla Carta dei doveridel giornalista, ai quali si aggiunge il rispetto dellariservatezza, secondo quanto stabilito dalle regoledeontologiche in tema di trattamento dei datipersonali; fermi restando, comunque, i limiti gene-rali costituti dall’interesse pubblico alla conoscenzadel fatto e la correttezza formale dell’esposizione”.

La sentenza in esame si sofferma a definireed analizzare i contorni giuridici che deli-neano l’attività giornalistica, nella specie, ilgiornalismo d’inchiesta.

Nel giornalismo d’inchiesta, il professio-nista procede ad una acquisizione autonomadella notizia e non mediata da altre fonti;proprio come in questo caso in cui due cronistiavevano consegnato ad un laboratorio d’ana-lisi dei campioni di thè facendo credere che sitrattasse di urina e ciò allo scopo di portarealla luce, una volta ottenuto il referto da parte

del laboratorio (per il quale non vi era alcundubbio che il liquido esaminato fosse propriourina), un evidente caso di “malasanità” adanno dei cittadini.

Accertato in primo grado il contenutodiffamatorio dell’articolo di giornale nel qualevenivano riportate tali notizie, in secondogrado la corte d’Appello riformava lasentenza del giudice di prime cure affer-mando che non potesse “dubitarsi della veridi-cità della notizia riportata sul giornale e neppureche la notizia rivestisse un grande interesse perl’opinione pubblica, coinvolgendo la stessa il beneprimario della salute e dei mezzi a disposizione perpresidiarla, tra i quali rivestono un ruolo premi-nente le analisi di laboratorio”.

La Suprema corte, chiamata a pronunciarsiin merito alla violazione dell’art. 21 cost.nonchè degli artt. 51 c.p. e 595 c.p. e relativovizio di motivazione in ordine alla sussistenzadella scriminante della verità e della scrimi-nante della continenza espressiva, ha offertouna chiave di interpretazione dell’attivitàgiornalistica e delle regole giuridiche che ladisciplinano.

In primo luogo, delineando i caratteri delgiornalismo d’inchiesta, quale espressione diun giornalismo che attinge direttamente lanotizia e non necessita della mediazione dialtre fonti, pone in luce come questo trovi ilproprio riconoscimento giuridico nell’art. 21cost. (libertà di espressione del pensiero),nell’art.2 della legge professionale n. 69/1963,

a cura di: Mariantonietta Crocitto, Daria Proietti e Federico Tomassini

Giurisprudenza commentata

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nella convenzione di Strasburgo e nellacarta dei diritti e dei doveri del giornalistadel 1993.

Il giornalismo d’inchiesta, come ogni altraforma di giornalismo, deve comunquerispettare la persona e la sua dignità e nondeve ledere la riservatezza, in base a quantostatuito dalle regole deontologiche in tema ditrattamento dei dati personali nell’eserciziodell’attività giornalistica (art. 25 L.675/1996;art. 20 D.lgs. 467/2001; art. 12 D.lgs. 196/03).

per il giornalista che svolge attività d’in-chiesta viene meno, proprio per le caratteri-stiche di tale tipo di informazione, lanecessità di valutare l’attendibilità e la veri-dicità della provenienza della notizia, inquanto egli attinge “direttamente” l’informa-zione e per far ciò deve ispirarsi ai criteri eticie deontologici che sono alla base della suaprofessione.

Appare evidente che in tale contestodovrà sussistere il requisito dell’interesseoggettivo a rendere consapevole l’opinionepubblica di fatti socialmente rilevanti e,inoltre, l’uso di un linguaggio non offen-sivo.

Secondo la ricostruzione svolta dallacassazione, considerando l’intero quadrodisciplinare che riguarda il giornalismo el’attività di informazione in genere, è ammis-sibile ritenere che vi sia una prevalenza deldiritto all’informazione sui diritti personali esulla riservatezza che possono configurarsicome limite all’attività di inchiesta solo inpresenza di taluni presupposti che offendanoe ledano la dignità umana.

pertanto, anche alla luce delle disposi-zioni della carta costituzionale, come ad es.l’art. 1 comma 2 che afferma il principio peril quale “ la sovranità appartiene al popoloche la esercita nelle forme e nei limiti dellacostituzione”, il popolo potrà ritenersi legit-

timamente sovrano solo quando vengapienamente informato di tutti i fatti e glieventi di interesse pubblico.

La cassazione, nel caso de quo, ha ritenutorispettato il parametro:

a) della verità rispetto ai fatti riportati,essendo corrispondente al vero che icampioni di thè portati ad analizzare eranostati considerati come campioni di urina (ciòa dimostrazione dell’effettivo grado di atten-dibilità delle analisi di laboratorio e dell’im-portanza della questione “salute” per lapubblica opinione);

b) della continenza, in quanto se è purvero che i giornalisti avevano definito “scan-dalosi e sconcertanti” i risultati dell’inchiestasvolta, è altrettanto vero che ciò rientrava nellegittimo esercizio del diritto di cronaca,avendo gli stessi utilizzato un linguaggionon sconveniente, ma in linea con i fattinarrati.

Sulla base di questo complesso di consi-derazioni, la corte ha quindi rigettato ilricorso presentato e, confermando lasentenza d’appello, ha ritenuto che i giorna-listi, svolgendo la loro inchiesta, si siano limi-tati ad accertare i fatti e a renderne edotta lacollettività mediante degli articoli comparsisui quotidiani.

Legittimità della riassunzione del lavora-

tore a condizioni meno favorevoli in caso di

crisi aziendale.Cass. Sez. Lav., 14 ottobre 2010, n. 21214

Nel caso di grave stato di crisi dell’impresadichiarata dalle autorità competenti e ove laprocedura sia aperta al controllo giudiziario everificabile, dinanzi alla prospettiva di licenzia-menti, è legittimo pattuire a livello sindacale la

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riassunzione dei lavoratori a condizioni menofavorevoli.

In costanza di un trasferimento d’aziendain crisi, un lavoratore aveva sottoscritto unverbale di conciliazione che prevedeva lariassunzione dello stesso da parte dellasocietà cessionaria con mansioni e retribu-zione inferiori.

Il lavoratore in seguito conveniva ingiudizio la cessionaria innanzi al Tribunaledi milano - deducendo il contrasto tra l’art.47 della legge 428/90 e l’art. 3.1 Dir. cE187/77 - per vedere riconosciuta l’unicità delproprio rapporto di lavoro con cedente ecessionaria e conseguentemente riconosciutoil diritto a svolgere le medesime mansionisvolte in precedenza per la cedente (caposervizio) con il relativo diritto alla percezionedelle differenze retributive.

Sia il Giudice di primo Grado adito, sia lacorte d’Appello respingevano le doglianzedel prestatore di lavoro, rilevando che l’art.4-bis Dir. cE 50/98, novando la Dir.cE187/77, escludeva l’applicazione dell’art.invocato dal ricorrente (e cioè l’art. 3.1 Dir.187/77) nonché dell’art. 4 della menzionataDirettiva, nel caso di lavoratori di impreseversanti in stato di grave crisi economica.

Il discrimen, peraltro rilevabile nel caso dispecie, è che lo stato di crisi aziendale siadichiarato da pubblica autorità, da cui l’inte-resse superiore alla conservazione dell’occu-pazione dei lavoratori della cedente,ancorché a condizioni inferiori, e alla soprav-vivenza dell’impresa.

Nel caso di specie ricorreva infatti il requi-sito fondamentale del riconoscimento dellostato di crisi effettuato dal cipi e dal mini-stero del Lavoro.

Trasformazione del rapporto di lavoro da

part-time a tempo indeterminato per facta

concludentia

Cass. Sez. Lav., 13 ottobre 2010, n. 21160

In base alla continua prestazione di un orariodi lavoro pari a quello previsto per il lavoro atempo pieno,un rapporto di lavoro nato come atempo parziale può trasformarsi in un rapportodi lavoro a tempo pieno, nonostante la difforme,iniziale volontà delle parti, non occorrendo alcunrequisito formale per la trasformazione di unrapporto a tempo parziale in un rapporto di lavoroa tempo pieno.

Il lavoro a tempo parziale si trasforma inrapporto a tempo pieno per fatti concludenti, inrelazione alla prestazione lavorativa resa, costan-temente, secondo l’orario normale, o addiritturacon orario superiore.

con ricorso presentato al Tribunale diGenova, un lavoratore asseriva che il propriorapporto di lavoro, formalizzato con uncontratto part-time, si era in realtà svoltosecondo le forme e gli orari del rapporto dilavoro full-time, e pertanto chiedeva alGiudice adito l’accertamento del tempopieno.

Il Tribunale di Genova accoglieva ledoglianze del lavoratore, condannando lasocietà convenuta al pagamento delle diffe-renze retributive spettanti al ricorrente apartire dal 1996.

In parziale riforma della sentenza di Igrado, la corte d’Appello riconosceva allavoratore il diritto alle differenze retributive,solamente a partire dal 1999.

La società convenuta ricorreva allaSuprema corte asserendo che l’orario dilavoro eccedente rispetto a quello definitonel contratto individuale del lavoratore, noncostituiva requisito tale da poter rendereconfigurabile il rapporto di lavoro come full-

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time, in quanto durante il lavoro “supple-mentare” svolto dal lavoratore, quest’ultimonon sottostava ad alcun obbligo di reperibi-lità, potendo peraltro opporre il rifiuto disvolgere dette mansioni supplementari.Secondo la società ricorrente, inoltre, la nova-zione del rapporto di lavoro avrebbe potutoessere configurabile esclusivamente allor-quando vi fosse stata una modificazione,novativa appunto, degli elementi costitutividella fattispecie dedotta nel contratto dilavoro, non già al cospetto di una mera

modifica di talune modalità accessorie dellaprestazione.

La Suprema corte ha ritenuto infondati imotivi addotti dalla ricorrente, ribadendo –conformemente a consolidata giurispru-denza di legittimità - il principio che ad unrapporto di lavoro a tempo parziale, pure incostanza di difforme pattuizione iniziale,può ben essere riconosciuta la caratteristicadel tempo pieno per fatti concludenti, nonessendovi alcuna necessità formale richiestaper rendere legittima tale trasformazione. ■

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Sono ormai maturi i tempi per una seriariflessione, fatta da ordini professionali,Istituzioni e Governo, per una vera riformadelle professioni, ormai attesa da troppianni.

Il numero degli iscritti agli Albi profes-sionali attualmente è di più 2 milioni diunità con un volume di pIL prodotto pari al15% del dato complessivo nazionale.

Dal 1998 al 2008 gli iscritti negli Albisono cresciuti di 850.000 unità (da 1.150.000a 2.000.000 circa) con un aumento di oltre il70%; il risultato è che un professionista sudue ha meno di 40 anni di età. Questoaumento degli iscritti ha comportato un’in-cidenza sul numero degli occupati pari al8,74% su 22,56 milioni di occupati. Questidati sottolineano l’importanza economica,sociale ed occupazionale che le professioniintellettuali hanno assunto nel paese.

È difficile definire con precisione la rile-vanza del ruolo delle professioni nelladeterminazione delle dinamiche disviluppo in Italia. Si può stimare la rile-vanza economica, il contributo delle attivitàprofessionali alla formazione del pILnazionale, o la rilevanza occupazionale; masebbene si tratti di cifre consistenti non siriuscirebbe a quantificare l’importanzareale del mondo delle professioni nellosviluppo del sistema economico sociale delpaese. L'aspetto centrale è la presenza di

una rete di professionisti, strutturata terri-torialmente e coordinata centralmente,chiamata a svolgere compiti delicatissimi edi grande responsabilità, costituendo, inmolti casi, l'interfaccia tra Istituzionipubbliche, cittadini ed imprese. Una rete trasoggetti che, oltre a svolgere un importanteruolo sociale, culturale ed economico, rapp-resenta uno straordinario ed efficacissimostrumento di promozione dell'innovazionein grado di offrire, in virtù del vincolodeontologico, una garanzia di equilibrio tratutela dell'interesse pubblico e salvaguardiadell'interesse privato.

La riforma dovrebbe partire prima ditutto dalla definizione della figura diprofessionista intellettuale attraverso lamodifica del codice civile. come già affer-mato anche durante le audizioni avvenutealcuni mesi fa in parlamento, per profes-sione intellettuale si intende l’attivitàeconomica, anche organizzata in formaassociata o societaria, diretta al compi-mento di atti e alla prestazione di servizi odi opere a favore di terzi, esercitata abitual-mente e in via prevalente con lavoro intel-lettuale, per la quale sono richiesti un titolodi studio universitario o equipollente, ilsuperamento dell’esame di Stato di cuiall’art. 33, comma 5 della costituzione el’iscrizione all’albo professionale.

La riforma delle professioni intellettuali

Le professioni e la sfidadella riforma

Marina CalderonePresidente del Comitato Unitario delle Professioni

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andrà portata avanti con una legge di prin-cipi generali che demandi ai singoli Ordinidi attualizzarli nella propria legge ordina-mentale. La specificità dei singoli Ordini,con compiti ed attività professionali bendiversi tra loro, comporta una riformacondotta per comparti che afferiscono allostesso settore del mercato, al fine di indi-viduare principi comuni e tipizzanti e dirazionalizzare il sistema delle competenze.E questo lavoro, in parte, è stato svoltodagli stessi professionisti; il documentocondiviso da cUp e pAT, sottoscritto da 27presidenti di Ordini, contiene al suointerni i principi comuni che dovrebberocaratterizzare l’esercizio di tutte le attivitàprofessionali.

Questi principi non necessariamenteimpongono l’assimilazione dei professionistiall’impresa. Non si può trascurare, infatti,che l’attività professionale è distinta daquella d’impresa, e non può risponderealle sole logiche di mercato. In ogni casooccorre sempre tener conto delle pecu-liarità delle professioni intellettuali, doveprevale la figura del professionista ed ilrapporto personale e di fiducia è alla basedel rapporto contrattuale. ma la legge diriforma dovrebbe stabilire chiari regoleper la costituzione di associazioni traprofessionisti, a volte l’unico mezzo peraffrontare la concorrenza di un mercatosempre più aperto alle multinazionali.Occorre, allora pensare ad un tipo nuovodi società che si fondi sul lavoro intellet-tuale e che lo tuteli in tutte le sue forme edapplicazioni, attuando il precetto costi-tuzionale di cui all’art. 35 della costi-tuzione; per tale motivo è opportuno cheuna legge di riforma introduca una societàad hoc fondata sugli apporti di lavorointellettuale dei professionisti, checonsenta l’esercizio delle professioni in

forma aggregata, multidisciplinareladdove i singoli ordinamenti non loimpediscano, e che comunque salvaguardila personalità della prestazione e gliobblighi di vigilanza degli Ordini nell’in-teresse pubblico.

Inoltre, la riforma delle professioni dovràprocedere ben distinta da una legge che rego-lamenti le associazioni non ordinistiche cheda tempo aggrediscono il sistema dei serviziin Italia. Nessuno ha mai negato l’esistenzadelle molte associazioni sul mercato.Durante un lungo percorso di audizioni allecommissioni Giustizia ed Attività produt-tive della camera dei Deputati, il legislatoreha ritenuto opportuno dividere i duepercorsi di riforma. Le professioni ordinis-tiche sono concordi su questa decisioneperché i due mondi, quello delle professionie quello delle associazioni, sono regolate dadiversi principi, da diverse regole. Il dibattitosul riconoscimento delle associazioni è moltopresente a livello istituzionale, ad esempioall’interno del cNEL, ma si è ritenuto nonpercorribile una riforma duale per ladifferenza che c’è nell’esercizio della profes-sione e nei requisiti (il percorso di studi, ilperiodo di tirocinio, la formazione continua,il rispetto del codice deontologico, ecc.) chedevono possedere i singoli individui periscriversi ad un Albo.

Inoltre, nella predisposizione del testogovernativo di riforma, il Legislatoredovrebbe tener conto del ruolo economicoassunto dalle professioni. Le professionisono divenute la scelta occupazionale nonsolo dei quasi due milioni e mezzo diiscritti agli Albi, ma anche dei dipendentidegli studi professionali e dei giovanipraticanti. La crescita degli iscritti agliAlbi professionali è in incremento costantee duraturo.

Il mondo delle professioni ordinistiche,

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che oltre agli iscritti conta più di 1 milionedi addetti, rappresenta un’importantecomponente delle percentuali sull’occu-pazione creando così economia e sostenta-mento per molte famiglie italiane.

È perciò opportuno analizzare una seriedi misure specifiche per fronteggiare la crisie i problemi strutturali del settore.

misure che dovrebbero vedere sia inter-venti diretti degli Ordini, come fornire allacasse di previdenza i fondi necessari pergarantire un sostegno al reddito del profes-sionista in caso di periodo di malattia prol-ungata o in una fase di profonda crisifinanziaria, che interventi legislativistabiliti in una legge di riforma per ridiseg-nare in funzione anti-crisi il quadro strate-gico nazionale, proprio come è stato fattoper il sistema imprenditoriale nazionale.Queste misure potrebbero concretizzarsi inincentivi come una fiscalità agevolata ol’estensione ai professionisti di finanzia-menti per far fronte ai periodi di crisi, onella previsione di garanzie, in caso diritardo del pagamento delle parcelle profes-sionali da parte di clienti e, soprattutto,della pubblica Amministrazione.

Questi interventi debbono essere rivoltisoprattutto ai giovani colleghi, in modo daagevolare l’apertura di nuovi studi profes-sionali e l’acquisto di computers, stampantie tutti i materiali indispensabili per l’eser-cizio della professione.

La libera imprenditorialità e l’investi-mento sulle conoscenze intellettuali rappre-sentano ormai uno degli sbocchi che igiovani laureati stanno scegliendo per illoro futuro. Gli Ordini professionali attuanoiniziative rivolte a promuovere politicheattive affinché i giovani lavoratori abbianogarantito un futuro più stabile e costellatoda grandi traguardi.

E tra i giovani un ruolo fondamentale lo

ricoprono i molti laureati che entrano neglistudi professionali o nelle strutture di rifer-imento per frequentare il praticantato e perricevere la giusta formazione e specializ-zazione per divenire i nuovi professionisti,pronti ad affrontare il mercato.

Giova rammentare che gli esami per l'ac-cesso agli Ordini non sono a numerochiuso, salvo rarissime eccezioni, e che laselezione segue esclusivamente il criteriomeritocratico. Tutti gli ordini professionaliintrattengono rapporti stabili e siglanoconvenzioni con le Università, con lo scopodi realizzare una rete che possa garantire unaccesso più veloce nel mondo delle profes-sioni e del relativo mercato di riferimento.

La mancanza di una reale rete tra univer-sità e lavoro rende spesso lo sforzo deinostri giovani ed il loro investimento nellaformazione non corrispondenti ad unconcreto sbocco lavorativo.

Questo perché l’università italiana non èpiù professionalizzante.

prendendo ad esempio il mondo delleprofessioni, il percorso di studi svolto nelleuniversità non fornisce un’adeguatapreparazione per affrontare la professione.

Ed i giovani che decidono di sceglierequesta via sono obbligati a studiare eformarsi anche nel periodo di pratica.

Nel progetto di riforma delle professionidovrà essere posto come obiettivo quello dicreare una rete con le università proprio peroffrire agli studenti una formazione special-izzante, con l’intervento anche dei profes-sionisti nel percorso di studi.

Questo permetterebbe, ad esempio,quello di riformare il praticantato delleprofessioni permettendo il suo svolgimentoanche durante gli anni di studio universi-tario. Rendendo così più veloce l’accesso allavoro di giovani laureati, dotati di unaformazione realmente professionalizzante.

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Va poi evidenziato che il mondo dellelibere professioni sta assumendo sempre piùun carattere femminile, con una percentualesempre in aumento di donne che scelgono disvolgere una professione intellettuale e conuna progressiva, anche se più lenta, acqui-sizione di uno specifico ruolo anche nelladirigenza delle singole categorie. proprioquesto incremento della presenza femminileall’interno degli Ordini professionali rendeurgente la definizione di politiche di concili-azione e di welfare anche nelle professioni,nel rispetto delle norme e dei principi chel’Unione Europea ha predisposto negli ultimimesi. La tutela della maternità, oggiriconosciuta solo per il periodo di astensioneobbligatoria, dovrebbe essere parificata aquella prevista per i lavoratori subordinati,consentendo la fruizione dei congediparentali. ma una modifica normativa in

questo senso sarebbe, nella sostanza, inutileladdove non fossero riproposti gli strumentidi finanziamento degli oneri di sostituzionedelle professioniste che si assentano dallavoro per maternità.

Questi sono i principi su cui unariforma delle professioni dovrebbe basarsi,principi condivisi che gli stessi profes-sionisti, quotidianamente, cercano di ga-rantire al paese attraverso l’esercizio delleattività professionali.

Una riforma da molti anni attesa, mache il mondo delle professioni richiede perpoter assicurare specializzazione, effi-cienza ed efficacia al contributo che offre atutti i settori produttivi e sociali del paese.Si deve aprire il periodo delle grandiriforme strutturali e tra queste ritengofondamentale anche quella delle profes-sioni. ■

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Non c’è niente che fa male così

di Amabile Giusti

«Eccolo, il suo diario. Piùpiccolo di un quaderno, maspesso. La copertina di raso lilla.Il lucchetto. Polvere dapper-tutto, ruggine nelle parti metal-liche, graffi sul disegnoall’angolo, sul viso di una damadell’Ottocento che scrive sotto laluce rotonda di un lume a petro-lio.

Non è difficile scardinareanche quella chiusura, non è af-

fatto difficile per una che si sente addosso quella strana forza,quel coraggio, quella voglia irruente di sapere tutto ciò chec’è da sapere dopo anni in cui ha fatto il possibile per nonsaperlo. La minuscola serratura ossidata salta, rintocca aterra e si ferma in mezzo alla polvere. Allora, Caterina legge.Col cuore in bocca, legge.

Niente di ciò che succede, succede invano.»caterina ha sei anni quando una tragedia scon-

volge la sua vita, spazzando via la sua innocenza e peg-giorando il difficile rapporto con la madre e quelloimpacciato con il padre. Undici anni dopo, in un diarioritrovato, scopre inaspettatamente l’identità delcolpevole di ciò che è accaduto. Da quel momentocaterina sente di avere un’unica missione: conoscerloe distruggerlo.

Lui è marco, avvocato trentaseienne, un peter panfallito, un marito mediocre e un pessimo padre, allacontinua ricerca di qualsiasi emozione in grado di al-lentare la noia della sua vita perfettamente organizzata.così, quando in una libreria incontra caterina,apparentemente per caso, cede volentieri all’attrazioneche prova per lei. ma qualcosa sfugge di mano a en-trambi, perché gli uomini non sono cose e i sentimentisono ingovernabili per natura…

In un susseguirsi di colpi di scena, i segreti e le ver-ità verranno a galla a poco a poco, gettando un’impie-tosa luce sui retroscena famigliari, sui pettegolezzi deivicini e su tutto il mondo degli adulti, ora spettatori in-consapevoli, ora cinici burattinai.

Il ritratto di un’adolescenza malinconica e crudele,che non conosce mezze misure, capace di odiare eamare al medesimo tempo, con la stessa intensità.Un debutto aspro e struggente sul dolore della perdita,sulla paura di crescere, sul bisogno assoluto d’amore,su quanto la strada delle apparenze sia lastricata di er-rori e sul destino che, inesorabile, vince su tutto.

Editore: baldini castoldi Dalai / La Tartaruga

La libertà di espressione dei magistrati

di Sandro De Nardi

Un magistrato può libe-ramente manifestare il pro-prio pensiero (sulla stampa,in TV, durante un pubblicodibattito, ecc.) al pari diqualunque altro cittadino,oppure - per il delicato ruoloprofessionale che riveste -deve sottostare a particolaricautele e limiti (anche al finedi non mettere a repentagliola fiducia del consorzio civile

nella sua indipendenza e nella sua imparzialità)?È questo, in estrema sintesi, il quesito al quale l’Au-

tore fornisce una articolata risposta, analizzando tantoi principi ed i precetti costituzionali che vengono inrilievo nella materia in esame, quanto le più recenti ri-forme legislative concernenti la responsabilità discipli-nare dei magistrati che sono state promosse da ben dueministri della giustizia - Roberto castelli e clementemastella - anche per tentare di porre un freno al con-tinuo dilagare di esternazioni rese da taluni esponentidell’ordine giudiziario.

Il volume reca, in particolare, una disamina det-tagliatissima della complessa (e quanto mai attuale)problematica in questione, dando rilievo non solo allariflessione teorica ma anche ad una miriade di casi con-creti concernenti magistrati particolarmente lin-guacciuti, di cui si è dovuto occupare il consiglioSuperiore della magistratura a partire dalla fine deglianni ’50 sino ai giorni nostri.

L’auspicio manifestato dall’Autore nelle sue con-clusioni, è nel senso che, in futuro, i magistratiprovvedano ad esercitare in maniera spontaneamenteresponsabile la loro libertà (positiva e negativa) diespressione: riflettendo, se del caso, sulla condivisibileosservazione che pochi anni orsono è stata formulatada Gustavo zagrebelsky, ad avviso del quale se il silen-zio può anche essere vissuto come una costrizione dalgiudice, è altrettanto vero però che, a ben vedere, sitratta di “una costrizione che libera, garantendo l’es-traneità alla girandola delle parole senza responsabilitàe dignità che tutto svilisce e corrompe.

Silenzio per indipendenza e autorevolezza”.

Jovene editore, Napoli, 2008, pp. XVI – 591.

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“La speranza ha due bellissimi figli:

lo sdegno e il coraggio.

Lo sdegno per la realtà delle cose;

il coraggio per cambiarle”(P. Neruda)

Nessuno può essere soddisfatto di comefunziona la giustizia in Italia.

Le cause sono molteplici e note a tuttida tempo: carichi di lavoro eccessivi, ca-renze di organico e di risorse, forza lavoromal distribuita, complessità e spesso ina-deguatezza delle norme processuali, man-cato funzionamento dei riti alternativi.

A fronte di ciò i fenomeni criminali cheaffliggono la società civile sono in forte au-mento, non solo sotto l’aspetto quantita-tivo, ma anche dal punto di vistaqualitativo, non limitandosi alle manife-stazioni tradizionali, ma esprimendosisempre più in forme moderne e altrettantopericolose, di cui sono adeguato esempiola minaccia terroristica, la tratta degli es-sere umani, la criminalità informatica.

proprio la diffusione di queste ‘nuoveforme di criminalità’ - il terrorismo inter-nazionale, la tratta e lo sfruttamento degliesseri umani, i crimini informatici - e lenuove ‘attribuzioni in materia di misure disicurezza patrimonialì hanno determinatoun sensibile ampliamento delle compe-

tenze delle procure distrettuali, con un no-tevole incremento delle notizie di reato edelle incombenze investigative e procedu-rali. Tutto ciò a fronte di una organizza-zione giudiziaria rimasta invariata, edendemicamente carente nelle risorse di-sponibili.

Sotto questo aspetto bari risulta tra leprocure distrettuali più sacrificate nel pa-norama degli uffici giudiziari del mezzo-giorno.

La lettura della tabella che segue, i cuidati si riferiscono all’anno 2007, permettedi comprendere la difficile realtà in cuiopera l’ufficio.

Organizzare la giustizia

Antonio LaudatiProcuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari

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La nuova Tabella Organizzativa predi-sposta dalla procura di bari, in ottempe-ranza alle recenti disposizioni di legge checonsentono ai procuratori della Repub-blica di assumere in prima persona le re-dini della gestione della struttura chedirigono, costituisce una prima doverosarisposta alla esigenza di ottimizzare la de-finizione dei carichi di lavoro nell’ottica diuna più razionale gestione del personaleamministrativo e giudiziario e, in genere,dei mezzi a disposizione.

Tale strumento, tuttavia, pur nella suautilità, non può, di per sé, fornire soluzioniin mancanza di risorse adeguate e rischia,quindi, di divenire un contenitore di re-gole astratto, incapace di riflettere le realiistanze dei cittadini, delle istituzioni e del-l’avvocatura. per organizzare la giustiziain Italia è necessario, quindi, uno sforzoulteriore che sappia coniugare la capacitàdi perseguire una giustizia ideale con ilpiù concreto realismo.

La procura di bari ha, perciò, immagi-nato e predisposto il proprio modello or-ganizzativo non proponendosi l’obiettivo,irraggiungibile, di realizzare una societàgiusta, ma quello, concreto e possibile, diridurre quanto meno il campo dell’ingiu-stizia.

Nulla, infatti, è tanto acutamente perce-pito e sentito da una popolazione quantol’ingiustizia e non è possibile, in realtà,realizzare alcuna giustizia senza muoveree confrontarsi con le tante ingiustizie cheaffliggono la vita dei singoli e della collet-tività. Organizzare la giustizia richiede,

quindi, decidere “ su quali aspetti delmondo dobbiamo concentrarci quandogiudichiamo una società e quando valu-tiamo la giustizia e l’ingiustizia”. E perfare ciò è indispensabile il dialogo e lapubblica interazione.

“Nel perseguimento della giustizia le isti-tuzioni svolgono inevitabilmente un ruolo de-cisivo. La corretta scelta in materia diistituzioni costituisce un punto nodale nel nonfacile impegno per incrementare la giustizia.Riflettendo sull’idea di democrazia essa può in-tendersi come ‘governo per mezzo del dibattitò.La democraticità va valutata non solo in basealle istituzioni formalmente esistenti, maanche all’effettivo spazio concesso alle diversevoci delle varie componenti sociali” (AmartyaSen)

Organizzare la giustizia, così come ilmodello bari si propone, significa appuntosuperare il contrasto fra un’idea di giusti-zia centrata sulla struttura e un’altra cen-trata sulle realizzazioni concrete.

Le parole niti e nyaya in sanscrito signi-ficano, entrambe, giustizia. L’una fa dacontraltare all’altra: niti come adeguatezzadi un’organizzazione e correttezza di com-portamento, nyaya come concetto generaledi giustizia realizzata.

Lette insieme sono due parole che evo-cano un concetto di giustizia di estremamodernità. Indicano il percorso che il mo-dello bari intende seguire.

La giustizia intesa non solo come istitu-zioni, leggi ed organizzazione, ma anchecome nyaya: giustizia inserita nel mondoreale, giustizia concretamente realizzata. ■